CITOLOGIA La citologia si occupa dello studio delle cellule; le cellule a loro volta si organizzano in tessuti, del cui studio si occupa la istologia. L’embriologia studia invece i gameti, la fecondazione, l’organizzazione dello zigote, etc. Per studiare i tessuti, occorre fare dei prelievi. Esistono varie tipologie di prelievi: o agobiopsie: sono i prelievi più piccoli in assoluto; sono realizzati tramite un ago guidato da una sonda ecografica. Permettono però di prelevare solo piccole cellule di tessuto da esaminare. o biopsie endoscopiche: utili se si desidera un flusso maggiore di cellule. Si utilizzano come percorso le cavità corporee degli organi cavi, tramite un endoscopio sulla cui estremità è posta una microtelecamera. Utilizzato per il tratto respiratorio, digerente, vie urinarie, etc. o biopsia transvascolare: le vie utilizzate sono i vasi sanguigni o biopsia per escissione chirurgica diretta o biopsia per curettage (endometrio) I tessuti prelevati devono poi essere immediatamente fissati per immortalizzarli, in modo da evitare alterazioni o degenerazioni. Esistono quattro tipi di tessuti: epiteliale (ricopre le superfici), connettivo (riempimento), nervoso (supporta la parte ricettiva dei componenti tessutali) e muscolare (fibrocellule contrattili). L’istologia si occupa dello studio di cellule eucariote, e dunque dotate di una membrana plasmatica; in esse il materiale genetico è compartimezzato nel nucleo e isolato tramite un involucro nucleare. All’interno della cellula, si distingue tra organuli membranosi e non membranosi. La cellula riceve ed elabora informazioni, importa ed esporta molecole e ha capacità di espansione. Le unità costitutive della cellula sono: ZUCCHERI: polisaccaridi ACIDI GRASSI: lipidi AMMINOACIDI: proteine NUCLEOTIDI: acidi nucleici La teoria cellulare fu formulata nel 1838 da Schleiden e Schwann; secondo essa, la cellula vive perché: o si nutre o o o o si muove risponde a stimoli esterni interagisce con l’ambiente in cui si trova cresce e si divide per mitosi a partire dallo zigote Le cellule si dividono restando uguali fino allo stadio di 8 blastomeri; fin dallo stadio successivo a 16 cellule iniziano invece a differenziarsi, fino a un totale di circa 200 tipi diversi. La differenziazione delle cellule avviene già a livello di forma e dimensioni. Le cellule si misurano in micron (le loro dimensioni vanno da 7-8 fino ai 150 della allungata, stellata, piramidale, fusiforme (le cui estremità vanno ad assottigliarsi), cilindriche, isoprismatiche o cubiche, etc. Anche il nucleo è condizionato dalla forma della cellula: può risultare allungato, bastoncellare, etc. Anche la forma dello spermatozoo è particolare: una testa contenente il patrimonio genetico e l’acrosoma e una coda mobile detta flagello che permette di progredire con movimento autonomo. Un altro tipo di specializzazione può interessare ad esempio il citoscheletro, che rende la cellula contrattile; oppure alcune cellule piene di Reticolo Endoplasmatico Ruvido REG per produrre anticorpi; oppure alcuni organuli in aree specifiche (ad es. mitocondri in invaginazioni della membrana plasmatica, a formare il labirinto basale). L’occhio umano può vedere fino a una distanza tra i due punti osservati di 0,2 mm; oltre questa soglia, possono essere utilizzate lenti di ingrandimento (per piccoli ingrandimenti), oppure il microscopio ottico microscopio elettronico (0,2 nm). o Il microscopio ottico funziona tramite la luce di una lampadina convogliata in modo da passare in modo puntiforme attraverso un condensatore contenente diversi obbiettivi, fino a raggiungere in vetrino sul tavolino. Al microscopio ottico è possibile osservare vari frammenti e sezioni di tessuti in bidimensione. o Il microscopio elettronico a trasmissione TEM permette di attraversare il campione con un fascio di elettroni generati dal surriscaldamento di un filamento di tungsteno. I campioni sono sezioni di 80 – 100 nm. o Nel microscopio elettronico a scansione SEM, gli elettroni vengono convogliati lungo un percorso rettilineo sotto vuoto; dopo aver perlustrato la superficie del campione, essi vengono riflessi dalla copertura d’oro di cui la struttura biologica è ricoperta, ottenendo così un’immagine tridimensionale. La storia del microscopio e lunga e tortuosa: alla fine del Medioevo si costruiscono le prime lenti per disturbi visivi, a fine 1400 invece le lenti concave per osservare gli insetti. Nel 1609, Galileo perfeziona il telescopio e nel 1610 perfeziona l’occhialino, considerato il primo microscopio. Nel 1655, Hooke osserva e descrive sezioni di sughero, individuandone le celle, o cellule. Nel 1674, Leeuwenhoek scopre i protozoi utilizzando un microscopio semplice (ingrandimento fino a 270 volte); nel 1833 Brown, osservando le orchidee, descrive il nucleo cellulare. Dopo la formulazione della teoria cellulare di Schleiden e Schwann del 1838, tra 1873 e 1881 Golgi e Cajal studiano il tessuto nervoso utilizzando il metodo della colorazione tramite impregnazione argentica. Nel 1881, Bizzozero inizia gli studi sui desmosomi. Le cellule sono composte essenzialmente da tre strati: nucleo, membrana e matrice extracellulare. Per poter essere studiati, i campioni vengono preparati per l’osservazione e il contrasto tra i vari strati può essere aumentato. In ogni caso, i campioni devono essere sempre colorati. Esistono tre tipi di coloranti: 1. Neutri (come ad esempio il rosso neutro) 2. Basici, per sostanze a pH acido < 7 (come l’ematossilina, di colore blu violetto) 3. Acidi, per sostanze a pH basico > 7 (come l’eosina, di colore rosa fucsia aranciato) L’eosina viene utilizzata per esempio per le proteine citoscheletriche e per gli elementi fibrillari proteici (come il collagene e le fibre elastiche); l’ematossilina lega invece per esempio la struttura del DNA e RNA. I coloranti si distinguono anche per la loro acidofilia o basofilia; per acidofilia si intende l’affinità per sostanze acide (e dunque la possibilità di legare coloranti acidi), per basofilia invece l’affinità per sostanze basiche e dunque il legame con coloranti basici. Oltre a eosina ed ematossilina, esistono vari altri coloranti: verde metile, blu di metilene, pironina G, blu di toluidina, etc. I principali metodi di colorazione sono: o Colorazione PAS (Periodic Acid Schiff): utilizzata per i polisaccaridi, dunque per molecole ricche di glicogeno e carboidrati. Consiste in un blando trattamento con un acido debole, HIO4 (acido periodico), che ossida ad aldeide i residui di esosi ed esosammine dei polisaccaridi, denaturando i tessuti. In seguito, il reattivo di Schiff (fucsina incolore) conferisce una colorazione rosso magenta, combinandosi con i gruppi aldeidici. Per PAS-positività si intende dunque la caratteristica di sostanze positive a questa reazione. Con la PAS, a differenza che con ematossilina ed eosina, è possibile evidenziare le cellule calciformi mucipare nella loro componente glucidica; lo stesso vale per il glicocalice. o Colorazione FEULGEN: si tratta di una reazione istochimica per il DNA, per ottenere una colorazione magenta. Le sezioni con cellule contenenti DNA vengono trattate con un acido potente, HCl; i gruppi purinici vengono asportati dai residui di desossiribosio e si formano gruppi aldeidici colorati con il reattivo di Schiff (per controllo altre sezioni possono venire trattate con DNAsi). o Colorazione AZAN (o tricromica di Mallory): si utilizza per evidenziare i tessuti connettivi dai tessuti epiteliali con un colore blu acceso (azocarminio, blu di anilina o metilene, orange G). La zona ricca di fibre (collagene, fibre reticolari e muco) risulta dunque bluastra, mentre la componente citoplasmatica non si colora di blu e rimane arancio. Gli eritrociti diventano invece rossi. o Colorazione WEIGERT (blu) e ORCEINA (marrone): vengono utilizzate per le fibre elastiche, soprattutto per separare la componente collagenica e quella elastica. o Impregnazione argentica: fu inventata da Golgi e Cajal per evidenziare il tessuto nervoso; i sali di argento si depositano nei prolungamenti delle cellule del tessuto nervoso conferendo una colorazione nerastra. o Metacromasia: alcuni coloranti basici (il blu di toluidina, la tionina e l’azur A) di solito colorano di blu, ma reagendo con particolari gruppi acidi danno prodotto di reazione del colore diverso (metacromatico) dal proprio (eterocromatico). Questa colorazione è impiegata ad esempio per evidenziare la matrice cartilaginea e i granuli mastociti, conferendogli un colore violetto. Ricapitolando: al microscopio ottico i campioni devono essere ridotti a sezioni e appoggiati su un vetrino portaoggetto, colorati e coperti con altro vetrino coprioggetti molto più sottile, dopo aver proceduto a “incollare” il preparato con un montante. È fondamentale riuscire a fare sì che la colorazione risulti permanente nel tempo. Al microscopio, solo in alcuni casi osserviamo cellule isolate disposte su un unico strato permeabile al fascio luminoso; di solito invece le cellule appaiono diverse, per vari motivi: per esempio, il nucleo può essere sopra o sotto il piano di taglio, e dunque alcune cellule appaiono anucleate; oppure il nucleo può venire sezionato tangenzialmente o centralmente, e dunque apparire completo o solo puntiforme; e così via. I campioni devono essere preparati in sezioni di 380-100 nm per la microscopia elettronica; ma come avviene la sezione? 1. Prelievo del tessuto 2. Taglio del tessuto in pezzi 3. Fissazione. Essa deve avvenire immediatamente, perché anche solo pochi minuti di esposizione all’aria possono mandare il tessuto in necrosi. Esistono diversi fissatori, di natura sia fisica che chimica. Per esempio, la fissazione liquida avviene tramite fissatori liquidi, come le aldeidi (in particolare paraformaldeide e glutaldeide), gli alcol, l’etere e il cloroformio; il fissatore liquido più tipico è la formalina (paraformaldeide al 40%). Le aldeidi sono molto aggressive e “uccidono” 4. 5. 6. 7. le cellule, formando reticolati con le proteine: si tratta dunque di una fissazione di tipo chimico. Tramite fissatori gassosi, come azoto liquido o CO2 liquida, è invece possibile ottenere una fissazione di tipo fisico, il congelamento. La fissazione per congelamento non richiede poi la disidratazione4 e l’inclusione5, ma si passa subito a sezionare con il criostato (è quindi possibile saltare i passaggi 4 e 5). Disidratazione. Serve per eliminare l’acqua, che viene sostituita con reagenti idonei. La disidratazione avviene con scale d’alcol ascendenti (50, 75, 95, etc.), in modo da sostituire completamente l’acqua con l’alcol. Una volta che l’acqua è stata totalmente sostituita con alcol puro 100%, si procede con un trattamento con solvente (in passato con lo xilolo, o xilene, oggi con derivati del -limonene) che va a rimpiazzare l’alcol 100 e viene poi a sua volta sostituito con resine (paraffina per la microscopia ottica e plastica per la microscopia elettronica). Inclusione, cioè posizionamento in paraffina per per la microscopia ottica e in plastica per la microscopia elettronica. Le resine vengono poi solidificate a temperatura ambiente. Sezionamento tramite microtomo a rotazione, con lame di acciaio (per per la microscopia ottica) oppure ultramicrotomo, con lame di vetro (per la microscopia elettronica). Si ottengono sezioni tutte uguali, che vengono poi poste in acqua calda per ammorbidire la paraffina. Con l’aiuto di un pennello, le sezioni vengono poi fatte aderire al vetrino. Montaggio su vetro per per la microscopia ottica e su griglie metalliche per la microscopia elettronica. Esistono diversi piani di taglio (longitudinale, cioè lungo il lato più lungo; trasversale, cioè perpendicolarmente rispetto all’asse maggiore; obliqui; etc.), ma tutti riconducibili a una stessa struttura. La sezione trasversale è quella più facilmente interpretabile; se i piani sono invece più o meno decentrati o tangenziali, l’immagine diventa più inusuale e complessa. Esistono 8 tipologie di cellule da studiare: cellule epiteliali, cellule di sostegno, cellule contrattili, cellule nervose, cellule germinative, cellule del sangue, cellule del sistema immunitario e cellule ormono-secernenti. Gli elementi principali che compongono le 5 cellule e la matrice extracellulare sono H, O, Ca, N e altri elementi in piccole quantità, organizzati in acqua, proteine, lipidi e carboidrati. o Acqua: è presente non tanto come dipolo elettrico, quanto soprattutto come sospensione di altre molecole che vi si comportano come liquidi vischiosi, cioè sostanza per miscelare altre sostanze. È fondamentale in tutti i compartimenti; per esempio, le cellule sono costituite da acqua per il 70% (eccetto quelle adipose, che ne contengono in quantità molto esigue), le matrici extracellulari non mineralizzate per il 70% (quelle mineralizzate, come il tessuto osseo, ne contengono invece solo il 5%). Il tessuto più ricco di acqua è quello connettivo. o Proteine: sono polimeri costituiti da amminoacidi. Gli amminoacidi sono 20: alanina, fenilalanina, glicina, isoleucina, leucina, metionina, prolina, triptofano, valina, asparagina, glutammina, serina, tirosina, treonina, cisteina, aspartato, glutammato, arginina, istidina, lisina. Una tra le proteine più importanti è l’insulina umana, formata da 2 catene -insulina e -insulina) legate tra loro in alcuni punti. Esistono vari livelli di struttura in cui si organizzano le proteine: Struttura primaria, che è la sequenza degli amminoacidi; Struttura secondaria, cioè il primo livello di ripiegamento, stabilizzato da ponti idrogeno; Struttura terziaria, cioè il secondo livello di ripiegamento, con l’unione di più domini. È prodotta dall’interazione tra amminoacidi posti in punti diversi della struttura secondaria; Struttura quaternaria, ossia l’unione di più catene amminoacidiche (esiste solo in alcune proteine, come l’emoglobina). elica -laminari (amminoacidi prima incastrati in modo lineare e poi a foglietti ripiegati), e strutture IRREGOLARI o Random coil, che sono molecole proteiche nessuna delle due. Esistono proteine costituite da sole catene di amminoacidi, come la mioglobina, oppure, oltre che da proteine, anche da altre componenti (dette eteroproteine o proteine complesse), come l’emoglobina, che contiene un atomo di ferro e assume diverse strutture quando deossigenata, cioè quando O si stacca dal gruppo fulcro eme. Le proteine hanno varie funzioni: esistono proteine strutturali (citoscheletriche, collagene), proteine di trasporto (che si inseriscono nelle membrane, hanno forme tipiche e un foro al centro; si tratta di un trasporto contro gradiente sostenuto dalla presenza di ioni), immunoglobuline o anticorpi (2 catene di proteine prodotte dalle plasmacellule), enzimi (proteine che accelerano alcuni eventi metabolici, come lipasi, amilasi, etc.). Altre proteine sono gli istoni che costituiscono il nucleosoma, i contenuti enzimatici 6 dei lisosomi, i recettori, i trasportatori carriers e le strutture dei canali voltaggiodipendenti delle membrane citoplasmatiche, i componenti del citoscheletro, molti ormoni (non quelli steroidei), etc. o Zuccheri: si dividono in monosaccaridi (glucosio, fruttosio, galattosio, etc.; vengono incorporati attraverso le proteine trasportatrici) e polisaccaridi, cioè monosaccaridi concatenati tramite legami glicosidici. Dalle strutture dei polisaccaridi sporgono gruppi OH- caricati negativamente che attraggono l’acqua (per questo lo zucchero in acqua si scioglie subito!). Un esempio è il glicogeno, polimero del glucosio che è materiale di riserva cellulare impiegato per la produzione di energia. Tra i polisaccaridi più complessi ricordiamo: o Monosaccaridi + gruppo amminico = esosammine (gruppo OH sostituito da NH2), tra cui si ricorda il N-acetil-mannosammina-6-fosfato. o Glicosamminoglicani o GAGs (unità dimeriche che si ripetono molte volte, talvolta solforate) o Componente proteica + componente glucidica (glicosamminoglicani) = proteoglicani (la componente proteica si dispone nella regione centrale e va a costituire l’asse proteico, o proteina del nocciolo; i glicosamminoglicani si dispongono invece all’esterno e vanno ad attirare e trattenere acqua) o Glicoproteine (catene di monosaccaridi uniti a proteine, rivestono gli eritrociti) o Acido ialuronico (polimero di glucuronico e glucosammina presente nella matrice extracellulare e nel liquido sinoviale. Può diventare l’asse di sostegno di una macromolecola costituita da acido ialuronico e proteoglicani, disponendosi in modo rettilineo; se è da solo è invece attorcigliato su sé stesso. o Catene di monosaccaridi + molecole lipidiche = glicolipidi o Acidi nucleici: sono costituiti da basi azotate, cioè purine (guanina e adenina) e pirimidine (citosina e timina), uno zucchero pentoso (ribosio o desossiribosio) e un gruppo fosfato. Le basi azotate si legano a due a due sempre nello stesso modo: adenina con timina e citosina con guanina. Il DNA è una molecola ancora ampiamente studiata e alcune sue funzioni sono ancora sconosciute. L’RNA si differenzia dal DNA perché è formato da ribosio (non da desossiribosio), ha un filamento singolo (non un filamento doppio) e contiene uracile al posto che timina. Inoltre l’RNA svolge ben quattro funzioni: è RNA messaggero, RNA di transfert, RNA ribosomiale e RNA nucleare (che presiede a tappe intermedie della sintesi degli RNA precedenti). Sia DNA che RNA sono invece sostanze acide (che si legano dunque facilmente a coloranti basici come l’ematossilina) e basofile. o Lipidi: sono molecole insolubili all’acqua (idrofobi) e solubili in solventi organici come etere e cloroformio. La loro struttura più comune è quella di acidi grassi, in cui gli atomi di C e H sono uniti con legami covalente scarsamente polari – cosa che conferisce il carattere idrofobico – e disposti simmetricamente. Possono essere saturi (se contengono solo legami singoli) o insaturi (con legami doppi o tripli; vd. per esempio gli omega-3, detti polinsaturi a causa del fatto che la loro catena comprende vari doppi legami, da assumere con la dieta perché molto più digeribili). I principali lipidi sono: Trigliceridi: esteri neutri del glicerolo (alcol) in cui al posto degli atomi di idrogeno dei gruppi ossidrilici caratteristici del glicerolo sono presenti le catene di tre acidi grassi a media o lunga catena. Sono idrofobi e costituiscono materiale per produrre energia; se ci sono doppi legami la molecola devia e dunque ha un ingombro maggiore; altrimenti è rettilinea. Fosfolipidi: sono idrofobici ma possono formare un legame con l’acqua con una piccola porzione della molecola (sono dunque lipidi anfipatici). All’estremità della molecola hanno gruppi ionizzabili o capaci di comportarsi da dipoli; sono formati da una testa idrofila e da code idrofobe sature o insature. Glicolipidi Colesterolo: è idrofobo da solo, ma anfipatico se si mescola all’interno dei fosfolipidi, poiché possiede una piccola porzione idrofila; è parte della membrana cellulare e di altri compartimenti della membrana intracellulare. I derivati del colesterolo svolgono funzioni di trasmissione di segnali tra le cellule (ormoni). ATP: l’energia chimica dell’ATP può essere demolita con conseguente liberazione di energia (nuove forme di energia, meccanica, elettrica o chimica). Il microscopio ottico può raggiungere un ingrandimento fino a 1000 – 1500x. Esistono varie tipologie di microscopio ottico: convenzionale, a contrasto di fase, in luce polarizzata, a fluorescenza e confocale. Per potere di ingrandimento si intende il rapporto tra la dimensione dell’immagine ingrandita e quella dell’oggetto osservato; per sapere quanto sto ingrandendo moltiplico il potere degli obbiettivi per il potere degli oculari. Il potere di risoluzione (cioè la distanza minima alla quale due punti risultano distinti) del microscopio bile osservare ribosomi, mitocondri, apparato di Golgi singoli, ma solo in raggruppamenti; si osserveranno cellule, nuclei, matrici extracellulari, mai organuli citoplasmatici (a meno che non siano molto grandi). LA CELLULA EUCARIOTE La cellula eucariote è la più piccola unità strutturale e funzionale; è circondata da membrana e ha generalmente un nucleo. È dotata di vita autonoma e ad oggi se ne 8 riconoscono circa 200 tipi. Tutti gli organismi sono costituiti da cellule e da loro prodotti. Le cellule nuove nascono da cellule preesistenti; derivano dai tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma ed endoderma), ma poi si differenziano specializzandosi. Tutte le cellule esprimono la stessa composizione chimica; i processi vitali dell’intero organismo scaturiscono dall’attività interdipendente e coordinata di gruppi di cellule. La vita di una cellula si articola nel cosiddetto ciclo cellulare, che ha origine dalla mitosi della cellula madre: essa di divide generando due cellule figlie. 1. Fase G1: la cellula figlia neonata incomincia a crescere, accumulare sostanze e specializzare organuli; 2. Fase S: replicazione del corredo genetico e degli organuli citoplasmatici; 3. Fase G2: controllo da parte della cellula delle operazioni fatte in fase S; 4. Mitosi, costituita da profase, metafase, anafase, telofase e citodieresi. Alcune cellule però, invece che duplicarsi, entrano in una particolare fase chiamata fase G0: possono essere cellule altamente specializzate, che non si duplicheranno mai, oppure cellule solo temporaneamente in pausa. A seconda del loro comportamento, si distinguono tre gruppi di cellule: o Cellule labili, che si rinnovano continuamente, a turn over molto elevato (cellule epiteliali e del sangue) o Cellule stabili, che non si rinnovano normalmente ma all’occorrenza, a turn over molto lento (cellule epatiche) o Cellule perenni, che non si rinnovano mai al termine dello sviluppo (cellule nervose e cardiache) Le cellule possono poi assumere varie forme; per esempio: o Cellule nervose (albero dendritico molto sviluppato nel cervello, neurone multipolare nel midollo spinale), a forma più o meno stellata o Cellule sferiche (come la cellula uovo) o Cellule mobili flagellate (come lo spermatozoo) o Cellule allungate fusiformi (in cui il diametro è maggiore nel centro e via via si assottiglia alle estremità) o cilindriche (con diametro uguale in tutte le porzioni) o Adipociti o Granulociti neutrofili con nucleo polilobato o etc. LA MEMBRANA PLASMATICA La membrana plasmatica delimita fisicamente la cellula, separandola dall’ambiente esterno, ma non in modo statico: essa regola infatti il passaggio controllato di sostanze dal citoplasma all’esterno e viceversa. Regola inoltre la composizione dell'ambiente citoplasmatico. I contatti tra cellule adiacenti consentono la regolazione e sincronizzazione di più gruppi cellulari. Le prime ipotesi sulla struttura delle membrane cellulari furono formulate nel 1890 da Oberto; nel 1920 si ipotizzò un doppio film lipidico, ipotesi che fu poi verificata nel 1925 da Morter e Grendel. Le caratteristiche comuni delle membrane sono: o spessore di 7-10 nm (non si vedono al microscopio ottico); a seconda delle componenti proteiche; o aspetto trilaminare: una fascia più scura e densa all’esterno, una più chiara al centro e un’altra scura all’interno; o asimmetriche a seconda delle componenti proteiche o strutture dinamiche e in movimento o impermeabili a molte sostanze e dotate di sistemi di trasporto selettivi Il modello di struttura oggi riconosciuta della membrana cellulare è a mosaico fluido; le sue componenti principali sono: o componente lipidica: fosfolipidi (glicero-fosfolipidi e sfingolipidi) e colesterolo tra le code idrofobiche 10 o componente proteica (proteine integrali, periferiche, ancorate ai lipidi e ancorate alle proteine) o componente glucidica nel versante extracellulare, ancorate ai lipidi o alla componente proteica. Essa va a costituire il glicocalice (sistemi recettoriali per attirare acqua e sali e per agganciare ormoni e molecole di metabolismo). L’adesione della membrana a cellule o a sostanza extracellulare avviene tramite mezzi di adesione chiamati molecole di adesione CAM (cell adhesion molecules). Queste molecole sporgono dalla membrana plasmatica per cercare appoggio e si dividono in due categorie, in base alle interazioni che possono garantire: o interazioni omofiliche: con affinità tra due strutture omologhe; si legano ad altre proteine della stessa famiglia e sono per lo più implicate nell’adesione cellula-cellula o interazioni eterofiliche: legami tra molecole diverse; si legano con molecole di altre famiglie, presenti nella matrice extracellulare. Tra i legami omofilici ricordiamo in particolare: o Caderine: si tratta di siti attivati da ioni Ca (calcio-dipendenti), associati alle catenine intracellulari. Convogliano segnali che regolano i meccanismi di crescita e differenziamento. Sono tipiche delle cellule epiteliali e svolgono anche funzione di oncosoppressore dei tumori epiteliali. o Ig-superfamiglia CAM (N-CAM): le proteine CAM permettono adesione e differenziamento cellulare. Sono anche alla base del controllo di tumori e metastatizzazione, dell’angiogenesi e delle risposte immunitarie, oltre che dell’adesione microbica. Tra i legami eterofilici ricordiamo invece: o P selectine: molecole sporgenti da cellule endoteliali che legano particolari carboidrati tipici di glicocalici. Mediano il riconoscimento tra neutrofili e cellule endoteliali. Possono esprimere alcuni segnali stabilendo un legame tra cellule in transito e cellule endoteliali per farle spostare nei tessuti connettivi sottostanti (richiamo per agganciare elementi mobili in transito).* o Fibronectina - integrina: forma una rete tridimensionale, agganciandosi attraverso la proteina di membrana integrina, costituita da 2 catene proteiche e che in parte sporgono dalla cellula nel citoplasma, in parte sono integrate nella parete cellulare. L’integrina interagisce con collagene, laminina e fibronectina. Il risultato è un “ponte” tra cellula e matrice; regola l’adesione, il movimento, la forma delle cellule e la proliferazione, oltre al differenziamento. 11 La sezione del dominio dell’integrina nel citoplasma sa integrarsi a molecole interne citoscheletriche, organizzando un altro sistema di ancoraggio (talina, vincolina, etc.). * si tratta di un meccanismo di extravasazione (fuoriuscita di qualcosa dai vasi) detto diapedesi, cioè di fuoriuscita di elementi cellulari dai capillari. Quando un neurofilo granulocita galleggia nel vaso, la causa scatenante della diapedesi può essere un sito di infezione, le cui cellule richiamano per chemiotassi il granulocita; il segnale è dato dalle selectine (normalmente non espresse dalle cellule endoteliali, ma solo in caso di infiammazione). La P-selectina cerca gli oligosaccaridi specifici del granulocita e si aggancia, trascinandolo con movimenti ameboidi finché il granulocita non esce nel tessuto connettivo sottostante. Le specializzazioni di superficie della membrana plasmatica sono loco-regionali, si formano cioè solo in aree specifiche e rendono la cellula polarizzata in forma e funzione. Le principali specializzazioni sono: o o o o o Sistemi giunzionali (facilitano le interazioni tra cellule vicine) Microvilli Ciglia Flagelli Espansioni cellulari (sistemi di adesione tra cellula e componenti extracellulari) I sistemi giunzionali non sono visibili al microscopio ottico; essi si dividono in tre categorie, che possono essere presenti singolarmente o compresenti: o Giunzioni ancoranti: ancorano dal punto di vista meccanico due cellule tra loro. Si tratta di giunzioni molto robuste; la giunzione ancorante per eccellenza è il desmosoma, nel margine laterale (oltre agli emidesmosomi, nel margine basale, che uniscono la cellula alla membrana basale). Le proteine che costituiscono queste giunzioni possono essere sensibili alla presenza di uno ione, si chiamano desmocoline e si ancorano tramite desmoplacchine (collegate ai filamenti citoscheletrici, tra cui tonofilamenti, e dette citocheratine negli epiteli). In pochi naia di desmosomi, ma nell’ultimo strato di epidermide essi scompaiono (per questo in superficie è più facile desquamare la pelle). L’emidesmosoma presenta invece una porzione verso il citoplasma simile al desmosoma ma una differenza in quella rivolta verso l’ambiente extracellulare; per agganciarsi non utilizza le desmocoline ma le integrine. Gli emidesmosomi vanno ad integrare strutture tipiche della membrana basale, delle fibronectine, etc. Difetti sulla costruzione dei desmosomi o emidesmosomi possono causare il Penfigo Boloso (patologia che si sviluppa a partire dalla formazione di piccole vescicole). o Giunzioni occludenti (o strette): sigillano gli spazi intercellulari, controllando così il transito di sostanze extracellulari; si localizzano in prossimità del margine libero nel versante laterale cellulare. Sono formate principalmente da E- caderine (occludine, clausine-1, etc.). o Giunzioni comunicanti (o serrate): sono gap, nexus, macule comunicanti, etc. Permettono alle due cellule di trasferire molecole o ioni facendone comunicare i due citoplasmi attraverso strutture comunicanti dette connessioni (canale unico); ogni canale di connessione è costituito da 6 proteine chiamate connessine (quindi 12 proteine in totale) che formano un unico canale (da 1,5 a 2,5/3 nm). Necessitano dunque di un segnale di apertura e chiusura; le cellule sono tutte collegate in un unico sincizio, e sono sincronizzate poiché i citoplasmi comunicano tra di loro. Sono localizzate su tutto il margine laterale (difficilmente sul margine basale, mai su quello apicale). Le giunzioni vengono studiate tramite la tecnica del freeze-fracture e etching: il campione viene velocemente congelato e sezionato nei punti di maggior cedevolezza del tessuto (cioè le giunzioni); una delle due superfici viene poi studiata cospargendo la frattura con materiale metallico (polvere d’oro o di titanio), in modo da costruire una replica metallica che poi viene studiata al microscopio (il tessuto non è direttamente studiato perché durante il processo lo si va a digerire con strutture enzimatiche). Tra le specializzazioni apicali della membrana ricordiamo invece: o Microvilli: estroflessioni rivestite da membrana plasmatica; servono per aumentare la superficie di scambio della membrana con l’esterno. Il microvillo è lungo 1 – 2 ed ha un diametro di circa 80 – 90 non è pertanto possibile osservarli singolarmente al microscopio ottico, ma li si individua globalmente sotto forma di orletto a spazzola legato al glicocalice. Per mantenere diritto il microvillo esiste un sistema citoscheletrico, costituito da 15/20 filamenti citoscheletrici perpendicolari collegati con fascine e fimbrine associate ad actina, che la tengono unita. Non possiedono un movimento ritmico ma limitate intro – estroflessioni grazie a molecole di miosina. L’actina va a sua volta ad ancorare altri sistemi di collegamenti citoplasmatici con la membrana spectrina (elementi di rinforzo); il glicocalice agevola il riassorbimento cellulare per facilitare il trasporto attraverso queste cellule; o Stereociglia mobili sostenute da un citoscheletro di actina; si trovano nell’organo del Corti (per convertire gli stimoli meccanici delle onde sonore in segnali elettrici) o nell’interno dell’epididimo (intervenendo nell’arricchire di fruttosio il liquido spermatico). Ciascuno stereociglio contiene alcune centinaia di filamenti di actina legati tra loro da legami crociati. Tale costituzione conferisce un'estrema rigidità tranne che alla base dello stereociglio, dove è presente un numero minore di tali filamenti; o Ciglia e flagelli: il flagello è l’unico ciglio dello spermatozoo e gli conferisce mobilità tramite movimenti elicoidali. Si ripiegano continuamente e si articolano lungo un asse portante detto assonema, costituito da doppiette di microtubuli associati alla dineina, che produce lo slittamento dei microtubuli (tubo dal diametro di 25 nm): 13 protofilamenti doppiette di un microtubulo completo A e uno incompleto B (solo 9 protofilamenti). I blefaroblasti sono costituiti dagli stessi elementi per ciglia che fanno muovere il muco in superficie. IL NUCLEO Il nucleo è un organulo membranoso che contiene in un doppio involucro (pur se con fori per contenere le sostanze) la cheratina; nella cellula eucariote è sempre presente, ma non in quella procariote, il cui DNA è presente in fase dispersa. Non sempre il nucleo è di forma sferica (solo nelle cellule cubiche); man mano che la cellula diventa allungata, anche il nucleo segue la sua forma. La cromatina è un filamento di DNA avvolto su istoni; può essere superavvolto (eterocromatina) o poco avvolto (eucromatina). Il nucleo eucromatico è ad esempio più chiaro e vescicoloso (vd. neuroni). Quale è il rapporto tra nucleo e citoplasma? Dipende da cellula a cellula, può essere abbondante o scarso. Esistono alcuni derivati cellulari altamente specializzati e dunque anucleati: o Eritrociti, mentre i globuli rossi di uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno nucleo. Da eritoblastobasofilo si specializzano in un sacchetto di emoglobina; il nucleo sparisce perché serve solamente ad esprimere i geni per produrre emoglobina; o Cheratinociti (epitelio di rivestimento della pelle: strato corneo). Tra le cellule plurinucleate si organizzano in sincizi (fusione di più cellule). Cellule che invece possiedono più di un nucleo sono: o Fibrocellule della muscolatura scheletrica (a partire dalle cellule mesenchimali dette mioblasti) o Sinciziotrifoblasto o Linea macrofagica o cellule giganti (vd. osteoclasti) 14 Il nucleo è racchiuso all’interno di un involucro nucleare costituito da un doppio strato di membrana; questo involucro presenta inoltre numerosi pori nucleari, strutture dinamiche di origine proteica in numero variabile a seconda dei tipi cellulari e delle funzioni vitali della cellula. All’interno del nucleo si trova cromatina più o meno spiralizzata. Il nucleolo è una regione tondeggiante interna al nucleo; nelle cellule ad elevata produzione proteica vi è più di un nucleolo, poiché essi sono gli organizzatori dell’attività ribosomiale. Sull’involucro si individuano poi numerosissimi ribosomi (pallini grigi), ma solo sul versante citoplasmatico. Molte ipotesi vedono l’involucro formato da reticoli endoplasmatici granulati; l’involucro è sempre presente, tranne che a seguito della fase G2, quando scompare per prepararsi alla mitosi. Molti nuclei possono essere osservati bene al TEM: nelle masse più chiare è visibile l’eucromatina, poco spiralizzata, mentre nelle masse scure è presente eterocromatina super spiralizzata. Un nucleo chiaro e vescicoloso indica che il DNA si sta offrendo ai processi trascrizionali. Un nucleo scuro ed eterocromatico è segnale di bassa attività trascrizionale, ed è segnale di molti fenomeni: o La cellula potrebbe essere a riposo funzionale; o La cellula si sta preparando alla mitosi; o La cellula è entrata in apoptosi (morte cellulare programmata). Se il nucleo è chiaro, è possibile vedere anche il nucleolo. Ricordiamo che il DNA è una doppia elica di sequenze di nucleotidi; il codice genetico è un particolare modo di comunicare. Ogni gene contiene informazioni; più triplette di geni codificano per un tipico amminoacido. Il nucleo interfasico si presenta come eucromatinico (solo poche informazioni sono infatti nascoste in masserelle di eterocromatina poste nel versante interno del poro nucleare) e produce molte proteine: a partire cioè da solo due nucleoli organizza tantissimi ribosomi. Quando si passa da eucromatina ad eterocromatina? Si definisce eucromatina la doppia elica organizzata in istoni fino a 30 nm di diametro; oltre i 30 nm di diametro parliamo invece di eterocromatina. Il grado più elevato e assoluto di compattazione è il cromosoma metafasico. Nell’immagine seguente possiamo distinguere: 1. Nucleo chiaro, evidente nucleolo, vescicoloso 2. Nucleo in fase mitotica, cromosomi ben visibili 3. Nucleo poco più compatto di 1, ammassi di cromatina presenti nella regione perinucleare 4. Nucleolo non visibile 5. Cellula in fase mitotica durante la telofase (2 cellule figlie) 6. Nucleo molto più piccolo e scuro, nucleolo non visibile 15 Per picnosi si intende la degenerazione e distruzione della struttura cellulare; essa avviene in condizioni normali, per apoptosi, oppure in casi patologici, per necrosi. Durante questo processo il nucleo inizialmente si riduce, diventando basofilo (condensazione); poi avviene la carrioressi, ossia la frammentazione del nucleo, e infine la cariolisi, determinata da enzimi chiamati endonucleasi che digeriscono i frammenti. o Nucleolo: il nucleolo è formato da due componenti, una granulare e una più compatta; contiene geni nucleolari che codificano per l’RNA ribosomiale. Per codificare l’rRna servono però anche alcune particolari proteine, dette ribonucleoproteine, che vengono prodotte nel citoplasma e che migrano poi nel nucleo attraverso i pori nucleari. Le tre regioni in cui è diviso il nucleolo sono: Regione organizzatore nucleolare: contiene il DNA dei geni nucleolari Regione fibrosa o fibrillare: presiede alla precoce associazione di RNA e proteine Regione granulare: presiede alla formazione delle subunità ribosomiali Le due subunità del ribosoma vengono prodotte singolarmente e si associano solo quando incontrano un mRNA (RNA messaggero). Durante la traduzione, il mRNA esce dal nucleo e si associa a un ribosoma per sintetizzare catene di amminoacidi. o Involucro nucleare: non definiamo questo involucro membrana perché si tratta di due membrane parallele con uno spazio di non più di 30 nm tra i due comparti membranosi. Anche all’interno dell’involucro nucleare troviamo i pori, che non sono invaginazioni ma veri e propri buchi che perforano le membrane; non vi troviamo però i ribosomi. Per stabilizzare la cromatina nel nucleo esiste un’intricata trama di lamine nucleari (filamenti citoscheletrici): esse sono costituite da filamenti intermedi, la seconda categoria di filamenti. Formano una corteccia di spessore variabile da 30 a 100 nm a seconda del tipo di cellule. o Pori nucleari: un poro misurato dall’esterno misura circa 120 nm di diametro, alle cui estremità l’involucro nucleare si ripiega a cisterna. In realtà, al centro del poro si trova un tappo posto tra le due strutture anulari, costituito da un anello proteico. Studiando con la tecnica del freeze-fracture (criodecappaggio) è possibile individuare aree con più pori e aree con meno. Ogni poro è dunque costituito da un tappo e da piccoli raggi dal centro alla periferia; gli spazi dove le sostanze possono migrare sono quindi più piccoli, altrimenti esse non potrebbero oltrepassare questo setaccio, costituito da una struttura anulare a 8 subunità proteiche tutte uguali. La struttura è definita speculare dall’interno e dall’esterno; passano solo le molecole riconosciute da sistemi recettoriali posti sul versante esterno dell’anello, e i trasporti sono regolati da importine ed esportine. Il canale centrale ha aperture con un diametro di 9 – 10 nm. L’involucro nucleare è costituito dal Reticolo Endoplasmatico Granulare REG, che costruisce una cisterna attorno al nucleo. I ribosomi però non si trovano sempre solo agganciati alla membrana, ma anche in sospensione come poliribosomi liberi, in cerca di mRNA. Le spirali di mRNA a cui sono agganciate le due subunità ribosomiali sono chiamate rosette; i ribosomi adesi alla membrana sintetizzano proteine che verranno poi esocitate, mentre i poliribosomi liberi codificano per proteine costitutive che rimangono all’interno della cellula. La correzione degli errori di replicazione del DNA avviene in fase G2; le cause di danno possono essere molte, e si dividono in fattori endogeni e fattori etc. vd. Xeroderma Pigmentoso). Un esempio di anomalia nella struttura genetica è l’Anemia Falciforme, in cui la valina si sostituisce all’acido glutammico. Il cariotipo è la costituzione del patrimonio genetico dal punto di vista morfologico: i cromosomi vengono colti in metafase, quando presentano un aspetto bastoncellare. Quello umano presenta 22 autosomi a coppie (uno paterno e uno materno); si 17 ottengono somministrando alla cellula in metafase veleni come la colchicina, che blocca il fuso mitotico. I vetrini su cui si analizza il cariotipo prendono il nome di piastre metafasiche. Il cromosoma ha una lunghezza che va dai 3 ai 6 è costituito da due cromatidi il cui punto d’incontro, nel centro, è detto centromero. il fuso mitotico è costituito da microtubuli organizzati da centrioli (diosoma, aster rivolto verso la membrana plasmatica). LA MEIOSI E LA GAMETOGENESI A differenza della mitosi, la meiosi si divide in due fasi, dette meiosi I e meiosi II. Durante la meiosi I, gli omologhi si appaiano in pachitene (profase I) e danno origine al crossing-over; l’involucro nucleare viene perso. In anafase I i cromosomi migrano poi ai poli opposti della cellula; questa fase prende il nome di fase riduzionale, poiché il numero di cromosomi viene ridotto alla metà. Nella meiosi II invece non vi è più crossing-over: in ogni cellula rimangono 23 cromatidi. Per questo la fase è detta fase equazionale. Il risultato della meiosi sono quattro cellule a contenuto genetico ridotto a metà rispetto alla cellula madre. La mitosi femminile prende il nome di ovogenesi, quella maschile di spermatogenesi. Se si pongono ovogenesi e spermatogenesi a confronto si osserva che: spermatogenesi Ovogenesi Da una cellula si ottengono quattro Da un ovogonio si ottiene una sola cellula spermatozoi, tutti potenzialmente in uovo e tre globuli polari infecondabili grado di fecondare (rapporto 1:4). (rapporto 1:1). Inizia dopo la pubertà. Inizia nelle gonadi dell’embrione; la meiosi si ferma dopo il crossing-over. Dura fino a età avanzata (talvolta l’uomo Dura dai 20 ai 30 anni, poi la donna entra in può andare in andropausa, talvolta invece menopausa. no). La cellula che entra in meiosi si chiama spermatogonio. La cellula che entra in meiosi si chiama ovogonio. Le cellule vanno a maturazione nel tubulo Le cellule vanno a maturazione nelle ovaie. seminifero, che si trova nei testicoli. 