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Palladio

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Palladio, Le Ville e
i loro precedenti
Venezia aveva cominciato a espandersi verso la terraferma tra il XIV e il XV sec., sottomettendo in breve
tempo antiche città imperiali. L’espansione veneziana in questo territorio fu motivata innanzitutto dal
desiderio di assicurare costanti rifornimenti alimentari e inoltre da questioni di ordine difensivo. Nel corso
del XV sec. si diffusero soprattutto due tipi di villa (gli scrittori rinascimentali usano il termine «villa» per
indicare l’intera proprietà, mentre Palladio definisce «casa di villa» la residenza del proprietario): la casa
colonica con residenza signorile e la villa-castello, avente per modello i castelli medievali della zona.
Villa Porto Colleoni, Thiene, dopo il 1447
Esempi
di Villa
Castello
Anonimo del XVIII secolo, Barco della
Regina Cornaro, Asolo, Museo Civico.
Villa Giustinian a Roncade, 1510 circa
La villa-castello continuò ad esistere anche nel corso del ‘500, e persino in età
palladiana. Ad esempio la Villa Giustinian a Roncade, una località a nord della
laguna veneta, fu progettata intorno al 1510 per una delle più importanti
famiglie veneziane. Convenzionale per quanto riguarda le mura e gli edifici che
delimitano la tenuta, mostra nella residenza l’originalità e l’inventiva dell’ignoto
architetto progettista e testimonia delle innovazioni che si stavano sviluppando
in Veneto in quel periodo. Purtroppo la guerra contro le forze papali e i suoi
alleati (1509-17) compromise la possibilità di sviluppo in tal senso e solo dopo
gli anni ’30 vi fu una ripresa dell’attività costruttiva di questo tipo.
Giunsero da Roma, appena saccheggiata dai Lanzichenecchi (1527), diversi
artisti e architetti. Tra di essi quelli di maggior successo furono Jacopo
Sansovino (di origine fiorentina) e Michele Sanmicheli (di origini veronesi).
Il Serlio (anch’esso proveniente da Roma) invece non ricevette
commissioni architettoniche per via del pessimo carattere, però
sfruttando le capacità editoriali veneziane pubblicò in volumi separati, a
partire dal 1537, un trattato pratico di architettura che ebbe molto
successo e costituì la premessa fondamentale al trattato di Palladio di 33
anni dopo : I Quattro Libri dell’Architettura.
I committenti delle nuove ville erano sostanzialmente di due tipi:
• i patrizi veneziani, che entravano in possesso di grandi tenute dove non
era mai stata costruita una residenza di prestigio,
• i membri dell’aristocrazia terriera i cui titoli feudali risalivano al
medioevo e le cui dimore erano spesso costituite da castelli fortificati,
disagevoli per i gusti raffinati della nobiltà veneziana.
Costoro avevano diversi motivi per stanziarsi sulla terraferma:
a) l’importanza crescente che aveva assunto l’agricoltura
b) la percezione della campagna come rilassante alternativa alla città
c) la coscienza della responsabilità verso le grandi proprietà agricole
d) la convinzione, sempre più diffusa grazie alla rivalutazione rinascimentale
degli autori classici che sostenevano questa tesi, che occuparsi della
gestione di una tenuta agricola fosse un’occupazione degna di un
gentiluomo. Anche Palladio cita questi autori (tra cui Varrone e Catone
ad es.) nel capitolo dedicato alla villa nella sua traduzione commentata
di Vitruvio.
La maggior difficoltà era accordare le esigenze pratiche e estetiche di
questo nuovo tipo di clientela : Sansovino incaricato di realizzare una
simile residenza (Villa Garzoni a Pontecasale, 1536) non riuscì in questa
impresa (l’edificio è un bellissimo palazzo, ma inadatto alle funzioni
legate alla tenuta, con richiami romani nella parte centrale e veneziani
in quelle laterali) e non ricevette altre commissioni di questo tipo.
Jacopo Sansovino,
Villa Garzoni a Pontecasale,
1536
Miglior successo ebbe in questo settore costruttivo il Sanmicheli, con le ville,
menzionate anche dal Vasari, La Soranza a Treville, Castelfranco Veneto e
quella di Girolamo Cornaro a Piombino Dese.
Tuttavia se troppo grandiosa era la concezione del Sansovino, troppo
austera era quella del Sanmicheli, per soddisfare la nuova e difficile
committenza.
Andrea Palladio riuscì dove gli altri avevano fallito e riuscì a
accordare le qualità positive di entrambi in una nuova formula
progettuale, infine perfettamente idonea ad appagare le aspettative
dei suoi committenti. Fu capace nelle sue architetture di armonizzare
l’eleganza e la magnificenza delle antiche ville romane, di cui
conosceva le descrizioni, con la piena funzionalità agricola della villa
veneta tradizionale. La maggior parte delle ville palladiane si trova
nella parte orientale del Veneto, nei pressi di Venezia,Vicenza e
Padova, spesso in prossimità di fiumi o canali.
La Soranza a Treville, Castelfranco Veneto, prima del 1540
mappa delle ville palladiane
Palladio declinò il tema della villa in una grande varietà di soluzioni progettuali,
caratterizzando una vasta area dell’entroterra veneto, avendo ricevuto incarichi sia
dall’aristocrazia veneziana che dalla nobiltà di provincia.
