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pillole titoli

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Informazione in pandemia o informazione pandemica?
Di Francesca Capelli
(Sociologa, ricercatrice, giornalista – Università del Salvador, Buenos Aires)
Con quali metafore i giornali raccontano il coronavirus? In che modo la narrazione mediatica si
appella al nostro immaginario?
Questo lavoro si propone come obiettivo l’analisi dei titoli di quotidiani su notizie legate alla
pandemia. Il lavoro non vuole entrare nel merito dei contenuti dell’articolo, della veridicità delle
notizie o della maggiore o minore attendibilità degli studi o degli scienziati menzionati; non si
occupa nemmeno dell’eventuale non corrispondenza tra “promessa” del titolo e testo dell’articolo.
Il corpus di questa analisi è esclusivamente costituito dai titoli e da una metariflessione sul discorso
in essi contenuto, ricordando che tutto ciò che analizziamo in quanto segno, linguaggio e discorso è
ideologico. L’assunto alla base di questo lavoro, quindi, è che i titoli dei giornali, al di là delle
intenzioni dei singoli autori, non siano neutri, ma corrispondano, anche in modo inconsapevole, a
ideologie e visioni del mondo, e siano funzionali a strategie volte a costruire, rafforzare o
destrutturare queste stesse visioni.
La metafora della trincea
Nelle prime settimane della pandemia, nei titoli prevalevano le metafore belliche: “guerra”,
“combattere”, “eroi”, ma soprattutto “trincea” erano parole ricorrenti. “In trincea contro il virus,
ecco gli eroi silenziosi che combattono contro il contagio e la paura” (Secolo XIX, 6 marzo 2020);
“Negli ospedali siamo in guerra” (Corsera, 9 marzo); “Coronavirus, rianimatori in trincea: ‘Se va
avanti così sarà difficile curare tutti’” (La Stampa, 21 marzo); “Medici disarmati in trincea, così
diffondiamo il virus” (La Stampa, 22 marzo); “Lo specializzando: in trincea contro il virus per
aiutare la mia città” (La Repubblica, 22 marzo); “Brescia in trincea contro il virus, aperto un nuovo
reparto da 180 posti” (Tg la7, 4 aprile); “Coronavirus, farmacisti in trincea: ‘Anche noi esausti ma
non possiamo abbassare la guardia’” (La Stampa, 6 aprile); “Gli specializzandi in trincea contro il
virus: ‘Non chiamateci eroi, la paura diventa coraggio e amore’” (Cesena Today, 24 aprile); “Due
mesi in trincea contro il virus” (Il Giorno, 6 maggio); “Io, medico e mamma nella doppia trincea
contro il Covid” (Corsera, 13 maggio); “Miriam, per tre mesi in trincea contro il virus” (Il Centro, 1
giugno). La parola “trincea” rimanda a una guerra di posizione, lenta, estenuante (come fu la prima
guerra mondiale) e non – questo aspetto è di un certo interesse – alle guerre tecnologiche a cui
siamo stati abituati negli ultimi 30 anni, probabilmente dalla prima guerra del golfo (1990-1991).
Una svolta nel tono è rappresentata dalla dichiarazione di Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia
Romagna, ospite dalla trasmissione Piazza Pulita (La7, 14 maggio): “Noi, (i positivi) andiamo a
scovarli casa per casa”, che dà l’idea di un raid e non più di una guerra di posizione. Una frase che
viene letta (e cavalcata dalle opposizioni) più come un attacco ai cittadini che al virus, proprio nella
delicatissima fase della riapertura. Infatti, la dichiarazione, rilanciata su giornali e social media,
viene deformata per enfatizzare una sottesa minaccia. “La minaccia di Bonaccini: ‘Vi scoviamo
casa per casa!’” (La Pressa, 17 maggio); “Dal prelievo forzoso al prelievo coatto: hanno trasformato
la colpa del debitore in quella dell’untore”, dove nel testo dell’articolo si legge, proprio in
riferimento alla frase di Bonaccini, “Metodi da rastrellamento in tempi di guerra” (L’Elzeviro, 15
luglio).
L’apocalisse prossima ventura
Nelle ultime settimane, le metafore prevalenti sono passate dalla guerra all’attesa di una seconda
ondata, vista come una specie di apocalisse alla quale sarà impossibile sottrarsi. Ecco qualche
esempio.
“Crisanti: ‘Nostro autunno sarà come nei mattatoi tedeschi’” (AdnKronos, 23 giugno) , dove
l’analogia con il mattatoio – basata su un dato di realtà, ossia alcuni focolai in Germania – apre un
immaginario di sangue, sofferenza e uccisioni di massa.