18 Le gonadi maschili si trovano fuori della Le gonadi femminili si trovano nella pelvi. pelvi (si originano in zona lombare e migrano poi verso il basso). L’uomo è sempre fecondo. La donna è feconda ciclicamente ogni 28 giorni. Ponendo invece a confronto l’avanzare dei processi di ovogenesi e spermatogenesi: spermatogenesi ovogenesi Spermatogonio in fase S: 44 autosomi + XY Ovogonio in fase S: 44 autosomi + XX Lo spermatocita primario (cellula più voluminosa ma con lo stesso patrimonio genetico) entra in meiosi I L’ovocito primario (alla nascita) entra in meiosi I 2 spermatociti secondari entrano in meiosi II 1 ovocito secondario + 1 globulo polare entrano in meiosi II 4 spermatidi sferici (22 + X, 22 + x, 22 + Y, 22 + Y) entrano in spermiogenesi 1 cellula uovo + 1 globulo polare (dall’ovocito secondario) + 2 globuli polari secondi (dal globulo polare)* 4 spermatozoi * La cellula uovo è diversa dai globuli polari perché è molto più voluminosa, dunque nel suo citoplasma si depositano i residui lipidici, glucidici e proteici (detto accumulo di deutoplasma) che le permetteranno di non degenerare mentre si troverà sospesa nelle vie genitali femminili. Inoltre, una volta fecondato, lo zigote deve potersi autosostentare per almeno 6 giorni, diventando morula e poi blastocisti; i globuli polari invece non hanno deutoplasma e quindi degenererebbero rapidamente. Per ogni ciclo, la donna ovula una sola cellula. Nell’embrione allo stadio di tre settimane, le gonadi si trovano nelle creste genitali (area posteriore della cavità celomatica), e si sono formate da cellule migrate dal sacco vitellino fino alla regione dorsale e poi lombare. Queste cellule in migrazione appartengono a tre cloni cellulari diversi: o Cellule di sostegno (nella donna cellule del follicolo e nel maschio cellule del Sertoli) 19 o Cellule a secrezione ormonale (nella donna cellule della teca e nel maschio cellule del Leydig) o Cellule germinali primordiali (nella donna ovogoni e nel maschio spermatogoni) Tutte queste cellule si radunano a formare i testicoli nel maschio e le ovaie nella femmina. Una volta giunte a destinazione, le cellule del Sertoli iniziano ad esprimere un gene contenuto nel cromosoma Y, chiamato gene SRY, la cui espressione precoce porta alla produzione dell’ormone anti-mülleriano. Questo ormone determina la degenerazione dei dotti del Müller (o paramesofrenico), responsabili della formazione delle strutture genitali femminili. Le cellule del Leydig producono testosterone, che agisce localmente per favorire la spermatogenesi, mentre le cellule della teca producono estrogeni, che servono per produrre la cellula uovo (fase estrogenica: giorno 1-14, poi servono ormoni progestinici). OVOGENESI E CICLO OVARICO La cellula uovo, una volta prodotta nell’ovaio di destra e di sinistra (organo pari e simmetrico posto nella zona pelvica), viene raccolta e risucchiata nelle tube uterine; percorre poi a ritroso le vie genitali femminili per raggiungere l’utero (posto posteriormente alla vescica ma anteriormente all’apparato digerente). Se non viene fecondata, essa viene espulsa con la mestruazione; se invece viene fecondata, dopo sei giorni si impianta nella porzione più interna dell’utero, l’endometrio. Si tratta di un tessuto spesso e molto vascolarizzato, per poter nutrire lo zigote. Il corpo vaginale non serve invece ai fini dell’ovulazione. Durante il ciclo ovarico, la divisione meiotica termina solo se l’ovocito è fecondato; in caso contrario, la meiosi non sarà mai terminata. Il miometrio è la componente muscolare liscia, mentre l’endometrio è un epitelio di rivestimento cubico vascolarizzato comprendente anche tessuto connettivo. L’ovaio presenta nella parte centrale (regione midollare) tessuti connettivi e grossi vasi sanguigni che portano nutrimento per sostenere il ciclo ovarico; nella porzione esterna e periferica (regione corticale) predominano invece i follicoli. Un follicolo è una struttura che accompagna nella maturazione la cellula uovo. I follicoli primordiali sono presenti già prima della nascita. Al centro, essi presentano la cellula (ferma in pachitene con avvenuto crossing-over) che concluderà la mitosi, mentre attorno alla cellula cellule piatte e poi cubiche in monostrato. La prima cellula ovulata viene ovulata attorno agli 11/12 anni. Osservando una sezione di ovaio in embrione al quarto mese, si notano gli ovociti primari bloccati in profase meiotica; da questo momento, i cloni cellulari aumenteranno a 3/7 milioni di ovociti primari, che però degenereranno fino a 1 milione al momento della nascita e a 400000 al menarca (in 30 - 40 anni la donna ovula comunque circa 450 ovociti). A partire dai follicoli primordiali, le cellule si fanno via via più numerose e da pochi (circa 35 nel follicolo primordiale) il follicolo arriva a 20 mm di diametro (da contenersi in un ovaio il cui diametro va dai 3.5 ai 4 cm). Si passa dunque a follicolo primario precoce e poi a follicolo secondario. Si sviluppa la zona pellucida con tre proteine (ZP1, ZP2 e ZP3), e la cellula uovo assume posizione decentrata con attorno le cellule della corona radiata, ancorata dalle cellule del cumulo ooforo alla struttura follicolare (cellule della granulosa + tessuto connettivo con gusci tecali all’interno e all’esterno). L’ultimo stadio è il follicolo di Graaf. Nella cavità è inoltre presente del liquor follicolis, la cui pressione porta la cellula fuori dall’ovaio. Tutto questo processo è supportato dalla produzione ormonale dell’ipofisi, che secerne FSH (ormone follicolostimolante) e LH (ormone luteinizzante), prodotti all’adenoipofisi, che regolano gli eventi gonadici maschili e femminili. Le cellule bersaglio del FSH sono le cellule della granulosa (fase 1), mentre le cellule bersaglio del LH sono le cellule follicolari e le cellule delle teche. FSH e LH sono a loro volta stimolati da ormoni ipotalamici, detti stimolanti delle gonadotropine. Al giorno 14 la cellula uovo viene finalmente liberata, uscendo dalla membrana con il colletto pellucido e la zona radiale, dopo aver appena terminato la meiosi I (prima bloccata in diplotene); se non viene fecondata degenera, se invece è fecondata diverrà zigote, poi morula e infine blastocisti. Nell’ovaio rimangono, come residui, le cellule della teca e della granulosa, che tra il giorno 14 e 28 si trasformano in corpo luteo: se la fecondazione non è avvenuta esso degenera in corpo albicante, mentre in caso di fecondazione si mantiene come corpo luteo gravidico per tre mesi, producendo progesterone per sostenere la gravidanza. Il corpo luteo è rivestito da epitelio cubico monostratificato; si chiamano invece follicoli atresici tutti i follicoli che cominciano la maturazione ma non arrivano a terminarla (di norma, infatti, un solo follicolo diventa del Graaf). Le cellule tecali sono cellule di sostegno, che costituiscono un’impalcatura di tessuto connettivo fibroso altamente vascolarizzato costituito da cellule allungate simili ai fibroblasti. La teca esterna è fatta di tessuto connettivo fibroso, quella interna è invece vascolarizzata e contiene recettori per l’ormone LH. Come fa la cellula ad essere ovulata? 1. Il follicolo maturo sporge sulla superfice esterna dell’ovaio; il liquor follicolis comprime i vasi sanguigni nella zona dello stigma, che dunque degenera e va in necrosi; 2. Il liquor fuoriesce e trascina con sé l’ovocito in meiosi I; 3. L’ovocito esce verso le fimbrie per entrare nelle tube uterine, lasciando dietro di sé residui di teche e cellule della granulosa. La superficie ovarica è costituita da un monostrato di cellule cilindriche (nucleo sferico); le cellule della corona radiata si originano dalle cellule della granulosa, adiacenti al follicolo. A livello uterino, nei 28 giorni l’endometrio si modifica: il giorno 1 indica la comparsa del sanguinamento mestruale (mestruo), che rappresenta lo sfaldarsi del tessuto endometriale; dal giorno 5-6 al 14 avviene una lenta ricostruzione dello strato funzionale del tessuto (solo lo strato più esterno, detto funzionale, si è infatti sfaldato. Questa fase prende il nome di fase proliferativa (o estrogenica o follicolare). Dal giorno 14 al 27 avviene invece la fase secretoria (o luteinica o progestinica) in cui avviene il perfezionamento della vascolarizzazione e del nutrimento del tessuto: lo spessore dell’endometrio si fa più voluminoso e si sviluppano le arterie spirali e le ghiandole tubulari cieche, che secernono il latte uterino (ricco di glucidi e lipidi per favorire l’annidamento dell’embrione); dal giorno 27 al 28 i vasi sanguigni vanno in ischemia (fase ischemica), cioè interrompono l’afflusso di sangue per far andare il tessuto in necrosi. Si ricomincia poi dal giorno 1. Inoltre, a partire dal giorno 14 la temperatura basale si innalza di circa mezzo grado, come segnale del del tempo ovulatorio. SPERMATOGENESI La spermatogenesi avviene nelle gonadi maschili, dette testicoli (o didimi), posti nella sacca scrotale al di fuori della pelvi. I gameti maschili viaggiano dunque nelle vie spermatiche, partendo dai testicoli e giungendo nell’uretra: il loro percorso va dall’epididimo (diviso in testa, corpo e coda) al dotto deferente, che si snoda lateralmente e poi posteriormente alla vescica; attraversano poi la vescicola seminale e l’area prostatica fino a raggiungere le vie urinarie e l’uretra (che è dunque un organo che appartiene a due apparati, quello urinario e quello genitale). Le ghiandole che i gameti devono attraversare durante il percorso sono dunque tre: o Vescicole seminali: arricchiscono il fluido seminale (formatosi da cellule dell’epididimo), con fruttosio e metapoliti o Prostata: è una ghiandola esocrina o Ghiandole bulbo-metrali: sono responsabili della secrezione di un liquido chiaro e viscoso lubrificante che precede il liquido spermatico nel coito Il tempo di durata della spermatogenesi è di 72-73 giorni; si tratta di un evento continuo, senza intervalli (a differenza dell’ovogenesi). Durante il periodo embrio- fetale, avviene la migrazione degli elementi primordiali degli spermatogoni primari; nella fase da neonato a prepubere avviene invece uno stop della proliferazione, che riprende invece nella fase prepubere, in cui iniziano a proliferare gli spermatogoni A. Nella fase di adulto, gli spermatogoni A continuano a proliferare per mitosi, mentre gli spermatogoni B (derivati da una specializzazione degli spermatogoni A) iniziano ad entrare in meiosi, trasformandosi in spermatociti di primo ordine (prima divisione meiotica) e di secondo ordine (seconda divisione meiotica). Durante la spermiogenesi, infine, lo spermatida si trasforma in spermatozoo primitivo, a parziale motilità. Questi spermatozoi continuano poi a maturare e raggiungono la capacitazione solo nelle vie genitali femminili. La capacitazione è un processo che avviene nelle prime 6-8 ore dal coito tramite particolari enzimi che mimetizzano lo spermatozoo in modo che esso non venga attaccato dal sistema immunitario femminile. I testicoli (che durante l’evoluzione embrionale devono discendere nella sacca scrotale) sono di forma ovalare; i tubuli seminiferi sono di lunghezza variabile, fino a 70 cm, e sono raggomitolati su sé stessi. I testicoli contengono tessuto connettivo e non sono dunque non vascolarizzati (setti connettivali). Negli interstizi tra i tubuli seminiferi e dunque nel tessuto connettivo si trovano le cellule del Leydig; procedendo si trova poi la rete testis e la testa dell’epididimo, fino alla coda in cui i tubuli convogliano nel tubo deferente, che è rettilineo. Nel tubulo seminifero, gli spermatogoni A e B sono disposti perifericamente; nella zona centrale del lume si spostano le cellule che man mano maturano, fino a staccarsi per entrare nel lume e risalire le vie spermatiche. Sulle pareti si trovano cellule mioepiteliali, che rivestono esternamente il tubulo; contraendosi, esse si allungano restringendo il tubulo, in modo da favorire l’iniziale distacco degli spermatozoi e il loro progredire. Tra i tubuli ci sono degli interstizi riempiti di residui di fibroblasti e di Reticoli Endoplasmatici Lisci, il cui prodotto finale è il testosterone. Dunque, osservando l’immagine al microscopio posso notare: o all’esterno: nuclei eterocromatici (spermatogoni) o ancora più all’esterno: nuclei allungati e sottili (mioepiteliali) o più all’interno: spermatociti primari e secondari o vicino al centro: nuclei sferici degli spermatidi o al centro: spermatozoi in via di maturazione (nuclei molto più piccoli ed eterocromatici, lanceolati con testa ovalare) o Barbette rosa: flagelli sporti verso il tubulo seminifero o Se sono presenti nuclei lanceolati, vuol dire che la spermiogenesi è già avvenuta (altrimenti no). Nel tubulo sono presenti anche delle cellule del Sertoli, i cui nuclei sono chiari e voluminosi (la cromatina è infatti poco addensata perché si tratta di cellule ad alta attività proteica). Esternamente, nel compartimento connettivale, troviamo invece cellule del Leydig (o cellule interstiziali), che producono testosterone e hanno citoplasma acidofilo. I citoplasmi di spermatogoni, spermatociti, etc. sono tutti collegati tra loro da giunzioni e dunque sincronizzati. Come è fatto uno spermatozoo? È costituito da una testa, un collo e una coda molto lunga, sempre più sottile verso l’estremità. La coda è il flagello della cellula: è un asse costituito da un assonema nella regione centrale; la zona attorno all’assonema consente la mobilità, poiché è costituito da un accumulo di mitocondri avvolti a spirale attorno all’assonema nella regione iniziale (sono assenti invece nella porzione terminale). La testa comprende invece un nucleo aploide molto condensato, ovalare e ricoperto da un involucro detto 23 acrosoma (o cappuccio acrosomiale): si tratta di un vacuolo lisosomiale (il lisosoma contiene infatti enzimi litici, tra cui l’acrosina, simile alla tripsina) che aiuta la cellula ad oltrepassare le tre barriere delle vie genitali femminili: le cellule della corona radiale, la zona pellucida e la membrana dell’ovocito. La differenziazione dello spermatide avviene in vari passaggi: 1. Il nucleo si compatta e assume una forma lanceolata; 2. L’apparato di Golgi vescicola, produce cioè vescicole che si fondono per formare l’acrosoma, che va a incappucciare il nucleo. Questa fase è detta fase golgiana; 3. I mitocondri vengono trasportati dal sistema citoscheletrico nella parte intermedia della coda; 4. Due centrioli si organizzano al polo opposto della coda, da cui si allunga l’assonema, accompagnato dalla membrana; 5. La struttura si libera dei residui citoplasmatici, che si allontanano e vengono accolti e digeriti dalle cellule del Sertoli. Gli spermatozoi così formati sono ancora insinuati nella regione apicale delle cellule del Sertoli. LE CELLULE DEL SERTOLI Le cellule del Sertoli sono cellule allungate, lunghe quanto lo spessore del tubulo seminifero; contengono numerose invaginazioni per ospitare le cellule nei vari stadi (regolano infatti i processi germinativi nel tubulo). Durante la spermiazione, gli spermatozoi non ancora pronti vi rimangono incastrati in attesa: per questo, per ospitarli, la regione apicale è irregolare. Attorno alle cellule del Sertoli si trovano le cellule del Leydig (interstiziali) e l’epitelio germinativo. Ai lati si trovano invece giunzioni occludenti per creare la barriera emato-testicolare, che isola le cellule che fanno meiosi da quelle che fanno mitosi, impedendo di fatto il passaggio di molecole tra il compartimento basale e quello adluminare. Il passaggio dalla fase mitotica a quella meiotica è l'unico momento durante il quale questa barriera permette il flusso in direzione del lume del tubulo seminifero. Una deficienza di questa barriera permetterebbe il reflusso delle proteine delle cellule spermatogenetiche nel flusso sanguigno che sarebbero riconosciute come non-self. Questo porterebbe alla formazione di anticorpi specifici per gli spermatozoi che porterebbe alla sterilità autoimmune. Le funzioni delle cellule del Sertoli sono numerose: o Supporto nutrizionale e strutturale delle cellule germinali in via di sviluppo o Fagocitosi del citoplasma residuo degli spermatociti 24 o o o o o Formazione della barriera emato-testicolare Sintesi dell’ABP (androgen-binding protein) Sintesi e secrezione durante l’embriogenesi di ormone anti-mülleriano Sintesi di inibina (ormone che ha come obbiettivo le cellule ipofisarie) Secrezione di un medium ricco di fruttosio LE CELLULE DI LEYDIG Le cellule di Leydig (con cristalli di Reikle) producono testosterone, omone fondamentale per la spermatogenesi. Si tratta di cellule acidofile, che legano cioè eosina. L’ormone responsabile del processo è l’ormone LH, di natura proteica, che quindi non entra nella membrana ma cerca un recettore specifico, assente in tutte le altre cellule. Il legame ormone-recettore attiva l’enzima adenilato ciclasi, che a sua volta attiva cinasi che vanno ad attivare il colesterolo esterasi. Essa scinde il colesterolo esterificato trasformandolo in colesterolo libero (che è prelevabile comunque anche dal plasma); nel mitocondrio il colesterolo viene modificato in pregnenolone, finché nel Reticolo Endoplasmatico Liscio (molto abbondante in queste cellule) si forma il testosterone, che è un ormone lipidico che quindi diffonde in membrana e esce nelle cellule del Sertoli (all’interno di recettori intracitoplasmatici) o nel circolo ematico. Dunque il controllo ormonale della spermatogenesi avviene attraverso vari passaggi: o L’ipotalamo (ghiandola da cui si allunga un peduncolo che termina con un’estroflessione detta ipofisi – la parte anteriore adenoipofisi, quella posteriore neuroipofisi) segnala all’ipofisi tramite FSH – RH o LH – RH (fattori per promuovere il rilascio di FH e LH); o L’adenoipofisi secerne: FSH, che trova recettori sulla membrana plasmatica delle cellule del Sertoli, in cui si produce la proteina ABP LH, che stimola la sintesi di ormoni steroidei agendo sulle cellule del Leydig; il testosterone entra poi nel citoplasma delle cellule del Sertoli o nei circoli sanguigni. A questo punto, le cellule del Sertoli producono inibina per limitare la produzione di FH e LH sull’adenoipofisi, e per limitare i fattori di rilascio sull’ipotalamo. GLI ORGANULI CITOPLASMATICI Gli organuli, deputati alle attività metaboliche della cellula, si trovano nel citoplasma, costituito per l’85% da citosol. Oltre al nucleo, i sistemi reticolari di membrana si 25 dividono in sistemi di cisterne (cioè formazioni sacciformi piatte) e tubuli di membrana; tutti i sistemi cisternali sono collegati tra loro. Il Reticolo Endoplasmatico Ruvido o Granulare (RER o REG) presenta basofilia citoplasmatica; esso è costituito da numerosi ribosomi (dal diametro di circa 20 nm), acido ribonucleico e 20 proteine costituite da 2 subunità. I ribosomi, comunque, non esistono solo legati a reticolo ma anche liberi nel citoplasma, organizzati in strutture dette rosette. Il REG è deputato all’assemblaggio degli aminoacidi nella sintesi delle proteine; durante la formazione delle proteine, può capitare che se ne formino di anomale. Alcuni sistemi enzimatici le riconoscono e le trasportano verso aree dove le proteasi (nei proteosomi) le frammentano; queste proteine di trasporto si chiamano chaperonine e appartengono alla famiglia delle ubiquitine; rappresentano un importante sistema di protezione da proteine malformate. Come opera il REG? Il ribosoma nel citoplasma trova un mRNA e vi si associa: inizia quindi la sintesi della prima catena, che è una sequenza segnale particolare in grado di riconoscere le riboforine, strutture proteiche sulla membrana del REG formate da più subunità che vanno a costituire un canale. Dopo la formazione del legame ribosoma – cisterna, la proteina continua ad allungarsi e, una volta che si è staccata, rimane intrappolata dentro la membrana; il ribosoma invece si stacca. La proteina subisce poi eventualmente glicosilazione, prima di uscire dalla membrana per gemmazione: la vescicola si stacca e migra o verso la membrana, o verso l’apparato di Golgi per subire ulteriori modifiche. Quali sono le cellule che accumulano REG? In particolare, sistemi di secrezione, plasmacellule (linfociti B – in cui il REG serve per produrre anticorpi), neuroni, etc. Numerose cellule contengono invece poliribosomi liberi (formati da 10 o più unità legate a mRNA a formare rosette): o epiteli pluristratificati con funzione meccanica, in cui la cellula si irrobustisce all’interno costruendo proteine molto dure tra cui cheratine, prodotte da poliribosomi liberi (la regione più ricca di poliribosomi liberi è quella basale); o nel midollo osseo, durante l’eritropoiesi (da proeritroblasto a eritrocita, che viene riempito di emoglobina perdendo così tutti gli organuli, compreso il nucleo): per ottenere la basofilia degli eritroblasti, deve necessariamente esserci la presenza di poliribosomi liberi; o cellule embrionali chiamate mioblasti: si fondono tra di loro formando miotubi (strutture allungate che intrappolano numerosi nuclei). Il Reticolo Endoplasmatico Liscio (REL) è una rete a maglie strette di tubuli ramificati anastomizzati, cioè tutti aggregati tra di loro a formare anastomosi; si tratta sempre dunque di sistemi membranosi, ma con forma diverse. A differenza del REG, che presenta caratteristiche costanti, il REL è eterogeneo, perché nelle diverse cellule assume forme e funzioni diverse (pur mantenendo un’omogeneità morfologica). Può infatti contenere particolari sistemi enzimatici: Glucosio-6- fosfatasi, enzimi della glicogenolisi, enzimi della colesterologenesi, enzimi della steroidogenesi, enzimi della lipogenesi, etc. Il risultato finale è dunque ben diverso. Ad esempio: o Nelle cellule intestinali, è coinvolto nella sintesi di acidi grassi e altri lipidi (da colesterolo, monogliceridi e acidi grassi a trigliceridi e colesterolo); o Nelle ghiandole endocrine a secrezione steroidea agisce sui derivati del colesterolo; o Negli enterociti riveste il duodeno; o Negli epatociti deposita o demolisce accumuli di glicogeno e svolge azione detossificante e metabolizzante di farmaci e tossine. o Nel reticolo sarcoplasmatico sequestra ioni calcio. L’Apparato di Golgi fu scoperto da Camillo Golgi con il microscopio ottico (ricevette poi con Cajal il Nobel nel 1906 per le sue osservazioni mediante colorazione argentica); si tratta di un reticolo che si colora con coloranti speciali, ma non è visibile con ematossilina o eosina al microscopio ottico, ma solo tramite precipitazioni di metalli pesanti. È un sistema di cisterne appiattite (o sacchi) impilate l’una sull’altra a formare organizzazioni complesse, composte da fino a 10/15 cisterne. Le cisterne hanno un versante concavo e uno convesso; l’apparato riceve vescicole provenienti dal REG, a contenuto poco elettrondenso, a livello del versante concavo, detto versante cis; altre vescicole più elettrondense e voluminose, a contenuto enzimatico o proteico che l’apparato di Golgi ha rielaborato per glicosilazione, derivano invece dal versante trans (o porzioni laterali). Tra il versante cis e quello trans si trovano invece cisterne intermedie, dette porzioni intermedie dell’apparato di Golgi. Queste vescicole che gemmano dal Golgi vanno a formare vescicole esocitotiche oppure rimangono nel citoplasma (sotto forma, ad esempio, di lisosomi). Per formare un apparato di Golgi servono almeno quattro cisterne. Il versante cis è detto versante formativo, poiché accoglie vescicole da rielaborare, mentre il versante trans è detto maturativo, poiché espelle vescicole a contenuto già completamente formato. Al microscopio elettronico TEM è possibili vedere solo il perimetro delle cisterne. Quali sono le principali funzioni dell’apparato di Golgi? o Fosforila le proteine (provenienti dal REG) destinate ai lisosomi o Sintetizza oligosaccaridi e glicosamminoglicani (per matrici cellulari o perché si possano poi aggregare in proteoglicani) o Completa la sintesi dei fosfolipidi di membrana per un continuo rinnovamento del plasmalemma o Ristruttura le proteine (ad esempio nei fibroblasti amputa alcune pre-proteine) 27 o Destina le vescicole estruse verso obbiettivi prestabiliti, caratterizzandole Queste vescicole possono essere di tipi diversi; le principali categorie sono tre: o Granuli secretori: vescicole con materiale condensato, più elettrondense o Piccole vescicole lisce per il riciclaggio di membrane plasmatiche o Vescicole lisosomiali rivestite con un involucro villoso di clatrina. La clatrina è una ricopertura villosa di coated vescicles, molecola proteica a stella con tre braccia che si assembla ad altre molecole costituendo importanti reticolati. In base alla diversa distribuzione degli enzimi, le tre porzioni hanno una polarità funzionale: il versante cis contiene enzimi fosfotransferasi e fosfoglicosidasi (glicosilati poiché acquisiscono Mannosio-6-fosfato), le porzioni intermedie glicosiltransferasi, mannosidasi, N-acetilglucosammina e ceramide, il versante trans sulfo-transferasi, tiamina, pirofosfatasi, sialintransferasi, glucan-sintetasi. L’insieme di membrane dell’apparato di Golgi forma un network detto TGN (trans Golgi Network). Quali cellule contengono numerosi apparati di Golgi? o i neuroni: sono molto ricchi di apparati di Golgi poiché devono produrre neurotrasmettitori. Per questo motivo, i neuroni possono avere più apparati di Golgi, perché devono vescicolare nelle sinapsi. o le cellule degli epiteli secretori: sono cellule che producono prodotti proteici, glucidici o glicoproteici, sotto forma di muco che viene estruso sulla superficie a formare uno strato di mucina (formata da glicoproteine, che comprendono una grossa contenente glucidica e una piccola componente proteica). Questo strato di mucina è capace di idratarsi notevolmente aumentando la fluidità; i glucidi richiamano infatti acqua poiché sono polari. Sono cellule molto voluminose, occupate da sezioni chiare (accumuli di mucina), con nucleo chiaro eucromatico e numerosissimi apparati di Golgi. o i fibroblasti: sono cellule dei tessuti connettivi propriamente detti, che producono una sostanza per arricchire la matrice extracellulare (una componente fibrillare nera detta pro-collagene). Il pro-collagene è formato da una porzione proteica e una glucidica, per questo servono abbondanti REG e apparati di Golgi. o i condroblasti (nel tessuto cartilagineo) e gli osteoblasti (nel tessuto osseo): analogamente ai fibroblasti, anche loro producono collagene. Patologie che derivano da deficit di granuli di secreto (malfunzionamento degli apparati di Golgi) possono essere ad esempio il diabete proinsulinico; il deposito di corpi nei fibroblasti, condroblasti o osteoblasti dovuto a un deficit di fosfotransferasi può causare deficit psicomotori e anomalie delle ossa. I mitocondri sono produttori di ATP, e per questo definiti le centrali energetiche della cellula. Sono in numero variabile a seconda delle necessità metaboliche della cellula, non sono visibili al microscopio ottico con ematossilina o eosina (se non nel caso in cui siano particolarmente condensati) ma al microscopio a contrasto di fase. Hanno una forma bastoncellare, sono flessuosi e in movimento per spostarsi nelle regioni citoplasmatiche che hanno bisogno di ATP. La lunghezza è variabile; sono sempre circondati da due membrane, una esterna e liscia e una interna ripiegata in creste (forma più diffusa) o in strutture tubulari. Tra le due membrane è presente uno spazio inter-membrana. Lo spazio racchiuso dalle membrane prende il nome di matrice mitocondriale. I mitocondri servono per produrre ATP, che viene poi degradata in ADP + Pi e di nuovo trasformata dai mitocondri in ATP, con produzione di CO2. L’ATP (adenosintrifosfato) è una molecola divisa in tre aree: un’adenosina, uno zucchero e tre gruppi fosfato inorganici (Pi). Le creste della membrana interna aumentano la superficie di membrana e solo molto diffuse; al contrario, le strutture tubulari sono presenti solo in alcune cellule neuronali e in cellule a produzione steroidea. Secondo l’ipotesi parassitaria, il mitocondrio è di origine un parassita di cellule a metabolismo anaerobio, che lo sfruttano per il suo metabolismo aerobio: dunque il mitocondrio sfrutta una cellula accogliente per produrre energia sotto forma di ATP). Ad avvalorare la teoria vi è il fatto che il mitocondrio compie una duplicazione per autoreplicazione (come quella dei batteri): si duplica quando la cellula ha bisogno di ATP o quando la cellula entra in mitosi (fase s). Analizzando la membrana mitocondriale: o Membrana esterna: 7 nm di spessore, dunque con contiene sistemi proteici voluminosi se non le porine (molecole che formano buchi per far passare molecole idrosolubili a discreto peso), alcuni enzimi e alcune monossoamminossidasi. o Camera mitocondriale esterna (spazio intermembrana): contiene enzimi come l’adenilfosfociclasi; ha uno spessore di 6 nm. o Membrana interna: è costituita da fosfolipidi (soprattutto cardiolipina, che è formata da 4 catene invece che da 2) e proteine di trasporto (catene respiratorie per H+ e e-), oltre all’ATP-sintetasi, a forma di bacchetta di tamburo. Le ATP sintetasi sono strutture che supportano la catena respiratoria; le unità respiratorie sono formate dal complesso F0F1-ATP-sintetasi (dove F0 rappresenta la forma inattiva e F1 quella attiva): a riposo il complesso occupa l’intero spessore della membrana. Per shock osmotico, rivolgono la testa globosa verso la matrice mitocondriale, mentre una parte rimane ancora integrata nella membrana. Lo shock osmotico avviene grazie a ioni H+ che s trovano nello spazio intermembrana e vengono pompati nella matrice mitocondriale, innescando la trasformazione di ADP in ATP; per reggere questa 29 differenza di concentrazione di ioni H+ la membrana interna è altamente impermeabile attraverso il doppio film lipidico grazie alla presenza della cardiolipina: per questo le molecole passano solo tramite sistemi enzimatici o proteici (mentre la membrana esterna è altamente permeabile grazie alle porine). Il diametro della testa globosa del complesso F0F1-ATP-sintetasi è di circa 10 nm. Altri complessi proteici nella catena respiratoria sono la NADH deidrogenasi, la citocromo reduttasi e ossidasi (per il trasporto di elettroni). La membrana interna è infatti ripiegata proprio per poter ospitare migliaia di molecole. La fosforilazione ossidativa è la reazione che permette di passare da ADP ad ATP: ADP + Pi → ATP La matrice mitocondriale contiene una miscela colloidale costituita al 50% da proteine e da particolari ribosomi: si tratta dei ribosomi mitocondriali, più piccoli di quelli della cellula, che sono esclusivi della matrice mitocondriale; contiene inoltre tRNA e mRNA tipici del mitocondrio, codificati dal DNA mitocondriale, e granuli densi (30-50 nm) per regolare la concentrazione ionica di calcio. Il DNA mitocondriale (mtDNA) è una doppia elica ma a forma circolare; codifica solo per pochi geni e particolari proteine mitocondriali. Si tratta di 16568 paia di basi che codificano per soli 37 geni. Quali sono le cellule con un maggior numero di mitocondri? o i neuroni o il tessuto adiposo bruno, poco rappresentato nell’uomo ma tipico degli animali vernanti, che contiene mitocondri per produrre calore; per questo, sulla membrana interna non si trova l’ATP-sintetasi ma la termogenina. o in un nefrone (glomerulo renale con una matassa di strutture vascolari costituite da capillari fenestrati nella capsula del Bowman), fatto da un tubulo prossimale, un’ansa di Henle e un tubulo contorto distale, la preurina deve essere riassorbita (soprattutto nelle sue componenti quali acqua e soluti tra cui elettroliti - K, Na, etc, - e glucosio): sono tutti trasporti attivi che hanno bisogno di ATP, quindi la parete di rivestimento del tubulo contorto prossimale è rivestita da cellule che hanno: Numerosissimi microvilli della parte luminare (orletto a spazzola per aumentare la superficie di assorbimento) Nella porzione basale, un apparato vacillare (o labirinto basale), cioè un insieme di invaginazioni della membrana plasmatica nel versante interno contenenti numerosissimi mitocondri tra le pieghe. Questi mitocondri sono intuibili anche al microscopio ottico, come strisce acidofile. Il labirinto basale è presente anche nei dotti escretori striati di organi ghiandolari. o nella muscolatura striata scheletrica, nelle cui strutture sinciziali i mitocondri si dispongono in posizione ipolemmale o attorno alle singole miofibrille. o negli spermatozoi, per consentire loro il movimento. Un individuo eredita i mitocondri solo dalla madre, perché durante la fecondazione lo spermatozoo entra nella cellula uovo solo con la testa, lasciandosi indietro la coda ricca di mitocondri (ciò avviene solo nell’uomo): per questo si può risalire a una cosiddetta eva mitocondriale. Alcune malattie mitocondriali sono dovute a un’alterazione dei mitocondri dal punto di vista morfologico: miopatie, encefalopatie, cardiomiopatie, neuropatie (interessano dunque principalmente muscoli e neuroni). I lisosomi sono strutture ricoperte da una membrana, con dimensioni e contenuti molto diversi tra loro: distinguiamo infatti tra lisosomi primari e secondari. I lisosomi hanno forma rotonda, ovoidale o regolare, e non sono visibili al microscopio ottico; si tratta di “pacchetti” che contengono enzimi litici a pH ottimale acido pari a circa 5 (nel citoplasma, invece, il pH è circa 7.2/7.3, quindi servono delle pompe protoniche che veicolino nel lisosoma ioni H+ tramite trasporto attivo e consumo di ATP). Dunque, se le idrolasi uscissero nel citoplasma, esse non avrebbero nessuna azione: il pH basso riduce infatti il pericolo di autodigestione della cellula ospitante. Gli enzimi idrolitici contenuti nel lisosoma sono più di 40; tra essi ricordiamo le proteasi (enzimi che riducono le proteine in peptidi), lipasi, glicosidasi, fosfatasi, solfatasi, fosfolipasi e nucleasi, che degradano DNA e RNA. Gli enzimi nei lisosomi vengono sitentizzati dal REG, rielaborati nell’apparato di Golgi e vescicolati poi nel citoplasma. I lisosomi primari contengono enzimi non attivi, poiché il pH non è ancora corretto; una volta che il pH si abbassa, il lisosoma ingloba una vescicola endocitotica in modo da riversare gli enzimi in questo ambiente. Il lisosoma prende il nome di fagolisosoma: gli enzimi degradano e digeriscono la vescicola, e il lisosoma diventa secondario. Dove sono presenti i lisosomi? o in cellule come macrofagi e leucociti, dove possono anche svolgere funzione di autofagocitosi di sostanze che non servono più alla cellula (mitocondri, ribosomi, etc.) o addirittura di intere cellule in apoptosi. Ci sono poi cellule della linea macrofagica che espellono il contenuto dei lisosomi fuori dalla cellula, senza interiorizzarlo. o nei neuroni, che però possiedono lisosomi carenti di lipasi, che dunque degradano tutto tranne le porzioni lipidiche, che si depositano in pigmenti detti lipofuscine, già colorate di un colore brunastro. Nei prelievi autoptici queste lipofuscine sono visibili negli anziani, ma non nei giovani. o negli osteoclasti, macrofagi di derivazione mesenchimale, che per distruggere il tessuto osseo riversano il secreto dei lisosomi nella lacuna di Howship, creandovi un pH molto basso (CO2 + H2O → H+ + HCO 2-). Sono cellule giganti plurinucleate (contengono infatti numerosi nuclei di cellule che sono state fagocitate e un unico nucleo che controlla la cellula), con evidenti nucleoli per 31 arricchire il citoplasma di ribosomi. Alcune patologie dovute a difetti enzimatici sono malattie di accumulo (dovute a un immagazzinamento lisosomiale: mucopolisaccaridosi, glicosidosi, oligosaccaridosi, etc.). I perossisomi sono organuli rivestiti da membrana, a contenuto enzimatico particolare: contengono infatti enzimi ossidativi, come la catalasi, le cui funzioni sono: o Ossidazione degli acidi grassi a lunga catena (detta -ossidazione) o Sintesi del colesterolo