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Mercoledì 11 Dicembre 2019 Corriere della Sera
Cronache
La lotta per un’azione urgente sui cambiamenti climatici è una
lotta per i diritti umani e i giovani hanno il diritto di parteciparvi
❞
Michelle Bachelet Alto commissario dell’Onu per i diritti umani
«Le terre dove viviamo affondano»
Il grido d’aiuto dalle isole del Pacifico
Madrid, i governanti e gli effetti del cambiamento climatico. «È come una Venezia su larga scala»
DALLA NOSTRA INVIATA
MADRID Le Isole Marshall sono
state la prima nazione al mondo a tagliare le emissioni di
CO2. Eppure, continuano ad
andare sott’acqua. Due settimane prima dell’apertura di
COP25, maree con onde alte
fino a cinque metri hanno
colpito la capitale Majuro,
centinaia di persone sono state evacuate. «È una lotta contro la morte», ha esclamato la
presidente Hilda Heine.
Lotta, sopravvivenza, resilienza, rabbia. Sono le parole
più usate dai delegati delle
isole del Pacifico e dei Caraibi
a tutti i vertici sul clima. Sempre in prima linea. Non è un
caso che gli unici capi di Stato
e di governo presenti a COP25
— e i primi a parlare ieri —
sono loro. Nomi perlopiù sconosciuti, sullo scenario della
politica internazionale. Come
Kausea Natano, primo ministro di Tuvalu, l’atollo che secondo il GAP report delle Nazioni Unite rischia di essere
completamente sommerso
entro il 2050: «Facciamo ogni
sforzo per sopravvivere, stiamo studiando anche come
costruire un’isola artificiale.
Dove si rischia
Isola
di Shishmaref
Shishmaref
Island
Alle isole Tuvalu
c’è la situazione
più preoccupante
in assoluto:
l’inondazione totale
è prevista nel 2050
Micronesia
Isola di Tangier
Marshall
Palau
Maldive
Seychelles
Timor
Tuvalu
Nauru
Kiribati
Solomone
Isole
Cook
Figi
Fiji
Tonga
Vanuatu
9,44
I centimetri
dell’innalzamento del
livello del mare
a livello globale
dal 1993 a oggi
secondo i dati
registrati
dalla Nasa
Ma non possiamo farlo da soli, abbiamo bisogno del vostro sostegno finanziario e
tecnico». O Taneti Maamau,
presidente di Kiribati, 800
km² di terra suddivisa in vari
isolotti, che si alzano al massimo tre metri sopra il mare.
Per ora. «Noi, cittadini della
regione del Pacifico, siamo i
più vulnerabili al cambiamento climatico. È preoccupante che nonostante tutti i
dati scientifici, la voce dei giovani, gli scioperi per il clima,
siamo ancora così lontani dal
l’azione richiesta da parte dei
Paesi sviluppati».
«Gli impatti della crisi climatica si stanno intensificando e aumenta la nostra vulnerabilità», rincara il primo min i s t ro d i To n g a , Po h i va
Tu’i’onetoa. Erosione delle coste, inondazioni, alluvioni, cicloni sempre più frequenti e
potenti, acque oceaniche
sempre più calde, con tutte le
conseguenze sulla pesca, che
resta la principale fonte di sostentamento per i popoli delle
isole. Le minacce sono tante
ma la più grave resta l’innalzamento, inarrestabile, del livello del mare: + 9,44 centimetri
la media globale dal 1993 ad
oggi, secondo i dati Nasa. In
alcune zone del Pacifico, però, è addirittura quattro volte
superiore. In Micronesia, il
mare si alza di 12 mm l’anno.
«Tutte le infrastrutture, le
strade, le scuole, i porti e le
case ovviamente sono sulle
coste. Anche con un innalzamento minimo, tutti i nostri
investimenti sono vulnerabili.
È come a Venezia, ma su una
Corriere della Sera
1,1
I gradi
in più della
temperatura
media
della superficie
terrestre
rispetto
ai livelli
preindustriali
scala molto più grande», dice
Tyrone Hall, consulente dell’Alliance for Small Island Developing States.
I «vulnerabili» chiedono
uno sforzo maggiore ai Paesi
che si sono impegnati a finanziare il Green Climate Fund,
perché è ancora lontano
l’obiettivo dei 100 miliardi di
dollari annui. E un accesso al
sostegno finanziario in caso
di condizione meteorologiche estreme. «Siamo arrabbiati, stufi di essere sacrificati
dalle nazioni ricche e potenti.
È tempo di agire perché non
abbiamo più tempo», ha tuonato ieri la potessa Kathy Kijiner, inviata delle isole Marshall. E anche la ventunenne
Brianna Fruean di Tokealu, un
atollo corallino davanti alla
Nuova Zelanda, è venuta fin
qui per portare la sua testimonianza: «Quando è passato
l’ultimo ciclone sono scesa al
villaggio sulla costa, il capo
della comunità stava contando i bambini, come pecore,
per essere sicuro che nessuno
fosse andato “perso”. Ero
scioccata, non è umano. Ma
ormai per noi è la normalità».
S. Gan.
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