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CAP-01 devianza unisal

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Capitolo I
I CONCETTI FONDAMENTALI DELLA DEVIANZA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
-
La devianza ed i suoi significati
Tipologie di devianza
Gruppo, Norma, Devianza
Trasmissione delle norme, Devianza e Controllo Sociale
Rapporti tra Normalità e Devianza nella società odierna
Conclusione: verso una definizione meno generica di devianza
Appendice: Emarginazione, Marginalità Sociale
Il comportamento deviante varia a seconda del tempo, del contesto,
dell’appartenenza culturale e del ruolo; dipende dalle norme storicamente create e dalle
sanzioni previste per la loro trasgressione.
In questo primo capitolo cercheremo di capire il significato del termine “devianza” e
come la si può classificare. Classificazione che dipende sostanzialmente dal concetto che
assume la norma, cui la devianza si riferisce. Non solo le norme formalmente descritte
nell’ordinamento giuridico di una società; Ma anche le norme informali, derivanti dai costumi e dalle usanze di ogni gruppo sociale; altre poi sono di natura sanitaria.
Non sempre la devianza è disfunzionale; anzi, in certi casi svolge una funzione positiva di regolazione dei comportamenti, favorisce la creatività, serve a far cambiare norme
inveterate ed obsolete; infine può servire come riferimento negativo per il controllo sociale.
1. LA DEVIANZA ED I SUOI SIGNIFICATI
 “è deviante quel comportamento che viola le regole” (Cohen, 1966).
 “è un comportamento non conforme ai modelli che risultano prescritti in una comunità o gruppo e che quindi viola le aspettative istituzionalizzate” (Leopardi,
1967).
 “comportamento che si allontana in modo più o meno pronunciato dai modelli sociali dominanti” (Galimberti, 1992).
 “è deviante il comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale” (Gennaro, 1993).
 “è il processo per cui alcuni soggetti sfuggono al controllo” (Fichter, 1960).
 “il comportamento deviante è un comportamento socialmente disapprovato che
supera i limiti di tolleranza e, se scoperto, è soggetto a sanzioni negative” (Biesanz & Biesanz, 1969).
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 “conformità e deviazione hanno significato soltanto in rapporto al fatto che i soggetti agenti o attori nei sistemi sociali sono orientati verso norme sociali che sono
interiorizzate come parte della loro personalità” (Johnson, 1960).
 “il termine devianza, quando non ulteriormente qualificato, si riferisce ad ogni
caratteristica o comportamento che differisce da quelli che sono usuali in una data situazione” (Leslie e coll., 1973).
Un primo passo per la comprensione del fenomeno della devianza esige un approccio descrittivo-definitorio, che aiuti a delimitare, almeno in maniera provvisoria, il
campo di analisi. Molti studiosi (criminologi, antropologi, sociologi, psicologi, filosofi,
medici, psichiatri, ecc.) si sono addentrati in questo campo, lasciando ognuno il segno
del proprio passaggio. Ma tutto ciò, se è servito a chiarire alcuni aspetti concettuali
della devianza, per altri l’ha complicata. Oggi ci troviamo di fronte ad un ampio ventaglio di concezioni della devianza, non facili da discernere da parte di chi si avventura
per la prima volta il tale labirinto. Le definizioni di devianza riportate sopra possono
dare un’idea della varietà e dell’ampiezza di significati che il termine ha assunto in
tempi ed ambiti diversi.
L’addentrarsi in tale campo diventa ancora più incerto e mutevole se dobbiamo
parlare di devianza giovanile. “Già si sa quanto si presentino sfumati e poco chiari i
dinamismi evolutivi dell'età evolutiva, contraddittori e riluttanti a qualsiasi facile etichettamento” (Travaglini, 2004, 11). A maggior ragione se dobbiamo parlare di “devianza”, e soprattutto decidere cosa è veramente deviante del comportamento giovanile, se non invece dei tentativi, magari maldestri, di adattamento sociale1.
La complessità scientifica di tale termine non potrà essere certamente risolta da
queste poche pagine: esse servono solo per una introduzione meno vaga possibile al
termine ed ai suoi significati.
1.1 Significato etimologico di devianza
Il termine “devianza” deriva dal verbo “deviare”, termine usato nel tardo latino (de- via) per
indicare letteralmente “uscire di strada”, cioè: “uscire dalla via consueta o principale”, “modificare la propria direzione” (Devoto - Oli, 1988); ed in senso figurato: “allontanarsi da una linea
di condotta, o da un criterio morale” (ibid.). E’ quest’ultimo significato a connotare il termine
“devianza”, e come tale è usato nel linguaggio comune: “L'atto del deviare, così inteso, si riferisce a comportamenti che tendono a violare, allontanandosene in tono oppositorio, […] un insieme costituito di norme” (Travaglini, 2004, 11).
1.2 La devianza statistica
Di per sé l’azione di “deviare” si dovrebbe chiamare “deviazione”. La “devianza” indicherebbe, piuttosto, una tendenza, una caratteristica tipica di qualcuno o di una realtà che “tende
a deviare”. Dobbiamo ad Adolphe Quetelet (1835), matematico ed astronomo belga, l’introduzione del termine devianza in sociologia. Egli infatti applicò per primo la statistica all’analisi
dei fatti sociali, ed in particolare ai reati. Egli credette di identificare la categoria dell’ “uomo
medio”, cioè la possibilità di rappresentare una popolazione attraverso le sue caratteristiche
statistiche medie. Tale grandezza venne rappresentata dalla cosiddetta “media” o “normale”,
mentre la “deviazione statistica” misurava quanto distante dalla “normale” fosse la distribuzione delle caratteristiche di una popolazione e quali membri non potevano quindi essere conside-
1
“La devianza, che spesso (anche se non del tutto propriamente) viene equiparata al concetto di delinquenza e che in tal senso è
stata variamente oggetto di riflessioni metodologiche nei differenti ambiti disciplinari fin dai tempi del Lombroso, non risulta
certo un meccanismo comportamentale meno complesso da comprendere” (TRAVAGLINI, 2004, 11).
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rati “normali”2. Essendo stati rappresentati come statisticamente “devianti” gli autori di reato,
tale denominazione rimase appiccicata, come caratteristica, a questi ultimi. Poi, attorno al
1930, il termine fu assunto dai sociologi americani per indicare un concetto di criminalità più
ampio e meno deterministico di quello usato fino ad allora.
In base alla distribuzione sulla “normale” (curva di Gauss) R. Cavan (1962, cap. III), partendo da sinistra verso destra propose le seguenti categorie:
1. Controcultura criminale: si tratta di una forma di devianza organizzata e radicale, che
persegue aggressivamente un progetto rivoluzionario e che generalmente si appoggia su
un gruppo ben identificabile.
2. Non conformismo estremo: comprende devianze sistematiche accompagnate da una forte
ambivalenza nei riguardi dei valori fondamentali del sistema sociale.
3. Non conformismo moderato: Implica la presenza di devianze occasionali che però non intaccano un consenso sostanziale sui valori del sistema.
4. Conformismo “medio”: è la forma di adattamento più diffusa, che si incontra nella minoranza più consistente della distribuzione.
5. Superconformismo moderato: presenta una consistente attività dei soggetti nel senso
della osservanza rigida delle norme e consuetudini sociali.
6. Superconformismo estremo: ingloba già forme ritualistiche di comportamento ed accentua il carattere ormai patologico dell’osservanza delle norme.
7. Superconformismo controculturale: comprende i comportamenti superstrutturati di fanatici, riformatori, idealisti, radicali ormai isolati entro gruppi sub e contro-culturali, catturati della logica dell’estremismo.
normale
deviante
= non conforme,
diverso
deviante
= lontano dal
normale
Fig. 1.1 Rappresentazione grafica della devianza statistica
La tipologia di R. Cavan (1962), fondata su premesse statistiche, permette di quantificare i
diversi tipi, anche se ovviamente ciò vale solo per i grandi numeri.
Oltre al problema della definizione della devianza in termini di oggettivo/soggettivo e di
non-conformità/difformità, si pone il quesito sulla estrema relatività di ogni definizione di devianza. In realtà, come vedremo più avanti, la devianza, proprio in rapporto alla variabilità della norma, è commisurata a dimensioni spazio-temporali estremamente mutevoli. Infatti non
solo cambiano le norme, ma cambiano anche i limiti di tolleranza attorno alla norma ed i crite2
Devianza statistica di una serie numerica è “la somma dei quadrati delle differenze tra i valori della serie e la loro media” (DEVOTO – OLI, 1988). Infatti “si ottiene sommando i quadrati dei punteggi di deviazione”. A sua volta la Deviazione Statistica
“indica quanto la media di un gruppo di valori non rappresenta (devia da) un singolo valore. Si ottiene sottraendo la media dal
valore stesso” (VOGT )
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ri di valutazione negativo-positiva dei comportamenti e delle caratteristiche non conformi o diversi.
1.3 Devianza e Sistema Normativo
Il fatto che la devianza derivi il suo significato dalla statistica ci consente una sua
prima rappresentazione e di capire l’ampiezza e la vastità dell’impiego che termine può
avere.
Il primo significato che appare chiaramente dalla devianza è che essa è una violazione della norma3. Pertanto il concetto di “devianza” appare in stretta relazione con il
concetto di norma: anzi, i due termini sono complementari e necessari per una reciproca definizione. La coppia normalità/devianza appare concettualmente unita, di modo che se sparisse l’una scomparirebbe anche l’altra. E’ necessario perciò capire cosa
sia la norma, e di quale norma si tratti, per giungere a definire la devianza. Dalla prima si può risalire alla seconda. Perciò un significato che potrebbe assumere il concetto di devianza è quello di ‘a-normale’, intendendo con ciò rappresentare tutto quello
che non rientra nella ‘norma’ e che non rispetta i limiti ufficiali/standard.
1.4 Devianza: normale e necessaria
Tuttavia, utilizzare il termine “anormale” come sinonimo di “devianza”, può essere utile in alcuni casi, ma fuorviante in altri. La devianza non è un'aberrazione sociale, ma una componente ineliminabile di ogni società. È la regola non l'eccezione.
Perché ci sarà sempre una “devianza”, intesa come uno scostamento dalla norma. È
impossibile che gli uomini si comportino esattamente tutti esattamente allo stesso
modo. Sarebbero delle macchine, non degli esseri umani.
Per far capire quanto la devianza sia contenuta nel comportamento di qualsiasi
gruppo umano, Durkheim ha proposto questo semplicissimo ragionamento:
"Immaginiamo una società composta da soli santi... i crimini come tali sarebbero sconosciuti in
quella società; d'altra parte, comportamenti che potrebbero sembrare veniali per un laico dovrebbero creare lo stesso scandalo di un'offesa ordinaria. Se, quindi, tale società avesse il potere di giudicare e di punire, definirebbe tali azioni (veniali) come criminali e le tratterebbe come tali" (Durkheim, 1969a).
Ogni società ha la sua “devianza”, in contrapposizione (o come eccezione) alle sue
norme7regole: ciò deriva dalla necessità di definire i confini tra normalità e devianza,