e degli acidi biliari nelle cellule epatiche o Produzione di plasmalogeni (sottoclasse di fosfolipidi) o Smaltimento di composti metabolici tossici I perossisomi hanno una diversa origine rispetto ai lisosomi: la membrana si origina infatti per gemmazione del REL (non dell’apparato di Golgi, come nei lisosomi) e gli enzimi sono sintetizzati dai poliribosomi liberi (non dal REG). Gli enzimi vengono poi interiorizzati per traslocazione post-traduzionale. Dove sono presenti i perossisomi? o nelle cellule renali, negli epatociti: il perossisoma possiede infatti una regione più elettrondensa ad aspetto cristalloide, chiamata nucleoide, che accumula urato-ossidasi. La -ossidazione produce H2O2, dannosissima per l’uomo, ma la catalasi la trasforma in H2O e O2. Il citoscheletro è una maglia intricata di proteine filamentose che costituiscono un’impalcatura nel nucleo (vd. lamine) e nel citoplasma, per dare forma e movimento alle cellule. Le proteine citoscheletriche sono codificate dal 2.8% del genoma umano e svolgono diverse funzioni. Possiamo distinguere tre categorie di filamenti in base al diametro: microfilamenti (霞7 nm), filamenti intermedi (霞10 nm) e microtubuli (霞 25 nm). Vi sono poi altre proteine dette associative. o Microfilamenti (vd. microvilli): sono i filamenti più sottili, caratterizzati da proteine globulari di G-actina (dove G sta per globulare) concatenate a formare filamenti di F-actina (dove G sta per filamentosa). Per favorire questo aggancio c’è bisogno di ATP: si tratta infatti di una polimerizzazione a spesa energetica. L’ATP si avvicina al filamento e diventa ADP, cedendo energia. I due filamenti di F-elica sono microfilamenti in continua evoluzione: una porzione si accorcia sempre e una si allunga sempre. I microfilamenti hanno lunghezze variabilissime. Le proteine associative dei microfilamenti sono: Profilina: limita l’allungamento mascherando nel sito attivo i monomeri Fimbrina: lega filamenti adiacenti associandoli in modo parallelo (asse di sostegno dei microvilli) Filamina e spectrina: formano tralicci bloccati nei punti di intersezione, stabilizzando la rete tridimensionale Gelsolina: divide filamenti lunghi di actina Vinculina -actinina: legano alla membrana cellulare (vd. adesività cellula-matrice) Proteina di nucleazione: si stabilisce al di sotto della membrana plasmatica nel versante citosolico e aggancia filamenti di actina, formando pseudopodi. Il corpo cellulare globoso viene trascinato verso lo pseudopodio: la cortex con actina si allunga infatti perché c’è una proteina di nucleazione, formando punti di ancoraggio. Miosina: presente nel tessuto muscolare striato scheletrico; è formata da troponina (3 subunità globulari) e tropomiosina (filamento lungo), che si associano: la troponina si lega alla F-actina ancorandosi alle subunità di Gactina: ogni 11/13 subunità globulari la troponina si appoggia alla tropomiosina. La proteina g ospita i siti di aggancio della testa di miosina -elica in coda e una testa con sistemi enzimatici di ATPasi). Le molecole di miosina si associano in due fascine attaccate in una regione centrale (linea M): le teste globulari sporgono verso l’esterno orientate in tutte le direzioni, andando a costituire il filamento spesso (numerosissime molecole di miosina). Nei sarcomeri, le unità contrattili sono costituite da actina e miosina. o Filamenti intermedi: ne esistono quattro diverse famiglie: le lamine (nucleari), le cheratine (epiteli), le vimentine e vimentino-simili (tessuto connettivo, muscolare e neurogliare) e i nerofilamenti (cellule nervose). Tutti hanno diametro uguale di 10 nm, ma ogni categoria è peculiare di un solo tipo cellulare. Le molecole hanno un dominio molto simile in tutte e quattro le categorie, ma le estremità variano. Per raggiungere i 10 nm di diametro, il singolo filamento si associa in dimeri, poi i dimeri si associano in tetrameri e i tetrameri si associano per la lunghezza e per i diametri in unità funzionali cave al centro. le cheratine sono proteine che organizzano i tonofilamenti delle cellule epiteliali che ricoprono la superficie del corpo e le sue cavità e dei desmosomi. Ci sono 20 classi di cheratine e 8 cheratine dure, specifiche di capelli ed unghie. Si distinguono in cheratine acide (I) e cheratine basiche (II) che si assemblano in eterodimeri. Formano una rete fitta attorno all’involucro nucleare, ma esternamente, a differenza delle lamine che si trovano all’interno. Non vanno incontro a un rapido smontaggio, ma stabilizzano la forma cellulare. Ad esempio, nell’epidermide (rivestimento della cute) e nella cutopelle (tessuto connettivo sottostante di supporto) le cellule vengono rinforzate da filamenti di cheratina. le vimentine o vimentino-simili sono presenti nei fibroblasti e nelle cellule derivate dal mesenchima (localizzate nei tessuti connettivi ed in altre tipi cellulari di origine non epiteliale), costituendo una rete lassa all’interno del citoplasma. le desmine si trovano nelle cellule muscolari, dove formano una rete lassa attorno ai sarcomeri mantenendoli allineati; legano i sarcomeri al sarcolemma. i neurofilamenti (NF) sono proteine che strutturano gli assoni e i prolungamenti delle cellule nervose. Patologie legate a una distribuzione anomala dei neurofilamenti sono ad esempio la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). Le proteine associative dei filamenti intermedi sono la filagrina (aggregazione in piccoli fasci della cheratina) la plectina (nei punti di inserzione della vimentina) e la sinamina (nel muscolo). o Microtubuli: sono i filamenti più voluminosi, cavi al centro, dal diametro di circa 25 nm. Ogni filamento di tubulina è formato da due subunità di e -tubulina, che si allungano nella subunità plus con energia fornita dal GPT, molecola ad alta energia che prende, associa e allunga alternativamente e -tubulina. Le subunità si disfano invece nelle subunità minus; spesso si associano in doppiette cigliari o triplette centriolari. Il fuso mitotico è una struttura di microtubuli costituita a partire dai nucleosomi (o diplosomi), che sono due centrioli disposti perpendicolarmente a T, posti ai poli opposti della cellula. Dai nucleosomi emergono i microtubuli sporti verso la membrana plasmatica e verso il centro, dove il fuso blocca i cromosomi sulla piastra metafasica. I cromosomi migrano durante la mitosi perché i microtubuli si accorciano in prossimità del nucleosoma. I microtubuli dell’aster si ancorano invece alla membrana plasmatica. Le proteine associative dei microtubuli, dette MAP (Microtubule Associated Protein) sono: la chinesina, importante nei movimenti anterogradi (che trasportano sostanze dal corpo cellulare alle sinapsi) la dimerina, destinata al trasporto assonale, importante nei movimenti retrogradi (che trasportano sostanze dalle sinapsi al centro della cellula). 34 L’istologia è la disciplina che valuta la struttura e la funzione dei tessuti; nell’uomo riconosciamo quattro tipi di tessuti: epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso (di cui si studia in particolare la struttura normale). Se nell’adulto i tessuti sono quattro, nelle prime fasi di sviluppo embrionale esistono dei tessuti prenatali in continua trasformazione, sempre in divenire poiché costituiti da cellule a notevole attività proliferativa, che man mano si specializzano. o Al momento della fecondazione, il tessuto pre-embrionale è costituito da cellule totipotenti fino allo stadio di 8 cellule; o Già allo stadio di morula, dopo quattro giorni dalla fecondazione, le cellule hanno iniziato a diversificarsi tra loro, fino allo stadio di blastocisti, che è formata da tessuti annessiali che andranno a costituire gli annessi embrionali (come la placenta) e un accumulo di cellule che costituiranno l’embrione. Il tessuto annessiale (tessuto più esterno) si chiama trofoblasto, ed è costituito da sincizio e citotrofoblasto; l’accumulo di cellule (nella parte centrale) è costituito invece da epiblasto e ipoblasto. o Dopo qualche giorno, alla terza settimana, l’ipoblasto e l’epiblasto si trasformano in tessuti embrionali più complessi, detti foglietti embrionali (ectoderma e mesoderma); a loro si aggiunge infine il mesoderma, che è il terzo foglietto embrionale. o Dalla terza settimana alla nascita, i tessuti diventano progressivamente tessuti embrio-fetali (si parla di embrione dalla terza all’ottava settimana e di feto dall’ottava alla nascita); si tratta di tessuti sempre più specializzati (per esempio, i tessuti muscolare e nervoso e alcuni organi come la struttura nervosa iniziano a prendere forma già dalle prime settimane). o I tessuti annessiali, come la placenta, tessuto metabolico di scambio tra madre e feto, sono costituiti dalle stesse cellule che andranno a costituire l’embrione; ciò rende possibili esami come la villocentesi e l’amniocentesi, che prelevano cellule da tessuti annessiali per avere informazioni sulle cellule fetali, che sono del tutto analoghe. I tessuti primordiali sono dunque tre: epiteliale ectodermico, mesodermico ed epiteliale endodermico. Si tratta dei tre foglietti embrionali; ectoderma ed endoderma hanno origine epiteliale, mentre mesoderma ha origine mesenchimale e si specializzerà in mesenchima primario e poi mesenchima secondario (è un tessuto diverso perché via via che si trasforma arriva a possedere molta matrice extracellulare con molecole che andranno a caratterizzare i tessuti definitivi). 35 I tessuti post-natali (definitivi) si dividono in due grandi categorie: tessuti semplici (che svolgono le loro funzioni senza l’aiuto di tessuti ausiliari) e tessuti complessi. I tessuti semplici si dividono in: o Tessuti epiteliali definitivi, a loro volta suddivisi in diverse categorie. epiteli di rivestimento, che rivestono la superficie esterna del corpo (epidermide) o la superficie interna di organi cavi comunicanti con l’esterno; epiteli ghiandolari, che secernono prodotti esocrini (da riversare sulle superfici libere che comunicano con l’esterno o sulle superfici esterne del corpo) o endocrini (da riversare nel corpo sfruttando il flusso del torrente circolatorio); epiteli sensoriali, particolarmente differenziati, che rivestono gli organi di senso. o Tessuti trofo-meccanici, deputati al nutrimento di sé e di altri tessuti (e per questo altamente vascolarizzati), oltre che a funzioni di supporto funzionale e strutturale. Si dividono in: connettivi propriamente detti, che svolgono funzione di sostegno e possiedono dunque sostanza amorfa e abbondante matrice con sostanze fibrillari. Sono divisi in reticolare (le fibre formano una rete tridimensionale con andamento casuale delle fibre, che lasciano molti spazi vuoti in cui si trovano cellule e sostanza amorfa), lasso (con importanti spazi tra una fibra e l’altra), denso (le fibre sono disposte in fasci, molto robusti dal punto di vista meccanico) ed elastico (ricco di proteine tra cui elastina); connettivi fluidi, in cui la matrice extracellulare è particolarmente ricca di acqua, cosa che li rende molto fluidi (vd. sangue e linfa); connettivi adiposi, costituiti da due tipi di cellule e dunque divisi in due categorie: bianchi o uniloculari e bruni o multiloculari. I connettivi adiposi bianchi sono costituiti da adipociti molto voluminosi che accumulano nel loro citoplasma un’unica goccia lipidica di trigliceridi. Gli adipociti possono aumentare o consumare questa riserva energetica, aumentando o diminuendo di conseguenza anche il proprio volume. I connettivi adiposi bruni (poco rappresentati nell’adulto ma molto nei neonati e negli animali vernanti) sono invece costituiti da adipociti che accumulano i trigliceridi in più foci. Gli adipociti bianchi o bruni si possono convertire l’uno nell’altro; connettivi cartilaginei, a loro volta divisi in ialini, fibrosi ed elastici a seconda della tipologia e della disposizione tridimensionale nello spazio delle fibre. A queste categorie si aggiunge poi la cartilagine cellulare, che però è poco rappresentata nell’uomo e dunque meno rilevante; connettivi ossei, divisi in due famiglie: osseo-spugnosi e osseo-compatti. I tessuti complessi si dividono invece in: o Tessuti nervosi, divisi in tessuto nervoso centrale e tessuto nervoso periferico (nervi e gangli); o Tessuti muscolari, divisi in tessuto muscolare striato scheletrico (detto striato poiché la sezione longitudinale presenta al microscopio ottico evidenti bandeggiature e scheletrico poiché si aggancia alle ossa), tessuto muscolare liscio (non presenta bandeggiature al microscopio ottico) e tessuto muscolare cardiaco (serve per far contrarre il cuore). Per quanto riguarda le principali caratteristiche dei tessuti: o I tessuti epiteliali (letteralmente “sopra una tela/reticolato”) sono costituiti da cellule tutte uguali oppure diverse tra loro, possono essere mono o pluristratificati, ma tutte le cellule sono poliedriche e strettamente aggregate tra di loro (dunque la matrice extracellulare è presente solo in piccole quantità), sostenute dalla membrana basale che divide l’epitelio non vascolarizzato dal tessuto connettivo sottostante (che diffonde sostanze nutritizie per l’epitelio). o I tessuti connettivi sono molto vascolarizzati e innervati, e dunque possiedono quantità abbondanti di matrice extracellulare. Sono costituite da svariati tipi di cellule, che possono essere fisse (che nascono lì e rimangono lì) o mobili (che arrivano per stimoli chemiotattici da altri distretti). o I tessuti muscolari sono sempre costituiti da cellule contrattili allungate, capaci di accorciarsi; la matrice extracellulare è presente ma non abbondante, in quantità moderate, dunque le cellule sono abbastanza vicine tra loro. o I tessuti nervosi sono costituiti da cellule stellate con una fitta trama di prolungamenti (processi allungati che si embricano tra loro: dendriti, assoni, cellule della glia, etc.). Non c’è nessuna matrice extracellulare, presente solo attorno ai vasi sanguigni ma in pochissime quantità nella rete tridimensionale di prolungamenti, che è detta neuropilo. Le funzioni principali dei tessuti epiteliali sono il rivestimento delle superfici e delle cavità corporee e la secrezione ghiandolare; per i tessuti connettivali, sostegno e protezione (funzioni trofo-meccaniche); per i tessuti muscolari i movimenti; per i tessuti nervosi la trasmissione degli impulsi nervosi. Le cellule dei tessuti pre-embrionali sono molto vicine tra loro, e proliferano continuamente aumentando di numero e di dimensioni; se rimangono vicine vanno a formare tessuti epiteliali o muscolari, mentre se si allontanano la matrice extracellulare aumenta e si formano tessuti connettivi. Si tratta di popolazioni cellulari 37 soggette a continuo rinnovamento, e si dividono in diversi tipi in base al tempo necessario per il rinnovo: o Popolazioni cellulari in espansione: lo sono ad esempio le cellule dell’embrione, gli epiteli, le cellule del midollo osseo o quelle che intervengono nei fenomeni riparativi cicatriziali. Si caratterizzano quando il tasso di proliferazione è maggiore della mortalità; o Popolazioni cellulari statiche: lo sono le cellule che cessano la loro attività proliferativa una volta che sono completamente formate (dopo essersi duplicate e caratterizzate non vanno dunque più incontro a mitosi). Le cellule morte non vengono più rimpiazzate: sono un esempio le cellule muscolari (se sono danneggiate, vengono in parte sostituite con tessuto cicatriziale connettivo e in parte rimpiazzate da cellule satellite multipotenti, in grado di contrarsi una volta attivate) e le cellule del tessuto nervoso (che, una volta danneggiate, possono essere ricostruite nei prolungamenti - vd. degenerazione walleriana degli assoni - ma non nel corpo cellulare, che viene riparato con tessuto cicatriziale di riempimento). Un altro esempio è l’eritrocita, che ha perso la capacità di dividersi perché altamente specializzato. Il rinnovo cellulare avviene attraverso la mitosi, da cellule poco specializzati a cloni sempre più specializzati. Alterazioni durante le fasi proliferative possono interessare le dimensioni, il tipo di proliferazione e cambiamenti di differenziamento cellulare. Una variazione delle dimensioni può portare a atrofia (diminuzione delle dimensioni) o ipertrofia (aumento delle dimensioni); alterazioni nella proliferazione possono invece portare a agenesia (una struttura non si forma affatto), aplasia (una struttura comincia la crescita che poi si arresta), ipoplasia (sviluppo insufficiente) o iperplasia (aumento del numero di cellule). Se invece i cambiamenti avvengono a livello di differenziazione cellulare, può insorgere una metaplasia (cambiamento di alcune cellule), displasia (aumento delle dimensioni e dell’organizzazione), neoplasia (proliferazione incontrollata, che può benigna o maligna) e infine anaplasia (che è la scarsa differenziazione di neoplasia, in cui le cellule regrediscono rispetto alla cellula di partenza). Se metaplasia e displasia sono condizioni reversibili, l’anaplasia è invece una situazione patologica irreversibile (vd. alterazione dell’epitelio respiratorio dovuta a sostanze chimiche e particelle irritanti nel fumo di sigaretta). TESSUTO EPITELIALE L'epitelio è un tessuto caratterizzato da cellule poste a mutuo contatto tra di loro (ca. 20 nm di distanza) con l'interposizione di scarsa matrice extracellulare. E' un tessuto innervato, non vascolarizzato e per questo sempre accompagnato da un tessuto connettivo da cui trae nutrimento attraverso i vasi connettivali e da cui è sempre separato dalla lamina basale, un particolare tipo di matrice extracellulare caratterizzata dalla presenza di proteine tipiche quali collagene di tipo IV e laminina più proteoglicani e GAG. Per quanto riguarda l'origine, gli epiteli derivano da tutti e tre i foglietti embrionali, ectoderma, endoderma e mesoderma. In particolare dall' ectoderma derivano l'epidermide, gli epiteli sensoriali e le ghiandole sebacee, sudoripare e mammarie. Dall'endoderma invece originano gli epiteli di rivestimento degli organi cavi nonché gli epiteli delle ghiandole ad essi annesse (es. fegato e pancreas). Il mesoderma, infine, da origine all'endotelio che riveste internamente i vasi e le cavità del cuore, all'epitelio di rivestimento delle cavità sierose (pleura, pericardio e peritoneo) agli epiteli del rene, della corticale del surrene e di gran parte delle vie urinarie e genitali. Gli epiteli possono essere classificati in tre categorie a seconda della loro funzione e della loro localizzazione; distinguiamo gli epiteli di rivestimento, gli e. ghiandolari e gli e. sensoriali. Gli epiteli di rivestimento rivestono la superficie corporea e gli organi cavi interni; gli epiteli ghiandolari sono specializzati nella secrezione endocrina ed esocrina; gli epiteli sensoriali intervengono nella reazione agli stimoli. EPITELI DI RIVESTIMENTO Possono essere a loro volta classificati in base alla forma delle cellule e al numero di strati che li compongono. In base alla forma delle cellule superficiali, gli epiteli di rivestimento si distinguono in pavimentoso, cubico e prismatico alto o cilindrico; mentre in base al numero di strati gli epiteli possono essere monostratificati o semplici, le cui cellule poggiano tutte sulla lamina basale, e pluristratificati o composti, appunto a più strati. Esistono quindi epiteli pavimentosi, cubici o cilindrici semplici ed epiteli pavimentosi, cubici o cilindrici composti. Possiamo individuare, inoltre, due classi di epiteli speciali quali l'epitelio pseudo-stratificato (o pluriseriato) e l'epitelio di transizione. Il primo è un epitelio semplice le cui cellule poggiano tutte sulla lamina basale ma hanno altezze differenti per cui non tutte raggiungono la superficie; per questo ad una osservazione superficiale, potrebbe apparire pluristratificato. Il secondo, l'epitelio di transizione, è esclusivo della vescica, un organo che cambia continuamente volume a seconda della quantità di urina che contiene: quando è vuota, l'epitelio è pluristratificato con uno strato esterno di cellule cupuliformi, quando è piena invece l'epitelio si distende e diventa monostratificato. Epitelio pavimentoso monostratificato Essendo pavimentoso, questo tipo di epitelio possiede cellule con lunghezza e larghezza superiori all'altezza, un po' schiacciate ai lati e più alte in mezzo all'altezza del nucleo e unite da giunzioni evidenziabili dopo trattamento con nitrato d'argento. Per la sua struttura molto sottile, non è adatto ad organi con intensa attività meccanica, ma favorisce invece la diffusione, infatti è possibile trovare l'epitelio pavimentoso monostratificato nella parete interna dei vasi sanguigni, linfatici e dei capillari (endotelio) nonché nell'endocardio (che riveste le cavità interne del cuore), nelle sierose, negli alveoli polmonari e nella capsula di Bowman nel rene. A livello dei capillari non ci sono altri strati di cellule oltre all'endotelio ma solo matrice extracellulare mentre nelle arteriole e nelle venule ci sono altre pareti e da un punto di vista istologico, le due possono essere riconosciute perché l'arteriola ha un lume più piccolo e la parete più spessa mentre la venula ha lume più largo e parete più sottile. I capillari invece possono essere circondati anche da una sola cellula endoteliale che si espande per tutta la circonferenza del vaso e si chiude all'estremità mediante un sistema di giunzioni strette che formano zonule occludenti. Nel SNC queste zonule occludenti sono particolarmente sviluppate e formano la base anatomica della barriera ematoencefalica che protegge il sistema nervoso da patogeni e altre sostanze tossiche. Questi capillari continui sono anche presenti negli alveoli polmonari dove favoriscono lo scambio tra ossigeno e anidride carbonica. In altre zone, invece, come nel glomerulo renale o nel sistema gastrointestinale, i capillari possono presentare delle fenestrature, cioè dei pori chiusi da un diaframma proteico, che permettono lo scambio di molecole dal sangue agli epatociti, ad esempio. Nel midollo osseo queste fenestrature possono arrivare ad avere diametro di 4 micron per permettere il passaggio dei globuli rossi. La parete del capillare è a diretto contatto con i tessuti e forma una barriera parziale per cui tutto quello che può passare (acqua, cataboliti, gas ma non macromolecole e globuli rossi) passa per diffusione. Inoltre, nelle cellule endoteliali dei capillari è molto attivo il processo di transcitosi mediante il quale il materiale viene internalizzato a un lato della membrana a livello delle caveole e trasferito sul versante opposto. Nel fegato i capillari sono detti sinusoidi per il loro andamento sinusoidale utile per aumentare la superficie si scambio. Gli alveoli polmonari rappresentano l'unità funzionale dei polmoni definiti come sacchetti riempiti di aria adiacenti tra loro e separati da connettivo sottilissimo con capillari continui. In questa sede l'epitelio pavimentoso semplice è utile per facilitare lo scambio di ossigeno e anidride carbonica tra aria e sangue. Un altro esempio di epitelio pavimentoso semplice lo troviamo nella capsula di Bowman del rene. L'unità funzionale del rene è il nefrone, un tubulo a fondo cieco che termina con una coppetta a doppia parete, la capsula di Bowman appunto. Si tratta di una struttura formata da un doppio foglietto, uno parietale e uno viscerale entrambi di pavimentoso semplice che racchiude il glomerulo renale formato da capillari fenestrati. Tutto ciò forma una sottile barriera che permette il passaggio solamente di una parte del contenuto del sangue, come i cataboliti e le altre sostanze di rifiuto. Epitelio cubico monostratificato E' un epitelio formato da un singolo strato di cellule con aspetto cuboide, poco rappresentato nell'organismo in quanto è presente solo nell'epitelio germinativo dell'ovaio, nei follicoli tiroidei, in alcuni dotti escretori delle ghiandole esocrine e nei piccoli bronchi. Nell'ovaio l'epitelio cubico monostratificato riveste esternamente la superficie ed è detto impropriamente germinativo ma non vi derivano le cellule uovo. Nella tiroide, questo tipo di epitelio si trova a livello dei follicoli, cioè le unità funzionali di questa ghiandola sparsi tra i setti connettivali, le cui cellule passano a una forma cilindrica quando la ghiandola è in attività. Nelle ghiandole esocrine invece l'epitelio cubico monostratificato si trova a livello dei dotti escretori dove viene riversato il secreto dall' adenomero: in questi dotti l'epitelio diventa via via più spesso passando da pavimentoso a cubico a cilindrico. Infine, anche nei piccoli bronchi, che fanno parte dell'albero bronchiale, l'epitelio passa da pseudostratificato a pavimentoso passando per quello cubico. Epitelio cilindrico monostratificato Si tratta di un tipo di epitelio formato da cellule disposte in un solo strato e di forma prismatica con nucleo spostato nella porzione basale. Può esistere in due varietà, ciliata e non ciliata: la forma ciliata è meno abbondante infatti è presente solamente nelle tube uterine e nell'endometrio dell'utero, mentre la varietà non ciliata si trova nella mucosa gastrica e intestinale e nel tubulo renale. Per quanto riguarda l'epitelio gastrico, questo si presenta non liscio ma con pieghe sollevate utili per la dilatazione dello stomaco e inoltre di tanto in tanto si approfonda nella mucosa per formare delle ghiandole. Si tratta di un epitelio secernente in quanto tutte le cellule secernono un muco che viene poi riversato sulla superficie interna dello stomaco e risulta utile per proteggere le pareti gastriche dal pH fortemente acido che si forma durante la digestione. La struttura dell'epitelio intestinale è invece specializzata oltre che alla secrezione, anche all'assorbimento, permettendo così il completamento della digestione dei cibi e il passaggio selettivo dei prodotti finali della digestione ai vasi sanguigni e linfatici. Per fare questo, l'epitelio intestinale presenta i caratteristici villi, cioè espansioni digitiformi di 0.5-1 mm di altezza ognuno dei quali contiene al suo interno un connettivo vascolarizzato con poche fibre e molte cellule. Questi villi servono ovviamente per aumentare la superficie assorbente dell'intestino. Le cellule intestinali, invece, sono di due tipi: enterociti e cellule caliciformi mucipare. Le caliciformi mucipare, frammiste agli elementi epiteliali, sono l'unico esempio di ghiandole esocrine unicellulari e presentano una porzione apicale che si slarga a forma di coppa e contiene la mucina in vescicole mentre la parte basale è a forma di stelo sottile e contiene il nucleo e gli altri organuli. Una volta secreta, la mucina si unisce all'acqua a formare il muco, una sostanza glicoproteica basofila metacromatica e pas- positiva con funzione di protezione dell'epitelio di rivestimento. Queste cellule sono quindi deputate a svolgere la funzione secernente dell'intestino. Per quanto riguarda invece l'assorbimento, consideriamo gli enterociti. Queste cellule risultano funzionalmente polarizzate, nel senso che possiedono un polo apicale rivolto verso il lume e specializzato nell'assorbimento e un polo basale, affacciato sulla tonaca propria che invece trasporta per transcitosi le sostanze assorbite alla rete capillare sanguigna e linfatica. Ciascun enterocito, inoltre, presenta sulla superficie apicale una struttura particolare nota come orletto striato o a spazzola, formato dai microvilli, cioè espansioni cellulari allungate e rigide la cui parete risulta più spessa di una normale membrana plasmatica per la presenza del glicocalice prodotto dalle cellule caliciformi mucipare. I microvilli risultano rigidi per la presenza al loro interno di filamenti di actina paralleli tra di loro che decorrono in altezza per tutta la lunghezza del microvillo e si ancorano come radici alla base del microvillo in corrispondenza del cosiddetto terminal web; di questi microfilamenti, la factina è sempre la stessa in tutti i tipi cellulari, quello che cambia sono le actin binding proteins che collegano i microfilamenti tra di loro e alla membrana, una di queste è la villina, che stabilizza e irrigidisce i microvilli. Come i villi, anche i microvilli servono per aumentare ulteriormente la superficie assorbente dell'epitelio. Oltre ai microvilli, caratteristica degli enterociti è un complesso apparato di giunzione formato da tre strutture particolari, poste in una successione ben definita: una serie di giunzioni strette che formano una zonula occludens che circonda ogni cellula lungo tutto il perimetro subito al di sotto dell' orletto striato; una serie di giunzioni aderenti che forma la zonula adherens; un certo numero di desmosomi sparsi separatamente tra di loro. Le giunzioni strette da una parte confinano le proteine di trasporto ai loro domini di membrana appropriati agendo da barriere di diffusione entro il doppio strato lipidico, (quindi, ad esempio, confinano i simporti del glucosio sulla superficie apicale) dall'altra bloccano il flusso retrogrado di glucosio dal lato basale dell'epitelio al lume intestinale. Le giunzioni aderenti invece formano un fascio che circonda la cellula e la connette con quelle circostanti tramite i microfilamenti di actina e proteine specifiche della famiglia delle caderine. I desmosomi, infine, si trovano come “bottoni” singoli sparsi nella membrana plasmatica connettendo i filamenti intermedi da cellula a cellula. Un altro esempio di epitelio cilindrico semplice non ciliato è rappresentato dall'epitelio bacillare nel tubulo renale prossimale, la cui porzione basale presenta delle introflessioni che aumentano la superficie di membrana per il trasporto attivo di molecole e ioni attraverso specifici trasportatori. Numerosi sono i mitocondri che forniscono energia per questo processo. Per quanto riguarda invece la varietà ciliata dell'epitelio cilindrico semplice consideriamo la tuba uterina e l'endometrio. In questo caso, la superficie epiteliale risulta ricoperta da strutture digitiformi, le ciglia appunto, che differiscono dai microvilli per essere più irregolari, mobili e con un'intensa colorazione alla base a livello dei blefaroplasti, cioè i corpi basali formati dal centriolo da cui partono i microtubuli. Ogni ciglia infatti ha una particolare struttura citoscheletrica formata da un asse centrale di due microtubuli e nove doppiette periferiche che formano l'assonema. Grazie alla dineina che fa scorrere i microtubuli l'uno sull'altro, le ciglia si muovono con un battito a remo, sincronizzato per tutte le ciglia di una stessa fila, che nella tuba contribuisce a spingere l'ovulo dall'ovaio all'utero. Epitelio pavimentoso pluristratificato E' un tipo di epitelio formato da più strati di cellule di varia forma, da cubica o cilindrica alla base a pavimentosa sulla superficie. Le cellule profonde risultano più attive da un punto di vista metabolico e proliferativo e si distinguono perciò da quelle superficiali, inerti metabolicamente ma comunque vitali. A seconda della presenza o meno sulla superficie di uno strato di cellule che hanno perso il nucleo assumendo un aspetto squamoso, epiteli di questo tipo possono essere classificati in corneificati, o cheratinizzati, e non corneificati. La varietà non cheratinizzata o molle è presente nelle zone di comunicazione tra l'esterno e gli organi interni quindi nella cavità orale, nell'orofaringe, nell'esofago, nel canale anale, nel tratto distale dell'uretra e nella vagina. La varietà cheratinizzata, invece, è caratteristica dell'epidermide, lo strato più superficiale della cute. Da un punto di vista funzionale, questo tipo di epitelio è presente in zone soggette a stress meccanico che non hanno bisogno di una funzione di assorbimento o diffusione tipica della forma monostratificata. Nell'epidermide, l'epitelio presenta uno strato superficiale di residui cellulari privi si nucleo e pieni di una proteina filamentosa, la cheratina. Nella parte a contatto col derma invece, l'epitelio forma una serie di estroflessioni, le creste epidermiche, che si interdigitano con le papille dermiche per due motivi principali: una funzione di ancoraggio più solido per evitare la formazione di vesciche causate dal distacco dell'epidermide dal derma (esistono malattie genetiche per le quali l'ancoraggio è danneggiato come l'epidermolisi bollosa e la psoriasi); la seconda funzione dell'interdigitazione è di tipo metabolico: l'epidermide è spessa e deve essere nutrita dai vasi sanguigni del connettivo sottostante che in questo modo raggiungono più zone. In generale questo tessuto svolge numerose funzioni utili all'organismo: lo protegge da traumi fisici, chimici o meccanici provenienti dall'ambiente esterno, riceve stimoli, partecipa alla termoregolazione, alla difesa immunitaria e al mantenimento dell'equilibrio idrico. In base alla localizzazione e al tipo di ghiandole annesse, è possibile distinguere un'epidermide della cute spessa da un'epidermide della cute sottile. Nella cute spessa (che può raggiungere lo spessore di 1-1.4 mm) lo strato corneo è molto spesso e sono presenti solo ghiandole sudoripare di tipo eccrino; questo tipo di epitelio è presente in zone sottoposte ad ampia sollecitazione meccanica come il palmo della mano e la pianta del piede. La cute sottile, invece, si differenzia per la presenza di peli, di ghiandole sudoripare eccrine ed apocrine, le quali usano il follicolo pilifero in parte come dotto escretore, e ghiandole sebacee; questo tipo di epidermide ha spessore variabile tra i 70 e i 120 micron. Da un punto di vista strutturale, l'epidermide presenta 4 o 5 strati diversi di cellule nonché diversi tipi cellulari con funzioni diverse. A partire dallo strato più profondo troviamo: strato germinativo, strato spinoso, strato granuloso, strato lucido solo per la cute spessa e infine strato corneo. Lo strato basale o germinativo consiste in un singolo strato di cellule che nei preparati istologici appaiono di forma cuboide o cilindrica, con nuclei piuttosto grandi e scarso citoplasma. Le cellule che lo compongono sono cheratinociti di tipo staminale, normalmente quiescenti che si dividono raramente per divisione asimmetrica dando origine a due cellule diverse, una uguale alla cellula madre, che quindi conserva la caratteristica di staminalità, e una differenziata che sale nello strato superiore e contribuisce al continuo rinnovamento dell'epidermide. Oltre a questa funzione germinativa, lo strato basale ha la funzione di ancorare saldamente l'epidermide al derma sottostante. Per fare questo, le cellule possiedono apparati di giunzione specializzati quali emidesmosomi e adesioni focali. Gli emidesmosomi sono giunzioni formate da una placca proteica di desmoplachina e placoglobina aderita al versante intracellulare della membrana plasmatica, nella quale si inseriscono tonofilamenti di cheratina. Sul versante extracellulare l'adesione alla fibronectina, laminina e collagene della lamina basale è mediata da molecole di integrina del tipo α6β4 altamente specifica dell'epidermide e che, se mutata, può portare a malattie come l'epidermolisi bollosa. L'altro tipo di giunzione, l'adesione focale, è simile all' emidesmosoma ma coinvolge i microfilamenti di actina del citoscheletro e non i filamenti intermedi, risultando quindi una adesione più dinamica. Oltre che con la lamina basale, i cheratinociti dello strato germinativo prendono contatto, ovviamente, anche tra di loro mediante desmosomi, che rappresentano, quindi, le strutture di resistenza dell'epidermide. Anche in questo caso sono coinvolti i tonofilamenti di cheratina che si inseriscono nelle placche proteiche del versante intracellulare delle due cellule a contatto; nello strato basale la coppia di cheratine espresse è K5/K14. Abbiamo detto che in seguito a divisione asimmetrica delle cellule dello strato basale, si originano delle cellule differenziate, queste cellule salgono in superficie e vanno a formare lo strato spinoso o di malpighi. Sono cellule poliedriche, con più citoplasma e con sottili estroflessioni citoplasmatiche o spine, che si incontrano con quelle delle cellule adiacenti mediante desmosomi e che danno alla cellula un aspetto spinoso. Nel nucleo sono ben visibili i nucleoli che testimoniano l'intensa attività sintetica della cellula: si produce, infatti, una grande quantità di cheratina questa volta del tipo K1/K10, che si associa a formare le tonofibrille, fasci più spessi dei tonofilamenti dello strato basale, che attraversano tutta la cellula e convergono nei desmosomi. Nelle cellule dello strato spinoso, infine, sono visibili due tipi di granuli rivestiti da membrana: i melanosomi, che contengono melanina prodotta dai melanociti, e i cheratinosomi che contengono materiale lipidico poi riversato sulla superficie della cellula per costituire una barriera intercellulare all'acqua. Mano a mano che proliferano, le cellule dello strato spinoso salgono verso la superficie e vanno a costituire lo strato granuloso. Questo è formato da 3-5 strati di cellule appiattite contenenti grossi granuli di cheratoialina e intensamente colorabili con coloranti basici. Solamente nell'epidermide della cute spessa, è riconoscibile uno strato lucido formato da pochi strati di cellule acidofile, prive di nucleo e rifrangenti, che formano una sottile linea ondulata sopra lo strato granuloso. Infine troviamo lo strato corneo, più superficiale, costituito da cellule appiattite, prive di nucleo e piene di filamenti di cheratina fittamente addensati tra di loro. Lo spessore è molto variabile e raggiunge il massimo in mani e piedi è molto sottile invece a livello delle labbra. Al di sotto della membrana plasmatica le cellule corneificate presentano il cosiddetto involucro cellulare corneificato, che costituisce una barriera contro gli insulti chimici e meccanici dell'ambiente esterno. Uno strato di idrossiceramide, invece, formato da un monostrato di molecole lipidiche, provvede all'impermeabilizzazione dell'epidermide. Le cellule dello strato corneo sono quindi il risultato di un processo di differenziamento lungo dai 15 ai 30 giorni, durante il quale la cellula parte dallo strato germinativo e migrando verso la superficie, subisce tutti i cambiamenti morfologici e funzionali per poi distaccarsi dalla pelle come squama cornea. Oltre ai cheratinociti, l'epidermide contiene altri tipi cellulari, quali i melanociti e le cellule di Langherans. I melanociti si trovano frammisti ai cheratinociti nello strato basale e in quello spinoso e in numero minore anche nel derma. Originano dalle creste neurali da cui migrano durante la vita embrionale prima nel derma e poi nell'epidermide. Da un punto di vista morfologico, i melanociti sono provvisti di prolungamenti ramificati che si estendono verso la superficie diramandosi tra i cheratinociti, hanno un nucleo chiaro e dei corpuscoli, i melanosomi, contenenti melanina, e con un caratteristico aspetto lamellare. Una volta formati, questi melanosomi migrano attraverso i prolungamenti cellulari sono secreti dai melanociti e endocitati dai cheratinociti dello