Progetto di Villa Godi a Lonedo, tra le prime realizzate del Palladio. Il luogo
domina a sud uno spettacolare panorama fluviale e rispecchia le “istruzioni” di
Palladio per situare le ville, che non si devono «fabricare nelle Valli chiuse tra i monti»,
per motivo di visibilità e salubrità dell’edificio.
La Villa Barbaro a Maser, (1557-58), rappresenta una ulteriore evoluzione
dell’approccio di Palladio al tema della residenza elegante di campagna.
Vi sono introdotti elementi tipici delle tenute agricole più antiche, le colombaie e le
barchesse ( lunghi portici con funzione di granai e deposito attrezzi, che presentavano
nelle parti chiuse retrostanti le stalle per gli animali della fattoria). Le prime sono inserite
sotto forma di padiglioni alle estremità del complesso, le seconde come successione di
arcate che le collegano simmetricamente all’edificio principale.
L’interesse per l’architettura romana fu stimolato nel Palladio
dal suo mecenate Giangiorgio Trissino, che lo fece studiare, e
dalla partecipazione all’Accademia Olimpica, un’associazione
per la promozione della cultura umanistica composta da nobili
vicentini. L’ accoglienza prodigata al Palladio, allora ancora
artigiano, costituì all’epoca un eccezionale evento sociale.
A metà della carriera Palladio curò una guida alle antichità
romane e una edizione del De Bello Gallico; intorno al 1556
l’umanista e committente della villa Barbaro, Daniele Barbaro
gli affidò la realizzazione dell’apparato iconografico del suo
commento ai Dieci Libri dell’architettura di Vitruvio. Qui
l’architetto tentò per la prima volta di evincere un canone
(=regola) per gli antichi ordini architettonici, una ricerca
portata a compimento nei Quattro Libri dell’Architettura
pubblicati nel 1570.
Villa Barbaro a Maser, fronte e ninfeo
La parte residenziale si distingue per lo splendido frontone, con
decorazioni a stucco, simile a quelli dei templi romani.
Nei Quattro libri dell’Architettura Palladio spiega le ragioni per
riproporre nell’ambito della villa, motivi dell’architettura sacra romana:
« questi tali frontespici accusano (=evidenziano) l’entrata della casa, e
servono molto alla grandezza e magnificenza dell’opera »
Splendidi affreschi
illusionistici di Paolo
Veronese decoravano
gli ambienti principali,
con paesaggi ricchi di
rovine romane.
ninfeo
giardino
cucine
Anche il ninfeo, una grotta-fontana arricchita da statue, oltre ad
evocare gli antichi fasti, aveva una funzione pratica che il Palladio
spiega nel suo trattato: l’acqua scorre dal vivaio dei pesci della
fontana alla cucina della villa e da qui, prima nel giardino, che così è
irrigato, e in ultimo nel frutteto sul lato opposto.
Non tutte le residenze progettate dal Palladio sono di questa levatura, egli
era in grado di rispondere anche ad esigenze più modeste, sempre tenendo
ben presente l’esigenza di un compromesso tra eleganza dell’edificio e
praticità dello stesso.
E’ il caso della Villa Repeta, Campiglia, (dell’originale rimane solo il progetto,
1560, poichè, distrutta da un incendio, fu ricostruita poi in forme diverse)il
cui committente aveva aderito a posizioni religiose di stampo protestante
(rinunzia al lusso), o della Villa Emo a Fanzolo, una via di mezzo tra i fasti
della Villa Barbaro e la semplicità della Villa Repeta, oppure è il caso delle
residenze più piccole come la Villa Saraceno a Finale.
Villa Saraceno, Finale, 1546
Villa Emo, Fanzolo, 1564
circa.
L’apparato decorativo è
limitato al timpano del
frontone, le finestre sono
prive di cornici e nella
descrizione della Villa che
si trova nei Quattro Libri,
Palladio ne sottolinea la
funzionalità.
La più famosa tra le residenze di campagna progettate dal Palladio è la Villa Almerico-Capra, detta la Rotonda (1566-70).
In un certo senso l’edificio non è affatto una villa perchè molto vicina a Vicenza e senza alcuna finalità agricola, infatti nei Quattro Libri essa
compare nel volume sui Palazzi. Qui il Palladio descrive tutti i benefici e i piaceri estetici che può offrire: panorama sul fiume e sui colli, vigne e
frutteti di cui godere. Proprio il punto prescelto per la costruzione, un “monticello di ascesa facilissima”, suggerisce all’architetto di offrire su ogni
fronte una loggia “onde perchè gode da ogni parte di bellissime viste”.
In questo caso fu la posizione geografica a suggerire il progetto architettonico, un
moltiplicarsi inconsueto di frontoni classici che emergono dal volume cubico coronato
da una cupola emisferica. In questo edificio Palladio realizza una interpretazione della
pianta centrale rinascimentale fondendo sia elementi classici (i frontoni) che simbolici
sacrali (la cupola), dando luogo ad una costruzione raffinatissima ed esemplare.
Alla morte del Palladio nel 1580, la villa
fu completata da Vincenzo Scamozzi, che
realizzò una cupola più bassa di quella
prevista nel progetto iniziale.
Il soffitto semisferico della cupola è stato decorato all’inizio del XVII se. con
affreschi di Alessandro Maganza. (1556,Vicenza -1630,Vicenza), a soggetto
con allegorie della Religione e delle Virtù .
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