per provvedere i membri di un senso di appartenenza e di coesione e per scongiurare
ulteriori atti devianti.
Infatti la devianza, secondo Durkheim, ha le seguenti funzioni:
3
-
Mostrare la linea di confine, oltre la quale i membri del gruppo non devono
andare pena una sanzione.
-
Rappresentare attraverso l’atto deviante di un soggetto tutti i devianti.
-
Dimostrare come la società risponde a chi commette reati. Attraverso il
controllo sul deviante vengono riaffermati i valori dei conformisti e si riprende l'ordine.
“Le idee di crimine e di devianza richiamano immediatamente quella di una norma e di una regola sociale o morale che viene
violata, di un comportamento che risulta oggetto di disapprovazione sociale” (GALLINO, 1994, 381). “Bisognerebbe, innanzitutto, provare a considerare il concetto di normalità a partire da come si interpreta il concetto di norma, che appare in ogni luogo come l'elemento indispensabile per dare a un gruppo un'intima e diffusa sensazione di unità all'interno di limiti chiari, rispettati e convenuti, che toccano di fatto ogni aspetto della vita comunitaria: ‘a-normale' potrebbe, in effetti, diventare tutto
ciò che non rientra nella ‘norma’ e che non rispetta i limiti ufficializzati” (TRAVAGLINI, 2004, 12).
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1.5 Devianza negativa, devianza positiva
Un’ulteriore osservazione sulla devianza può essere tratta dalla considerazione
che non sempre la devianza è un elemento negativo. In alcuni casi può avere un risvolto positivo. Come già Durkheim faceva notare, a volte la devianza di oggi può costituire un anticipo della morale di domani. Pertanto i devianti possono essere anche
degli anticipatori, per certi versi, di comportamenti che un domani diventeranno comportamento normale o perlomeno accettato da tutti (pensiamo, per esempio, agli obiettori di coscienza).
Più precisamente Fichter (1960) parla di devianza positiva e negativa. La distinzione si fonda sulla differente funzione dei modelli ideali e reali di comportamento. La
devianza positiva è infatti un tentativo di avvicinarsi ai modelli ideali di vita della media di una popolazione: in questo senso si possono considerare devianti positivi i santi, i riformatori, i radicali, gli eroi, gli entusiasti.
La devianza negativa comprende invece i comportamenti che stanno al di sotto
delle aspettative di ruolo (oppure contro di esse, in altra direzione); vi appartengono la
gran parte dei comportamenti criminali, illegali, ecc.
Devianza positiva e negativa possono considerarsi in realtà due poli estremi di un
“continuum” (con diverse sfumature intermedie) più che due categorie distinte e contrapposte.
Ecco come la rappresentano gli Hecker (fig. 1.2):
DEVIANZA NEGATIVA E POSITIVA
ATTEGGIAMENTI NEI CONFRONTI DELLA NORMA
REAZIONE SOCIALE
E
VALUTAZIONE COLLETTIVA
Non-conformità
Valutazioni
negative
Valutazioni
positive
Superconformismo
DEVIANZA NEGATIVA
Non conformità
Valutazione negativa
RATE-BUSTING
Superano le aspettative
Valutazione negativa
(es. drogati, spacciatori, assassini, ladri)
(es.: colleghi/ studenti secchioni,
carrieristi)
AMMIRAZIONE
DELLA DEVIANZA
Non conformi alla norma
Valutazione positiva dalla gente (es. Robin Hood, rivoluzionari, eroi)
DEVIANZA POSITIVA
Superamo le aspettative
Valutazione positiva
(es. Madre Teresa di Calcutta, M. L.
King, Gandhi)
Fig. 1.2 – tipologia della devianza di Hecker & Hecker (2002).
Tuttavia bisogna pensare che “un atto, una credenza o un tratto di una persona sono socialmente devianti non perché sono rari, non comuni, inusuali, ma perché violano una norma
(sociale) e sono disapprovati e condannati dalla maggior parte delle persone. Contrariamente a
quanto alcuni pensano, la frequenza di un atto, di una credenza o di un tratto non coincidono
con la misura della loro accettazione sociale” (Barbagli, Colombo, Savona, 2003, 14).
Ciononostante alcune volte anche in campo sociale si deve tener conto dello spostamento
statistico della norma (come comportamento medio della popolazione) e di conseguenza che ciò
che era deviante un tempo, non lo è più in un altro momento, perché è cambiata la percezione
sociale di un valore e di conseguenza anche le norme (v. § 5.1, fig. 1.6).
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2. ALCUNE TIPOLOGIE DI DEVIANZA
Se la devianza è, per definizione, violazione della norma, si daranno tante manifestazioni devianti quante sono le norme cui si riferisce.
Dinitz et al. (1969, 12), seguendo una linea parsonsiana, ha composto una lista
di “devianze” a partire dalla «natura dell’ordine normativo» violato e, ovviamente, dalla
«natura della deviazione», come elemento distintivo tra i vari tipi di devianza, come
mostra lo specchietto seguente (fig. 1.3).
Secondo questa classificazione, esistono cinque categorie di devianza e quindi di
devianti, che vengono definite in base alla natura dell'ordinamento normativo con il
quale l'individuo è in contrasto.
Queste cinque categorie sono costituite da un deviante inteso come:
1. un individuo che contrasta con le norme relative al prevalente modello fisico, fisiologico o intellettivo (nano o gigante, deforme, sfigurato, debole mentale…);
2. un individuo che infrange le norme religiose o ideologiche e che rifiuta l'ortodossia (apostata, eretico, traditore…);
3. un individuo che infrange le norme giuridiche (omicida, ladro…);
4. un individuo il cui comportamento non corrisponde alla definizione culturale di salute mentale (psicotico, nevrotico…);
5. un individuo che rifiuta i valori culturali dominanti (vagabondo, hyppy, bohemien, barbone, suicida …).
TIPOLOGIE DI DEVIANZA
TIPO DI DEVIANTE
L’ANORMALE
IL COLPEVOLE
IL CRIMINALE
L’AMMALATO
L’ALIENATO
NATURA DELL’ORDINE
NORMATIVO VIOLATO
modelli ideali di tipo fisico,
fisiologico, psicologico
ideologia (religiosa o secolare)
codici legali
NATURA DELLA DEVIANZA
aberrante nel “modo di
essere”
rigetto dell’ideologia
mancanza di leggi nel
comportamento
definizioni culturali di salute aberrante nel modo di
mentale
agire
scopi e mezzi culturali
rigetto dei valori della
cultura dominante
ESEMPIO DI DEVIANZA
piccolo, alto, magro, grasso,
brutto, handicappato
apostata, eretico, traditore,
peccatore, ecc.
assassino, ladro, rapinatore,
strozzino, terrorista, ecc.
matto, psicotico, nevrotico,
bordeline, ritardato mentale
vagabondo, barbone, suicida,
hippie, bohémien, frickettone
Fig. 1.3 – Classificazione in base alla natura della devianza (Dinitz, 1969)
Stando a questa suddivisione appare ancora più evidente che la devianza è in riferimento
alla norma. Non si tratta solo della violazione intenzionale di un “modello di comportamento”
istituzionalizzato, ma anche più semplicemente di una difformità da caratteristiche somatiche,
psichiche, morali, culturali ecc. ritenute “normali” in un determinato contesto sociale. Così è
considerato ‘deviante’ il furto in una società che sanziona la proprietà privata, come è considerata deviante (perché ‘diversa’) una persona notevolmente più alta o più bassa della media, un
malato mentale, un handicappato fisico.
La distinzione avanzata sembra supporre che la devianza non sia una qualità inerente ad
un determinato comportamento o caratteristica, ma una qualità attribuita dal di fuori, cioè socialmente, ad un certo modo di essere o di agire difforme dagli standard accettati. Come fanno
opportunamente osservare Bandini e Gatti (1987, 2) “le differenze la cui presenza porta alla
7
devianza non hanno importanza in sé, ma in quanto considerate indesiderabili dalla società in
generale o da qualche gruppo sociale”.
2.1 Devianza e criminalità, o delinquenza (devianza dalla norma giuridica)
La rappresentazione della devianza come alternativa alla normalità ci fa comprendere
quanto sia errato equipararla alla “delinquenza”. La “delinquenza” (o “criminalità”)4 si riferisce
alla violazione delle norme giuridiche, mentre la devianza si riferisce ad una serie più ampia di
norme, che non corrispondono necessariamente ed in tutto a quelle giuridiche, ma ad altre
esigite dalla società o dal gruppo sociale in cui ci si trova. L'atto delinquenziale è un atto potenzialmente pericoloso per la collettività, ma non tutti gli atti considerati lesivi dalla collettività, sono definiti tali dal codice penale. Ci sono altre condotte non necessariamente minacciose
per gli altri, ma che possono essere considerate devianti, come per esempio molti comportamenti autolesivi che portano al compimento di atti suicidari. Infine ci possono essere delle manifestazioni stravaganti o ‘ribelli’, che la società rifiuta o critica aspramente (come la foggia dei
capelli o dei vestiti, gli abiti, il genere musicale, ecc.), ma poco o nulla hanno a che fare con la
delinquenza in senso stretto (Travaglini, 2004, 12).
Bisogna quindi distinguere tra devianza e delinquenza5. La delinquenza (e/o criminalità) infrange norme descritte chiaramente nell’ordinamento giuridico. Le norme
sono scritte sotto forma di legge, sono controllate dalle forze dell’ordine e prevedono
specifiche sanzioni6. La devianza non corrisponde perciò alla delinquenza, anche se
esserne una forma, cioè può rappresentare la devianza rispetto ad un certo tipo di
norma (giuridica o formale), ma non nei confronti di tutte le norme. Più propriamente
va precisato che la devianza giuridica si chiama “reato” ed è oggetto di studio da parte
della Giurisprudenza, della Sociologia della Delinquenza, o della Criminologia.
Il diritto si suddivide in varie forme, a seconda dell’ambito di competenza.
a) Il diritto penale comprende un’ampia gamma di reati: contro la proprietà (furto, truffa, vandalismo);
contro l’ordine pubblico (vagabondaggio, ubriachezza in pubblico, disordine); contro la moralità (prostituzione, possesso, traffico e uso di droga, vendita di materiale pornografico ai minori, scommesse); contro la persona (omicidio, stupro, violenza, abusi su minori, stragi, ecc…); contro lo stato e la fede pubblica (evasione fiscale, spacciare moneta falsa, ecc.). Le sanzioni sono prevalentemente di natura penale e
di limitazione della libertà. Sono propriamente queste infrazioni a costituire “reato criminale”.
b) Le norme descritte nell’ordinamento civile sono orientate alla soluzione dei conflitti e dispute tra privati. Si tratta di un tipo di reati diverso da quello criminale e riguarda i contratti, il pregiudizio alle persone e alle proprietà, la diffamazione, la negligenza, il divorzio, i diritti di autore, le vendite, ecc. Le sanzioni sono prevalentemente pecuniarie e intendono provvedere al risarcimento dei danni.
c) Le norme descritte nell’ordinamento amministrativo hanno la funzione di proteggere l’individuo dal
potere dello stato, delle amministrazioni e delle grandi corporazioni.
2.2 Norma e devianza nell’ambito sociosanitario (salute/malattia)
Un altro tipo di devianza, in cui sovente ci si imbatte, è quella dell’ambito sociosanitario, che corrisponde al termine “malattia” o “patologia”7, cioè ad una condizione
4
La distinzione tra criminalità e delinquenza non è tanto chiara in italiano (a differenza dell’inglese). In genere però per “delinquenza” si intende un comportamento meno grave di “criminalità”, termine usato per descrivere in genere i delitti più gravi o
le forme di delinquenza organizzata.
5