strato basale e spinoso. La melanina presente nei melanosomi viene sintetizzata a partire dalla tirosina e da un punto di vista funzionale, grazie alla sua capacità di assorbire la luce, risulta di fondamentale importanza per la protezione della pelle dai raggi ultravioletti, pericolosi perché possono provocare danni al DNA, e per neutralizzare i radicali liberi. Le cellule di Langherans, infine, si trovano soprattutto negli strati più superficiali dello strato spinoso, hanno forma dendritica, con sottili prolungamenti che si estendono tra le cellule vicine, nucleo intensamente colorato e citoplasma chiaro. Come monociti e macrofagi, queste cellule sono capaci di presentare l'antigene durante la risposta immunitaria nonché di secernere interleuchina-1 che funge da mediatore nella risposta immunitaria. Epitelio cubico o cilindrico pluristratificato Sono epiteli poco rappresentati composti da cellule poliedriche negli strati profondi e di forma cuboide o cilindrica superficialmente. È possibile trovarli più facilmente nei dotti escretori di calibro maggiore di alcune ghiandole. Epitelio batiprismatico pseudostratificato È formato da un unico strato di cellule che poggiano tutte sulla membrana basale ma che non raggiungono tutte la superficie perché hanno altezze variabili. In questo modo, i nuclei sono disposti ad altezze diverse, dando l'impressione che si tratti di un epitelio pluristratificato. Come per l'epitelio cilindrico semplice, anche in questo caso possiamo distinguere una varietà ciliata e una non ciliata. La forma ciliata è presente a livello delle vie respiratorie, in particolare nella trachea, nei grossi e medi bronchi. Solo le cellule più alte che raggiungono la superficie possiedono le ciglia che si muovono verso la faringe e insieme al muco prodotto dalle caliciformi mucipare, contribuiscono a proteggere i bronchi e la trachea dal pulviscolo atmosferico, in modo che una quantità minore di corpuscoli arrivi a depositarsi sugli alveoli polmonari. La varietà non ciliata di epitelio pseudostratificato possiede cellule molto alte con estroflessioni simili a ciglia ma paragonabili a microvilli con un asse di microfilamenti centrale chiamate stereociglia. È presente a livello dell'epididimo, dove funge da epitelio secernente coinvolto nella formazione del liquido spermatico. Epitelio di transizione È detto anche urotelio, in quanto presente solo nelle vie urinarie quindi, pelvi renale, ureteri, vescica e tratto prossimale dell'uretra. Dalla pelvi, come un imbuto, gocciola continuamente urina che attraverso l'uretere raggiunge la vescica. Questa quando è vuota ha la parete rilassata e un epitelio simile a un cubico composto con 3-4 strati di cellule di cui quelle superficiali assumono forma bombata, convessa e sono perciò chiamate cupuliformi. Quando la vescica accumula urina e si distende, le cellule dello strato superficiale si distendono mantenendo sempre i contatti delle giunzioni occludenti, fondamentali per evitare la fuoriuscita di urina. Le cellule sottostanti invece scivolano le une sulle altre provocando la diminuzione del numero di strati e quindi dello spessore dell'epitelio e aumentando di molto la superficie. Per fare ciò, le cellule hanno al loro interno una riserva di membrana in vescicole che permette alla cellula di aumentare la sua superficie esterna e diventare da globosa a piatta. EPITELI GHIANDOLARI Costituiscono il parenchima delle ghiandole, organi specializzati nella secrezione cioè la funzione di produrre sostanze destinate ad essere secrete dalla cellula per svolgere una particolare funzione e per mettere in comunicazione tra loro diverse cellule. Esistono due tipi di ghiandole, le esocrine e le endocrine. Le ghiandole esocrine, o a secrezione esterna, riversano il loro secreto sulla superficie corporea o nelle cavità di organi interni, quindi ad esempio ghiandole sudoripare o il fegato; sono costituite da un adenomero, cioè l'unità secernente e da un dotto escretore che comunica con l'esterno. Le ghiandole endocrine o a secrezione interna, invece, riversano il loro secreto, detto ormone, direttamente nella rete capillare; sono sprovviste di dotti escretori ma si presentano come gruppi di cellule intorno a una fitta rete capillare. Entrambi i tipi di ghiandole originano da un'invaginazione dell'epitelio di rivestimento che si approfonda nel mesenchima sottostante, pur rimanendo sempre all'interno della lamina basale. Poi a seconda del segnale che ricevono, queste cellule possono differenziarsi e diventare secernenti, e quindi far parte dell' adenomero, oppure come cellule del dotto escretore sempre di una ghiandola esocrina, oppure, nel caso si stia sviluppando una ghiandola endocrina, le cellule che comunicano con l'esterno scompaiono e si origina una ghiandola isolata dall'epitelio di rivestimento. GHIANDOLE ESOCRINE Le ghiandole esocrine possono essere classificate secondo sette criteri fondamentali: il numero delle cellule che le compongono, la localizzazione, la forma dell' adenomero, le ramificazioni dell' adenomero o del dotto escretore, il tipo di prodotto di secrezione e la modalità di secrezione. In base al numero di cellule, le ghiandole possono classificarsi in unicellulari e pluricellulari. L'unico esempio di ghiandola unicellulare è la cellula caliciforme mucipara, che si trova intercalata a cellule epiteliali cilindriche di diverse membrane mucose, come nell'intestino o nelle vie respiratorie. Queste cellule secernono una sostanza composta da glicoproteine e gag, la mucina, che unendosi all'acqua forma il muco. Via via che si formano, i granuli di mucinogeno si accumulano nella porzione apicale della cellula, spingendo sempre di più il nucleo e gli altri organuli alla base dando alla cellula la caratteristica forma a calice. Data l'abbondanza di glicoproteine, queste cellule si mettono in evidenza con la colorazione PAS e talvolta, in base al tipo di gag, possono risultare basofile e metacromatiche. In base alla localizzazione, le ghiandole esocrine possono essere intraparietali o extraparietali. Le ghiandole intraparietali sono presenti a livello della parete dell'organo nel quale riversano il loro secreto, e a seconda se scendono più o meno in profondità possono essere intraepiteliali o esoepiteliali: le prime sono contenute nello spessore dell'epitelio di rivestimento della mucosa, mentre le seconde si approfondano maggiormente, arrivando ad invadere la tonaca propria (ghiandole coriali) o la tonaca sottomucosa (ghiandole sottomucose). Esempi di ghiandole intraparietali sono le cellule caliciformi mucipare e le ghiandole dell'uretra maschile o nell'epididimo. Le ghiandole extraparietali, invece, si trovano al di fuori della parete dell'organo ma a contatto con esso attraverso il dotto escretore. Questa categoria comprende le ghiandole più grandi del nostro corpo come il fegato e il pancreas. Per quanto riguarda la forma dell' adenomero, possiamo distinguere ghiandole tubulari e acinose o alveolari. Le tubulari hanno adenomero a forma di tubo e non c'è distinzione netta tra porzione secernente e porzione escretrice, in quanto ogni cellula produce il secreto e contribuisce a formare il dotto escretore. Le ghiandole tubulari possono essere anche a gomitolo o glomerulari qualora l'estremità distale del tubulo, che funge da unità secernente, risulti avvolta a gomitolo. Di questa categoria fanno parte le ghiandole sudoripare. Nelle ghiandole acinose o alveolari, l' adenomero è separato morfologicamente e funzionalmente dal dotto escretore. L'unità secernente ha la forma di una piccola sfera, con lume più piccolo e parete più spessa nelle acinose e lume più grande e parete più sottile nelle alveolari. Altre categorie di ghiandole esocrine sono distinte in base alle ramificazioni del dotto escretore e dell' adenomero. L' adenomero può essere semplice, quando c'è un'unica unità secernente collegata a un unico dotto escretore, e ramificato, con più unità secernenti collegate sempre a un unico dotto. Il base alla ramificazione del dotto, invece, le ghiandole possono essere semplici o composte. Le ghiandole esocrine semplici hanno adenomeri collegati alla superficie dell'epitelio mediante un solo dotto escretore non ramificato. L' adenomero presente può essere di tutte le forme, tubulare, glomerulare, acinoso o alveolare, e può essere semplice o ramificato. Le ghiandole composte, invece, presentano un dotto escretore principale che si ramifica più volte in condotti con calibro sempre minore che terminano con l' adenomero. In base alla forma dell' adenomero le ghiandole composte possono essere tubulari, acinose, tubulo-acinose o tubulo-alveolari. Per quanto riguarda il prodotto di secrezione, le ghiandole possono essere sierose, mucose o miste. Nelle sierose il prodotto di secrezione è di natura proteica, contiene infatti per lo più enzimi. Il secreto si accumula nella cellula sotto forma di granuli di zimogeno, costituiti da proenzimi contenuti in vescicole delimitate da membrana. Generalmente, la cellula ha il nucleo e gli altri organuli spostati alla base e si colora intensamente perché le proteine resistono molto bene alla fissazione. C'è inoltre, basofilia citoplasmatica per l'abbondanza di reticolo endoplasmatico rugoso. L'esempio tipico di adenomero sieroso è quello del pancreas esocrino che secerne enzimi digestivi. Le ghiandole mucose, invece secernono mucina, una glicoproteina che a contatto con l'acqua forma il muco. La mucina è contenuta nella cellula in granuli di mucinogeno, che non si colora bene con i coloranti istologici dando alla cellula un aspetto piuttosto chiaro. Le ghiandole miste, infine, contengono sia adenomeri sierosi, sia adenomeri mucosi sia adenomeri che producono siero e muco. Gli adenomeri misti sono formati da adenomeri mucosi incappucciati da cellule sierose disposte a formare la cosiddetta semiluna del Giannuzzi. Le cellule della semiluna sono quindi separate dal lume dell' adenomero e il loro secreto viene riversato in capillari di secrezione intercalati tra le cellule mucose. Sono esempi di ghiandole miste, le ghiandole sottomandibolari, salivari e sottolinguali. Ricordiamo anche le cellule mioepiteliali, o a canestro, presenti tra gli adenomeri e la lamina basale delle ghiandole salivari maggiori e minori, lacrimali e bulbo-uretrali. Sono cellule di natura epiteliale, con numerosi prolungamenti che avvolgono le cellule secernenti e contraendosi stimolano il passaggio del secreto dall' adenomero al dotto escretore. L'ultimo criterio di classificazione delle ghiandole esocrine riguarda la modalità di secrezione. A questo proposito, le ghiandole possono essere di tipo olocrino, apocrino e merocrino. Nelle merocrine o eccrine, il tipo più comune, il prodotto di secrezione è immagazzinato in vescicole che riversano il loro contenuto all'esterno per esocitosi, mantenendo la cellula del tutto integra; per secrezione merocrina, ad esempio, sono secrete le proteine del latte dalla ghiandola mammaria. Nelle apocrine il prodotto di secrezione si accumula sottoforma di granuli nella porzione apicale del citoplasma che viene eliminato insieme al secreto come una sorta di gemmazione; un esempio sono i lipidi del latte dalla ghiandola mammaria. Nelle olocrine, infine, si ha il completo disfacimento della cellula che si sfalda completamente nel momento in cui deve rilasciare il prodotto. Un esempio è la ghiandola sebacea. Ghiandole tubulari semplici Le cellule secernenti si dispongono a circoscrivere una struttura tubulare rettilinea nel cui lume riversano il secreto. Non c'è separazione morfologica e funzionale tra porzione secernente e porzione escretrice. Due esempi di questo tipo sono le ghiandole intestinali le ghiandole gastriche. A livello intestinale troviamo le cosiddette cripte del Lieberkuhn, presenti in gran numero nella tonaca propria della mucosa dell'intestino tenue. Si aprono in superficie alla base dei villi intestinali. Fra gli enterociti del loro epitelio sono numerose le cellule caliciformi mucipare e le cellule argentaffini endocrine. Queste ultime producono ormoni quali la gastrina, la pancreozimina, la serotonina ed altri, necessari per il coordinamento delle funzioni digestive. Sul fondo delle ghiandole sono presenti le cellule di Paneth, più specificamente deputate alla sintesi di pochi enzimi proteolitici e lisozima (la grande maggioranza degli enzimi del succo enterico proviene dal pancreas). Nello stomaco, invece, le ghiandole gastriche propriamente dette, del fondo e del corpo, sono le responsabili della digestione gastrica e risultano quindi le più numerose rispetto agli altri tipi ghiandolari presenti. Sono ghiandole tubulari semplici molto allungate, che sboccano a gruppi nelle fossette gastriche, formate da diversi tipi cellulari: le cellule del colletto, di tipo mucoso; le cellule principali o adelomorfe, responsabili della produzione del pepsinogeno, precursore dell'enzima proteolitico pepsina, e della rennina, che facilita la digestione del latte; le cellule parietali o delomòrfe, che producono HCl (che attiva il pepsinogeno) per trasporto attivo di protoni e diffusione di ioni cloro; e infine le cellule endocrine argentaffini, che producono serotonina, che agisce sulla muscolatura liscia inducendo la peristalsi, la gastrina e altri peptidi. Ghiandole tubulari semplici glomerulari L'unità secernente ha la forma di un tubulo piuttosto lungo, la cui porzione distale si avvolge a gomitolo a formare un glomerulo. L'esempio classico è la ghiandola sudoripara, che può essere di tipo eccrino e apocrino. Nelle ghiandole sudoripare eccrine il tubulo sale fino all'epitelio dove si trovano i pori dell'epidermide; si trovano soprattutto sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi. Le ghiandole sudoripare apocrine, invece, hanno il dotto escretore che si apre a livello di un follicolo pilifero e sono abbondanti, ad esempio, sotto le ascelle. In generale, le ghiandole sudoripare hanno una secrezione di tipo regolato, sotto il controllo dell'ipotalamo, una ghiandola endocrina con funzione anche di termoregolazione. Ghiandole acinose o alveolari semplici L' adenomero ha la forma di una sfera. Quelle formate da un solo acino mancano nei mammiferi, che sono invece dotati di ghiandole acinose o alveolari ramificate, quindi con più adenomeri collegati a un solo dotto. Ne sono esempi le ghiandole di Meibomio delle palpebre e le ghiandole sebacee. Ghiandole tubulari ramificate Il dotto escretore riceve due o più tubuli ramificati che costituiscono la porzione secernente. Appartengono a questa categoria le ghiandole del Brunner del duodeno e le ghiandole del dotto dell'utero. Ghiandole tubulari composte Il dotto escretore principale si ramifica ripetutamente in con dotti di calibro progressivamente decrescente, che terminano con adenomeri di forma tubulare. Ne sono esempio le ghiandole mucose pure della cavità orale e le ghiandole bulbo- uretrali. Ghiandole acinose o alveolari composte Presentano adenomeri di forma sferica o sono costituite da dotti escretori ramificati forniti di numerosi diverticoli a forma di acino alle estremità. Ghiandola mammaria A differenza delle altre ghiandole composte, non è circondata da una capsula connettivale perché può aumentare di volume, ad esempio durante l'allattamento, e inoltre i dotti escretori principali, galattofori, sono tanti e indipendenti. Contiene da 15 a 20 lobi ognuno dei quali ha un dotto galattoforo che converge nell'areola del capezzolo. Tra i lobi c'è sia tessuto connettivo che adiposo, che aumenta con l'età. Durante la gravidanza la ghiandola mammaria va incontro a ipertrofia e iperplasia, si ha cioè un aumento di volume delle cellule, e un'ulteriore ramificazione dei dotti, con conseguente aumento di alveoli, il tutto sotto il controllo di ormoni estrogeni e progestinici. Dopo il parto vengono prodotti prolattina e ossitocina: la prolattina, prodotta dall' adenoipofisi, stimola la produzione del latte, mentre l'ossitocina, prodotta dalla neuroipofisi, agisce sulle cellule mioepiteliali che si dispongono a canestro intorno agli alveoli e contraendosi stimolano la fuoriuscita del secreto. Il latte prodotto è formato da una componente proteica e una componente lipidica: le proteine vengono riversate all'esterno tramite esocitosi, quindi per secrezione eccrina, mentre i lipidi vengono espulsi per secrezione apocrina; l'acqua invece passa per diffusione. Ghiandole tubulo-acinose e tubulo-alveolari composte Sono le più comuni, tutte di tipo extraparietale e sono formate da unità secernenti sia di forma tubulare che acinosa o alveolare. L'insieme degli adenomeri e dei dotti escretori forma il parenchima ghiandolare, mentre la componente connettivale in cui decorrono nervi e vasi sanguigni è detta stroma. Lo stroma va a costituire, più superficialmente, una capsula che riveste esternamente l'organo. La capsula poi penetra nel parenchima e lo divide prima in lobi, attraverso i setti interlobari; a loro volta i lobi sono suddivisi in lobuli dai setti interlobulari, sempre di natura stromale, e infine i lobuli contengono al loro interno una rete di connettivo reticolare o stromale che sostiene sia gli adenomeri che la parte terminale dei dotti. È proprio attraverso questi setti che il parenchima è innervato e vascolarizzato anche nelle parti più profonde. In una ghiandola composta, il sistema dei dotti escretori è in stretto rapporto con i setti connettivali. Il dotto escretore principale, infatti, si ramifica inizialmente a formare i condotti lobari ognuno dei quali riceve il prodotto di secrezione del suo lobo. All'interno di ciascun lobo poi, il condotto lobare si ramifica nei dotti interlobulari, in corrispondenza dei setti interlobulari; all'interno del lobulo, ogni dotto interlobulare si divide in più dotti intralobulari, i quali a loro volta si ramificano in numerosi condotti intercalari che terminano con l' adenomero. Tutti i dotti sono rivestiti internamente da un epitelio di rivestimento che nei più grandi è pluristratificato, poi diventa via via più sottile fino a monostratificato. Un'eccezione è rappresentata dalle ghiandole salivari, in cui il condotto intercalare è preceduto da un condotto detto striato, le cui cellule presentano una striatura verticale dovuta alla presenza di numerose invaginazioni della membrana plasmatica, nonché all'abbondanza di mitocondri che insieme favoriscono il passaggio di acqua e ioni. Pancreas È una ghiandola composta da una porzione esocrina con produzione sierosa, e una porzione endocrina, coinvolta nel metabolismo glucidico. L'unità fondamentale della parte esocrina è l'acino pancreatico, di forma sferica, avvolto da lamina basale e costituito da 40-50 cellule acinose che circoscrivono un lume piuttosto piccolo. Le cellule producono zimogeno che non viene accumulato nell' adenomero, proprio per la piccolezza del lume, ma viene subito riversato nel condotto intercalare a diretto contatto con l'acino. Al microscopio le cellule appaiono con il nucleo spostato verso il basso e basofile per l'abbondanza di RE che testimonia l'elevata sintesi proteica; i granuli di zimogeno sono concentrati nella parte apicale, Pancreas È una ghiandola composta da una porzione esocrina con produzione sierosa, e una porzione endocrina, coinvolta nel metabolismo glucidico. L'unità fondamentale della parte esocrina è l'acino pancreatico, di forma sferica, avvolto da lamina basale e costituito da 40-50 cellule acinose che circoscrivono un lume piuttosto piccolo. Le cellule producono zimogeno che non viene accumulato nell' adenomero, proprio per la piccolezza del lume, ma viene subito riversato nel condotto intercalare a diretto contatto con l'acino. Al microscopio le cellule appaiono con il nucleo spostato verso il basso e basofile per l'abbondanza di RE che testimonia l'elevata sintesi proteica; i granuli di zimogeno sono concentrati nella parte apicale, appaiono scuri al microscopio elettronico e più abbondanti nelle ore di digiuno. Questi granuli rilasciano enzimi inattivi per secrezione merocrina, che si attivano nel momento in cui incontrano il cibo, ad esempio la tripsina viene esocitata sotto forma di tripsinogeno. Altre cellule presenti nel pancreas esocrino sono le cellule centroacinose che formano la parete del condotto intercalare fino all'interno dell'acino e sono scarsamente colorabili. Tutti i dotti escretori pancreatici convergono verso il condotto di Wirsung, che percorre tutta la lunghezza del pancreas e rilascia il secreto a livello del duodeno, e il dotto di Santorini, parallelo al Wirsung. Per quanto riguarda il controllo, la secrezione pancreatica è regolata dalla secrezione degli ormoni intestinali secretina e colecistochinina, rilasciati in seguito al passaggio del chimo nel duodeno. La secretina stimola il pancreas a produrre un liquido acquoso, povero di enzimi, ricco di bicarbonato che neutralizza il chimo acido per permettere l'attività degli enzimi digestivi. La colecistochinina, invece, che stimola il rilascio da parte del pancreas di secreti ricchi di enzimi digestivi. Prostata È un altro esempio di ghiandola composta tubulo-acinosa, rappresenta l'annesso ghiandolare più grande dell'apparato riproduttore maschile e si trova a livello dell'uretra. Presenta tre diversi tipi di ghiandole: mucose, a diretto contatto con l'uretra, sottomucose, al di sopra, e principali, periferiche, che insieme producono un liquido importante nella formazione dell'eiaculato. RECETTORI E COMUNICAZIONE TRA CELLULE Segnale endocrino: la ghiandola produce un ormone che poi viene mandato in circolo e agisce su un organo bersaglio a distanza. Segnale paracrino: la cellula produce una sostanza che si diffonde e agisce su cellule nelle immediate vicinanze, azione locale più veloce di quella endocrina. Esempio: M- CSF prodotto dagli osteoblasti e si lega al recettore c-msf sugli osteoclasti. Segnale autocrino: la cellula produce una sostanza che agisce su recettori presenti sulla sua stessa membrana. Esempio: il linfocita T helper secerne interleuchina 2 per la sua maturazione a cellula effettrice che si lega ai recettori presenti sulla sua membrana. Segnalazione a contatto diretto: la cellula mantiene sulla propria membrana la molecola che produce e la espone al recettore su un'altra cellula. Esempio: RANK e RANKL o interazione tra il recettore del linfocita e l'antigene sulla proteina MHC. Sinapsi: per la trasmissione degli impulsi nervosi attraverso il rilascio di neurotrasmettitori. Sono segnalazioni molto più veloci di quelle endocrine (1 ms) così come è più veloce l'eliminazione della molecola segnale, la concentrazione della molecola segnale è di 5X10-4 M contro i 108 dell'ormone. Segnalazione mediante gap junction: canale che mette a diretto contatto i citoplasmi delle cellule adiacenti attraverso i connessone formati da subunità di connessina. Passano ioni, acqua calcio e piccole molecole. La loro apertura è regolata da pH e concentrazione di ioni calcio: se il pH è basso o il calcio è altro il canale è chiuso mentre se il pH è alto e il calcio è basso il canale è aperto. I recettori sono molecole di superficie della membrana o intracellulari che interagiscono con molecole segnale specifiche e stimolano una certa risposta all'interno della cellula. Sono composti da un dominio accettore che riconosce e lega il ligando, e un dominio effettore che trasduce il segnale. La formazione del complesso ormone recettore dipende da: la struttura dell'ormone, che deve essere strutturalmente complementare al recettore; alla concentrazione dell'ormone nel circolo; l'affinità del legame, che riflette l'energia impiegata nella formazione del complesso. I recettori possono essere di superficie, e legano ormoni idrosolubili che non riescono ad attraversare la membrana, o recettori intracellulari, che legano ormoni liposolubili. Recettori intracellulari Si trovano o nel citoplasma o nel nucleo e in ogni caso legano ormoni che intervengono nella trascrizione genica. Il recettore ha un dominio accettore carbossi terminale e un dominio effettore ammino terminale e quando è presente l'ormone, la molecola inibitrice si stacca e il complesso ormonerecettore può entrare nel nucleo. Quando manca l'ormone invece la molecola inibitoria modifica conformazionalmente il recettore impedendogli di entrare nel nucleo. Una volta nel nucleo, il complesso ormone-recettore induce come risposta primaria la trascrizione di alcuni geni che poi stimolano la trascrizione di altri geni come risposta secondaria e così il segnale viene amplificato. Recettori di membrana Sono localizzati sulla membrana plasmatica e interagiscono con ormoni idrosolubili. Esistono tre categorie, tutte con la stessa struttura fondamentale, con un dominio extracellulare, uno transmembrana e uno citosolico. I recettori associati a canali ionici sono recettori che sono contemporaneamente anche canali ionici: quando il ligando si lega determina una modificazione conformazionale che fa aprire il canale e gli ioni che passano rappresentano i secondi messaggeri. Esempi di recettori che sono anche canali ionici si trovano sulla membrana della cellula post-sinaptica in cui il legame col neurotrasmettitore provoca l'apertura del canale, il passaggio di ioni e la conseguente depolarizzazione della membrana. I recettori associati a proteine G sono proteine con una porzione N-terminale che lega l'ormone, una porzione C-terminale che attiva una proteina G intracellulare e sette domini transmembrana. Il primo messaggero è un ligando che quando lega il recettore porta all'aumento di concentrazione di un secondo messaggero che poi trasduce il segnale. I secondi messaggeri più importanti sono il cAMP e gli ioni calcio, che attivano pathway diversi a seconda dell'ormone, del recettore e del tipo cellulare. Il cAMP è prodotto dall'adenilato ciclasi che defosforila e ciclizza una molecola di ATP e la sua concentrazione dipende dall'attività dell'adenilato ciclasi e di una forsfodiesterasi che elimina la ciclizzazione e lo inattiva. La proteina G è una proteina trimerica formata dalle subunità α β e γ, in grado di legare GTP e GDP. Quando lega GDP è inattiva mentre quando il recettore ad essa associato lega il ligando, viene modificato conformazionalmente e interagisce con la proteina G. In particolare l'interazione tra recettore e ptG rende labile il legame con GDP che si stacca lasciando il posto a GTP che legandosi attiva la proteina. A questo punto la porzione α con GTP legato si stacca dalle altre due subunità, diffonde attraverso la membrana e va ad attivare l'adenilato ciclasi che produce cAMP. Questo secondo messaggero a questo punto attiva le PKA: queste sono proteine chinasi formate da quattro subunità, due regolatorie e due catalitiche; quando quattro molecole di cAMP si legano, le subunità regolatorie si staccano e lasciano libere e attive le subunità catalitiche. Il segnale poi viene spento da parte delle fosfoprotein fosfatasi che vanno a defosforilare le proteine fosforilate da PKA. Anche il calcio intracellulare funge da secondo messaggero. La sua concentrazione è più elevata all'esterno della cellula con 10-3 molare rispetto all'interno della cellula con 10-7 molare, e questo equilibrio viene mantenuto grazie a degli antiporti che pompano ioni calcio fuori e ioni sodio dentro e da delle pompe per il calcio ATP dipendenti che possono trovarsi anche sulla membrana del reticolo. Quando il calcio funge da secondo messaggero, l'interazione ormone-recettore innesca dei meccanismi per cui il calcio viene in parte prelevato dall'esterno e in parte dal reticolo. In particolare, il recettore con l'ormone legato attiva la fosfolipasi C che va ad agire sul fosfoinositoldifosfato, un fosfolipide di membrana, scindendolo in inositolo trofosfato e diacilglicerolo. Il diacilglicerolo rimane a livello della membrana e attiva PKC mentre IP3 solubile diffonde nel citoplasma e stimola la fuoriuscita di calcio dal reticolo endoplasmatico. Il calcio interagisce poi con la calmodulina, una proteina dimerica con dei siti di legame per il calcio che permettono poi il legame con altre proteine bersaglio. I recettori collegati a enzimi come ligandi preferenziali hanno i fattori di crescita che stimolano la proliferazione cellulare, come ad esempio VEGF, vascolare e endoteliale, o IGF, simile all'insulina, o EGF, epidermide, FGF, fibroblasti. Sono proteine con un unico dominio transmembrana e possono unirsi in dimeri. La porzione intracellulare è più conservata e contiene un dominio chinasico mentre la porzione extracellulare è molto variabile a seconda del ligando. Quando arriva il ligando, questo si lega su due recettori uguali che dimerizzano e il legame provoca un cambiamento conformazionale per cui il dominio chinasico si attiva e va a fosforilare i residui di tirosina dell'altra subunità, fosforilazione incrociata. Viene a questo punto attivata una GTPasi, come la RAS, una proteina che lega GDP quando è inattiva mentre quando il ligando si lega al recettore, questo interagisce con due proteine che scambiano GDP con GTP attivando RAS. RAS attiva va a sua volta ad attivare una serie di proteine della famiglia delle MAP chinasi, coinvolte nei processi di proliferazione cellulare. Una volta avvenuta la trasduzione del segnale, il recettore deve essere spento e questa disattivazione può avvenire in modi diversi. L'adrenalina, ad esempio, provoca un aumento di cAMP e quindi di PKA e tra le tante cose va anche a fosforilare il recettore per l'adrenalina, disattivandolo. Oppure può essere prodotta l'arrestina, una proteina che si lega al dominio intracellulare del recettore impedendo l'interazione con l'enzima da attivare. Oppure ancora il recettore può essere endocitato nella cellula e poi degradato o riciclato. GHIANDOLE ENDOCRINE Possono essere classificate in base alla loro origine epiteliale e non epiteliale. Della prima categoria fanno parte: adenoipofisi, tiroide, paratiroidi, corticale del surrene, isole di Langherans e gonadi. La seconda categoria invece comprende: neuroipofisi, epifisi, midollare del surrene, rene, placenta e le cellule neuroendocrine dell'intestino. Le ghiandole endocrine si distinguono dalle esocrine per l'assenza di dotto escretore e per la natura del loro secreto, chiamato ormone, che a differenza di quello esocrino, viene riversato direttamente nei capillari sanguigni, sinusoidi e spesso fenestrati, e può raggiungere distretti anche distanti. Le cellule dell'organo bersaglio vengono riconosciute dall'ormone grazie a specifici recettori ormonali, macromolecole proteiche o glicoproteiche di membrana o intracellulari specifiche per ogni determinato ormone. A questo punto viene stimolato un secondo messaggero, di solito ioni calcio o cAMP che induce nelle cellule bersaglio un determinato evento fisiologico. Generalmente i recettori per gli ormoni di natura proteica o glicoproteica, che non passano liberamente la membrana plasmatica, sono molecole transmembrana sulla superficie cellulare, mentre i recettori per gli ormoni steroidei, di natura lipidica che quindi diffondono attraverso il doppio strato lipidico, sono intracellulari, localizzati nel citosol o nel nucleo. Da un punto di vista strutturale le ghiandole endocrine possono organizzarsi in diversi modi: o si raggruppano nidi di cellule secernenti, inframmezzati ai capillari, o si raggruppano in cordoni di cellule verticali sempre adiacenti ai capillari, oppure si organizzano in follicoli, cioè agglomerati sferici di cellule che circoscrivono una cavità contenente l'ormone, tipici della tiroide. In ogni caso, c'è uno stroma connettivale reticolare che sostiene le cellule secernenti. Ipofisi Si trova alla base dell'encefalo, in corrispondenza della sella turcica, una depressione dell'osso sfenoide. È formata da un peduncolo ipofisario che si slarga a formare una struttura globosa ed è in collegamento con l'ipotalamo che ne regola la funzione. Si distingue l' adenoipofisi, o ipofisi anteriore, e la neuroipofisi, o ipofisi posteriore. Adenoipofisi Deriva da una evaginazione dello stomodeo (ectoderma) ed è a sua volta suddivisa in: pars tuberalis con funzione sconosciuta, pars distalis o lobo anteriore, più ampia, e pars intermedia. All'interno della stessa adenoipofisi, in particolare nel lobo anteriore, troviamo diversi tipi cellulari, a dimostrazione dell'eterogeneità delle sostanze prodotte. Ci sono cellule cromatofobe, che non si colorano, e cellule cromofile, acidofile, basofile beta e basofile delta. Le cellule cromofobe sono le corticotrope, che producono pro-opiocortina. Le cellule acidofile possono essere mammotrope o somatotrope, le basofile invece possono essere gonadotrope o tireotrope. Le cellule mammotrope producono prolattina (LTH) che agisce sulla ghiandola mammaria stimolandone lo sviluppo e la successiva produzione di latte, solo dopo il parto, perché durante la gravidanza non è prodotto grazie alla presenza di estrogeni e progestinici. Alla fine dell'allattamento, i granuli di prolattina nell' adenoipofisi sono riassorbiti per autofagia. Le cellule somatotrope producono l'ormone della crescita, o somatotropo, che stimola la crescita dell'apparato scheletrico. In particolare, agisce stimolando il fegato a produrre IGF1 che agisce stimolando la crescita delle cellule cartilaginee. Alcuni tumori dell' adenoipofisi producono una sovraespressione di GH che può portare a gigantismo, mentre se questo ormone è carente si ha nanismo. Le cellule tireotrope producono l'ormone tireotropo o TSH, che agisce a livello della tiroide stimolando la produzione di ormoni tiroidei. Le cellule gonadotrope producono ormoni che agiscono a livello delle gonadi: l'ormone follicolo stimolante, FSH, e l'ormone liuteinizzante, LH. Nelle donne FSH stimola la maturazione del follicolo ovarico, formato dalle cellule della granulosa che contengono l'oocita. Il follicolo cresce fino a metà ciclo quando l' LH stimola l'ovulazione e l'oocita è espulso. La parte restante del follicolo costituisce il corpo luteo che produce progesterone; questo serve per irrobustire le pareti dell'endometrio in modo da renderlo più adatto ad accogliere l'uovo fecondato. Se non c'è fecondazione il corpo luteo viene degradato insieme all'endometrio e si ha la mestruazione. Negli uomini l' FSH agisce sulle cellule del sertoli dei tubuli seminiferi, cellule di origine germinale che nutrono spermatociti e spermatozoi. L' LH, invece, ha i proprio recettori sulle cellule di Lydig nei tubuli che producono testosterone. Le cellule corticotrope, infine, producono pro-opiocortina, un precursore che da origine alla corticotropina o ACTH che stimola la produzione di glucocorticoidi dalla zona fascicolata della corticale del surrene, e alla βlipotropina, che si scinde in γ- lipotropina, ormone stimolante i melanociti, e βendorfina, una morfina endogena. La pars intermedia dell' adenoipofisi umana è poco sviluppata e secerne ormoni quali α-MSH e β-MSH che stimolano la produzione di melanina da parte dei melanociti. Neuroipofisi La neuroipofisi, o ipofisi posteriore, è costituita da tre porzioni: eminenza mediana, peduncolo infundibolare e pars nervosa. A differenza dell' adenoipofisi, non ha funzione di secrezione ma riceve i secreti prodotti dall'ipotalamo, grazie a neuroni secretori i cui corpi cellulari si trovano nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell'ipotalamo mentre le terminazioni assoniche si trovano a livello dell'infundibolo neuroipofisario. Le cellule specifiche neuroipofisarie sono i pituiciti, che formano ammassi cellulari sostenuti da stroma reticolare. Il neurosecreto prodotto dall'ipotalamo e trasferito alla neuroipofisi mediante microesocitosi, è costituito dagli ormoni ossitocina e vasopressina. La vasopressina o adiuretina o ADH agisce a livello del tubulo contorto distale del rene, dove ha il compito di concentrare l'urina, e a livello dell'ansa di Hanle dove ha il compito di riassorbire ioni sodio. Inoltre, ha un ruolo anche nel regolare la pressione arteriosa perché presenta dei recettori anche sulla muscolatura liscia dei vasi, dove provoca vasocostrizione e quindi aumento della pressione. Una patologia legata a questo ormone è il diabete insipido, che può essere centrale o nefragenico. È centrale se dovuto alla carenza di produzione di ADH e porta a sintomi come abbondante escrezione urinaria e disidratazione; è però facilmente curabile somministrando l'ormone antidiuretico in modo esogeno. Il diabete insipido è invece nefragenico se è causato da un'incapacità del rene di rispondere all' ADH, perché ci possono essere, ad esempio, mutazioni del recettore. L'ossitocina, invece, ha due organi target: la ghiandola mammaria e l'utero. Nella ghiandola mammaria stimola l'eiezione del latte grazie all'azione delle cellule mioepiteliali che contraendosi stimolano la fuoriuscita di latte. A livello dell'utero stimola le contrazioni uterine delle fibre muscolari lisce, infatti quando un parto è particolarmente difficile si somministra ossitocina esogena. Per mettere in comunicazione l'ipotalamo e l'ipofisi esiste un particolare sistema di circolazione, il circolo portale ipotalamo-ipofisario, attraverso il quale l'ipotalamo rilascia fattori che regolano la secrezione nell' adenoipofisi in modo più veloce rispetto all'arrivo mediante la circolazione sistemica. Ipotalamo È una porzione del diencefalo e produce ormoni chiamati releasing factors e inhibiting factors: i primi stimolano la secrezione degli ormoni della adenoipofisi, i secondi la inibiscono. Quindi, ad esempio, per l'ormone somatotropo l'ipotalamo produce l' S-RF e l' S-IF, dal rapporto dei quali dipende la concentrazione di somatotropina. Per la prolattina ci sono il P-RF e il P-IF; TSH, LH, FSH e ACTH invece, sono regolati solo dallo stimolante, il T-RF, FSH/LH-RF e C-RF. A loro volta, la produzione e la liberazione di questi fattori di controllo sono regolate da neurotrasmettitori quali norepinefrina, serotonina e dopamina, liberati dalle terminazioni nervose nell'ipotalamo. Pancreas Oltre alla porzione esocrina, il pancreas possiede anche delle porzioni endocrine, rappresentate dalle isole di Langherans, distribuite in tutta la struttura della ghiandola, che rappresentano circa il 2% di tutto il pancreas. Queste isole sono costituite da cordoni di cellule circondati da una rete connettivale e vasi sanguigni in cui viene riversato il secreto. Riguardo all'origine, il pancreas endocrino si sviluppa nell'embrione, per gemmazione dei dotti della porzione esocrina, ma poi la connessione scompare e si differenziano come ghiandole endocrine. All'interno di ogni isola, l'eterogeneità della colorazione ci testimonia la diversità dei tipi cellulari presenti. Possiamo, infatti, trovare quattro tipi di cellule differenti: cellule β, che rappresentano il 75% delle cellule totali e producono insulina, cellule α, al 20% che producono glucagone, cellule PP o ϕ, che producono l'ormone pancreatico e cellule δ, che producono somatostatina. Insulina È un ormone peptidico, che quindi riconosce un recettore