“Luca Ricolfi: ‘Con una seconda ondata a rischio la nostra civiltà’” (Huffington Post del 10 luglio).
“Il virologo che ha scoperto Ebola: ‘La pandemia è appena cominciata” (Huffington Post del 2
luglio), dove “aver scoperto Ebola” (in che senso, poi? Ha isolato il virus, lo ha sequenziato, ha
osservato i primi casi, ha ipotizzato il salto di specie? Non è dato saperlo) è garanzia di legittimità a
compiere un atto linguistico di tipo performativo - come direbbe Bourdieu – in quanto chi parla
appartiene al gruppo dei detentori della “legittima competenza, autorizzati a parlare con autorità”
(Bourdieu, 2001: 43). Una competenza che gli viene attribuita da un’istituzione, ma deve essere
riconosciuta dal pubblico a cui si rivolge.
“Oms: come la spagnola, giù in estate e poi ripresa feroce a settembre e ottobre” (La Repubblica, 26
giugno), dove si ripete un paragone con la spagnola, caro ai media (ma anche ad alcuni scienziati
molto mediatici), come se da quell’epidemia non fosse passato un secolo nel quale la medicina e la
tecnologia hanno prodotto antibiotici, antiretrovirali, respiratori, terapie intensive.
“Il virologo Crisanti: ‘Qualcosa non sta funzionando e in autunno non ci salveremo’ (Il Giornale, 19
giugno), che evoca forze del male invisibili che ci circondano e dalle quali non possiamo difenderci.
Non più un nemico da combattere in trincea, per lo meno con strategie, armi e soldati, ma una forza
misteriosa e invincibile, contro la quale qualsiasi arma è spuntata.
Speculare a questa rappresentazione, c’è l’attribuzione di una personalità al virus: “Galli: questo
virus è in grado di fare il giro del mondo e tornarci addosso quando gli pare” (Huffington Post, 8
luglio). Salta all’occhio che questa oscillazione tra “forza del male” e “descrizione antropomorfa”
corrisponde ai due modi in cui la teologia cattolica ha descritto Satana.
Viene rilanciato periodicamente un sottotema della comunicazione iniziale, il famoso “Il virus è
nell’aria più a lungo di quanto pensassimo” del 2 aprile di Repubblica. La stessa testata, il 6 luglio,
pubblica di nuovo (peraltro in ottima compagnia), quasi autocitandosi: “Lettera di 239 scienziati
all’Oms: Covid viaggia nell’aria più di quanto si pensava”.
Altro aspetto ricorrente è la previsione di nuovi target, indentificati con i gruppi che nella prima
ondata sono stati preservati: “’Covid tornerà in autunno e si diffonderà tra i giovani’, Ricciardi ne è
certo” (BlogSicilia del 24 giugno), un titolo foriero di punizioni per chi finora sembra averla
scampata, ma viene accusato di essere tornato alla movida (peraltro promossa a inizio pandemia da
chi giovane non era) e di mettere a rischio la salute pubblica.
Il 10 luglio, sempre sull’Huffington post, torna a sorpresa la metafora bellica: “A Cremona si
ripopola l’ospedale: ‘Truppe stanche, non so come si potrebbe affrontare una nuova emergenza”.
Nuovi interrogativi, nessuna conclusione
Un ulteriore elemento di complessità è costituito dal fatto che la pandemia potrebbe configurarsi
come ciò che lo storico franco-egiziano Henry Rousso definisce “l’ultima catastrofe”, ossia l’evento
drammatico che cambia totalmente, in una società, la relazione con la storia e la memoria e dà
forma al pensiero e ai modi di vita degli anni successivi, in attesa di una nuova “ultima catastrofe”.
Per l’Europa lo è stata la Shoah. Per sapere se lo sarà anche il Covid, dovremo aspettare i prossimi
anni.
Bibliografia
AMOSSY, R., HERSCHBERG PIERROT, A., (2010) Estereotipos y clichés, Buenos Aires :
Eudeba
ANGENOT, MARC (2010), El discurso social. Los límites históricos de lo pensable y lo decible,
Buenos Aires, Siglo XXI.
BOURDIEU, PIERRE (2001), ¿Qué significa hablar?, Madrid, Akal.
ROUSSO, H., (2018) La última catástrofe. La historia, el presente, lo contemporáneo, Santiago del
Chile: Editorial Universitaria
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