“È […] necessario che i termini devianza e delinquenza siano chiaramente definiti, delimitati e considerati nella loro specificità, al fine di comprendere ciò che distingue i due fenomeni e ciò che invece li rende sovrapponibili” ( BANDINI - GATTI, 1987, 2).
6
“Essenziale per la sopravvivenza di un contesto gruppale istituzionalizzato è la norma giuridica, costituita da un insieme indiscusso di diritti e doveri, approvata formalmente dalla classe governativa e fatta rispettare da appositi organi di controllo, quali
la magistratura e la polizia. Contravvenire a questo tipo di norma significa, il più delle volte, incorrere in precise sanzioni amministrative, civili o, nella peggiore delle ipotesi, penali” (TRAVAGLINI, 2004, 12).
7
“Un’interpretazione […] molto più comune identifica la devianza con qualcosa di essenzialmente patologico, che rivela la presenza di una ‘malattia’. Tale interpretazione si basa ovviamente su una analogia medica. L’organismo umano, quando funziona
8
di non perfetto stato di salute, che può essere oggettivamente definita attraverso indicatori precisi detti “sintomi”.
Definire esattamente in che cosa consista la “salute” (e di conseguenza la “malattia”) non
è cosa semplice. Definirla solo come “assenza di malattia” non chiarisce molto le cose e si rischia la tautologia8.
L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha dato, nel 1948, questa definizione di salute: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non meramente l’assenza di
malattia e infermità”9. Già questa definizione ha contribuito a cambiare l’orientamento stesso
con cui si guardava a tale concetto: non si può pensare, infatti, ad essa solo in senso riparativo
e curativo, ma anche di preventivo e promozionale. In quest’ottica l’OMS ritiene che le dimensioni fondamentali della salute siano essenzialmente tre: fisica, mentale e sociale.
-
la prima è quella cui si riferisce immediatamente la gente e riguarda globalmente il funzionamento dell’organismo. Essa abbraccia l’attività fisica, la dieta, i risvolti fisici di tutte
la attività umane, le conseguenze negative delle malattie, del lavoro, delle droghe e
dell’alcool sul corpo;
-
la seconda comprende gli aspetti della condizione mentale ed emotiva del soggetto e tocca anche l’area della vita spirituale entro cui si situa il sistema di significato esistenziale
della persona;
-
la terza si riferisce all’incidenza che i comportamenti sociali, le interrelazioni tra singoli e
gruppi, la cultura, l’economia e la politica hanno sulla salute. In questo senso, si può
considerare come la risultante di una circolarità di azioni e di retroazioni all’interno di
una società in cui la complessità costituisce la regola a motivo della presenza sempre
più abbondante e diversificata di interconnessioni tra le varie componenti (Ingrosso,
1994).
Questa distinzione permette di superare una visione puramente fisicista della coppia
“salute/malattia”, poiché il concetto di “salute” è molto più ampio e complesso di quello tradizionale. Pertanto al “benessere”, che è lo stato di salute piena, contribuiscono tutte le componenti citate, in relazione dinamica tra loro10.
efficientemente e non è soggetto a nessun disturbo, è considerato ‘sano’. Quando non funziona efficientemente, è considerato
malato” (BECKER, 1987, 19).
8
Se definiamo “salute” come “assenza di malattia” e malattia come “assenza di salute”, stiamo all’interno di un circolo vizioso.
9
Questi principi furono ribaditi nella Dichiarazione di Alma Ata (1978) e nella Carta di Ottawa (1986). In quest’ultima si afferma: «La promozione della salute è il processo che consente alla gente di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e
di migliorarla. Per conseguire un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale, l'individuo o il gruppo deve poter individuare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e modificare l'ambiente o adattarvisi. La salute è, pertanto vista come una risorsa per la vita quotidiana, non come obiettivo di vita. La salute è dunque un concetto positivo che insiste
sulle risorse sociali e personali oltre che sulle capacità fisiche. Di conseguenza, la promozione della salute non è responsabilità
esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani per aspirare al benessere» (OMS,
1986, 1). Quest’affermazione contraddice la tendenza alla “medicalizzazione” di tanti disturbi. Un caso di eccessiva medicalizzazione lo troviamo nella dipendenza da sostanze stupefacenti: droga, alcol, ecc. La “riduzione del danno” è un esempio di
intervento medicalizzante rivolto al controllo dei danni subiti dal tossicodipendente. Essa funziona anche come meccanismo di
difesa della società che vuole minimizzare, da parte sua, i problemi sociali generati dalla tossicodipendenza. Però, se è pur vero
che una componente della tossicodipendenza è di tipo neuro-biologico, non dev’essere ridotta ad una questione medica: “non
bisogna cadere nell’inganno che la ‘droga’ sia il problema centrale e che quindi la risposta possa consistere in una disintossicazione fisica e psichica in un centro antidroga. Il vero problema è l’uomo” (MASINI, 1987, 54). Non bastano quindi i centri terapeutici, i Ser.T, le cure mediche o psichiatriche, ma bisogna pensare alla ricostruzione della persona nella sua interezza. In Italia ciò si realizza prevalentemente all’interno di comunità di accoglienza, rieducative o terapeutiche.
10
Secondo questa precisazione si può definire la normalità come “una condizione di doppio adattamento della persona, sia alla
realtà esterna sia alla propria originalità, fatta di bisogni e di specifici modi di funzionamento mentale e relazionale, che permette un relativo soddisfacimento pulsionale, un utilizzo flessibile del processo primario e del processo secondario, la consapevolezza ed il rispetto dei limiti posti dalla realtà. Tale adattamento si traduce in una struttura di personalità stabile, […], non
scompensata e potenzialmente in grado di non esserlo per tutta la vita; struttura che si difende dallo scompenso tramite un
adattamento alla propria originalità, che si manifesta attraverso le infinite differenze individuali dei comportamenti relazionali”
(FAVA VIZZIELLO et al., 2004, 37).
9
Rimane ancora la difficoltà di decidere quando uno è sano e quando è ammalato, perché i
confini sono molto incerti. Ci possono essere dei sintomi di malattia, ma non esserci ancora la
malattia vera e propria (come per esempio nel caso di un raffreddore, un mal di testa, ecc.).
Ancora più complessa è la diagnosi della malattia psichica 11. Una volta valeva la distinzione tra
psicosi e nevrosi, dove quest’ultima non era considerata vera e propria patologia. Ma queste
distinzioni sono ormai superate e, soprattutto, con l’introduzione delle sindromi “borderline”,
non si sa più in quale ambito ci si trovi. Questa difficoltà si evidenzia in particolare nel periodo
dell’adolescenza, quando certi sintomi sembrano preludere ad una malattia grave (del tipo
“psicosi”) ed invece il decorso si risolve positivamente, mentre altre volte i sintomi premonitori
di una malattia psichica sono appena percettibili e possono indurre in errore, facendola considerare una malattia temporanea, mentre invece, col tempo, si rivela tutta la sua gravità 12.
In ogni caso bisogna tener conto che si ha sempre a che fare con una persona, che non
dev’essere ridotta alla sua malattia (“malato” è un aggettivo, che non dev’essere mai sostantivato). Malattia che non dipende solo dal soggetto ma anche dall’ambiente13. E’ una devianza che
non va colpevolizzata o trattata solo farmacologicamente. Il paziente è un essere umano, che
ha bisogno di vivere in una comunità e di sentirsi accolto e compreso, soprattutto quando è
più debole ed incapace di provvedere a se stesso. La sua situazione è sovente esente da responsabilità o colpa personale, e richiede attenzioni particolari e non sanzioni o punizioni.
Ovviamente il paziente è invitato a collaborare con la cura, come il terapeuta a trattarlo
da essere umano e a rispettarlo nei suoi diritti fondamentali.
2.3 Le norme e le sanzioni nell’ambito sociale informale
Il ricorso alla coppia salute/malattia ci ha permesso di chiarire alcuni aspetti del concetto
“norma/devianza”, ma non lo ha esaurito. Infatti non tutto viene compreso entro il concetto di
“benessere”. Ci sono valori, opinioni, credenze, comportamenti, stili di vita, che non intaccano
di per sé il benessere di una persona o di un gruppo, ma la cui infrazione/offesa costituisce
devianza. Quest’osservazione ci permette di introdurci in un campo ulteriore: quello della norma informale.
Le norme informali riguardano la moltitudine di norme e sanzioni più o meno
condivise dalle culture e dalle società. Esse in genere non sono in contrasto con
l’ordinamento giuridico, anzi sovente ne rappresentano il sostrato di fondo, ma non
tutte, né sempre14 sono codificate in forma di legge, non appartengono all’ambito medico, né sono disciplinate da esigenze di salute e di benessere, eppure sono vive e operanti all’interno di una comunità, di un gruppo umano. Esse costituiscono opinioni,
usanze, credenze, usi e costumi di un popolo o di un gruppo sociale15.
11
“Naturalmente, c’è qualche disaccordo su cosa costituisca un sano stato dell’organismo. Ma c’è molto meno accordo quando
analogicamente si usa la nozione di patologia per descrivere tipi di comportamento che sono considerati devianti. […] è difficile trovare una soluzione che possa soddisfare anche un gruppo selezionato e limitato come quello degli psichiatri; è impossibile trovarne una che venga generalmente accettata come sono accettati i criteri di salute per l’organismo” (BECKER, 1987, 19).
12
Si chiamano resistenti le situazioni patologiche che durano nel tempo, al di là del momento critico in cui sono esplodono. Desistenti quelle di cui si ha una remissione una volta superato il momento critico (cfr. MRAZEK & HAGGERTY, 1994).
13
Continuando con la precisazione introdotta nella nota 8 possiamo dire che “la patologia è data dall’estensione di uno stile di
elaborazione mentale delle informazioni e di gestione delle relazioni significative e della protezione del sé, a contesti in cui tali
strategie risultano disadattive e non tengono contro delle informazioni omesse, falsificate o distorte relative sia al sé e ai propri
sentimenti, sia alle opportunità offerte da contesto e ai rischi effettivi da cui bisogna difendersi” (FAVA VIZZIELLO et al., 2004,
37).
14
Per esempio la norma etico-morale, che si trova alla base dei valori ideologici e morali di un dato gruppo, può o meno trovarsi
in sintonia con la norma giuridica. “Il «non rubare» biblico, che si propone come una norma fondamentale del gruppo religioso
giudaico-cristiano, non entra in conflitto con il nostro codice penale” (Travaglini, 2004, 12-13), mentre regole di altri gruppi
religiosi (come per esempio la poligamia) si pongono in opposizione con i principi della nostra carta costituzionale.
15
Il sociologo americano William Graham Sumner [1906] aveva individuato tre diversi tipi di norme: Norme d’uso (folkways),
Norme morali (mores), Norme giuridiche (SUMNER W. G., Costumi di gruppo, Edizioni di Comunità, Milano, 1962). Pur non
seguendo tale classificazione, prendiamo atto della sua esistenza e rilevanza.
10
Queste norme possono essere suddivise in tanti modi. Per esempio, Nancy Heitzeg (1996, 11) ha proposto la seguente distinzione:
1. usanze: norme generalmente non scritte ma presenti nei costumi e nelle abitudini di una popolazione: riguardano ad es. il modo di comportarsi in una cerimonia funebre, il come vestirsi per un appuntamento ufficiale, il come comportarsi in una chiesa;
2. assunzione di uno stile (moda) nel vestirsi e presentarsi;
3. modalità di passare il tempo libero: musica, sport, divertimenti, consumi;
4. stile di vita: filosofie di vita, valori, modi di vivere il quotidiano da parte di determinati gruppi sociali (ad es. gli hippies, i punks, i mods, gli skinheads);
Le sanzioni alla devianza informale provengono primariamente dal circolo interpersonale e possono successivamente comportare l’intervento delle istituzioni di controllo sociale. Ma è in primo posto l’interazione interpersonale a controllare e sancire
la devianza informale: familiari, amici, conoscenti possono applicare le sanzioni più
diverse come ammonimenti, sguardi di riprovazione, ricatti, minacce di togliere i privilegi o l’amicizia, rimproveri, castighi, punizioni, stigmatizzazioni16, ecc. Ma anche le
organizzazioni possono controllare e sancire in quanto al loro interno si creano norme
che devono essere condivise dai loro membri, dove il dissenso può comportare la reprimenda, il ritiro dei privilegi, la discesa nella scala sociale, la diminuzione del proprio valore sociale e del potere sugli altri.
Il campo della devianza informale comprende la maggior parte dei casi di devianza, soprattutto di quella che rimane sommersa, nell’oscurità e che riguarda l’ambito
ristretto dei gruppi sociali come la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola, il quartiere.
È quindi importante capire che siamo circondati ad ogni passo da norme, anche nei posti
più insospettabili ed informali.
2.4 Devianza morale
La comprensione della complessità scientifica del fenomeno della devianza non
può esaurirsi nelle classificazioni proposte da Dinitz, per quanto interessanti. Travaglini propone una classificazione, che, pur trascurando alcuni tipi di norma (come
quella sociosanitaria), focalizza l’attenzione su quella morale (sia sociale che individuale) e sui probabili conflitti che ne possono conseguire.
Innanzitutto egli distingue tra norma giuridica, norma etico-morale (sociale), e
norma morale (individuale) (fig. 1.4).
Dopo aver presentato le caratteristiche della norma giuridica ed etico-morale, o
sociale, egli presenta quella “morale-individuale”. La sua puntualizzazione ci sembra
originale estremamente importante, soprattutto per chi deve trattare con adolescenti.
«Esiste, infine, una norma che potremmo chiamare morale-individuale, che anima l'interno di ogni individuo in modo del tutto autonomo rispetto al contesto sociale di appartenenza e che agisce in risposta sia al
proprio nucleo psichico considerato nella sua totalità, chiamato Sé, sia alle norme esterne.
Si possono creare quattro diverse tipiche situazioni comportamentali, in quanto la norma moraleindividuale si può trovare in sintonia sia con il Sé sia con la norma del gruppo esterno, oppure in sintonia con
il Sé ma in disaccordo con la norma del gruppo di appartenenza oppure, al contrario, in disaccordo con il Sé
ma in sintonia con la norma del gruppo esterno. Infine, la norma morale-individuale può essere in contrasto
sia con il Sé sia con la norma dell'ambiente esterno.
16
Processo per cui una persona viene definita deviante in base a caratteristiche esterne come il comportamento, l’apparenza, il
colore della pelle, le forme del corpo, il linguaggio, ecc. Dal greco stigma = segno, marchio.
11
Si può, in effetti, agire in disaccordo con alcune proprie spinte interiori pur di non entrare in contrasto
con le richieste del proprio ambiente, come quando si manifestano, spesso involontariamente, atteggiamenti
convenienti ma finti, al fine di evitare probabili stati di angoscia nel contravvenire alle richieste dell'ambiente, ciò che potrebbe produrre una temuta rottura comunicazionale con il Tu.
D'altra parte, certe spinte aggressive proiettate verso l'esterno possono risultare il riflesso di un profondo anarchismo intrapsichico e quindi rappresentare l'espressione di un conflitto con il proprio Sé.
È vero anche, però, che certi comportamenti che ai più possono apparire come manifestazioni antisociali potrebbero in realtà essere lineari al proprio sentire interiore e destabilizzare la consolidata ‘normalità’
di un dato ambiente, come quando uno spirito innovatore e ribelle ai valori tradizionali e ormai desueti di un
dato contesto socio-culturale propone o si batte per idee nuove, scomode a chi gestisce o si è adagiato sui
vecchi valori normativizzati.
Da questo schema emergono essenzialmente tre forme diversificate di devianza: una legale, una sociale
e una intrapsichica. La prima si ha quando sono contraddette le norme giuridiche; in questo caso le azioni illegali possono rivolger si tanto contro la persona quanto contro la proprietà. La devianza sociale, invece, si
avvera nel contrasto con le norme etico-morali, mentre ci si trova di fronte a un conflitto intrapsichico nel
caso in cui si viva un dilemma con le proprie norme interiori o morali-individuali».
Fig. 1.4. Schema sulla tipologia della norma (Travaglini, 2004, 12)
«Si può pertanto constatare come sia nel continuo interscambio relazionale tra individuo e ambiente,
tra norme interne e norme esterne, che si comprende con più chiarezza l'aspetto eziologico di certi dinamismi comportamentali della devianza e quanto fondamentale sia il tipo di rapporto vissuto tra i diversi livelli
psichici interni alla struttura psichica individuale. Entrambe le realtà, quella interna e quella esterna, si influenzano e condizionano vicendevolmente (Travaglini, 2004, 12-14).
2.5 Una conclusione sul tipo di norme-devianze
Da quanto visto esposto ci si può render conto della estrema complessità del fenomeno devianza, e che comunque esso è intimamente connesso, come concetto, alla
norma, di cui rappresenta una tensione polarizzata. Cioè, la norma trova i suoi limiti
nella devianza e la devianza consiste nel contravvenire la norma: dove c’è l’una non c’è
l’altra, ma l’una è indispensabile all’altra per strutturarsi e definirsi. Nella fig. 1.5 abbiamo riprodotto i principali significati che i due termini possono assumere.
12
Fig. 1.5. Tipi di norme e di devianze
3. GRUPPO, NORMA, DEVIANZA
“La devianza è creata dalla società. I gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa” (Becker, 1987, 22).
“Non esistono devianze in sé, ma solamente definizioni sociali di ciò che è atto conforme o atto
deviante” (Gallino, 1988, 220).
La devianza, come abbiamo visto, è una particolarità attribuita socialmente, ossia dagli
altri, ad un certo modo di essere o di agire difforme dagli standard convenzionalmente accettati
da una società. Ma le stesse norme hanno un’origine sociale. Non esiste gruppo umano, soprattutto se organizzato, che non sia regolato da norme 17. “La presenza di esseri umani nella
stessa cerchia impone precise esigenze di ordinati e reciproci rapporti. La funzione prima delle
norme sociali è quella di stabilire delle direttive di azione e di chiarire ciò che si attende da
ognuno” (Asch, 1977, 379). Ciò sembra motivato dalla necessità di accordarsi, per risolvere
ambiguità, incertezze, dispute, litigi, conflitti, guerre18.
Tuttavia non basta stabilire il suo rapporto con la norma per definire la devianza.
La nozione di devianza presuppone l'esistenza di un complesso di valori, di credenze,
di aspettative. Se la maggioranza delle persone che vivono in un paese definiscono
inaccettabile un tratto o un atto di una persona è perché esse hanno le stesse idee su
ciò che è bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso.
K17 “Troviamo norme dovunque vi sia una società organizzata… in conseguenza dell’interazione degli individui che dà luogo a
norme sociali” (SHERIF, 1936, 165, cit. in DOISE, DESCHAMPS, MUGNY, 1980, 97). “Ogni società si fonda su un sistema di norme e di leggi che regolano i rapporti sociali, che garantiscono la stabilità di quella collettività” (GALLINO, 1994, 381). “The
function of a social norm is to coordinate people’s expectations in interactions that possess multiple equilibria. Norms govern a
wide range of phenomena, including property rights, contracts, bargains, forms of communication, and concepts of justice.
Norms impose uniformity of behavior within a given social group, but often vary substantially among groups” (Social Norms
in S. N. DURLAUF and L. E. BLUME, The New Palgrave Dictionary of Economics, Macmillan, London 22008).
18
“Le nostre attività finirebbero nel caos se non ci attenessimo alle regole che, in un dato contesto, definiscono alcuni tipi di
comportamento come appropriati ed altri come inappropriati” (GIDDENS, 1991, 117).
13
Gli studiosi di scienze sociali definiscono valori i fini ultimi dell'azione e norme le
regole da seguire per realizzare un determinato valore, i mezzi che prescrivono o vietano dei comportamenti in vista di qualche fine. Così, ad esempio, la norma che proibisce il furto discende dal valore della proprietà, quella che condanna l'omicidio dal
valore della vita.
“Le norme sociali fanno parte dei mezzi coi quali gli uomini vengono a patti gli uni con gli
altri” (Asch, 1977, 380). Ma le norme sono anche “delle costrizioni che limitano la libertà
d’azione” (Ibid., 381). Perciò, singoli individui, o sottogruppi della stessa società, tenteranno di
sottrarsi agli obblighi normativi quando i loro interessi divergano da quelli comuni. Ma nel
momento in cui la norma viene disattesa da uno o più membri del gruppo, nascono immediatamente delle reazioni di condanna nei confronti di chi ha deviato, ossia ha infranto la
regola. La norma pertanto richiede di per sé di essere rispettata da tutti coloro che fanno
parte di un gruppo o società. Non ci si può sottrarre ad essa secondo il proprio capriccio o
arbitrio, altrimenti la società che l’ha emanata si sente minacciata nella sua unità ed int egrità e reagisce con forza.
Alcune norme sono prescrittive e indicano quello che si deve fare: “pedoni sulla destra”; “incontrandosi ci si saluta”. Altre norme sono proscrittive, e indicano quello che non si deve fare: “ non si sputa per terra”; “non si porta il cappello in chiesa”; “non si scrive sui muri”, ecc.
Esse sono accompagnate da rispettive sanzioni che vengono applicate a chi le infrange. La sanzione è in una punizione che serve a far capire ai recalcitranti la volontà del gruppo. Chi non vuole r ispettare le regole non viene accettato in un gruppo/società; se vuole essere accettato deve nel
contempo sottostare alle regole.
3.1 Devianza e aspettative di ruolo
Abbiamo visto che le norme servono anche a coordinare le aspettative che nascono nei rapporti interattivi (Durlauf - Blume, 2008). Ogni violazione della norma costituisce, parallelamente, anche un’infrazione delle aspettative di ruolo che un determinato gruppo di osservatori sociali si è venuto costruendo nei riguardi del soggetto.
Questo fatto non può non produrre una certa frustrazione nel gruppo, che vede minacciata la rete di rapporti reciproci, prevedibili e standardizzati, su cui si basa la sicurezza dei singoli. La reazione a questa percepita infrazione delle aspettative di ruolo
può essere estremamente varia; non esclude comunque mai un’ostilità diffusa verso il