associato ad enzima. Viene sintetizzata come pre-insulina che assume una struttura secondaria con ponti disolfuro intercatena, successivamente viene rimosso un peptide di connessione che porterà ad un ormone formato da due subunità legate da due ponti disolfuro. Per quanto riguarda la sua funzione, l'insulina agisce a livello del metabolismo glucidico sostanzialmente come ormone ipoglicemizzante. L'insulina infatti abbassa i livelli di glucosio nel sangue da un lato diminuendo la glicogenolisi e la gluconeogenesi e dall'altro, aumentando la glicogenosintesi del fegato, la sintesi di acidi grassi a partire dal glucosio e la sintesi proteica. Una carenza di insulina porta a diabete, una patologia caratterizzata da eccesso di glucosio nel sangue, poliuria e disidratazione, rapido calo ponderale e aumento del metabolismo lipidico con formazione di corpi chetonici. Gli affetti da diabete presentano isole di Langherans con tessuto fibrotico e cellule morte. Il diabete senile, invece, può insorgere verso i 50 60 anni e non è dovuto a una carenza di insulina, che viene prodotta regolarmente, ma ai recettori per l'ormone che diventano insensibili e resistenti. Al contrario, un eccesso di insulina provoca iperinsulinismo, dovuto, ad esempio,a tumori ipersecernenti delle cellule β. Glucagone Anche il glucagone agisce sul metabolismo glucidico con azione contraria all'insulina: aumenta i livelli di glucosio nel sangue stimolando la glicogenolisi, la gluconeogenesi e la sintesi surrenalica di catecolammine e inibendo la glicogenosintesi. Somatostatina La sua secrezione è stimolata dall'aumento di glucosio, aminoacidi e acidi grassi dopo i pasti. Agisce diminuendo la secrezione di insulina e glucagone e diminuendo la motilità di stomaco, intestino tenue e colecisti, riducendo la capacità di assorbimento dei cibi. Inoltre, coincide con l' S-IF, quindi blocca anche la secrezione di ormone somatotropo. Tiroide È una piccola ghiandola posta al di sotto della laringe di circa 20-30 grammi di peso. È formata da un lobo destro e uno sinistro collegati dall'istmo tiroideo, e circa un terzo degli individui presenta anche un terzo lobo più piccolo sopra l'istmo. È avvolta da una capsula connettivale ed ha la caratteristica unica di avere un'organizzazione follicolare, cioè è formata non da cordoni o nidi di cellule ma da follicoli sparsi tra i setti connettivali. Ogni follicolo è circolare, circondato da lamina basale e circoscritto da un epitelio monostratificato cubico che in attività diventa di tipo cilindrico. Il lume circoscritto contiene colloide, una sostanza omogenea e gelatinosa che funge da forma di immagazzinamento dei suoi ormoni e si colora con coloranti diversi a seconda dell'attività e dal grado di acqua che contiene. La colloide non contiene l'ormone attivo ma una forma simile a un pre-ormone inattivo, la tireoglobulina, una glicoproteina contenente vari aminoacidi iodati. Quando l' adenoipofisi rilascia il TSH, l'ormone stimolante la tiroide appunto, questo va ad agire stimolando l'endocitosi della tireoglobulina presente nel lume nelle cellule follicolari all'interno delle quali le vescicole di endocitosi si fondono con i lisosomi e alcuni enzimi lisosomali scindono il precursore in tiroxina e triiodotironina, gli ormoni T4 e T3. In particolare, all'interno delle cellule, la tirosina prodotta dalla tireoglobulina viene modificata per l'aggiunta di 3 o 4 atomi di iodio grazie all'attività di enzimi diversi. Il primo e il secondo atomo di iodio vengono aggiunti dalla tireoperossidasi, che produce prima monoiodotirosina, MIT e poi diiodotirosina, DIT. Dall'unione di MIT più DIT si ottiene T3, mentre unendo DIT e DIT si ottiene T4. Per ottenere, invece, T3 da T4 la desiosidasi toglie uno iodio. Una volta formati, i due ormoni vengono rilasciati nel sangue dove circolano in associazione alle TBG, le thyroxin binding globulins. Da un punto di vista funzionale, gli ormoni tiroidei risultano importantissimi in quanto svolgono numerose funzioni diverse: intervengono nello sviluppo del sistema nervoso centrale nel feto e nelle fasi postnatali, contribuiscono all'accrescimento corporeo del bambino, hanno un'azione termogenica in quanto permettono la produzione di calore, intervengono nel metabolismo glucidico aumentando la glicogenolisi e la gluconeogenesi, nel metabolismo lipidico la lipolisi e la sintesi degli acidi grassi e aumentando anche la sintesi proteica con effetto trofico nel muscolo, infine, aumentano il metabolismo ossidativo mitocondriale e tutti gli enzimi respiratori. Più frequenti nella donna che nell'uomo sono le patologie della tiroide, che possono consistere in ipertiroidismo, ipotiroidismo, tiroiditi o tumori. L'ipertiroidismo consiste in una iperproduzione di T3 e T4 dovuta ad una stimolazione costitutiva dei recettori del TSH. Come conseguenze può provocare il morbo di Basedow o il gozzo tossico uni o plurinodulare. Nel morbo di Basedow è tutta la ghiandola ad essere danneggiata mentre nell'uni o plurinodulare sono solo uno più noduli della tiroide a produrre ormoni svincolati dal controllo ipotalamo-ipofisi. I sintomi sono simili per entrambe le forme: gozzo, esoftalmo, irritabilità, insonnia, sudorazione eccessiva, perdita di peso ecc. L'ipotiroidismo, al contrario, consiste in una ridotta produzione di ormoni tiroidei o mancata utilizzazione di essi. Può essere dovuta a carenza di iodio nella dieta, a patologie ipofisarie che riducono la produzione di TSH, a una sufficiente produzione di T4 ma mancata conversione in T3 per mutazioni a livello della desiodasi oppure a una mancata conversione della tireoglobulina in T3 e T4. I sintomi sono sonnolenza, depressione, assenza di memoria, lentezza nei processi mentali, ritenzione idrica ecc. Le tiroiditi, invece, portano alla distruzione della ghiandola; quella di Hashimoto è una malattia autoimmunitaria in cui l'organismo produce anticorpi anti-tiroide. Spesso i soggetti affetti risultano ipertiroidei perché le cellule distrutte rilasciano molti ormoni ma subito dopo risultano ipotiroidee perché gli ormoni non vengono prodotti più. Oltre alle cellule follicolari, sono da ricordare le cellule C o parafollicolari, che derivano dall'ultima tasca branchiale, poggiano sempre sulla lamina basale ma non delimitano il lume del follicolo e secernono calcitonina. Questo ormone polipeptidico ha effetto ipocalcemizzante in quanto agisce sugli osteoclasti inibendone il riassorbimento osseo. Paratiroidi Sono generalmente due paia di ghiandole, una derivante dalla terza e una dalla quarta tasca branchiale, poste nella parte posteriore del collo attaccate ai due lobi della tiroide attraverso un connettivo lasso. Sono circondate da una capsula connettivale che entra nella ghiandola sottoforma di setti vascolarizzati e innervati e la divide in più lobi. Essendo delle ghiandole, il parenchima è epiteliale ma contiene anche degli adipociti che aumentano di numero con l'età. La struttura paratiroidea è costituita da cordoni cellulari nei quali è possibile distinguere due tipi di cellule: le cellule principali e le cellule ossifile. Le cellule principali sono le più abbondanti, abbastanza piccole con diametro di circa 6-8 micron di forma poligonale con nucleo centrale e deputate alla sintesi e secrezione del paratormone. Le cellule ossifile sono meno numerose, più grandi con citoplasma intensamente eosinofilo e ricco di mitocondri. Il paratormone secreto dalle cellule principali ha la funzione di mantenere l'equilibrio di calcio nel sangue, andando ad agire in tutti quei distretti, come osso, rene e intestino, dove è necessaria l'azione del calcio, entrando direttamente nel suo metabolismo. È un polipeptide che viene sintetizzato prima come ormone preproparatiroideo di 115 aa, poi nel reticolo endoplasmatico rugoso viene convertito in ormone proparatiroideo di 90 aa e infine nel golgi diventa ormone paratiroideo maturo di 84 aa. Di questi 84, soltanto 16 posti all'estremità carbossilica sono biologicamente attivi. Una volta raggiunta la cellula bersaglio, indipendentemente dal tipo di tessuto, si lega a recettori legati a proteine G e porta all'attivazione del cAMP come secondo messaggero. In particolare nell'osso, mentre la calcitonina agisce inibendo l'attività degli osteoclasti, il paratormone stimola il riassorbimento osseo con il conseguente rilascio di calcio dalla matrice. Nel rene invece aumenta l'escrezione di fosfato e diminuisce quella del calcio agendo a livello del tubulo contorto distale. Inoltre, agisce anche sulla regolazione del metabolismo della vitamina D, la quale permette l'assorbimento di calcio a livello intestinale. Nell'organismo il metabolismo della vitamina D è caratterizzato da una prima idrossilazione a livello del fegato e diventa 25-idrossi-vitaminaD3 poi subisce una seconda idrossilazione nel rene grazie proprio al paratormone che stimola la 1-α-idrossilasi la quale lega il secondo OH e forma l'1-25diidrossi vitaminaD3. Questa molecola ora torna in circolo e agisce sull'intestino facendo aumentare l'assorbimento di calcio e fosfato. Per quanto riguarda le patologie correlate al PTH abbiamo iperparatiroidismo primario e secondario. Il primario è una malattia in cui aumentano i valori di PTH circolante e di conseguenza quelli della calcemia. Comporta rarefazione ossea e tendenza a sviluppare calcoli renali nonché ipertrofia delle cellule paratiroidee. L'ipertiroidismo secondario invece non è associato direttamente alle paratiroidi ma è in relazione ad altri fattori come rachitismo o patologie renali. Surrene È una ghiandola pari posta sopra i reni. È costituito da una corticale del surrene, periferica, che rappresenta circa il 75% del totale della ghiandola, e una midollare del surrene, centrale, che rappresenta il restante 25%. Le due parti differiscono per origine, morfologia e funzionalità. Corticale La corticale deriva dal mesoderma, quindi ha origine epiteliale, ed è composta da tre zone distinte: la zona glomerulare la zona fascicolata e la zona reticolare che si distinguono per la disposizione degli ammassi di cellule. Nella glomerulare, subito al di sotto della capsula connettivale, i cordoni si raggruppano in grappoli; nella fascicolata, più chiara per l'abbondanza di lipidi, i cordoni si dispongono in maniera radiale, paralleli tra di loro, caratteristici di questa zona sono i mitocondri sferoidali con creste tubulari; nella reticolare invece i cordoni formano dei reticoli che si anastomizzano fra di loro. Gli ormoni prodotti dalle tre zone sono ovviamente diversi: la zona glomerulare produce mineralcorticoidi, la fascicolata glucocorticoidi e la reticolare androgeni, tutti sintetizzati a partire dal colesterolo. Dei mineralcorticoidi ricordiamo l'aldosterone, un ormone che agisce a livello renale aumentando l'escrezione di potassio e il riassorbimento di sodio. In caso di concentrazione elevata di potassio o bassa di sodio nel sangue, si attiva la renina, prodotta dai reni, che stimola la produzione di angiotensina2 a partire da angiotensinogeno; l'angiotensina2 stimola la produzione di aldosterone che agisce sui tubuli renali favorendo il riassorbimento di sodio e acqua dall'urina contemporaneamente alla secrezione di potassio nel tubulo. Della famiglia dei glucocorticoidi, invece, fa parte il cortisolo, o cortisone, che agisce sul metabolismo dei glucidi in modo opposto all'insulina, va cioè a stimolare la gluconeogenesi in modo da aumentare la concentrazione di glucosio disponibile per dare energia in condizioni di stress. La produzione di cortisolo viene stimolata dall' ACTH prodotto dall' adenoipofisi. Gli androgeni, infine, fanno parte della famiglia degli ormoni sessuali e comprendono il deidroepiandrosterone DEA, il deidroepiandrosterone solfato DEAS, l'androsteredione e il testosterone, ormoni di immagazzinamento che stimolano e controllano lo sviluppo ed il mantenimento delle caratteristiche maschili. Midollare È costituita da grosse cellule epitelioidi, dette cellule cromaffini, raccolte in corti cordoni in stretta connessione con i capillari sanguigni ed evidenziabili con coloranti contenenti sali di cromo. Derivano dal neuroectoderma e sono innervate da fibre pregangliari simpatiche che inviano impulsi nervosi colinergici e stimolano le cellule a produrre catecolammine, cioè adrenalina e noradrenalina. Questi ormoni sono contenuti in cellule diverse ma in entrambi i casi sottoforma di granuli citoplasmatici elettrondensi e circondati da membrana. L'adrenalina, o epinefrina, è attivata in condizioni di stress e agisce a diversi livelli: nell'encefalo aumenta il livello di vigilanza e concentrazione, nel sistema cardiovascolare aumenta la frequenza e la gittata cardiaca quindi anche il flusso sanguigno e nel fegato aumenta il rilascio di glucosio per fornire ATP. La noradrenalina invece o norepinefrina viene prodotta anche nell'encefalo e nel sistema nervoso periferico dove funge da neurotrasmettitore ma come ormone aumenta la pressione arteriosa per costrizione dei vasi sanguigni periferici. Ovaio È una ghiandola pari, simmetrica, situata a fianco dell'utero, la cui funzione ormonale è svolta dalle cellule della granulosa, che si dispongono a strati a livello del follicolo e hanno la funzione di nutrire l'oocita. Sono le uniche cellule che hanno i recettori per l' FSH, prodotto dall' adenoipofisi, che stimola la maturazione del follicolo ovarico e la produzione di estrogeni. Sempre nel follicolo ci sono le cellule della teca interna che presentano i recettori per l'LH, ormone prodotto sempre dall' adenoipofisi che stimola queste cellule a produrre testosterone. Questo passa poi dalle cellule della teca interna alle cellule della granulosa dove viene convertito in estradiolo dall'aromatasi. Una volta avvenuta l'ovulazione, ciò che rimane del follicolo, il corpo luteo, produce progesterone, il quale permette la creazione delle condizioni adatte alla fecondazione della cellula uovo e al suo annidamento nell'endometrio. Se la cellula uovo non viene fecondata il corpo luteo degenera e si riducono il livelli di progesterone. Testicolo La funzione endocrina del testicolo è svolta dalle cellule di Leydig, poste accanto ai tubuli seminiferi, con nucleo tondeggiante e citoplasma granuloso eosinofilo. Se stimolate dall' LH prodotto dall' adenoipofisi secernono il testosterone, deputato allo sviluppo degli organi sessuali e dei caratteri sessuali secondari. TESSUTO CONNETTIVO I tessuti connettivi devono il loro nome alla loro capacità di connettere strutturalmente e funzionalmente tra loro tessuti diversi nella formazione degli organi. È possibile distinguere i connettivi propriamente detti dai connettivi speciali. La prima classe comprende i tessuti connettivi lasso, denso regolare e irregolare, reticolare ed elastico, mentre tra i connettivi speciali troviamo il tessuto adiposo, il tessuto cartilagineo, il tessuto osseo e il sangue. Tutti i tessuti connettivi sono accomunati dalla stessa origine: derivano dal mesenchima, cioè il tessuto connettivo embrionale che si forma dal mesoderma, uno dei tre foglietti embrionali oltre all'endoderma e l' ectoderma. La cellula mesenchimale è una cellula staminale pluripotente che può differenziarsi in molti tipi di cellule connettivali, come fibroblasti, mastociti, cellule adipose, condroblasti ecc. Le funzioni dei tessuti connettivi sono molteplici: di connessione dei vari tessuti di un organo, di supporto meccanico soprattutto in osso e cartilagine, di trasporto di sostanze nutritive, gas, ormoni, di difesa in quanto le cellule dell'immunità agiscono nei connettivi, di deposito di sostanze come fattori di crescita, citochine, e altri fattori di regolazione delle cellule, e infine ha anche la funzione di indurre la rigenerazione propria e di altri tessuti. MATRICE EXTRACELLULARE Strutturalmente, tutti i tessuti connettivi differiscono dagli epiteli per l'abbondanza di matrice extracellulare interposta tra le cellule, che costituisce una parte fondamentale prodotta dalle cellule stesse ed è formata da due componenti principali, una componente fibrosa e una matrice amorfa o sostanza fondamentale. Componente fibrosa La componente fibrillare della MEC comprende tre categorie di fibre: collagene, reticolari ed elastiche, di cui le prime due rappresentano solo modi diversi di aggregazione della stessa molecola di tropocollagene. Collagene fibrillare Rappresenta la proteina più diffusa nel nostro organismo, forma delle fibre presenti in tutti i connettivi strettamente connesse con le cellule. Le fibre collagene hanno un diametro compreso tra 1 e 12 micron, più spesse nel derma; sono acidofile, resistenti agli acidi e basi deboli e specificamente digerite dall'enzima collagenasi; se bollite subiscono denaturazione e assumono una consistenza gelatinosa; sono flessibili, molto poco estensibili e offrono una grande resistenza alla trazione. Esaminate a fresco hanno un colorito biancastro e sono perciò dette fibre bianche. Ogni fibra rappresenta una struttura organizzata a più livelli: è infatti formata da fibrille più sottili con diametro tra 0.2 e 0.3 micron, disposte parallelamente tra di loro e tenute insieme da un materiale amorfo. Si colorano con coloranti acidi e sono debolmente PAS positive. Sono molto regolari e la loro caratteristica principale è una periodicità assile con periodo di 67 nm: al microscopio a luce polarizzata presentano infatti una birifrangenza di forma dovuta alla loro periodica e regolare striatura trasversale. Questa striatura dimostra come anche le fibrille siano a loro volta composte da strutture più sottili, cioè le molecole di tropocollagene. Ogni molecola di tropocollagene ha un peso di circa 300 kD ed è costituita da tre catene α uguali o diverse tra di loro che si associano a formare una tripla elica destrorsa. Solitamente, per il collagene di tipo I, che rappresenta il 90% del collagene totale, sono presenti due catene alfa 1 ed una catena alfa 2. Ciascuna delle tre catene risulta come ripetizione dell'unità tripeptidica fondamentale del collagene Gly- X-Y che implica la presenza di un residuo di glicina ogni 3 amminoacidi di cui x e y sono spesso prolina e idrossiprolina. Le tre catene sono tenute insieme da legami idrogeno intramolecolari e le triple eliche, lunghe circa 280 nm, sono tra loro connesse termino-terminalmente, testa coda, e latero-lateralmente, cioè parallelamente, a formare le fibrille; l'associazione testa-coda non prevede legami ma uno spazio di 67 nm corrispondente al periodo del bandeggio mentre nello spazio latero-laterale le due molecole sono connesse grazie ai legami crociati covalenti intermolecolari tra idrossilisine che contribuiscono alla forte resistenza alla trazione tipica del collagene. Si possono distinguere tre tipi di collagene diversi: fibrillari, reticolari e associati a fibrille. Il più abbondante, quello di tipo I, è fibrillare e si trova abbondantemente in ossa, tendini, derma e denti. Gli altri collageni fibrillari sono il II, tipico della cartilagine, il III e il V. I collageni associati a fibrille invece, tipi IX e XII, sono costituiti da molecole con tripla elica interrotta da domini non elicoidali che si associano alle fibrille per organizzarne la struttura tridimensionale. I collageni reticolari, IV VIII e X, non formano fibrille ma maglie intrecciate che servono per l'ancoraggio delle cellule. La fibrillogenesi è un processo complesso a più tappe operato da tipi cellulari diversi, in particolar modo fibroblasti, osteoblasti e condroblasti. La molecola nasce come procollagene, un precursore con telopeptidi C ed N-terminali globulari che ne impediscono l'assemblaggio all'interno della cellula. Una volta sintetizzato a livello del reticolo endoplasmatico rugoso, il procollagene subisce diverse modificazioni quali la rimozione del peptide segnale, l'idrossilazione di alcune proline e lisine e la glicosilazione delle idrossilisine. Da sottolineare l'importanza dell'acido ascorbico nel processo di idrossilazione che rende la molecola più stabile nell'assemblaggio della tripla elica; una carenza di vitamina C porta allo scorbuto, che provoca fragilità delle pareti dei vasi, della pelle, caduta dei denti ecc. Una volta assemblate grazie alla formazione di ponti disolfuro alle estremità C- terminali, le triple eliche vengono esocitate dalla cellula e attaccate da procollagene peptidasi che ne tagliano i telomeri trasformandole in molecole di tropocollagene maturo. A questo punto più molecole si assemblano a formare le fibrille che possono o rimanere isolate tra loro o associarsi in fasci più spessi. Fibre reticolari Un tipico esempio di fibra reticolare è rappresentato dal collagene di tipo III, particolarmente presente nel connettivo lasso di tonache sierose, nella parete dei vasi, nel tessuto adiposo, negli organi linfoidi e mieloidi ecc. A differenza del collagene fibrillare, queste fibrille si anastomizzano tra loro formando un intreccio ramificato, con fibre sottili e con ampi spazi occupati da matrice amorfa. Da un punto di vista istologico per il loro minor grado di aggregazione non è visibile la striatura trasversale e per il loro ridotto spessore risultano scarsamente colorabili se non con il metodo dell'impregnazione argentica. Fibre elastiche A differenza del collagene, le fibre elastiche sono estensibili e si accumulano maggiormente nel tessuto elastico, un tipo di connettivo con la capacità di distendersi sotto l'azione di una forza e di tornare alla forma originaria quando la forza cessa. Abbondano a livello della tonaca elastica delle arterie, nei tendini e nella cartilagine elastica. I componenti principali sono l'elastina, che costituisce la parte amorfa, e la fibrillina che forma le microfibrille; l'elastina non è altro che il risultato della polimerizzazione di molecole di tropoelastina, proteine non glicosilate, con abbondanza di residui di glicina e altri amminoacidi idrofobici. Anche in questo caso una volta secreta dalla cellula si formano dei legami crociati che danno origine a strutture tridimensionali altamente elastiche. Matrice amorfa Le fibre e le cellule dei tessuti connettivi sono immersi in una sostanza intercellulare chiamata matrice amorfa. Essa è costituita principalmente da glicosamminoglicani, proteoglicani e glicoproteine di adesione, tutte macromolecole a scarsa densità che conferiscono alla matrice un indice di rifrazione simile all'acqua e la rendono invisibile nei preparati a fresco e poco evidenziabile anche nei preparati istologici. Una caratteristica fondamentale della matrice amorfa è la sua capacità di assorbire acqua in quantità variabili. È proprio quest'acqua con i gas e altre sostanze disciolte, che forma il liquido interstiziale, cioè il mezzo disperdente di diffusione di gas e metaboliti dai capillari alle cellule e viceversa. I GAG sono i costituenti fondamentali della matrice amorfa: sono lunghi polisaccaridi lineari costituiti da unità disaccaridiche ripetute numerose volte formate da un acido uronico e un amminozucchero, spesso solforato. È grazie al loro elevato contenuto di gruppi anionici che i GAG risultano intensamente basofili e riescono a catturare molte molecole d'acqua che formeranno il liquido interstiziale. Il GAG più grande è l'acido ialuronico, l'unico in grado di rimanere libero nella matrice; tutti gli altri GAG infatti, si associano covalentemente a proteine diverse a formare i proteoglicani. I proteoglicani sono macromolecole formate da una lunga proteina centrale alla quale sono legati da uno a moltissimi GAG tramite dei tetrasaccaridi di connessione uniti a livello di specifici residui di serina. La proteina centrale può possedere un dominio transmembrana e va quindi a costituire un proteoglicano di superficie, oppure se non lo possiede rimane libero nella matrice amorfa. Più proteoglicani possono poi unirsi ad una molecola di acido ialuronico centrale tramite proteine linker a formare un complesso macromolecolare definito aggregato proteglicanico. Lamina basale La lamina basale è un sottile strato di matrice interposto principalmente tra il tessuto connettivo e gli epiteli ma presente anche intorno a cellule nervose e muscolari. È priva di cellule, metacromatica e PAS positiva ed è formata da macromolecole specifiche quali collagene di tipo IV, laminina, fibronectina, perlecano, enactina e altre. Tra queste, la laminina e la fibronectina sono proteine adesive che legano da una parte le integrine della superficie cellulare e dall'altra il collagene, l'eparan solfato e l'enactina fungendo da ponte che connette saldamente l'epitelio al connettivo sottostante. CONNETTIVI PROPRIAMENTE DETTI Tra i connettivi propriamente detti distinguiamo: il connettivo lasso, il connettivo denso, il connettivo elastico e il connettivo reticolare. CONNETTIVO LASSO È un tipo di tessuto caratterizzato da abbondante sostanza amorfa che prevale sulla componente fibrosa e cellulare. Il tessuto connettivo lasso forma le tonache proprie, sottomucose e avventizie degli organi cavi, contribuendo quindi alla costituzione della loro parete; la tonaca propria fornisce supporto e nutrimento all'epitelio; forma la tonaca intima e avventizia delle arterie e delle vene e inoltre, avvolge tutti gli organi parenchimatosi e si insinua sottoforma di setti nel parenchima stesso, andando a costituire lo stroma. Infine, circonda muscoli e nervi e penetra nel loro interno andando ad avvolgere i singoli fasci muscolari e fibre nervose. Il tessuto connettivo lasso compare già in fase embrionale: in esso infatti sono immersi i vasi ombelicali, due arterie che trasportano sangue consumato e una vena con sangue ossigenato, che attraverso il cordone ombelicale collegano la placenta al feto. Anche il mesenchima dell'embrione è un connettivo lasso ricco di cellule pluripotenti. CONNETTIVO DENSO È un tessuto in cui la componente fibrosa predomina su quella cellulare e amorfa; le fibre, soprattutto collagene, sono raccolte in grossi fasci che possono disporsi tra loro in modo casuale e disordinato oppure seguire un andamento parallelo e ordinato. In base a ciò, possiamo distinguere un connettivo denso regolare e un connettivo denso irregolare. In ogni caso per questo tessuto prevalgono le proprietà meccaniche rispetto a quelle di difesa e nutrimento, è costituito prevalentemente da collagene di tipo I anche se sono spesso presenti fibre elastiche, soprattutto nel derma. Connettivo denso irregolare. Questa varietà è riscontrabile nel derma, nella capsula fibrosa che avvolge molti organi come milza, linfonodi e fegato, nelle guaine dei tendini e dei grossi nervi e nel periostio. I fasci di fibre collagene sono intrecciati e decorrono in tutte le direzioni spesso accompagnati da reti elastiche. Gli elementi cellulari, rappresentati quasi esclusivamente da fibroblasti, sono scarsi così come la sostanza amorfa. Il derma può essere considerato l'esempio tipico di connettivo denso irregolare: è un tessuto molto spesso, innervato e vascolarizzato che ci protegge dai traumi dell'ambiente esterno. Contiene adipociti e risulta abbastanza elastico perché le fibre sono ondulate e irregolari. Connettivo denso regolare. Lo troviamo nelle strutture sottoposte a trazione in una direzione prevalente come tendini, legamenti e aponeurosi, dove i fasci sono strettamente stipati tra loro e decorrono paralleli tutti nella stessa direzione, impedendone l'allungamento. La sostanza amorfa è molto scarsa e le uniche cellule presenti sono fibroblasti, tutti orientati con il loro asse maggiore longitudinalmente all'asse delle fibre. Il connettivo denso regolare è anche presente nella cornea e nella membrana del timpano, dove troviamo diversi strati di fibre sempre molto regolari ma orientati alternativamente tra loro: uno strato trasversali e quello dopo longitudinali. Questo fa si che la cornea sia trasparente e il timpano sia ben teso per vibrare. CONNETTIVO ELASTICO È ricco di fibre di elastina ondulate che lo rendono estensibile, è presente soprattutto nella tonaca media delle arterie elastiche dove forma delle membrane che si distendono al passaggio del sangue per poi rilassarsi successivamente permettendo al sangue di fluire continuamente. CONNETTIVO RETICOLARE Le fibre sono formate da collagene di tipo III con tre alfa eliche uguali tra di loro; il collagene non è organizzato in fibre ma come fibrille isolate che formano una rete tridimensionale che fa da supporto alle cellule parenchimatose. Tra le fibre sono abbondanti i fibroblasti e i macrofagi. CELLULE DEL CONNETTIVO Classifichiamo le cellule dei tessuti connettivi in residenti e non residenti. Le cellule residenti sono quelle che completano tutto il loro ciclo vitale nel connettivo stesso e sono: fibroblasti, macrofagi, mastociti e cellule adipose. Le cellule non residenti invece viaggiano nel sangue e sono solo di passaggio nel tessuto connettivo, questa classe comprende solo i leucociti. Fibroblasti Sono gli elementi cellulari più abbondanti del tessuto connettivo propriamente detto e hanno la funzione principale di produrre tutte le componenti fibrose e amorfe della matrice extracellulare, come tropocollagene, proteoglicani e glicoproteine. Morfologicamente appaiono con nucleo chiaro e abbondante citoplasma che testimoniano l'intensa attività sintetica della cellula, in particolare durante lo sviluppo prenatale, l'accrescimento e nei siti di cicatrizzazione delle ferite. In alcune sedi (denso regolare) assumono forma fusata e si dispongono lungo i fasci di fibre collagene, in altre hanno forma stellata con numerosi prolungamenti ed estroflessioni citoplasmatiche con cui aderiscono alle fibre mediante integrine specifiche, come l' α2β1. Come le altre cellule del connettivo, anche i fibroblasti hanno origine dalle cellule mesenchimali, ma hanno anche la capacità di transdifferenziarsi, cioè una volta differenziate possono dare origine a cellule diverse come adipociti, osteoblasti, condrociti o cellule muscolari. Macrofagi Rappresentano la seconda classe cellulare più numerosa dei connettivi, derivano dai monociti del sangue circolante e svolgono un ruolo fondamentale nei processi di difesa essendo dotati di un'intensa attività fagocitaria. Quando sono quiescenti, inattivi, sono indistinguibili dai fibroblasti, avendo anch'essi forma stellata con espansioni citoplasmatiche con cui aderiscono alle fibre. Per distinguere i due tipi cellulari si utilizza il metodo della granulopessia o colorazione vitale: solamente le cellule con attività fagocitaria, quindi solo i macrofagi, si colorano mentre i fibroblasti no. In caso di infiammazione, i macrofagi sono stimolati ed attivati, si staccano dalle fibre collagene e acquistano elevata motilità e attività fagocitaria, il citoplasma aumenta di volume e si riempie di vacuoli di materiale ingerito e lisosomi. In particolare si parla di fagocitosi immunitaria quando ad essere ingeriti sono dei batteri: la cellula emette degli pseudopodi, ossia prolungamenti citoplasmatici che circondano il batterio e lo introducono nella cellula all'interno di un fagosoma. In realtà l'attività fagocitaria dei macrofagi non si esplica solo nei confronti di batteri ma anche di cellule morte, detriti cellulari, cellule tumorali e altri corpi estranei che si formano nei processi di infiammazione. In ogni caso il materiale ingerito è poi digerito dagli enzimi lisosomali e le sostanze residue sono espulse dalla cellula. Quando più macrofagi si trovano di fronte un corpuscolo troppo grande, si fondono insieme a formare la cosiddetta cellula gigante da corpo estraneo, cioè un complesso polinucleato che può contenere fino a 80-90 nuclei. Nelle aree di infiammazione i macrofagi aumentano considerevolmente di numero per proliferazione locale, attrazione di altri macrofagi da aree vicine e migrazione di monociti da vasi sanguigni, grazie alla produzione di ossido di azoto e prostaglandine, che provocano vasodilatazione e favoriscono quindi l'arrivo di altre cellule nel sito di infiammazione. Una volta riconosciuti e fagocitati, gli antigeni vengono poi presentati alle cellule immunocompetenti, quindi i macrofagi partecipano indirettamente alla produzione di anticorpi. Nel polmone, i macrofagi formano le cosiddette cellule della polvere che ingeriscono il pulviscolo atmosferico e lo depositano sulla parete degli alveoli. Nella milza invece contribuiscono alla funzione emocateretica riconoscendo i globuli rossi invecchiati, distruggendoli e riciclandone il ferro in essi contenuto. Mastociti Sono cellule voluminose, con diametro fino a 30 micron, di forma tondeggiante e nucleo centrale. Sono facilmente riconoscibili al microscopio per il loro elevato contenuto di granuli elettrondensi, fortemente basofili e metacromatici. Si tratta di vescicole circondate da membrana, destinate alla secrezione contenenti due sostanze fisiologicamente importanti l'eparina e l'istamina. L'eparina è un GAG solforato che inseme ad una proteina forma un proteoglicano ad elevato peso molecolare; ha azione anticoagulante e per la sua elevata carica negativa è responsabile della basofilia dei granuli. L'istamina invece è il prodotto di decarbossilazione dell'istidina e grazie alla sua azione vasodilatatrice aumenta la permeabilità dei capillari. La cellula rilascia all'esterno il contenuto dei granuli in un processo noto come degranulazione, innescato dalla presenza di allergeni. In particolare, in seguito ad una prima esposizione ad un antigene, alcune plasmacellule secernono immunoglobuline E che si vanno a legare su specifici recettori sulla membrana dei mastociti; in seguito poi ad una seconda esposizione, le IgE di superficie riconoscono e legano l'antigene e stimolano la degranulazione. Nelle persone allergiche questo processo è meno controllato e la risposta immunitaria può essere generalizzata, la degranulazione risulta più violenta e si può arrivare a shock anafilattico, asma e soffocamento. Adipociti Sono cellule specializzate nella sintesi, accumulo e rilascio di lipidi, e si possono trovare sparsi nel connettivo, generalmente lungo i vasi sanguigni, oppure in piccoli gruppi soprattutto nel connettivo lasso o addirittura possono costituire il tipo cellulare prevalente e formare il tessuto adiposo. Morfologicamente sono di forma sferica con citoplasma ricco di reticolo endoplasmatico liscio e mitocondri con creste tubulari e sono facilmente riconoscibili al microscopio in quanto il nucleo e gli altri organuli risultano schiacciati a un lato per la grossa goccia lipidica che si accumula al suo interno. La cellula appare infatti con il citoplasma ridotto a un sottile anello che circonda un grande vacuolo lipidico non circondato da membrana e molto chiaro in quanto i normali preparati istologici ne sciolgono il contenuto. Leucociti Rappresentano l'unica classe di cellule non residenti del connettivo ed hanno funzioni di difesa dalle infezioni. I linfociti provengono dal sangue e migrano nei tessuti connettivi attraversando le pareti dei capillari, hanno attività ameboide ma non fagocitaria. Intervengono nella produzione di anticorpi dando origine alle plasmacellule una volta riconosciuto l'antigene presentato loro dai macrofagi. Le plasmacellule hanno abbondante citoplasma basofilo e un nucleo con cromatina tipicamente disposta a raggiera. Producono e secernono abbondanti quantità di anticorpi che mediano la risposta immunitaria nel tessuto. Oltre a linfociti e plasmacellule anche i granulociti sono da considerare cellule non residenti del connettivo. Sono cellule prodotte nel midollo osseo che attraverso il circolo sanguigno penetrano per diapedesi nello stroma dei tessuti in cui avviene un'infiammazione, soprattutto nelle sedi dove è più facile la penetrazione dei patogeni come apparato digerente, respiratorio e cute. CONNETTIVI SPECIALI I connettivi speciali sono quattro: il tessuto adiposo, caratterizzato da abbondanza di cellule adipose, il tessuto cartilagineo, l'unico connettivo non vascolarizzato, il tessuto osseo, in cui la matrice mineralizza, e il sangue, che ha MEC fluida. TESSUTO ADIPOSO Quando in un tessuto connettivo le cellule adipose diventano così abbondanti da essere preponderanti, si parla di tessuto adiposo. Si tratta di un tessuto altamente regolato, connesso a parecchie disfunzioni, come il diabete, e con funzioni diverse: innanzitutto le sue cellule sintetizzano e liberano acidi grassi in risposta a specifici stimoli ormonali e nervosi, assicurando così un costante apporto di materiale energetico all'organismo; inoltre, il tessuto adiposo ha anche funzione di termoregolazione fungendo da isolante sottocutaneo per evitare la dispersione di calore; e infine ha anche funzione meccanica e protettiva soprattutto in particolari regioni del corpo come palmo delle mani e pianta dei piedi dove rimane anche dopo prolungati digiuni. Gli adipociti sono molto abbondanti anche nel midollo osseo dove aumentano con l'avanzare dell'età: nei bambini infatti si parla di midollo rosso perché tutto emopoietico mentre negli adulti il midollo diventa giallo perché si accumulano cellule adipose a scapito di quelle emopoietiche. A seconda del tipo di adipociti che contiene, il tessuto adiposo può essere bianco o uniloculare, che costituisce la maggior parte del grasso dell'organismo, oppure giallo o multiloculare, scarsamente rappresentato nell'uomo. Tessuto adiposo bianco È anche detto uniloculare perchè le cellule adipose contengono un'unica grande goccia lipidica. Si ritrova maggiormente accumulato nel pannicolo adiposo, cioè il tessuto connettivo sottocutaneo, e si distribuisce in maniera sesso specifica con la pubertà, nella ghiandola mammaria e sui fianchi nella donna e sulla pancia nell'uomo; indipendentemente dal sesso, si trova anche nella loggia renale, nelle regioni ascellari, inguinali ecc. Gli adipociti uniloculari possono arrivare ad un diametro anche di 100 micron, sono fittamente accostati tra di loro con l'interposizione di scarsa matrice e sono ricchi di mitocondri con creste tubulari. Inoltre, ogni cellula è circondata da un involucro glicoproteico con fibre reticolari, evidenziabile con il metodo dell'impregnazione argentica. In seguito a digiuno prolungato l' adipocito si svuota gradualmente dei lipidi e assume una forma stellata simile a quella dei fibroblasti. Tessuto adiposo bruno È caratterizzato da cellule adipose più piccole e multiloculari, con lipidi non concentrati in un'unica goccia ma distribuiti come numerose goccioline sparse nel citoplasma; risulta inoltre più innervato e vascolarizzato di quello bianco e organizzato in lobuli per la presenza di setti connettivali. Il tessuto adiposo bruno risulta il precursore di quello bianco, infatti è scarsamente rappresentato nell'adulto e più abbondante nel feto. È abbondante invece negli animali ibernanti, in cui fornisce energia sottoforma di calore durante i periodi di letargo, grazie ai numerosi mitocondri in cui la fosforilazione ossidativa viene disaccoppiata. Mentre nel tessuto adiposo bianco la mobilizzazione dei lipidi avviene in risposta a mancata nutrizione, in quello bruno avviene in seguito a stimolazioni termiche come l'abbassamento di temperatura. Adipogenesi Gli adipociti originano da una cellula mesenchimale simile ai fibroblasti, il preadipocito o lipoblasto, oppure possono derivare dal fibroblasto stesso per transdifferenziamento. Il precursore inizia ad accumulare goccioline di trigliceridi nel citoplasma che mano a mano si fondono in un'unica grande goccia che spinge il nucleo alla periferia della cellula. Regolazione degli adipociti Per essere in grado di accumulare trigliceridi quando l'apporto calorico supera il consumo e liberare gli acidi grassi in caso contrario, il tessuto adiposo deve essere sottoposto a una fine regolazione. Una volta arrivati nel lume intestinale, gli acidi grassi derivanti dall'idrolisi dei trigliceridi penetrano nell'asse del villo dove sono prima riassemblati come trigliceridi e poi combinati con proteine e fosfolipidi a formare i chilomicroni, solubili nel sangue. I chilomicroni vengono esocitati dalla cellula epiteliale nel connettivo, da cui raggiungono per via lifatica la circolazione sanguigna dove si uniscono alle VLDL che contengono i lipidi neosintetizzati dal fegato. Una volta raggiunti i capillari periadipocitici, i trigliceridi vengono nuovamente scissi da specifiche lipasi prodotte dagli adipociti stessi, liberando acidi grassi. Sotto l'azione di stimoli lipogenetici, ad esempio insulina, l' adipocito assume acidi grassi, glucosio e amminoacidi impiegandoli per produrre trigliceridi. Quando invece prevale lo stimolo lipolitico, come noradrenalina, i trigliceridi accumulati nell' adipocito vengono scissi e gli acidi grassi vengono riversati nei capillari per essere distribuiti a tutte le cellule. Anche l'adrenalina, prodotta dalla midollare del surrene in condizioni di stress, si lega a specifici recettori di membrana dell' adipocito che stimolano l'adenilato ciclasi a produrre cAMP il quale stimola PKA ad attivare una lipasi che scinde i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi. Gli adipociti infine, producono anche importanti molecole come citochine, ormoni e fattori di crescita come ad esempio la leptina, una proteina che regola l'appetito la cui carenza comporta obesità perché non si ha controllo nel mangiare. TESSUTO CARTILAGINEO Il tessuto cartilagineo è un tipo di tessuto connettivo speciale costituito da un unico tipo di cellule, i condrociti, circondate da abbondante matrice extracellulare gelatinosa e ricca di fibre. Nel corso dello sviluppo dei mammiferi lo scheletro si abbozza come cartilagine prima di diventare osso, mentre nel periodo postnatale la cartilagine permane come cartilagine di accrescimento nelle zone di confine tra epifisi e diafisi delle ossa lunghe per il loro sviluppo in lunghezza; una volta terminata la crescita invece, la cartilagine permane solo a livello delle superfici articolari dove non ossifica mai e in altre zone come lo scheletro di sostegno dell'orecchio esterno, del naso, della trachea, della laringe e dei bronchi, le cartilagini costali, i dischi intervetebrali, i menischi del ginocchio e la sinfisi pubica. È un tessuto caratterizzato da notevole resistenza alla compressione ed elasticità e svolge un ruolo di sostegno strutturale all'interno dell'organismo. I condrociti appaiono isolati o come gruppi isogeni cioè come cloni di una stessa cellula, mentre la matrice cartilaginea risulta ricca di collagene di tipo II sottoforma di fibrille isolate, proteoglicani e GAG soprattutto solforati, acido ialuronico, glicoproteine che la rendono metacromatica, infatti se colorata col blu di Toluidina appare violetta, e abbondante acqua, per l'alta presenza di cariche negative. Inoltre, la sua superficie liscia la rende adatta allo scorrimento delle articolazioni. Non essendo vascolarizzata né innervata, la cartilagine viene nutrita per diffusione attraverso la sua matrice gelatinosa nella quale diffondono fattori solubili che ne regolano il metabolismo. In base all'abbondanza e al tipo di matrice extracellulare presente, sono distinguibili tre tipi di cartilagine: ialina, elastica e fibrosa. CARTILAGINE IALINA È il tipo di cartilagine più diffuso ed è così chiamata perché a fresco appare traslucida, quasi trasparente. Nell'embrione e nel feto lo scheletro è quasi esclusivamente costituito da cartilagine ialina che successivamente va incontro a calcificazione, regredisce e viene sostituita da tessuto osseo. Dopo la nascita permane come disco epifisario per l'accrescimento delle ossa lunghe mentre negli adulti riveste le superfici articolari e forma le cartilagini costali, gli anelli tracheali, alcune cartilagini laringee, le cartilagini dei bronchi e del naso. Nell'embrione la cartilagine ialina compare a livello del mesenchima dove le cellule iniziano a ritirare i loro prolungamenti e raggrupparsi in aggregati di cellule chiamati centri di condrificazione o blastemi protocondrali. All'interno di ogni blastema poi le cellule mesenchimali iniziano a secernere i componenti della matrice cartilaginea e si differenziano in condroblasti, riconoscibili ora per l'intensa basofilia del citoplasma dovuta all'accumulo di ribosomi, RER e golgi. Man mano che la sostanza intercellulare viene secreta le cellule si allontanano sempre di più le une dalle altre rimanendo comunque incluse nella matrice da loro prodotta, all'interno delle lacune cartilaginee sottoforma di gruppi isogeni. Intorno a ciascuna lacuna c'è una zona di matrice fortemente metacromatica chiamata capsula, fortemente basofila per l'alto contenuto di matrice amorfa; c'è poi la matrice territoriale, più vicina alla lacuna, meno basofila per l'aumento della componente fibrosa, e infine una matrice interterritoriale, più lontana dalla lacuna e poco colorata per l'abbondanza di fibre. Una volta diminuita l'attività biosintetica, il condroblasto prende il nome di condrocito. I condrociti in coltura possono anche originare dai fibroblasti per transdifferenziamento e si usano marcatori come SOX9 per verificare che sono condrociti. Contemporaneamente alla formazione delle lacune, intorno all'abbozzo cartilagineo il mesenchima si condensa per formare il pericondrio, un involucro di tessuto connettivo compatto e fibroso che separa la cartilagine dal mesenchima circostante. CARTILAGINE ARTICOLARE Permane anche quando l'abbozzo fetale viene completamente sostituito da osso a livello delle diartrosi, cioè le articolazioni mobili. È un tipo di cartilagine particolare in quanto non ha il pericondrio quindi non ha vasi sanguigni e questo perché la sua superficie deve essere più liscia possibile per permettere il movimento scheletrico senza attrito. Se infatti ci fossero vasi tra i due capi articolari, ci sarebbe attrito e potrebbero anche rompersi. La capsula articolare è completamente rivestita da cellule sinoviali che producono il cosiddetto liquido sinoviale: questo liquido non solo lubrifica e quindi facilita lo scivolamento dell'articolazione, ma compensa anche l'assenza di vasi in quanto fornisce il nutrimento necessario al tessuto: attraverso il liquido avviene lo scambio di ossigeno e nutrimenti alle cellule che rilasciano anidride carbonica e cataboliti. CARTILAGINE DI ACCRESCIMENTO Detta anche cartilagine di coniugazione o disco epifisario, rappresenta una zona di cartilagine che permane dopo la nascita per tutto il periodo di sviluppo, nella zona limite tra epifisi e diafisi separando i due centri di ossificazione. Viene anche detta seriata per la presenza di strisce di condrociti impilati longitudinalmente all'asse maggiore dell'osso che si formano perché i gruppi isogeni hanno piani di divisione trasversali all'asse longitudinale. Le cellule disposte sul versante del centro di ossificazione secondario sono in attiva proliferazione, col piano di taglio sempre trasversale che porta all'accrescimento in altezza. I condrociti più vicini alla diafisi invece, diventano ipertrofici, aumentano di volume e muoiono, mentre la matrice comincia a mineralizzare diventando tessuto osseo. Accrescimento della cartilagine Può essere di due modi: per apposizione ad opera del pericondrio o interstiziale ad opera dei gruppi isogeni; entrambi comunque avvengono nell'abbozzo cartilagineo. Nel caso di accrescimento per apposizione si verifica, durante il periodo dello sviluppo, il differenziamento delle cellule condrogeniche nello strato interno del pericondrio in condroblasti che depositano nuova cartilagine per apposizione su quella precedente. In caso di accrescimento interstiziale invece, le cellule iniziali già differenziate si dividono ripetutamente formando una progenie di cloni accostati tra loro che sintetizzano e depositano nuova sostanza intercellulare e formano il cosiddetto gruppo isogeno. CARTILAGINE ELASTICA Nei mammiferi la cartilagine elastica forma il padiglione auricolare, e l'epiglottide. Origina da un blastema ialino in cui le cellule si specializzano a secernere tropoelastina, che verrà poi secreta come elastina solubile ed andrà a formare il reticolo elastico. A fresco, si differenzia da quella ialina per il colore più giallastro e opaco dovuto all'elevato numero di fibre elastiche e minori proteoglicani. Le fibre elastiche si ramificano e decorrono in tutte le direzioni nella matrice formando una rete così fitta da occupare quasi interamente lo spazio intercellulare rendendo così la sostanza amorfa molto scarsa. Il reticolo appare invece più lasso in periferia subito al di sotto del pericondrio. CARTILAGINE FIBROSA La cartilagine fibrosa o fibrocartilagine forma nell'uomo la sinfisi pubica e i dischi intervertebrali. Può essere considerata come una forma intermedia tra il tessuto connettivo denso e la cartilagine ialina, caratterizzato da abbondanza di fibre soprattutto di cartilagine di tipo I e scarsa sostanza amorfa, talmente scarsa che la matrice risulta acidofila. Come nella ialina, le cellule sono circondate da una capsula e si trovano isolate tra loro o in fila tra fasci di fibre collagene ma la differenza principale è l'assenza di pericondrio. Nei dischi intervertebrali l'anello fibroso che circonda il nucleo polposo è costituito da fibrocartilagine. L'ernia al disco comporta la rottura del disco e la fuoriuscita del nucleo polposo, con conseguente compressione dei nervi spinali che provocano dolore. Nella sinfisi pubica la fibrocartilagine fonde le due ossa e nella donna è resa più lassa da ormoni durante il parto per la fuoriuscita del bambino. TESSUTO OSSEO È un tipo di tessuto connettivo speciale, caratterizzato da una matrice extracellulare mineralizzata che conferisce al tessuto elevata durezza e resistenza alla pressione e alla trazione rimanendo comunque una struttura leggera. L'associazione di massima resistenza e minimo peso rende le ossa delle strutture meccanicamente competenti. I suoi compiti nell'organismo sono molteplici: assolve importanti funzioni meccaniche in quanto costituisce lo scheletro di sostegno del nostro corpo; regola l'omeostasi dei sali minerali: l'osso infatti rappresenta la sede principale di deposito di ioni calcio che viene continuamente mobilizzato per mantenere l'omeostasi dell'organismo; fornisce protezione agli organi interni, andando a costituire la scatola cranica, la cassa toracica e la colonna vertebrale per il midollo spinale; contribuisce allo sviluppo armonico del tessuto nervoso ed è sede dell'emopoiesi. Si tratta inoltre di un tessuto molto dinamico, che viene continuamente rimodellato e rinnovato per tutta la vita, processo utile non solo per questioni meccaniche ma anche per regolare la concentrazione ematica di calcio. Come gli altri tessuti connettivi, anche quello osseo è formato da cellule immerse in abbondante matrice extracellulare, organica e inorganica, ed è fortemente vascolarizzato ed innervato. Queste componenti strutturali rimangono le stesse nella vita prenatale e nell'adulto ma cambierà notevolmente il modo in cui si organizzeranno e combineranno. Nello scheletro embrionale e fetale, infatti, si parla di osso non lamellare o a fibre intrecciate in cui le fibre collagene della matrice sono organizzate in grossi fasci intrecciati, che rendono l'osso non meccanicamente competente a sorreggere l'individuo. Con lo sviluppo poi questo tessuto primario subisce il suo primo rimodellamento e viene sostituito da osso lamellare a fibre parallele, in cui le cellule, le fibre e la matrice sono organizzate in lamelle distinte e parallele tra loro, organizzazione che conferisce all'osso la sua particolare resistenza e robustezza. Organizzazione macroscopica Osservando ad occhio nudo un osso lungo tagliato trasversalmente è possibile distinguere due forme diverse di tessuto osseo, l'osso spugnoso e l'osso compatto. L'osso spugnoso si trova a livello delle epifisi, cioè le due estremità, e appare come una struttura alveolare, con trabecole che si anastomizzano tra loro a formare una rete tridimensionale all'interno della quale è accolto il midollo osseo. Le trabecole più periferiche sono più spesse ed hanno maggiore funzione meccanica mentre quelle più centrali sono più sottili e servono più per il metabolismo; hanno inoltre un andamento arcuato, sistema per avere meno osso ma più efficiente. Gli spazi tra le spicole sono intercomunicanti e si continuano con la cavità midollare della diafisi, nella parte centrale dell'osso. La diafisi è formata da osso compatto che appare invece come una massa solida e densa che circoscrive una cavità midollare centrale. È riscontrabile anche una terza zona, la metafisi, compresa nella zona di accrescimento tra l'epifisi e la diafisi che contiene il disco epifisario, ovvero la cartilagine che provvede all'accrescimento in altezza delle ossa lunghe per tutto il periodo dello sviluppo. La superficie esterna delle ossa lunghe, a contatto con il muscolo striato, è rivestita da una sottile guaina di connettivo fibro-elastico, molto vascolarizzato, il periostio, assente il corrispondenza della cartilagine articolare, sulle epifisi, e nelle zone di inserzione di tendini e legamenti. Le cavità midollari dell'epifisi e dell'osso spugnoso sono invece rivestite da una membrana chiamata endostio, costituita da un monostrato di cellule pavimentose che si continua con il sistema di canali vascolari dell'osso, cioè i canali di Havers e i canali di Volkman, contenenti nervi, vasi sanguigni e linfatici e matrice. Organizzazione microscopica Sia per l'osso spugnoso che per quello compatto la caratteristica principale è la loro struttura lamellare. Ciascuna lamella rappresenta una sorta di lamina costituita da cellule e sostanza intercellulare, con spessore da 3 a 7 micron. La matrice è fortemente mineralizzata, con fibre collagene di tipo I parallele tra loro. Gli osteociti invece, sono accolti nelle lacunee ossee, delle cavità scavate nella matrice ordinate una dopo l'altra lungo le linee parallele delle lamelle. Ogni lacuna non è liscia come quella cartilaginea ma presenta una serie di canalicoli ossei, cioè delle ramificazioni in cui penetrano i prolungamenti degli osteociti che si anastomizzano con quelli delle lacune adiacenti formando una sorta di rete. I canalicoli, poi, si congiungono anche con i canali di Havers, longitudinali e paralleli all'asse maggiore, e con i canali di Volkman, trasversali, in cui scorrono i vasi dell'osso compatto, nonché con le cavità midollari dell'osso spugnoso, in modo da assicurare lo scambio di metaboliti e gas tra sangue e osteociti. Sebbene osso compatto e osso spugnoso presentino la stessa struttura di tipo lamellare, differiscono per come le lamelle sono organizzate: nello spugnoso si aggregano a formare le trabecole, disposte in modo irregolare e disordinato, mentre nel compatto le lamelle si associano a formare delle strutture compatte e molto regolari: gli osteoni. L'osteone è una struttura cilindrica formata da un canale di Havers centrale orientato parallelamente all'asse maggiore dell'osso, una serie di lamelle concentriche che circondano il canale; in ciascuna lamella le fibre collagene sono oblique verso destra o verso sinistra in modo più o meno ripido; se una lamella è destrorsa quella successiva è sinistrorsa e così via in modo alternato, e questo ordine preciso rende gli osteoni rifrangenti al microscopio a rifrangenza e luminosi al microscopio a luce polarizzata, a differenza dell'osso non lamellare. Esternamente, gli osteoni adiacenti sono separati da una linea di demarcazione irregolare detta linea cementante o limitante, che risulta intensamente colorata al microscopio e indica il punto in cui è avvenuto rimodellamento osseo. Nella formazione dell'osteone, inoltre, la prima lamella che si forma è quella vicino alla linea cementante e mano a mano che vengono deposte le altre si ispessisce l'osteone e si riduce il lume del canale di Havers. Non tutte le strutture lamellari sono osteoni completi, esistono anche i sistemi interstiziali, cioè dei gruppi di lamelle ossee senza canale centrale che rappresentano vecchi osteoni rimaneggiati parzialmente. In periferia invece, al di sotto dell'endostio e al di sotto del periostio troviamo altri strati di lamelle disposte circolarmente intorno alla circonferenza interna ed esterna, detti sistemi circonferenziali interno ed esterno o endosteale e periosteale, ugualmente organizzati con lamelle in cui le fibre collagene sono orientate alternativamente verso destra e verso sinistra. Il periostio è formato da due strati, uno esterno con poche cellule e molti vasi, e uno interno con molte cellule e una fitta rete capillare. Dallo strato esterno partono le fibre di Sharpey, dei grossi fasci di fibre collagene che penetrano perpendicolarmente nello strato interno del periostio e lo ancorano fortemente al sistema circonferenziale esterno. Sono particolarmente abbondanti nella radice del dente dove, ancorandosi all'osso alveolare da una parte e nel cemento dall'altra, assicurano la fissità del dente. Durante la fase fetale e post-natale e nei processi di riparazione delle fratture, sulla superficie interna del periostio troviamo uno strato epitelioide di osteoblasti con proprietà osteogenica che nell'adulto perdono la loro attività, e assumono forma simile ai fibroblasti; in questo stato di quiescenza mantengono comunque potenzialità osteogenica e sono definite cellule osteoprogenitrici, o lining cells. L'endostio, invece, è una sottile lamina di cellule pavimentose che riveste tutte le cavità midollari sia dell'osso spugnoso che del compatto, nonché le cavità dei canali di Havers e Volkman. Anche le cellule dell'endostio sono osteoblasti attivi durante lo sviluppo e la crescita che si trasformano in cellule osteoprogenitrici nell'adulto. MATRICE OSSEA La matrice ossea è costituita da una componente organica e una inorganica. Matrice organica La componente organica della matrice ossea è composta prevalentemente da collagene di tipo I, proteine non collageniche e fattori di regolazione; la percentuale di glicoproteine e proteoglicani non supera l'1% mentre quella del collagene I arriva al 20% del peso secco, rendendo la matrice acidofila. Queste fibre possono essere osservate al microscopio solo dopo aver decalcificato il campione con soluzioni acide o agenti chelanti poiché altrimenti sarebbero mascherate dalla matrice minerale. I fasci di fibre decorrono paralleli tra loro in maniera ordinata, girando ad elica intorno all'asse dell'osteone in ciascuna lamella, con un'inclinazione e una direzione diverse da lamella a lamella. Per quanto riguarda la componente fibrosa della matrice , oltre al collagene troviamo le fibre di Sharpey o perforanti che decorrono perpendicolarmente dallo strato esterno del periosto e si ancorano alle fibre circonferenziali esterne. Tra le glicoproteine ne troviamo alcune molto abbondanti nell'osso ma non esclusive, come l'osteopontina, l'osteonectina, la sialoproteina ossea numero 2 classificabili come proteine di adesione; specifica del tessuto osseo è, invece, l'osteocalcina, la seconda proteina più abbondante dopo il collagene: è prodotta dagli osteoblasti ed è proprio l'indicatore più specifico dell'attività osteoblastica. In vitro tutte queste proteine inducono mineralizzazione anche se prese singolarmente, ma in realtà è la loro azione di gruppo ad essere importante nell'organismo. La matrice è inoltre ricchissima di citochine, che regolano la funzione di altre cellule, e di fattori di crescita come le BMP, bone morphogenetic proteins, appartenenti alla famiglia delle TGF-β. In generale tutti i fattori di crescita sono prodotti dagli osteoblasti che li liberano sottoforma di precursori inattivi per poi essere attivati dopo modificazioni enzimatiche. Nella matrice organica vengono depositate anche altre proteine non prodotte dalle cellule ossee, come l'α2-microglobulina. È la componente organica della matrice che conferisce all'osso la sua caratteristica resistenza alla trazione. Matrice inorganica La durezza e la rigidità sono invece dovute alla componente inorganica della matrice formata prevalentemente da idrossiapatite e carbonati di calcio più altri sali in tracce. L'idrossiapatite appare al microscopio sottoforma di sottili cristalli aghiformi che si depositano lungo i fasci di fibrille collagene una volta che questi sono già formati. CELLULE OSSEE La componente cellulare dell'osso comprende quattro tipi di cellule diverse: preosteoblasti, osteoblasti, osteociti e osteoclasti. La linea osteoblastica deriva dalla componente stromale del midollo osseo, in particolare le cellule mesenchimali si differenziano in cellule osteoprogenitrici che proliferano attivamente ed iniziano ad esprimere marcatori specifici come RUNX2. La cellula poi si differenzia ancora in osteoblasto maturo, che viene invece riconosciuto dalla fosfatasi alcalina. A loro volta gli osteoblasti, dopo aver deposto matrice ossea, si trasformano in osteociti che rimangono intrappolati nelle lacune osteocitarie da loro stesse prodotte. Una volta terminati i processi osteoformativi, le cellule osteoblastiche di endostio e periostio diventano lining cells, cioè cellule quiescenti che mantengono potenzialità osteogenica e possono riattivarsi in seguito a stimoli. Gli osteoclasti invece derivano dalla componente emopoietica del midollo, in particolare dalla linea staminale che da origine a granulociti e monociti. Si riconoscono grazie a marcatori specifici come la fosfatasi acida abbondante nei lisosomi. Osteoblasti Sono cellule osteoformatrici deputate alla produzione e secrezione delle componenti della matrice e per questo abbondano nelle sedi di attiva sintesi di sostanza ossea, dove formano uno strato epitelioide. Morfologicamente appaiono voluminosi, con nucleo chiaro, nucleolo evidente e citoplasma basofilo, ricco di RER e mitocondri. L'osteoblasto inizia secernendo i componenti della matrice prima davanti a sé, poi ai lati fino ad essere completamente circondato dall' osteoide, cioè matrice non ancora mineralizzata. Una volta intrappolati nella matrice si trasformano in osteociti, le cellule più abbondanti del tessuto osseo adulto; appaiono di forma appiattita con numerosi prolungamenti che penetrano tra le lamelle attraverso i canalicoli ossei per anastomizzarsi con quelli degli osteociti adiacenti tramite gap junction, in modo da formare un reticolo attraverso cui passano ioni e nutrienti permettendo il sostentamento delle cellule anche lontano dai vasi sanguigni. L'osteocita possiede diverse funzioni rilevanti per il tessuto osseo. Innanzitutto è un sensore dello stato qualitativo dell'osso: se in una certa regione c'è un danno, come una microfrattura, gli osteociti intorno muoiono e parte lo stimolo per il rimodellamento di quell'area, con un segnale che arriva prima agli osteoclasti che degradano e poi agli osteoblasti che ridepongono nuova matrice. Inoltre, l'osteocita è anche un sensore meccanico, nel senso che induce la formazione di osso dove c'è stimolo meccanico: se l'osso viene immobilizzato manca lo stimolo e l'osteocita attiva fenomeni che fanno perdere massa ossea. Queste sue capacità di “sentire” lo stato qualitativo e meccanico dell'osso, insieme alla sua forma dendritica e all'origine embrionale dalle creste neurali, rendono possibile l'ipotesi che gli osteoblasti e gli osteociti siano cellule con una certa memoria nervosa. Mineralizzazione È un processo a carico degli osteoblasti che inizia con lo sviluppo delle vescicole della matrice, formazioni vescicolari delimitate da membrana, prodotte per gemmazione dalla superficie cellulare. Sulla loro membrana è espressa la fosfatasi alcalina, che svolge un ruolo essenziale nella mineralizzazione liberando fosfato inorganico da molecole organiche, e la proteina annexina V che funge da canale per il trasporto di calcio all'interno delle vescicole. Una volta gemmate le vescicole cominciano a nucleare cristalli di idrossiapatite, sottoforma di aghi che si depositano lungo il periodo delle fibrille collagene. Osteoclasti Gli osteoclasti sono le cellule deputate al riassorbimento osseo, processo fondamentale per la crescita e il rimodellamento del tessuto osseo. Sono sincizi polinucleati con diametro fino a 100 micron, che derivano dalla fusione dei precursori mononucleati della linea monocito-macrofagica. Morfologicamente presentano alcune decine di nuclei ben definiti e separati tra di loro, citoplasma poco basofilo o debolmente acidofilo ricco di mitocondri e lisosomi contenenti idrolasi acide. Si trovano sulla superficie delle trabecole ossee in via di riassorbimento e sono accolti in fossette scavate dalla loro stessa attività erosiva chiamate lacune di Howship. La superficie di membrana rivolta verso l’osso in riassorbimento presenta il cosiddetto ruffled border, una sorta di orletto striato con esili prolungamenti citoplasmatici molto irregolari che servono per aumentare la superficie di membrana. La regione cellulare in basso, è detta zona chiara per l’assenza di granuli, concentrati maggiormente nella regione baso-laterale. Lo spazio al di sotto del ruffled border è mantenuto separato dal resto dello spazio extracellulare da una membrana sigillante, adesiva, che permette l’adesione dell’osteoclasta lungo tutta la cellula e definisce la lacuna di riassorbimento. La proprietà sigillante della membrana è dovuta all’anello di actina, cioè l’insieme di strutture di adesione specifiche, i podosomi, concentrati tutt’intorno alla lacuna, che connettono fasci di microfilamenti di actina del citoscheletro, con la matrice extracellulare mediante l’integrina specifica αvβ3. È proprio all’interno delle lacune di riassorbimento che avvengono i processi di riassorbimento della matrice organica e minerale attraverso l’acidificazione dello spazio extracellulare. In particolare, una volta che la cellula ha aderito alla matrice attraverso i recettori integrinici specifici, una pompa protonica ATP dipendente situata nell’orletto striato inizia a pompare protoni contro gradiente nello spazio circoscritto dall’anello di actina. Questi protoni derivano dall’attività della anidrasi carbonica II che converte l’anidride carbonica idratata in bicarbonato e protoni; mutazioni a livello dell’anidrasi carbonica portano a osteopetrosi non molto grave perché la reazione di idratazione avviene ugualmente anche se più lentamente. Il bicarbonato viene poi scambiato con ioni cloro secondo gradiente sul versante baso-laterale della cellula e successivamente il cloro passa nella lacuna attraverso il canale specifico clc7 bilanciando i protoni e formando acido cloridico. Mutazioni a livello della pompa del cloro danno osteopetrosi grave con problemi neurodegenerativi. Il pH di 4.5 circa che si viene a formare risulta adatto alla solubilizzazione della componente minerale della matrice. La restante parte organica viene invece degradata per via enzimatica, tramite il rilascio della proteasi lisosomale catepsina K che, se mutata, provoca picnodisostosi. Interazioni OBL-OCL Nel processo di osteoclastogenesi in vitro la maturazione dei precursori osteoclastici, appartenenti alla linea monocito-macrofagica, richiede la presenza e l'interazione con gli osteoblasti o cellule stromali del midollo. Queste cellule secernono l' M-CSF, macrophage colony-stimulating factor, una citochina che stimola il differenziamento e la proliferazione dei macrofagi legandosi al suo recettore c-msf, presente sui precursori degli osteoclasti. È necessaria però anche un contatto diretto tra OCL e OBL che avviene mediante l'interazione tra RANK e RANKL: RANK è un recettore presente sulla membrana di macrofagi e osteoclasti e RANKL è il suo ligando, presente sulla superficie di osteoblasti e cellule stromali; appartengono alla famiglia del TNF, tumor necrosis factor e del suo recettore. Il legame tra RANK e RANKL avvia la trasduzione del segnale indotta dal fattore di trascrizione NfkB, che migra nel nucleo e attiva la trascrizione di geni specifici indispensabili per il completo differenziamento degli osteoclasti. Il processo di osteoclastogenesi è modulato dagli osteoblasti mediante la secrezione di OPG cioè la proteina osteoprotegerina che, come suggerisce il nome stesso, interviene per evitare un eccessivo riassorbimento osseo. In particolare, OPG viene rilasciata come molecola solubile che va a legarsi a RANKL, impedendone l'interazione con RANK e bloccando lo sviluppo dell'osteoclasta in quanto non può trasdurre il segnale. Il bilancio quindi tra RANKL che stimola l' osteoclastogenesi e OPG che la inibisce, determina il livello del processo. L'attività osteoclastica è influenzata e regolata da diversi ormoni e citochine che intervengono in vari livelli del processo di osteoclastogenesi e questa regolazione è sotto stretta dipendenza del calcio. Un ormone coinvolto nel differenziamento degli osteoclasti è il PTH, paratormone, prodotto dalle paratiroidi, il cui rilascio è direttamente legato alla concentrazione ematica di calcio: se la calcemia è bassa il PTH viene rilasciato e va a stimolare l'espressione di RANKL che induce l' osteoclastogenesi e quindi il riassorbimento osseo. L'attività finale del PTH, quindi, è quella di aumentare la calcemia. Effetto opposto è quello della calcitonina, ormone prodotto dalle cellule C della tiroide, che ha invece effetto ipocalcemizzante: la sua produzione è stimolata da elevati livelli di calcio ematico. Anche i glucocorticoidi e gli ormoni sessuali tra le tante funzioni, intervengono anche a livello osseo, in particolare i glucocorticoidi agiscono liberando calcio con la perdita di massa ossea, mentre gli ormoni sessuali proteggono l'osso riducendo la fuoriuscita di calcio. Infine, un ruolo importante nello sviluppo degli osteoclasti è svolto dalla vitamina D: questa viene assunta come precursore inattivo dall'alimentazione e la sua attivazione è regolata indirettamente dalla concentrazione plasmatica di calcio e direttamente dall'azione del PTH. Se la calcemia è bassa, il PTH prodotto dalle paratiroidi agisce sul tubulo renale oltre che aumentando il riassorbimento di calcio, stimolando anche l'azione dell' 1-α-idrossilasi che aggiunge il secondo gruppo idrossilico al 25- idrossicolecalciferolo, precedentemente modificato nel fegato. A questo punto si forma l'1-25-diidrossivitaminaD3 attiva che torna in circolo e agisce a livello intestinale dove stimola l'assorbimento di calcio e fosfato. Per questo motivo, una carenza di vitamina D causa una scarsa calcificazione delle ossa da cui possono derivare il rachitismo nel bambino e l’osteomalacia nell’adulto, mentre disfunzioni quali l’insufficienza renale cronica possono alterare questo equilibrio fisiologico e provocare patologie dell’osso. In tutti questi casi risulta fondamentale la presenza del recettore di calcio extracellulare, presente sulle cellule paratiroidee ma anche sulle cellule C della tiroide e del tubulo renale. Ha un grosso dominio intracellulare ricco di amminoacidi acidi ed ha bassa affinità per il calcio, infatti percepisce la sua concentrazione ematica a livello del millimolare. Massa ossea ed età La massa ossea cresce durante l'infanzia e l'adolescenza fino a raggiungere, con la pubertà, l'assetto definitivo in termini di lunghezza e robustezza: si raggiunge il cosiddetto picco di massa ossea, cioè la quantità di tessuto minerale osseo alla fine del periodo di accrescimento, sempre superiore nel maschio rispetto alla femmina. Da questo momento in poi la densità e la dimensione ossea non aumentano più e si mantengono costanti per tutta l' età adulta. Nonostante ciò, l'osso continuerà ad essere sede di un continuo processo di rimodellamento, durante il quale la percentuale di osso riassorbito verrà compensata da una pari quantità di osso neoformato. Nell'anziano, invece, questa sostituzione non è più bilanciata e si ha prevalenza del riassorbimento sulla deposizione. Si tratta di un processo lento e graduale che coinvolge sia l' osso spugnoso che quello compatto; il risultato, in molti casi, è una malattia nota come osteoporosi. Nella donna la perdita di massa ossea aumenta considerevolmente con la menopausa a causa della diminuzione di estrogeni che stimola l'attività osteoclastica e quindi il riassorbimento osseo. A livello dell'osso spugnoso avviene una prima rottura delle piccole trabecole trasversali che provocano il collasso di quelle longitudinali. Nel maschio, invece, il calo di massa ossea è meno brusco infatti in genere l'osteoporosi è più rara e si manifesta in età senile. OSSIFICAZIONE Esistono due tipi di ossificazione: intramembranosa o diretta e endocondrale o indiretta. In entrambi i casi l'osso origina dal mesenchima, il tessuto connettivo embrionale ma, mentre nel primo caso l'osso si forma direttamente per differenziazione delle cellule mesenchimali pluripotenti in osteoblasti, nel caso dell'ossificazione indiretta l'osso è preceduto da un abbozzo cartilagineo che viene poi sostituito da tessuto osseo. Ossificazione intramembranosa L'ossificazione intramembranosa riguarda le ossa piatte del cranio e gran parte delle ossa della faccia. Il processo inizia con la formazione, all'interno del mesenchima, dei centri di ossificazione, cioè delle zone in cui il tessuto si addensa, diventa più fibroso e vascolarizzato e le cellule proliferano attivamente. Alcune di esse differenziano in osteoblasti e iniziano a secernere un tessuto preosseo, l' osteoide, attorno al quale le cellule si dispongono in fila con disposizione epitelioide a formare le prime trabecole. L'osteoide è inizialmente non mineralizzato, formato solo da matrice amorfa e collagene. Successivamente subisce mineralizzazione e inizia l'ulteriore accrescimento per apposizione: gli osteoblasti intorno alla trabecola primitiva secernono nuovo osteoide che si sovrappone a quello precedente e gli osteoblasti rimasti intrappolati nella matrice diventano osteociti. Mano a mano che l'osso cresce sulla superficie si appongono nuovi osteoblasti che derivano dalla proliferazione e differenziamento delle cellule osteoprogenitrici. Questo tessuto osseo appena formato è di tipo spugnoso e non lamellare, con fibre collagene disordinate orientate in tutte le direzioni e sarà poi sostituito da osso secondario lamellare nel corso del successivo rimodellamento. In questo caso, nelle regioni in cui l'osso è destinato a rimanere spugnoso, come la diploe delle ossa piatte del cranio, cioè la zona centrale ai due tavolati, le trabecole assumono gradualmente un'organizzazione lamellare e il tessuto connettivo circostante diventa emopoietico. Nelle zone invece destinate a dare origine a tessuto compatto, come i due tavolati delle ossa piatte del cranio, le trabecole iniziali continuano a ispessirsi assumendo un'organizzazione lamellare con stratificazione concentrica e fibre collagene parallele tra loro in ciascuna lamella. Il connettivo circostante si condensa a formare il periostio che continuerà a depositare nuova matrice ossea per tutta la durata dello sviluppo. Ossificazione endocondrale L'ossificazione endocondrale o indiretta riguarda le ossa alla base del cranio, della colonna vertebrale, del bacino e degli arti, le quali, a livello embrionale, erano precedute da un modello cartilagineo completamente sostituito da tessuto osseo ad eccezione della cartilagine articolare. Durante lo sviluppo pre-natale, nell’embrione si formano degli abbozzi di cartilagine ialina. A livello della diafisi, entro il terzo mese di gravidanza, si differenzia un primo centro di ossificazione, in cui le cellule cartilagine diventano ipertrofiche, cioè si ingrandiscono, mentre nella matrice inizia la deposizione di calcio; le cellule della cartilagine quindi degenerano, non riuscendo più ad assorbire sostanze nutritive a causa della calcificazione del tessuto, e lasciano spazi sempre più ampi. La matrice cartilaginea calcificata viene in seguito parzialmente riassorbita da parte dei condroclasti, cioè cellule polinucleate simili agli osteoclasti sempre appartenenti alla famiglia dei macrofagi. Nella parte centrale delle ossa lunghe, per il confluire di cavità dovute alla degenerazione della cartilagine, si forma la cavità midollare primitiva che viene man mano invasa da vasi sanguigni provenienti dal pericondrio e da mesenchima da cui deriveranno le cellule osteoblastiche. Queste derivano dalle cellule osteoprogenitrici che poi maturano e si vanno a disporre sulla superficie delle spicole di cartilagine residue dove depositeranno nuovo osteoide presto mineralizzato. Durante l'accrescimento dell'osso, la porzione ancora cartilaginea viene riassorbita per l'attività di condroclasti e osteoclasti, costituendo così il primo abbozzo di cavità midollare. Più tardi si formano anche i due centri di ossificazione secondari a livello delle epifisi. L'accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe dipende dalla presenza della cartilagine di coniugazione a livello della metafisi, cioè la regione intermedia tra epifisi e diafisi. Per tutto il periodo di accrescimento questo disco epifisario continua ad allungarsi per accrescimento interstiziale dal lato rivolto verso l'epifisi, mentre viene contemporaneamente sostituito da osso dal lato rivolto verso la metafisi. Quando nell'adulto i condrociti smettono di proliferare, l'ossificazione procede fino a sostituire completamente la cartilagine di accrescimento. EMOPOIESI E SANGUE SANGUE Il sangue è un tipo di tessuto connettivo speciale costituito da una componente corpuscolata, rappresentata dagli elementi figurati, sospesa in una matrice fluida, il plasma. Questa consistenza fluida permette al sangue di circolare nel sistema di vasi chiuso dell'apparato circolatorio dove è contenuto, grazie alla energia cinetica fornita dalla contrazione del cuore. All'interno dell'organismo il sangue svolge numerose funzioni di regolazione e trasporto, in particolare le sue funzioni riguardano: il trasporto di ossigeno e anidride carbonica dai pomoni ai tessuti e viceversa; assunzione dei nutrienti nell'intestino, trasporto nel fegato e poi a tutte le cellule per il loro nutrimento; trasporto dei cataboliti al rene per la loro eliminazione; trasporto di ormoni