deviante, un tentativo di bloccaggio, una tendenza al recupero dei comportamenti
normali attraverso l’uso del sistema ricompensa-castigo ecc. In ogni caso la devianza
non rientrata provoca un ripensamento radicale del sistema di aspettative di ruolo che
non è facile ricostruire in tempi brevi.
Al di là di questa considerazione globale va sottolineato il fatto che solitamente i
devianti sono tali, per certe norme, solo in rapporto a particolari ruoli, esercitati entro
particolari gruppi o contesti. E tuttavia nelle società moderne industriali si assiste ad
un fenomeno di diffusione dell’importanza del ruolo, per cui si tende ad estendere il
giudizio di devianza a tutta la personalità del “diverso” che viene in tal modo globalmente stigmatizzata. Non così avveniva nelle società premoderne in cui la stigmatizzazione rimaneva costretta nei settori realmente difformi e non comportava un giudizio
su tutto il comportamento. In realtà il deviante è sempre “conforme” almeno rispetto
ad alcuni settori del suo “essere” o “agire”: egli si adegua generalmente a molte norme
del vivere comune e si conforma ai modelli del gruppo deviante a cui si riferisce.
14
D’altra parte è difficile trovare una persona perfettamente conformista. E’ il caso
delle società ad alto grado di complessità, come la nostra, che implicano il rischio di
scarsa integrazione, se non proprio di disintegrazione. Dal punto di vista della società
odierna, perciò, tutti sono devianti, almeno in alcuni ruoli, perché tutti hanno una
pluralità di appartenenze e gli obblighi connessi con una alla lealtà istituzionali può
non concordare con quelli con la lealtà ad un’altra istituzione/gruppo. Quando ciò diventa conflittuale, spinge a far delle scelte verso alcuni modelli e a porsi in situazione
di difformità rispetto ad altri. La realtà di una ineluttabile non integrazione dei ruoli si
riflette e si trasforma nella necessità di attivare più ampi limiti di tolleranza della devianza: ed è appunto il meccanismo che scatta, alternativamente e congiuntamente
alla stigmatizzazione, quando il gruppo o il sistema, accettando l’insuperabilità della
devianza, cercano di mitigarne o prevenirne gli eventuali effetti dirompenti. Un esempio di questo meccanismo è rappresentato dal modo con cui alcuni anni addietro la
società occidentale a modello capitalista ha cercato (con eccellenti risultati) di neutralizzare la protesta hippie allargando progressivamente i limiti della permissività nei riguardi dei pochi ruoli devianti (capelli, vestiti, musica, droga) e incapsulandoli mediante una manipolazione consumistica (commercializzazione della moda hippie,
punk, dark, emo, ecc.).
Sempre in rapporto alle aspettative di ruolo va infine notato che la devianza assume diversa rilevanza sociale a seconda che si riferisce a ruoli che riguardano gruppi-istituzioni centrali o periferici nel sistema sociale.
Così, ad. es., in un sistema caratterizzato da un avanzato grado di secolarizzazione le devianze riguardanti ruoli specifici di comportamento religioso-ecclesiale (pratica
religiosa, obbedienza alle autorità ecclesiastiche, ecc.) possono essere tollerate con
molta maggior permissività che in altre società caratterizzate da una accentuata sacralizzazione dei comportamenti collettivi. Più specificamente, le devianze riferite a
settori di comportamento periferico possono essere addirittura incoraggiate, promosse
e remunerate, proprio perché sono generalmente poco “pericolose” per i sistemi e possono essere utilmente rese funzionali (come valvole di sfogo, falsi bersagli, scopi diversivi, ecc.).
3.2 Norme assolute, norme relative
Ogni società o gruppo tenderà ad attribuire un valore assoluto alle proprie norme.
Questo perché ogni norma è frutto della cultura del gruppo che la promana.
«La norma, infatti, ha valore nella misura in cui una persona accetta ed assume come suo quadro di
riferimento, per la formazione dei propri atteggiamenti e per la valutazione di se stessa, il punto di
vista di un gruppo ben determinato che diventa il cosiddetto gruppo di riferimento (Merton, 1971).
Questo gruppo può svolgere la sua funzione normativa e comparativa, ovvero può servire come
modello in base al quale la persona confronta se stessa e gli altri. Ecco quindi che una norma, secondo la psicologia sociale, nella misura in cui è accettata dalla persona è una attesa, una aspettativa di comportamento che è condivisa dai membri di uno stesso gruppo. Essa include risposte percettive, cognitive, affettive e comportamentali» (Froggio, 2002, 27).
Chi invece la infrange tenderà a denigrarla, a sminuirla e a metterne in questione
i principi ispiratori. Ogni critica ed infrazione della norma costituisce di per sé una
minaccia anche per il valore che la norma rappresenta.
Cosicché ci si trova di fronte a diverse valutazioni della norma. Chi propende per
assolutizzarla e chi invece per relativizzarla. La coscienza moderna propende per una
concezione relativa della norma e quindi anche della devianza.
15
Ma non sempre si è pensato in questo modo. Nelle società tradizionali alle norme
veniva dato un valore assoluto, sovente collegato a concezioni religiose e quindi ritenute “sacrosante ed inviolabili”.
Oggi invece, grazie alla forte mobilità sociale e anche alla conoscenza di altre società e culture dove gli stessi atti sono giudicati in modo diverso, ci si è resi conto della relatività delle norme. Si è preso cioè coscienza che basta che cambi qualche fattore
perché cambino le norme ad esso collegate; e, di conseguenza, le modalità di trasgressione e di sanzione.
«Nulla si vede di giusto o di ingiusto – scriveva alla metà del XVII secolo Blaise Pascal [1623-62,
trad. it. 1962, 141] – che non muti qualità col mutar del clima. Tre gradi di latitudine sovvertono
tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano... Il furto, l'incesto, l'uccisione dei figli o dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni
virtuose».
3.3 Fattori di relativizzazione della norma
La relatività è dovuta a fattori come il tempo, il contesto, il gruppo di appartenenza e il ruolo che uno svolge nella società.
a) il fattore tempo
Un comportamento considerato deviante nel secolo scorso può non esserlo oggi
come ad esempio l’uso dei pantaloni da parte delle donne. Altri comportamenti sono
correlati al tempo della vita: abuso sessuale, delinquenza giovanile, uso di droga.
b) il fattore contesto
La nostra condotta varia in relazione al contesto in cui siamo inseriti in un determinato momento: una chiesa, una festa di carnevale, una spiaggia, l’ambiente lavorativo o familiare.
c) il fattore appartenenza culturale
La società è composta da diverse subculture, ognuna delle quali è in grado di fornire a chi
vi appartiene un set di valori, di norme e di sanzioni. In una società complessa, composta dalla
configurazione di sottosistemi molto differenziati tra loro, il soggetto deve adattarsi a particolari
circostanze culturali: deve cioè saper interagire e comunicarsi con persone e gruppi in contesti
sorretti dai più svariati set di valori e di norme. In alcuni gruppi - ad es. tra i membri di una
banda - quello che nella società allargata è considerato deviante, viene ritenuto “normale”.
d) il fattore ruolo sociale
La devianza è relativa al ruolo sociale svolto dai membri di un determinato gruppo sociale. Caratteristiche come quelle di età, status sociale, genere determinano
l’attribuzione di un carattere deviante a certi comportamenti e viceversa. Il ruolo permette al poliziotto di portare un’arma; al religioso di portare la sottana; al bambino di
fare birichinate e così via. D’altra parte viene considerato deviante il porto d’arma da
parte di un civile, l’uso della sottana da parte di un non religioso e le birichinate fatte
da un adulto.
3.4 Non tutto è relativo
Questa concezione relativistica della devianza è stata sostenuta con forza, negli
ultimi trent'anni, da molti studiosi di scienze sociali. Tuttavia la cosa non è così pacifica come può sembrare. A livello di dottrina giuridica i sostenitori del positivismo giuridico si scontrano con quelli della dottrina giusnaturalistica. Questa, che ha dominato l’ambiente giuridico nei secoli passati, afferma che è possibile individuare delle
16
azioni che sono “mala in se”, ossia intrinsecamente cattive e perciò meritevoli di punizione. Invece i teorici del positivismo giuridico sostengono che non esistono mala in se,
cioè azioni intrinsecamente cattive e dunque meritevoli di punizione, ma solo mala
quia prohibita, cioè atti che sono illeciti perché proibiti.
Questo corrisponde a ciò che già diceva Pascal nella succitata frase. Quest’idea è
stata espressa anche da Durkheim:
“Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale
perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo” (Durkheim, 1962, 103).
Oggi si propende ad attribuire un valore relativo alle norme e alla devianza. Ma
non tutti sono d’accordo a spingere fino alle estreme conseguenze tale interpretazione.
«E’ tuttavia sbagliato pensare che tutte le norme sociali e tutte le forme di devianza siano relative. Le
ricerche condotte nell'ultimo secolo dagli storici e dagli antropologi hanno mostrato che, se è vero che
il modo in cui sono stati percepiti e giudicati alcuni comportamenti è variato enormemente nel tempo
e nello spazio, è altrettanto vero che vi sono atti che, salvo rare eccezioni, sono stati condannati sempre e dovunque [Hoebel 1967; Cusson 1983]. Questi atti sono quattro, ma hanno tutti un’enorme importanza. Il primo è l'incesto fra madre e figlio, fra padre e figlia e fra fratello e sorella. E un atto universalmente proibito, con pochissime eccezioni. La più famosa si è avuta nell'antico Egitto, dove il matrimonio fra fratello e sorella era ammesso e persino incoraggiato nelle famiglie degli strati sociali
più elevati. Ma anche qui le nozze fra madre e figlio e fra padre e figlia erano vietate. Il secondo è il
furto ai danni di una persona del proprio gruppo. Il terzo è il ratto e lo stupro di una donna sposata. Il
quarto è l'uccisione di un membro del proprio gruppo. Vi sono stati popoli – come ad esempio quello
degli eschimesi – nei quali l'infanticidio e l'uccisione di un genitore anziano erano ammessi. Ma questo
era giustificato da uno dei più importanti postulati alla base della cultura eschimese (“la vita è difficile e il margine di sopravvivenza esiguo”) e da un corollario di questo (“i membri improduttivi della società non possono essere mantenuti”)» (Barbagli, Colombo, Savona, 2004, 19).
4. TRASMISSIONE DELLE NORME, DEVIANZA E CONTROLLO SOCIALE
La conformazione ai quadri normativi e alle corrispettive aspettative di ruolo è
possibile se esiste un adeguato controllo sociale. Il controllo è la forma attraverso cui
la società fa applicare le norme da parte dei suoi membri, o ne rileva l’infrazione,
provvedendo alla corrispettiva sanzione.
4.1 Il controllo sociale
Il controllo sociale «è un processo o meccanismo tendente a mantenere la conformità dei singoli elementi di un sistema sociale ai modelli di comportamento, ai ruoli, alle
relazioni, alle istituzioni culturalmente rilevanti» (Fichter 1960, 328).
Si tratta dunque di un fenomeno che ha a che fare direttamente con la devianza:
esso consiste nel mettere in azione di tutti i meccanismi che controbilanciano le tendenze devianti,