e altre molecole regolatrici nonché delle cellule implicate nei processi di difesa; funzione de termoregolazione; di mantenimento dell'equilibrio acido-base e della pressione osmotica. Il 55% del sangue è rappresentato dal plasma, la componente acquosa che contiene ioni, proteine, ormoni, immunoglobuline e altre molecole. Il restante 45% è rappresentato dagli elementi figurati, in particolare il 44% da eritrociti e il restante 1% da globuli bianchi e piastrine. Plasma Rappresenta la componente liquida del sangue circolante, ha un pH di 7.3-7.4, ed è costituito dal 90% di acqua in cui sono disciolte molte molecole con funzioni diverse. Le proteine presenti sono prodotte dal fegato e la loro concentrazione determina la viscosità e la pressione osmotica del sangue. L'albumina è la proteina più abbondante ed è la principale responsabile del mantenimento della pressione oncotica, cioè la pressione osmotica necessaria per la distribuzione dei liquidi corporei nei comparti intravascolari e nei tessuti; è inoltre utile per il trasporto di ormoni e farmaci, per mantenere il pH e varie altre funzioni. Oltre all'albumina, nel plasma sono presenti gli anticorpi prodotti dalle plasmacellule, le proteine di trasporto di altre molecole insolubili, protrombina, fattori plasmatici della coagulazione, proteine del sistema del complemento e soprattutto fibrinogeno, una proteina solubile convertita nel processo di coagulazione in fibrina, filamentosa. Il plasma privato del fibrinogeno costituisce il siero. Nel plasma è poi presente una componente lipidica che comprende trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo e acidi grassi; una quantità di glucosio da 80 a 120 mg per 100 ml più composti azotati non proteici come urea, ammoniaca, creatinina. Sono presenti anche ormoni, fattori di crescita, enzimi ed elettroliti. C'è infine, il sistema del complemento, cioè un insieme di proteine e recettori di membrana che insieme ai linfociti B hanno un ruolo centrale nella difesa dagli agenti infettivi. La loro attivazione avviene mediante una serie di reazioni a cascata che comportano il taglio idrolitico della componente3 e una volta attivati contribuiscono alla risposta immunitaria in vari modi, inducendo lisi cellulare, attivando la fagocitosi, aumentando la permeabilità vascolare ecc. Elementi figurati Tra gli elementi figurati del sangue troviamo i globuli rossi, in maggiore quantità, i globuli bianchi, che comprendono granulociti, monociti e linfociti, e le piastrine che sono in realtà dei frammenti cellulari. EMOPOIESI L'emopoiesi consiste nella produzione degli elementi maturi presenti nel sangue circolante, quindi eritrociti, leucociti e piastrine, a partire da cellule staminali emopoietiche totipotenti. Nell'adulto questo processo avviene esclusivamente nel midollo osseo, ma in realtà l'emopoiesi è un evento che inizia già dal primo mese della fase prenatale. In particolare l'emopoiesi inizia a livello del sacco vitellino, un annesso embrionale che ha anche la funzione di produrre i gameti: in questa sede dal mesoderma si formano le isole sanguigne, cioè dei gruppi di cellule di cui quelle più periferiche differenziano in endotelio mentre quelle centrali daranno origine agli elementi figurati del sangue. Dopo il secondo mese scompare l'emopoiesi vitellina contemporaneamente all'inizio di quella epatica, che raggiunge un picco verso il quinto mese per poi sparire alla nascita; il fegato conserva comunque memoria emopoietica infatti fa emopoiesi quando il midollo non funziona. Alla fine del secondo mese inizia anche l'emopoiesi da parte della milza che termina dopo il sesto mese ma anche qui rimane una memoria emopoietica dopo la nascita infatti nei pazienti senza emopoiesi midollare si ha epatosplenomegalia. Infine, dal quarto mese, cioè da quando inizia l'ossificazione, comincia l'emopoiesi midollare che poi continuerà dopo la nascita, rimanendo l'unico tipo di emopoiesi. Nei primi anni di vita si ha in tutte le ossa mentre col tempo diminuisce più precocemente nelle ossa lunghe mentre permane fino all'età senile in vertebre, sterno, coste ecc. MIDOLLO OSSEO Rappresenta il principale organo emopoietico e viene anche definito tessuto linfoide. Dopo i primi anni di vita il midollo da rosso, emopoietico, diventa giallo per l'aumento delle cellule adipose con conseguente perdita della funzione emopoietica. Nell'adulto il midollo osseo rosso permane a livello dello sterno, della diploe delle ossa piatte del cranio, nelle coste, nelle vertebre, nelle epifisi prossimali dell'omero e del femore. Strutturalmente il midollo osseo si presenta come una rete di fibre a maglie strette con impigliate cellule di diverso tipo e a diversi gradi di maturazione e con una complessa rete vascolare. Si riconoscono quindi, una componente parenchimatosa, formata da cellule stromali e cellule emopoietiche, una componente vascolare e uno stroma reticolare. Il midollo osseo rosso è riccamente vascolarizzato da una rete molto ramificata di vasi che si diramano dall'arteria nutritizia. Questa entra dal canale nutritizio e si dirama per vascolarizzare tutto l'osso fino alle epifisi. La componente venosa invece è formata da una serie di seni collettori, cioè degli ampi capillari con fenestrature che permettono il passaggio di globuli rossi e piastrine, i quali fanno poi confluire il sangue al seno centrale. Sulla superficie di questi seni è anche presente, sopra la membrana basale, uno strato di periciti, delle cellule con attività fagocitaria che impediscono il passaggio nel circolo di cellule danneggiate. La componente stromale di sostegno è costituita da un tessuto reticolare e un sistema reticoloistiocitario. Il tessuto, oltre che da fibre di collagene di tipo III reticolare, è formato da cellule reticolari o stromali, le quali: formano lo strato avventiziale dei seni venosi, hanno forma stellata, si trovano in intima associazione con gli elementi emopoietici, sintetizzano le fibre reticolari, e regolano l'emopoiesi stessa. Il sistema reticolo-istiocitario, invece, comprende i macrofagi con funzione emocateretica. Le cellule del midollo osseo sono di tre tipi: cellule endoteliali, cellule adipose e cellule emopoietiche. Le cellule endoteliali rivestono i seni attraverso i quali avviene il passaggio degli elementi neoformati e presentano per questo fenestrature fino a 4 micron di diametro. Le cellule adipose, invece, sono scarse nei primi anni e aumentano con l'età fino a formare il midollo giallo. Le cellule emopoietiche sono diverse e a diversi gradi di maturazione, secondo i quali seguono un gradiente dalla superficie endosteale alla parte centrale del midollo. Il processo di emopoiesi parte da una cellula staminale pluripotente che darà origine a tutti gli elementi figurati. Questa si divide asimmetricamente dando origine a due tipi di cellula: cellula staminale linfoide e cellula staminale mieloide, questa volta multipotenti, cioè con un capacità di differenziazione più ristretta. La linfoide darà origine a linfociti T e B mentre la mieloide darà origine a eritrociti, granulociti, macrofagi, monociti e megacariociti. GLOBULI ROSSI Gli eritrociti, o emazie, sono gli elementi figurati più abbondanti, arrivano infatti a 4.55.5 milioni per millimetro cubo, più abbondanti nell'uomo che nella donna; una diminuzione del numero di eritrociti è segno di anemia mentre un aumento può essere causato da droga o eccesso di eritropoietina che rende il sangue più denso e con rischio di ictus. I globuli rossi hanno un diametro di circa 7 micron, sono privi di nucleo e di organuli ed hanno la caratteristica forma di disco biconcavo, forma conveniente per il rapporto superficie/volume e utile per il passaggio anche attraverso i capillari più sottili. Questa forma specifica è mantenuta grazie alla complessa struttura citoscheletrica subito al di sotto della membrana plasmatica, che comprende proteine come la glicoforina, la proteina della banda 3, la spettina e altre. Al suo interno, l' eritrocito contiene elevate quantità di emoglobina, la proteina responsabile del trasporto di ossigeno e che conferisce al sangue il suo colore tipico grazie alla presenza di ioni ferro. L'emoglobina è formata da 4 catene polipeptidiche, 2 alfa e 2 beta, ciascuna contenente un gruppo prostetico eme di protoporfirina IX, costituito da quattro anelli pirrolici con al centro un atomo di ferro al quale si legherà una molecola di ossigeno. Il processo di maturazione del globulo rosso dura circa 4 5 giorni e prevede più tappe. Si forma inizialmente un proeritoblasto, voluminoso, con nucleo grande, citoplasma basofilo e che va incontro a numerose divisioni mitotiche. Si arriva a un eritoblasto basofilo, poco più piccolo sempre con nucleo grande con cromatina condensata, citoplasma molto basofilo per l'abbondanza di ribosomi liberi e in attiva proliferazione. La tappa successiva prevede la formazione di eritoblasto policromatofilo, con nucleo più piccolo e citoplasma tendente all'acidofilo per l'accumulo di emoglobina. Mano a mano che questa aumenta l'eritoblasto diventa acidofilo, con nucleo molto piccolo e picnotico, che viene poi espulso e fagocitato dai macrofagi. La cellula continua comunque a sintetizzare emoglobina grazie all'abbondanza di ribosomi liberi. A questo punto la cellula, attraverso le fenestrature dei seni venosi, passa nel circolo sanguigno come reticolocito, per poi diventare dopo poco eritrocita maturo. In numero di reticolociti nel sangue è basso ma importante come indice approssimativo dell'attività del midollo o per verificare se ha avuto effetto una terapia contro l'anemia. Non essendo dotati di movimento ameboide, come i leucociti ad esempio, tutti i precursori dei globuli rossi si trovano a ridosso dei vasi in prossimità dei pori. Una volta maturati, i globuli rossi hanno una vita media di 120 giorni al termine dei quali attraversano la parete delle venule post capillari e vengono fagocitati dai macrofagi, soprattutto in quegli organi con funzione emocateretica, cioè midollo osso, fegato e milza, dove l'emoglobina viene degradata e il ferro riciclato. Per quanto riguarda il controllo, l'eritopoiesi è sotto regolazione dell'ormone eritropoietina, prodotto dal rene, che agisce prima inducendo la differenziazione del proeritoblasto e la produzione dell'mRNA per l'emoglobina e poi come agente mitogeno stimolando la proliferazione cellulare. La sintesi di eritropoietina dipende dalla tensione di ossigeno nel sangue, infatti aumenta in caso di ipossia provocando il conseguente aumento del numero di eritrociti. GLOBULI BIANCHI I globuli bianchi, o leucociti, devono il loro nome al fatto che appaiono incolori se osservati a fresco e hanno una concentrazione di 7000/10000 per millimetro cubo. Un aumento del numero di leucociti può essere dovuto a infezione batterica, sepsi o leucemia. In base alle caratteristiche morfologiche e funzionali sono divisi in tre categorie: granulociti, linfociti e monociti. Granulociti Detti anche polimorfonucleati, sono cellule globose con diametro medio di 10-12 micron e nucleo polilobato con cromatina addensata in blocchi congiunti da tratti più sottili. Il citoplasma è invece abbondante e con granulazioni. In base alle diverse affinità tintoriali, distinguiamo i granulociti neutrofili, basofili ed eosinofili. Il precursore di tutta la linea mieloide è il mieloblasto. Questo, nel corso della maturazione, che dura circa 12 giorni, subisce una serie di modificazioni tra cui l'accumulo di granuli nel citoplasma e l'addensamento della cromatina del nucleo che da sferico diventa polilobato. Passa quindi da mieloblasto a promielocito a mielocito poi metamielocito e infine granulocito maturo. Fino al mielocito, la maturazione di eosinofili, neutrofili e basofili segue le stesse tappe, poi si differenzia nel momento in cui compaiono le prime granulazioni specifiche. Inoltre, fino al mielocito le cellule proliferano o si amplificano mentre dal metamielocito perdono attività mitotica e iniziano il differenziamento e la maturazione. Tra i fattori di crescita della linea granulocitica ricordiamo SCF, fattore delle cellule staminali, interleuchina3 GM-CSF e G-CSF più specifica. I granulociti neutrofili rappresentano il 50 70 % dei leucociti totali, hanno granuli piccoli e poco colorati e nucleo intensamente colorato contenente da 2 a 5 lobi, numero che aumenta mano a mano che la cellula invecchia. Nelle donne è possibile trovare nel nucleo il corpo di Barr, dovuto alla eteropicnosi di uno dei due cromosomi X. I granuli citoplasmatici sono di due tipi: primari o azzurrofili, simili ai lisosomi; granuli secondari, contenente collagenasi e lisozima contro la parete batterica. Queste cellule sono infatti dotate di attività fagocitaria che però per loro è letale infatti una volta fagocitato il batterio vanno incontro ad apoptosi e sono eliminate dai macrofagi. I granulociti eosinofili rappresentano l'1-3% dei leucociti totali, si colorano con coloranti acidi come l'eosina. Il nucleo contiene un paio di lobi uniti da un segmento più sottile e con cromatina eterocromatica. Durante la maturazione il nucleo diventa prima a ferro di cavallo poi bilobato, mentre il citoplasma accumula sempre più granuli acidofili, come lisosomi o altri granuli specifici di queste cellule, detti a chicco di caffè perché presentano al loro interno una struttura scura detta cristalloide coinvolta nei processi di difesa contro i parassiti. Gli eosinofili, infatti, sono presenti in piccola percentuale nel sangue ma aumentano in caso di parassitosi, e intervengono anche nel fagocitare i complessi antigene-anticorpo. I granulociti basofili rappresentano lo 0.5-1% dei leucociti totali, e si colorano con coloranti basici. Hanno nucleo bilobato reniforme con cromatina concentrata. Durante la maturazione accumulano grosse quantità di granuli basofili e metacromatici che vanno addirittura a mascherare il nucleo. I granuli contengono eparina, istamina e altre molecole coinvolte nella reazione allergica. I basofili infatti ci difendono dagli allergeni grazie alla presenza sulla loro membrana, dei recettori per la regione Fc delle IgE; le cellule viaggiano con le IgE legate in superficie tra sangue e connettivo e se entra in contatto con l'allergene in quantità sufficiente, viene inviato un segnale nella cellula, spesso rilascio di calcio intracellulare, che induce la degranulazione. In questo modo il contenuto dei granuli si sparge intorno alla cellula: l'istamina provoca arrossamento per ingrossamento dei vasi mentre l'eparina rende la matrice più fluida perché è un anticoagulante. Monociti Rappresentano dal 3 all'8% della popolazione leucocitaria, sono cellule voluminose, con nucleo reniforme; il citoplasma presenta granuli primari contenenti perossidasi e fosfatasi acida, e granuli secondari assimilabili ai lisosomi. Nel midollo sono presenti promonociti, ancora immaturi con pochi lisosomi e intensa attività mitotica. Una volta maturati a monociti vengono rilasciati in circolo dove permangono per poche ore prima di passare nei tessuti connettivi e trasformarsi in macrofagi. Queste sono cellule residenti del connettivo, molto voluminose con elevata attività fagocitaria e abbondanti lisosomi. Riguardo alla regolazione i fattori di crescita che intervengono nello sviluppo della linea monocitica sono IL-3, prodotto dai linfociti T, IL-6, GM-CFU, fattore stimolante la colonia di monociti e granulociti, e CSF-1 per la formazione dei macrofagi. PIASTRINE Sono piccoli elementi cellulari con diametro di circa 2 micron e con densità di 150.000-300.000 per millimetro cubo. Sono dei derivati della frammentazione citoplasmatica del megacariocito, una cellula gigante derivata da endomitosi con più nuclei e superficie molto irregolare; le piastrine sono quindi prive di nucleo e hanno una parte centrale più intensamente colorata chiamata cromomero o granulomero e una parte periferica più chiara chiamata ialomero, priva di granuli ma ricca di microtubuli circonferenziali che la rendono piuttosto rigida. Il granulomero invece contiene organuli, come mitocondri, REL, accumuli di glicogeno e granuli specifici contenenti PDGF, fattore di crescita delle piastrine, bradichinina, serotonina e altre molecole con funzioni diverse. Le piastrine rappresentano gli elementi fondamentali nei processi di coagulazione del sangue. Una volta raggiunta la superficie lesionata le piastrine aderiscono molto velocemente sia al substrato che tra di loro mediante integrine specifiche tipo α2β3; l'evento fondamentale è la conversione del fibrinogeno, prodotto dal fegato, in fibrina: in seguito all'attivazione delle piastrine viene rilasciata tromboplastina che converte la protrombina in trombina, l'enzima proteolitico che converte il fibrinogeno in fibrina. La fibrina prodotta, filamentosa e insolubile, crea una fitta rete in cui rimangono intrappolati plasma, globuli rossi e altre cellule, formando così un trombo adeso alla parete. Il coagulo viene poi degradato dalla plasmina, derivata dal plasminogeno. La produzione di piastrine è regolata dalla trombopoietina, prodotta dal fegato, e una volta maturate hanno vita media di 10 giorni. Una carenza piastrinica nel sangue può provocare emorragie interne. LINFOCITI Rappresentano dal 20 al 30% dei leucociti totali. Hanno nucleo inattivo, tondo ed eterocromatico con pochissimo citoplasma intorno. Sono le cellule effettrici della risposta immunitaria perciò pattugliano tutto l'organismo spostandosi attraverso il sangue e passando ai vari organi e ai tessuti linfoidi. In base alle dimensioni, si distinguono i piccoli linfociti dai grandi linfociti: i piccoli linfociti, inattivi e con scarso citoplasma, vengono attivati in seguito a infezione o altri eventi che ne necessitano l'intervento, aumentano di volume e diventano grandi linfociti, attivi ma meno numerosi, fino a diventare poi plasmacellule, secernenti anticorpi. Esistono due classi di linfociti, B e T, che risultano indistinguibili se quiescenti mentre si riconoscono se sono in attività. Il linfocita B ha reticolo endoplasmatico rugoso e apparato di Golgi molto sviluppati con cisterne ammassate strettamente e parallelamente tra loro, il citoplasma è basofilo per l'abbondanza di ribosomi mentre il nucleo è detto a ruota di carro perché la cromatina confluisce verso il centro sottoforma di raggi. Il linfocita T, invece, ha nucleo con cromatina dispersa e organuli abbondanti ma non tanto quanto quelli del B perché produce meno proteine di secrezione. I due tipi di linfociti differiscono anche per i diversi recettori di membrana: il T-cell receptor, espresso dai LT è un recettore dimerico che recluta altri fattori citosolici e transmembrana; il B-cell receptor, espresso dai LB, è un anticorpo espresso in migliaia di copie che riconoscono tutte lo stesso antigene. Le cellule B e T sono entrambe attivate dall'antigene a proliferare e a maturare come cellule effettrici. Le cellule B effettrici secernono anticorpi, e nella loro forma più matura, chiamata plasmacellula, sono piene di RER. Le cellule T effettrici non secernono anticorpi e si distinguono in due classi: T-helper e T-citotossiche. Le citotossiche uccidono cellule infettate mentre le helper aiutano ad attivare linfociti B, macrofagi e T citotossiche, secernendo una varietà di proteine di segnalazione, le citochine, che agiscono da mediatori locali. Linfopoiesi La produzione di linfociti avviene nel midollo osseo a partire da un elemento staminale pluripotente della linea linfoide, la quale si differenzierà in T e B. In entrambi i casi, le cellule termineranno un primo sviluppo antigene indipendente nei rispettivi organi linfoidi primari, e successivamente migreranno negli organi linfoidi secondari dove avverrà lo sviluppo antigene dipendente. Durante lo sviluppo antigene indipendente le popolazioni di linfociti immaturi differenziano in un elevatissimo numero di cloni di tutti i tipi, ognuno caratterizzato dalla presenza di uno specifico recettore di membrana, immunoglobulina o TCR. Vengono invece eliminati i cloni che hanno sviluppato recettori contro gli antigeni self, cioè dell'organismo stesso. Una volta terminata questa prima maturazione, i linfociti vengono rilasciati nel circolo sanguigno e raggiungono gli organi linfoidi secondari. L'organo linfoide primario dei linfociti T è il timo, da cui prendono il nome, organo transitorio in quanto presente nei bambini ma poi regredisce dopo l'adolescenza diventando tessuto adiposo negli adulti. Si trova a livello del mediastino, ed e circondato da una capsula esterna che invia setti connettivali all'interno dividendo il parenchima in lobi; ogni lobo ha una regione chiara centrale e una scura periferica. Nella zona chiara ci sono i corpuscoli di Hassal, che contribuiscono a creare il microambiente per lo sviluppo delle cellule, che qui appaiono più grandi e con citoplasma chiaro. Perifericamente ci sono linfociti meno maturi, più piccoli e fittamente addensati tra di loro. L'organo linfoide primario dei linfociti B, invece, è lo stesso midollo osseo. Una volta maturati linfociti T e B passano attraverso il circolo sanguigno, agli organi linfoidi secondari, o periferici, rappresentati da adenoidi, tonsille, milza, appendice vermiforme, linfonodi e noduli linfatici degli organi interni. La milza e i linfonodi rappresentano gli organi linfoidi principali: la milza è composta dalla cosiddetta polpa bianca, formata da placche di linfociti, e polpa rossa, ricca di globuli rossi. Oltre alla funzione linfoide, quest'organo ha anche attività emocateretica e emopoietica transitoria, tutte comunque non essenziali. I linfonodi, invece, si trovano intercalati lungo il sistema linfatico come strutture indipendenti di diametro massimo di mezzo centimetro. Sono circondati da una capsula che invia setti all'interno e divide il linfonodo in lobi. Nella struttura interna si riconoscono una zona corticale, in cui sono concentrati i noduli linfatici, e una zona midollare in cui sono concentrati i vasi linfatici. Attraverso il suo ilo fuoriesce il vaso linfatico efferente mentre quello afferente è presente lungo il dorso della capsula. La linfa penetra nel linfonodo dal seno sottomarginale e viene filtrata mentre scorre dalla corticale alla midollare in cui si originano i vasi efferenti. Altro tessuto linfoide si trova sparso nelle tonache proprie delle pareti di tutti gli altri organi, ma può trovarsi concentrato nelle zone in cui svolge al massimo la sua funzione a formare dei noduli linfatici. Ne sono esempio le placche di Peyer, cioè noduli linfatici in sequenza nell'ileo; l'appendice vermiforme, la protuberanza dell'intestino crasso, ricca di noduli linfatici; le tonsille palatine, addensati di noduli linfatici nella parte profonda del cavo orale. Da notare come tutti questi noduli siano concentrati soprattutto a livello degli apparati digerente e respiratorio, quelli cioè maggiormente esposti all'ingresso di patogeni. IMMUNITA' La risposta immunitaria è quella serie di meccanismi che il nostro organismo attiva per difendersi dagli antigeni, cioè quelle sostanze riconosciute come estranee dal sistema immunitario. Gli antigeni possono essere non solo virus, batteri o parassiti ma anche cellule derivate da trapianti o trasfusioni. Esistono due tipi di immunità, umorale, ad opera dei linfociti B e cellulo-mediata, ad opera dei linfociti T. Una delle caratteristiche principali del nostro sistema immunitario è che teoricamente potrebbe rispondere a milioni di antigeni diversi in modo specifico. Secondo la teoria della selezione clonale quando entriamo a contatto con un antigene, tra i milioni di linfociti disponibili, viene selezionato quello specifico per quell'antigene, riconosciuto tramite il suo recettore di membrana. Una volta selezionato, il linfocita prolifera e matura generando una famiglia di cloni specifici tutti con lo stesso recettore per l'antigene in questione. Di tutto l'antigene quelle regioni che si combinano col sito di legame dell'anticorpo o del recettore sono dette determinanti antigenici o epitopi. Se un certo anticorpo è in grado di riconoscere un solo determinante antigenico dell'antigene, è detto monoclonale, mentre se riconosce epitopi diversi dello stesso antigene è detto policlonale. Il sistema immunitario,oltre che riconoscere e rispondere specificamente a tutte le sostanze estranee, deve anche evitare di rispondere alle molecole prodotte dal nostro stesso organismo: si parla in questo caso di tolleranza immunologica. Questa comincia negli organi linfoidi primari durante lo sviluppo del sistema immunitario quando i linfociti che tendono a riconoscere sostanze self, vengono indotte all' apoptosi prima di essere attivati dal legame con l'autoantigene. Se questa tolleranza viene meno i linfociti tendono a reagire contro gli antigeni dei nostri tessuti provocando le malattie autoimmuni. Esiste anche un tipo di tolleranza immunologica acquisita dimostrabile con esperimenti di trapianto nei topi: se ad un topo neonato vengono introdotte cellule di un altro topo, il trapianto viene tollerato perché le cellule trapiantate vengono riconosciute come proprie. Immunità umorale L'immunità umorale coinvolge principalmente i linfociti B che una volta attivati dal legame con l'antigene maturano in linfoblasti e poi plasmacellule e secernono elevate quantità di anticorpi. Gli anticorpi, o immunoglobuline, sono tra le proteine del sangue più abbondanti, e sono prodotti solo dai linfociti B in miliardi di forme diverse, tutti con il sito di legame per lo stesso antigene, cioè ogni immunoglobulina prodotta da una stessa cellula B riconoscerà lo stesso antigene. Le prime immunoglobuline prodotte non sono solubili ma rimangono sulla superficie della cellula come recettori per il primo incontro con l'antigene. Una volta che l'antigene viene riconosciuto e legato dal linfocita cosiddetto vergine, cioè che non aveva mai incontrato quell'antigene, la cellula prolifera e si differenzia o in cellula effettrice, cioè plasmacellula oppure in cellula della memoria. Si parla in questo caso di risposta immunitaria primaria in cui ci sarà un primo periodo di latenza, poi un picco di risposta massima e poi una fase di decadenza, tutto entro 40 giorni. In seguito ad una seconda esposizione allo stesso antigene, si scatenerà la risposta immunitaria secondaria in cui intervengono le cellule della memoria, molto numerose, che velocemente diventano effettrici e terminano la risposta in un tempo più breve. Questo è anche il principio base dei vaccini, in cui le dosi di richiamo simulano una risposta immunitaria secondaria. Ogni anticorpo è una molecola a forma di Y con due siti di legame per l'antigene identici, uno sulla punta di ciascun braccio della Y. La distanza fra i due siti di legame è resa variabile grazie ad una regione cerniera flessibile presente alla base dei due bracci che permette allo stesso anticorpo di legare due determinanti antigenici dello stesso antigene o di antigeni diversi, sempre uguali tra loro, permettendo anche la formazione di un grande reticolo che può essere fagocitato poi dai macrofagi. Ogni immunoglobulina è formata da due catene pesanti identiche e due catene leggere identiche tenute insieme da ponti disolfuro e collegate al braccio lungo della Y chiamato regione Fc. Ogni catena è composta da segmenti ripetuti contenenti un ponte disolfuro intracatena che forma un loop, ciascun loop è un dominio immunoglobulinico. Sia le catene leggere che le catene pesanti inoltre, hanno una sequenza costante alla loro estremità C-terminale, e una sequenza variabile all'estremità N-terminale, lunghe tutte circa 110 aa tranne la regione costante della catena pesante, tre quattro volte più lunga. All'interno poi di ciascuna regione variabile, ci sono tre piccole regioni ipervariabili, che insieme, tra catena pesante e catena leggera, formeranno il sito di legame per il determinante antigenico. Nei mammiferi esistono cinque classi di anticorpi: IgA, IgD, IgE, IgG, e IgM. IgM: è la prima classe di anticorpi prodotta da una cellula B in via di sviluppo nonché i primi ad essere secreti in una risposta immunitaria primaria. Non agiscono singolarmente ma si uniscono in complessi di 5 unità tenute insieme da ponti disolfuro e peptidi di legame detti catene J. Anche il legame di un solo antigene può scatenare l'attivazione delle proteine del complemento. Un complesso così voluminoso non è in grado di passare al feto attraverso la placenta. IgG: sono prodotte come monomeri in grandi quantità durante la risposta secondaria. Attivano il complemento e si legano a recettori per l'Fc su macrofagi e neutrofili, che così fagocitano i microrganismi precedentemente ricoperti da questi anticorpi. Sono inoltre gli unici anticorpi che riescono a passare dalla mamma al feto attraverso la placenta, sempre mediante i recettori per l'Fc, ma anche mediante il latte. IgA: sono la classe di anticorpi più abbondanti nelle secrezioni come saliva, lacrime, latte ecc, e si accumulano nel lume degli organi cavi dove si trovano sottoforma di dimeri a otto catene in cui i due monomeri sono tenuti insieme da un peptide J e un componente secretorio. Questi anticorpi sono prodotti dalle plasmacellule nella tonaca propria e poi trasportati nel lume per transcitosi da parte delle cellule epiteliali. IgE: si legano a recettori specifici su basofili e mastociti stimolandone la degranulazione, cioè il rilascio dei loro granuli di istamina e eparina. IgD: si trovano maggiormente legate sulla superficie dei linfociti B e meno come proteine solubili. Immunità mediata da cellule Con l'immunità mediata da cellule combattiamo gli antigeni mediante i linfociti T, i quali possono agire o aiutando altre cellule a rispondere all'infezione, nel caso dei T helper, o eliminando direttamente i patogeni che risiedono in altre cellule, in caso dei T citotossici. A differenza delle cellule B, le T sono indotte a proliferare e a diventare cellule effettrici solo quando incontrano un antigene sulla superficie delle APC, cioè le cellule presentanti l'antigene, in un organo linfoide secondario. Inoltre, i linfociti T non riconoscono l'antigene intatto, ma frammenti di antigeni degradati dentro le APC e poi portate in superficie tramite glicoproteine transmembrana specifiche chiamate proteine MHC, codificate da un complesso di geni chiamato complesso maggiore di istocompatibilità. Esistono due tipi di proteine MHC, quelle di classe I e quelle di classe II: le MHC di classe I sono presenti su tutte le cellule e sono costituite da una catena transmembrana monopasso più una β2microglobulina estrinseca extracellulare; queste sono riconosciute dai linfociti T citotossici. Le MHC di classe II si trovano solo sulla superficie delle cellule dell'immunità e sono formate da due proteine dimeriche unite da un ponte disolfuro; queste sono invece riconosciute dai T helper. Una volta esposto sulla superficie dell'APC, il frammento di antigene viene riconosciuto dal linfocita grazie al suo recettore, simile ad un anticorpo, composto da due catene polipeptidiche α e β tenute insieme da un ponte disolfuro, ciascuna contenente un dominio costante e uno variabile. Sul versante intracellulare questi recettori sono collegati a un insieme di proteine coinvolte nella trasduzione del segnale. L'attivazione del linfocita e quindi l'inizio della risposta immunitaria avviene ad opera delle cellule che presentano l'antigene negli organi linfoidi secondari, queste sono: cellule dendritiche, macrofagi e cellule B. Le cellule dendritiche immature si trovano in tutti i tessuti dell'organismo, una volta che incontrano il patogeno, lo endocitano, migrano attraverso la linfa nei linfonodi dove mostrano sulla loro superficie i frammenti dell'antigene attraverso le MHC. Oltre a queste proteine, sulla superficie delle cellule dendritiche e delle altre cellule che presentano l'antigene, ci sono anche delle proteine costimolatrici che si legano a recettori complementari sulle cellule T, e proteine di adesione cellula-cellula che potenziano il legame col linfocita. Le proteine costimolatrici sono necessarie in quanto l'affinità di legame tra il recettore per l'antigene e la proteina MHC è troppo debole per mediare l'interazione funzionale. Occorrono quindi dei recettori accessori che aiutano a rafforzare il legame. Questi corecettori sono le proteine CD4 e CD8 entrambe transmembrana monopasso. CD4 è espresso sulle cellule T helper e si lega all' MHC di classe II mentre CD8 è espresso dai T citotossici e riconosce l' MHC di classe I. Linfociti T citotossici I linfociti T citotossici intervengono per eliminare le cellule infettate da virus. All'interno della cellula le proteine virali saranno sintetizzate nel citoplasma e poi captate dal proteasoma che le degrada. Tra i vari frammenti di proteina degradata ci sarà anche il determinante antigenico che verrà trasportato all'interno del reticolo endoplasmatico rugoso, dove è in corso la sintesi della proteina MHC di classe I. Si formeranno quindi delle vescicole che passeranno nel Golgi per poi arrivare sulla superficie cellulare. A questo punto, la proteina MHC con l'antigene legato sarà riconosciuta e legata dal T cell receptor del linfocita, con l'intervento di CD8 che rafforza il legame. Linfociti T helper I linfociti T helper interagiscono con le cellule che presentano l'antigene, come macrofagi, cellule dendritiche e cellule B, su cui è espressa la proteina MHC di classe II. Quando una di queste cellule avrà endocitato un antigene proteico, questo si troverà nel citoplasma all'interno di un endosoma precoce che poi si fonderà con una vescicola proveniente dal Golgi e contenente la proteina MHC. L'endosoma tardivo così formato si fonderà ad un lisosoma i cui enzimi idrolitici degraderanno l'antigene lasciando solo il determinante antigenico legato alla proteina MHC. Questo complesso viene poi inviato in membrana e riconosciuto dai TCR del linfocita e legato grazie alla proteina CD4. Questo è il segnale 1, di per sé non sufficiente ad attivare la cellula T. Il secondo segnale tra linfocita Th e cellula che presenta l'antigene è rappresentato dal legame tra CD28 sul linfocita con B7 sulla cellula dendritica oppure tra CD40 ligand sul linfocita e CD40 sulla cellula B. Questo secondo segnale amplifica il processo di segnalazione intracellulare scatenato dal segnale 1 ed è indispensabile per l'attivazione della cellula perché una cellula T che riceve il segnale 1 ma non il segnale 2 va incontro ad apoptosi o inattivazione. Le azioni combinate dei due segnali stimolano la cellula a proliferare e differenziarsi in cellula effettrice inducendo la cellula a secernere interleuchina 2 e a sintetizzare contemporaneamente i recettori di superficie che la legano. Questo segnale autocrino attiva le vie di segnalazione intracellulare che portano all'attivazione della cellula T in effettrice. TESSUTO MUSCOLARE Il tessuto muscolare è responsabile del movimento volontario e involontario di organi e apparati. Nei vertebrati esistono tre categorie di muscoli: il tessuto muscolare liscio, di tipo involontario, origina dalla splancnopleura ed è responsabile della motilità della parete dei visceri e dei vasi; il tessuto muscolare striato scheletrico, volontario, origina dai somiti ed è responsabile del movimento dei muscoli scheletrici e della locomozione; il tessuto muscolare striato cardiaco, involontario, origina anch'esso dalla splancnopleura e costituisce la struttura contrattile del miocardio. Si tratta in ogni caso di un tessuto contrattile formato da cellule appartenenti alla categoria delle cellule eccitabili insieme ai neuroni, con un potenziale di membrana a riposo compreso tra -70 e -80 mV. TESSUTO MUSCOLARE STRIATO SCHELETRICO Il tessuto muscolare scheletrico è governato dal sistema nervoso volontario. Origina dalla parte centrale del mesoderma, dove si formerà la notocorda che farà da stampo alla colonna vertebrale. Ai due lati della notocorda si formeranno 43 paia di somiti che daranno origine a derma, muscolo scheletrico e ossa, rispettivamente da dermatomo, miotomo e sclerotomo. Organizzazione strutturale Il tessuto muscolare scheletrico è formato da un insieme di fibre muscolari, cioè dei sincizi polinucleati allungati di forma grossolanamente cilindrica con spessore variabile tra 10 e 100 micron, che originano dalla fusione di più mioblasti, i precursori mononucleati. Nella maggior parte dei muscoli, i nuclei, il cui numero dipende dalla grandezza della fibra, si trovano localizzati alla periferia della fibra, subito al di sotto del sarcolemma, cioè la membrana plasmatica. All'interno del sarcoplasma si trovano numerosi apparati di golgi, mitocondri e un reticolo sarcoplasmatico, corrispondente al reticolo endoplasmatico liscio; il sarcoplasma contiene anche gocce lipidiche, particelle di glicogeno e mioglobina contenente ferro e responsabile del colore rosso del muscolo, che ha la funzione di immagazzinare ossigeno e cederlo durante la contrazione muscolare. Il sarcolemma è poi avvolto da una membrana basale spessa circa 100 nm e PAS positiva. Ogni muscolo del corpo è avvolto dall' epimisio, una lamina connettivale che si continua col tendine. Dall' epimisio partono dei setti connettivali che vanno ad avvolgere ogni singolo fascio di fibre formando il perimisio. Dal perimisio originano piccoli setti di connettivo reticolare che circondano ciascuna fibra muscolare e costituiscono l'endomisio. Ciascun muscolo è inoltre riccamente innervato e vascolarizzato da nervi e vasi che si ramificano seguendo i setti connettivali interni. Il sarcomero Ogni fibra muscolare presenta come carattere distintivo una striatura trasversale molto regolare dovuta all'alternanza di bande rifrangenti e bande meno rifrangenti al microscopio. Questa striatura è dovuta alla presenza dei fasci di miofibrille, cioè strutture citoscheletriche fittamente stipate nel sarcoplasma, parallele tra loro e disposte secondo l'asse longitudinale della fibra; ogni miofibrilla presenta la stessa striatura trasversale dovuta all'alternanza di bande scure molto colorabili e bande chiare scarsamente colorabili, chiamate rispettivamente banda A e banda I. Ogni banda A ha centralmente una zona più chiara detta banda H attraversata da una linea M più scura. Ogni banda I, invece, è attraversata da una linea trasversale più scura detta linea Z. La porzione di miofibrilla compresa tra due linee Z è detta sarcomero e rappresenta l'unità funzionale e strutturale della miofibrilla. Ogni sarcomero comprende quindi due semibande I laterali e una banda A centrale. Più sarcomeri si succedono uno dopo l'altro e senza interruzioni in ciascuna fibrilla. Alla base dell'alternanza di bande chiare e scure della miofibrilla, c'è la differenza dei miofilamenti che compongono il sarcomero: ci sono miofilamenti spessi composti principalmente da miosina con spessore di circa 15 nm, e miofilamenti sottili, di circa 5 nm di spessore e composti principalmente da actina. I filamenti spessi occupano l'intera banda A, sono paralleli