impedendo del tutto la devianza,

controllando o capovolgendo quegli elementi che tendono a produrre il
comportamento deviante.
Dalla definizione data sembrerebbe che il controllo sociale sia sostanzialmente
pensabile in funzione antagonista rispetto alla devianza, la quale a sua volta ne verrebbe definita come «il processo per cui alcuni soggetti sfuggono al controllo» (Fichter
1961, 347).
17
In realtà in certe situazioni il controllo sociale può produrre o quanto meno stabilizzare, definendola, la devianza. Come vuole la teoria dello stigma, il controllo sociale
determina i salti qualitativi che avvengono in modo progressivo nel processo per cui
“si diventa devianti”, contribuendo in modo decisivo all’istaurarsi della devianza secondaria (cioè della devianza vera e propria, non occasionale o episodica).
4.2 Forme del controllo sociale
Le forme attraverso cui si manifesta il controllo sociale sono molte, come dimostrano alcune utili distinzioni che proporremo di seguito.
1. Una prima distinzione riguarda il controllo positivo da quello negativo: le due
modalità vengono per altro applicate quasi sempre contemporaneamente:

Il controllo positivo è quello che viene esercitato attraverso la persuasione, la suggestione,
il sistema di gratificazioni-ricompense, l’educazione;

quello negativo viene realizzato attraverso le minacce, gli ordini, le proibizioni, le sanzioni.
2. Il controllo formale da quello informale:

Il controllo formale si esprime attraverso regolamenti, statuti, norme ufficiali; è più diffuso
nelle strutture complesse e differenziate, si identifica al limite con le forme
dell’organizzazione e della burocrazia;

quello informale corrisponde alla “pressione sociale” ed è più evidente nelle strutture
semplici, nei gruppi primari, dove prevalgono le relazioni faccia a faccia; si esprime con richiami, rimproveri, giudizi, stigmatizzazioni, gesti, esclusioni, attraverso presenze dirette o
indirette, implicite o esplicite, spesso anche solo simboliche.
3. Infine è da tener presente la differenza tra controllo interno e controllo esterno:

il controllo interno è definibile come effetto dell’interiorizzazione delle attese di ruolo e
acquisizione delle abilità e delle motivazioni sufficienti a rispondere adeguatamente alle
attese di ruolo;

quello esterno corrisponde alla nozione corrente di controllo sociale ed è la somma delle
prescrizioni o norme adottate dall’unità sociale per assicurare il minimo di funzionalità e di
consenso agli scopi dell’unità stessa.
Queste varie forme di controllo vengono esercitate in modo diverso nei diversi livelli della struttura e dalle diverse forme di aggregazione sociale: dai gruppi primari,
fino alla società globale; dai leaders più o meno carismatici, alle diverse centrali del
potere; dai gruppi di pressione o di interesse minoritari, alle istituzioni specializzate.
4.3 La socializzazione
Le norme vengono trasmesse dalla società attraverso il complesso sistema di trasmissione culturale. Tale processo si chiama “socializzazione”, e consente la riproduzione culturale di un popolo/società, tramite l’interiorizzazione del sistema sociale.
Esso funge da auto-controllo o controllo interno; se esso viene a mancare scatta il controllo esterno.
Per socializzazione si intende "il processo attraverso il quale le norme, i valori e le
conoscenze di una società sono trasmesse ai nuovi membri" (Heitzeg, 1996, 38). Tale
processo si dà primariamente nell’ambito familiare e, secondariamente, nelle diverse
18
agenzie di socializzazione (socializzazione secondaria) come la scuola, la chiesa, le associazioni, il gruppo di appartenenza.
La socializzazione provvede a trasmettere un set di valori e di abitudini in grado
di sostenere il consenso attorno ad una cultura e ai suoi valori; crea, inoltre, la conformità a norme e ai rispettivi comportamenti in modo tale da diminuire il bisogno di
intervenire attraverso il controllo esterno.
La conformità e il consenso sono i risultati principali della interiorizzazione delle norme. Buona parte delle risposte alla domanda “chi diventa deviante?” riesce a
trovare la risposta nella mancata socializzazione o nella socializzazione di atteggiamenti, valori, norme e credenze all’interno di una subcultura alternativa.
Il “sostegno della conformità”, come afferma T. Hirshi, proviene dall’attaccamento alle persone e alle istituzioni, e costituisce la principale garanzia contro la devianza: l’attaccamento ai genitori, ai familiari, al personale della scuola produce attaccamento alle convenzioni sociali, alle norme e ai valori condivisi. La mancanza di “attaccamento parentale” è sovente correlato alla devianza. Senza il sostegno della conformità si spalanca la porta alla devianza.
Altri deviano non per le ragioni suddette, ma perché sono stati socializzati all’interno di culture devianti che sostengono la devianza (subculture): il gruppo dei pari, le
bande, i territori problematici e socialmente disorganizzati. La socializzazione alternativa include spesso non solo l’apprendimento delle norme ma anche dei valori, degli
stili di vita, degli atteggiamenti e delle tecniche per delinquere. E tutto viene rinforzato
dalle credenze che si imparano e si vedono in giro: “se tutti fumano l’hashish non sarà
poi una cosa così cattiva!”; “se tanti non obliterano il ticket dell’autobus posso farlo
anch’io!”; “se vuoi fare i soldi devi rubare!”; ecc... In tali ambienti subculturali
s’impara, attraverso il processo di socializzazione, che la devianza è un’opzione vantaggiosa e più opportuna della conformità.
4.4 L’ identità, il concetto di sé
Il tipo di socializzazione che si è avuta contribuisce a formare l’identità o concetto
di sé. Tale struttura psichica riguarda la personale conoscenza delle norme,
l’identificazione (o non) con i modelli sociali e la valutazione di sé e delle proprie azioni.
Della formazione di tale struttura psichica in ordine alla devianza parlano sia la
sociologia funzionalista che quella costruttivista.
a) L’identità, secondo il funzionalismo (in particolare Talcott Parsons, 1951), è
l’effetto del modellamento sociale ed è la risultante dell’adattamento individuale al
modello sociale. L’identità è la struttura psichica che garantisce la stabilità
dell’orientamento valoriale in coerenza con i fini sociali.
In accordo con il neo-freudismo americano (Erikson, Fromm), da cui Parsons deriva il suo concetto
di personalità, egli sostiene che il processo di formazione dell'identità avviene attraverso 1'interazione
sociale non soltanto a livello di socializzazione primaria, ma soprattutto nelle fasi di socializzazione successive, quando l'individuo viene a contatto con dimensioni sociali e culturali di maggiore portata. L'identità matura e normale è per Parsons una struttura stabile che può subire solo lievi modifiche nel
corso della vita dell'individuo.
In base alla complementarietà tra produzione e riproduzione sociale non ci si sarebbero discrepanze tra
gli obiettivi e i valori della società e quelli dell’individuo (la devianza non è contemplata nel modello
parsonsiano). Attraverso le aspettative e l’agire di ruolo si realizza, nel modello parsonsiano,
19
l’integrazione tra sistema della personalità e sistema sociale e tale integrazione è costitutiva del sistema
della personalità (“co-costitutiva”). L’identità è ciò che permette la conservazione di tale struttura psichica nel tempo e garantisce la coerenza tra azioni, valori e fini.
b) Invece nell’interazionismo simbolico l’identità (o meglio il concetto di sé) è frutto
dell’interazione sociale e dello scambio simbolico che ne consegue. In tale ambito è interessante notare come viene spiegato il passaggio dalla “devianza primaria” (occasionale) a quella “secondaria” (definitiva). Il ragazzo che viene arrestato per la prima volta perché ha rubato un oggetto al supermercato viene etichettato dal poliziotto e dagli
altri come “delinquente”, cioè “deviante”. La valutazione degli altri sul suo comportamento può costituire parte della sua identità: dal momento in cui egli soggettivamente
accetta e fa propria l’etichetta attribuitagli, egli si sente “deviante” e comincia ad agire
in conformità a questa nuova identità (identità negativa).
Pertanto, secondo l’interazionsimo simbolico, l’identità è una delle variabili che
permettono di distinguere il “deviante” dal “non deviante”: il primo ha spesso coscienza della sua diversità comportamentale, della scelta che ha fatto, e della carriera che
ha scelto. È la coscienza di agire e talvolta di essere “al di fuori” della normalità che lo
fa sentire outsider. E chi che si sente soggettivamente outsider facilmente diventa outsider a tutti gli effetti (cioè deviante). Il sentirsi un outsider dipende dal processo di
“etichettamento” (labeling). Il primo incontro con la giustizia può costituire
un’occasione decisiva per l’assunzione di un concetto di sé (o identità) “deviante”.
5. RAPPORTI TRA NORMALITÀ E DEVIANZA NELLA SOCIETÀ ODIERNA
Una domanda potrebbe sorgere a questo punto: è possibile eliminare la devianza
da una società e, soprattutto, è opportuno eliminarla? Rinviando all’ultimo capitolo la
discussione sugli aspetti funzionali o disfunzionali della devianza, possiamo anticipare
alcune riflessioni.
Abbiamo già visto come Durkheim nella seconda metà del 1800 avesse messo
in luce che la devianza non è un'aberrazione sociale, bensì una componente normale e
necessaria dell'ordine sociale, presente in qualsiasi società.
5.1 Fluttazione tra norma e devianza
Oggi, poi, il problema assume dimensioni nuove, dal momento che è stata superata una concezione patologica della devianza, che vi scorgeva solamente (o prevalentemente) gli aspetti disfunzionali, disgiuntivi, distruttivi. In una società complessa,
come l’attuale, la forza del quadro normativo diminuisce e quindi anche il concetto di
devianza tende a sfumare. Inoltre si moltiplicano le appartenenze e l’autoreferenzialità
di ogni ambito o gruppo, che auto-definisce regole e norme di condotta.
Pertanto, con un po’ di esagerazione, si può sostenere che “tutti sono devianti nella
società complessa”, perchè:


il soggetto è spinto a fare delle scelte: essere più conforme nei confronti delle
normative di alcuni sistemi vuol dire esserlo meno verso quelle di altri;
si attivano e si allargano i confini della tolleranza; un meccanismo di difesa
della società che in certi casi permette in larga scala determinati ruoli devianti.
È il caso delle culture alternative in un certo modo cooptate e in altri sopraffatte dalla società consumistica.
Oggi, i rapporti tra norma e devianza sono estremamente fluttuanti a causa del
forte ritmo impresso ai mutamenti sociali. Pertanto è diventato difficile distinguere tra
20
ciò che comportamento o qualità “normale” e ciò che comportamento o qualità “deviante”. Questo a causa del carattere altamente variabile della norma.
FLUTTUAZIONE DELLA NORMA
diverso
lontano
Devianza/deviazione
lontano dal
normale
normale
Devianza/deviazione
Negativa
Positiva
Fig. 1.6 – Rappresentazione grafica dello spostamento di un valore dal punto di vista statistico
Infatti la norma e, di conseguenza, la devianza può variare in base a:
1. L’area della permissività o tolleranza consentita nei riguardi della norma. In
realtà la norma è solo un’astrazione; è un modello di comportamento corrispondente a
una condotta ‘media’, con oscillazioni la cui ampiezza è considerata legittima, cioè
normale, in rapporto ad un considerevole e mutevole numero di variabili. Così rispetto
ad un certo modello di comportamento sociale (ad es. il corteggiamento sessuale prematrimoniale) sono permesse certe variazioni a seconda dell’età e dei sessi degli individui, della loro appartenenza di classe, del contesto ambientale, della cultura, ecc.
Vale inoltre la pena di annotare che le oscillazioni si registrano anche nel tempo, a seconda che la necessità funzionale del sistema (a livello sia micro sia macrosociologico)
suggeriscono di allargare o restringere l’area del consentito, del legittimo, del normale.
2. Il grado di interiorizzazione della norma: a seconda delle diverse modalità di
socializzazione, che caratterizzano i diversi soggetti e che spiegano la presenza di un
consenso più o meno profondo rispetto al quadro normativo. Un processo di socializzazione piuttosto rigido sembra favorire la formazione di un “controllo interno” efficiente, che impedisce il sorgere della devianza; viceversa, le carenze di socializzazione
(inconsistenza, contraddittorietà, mancanza di motivazioni per il consenso, inadeguatezze del mezzo di trasmissione del quadro normativo) sembrano sminuire le resistenze alla devianza.
Al primo caso sembrano ricondursi le forme di superconformismo derivate da
prassi autoritarie e manipolative di educazione familiare, scolare, gruppale; al secondo
si possono riferire i vuoti di socializzazione tipici dei periodi di transizione rapida e disorganica cui soggiacciono sistemi sociali interi o aree particolari.
3. Il grado di consistenza, organicità, legittimità dello stesso sistema normativo in
rapporto al quadro globale di una determinata società.
21
Winslow (1970) ha fatto notare che i sistemi normativi sono diversamente compaginati a seconda delle strutture di società e dei tipi di organizzazione istituzionale presenti nel loro contesto. Così alle strutture oligarchica, anomica e pluralista corrispondono organizzazioni di tipo coercitivo, utilitaristico e normativo, caratterizzate da diverse tassonomie e da diverse connotazioni qualitative della devianza.
Nel 1º tipo (oligarchico-coercitivo) le norme appaiono organizzate in un quadro rigido, sostenute da sanzioni prevalentemente punitive (anche fisiche) e producono un
tipo di conformismo alienante (il soggetto si adatta ad un comportamento ritualizzato
o si apparta rinunciando alla partecipazione);
nel 2º tipo (anomico-utilitario) le norme appaiono prive di organicità e fondamento,
ricevono sanzioni del tipo premio-castigo, favorendo l’opportunismo e il calcolo, occasionando le diverse forme di devianza ispirate al tornaconto individuale;
nel 3º tipo (pluralista-normativo) le norme si organizzano secondo le diverse egemonie del potere emergente nella società, ricevono una forte sanzione morale e simbolica a cui si sottraggono però i soggetti che non consentono all’egemonia e che mirano
(mediante la ribellione e l’innovazione) alla elaborazione di altri quadri di norme.
L’approccio strutturale-istituzionale di Winslow non spiega comunque l’esistenza
di alcune devianze presenti in tutti i tipi di società elencati ed inoltre non rende ragione di molte forme di devianza indipendenti dall’organizzazione istituzionale, ma collegate, a suo dire, a fattori strettamente individuali. Non è esente da note critiche neppure il tentativo di Dinitz e coll. (1969, 4ss.) il quale cerca di precisare il diverso strutturarsi del quadro normativo in due opposti tipi di società: la società tradizionalepopolare e la società moderna-industriale, come risulta dal seguente prospetto:
SOCIETÀ TRADIZIONALI
POPOLARI
quadro normativo
modo di accettazione
grado di integrazione
sanzioni
rapporto devianza & comportamento
totale
semplice
interiorizzazione
alto
immediate e certe
devianza come parte di un comportamento globale
SOCIETÀ MODERNE
INDUSTRIALI
complesso
imposizione
basso
incerte e posposte
devianza come caratteristica globale
della persona
Fig. 1.7 - Diversità del concetto di devianza tra società tradizionali e società moderne, secondo Dinitz (1969)
Il contributo di Dinitz è comunque importante perché introduce una relazione essenziale tra quadro normativo (e devianza) e cambio sociale. In altre parole, viene affermato che nelle società statiche la devianza assume un carattere piuttosto limitato,
proprio perché le norme sono semplici, facilmente identificabili perché organiche e pacificamente interiorizzate, le sanzioni sono tali da non stigmatizzare la personalità
globale del deviante, ma solo un aspetto settoriale del suo comportamento. Al contrario nelle società moderne, i fattori che producono cambio sociale 19 producono anche
maggior devianza proprio perché le caratteristiche del quadro delle norme che ne risulta incoraggiano maggiormente le infrazioni e rendono più incisiva la stigmatizzazione del deviante.
19
Dinitz cita soprattutto la rivoluzione industriale, la maggiore mobilità, lo sviluppo della scienza, la necessità dell'organizzazione.
22
5.2 Modelli di “cambio normativo” in una società in rapida transizione
È utile tenere presente, in modo più analitico, alcuni modelli ricorrenti di “cambio
normativo”, riconducibili a situazioni tipiche delle società in rapida transizione:
a) Rottura del quadro normativo (norm breakdown)
È il processo per cui i quadri normativi perdono la loro validità per obsolescenza,
per mancanza di legittimazione, per disintegrazione sotto l’impatto di nuove norme
emergenti. Ciò crea problema, in quanto si producono dei “vuoti” e vengono a mancare
i punti di riferimento per un comportamento “normale”. Un esempio di questa situazione è dato dal caso della “condizione giovanile” che non può più adeguarsi al vecchio
modello di “adolescenza” creata dalla società pre-industriale ma che non può ancora
fruire di nuovi modelli originali dell’età adulta.
b) Conflitto di norme (norm conflict)
Quanto più le società moderne si articolano in una pluralità di elementi strutturali (istituzioni, gruppi, organizzazioni, ecc.) tra di loro indipendenti o competitivoconflittuali, tanto più si fa concreta l’ipotesi di una discrepanza o difformità tra i loro
quadri normativi. Il processo è aggravato dalle diverse velocità di cambio dei singoli
sottosistemi normativi; e/o dal cristallizzarsi di essi in subculture indipendenti e isolate. In queste fattispecie il comportamento è lacerato da contrastanti esigenze di lealtà istituzionale e da contrastanti aspettative di ruolo: le appartenenze plurime (o per
scopi talora non omogenei) si rivelano spesso fonti di conflitto che aprono situazioni di
anomia e perciò di devianza.
c) Irraggiungibilità delle mete prescritte normativamente (unreachable goal norms)
In molte società esiste un notevole divario tra le mete prescritte o inculcate e le
reali possibilità o opportunità di raggiungerle per vie “normali”. In realtà le mete sono
elaborate da gruppi di potere che le impongono a tutti gli altri gruppi, senza fornire loro i mezzi adeguati al loro raggiungimento. Di qui il tentativo deviante, posto in opera
dagli esclusi, di utilizzare qualsiasi mezzo (considerati illegittimi dagli egemoni) per
raggiungere le mete prescritte. È la tematica svolta da alcuni teorizzatori della devianza, come Merton e Cohen, per spiegare certi comportamenti non conformi delle classi
subalterne.
d) Discontinuità delle norme (discontinuous norms)
Si tratta di una carenza di omogeneità e progressività delle norme che accompagnano un determinato processo evolutivo delle persone sociali o dei gruppi. Il caso più
evidente è rappresentato dalle contraddizioni che costellano il set di norme riguardanti la maturazione sessuale dell’individuo o della coppia o quello riguardante il comportamento sociale dell’adolescente o del giovane nel passaggio verso l’età adulta.
La discontinuità è dunque identificabile come una mancanza di adeguato apprendimento di norme che facilitino il passaggio da uno stadio all’altro della vita o da
un settore all’altro.
e) Impotenza o mancanza di sanzioni della norma (impotent and sanctionless
norms)
Sono due situazioni affini. La prima si verifica quando una norma è venuta perdendo progressivamente il suo valore a causa di una consistente carenza di consenso;
in tal caso esiste una certa convergenza nel non considerare illegale o illegittima la
sua violazione. È tipico a tal riguardo il caso della violazione delle leggi sulle tasse e/o
imposte, che in molti contesti non solo non è ritenuta un esempio di devianza ma è
23
stimata come un esempio di intelligenza e di capacità. La seconda situazione si verifica quando si cessa di applicare una sanzione alla violazione della norma; ciò può avvenire sia in rapporto a determinate classi di persone (privilegiate o potenti) sia in generale per tutta la popolazione (ad es. per la bestemmia). In entrambi i casi ne risulta
uno svilimento della norma stessa che perde di vigore e di credibilità. In tutte le legislazioni esistono norme non più valide perché le relative sanzioni sono state poco o
nulla applicate, in genere perché è venuto a mancare loro il consenso e perciò la legittimazione.
f) Norme di evasione (evasive norms)
Esistono in tutte le società norme, più o meno legali ma non per questo meno accettate e legittimate, che incoraggiano comportamenti di evasione, che funzionano cioè
da valvole di sicurezza, atte ad allentare certe tensioni del sistema o a facilitare il
comportamento in altri settori di vita. Così ad es. dare “bustarelle” è formalmente considerato illegale, ma è universalmente recepito come norma in tutte le transazioni
commerciali di un certo livello. Anche comportamenti come la prostituzione, il gioco
d’azzardo, le scommesse ecc. pur considerate “abnormi” dal punto di vista della legge
sono considerati “normali” dal punto di vista del costume, in quanto favoriscono una
certa evasione più o meno innocua al sistema. Ciononostante incentivano il clima di
devianza.
g) Norme stressanti (stressful norms)
In ogni società esistono norme che esigono dall’attore sociale un impegno piuttosto esigente; lo si verifica soprattutto nelle società moderne che accettano il modello
della competitività o che incoraggiano in tutti i modi l’achievement, il successo, la produttività. In realtà non tutti i soggetti sono in grado di offrire prestazioni superiori; la
devianza in questi casi si spiega come necessità (talora imposta a consistenti minoranze) di sottrarsi allo stress provocato da norme troppo esigenti e dunque irraggiungibili. Può essere il caso che si verifica tra gli immigrati delle grandi città che spesso
non sono in grado di adattarsi alle esigenze della nuova cultura che li circonda e regrediscono a comportamenti che l’ambiente giudica arcaici e perciò disfunzionali, devianti, ma che rappresentano per loro la sicurezza e la garanzia di sopravvivenza.
*-*-*
Quanto siamo venuti annotando conferma chiaramente il carattere piuttosto relativo dei processi di “etichettatura” del comportamento “diverso” e dimostra ancora una
volta la tendenza a fare della devianza un problema morale (nel senso più vasto del
termine). Infatti se è vero che la devianza in sé (cioè la pura infrazione della norma
statistica) non è sempre un comportamento valutabile con un metro etico, è altrettanto certo che il giudizio di stigmatizzazione che rivela la “diversità” come un fatto negativo parte da una valutazione morale: la norma è considerata un valore e la sua infrazione un peccato sociale. In realtà la devianza ingloba un riferimento ai “significati”
del sistema sociale o di alcune sue articolazioni ed implicitamente tende a negarle e a
superarle. Per questo motivo non ha più senso una sociologia della devianza come
quella struttural-funzionalista che cerca di evitare ogni coinvolgimento ideologico20.
20
«la prospettiva sociologica tradizionale sulla devianza ha dunque presupposto che la devianza ha luogo in un mondo sociale
che è ‘non problematicamente significativo’, basato sul consenso morale, omogeneo, stabile, chiuso e deterministico. Ha presupposto che i sociologi possono meglio (o solo) capire la devianza in questo contesto per mezzo dell’uso di analisi statisticoipotetiche delle percentuali ufficiali di azioni i cui significati per i membri (della società) sono conosciuti dai sociologi in modo
relativamente non problematico» (Douglas in McKinney, 371).
24
In prospettiva appare invece importante assumere come problematici i presupposti morali che fondano il giudizio di devianza, se si vuole evitare appunto di cadere nel
moralismo invece di svolgere opera di autentico scienziato.
6. CONCLUSIONE: VERSO UNA DEFINIZIONE MENO GENERICA DI DEVIANZA
Al termine di questo excursus sul significato del termine devianza e sulle implicanze ad essa connesse, è possibile tentare una definizione meno imprecisa di devianza.
6.1 Elementi fondamentali per definire la devianza
La Barbero Avanzini afferma che per definire il comportamento deviante (atto,
espressione verbale o atteggiamento che sia) occorre, per la sociologia, prendere in
considerazione:

l'esistenza di uno specifico gruppo sociale in cui tale definizione sia riconosciuta e
condivisa;

l'esistenza in tale società di norme, aspettative, o credenze giudicate legittime o comunque rispettate;

il riconoscimento, sul piano pratico e/o ideologico, che uno scostamento od una violazione di tali regole condivise è valutato negativamente dalla maggioranza dei
membri della collettività considerata;

la verifica che, alla constatazione della violazione di una regola, i membri del gruppo
considerato tendono a reagire con intensità proporzionale alla valutazione della
gravità attribuita al comportamento deviante;

l'esistenza di conseguenze negative a carico dei soggetti che sono stati individuati
come autori del comportamento deviante (Barbero Avanzini, 2002, 10).
6.2 Proposte e questioni per le principali definizioni della devianza
Inoltre la stessa propone una rassegna delle principali interpretazioni della devianza (e relativi problemi): pensiamo che ciò costituisca un aiuto ad una visione un
po’ più ricca e complessiva della devianza:
1) La devianza può essere intesa come quel comportamento che viola regole e norme, intenzioni o attese dei membri di un certo sistema sociale e che, per questo motivo, è valutato negativamente dalla maggioranza dei membri della stessa società.
Problema: quali regole? quale società? il concetto di devianza può cambiare in rapporto al tempo e al luogo in cui la definizione viene espressa?
2) La devianza può essere individuata come quel comportamento che si scosta dalla media
dei comportamenti standardizzati, cioè come quel comportamento che si presenta come
un’anormalità statistica.
Problema: come definire ed individuare una media di comportamenti qualitativi e descrittivi? La
frequenza può essere presa come indice di conformità e normalità di un comportamento?
3) La devianza può essere identificata come la violazione di regole sociali che riguardano i
comportamenti di ruolo: la devianza è quel comportamento che risulta disfunzionale al sistema
in cui si verifica, che comporta l'abbandono o la contestazione del proprio ruolo sociale.
25
Problema: come individuare un comportamento deviante da quello semplicemente innovativo?
come pensare possibile la piena e totale adesione di tutti i membri della società ai medesimi criteri di
scelta ed alle stesse aspettative di ruolo?
4) Infine, la devianza può essere vista come la definizione attribuita con successo ad un determinato comportamento da parte di chi è in contatto diretto o indiretto con esso.
Problema: in una società relativamente stabile ed omogenea, il controllo sociale da cui deriva
l'identificazione del deviante è molto più facile che in una società in rapido ed eterogeneo cambiamento. E' possibile arrivare ad una definizione costante e condivisa di ciò che il gruppo sociale definisce o no deviante? (Barbero Avanzini, 2002, 10).
6.3 Problemi di fronte a qualunque definizione della devianza
Dalla esemplificazione ci si accorge che è difficile trarre una definizione complessiva di devianza, a meno di fare un collage di elementi eterogenei; si può comunque
tentare di isolare alcuni elementi che si presentano come problematici:
1. la devianza è riferita ad una violazione della norma. Non si tratta solo della
violazione intenzionale di un “modello di comportamento” istituzionalizzato, ma anche più semplicemente di una difformità da caratteristiche somatiche, psichiche, morali, culturali ecc. ritenute “normali” in un determinato contesto sociale. La distinzione avanzata sembra supporre che la devianza non sia una qualità inerente ad un determinato comportamento o caratteristica, ma una qualità attribuita dal di fuori, cioè
socialmente, ad un certo modo di essere o di agire difforme dagli standard accettati.
2. Oltre al problema della definizione della devianza in termini di oggettivo/soggettivo e di non-conformità/difformità, si pone il quesito sulla estrema relatività di ogni definizione di devianza. In realtà, come vedremo più avanti, la devianza,
proprio in rapporto alla variabilità della norma, è commisurata a dimensioni spaziotemporali estremamente mutevoli. Infatti non solo cambiano le norme, ma cambiano
anche i limiti di tolleranza attorno alla norma ed i criteri di valutazione negativopositiva dei comportamenti e delle caratteristiche non conformi o diversi.
3. Il fenomeno della devianza ha a che fare con i processi di formazione e mantenimento del potere, in quanto si pone in alternativa al controllo sociale o almeno indirettamente esprime la necessità del cambio come contrapposta alla necessità
dell’ordine sociale. Di qui la conseguenza ovvia che nessuna società, per poco che sia
interessata alla propria sopravvivenza, può ignorare la realtà della devianza: generalmente ogni comunità toccata dalla devianza, e tutte lo sono, cerca di comprendere
teoricamente la devianza (e perciò la interpreta a modo suo) e di controllarla sul piano
pratico (e di cui le varie modalità di contenimento, stigmatizzazione, sanzione).
4. La devianza almeno nei casi in cui si tratta di comportamento deviante, è in
rapporto anche ai processi di socializzazione per più motivi: i differenti esiti della socializzazione in individui diversi spiegano infatti come taluni siano in grado di esercitare un controllo interno nei propri riguardi (orientandosi al conformismo) ed esterno
nei riguardi altrui (stigmatizzandone il comportamento o la qualità “diversa”) e come
altri soggetti siano invece inclini alla difformità e al non conformismo.
6.4 Per una definizione “conclusiva”, ma non esaustiva…
In base a ciò e a quello che abbiamo detto precedentemente possiamo tentare di
definirla con Milanesi:
«Deviante è un comportamento o una qualità (caratteristica) della persona sociale che superando i limiti di tolleranza rispetto alla norma consentiti in un certo contesto sociale spazio-
26
temporale, è oggetto di un processo di sanzioni e/o di stigmatizzazione, che esprime la necessità funzionale del sistema sociale di controllare il cambio culturale secondo la logica del potere predominante».
Con questa definizione non pretendiamo di esaurire il significato di devianza, che
va indagato ogni volta che ci si propone qualcosa di nuovo. Perché la devianza è anche
il tentativo di creare qualcosa di nuovo, di inedito, di rivoluzionario.
Ed allora, ogni volta che ci capita qualcosa che non comprendiamo, non giudichiamo ma domandiamoci: che cosa vuol dirci la persona che sta comportandosi in
maniera a nostro avviso scorretta? Cosa ci sta comunicando? Contro quale tipo di
norma esso va? E questa norma è giusta o sbagliata? Cosa vale di più: il modo di fare
tradizionale o quello nuovo, diverso?
Ovviamente la società tenta sempre di impedire la novità, perché vuol dire mettersi in discussione, cambiare assetti consolidati, posizioni di rendita, ruoli inveterati.
Ma la società ha bisogno della devianza per rinnovarsi. Altrimenti si fossilizza e muore. Pertanto la norma è necessaria alla società per la sua coesione interna; ma la devianza è necessaria alla società per sopravvivere… a se stessa, alle sue norme, alle sue
istituzioni...
27
APPENDICE
EMARGINAZIONE, MARGINALITÀ SOCIALE
La marginalità viene definita da Gallino (1988, 411-412):
«Situazione di chi occupa una posizione collocantesi nei punti più esterni e
lontani vuoi d'un singolo sistema sociale, vuoi di più sistemi nella stessa società,
ovvero in una posizione posta al di fuori di un dato sistema di riferimento ma in
contatto con esso, restando con ciò escluso tanto dal partecipare alle decisioni che
governano il sistema a diversi livelli, e che sono prese di solito nelle sue posizioni
centrali, quanto dal godimento delle risorse, delle garanzie, dei privilegi che il sistema assicura alla maggior parte dei suoi membri, pur avendo (l'individuo marginale) analogo diritto formale o sostanziale ad ambedue le cose dal punto di vista
dei valori stessi che orientano il sistema.
Una situazione di marginalità ha di frequente connotazioni spaziali, cioè si
esprime o riflette in termini di morfologia sociale: così le favelas, le bidonvilles, le
borgate romane riflettono la marginalità a livello societario, una marginalità che è
al tempo stesso economica, politica e territoriale; il ghetto ebraico riflette o rifletteva la marginalità religiosa e politica degli ebrei; i quartieri degli immigrati d'una
nazionalità subalterna riflettono, in tutte le città del mondo, la marginalità politica
e culturale più che quella economica; le case di riposo riflettono la marginalità
dell'anziano…»
Egli ci ricorda che il termine fu introdotto nella sociologia moderna dal sociologo statunitense E. R. Park (1928), “con un significato assai diverso da quello attuale”. Mentre
invece il significato attuale di esclusione oggettiva dai centri di potere di un sistema
sociale e dalla distribuzione dei beni che esso produce, trova le sue origini nel dibattito politico e sociale sulle condizioni di esistenza del proletariato urbano del XIX secolo.
Rammenta infine che il concetto di marginalità: «riveste un significato soltanto se si
specificano il sistema sociale o i sistemi rispetto ai quali un determinato soggetto o
pluralità di soggetti occupa una posizione marginale. Come non esiste devianza in
sé, così non esiste marginalità se non riferita a un determinato sistema. Il fatto di
occupare una posizione marginale rispetto a un certo sistema non implica, d'altra
parte, che lo stesso soggetto occupi una posizione analoga in tutti i sistemi sociali
di cui fa parte».
Egli ci ricorda inoltre che, «sebbene il termine marginalità connoti un senso di
esclusione coatta, vi sono soggetti che scelgono deliberatamente forme di marginalità economica, politica e culturale al fine di sottrarre la propria esistenza alle
regole del sistema sociale dominante: è il caso di coloro che aderiscono alla controcultura. L'inverso della marginalità è la integrazione sociale, intesa come inserimento pieno dell'individuo in un sistema sociale (da non confondere con l'integrazione del sistema stesso)».
Il termine “Marginalità” indica piuttosto uno status sociale.
“Emarginazione” è invece l’azione messa in atto da chi tende ad escludere qualcuno
dal gruppo e dai suoi benefici, oppure a relegarlo ai margini dello stesso (processo). A
volte però con il termine “emarginazione” si indica anche, per estensione, lo status di
chi la subisce.
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