tra loro e risultano più spessi nella parte centrale dove sono collegati da ponti trasversali di congiunzione che formano la linea scura M. I filamenti sottili, invece, partono da ciascuna linea Z e si estendono per tutta la semibanda I penetrando per un certo tratto nella banda A, interdigitandosi con i filamenti spessi; in particolare, ciascun filamento spesso è circondato da sei filamenti sottili disposti ai vertici di un esagono. La parte centrale della banda A non invasa dai filamenti sottili costituisce la banda H, il cui spessore dipende dal grado di contrazione del muscolo. A questo punto è chiara la natura della striatura trasversale: l'aspetto chiaro della banda I è dovuto alla presenza dei soli filamenti sottili; l'aspetto scuro delle porzioni esterne della banda A è dovuto alla presenza di entrambi i filamenti, mentre il colore intermedio della banda H è dovuta alla sola presenza dei filamenti spessi. Ogni molecola di miosina II, tipica del muscolo striato, è composta da una coda allungata e due teste globose alle estremità. La molecola è un esamero composto da due subunità pesanti uguali tra loro che formano la coda e parte delle teste, e quattro subunità leggere uguali a due a due che formano le teste. Un fascio di molecole di miosina parallele tra loro, compone un miofilamento spesso. Le molecole sono disposte con le code verso il centro del filamento mentre le teste risultano avere polarità opposta nel senso che saranno per metà rivolte verso un'estremità della banda A e per metà verso l'altra estremità non allineate tra loro ma sfasate di circa 14 nm l'una dall'altra. I miofilamenti di miosina sono associati a proteine accessorie, importanti per mantenerli nella giusta posizione: a livello della linea M è presente la schelemina mentre la titina lega i filamenti spessi al disco Z e risulta associata alla proteina C che invece lega la miosina trasversalmente. I miofilamenti sottili sono formati principalmente da molecole di actina, associate alle proteine regolative tropomiosina e troponina. I filamenti di F-actina, composti da subunità globulari di Gactina, si associano come dimero a formare un'elica destrorsa. Anche i filamenti di actina sono polarizzati, con un polo positivo e uno negativo, e si dispongono in modo da avere polarità opposta nelle due metà di sarcomero: i filamenti che partono dalle due linee Z sono orientati verso il centro del sarcomero uno contro l'altro. Associate all' actina ci sono la tropomiosina e la troponina: la tropomiosina è una proteina filamentosa formata da due subunità alfa e beta, nello scheletrico, associate coda-coda e disposte nella doccia compresa tra i due filamenti di actina. La troponina, invece, è un trimero che si associa ad intervalli regolari tra actina e tropomiosina. A livello della linea Z i filamenti sottili dei sarcomeri adiacenti, con orientazione antiparallela, sono tenuti insieme grazie alla alfa-actinina e cap Z mentre sul l'altro versante, i filamenti di actina, essendo molto dinamici, necessitano di un cappuccio di tropomodulina che li rende più stabili. Infine, altre proteine accessorie presenti a livello delle fibrille sono la nebulina, associata ai filamenti sottili, la sinemina, presente nel disco Z, e la distrofina, associata al sarcolemma, che se mutata porta distrofia muscolare. Meccanismo di contrazione Il meccanismo di contrazione muscolare si basa sullo scivolamento dei miofilamenti sottili su quelli spessi verso il centro del sarcomero con conseguente riduzione dell'ampiezza delle due semibande I e della banda H, avvicinamento delle linee Z e accorciamento di tutto il sarcomero. Questo è possibile grazie al fatto che sia i filamenti spessi che quelli sottili hanno polarità opposta nelle due metà del sarcomero. L'energia necessaria per lo scorrimento è fornita dall'idrolisi di molecole di ATP ad opera di una ATPasi presente sulla testa della miosina, oltre al sito di riconoscimento per la miosina. Quando è presente, l'ATP si lega ad un sito particolare della testa di miosina e viene poi idrolizzato dalla ATPasi ad ADP; l'energia di idrolisi viene utilizzata per cambiare l'angolo della testa miosinica fino a 90°. Successivamente, quando arriva un impulso nervoso, viene liberato calcio intracellulare che sale fino a una concentrazione di circa 1 micromolare e provoca l'attivazione della troponina C, la quale sposta la tropomiosina facendo scoprire i siti di legame dell' actina. Una volta legata all'actina, la miosina rilascia l'energia immagazzinata precedentemente e flette la testa trascinando il filamento di actina verso il centro del sarcomero, poi si stacca e si forma un nuovo complesso miosina-ATP pronto per un nuovo ciclo. Il tutto avviene in modo antiparallelo ai due lati del sarcomero. Quando manca ATP la miosina rimane agganciata all'actina, provocando rigidità muscolare, e questo è alla base del rigor mortis. La fibra muscolare si contrae quando arriva un impulso tramite l'assone di una fibra nervosa motoria. L'impulso passa dal neurone alla cellula muscolare tramite la sinapsi neuromuscolare, o placca motrice, attraverso cui viene rilasciata acetilcolina, il neurotrasmettitore della muscolatura striata scheletrica. L' acetilcolina rilasciata dal neurone, viene legata dal recettore acetilcolinico sulla superficie del sarcolemma, rappresentato da un canale del sodio che viene così aperto permettendo l'ingresso di ioni sodio. In questo modo, la membrana muscolare depolarizza, passando da un potenziale di risposo di circa -70 mV a un potenziale d'azione positivo. Il calcio che interviene nel processo di contrazione muscolare è immagazzinato all'interno del reticolo sarcoplasmatico, corrispondente al reticolo endoplasmatico liscio, e formato da un sistema continuo di cisterne tubulari dette sarcotubuli, organizzati intorno a ciascuna miofibrilla. In corrispondenza del limite tra la banda A e la banda I il sarcolemma si invagina profondamente formando il tubulo T, cioè un canale che entra trasversalmente nella cellula e prende contatti col reticolo sarcoplasmatico. Questo si organizza come un'ampia cisterna periferica associata al tubulo T da cui partono dei sarcotubuli trasversali che si anastomizzano con quelli provenienti dal tubulo successivo, rendendo il lume del reticolo continuo. Il lume del tubulo, invece, comunica con lo spazio extracellulare. Il tubulo T forma con le due cisterne terminali adiacenti la cosiddetta triade del reticolo. Sulla membrana del reticolo sono presenti proteine intrinseche ed estrinseche che ne regolano le funzioni. È presente una ATPasi che funge da pompa per accumulare ioni calcio all'interno delle cisterne, mentre il rilascio del calcio è mediato da un complesso molecolare che funzione insieme da recettore e da canale, il recettore rianodinico, che viene attivato ed aperto in seguito all'arrivo dell'impulso nervoso. In particolare, il recettore rianodinico viene legato e mantenuto chiuso dal recettore diidropiridinico, voltaggio dipendente, presente sulla superficie del tubulo T; quando arriva l'impulso, la membrana del tubulo depolarizza, questo recettore cambia forma e modifica il recettore per la rianodina provocando il rilascio di calcio nel sarcoplasma e quindi la contrazione. Terminato l'impulso nervoso, gli ioni calcio vengono sequestrati di nuovo nel reticolo da parte delle pompe ATP dipendenti e questo fa terminare la contrazione e rilassare la fibra. Il calcio è mantenuto all'interno del reticolo grazie a calcium binding proteins come la calsequestrina. Ovviamente per tutto il processo sono necessarie elevate quantità di energia, immagazzinata nella cellula sottoforma di granuli di glicogeno e goccioline lipidiche, nonché di ossigeno, depositato nella mioglobina. TESSUTO MUSCOLARE STRIATO CARDIACO Il tessuto muscolare cardiaco, o miocardio, presenta importanti analogie sia con il tessuto muscolare liscio che col tessuto scheletrico: come il liscio, è involontario, quindi non si contrae seconda la nostra volontà, ed origina dalla splancnopleura, cioè la parte periferica del mesoderma. Come il tessuto muscolare scheletrico, il miocardio è striato e presenta un'organizzazione sarcomerica sostanzialmente simile alla fibra scheletrica, con la differenza che i fasci di miofilamenti non sono organizzati in miofibrille distinte. Le cellule che lo compongono, inoltre, non sono sincizi ma cellule mononucleate, allungate, con abbondantissimi mitocondri e nucleo centrale, che prendono il nome di cardiomioci. Un cardiomiocita e quello adiacente sono connessi tra loro tramite un complesso di giunzione detto disco intercalare o stria scalariforme. Questo è organizzato con una porzione trasversale che unisce le cellule termino-terminalmente, e una porzione longitudinale che le unisce laterolateralmente. Nella porzione trasversale abbondano i desmosomi per la coesione tra le cellule mentre nella porzione longitudinale sono presenti estese giunzioni gap attraverso cui passa lo stimolo per la contrazione. Questo accoppiamento elettrico tra le cellule adiacenti e la conseguente diffusione dell'impulso a tutto il tessuto, rendono il miocardio un sincizio funzionale. L'impulso per la contrazione parte spontaneamente da cellule muscolari modificate che compongono il tessuto di conduzione e poi si propaga agli altri cardiomiociti. In particolare il l'impulso parte spontaneamente dal nodo seno-atriale senza intervento del sistema nervoso autonomo, che invece interviene solo per regolarne la frequenza. Dal nodo seno-atriale l'impulso si propaga al nodo atrio-ventricolare e quindi al fascio di His, per poi distribuirsi ai due ventricoli. TESSUTO MUSCOLARE LISCIO Il tessuto muscolare liscio costituisce la muscolatura dei visceri e dei vasi sanguigni, la cui contrazione è involontaria; è formato da fibrocellule allungate e fusiformi, con nucleo centrale e prive di striatura trasversale, che si uniscono strettamente tra loro a formare uno strato compatto. Nel loro citoplasma sono ricchissime di miofibrille che si accumulano a formare dei corpi densi citoplasmatici, assimilabili ai dischi Z dello striato. Le miofibrille in questo caso non sono disposte in modo regolare come nel muscolare scheletrico ma sono sparse in tutte le direzioni e mancano quindi della striatura trasversale. La contrazione di queste cellule avviene grazie ad un complesso apparato citoscheletrico agganciato alla membrana plasmatica e formato principalmente da miosinaI e actina. Quando arriva un impulso dal sistema nervoso autonomo, miosina e actina si contraggono trascinando la membrana plasmatica e facendo diventare la cellula da fusata a piccola e tondeggiante. TESSUTO NERVOSO Il tessuto nervoso è costituito da cellule nervose, o neuroni, che rappresentano le unità strutturali e funzionali del sistema nervoso, attraverso cui riceviamo, elaboriamo e trasmettiamo stimoli interni ed esterni. Oltre ai neuroni, il tessuto contiene un'altra classe di cellule, le cellule della glia, o globalmente nervoglia, che hanno funzioni di supporto strutturale e funzionale rispetto ai neuroni. C'è inoltre scarsa matrice ma abbondante vascolarizzazione per rifornire continuamente di ossigeno i neuroni, sempre molto attivi. Il sistema nervoso può essere suddiviso in sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico. Il sistema nervoso centrale è formato dall'encefalo, racchiuso e protetto dalla scatola cranica, e dal midollo spinale, localizzato nel canale vertebrale, formato dalla sovrapposizione delle cavità della colonna vertebrale. Da un punto di vista istologico, il SNC è formato da due aree morfologicamente distinte: la sostanza grigia che non è altro che un accumulo di pirenofori con i loro dendriti, e la sostanza bianca, rappresentata dagli assoni provenienti dalla sostanza grigia, ricoperti da mielina che da loro il colore bianco splendente. La disposizione tra le due varia a seconda delle regioni: nell'encefalo e nel cervelletto la sostanza grigia si dispone perifericamente a formare la corteccia cerebrale e nelle zone più profonde sottoforma di nuclei encefalici; la sostanza bianca invece si accumula centralmente. Al contrario, nel midollo spinale la sostanza bianca è periferica mentre quella grigia è centrale. Integrato nel SNC c'è il sistema nervoso autonomo, che controlla la motilità viscerale, agendo sulla muscolatura liscia e cardiaca, e la secrezione ghiandolare. È suddiviso in due categorie, il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico, reciproci tra di loro: dove uno stimola l'altro inibisce, senza però una regola precisa, ad esempio nel tessuto cardiaco il simpatico stimola il battito mentre il parasimpatico lo rallenta. I nervi cranici e spinali e le loro ramificazioni, attraverso cui il SNC comunica con la componente somatica e viscerale, compongono il sistema nervoso periferico. I nervi spinali sono connessi al midollo spinale tramite una radice dorsale o posteriore e una ventrale o anteriore della sostanza grigia. La radice dorsale è formata da neuroni di senso che formano fibre afferenti dalla periferia all'encefalo e i cui pirenofori sono localizzati fuori del midollo, nel ganglio spinale. Il prolungamento del pirenoforo nel ganglio, dopo un breve tratto si biforca in un ramo periferico che riceve stimoli sensitivi dalla periferia e li conduce verso l'interno, e un ramo centrale che conduce gli impulsi verso il midollo. Sia il ramo periferico che quello centrale sono morfologicamente indistinguibili da un assone anche se il periferico si comporta funzionalmente come un dendrite. La radice ventrale del midollo spinale, invece, contiene gli assoni dei neuroni di moto che daranno origine alle vie efferenti; questi hanno il corpo cellulare nelle corna anteriori del midollo e conducono l'impulso distalmente verso una fibra muscolare. NEURONI Il neurone è la cellula del tessuto nervoso deputata alla ricezione, elaborazione e risposta degli stimoli provenienti dall'ambiente esterno. È una cellula molto specifica, dotata di un corpo cellulare o pirenoforo, contenente il nucleo e il citoplasma circostante, e una serie di prolungamenti appartenenti a due tipi: i dendriti, che insieme al pirenoforo ricevono gli stimoli provenienti dall'ambiente esterno o da altri neuroni e li trasformano in impulsi nervosi; e l'assone, che trasmette l'impulso distalmente rispetto al corpo cellulare. Mediante questi prolungamenti, i neuroni formano tra loro una fitta rete neuronale che li unisce anatomicamente e funzionalmente mediante le sinapsi, strutture specializzate a trasmettere e ricevere un impulso da un neurone all'altro. Attraverso queste sinapsi un singolo neurone prende contatti con centinaia di altri neuroni ma anche con le cellule degli organi effettori, che possono essere epiteliali, muscolari, connettivali ecc. I neuroni possono essere classificati in base a due criteri fondamentali: la forma del pirenoforo e la lunghezza dell'assone. In base alla forma del pirenoforo i neuroni sono classificati in multipolari, con molti dendriti e un assone solo; bipolari, con un dendrite e un assone; unipolari, con solamente un assone; e infine pseudounipolari, con un solo prolungamento di cui una porzione funge da dendrite e una da assone. La maggior parte dei neuroni sono multipolari, con molti dendriti che emergono da vari punti del pirenoforo, e organizzati in modi diversi, o tutti intorno o tutti verso l'alto. In base alla lunghezza dell'assone, i neuroni si distinguono in: neuroni del primo tipo di Golgi, e del secondo tipo di Golgi, così chiamati in onore di Camillo Golgi che ideò il metodo di colorazione per mettere bene in evidenza i neuroni con tutti i loro prolungamenti. I neuroni del primo tipo di Golgi hanno assoni lunghi che escono dalla sostanza grigia ed entrano nella sostanza bianca; mentre i neuroni del secondo tipo di Golgi hanno assoni corti che rimangono nella sostanza grigia. Un esempio caratteristico di neuroni multipolari sono le cellule del Purkinje. Queste formano lo strato intermedio della corteccia cerebellare, hanno pirenoforo piriforme con un assone che penetra nella sostanza bianca del cervelletto (si tratta quindi di una cellula del primo tipo di Golgi) e in più hanno uno o due tronchi dendritici rivolti verso l'alto e molto ramificati; tutti i rami dendritici sono rivolti verso l'alto e con un'organizzazione a spalliera cioè tutti sullo stesso piano, non in modo tridimensionale. Queste cellule hanno un ruolo inibitorio sui nostri movimenti, infatti il cervelletto è deputato proprio al controllo dei movimenti per renderli precisi. Anche i motoneuroni sono cellule multipolari con forma stellata, un lunghissimo assone e una serie di dendriti che si ramificano in maniera dicotomica, cioè ogni ramo si ramifica in rami sempre più piccoli. I neuroni bipolari sono di forma fusata con l'assone e il dendrite che si staccano dai poli opposti del pirenoforo. Si trovano nel ganglio della coclea, cioè la struttura che accoglie l'organo dell'udito, nel ganglio dello scarpa e nell'epitelio della mucosa olfattiva. I neuroni pseudounipolari hanno un unico tronco che dopo un breve tratto si divide a T in un ramo centrale più piccolo che va al midollo e uno periferico che va al derma. L'impulso nervoso è centripeto nel ramo periferico che quindi funge da dendrite, e centrifugo nel ramo centrale che funge da assone. Queste cellule sono inoltre circondate da cellule di sostegno della glia chiamate cellule satellite. Pirenoforo Il pirenoforo, o soma, è generalmente voluminoso e può assumere varie forme: stellata come nei neuroni di moto, piramidale, nelle cellule piramidali della corteccia cerebrale, piriforme, nelle cellule del Purkinje, o sferica per i neuroni dei gangli di senso. Il nucleo è sferico, voluminoso, generalmente al centro del corpo cellulare e eucromatico chiaro e vescicoloso quindi in intensa attività. Spicca un nucleolo piuttosto grande e in alcuni casi nelle cellule femminili, appare anche la cromatina sessuale ben visibile alla periferia del nucleo. Nel citoplasma abbondano i mitocondri con forma allungata, presenti anche lungo i prolungamenti soprattutto alla terminazione dell'assone. Sono visibili anche un apparato di Golgi molto esteso, in posizione perinucleare, reticolo endoplasmatico rugoso e ribosomi. Sempre a livello del pirenoforo sono visibili al microscopio ottico delle zolle basofile di sostanza tigroide dette zolle di Nissl, che si estendono anche ai dendriti, colorabili con coloranti basici come il blu di toluidina. Non sono altro che gruppi di cisterne di reticolo endoplasmatico rugoso con ribosomi e poliribosomi anche liberi che il neurone sfrutta per la sua intensa sintesi proteica. In condizioni patologiche i corpi di Nissl possono scomparire e in questo caso si parla di cromatolisi. Mediante i metodi di impregnazione argentica è possibile mettere in evidenza in tutto il neuroplasma un importante apparato citoscheletrico utile per mantenere la forma del neurone ma anche per il traffico vescicolare lungo l'assone. Ci sono microfilamenti di actina a ridosso della membrana presenti solo nel pirenoforo, neurofilamenti di circa 10 nm di spessore assimilabili ai filamenti intermedi, e microtubuli, detti neurotubuli, che si estendono anche ai dendriti e all'assone. Prolungamenti I dendriti hanno fondamentalmente la funzione di aumentare la superficie del pirenoforo per aumentare di conseguenza il numero di sinapsi. I dendriti hanno un contorno più irregolare di quello assonico sono generalmente più corti, ramificati con un citoplasma simile a quello del pirenoforo. Sulla loro superficie sono provvisti di spine, cioè estroflessioni che risultano la sede preferenziale delle sinapsi, tramite cui ricevono impulsi nervosi eccitatori o inibitori dalle terminazioni assoniche di migliaia di altri neuroni e li trasmettono al corpo cellulare, una conduzione, quindi, centripeta. Le spine dendritiche hanno un citoscheletro costituito prevalentemente da microfilamenti di actina che li rende plastici e capaci di rimodellarsi. L'assone origina da una breve protrusione del pirenoforo, priva di zolle di Nissl, denominata cono di emergenza. È generalmente più lungo dei dendriti e privo di spine. Lungo il suo decorso emette rami collaterali che si staccano ad angolo retto a livello dei nodi di Ranvier, e poi si divide ripetutamente anche alla sua terminazione, formando un'arborizzazione terminale. A questo livello, le terminazioni formano degli ingrossamenti chiamati bottoni terminali o bulbi sinaptici in corrispondenza della sinapsi, cioè la superficie di contatto tra l'assone e un altro neurone o una cellula effettrice. Attraverso le sinapsi l'assone trasmette impulsi nervosi eccitatori o inibitori all'altra cellula. Il citoplasma dell'assone, o assoplasma, appare privo di organuli, compaiono solo diversi mitocondri, abbondanti soprattutto alle terminazioni, e numerosi neurofilamenti e neurotubuli orientati parallelamente all'asse maggiore dell'assone, che in sezione trasversa appaiono come dei cilindri cavi. Queste strutture fungono da impalcatura di sostegno per una struttura così lunga come l'assone, ma in particolare i microtubuli, sono anche implicati nei processi di trasporto degli elementi corpuscolati dal pirenoforo alla terminazione assonica e viceversa. Tutti i neurotubuli dell'assone sono orientati con una estremità positiva rivolta verso la terminazione nervosa e una estremità negativa verso il pirenoforo e fungono da veri e propri binari per le proteine chinesina e dineina: la prima è responsabile del movimento anterogrado, trasporta quindi vescicole sinaptiche e della via secretoria, mentre la seconda è responsabile del movimento retrogrado, quindi trasporta ad esempio prodotti di endocitosi. La guaina mielinica Ogni assone è circondato da cellule della glia, chiamate oligodendrociti nel sistema nervoso centrale e cellule di Schwann nel periferico. L'insieme dell'assone e delle sue guaine di rivestimento costituisce la fibra nervosa. Nel sistema nervoso periferico, l'insieme di più fibre tenute insieme da tessuto connettivo forma il nervo. Ogni nervo è circondato da una guaina di connettivo chiamata epinevrio; questo è in continuità con il perinevrio che invece circonda più volte ogni singolo fascio più piccolo; infine dal perinevrio si staccano sottili sepimenti connettivali che vanno a circondare ogni singola fibra nervosa, costituendi l'endonevrio. Quando la cellula è avvolta da un solo strato di cellula della glia, si parla di fibra amielinica mentre quando la cellula di Schwann o l' oligodendrocita circonda più volte l'assone si parla di fibra mielinica. Le fibre mieliniche sono più rapide ed efficienti e arrivano ai motoneuroni e altre cellule con sensibilità discriminata. Le fibre amieliniche, invece, arrivano in genere agli organi viscerali e sono meno sensibili e meno rapide. La mielina agisce come materiale di isolamento che impedisce la diffusione dell'eccitamento agli assoni adiacenti e inoltre aumenta la velocità di conduzione dell'impulso. A fresco, appare bianca e splendente, determinando il colore tipico della sostanza bianca dell'encefalo e del midollo spinale. Al microscopio elettronico, invece, appare come una serie di lamelle concentriche chiare e scure che circondano l'assone. Queste lamelle non sono altro che estensioni della membrana plasmatica della cellula si Schwann o di oligodendroglia che si avvolgono a spirale intorno all'assone, lasciando il citoplasma e il nucleo perifericamente. La natura essenzialmente lipidica della guaina spiega il colore bianco della mielina. Nelle fibre periferiche, inizialmente la cellula di Schwann ingloba l'assone tramite due lembi della sua membrana che si allungano e vanno a circondare l'assone; il punto in cui, inizialmente, i due lembi del citoplasma si accollano e si fondono tra di loro, formando una specie di lamina di fusione, viene chiamato mesassone, struttura che permane anche dopo che si è formata una guaina mielinica molto spessa. In corrispondenza del mesassone, per le fibre mieliniche, inizia l'accrescimento della membrana che si avvolge ripetutamente intorno all'assone escludendo mano a mano il citoplasma che alla fine rimane solamente a livello dello strato adassonale, nel primo avvolgimento a ridosso dell'assone, e nelle cosiddette scissure di Schmidt- Lanterman. La membrana della cellula di Schwann e dell'oligodendrocita contengono molto colesterolo che le irrigidisce e sono ricche anche di proteine specifiche per l'accollamento delle membrane. Una singola cellula di Schwann non è abbastanza grande da avvolgere un assone per tutta la sua lunghezza. Si susseguono quindi più cellule una dopo l'altra a partire dalla porzione più distale della radice fino alla ramificazione terminale. L'assone infatti appena emerge dal corpo cellulare è nudo, e perde la sua guaina mielinica poco prima della terminazione. Lungo tutto il percorso questa guaina risulta interrotta tra un avvolgimento e l'altro in corrispondenza dei cosiddetti nodi di Ranvier. Il tratto di fibra compreso tra due nodi è detto segmento internodale e risulta costituito dal rivestimento di un'unica cellula di Schwann. Quindi lungo tutta una fibra si susseguono segmenti internodali, ciascuno formato da una cellula di Schwann, separati l'uno dall'altro dai nodi di Ranvier, in cui la membrana plasmatica dell'assone risulta libera da avvolgimenti ma comunque ricoperta dalle espansioni delle due cellule di Schwann adiacenti e dalla membrana basale. Se l'assone emette rami collaterali, questi originano in corrispondenza dei nodi di Ranvier. Generalmente sia la lunghezza dell' internodo che lo spessore della guaina mielinica sono proporzionali alla lunghezza dell'assone. La formazione della guaina mielinica nelle fibre del sistema nervoso centrale è fondamentalmente simile a quella del periferico. Qui però gli oligodendrociti, a differenza delle cellule di Schwann possono avvolgere singolarmente anche più di un assone, mentre a livello dei nodi di Ranvier l'assone non emette mai rami collaterali ed è a diretto contatto con l'ambiente extracellulare perché manca qualsiasi tipo di copertura. SINAPSI I numerosissimi neuroni che formano il sistema nervoso sono tra loro connessi funzionalmente attraverso le sinapsi. La sinapsi è la zona di contatto tra un neurone e un'altra cellula, che può essere un neurone o una cellula effettrice, attraverso cui è trasmesso l'impulso elettrico. La sinapsi è polarizzata, nel senso che l'impulso viene trasmesso in una sola direzione dal neurone pre-sinaptico, che lo emette, al neurone postsinaptico che lo riceve. Le sinapsi interneuroniche, quelle che si stabiliscono tra due neuroni, possono essere asso-somatiche, cioè tra l'assone e il pirenoforo, asso- dendritiche, tra l'assone e il dendrite, più numerose, oppure asso-assoniche, molto rare. Inoltre, in base alla funzione, le sinapsi possono essere di tipo eccitatorio, inibitorio o facilitatorio. Le sinapsi eccitatorie attivano la cellula post-sinaptica, ad esempio una cellula muscolare, depolarizzandone la membrana; esempi di neurotrasmettitori eccitatori sono l' acetilcolina e il glutammato. Le sinapsi inibitorie, invece, riducono o inibiscono l'effetto delle eccitatorie provocando l'apertura dei canali ionici di membrana e la conseguente iperpolarizzazione; sono prevalentemente asso- assoniche in modo da bloccare a valle ciò che è stato attivato a monte; i principali neurotrasmettitori inibitori sono il GABA e la glicina. Le sinapsi faciltatorie invece rendono la cellula più sensibile ad altre sinapsi e sono importanti soprattutto nel processo della memoria. Possono essere distinti due tipi di sinapsi anche in base al modo in cui viene trasmesso l'impulso: distinguiamo la sinapsi elettrica dalla sinapsi chimica. Nella sinapsi elettrica l'onda di depolarizzazione passa direttamente dal neurone pre- sinaptico a quello post-sinaptico senza l'intervento di mediatori chimici. Mancano i neurotrasmettitori e le membrane delle due cellule sono tra loro connesse da giunzioni gap, cioè quelle giunzioni che mediano l'accoppiamento elettrico tra cellule adiacenti. Ciascuna delle due cellule ha sulla propria membrana un connessone, cioè un canale formato da sei molecole di connessina specifica delle sinapsi interneuroniche, la connessina 36; i due connessoni sono tra loro perfettamente coincidenti e formano così un canale attraverso cui passa l'impulso elettrico. Le sinapsi chimiche sono le più frequenti e utilizzano un neurotrasmettitore, cioè un mediatore chimico, per trasmettere l'impulso e permettere alla cellula post-sinaptica di essere eccitata, inibita o facilitata. La sinapsi si forma in corrispondenza della terminazione assonica del neurone pre- sinaptico, dove la fibra perde il suo rivestimento mielinico e si allarga formando un bottone terminale, o bulbo sinaptico, cioè un ingrossamento, generalmente a ridosso delle spine dendritiche. Tra le due membrane adiacenti c'è una sottile fessura sinaptica di circa 25 nm, più ampia nelle sinapsi neuromuscolari. A livello della terminazione assonica mancano elementi citoscheletrici mentre abbondano i mitocondri e soprattutto le vescicole sinaptiche che contengono il neurotrasmettitore. Sono vescicole di circa 50 nm di diametro circondate da una membrana singola. A livello della sinapsi nella cellula post-sinaptica invece mancano le vescicole sinaptiche mentre abbondano neurotubuli e neurofilamenti ma anche i recettori per il neurotrasmettitore sulla membrana. I neurotrasmettitori sono piccole molecole che mediano chimicamente la trasmissione dell'impulso; possono essere di varia natura, amminoacidi, derivati degli amminoacidi o ormoni e possono anche provocare effetti diversi a seconda della cellula bersaglio, ad esempio l'acetilcolina, che è il neurotrasmettitore principale delle giunzioni neuromuscolari, eccita la muscolatura striata scheletrica mentre inibisce la muscolatura cardiaca e ovviamente la differenza dipende dai diversi recettori presenti sulle cellule. La noradrenalina, invece, agisce sulla muscolatura liscia e sulle ghiandole. Conduzione dell'impulso nervoso In tutte le cellule è presente una differenza di potenziale tra la superficie interna e quella esterna della membrana plasmatica, con una prevalenza di carica positiva esternamente e negativa all'interno. Il potenziale di riposo del neurone è di circa -70, -80 mV ed è generato da una serie di meccanismi di trasporto attivo come la pompa sodio potassio che mantiene una concentrazione di sodio maggiore fuori e minore dentro e una concentrazione di potassio minore fuori e maggiore dentro, tramite il trasporto, per ogni ciclo, di 3 ioni sodio fuori e 2 ioni potassio dentro. Anche gli ioni cloro sono più concentrati fuori della cellula. Oltre a questi ioni, il potenziale di riposo è mantenuto anche attraverso altre macromolecole anioniche come proteine, fosfati inorganici o amminoacidi che contribuiscono a conservare maggiore carica negativa all'interno. Quando un neurone viene stimolato la membrana plasmatica si depolarizza e se il voltaggio raggiunge un certo valore soglia, si genera un potenziale d'azione e la cellula viene stimolata mentre se questo valore soglia non viene raggiunto, la cellula viene solo facilitata. Il potenziale d'azione è un segnale che si sviluppa con una depolarizzazione rapida e una successiva ripolarizzazione lenta della membrana. Quando la membrana depolarizza il potenziale di membrana sale fino al valore soglia di circa -55 mV, questo provoca l'apertura dei canali voltaggio-dipendenti del sodio che passa liberamente dall'esterno all'interno della cellula facendo ulteriormente salire il potenziale di membrana fino a 30 mV; si ha adesso una prevalenza di carica positiva internamente e una prevalenza di carica negativa esternamente. Dopo circa 1 ms la membrana ritorna impermeabile al sodio mentre diventa permeabile al potassio, che fuoriesce dalla cellula ripolarizzando la fibra nervosa. I canali del potassio possono rimanere aperti anche quando la cellula ha raggiunto il potenziale di riposo e in questo modo la fuoriuscita di ulteriore potassio porta la cellula ad essere per un attimo iperpolarizzata. Poi comunque le pompe sodio potassio ripristinano la condizione normale. Il potenziale d'azione è una risposta del tipo tutto o nulla nel senso che se non si raggiunge il valore soglia non si genera alcun potenziale d'azione mentre se si supera il valore soglia la differenza di potenziale raggiunge sempre il picco massimo. Una volta generato, il potenziale d'azione deve essere trasmesso lungo la fibra per arrivare alla sinapsi. Quando l'impulso arriva ad una certa zona della membrana, questa depolarizza localmente e provoca un cambiamento di potenziale nella zona adiacente, a valle. Quando si raggiunge il valore soglia anche qui, avviene lo stesso meccanismo della zona a monte, quindi si aprono i canali del sodio e la porzione di membrana raggiunge il picco di depolarizzazione. Contemporaneamente, la zona precedente torna al potenziale di riposo mediante l'azione delle pompe sodio/potassio. In questo modo il potenziale è passato dalla zona precedente a quella successiva e così continua punto per punto generando un'onda di depolarizzazione lungo tutto l'assone. La propagazione è assolutamente unidirezionale, cioè il potenziale d'azione non tornerà mai indietro dalla regione da dove è arrivato perché qui adesso c'è un periodo refrattario che non consente stimolazione. Questa propagazione punto per punto avviene nelle fibre amieliniche, mentre per le fibre mieliniche la conduzione è di tipo saltatorio. In questo caso il potenziale d'azione salta da un nodo di Ranvier a quello successivo perché questi sono gli unici punti non rivestiti da mielina isolante; inoltre, tutti i canali voltaggio dipendenti per il sodio sono concentrati ai nodi. La conduzione saltatoria dell'impulso risulta molto più rapida di quella punto per punto e inoltre la velocità è tanto più elevata quanto più lungo è il segmento internodale. Quando il potenziale d'azione arriva alla terminazione dell'assone, si innesca una serie di eventi che portano all'aumento di calcio citosolico con la conseguente fusione delle vescicole sinaptiche, abbondanti a livello del bulbo sinaptico, con la membrana della cellula pre-sinaptica e la loro esocitosi nella fessura. Il neurotrasmettitore rilasciato si lega a specifici recettori sulla membrana post-sinaptica provocando l'apertura di canali del sodio e un cambiamento del potenziale di riposo. Se questo raggiunge il valore soglia, si propaga come potenziale d'azione lungo tutto l'assone post-sinaptico fino alla terminazione successiva. Per raggiungere il valore soglia necessario occorre la stimolazione di molti bottoni terminali. Mano a mano che le vescicole sono esocitate, la membrana plasmatica aumenta di dimensioni; esiste quindi un meccanismo di recupero e riciclaggio della membrana attraverso micropinocitosi, attraverso il quale dalla membrana si formano delle vescicole rivestite di clatrina che poi perdono il rivestimento e sono pronte per essere ricaricate di neurotrasmettitore. Una volta rilasciato nella fessura sinaptica, il neurotrasmettitore si lega a recettori specifici sulla membrana post-sinaptica, che possono essere di due tipi: recettori che sono essi stessi dei canali ionici che si aprono dopo aver legato il neurotrasmettitore, oppure recettori collegati a proteine G. Per i recettori che sono anche canali ionici il legame col neurotrasmettitore provoca l'apertura del canale e il passaggio di ioni con cambiamento del potenziale della membrana post-sinaptica. Questo tipo di trasmissione è molto rapida, avviene nel giro di 2 millisecondi. Per i recettori associati a proteina G, invece, la trasmissione è più lenta, può avvenire anche nel giro di qualche secondo; in questo caso l'interazione del neurotrasmettitore col recettore porta all'attivazione della proteina G che può o direttamente attivare dei canali ionici o stimolare la produzione di secondi messaggeri che a loro volta attivano i canali. Una volta avvenuto l'impulso, per evitare che la cellula post-sinaptica continui ad essere stimolata, il neurotrasmettitore deve essere velocemente degradato, questo può avvenire mediante tre meccanismi: o il neurotrasmettitore diffonde nello spazio circostante la sinapsi e viene poi catturato dalle cellule della nervoglia, oppure può essere ripreso dal neurone pre-sinaptico attraverso trasportatori di membrana specifici e poi riutilizzato tal quale; o ancora può essere idrolizzato da enzimi nella fessura sinaptica, ad esempio l'acetilcolina viene idrolizzata dall'acetilcolinesterasi. NERVOGLIA Sia nel sistema nervoso centrale che in quello periferico oltre ai neuroni c'è un'altra classe di cellule non nervose che nel complesso vengono chiamate cellule della glia o nervoglia, molto più numerose ma di dimensioni inferiori. Nel SNC le cellule della glia formano una rete di sostegno che avvolge i corpi cellulari, i dendriti e le fibre dei neuroni, e costituiscono anche il mezzo per la diffusione di sostanze nutritive e gas tra cellule e sangue. Esistono sei tipi di cellule della glia: oligodendrociti, cellule di Schwann, ependimociti, astrociti, cellule satelliti e cellule di microglia. Tutte derivano dall' ectoderma, tranne le cellule della microglia che derivano dal mesoderma. Gli oligodendrociti e le cellule di Schwann sono responsabili della formazione della guaina mielinica intorno alle fibre nervose rispettivamente centrali e periferiche. Gli ependimociti sono cellule che, come una sorta di epitelio di rivestimento, rivestono le cavità interne del sistema nervoso, i ventricoli cerebrali e il canale centrale del midollo spinale. Gli astrociti sono le cellule della glia più numerose, si trovano sparse tra i neuroni in tutto il SNC e possono essere fibrosi o protoplasmatici. Gli astrociti fibrosi predominano nella sostanza bianca e hanno un piccolo corpo cellulare con numerosi prolungamenti filiformi contenenti delle strutture fibrillari chiamate gliofibrille, risultanti dall'aggregazione di gliofilamenti, una classe di filamenti intermedi specifica di astrociti fibrosi e cellule di Schwann. Gli astrociti protoplasmatici prevalgono invece nella sostanza grigia, hanno meno gliofilamenti, corpo cellulare più grande e citoplasma granuloso. In generale gli astrociti svolgono funzioni diverse: metabolizzano i neurotrasmettitori in eccesso fuoriusciti dalle sinapsi, contribuiscono alla formazione della barriera emato-encefalica, che protegge il sistema nervoso da patogeni e sostanze tossiche, e svolgono anche funzioni trofiche verso i neuroni. Le cellule di microglia sono piccole cellule appartenenti alla linea monocito- macrofagica, che circondano i neuroni in uno stato inattivo e in seguito a segnali possono differenziare in macrofagi o cellule dendritiche. Le cellule satellite, infine, sono piccole cellule che delimitano la superficie esterna dei neuroni dei gangli del SNP ed aiutano a regolare l'ambiente chimico esterno.