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GLI «ATTI DI DISPOSIZIONE DELLA PERSONA» NEL PRISMA DELL’IDENTITÀ PERSONALE (TRA REGOLE E PRINCIPI) di Gaetano Anzani

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N. 1 GENNAIO 2009 • Anno XXV
RIVISTA MENSILE
de Le Nuove Leggi Civili Commentate
ISSN 1593-7305
LA NUOVA
GIURISPRUDENZA
CIVILE
COMMENTATA
Estratto:
gaetano anzani
Gli «atti di disposizione della persona»
nel prisma dell’identità personale
(tra regole e principi)
Aggiornamenti
GLI «ATTI DI DISPOSIZIONE DELLA PERSONA»
NEL PRISMA DELL’IDENTITÀ PERSONALE
(TRA REGOLE E PRINCIPI)
di Gaetano Anzani
Sommario: 1. L’identità personale quale criterio ordinante di disparate discipline di settore: dalle
regole ai principi, dai principi alle regole. – 2.
L’identità personale in rapporto ai beni della vita
e della salute. – 3. L’identità personale come ratio di alcune ipotesi di libertà di disporre di sé. –
4. Segue: in particolare, i trapianti inter vivos e la
sperimentazione medica. – 5. L’identità personale nella sessualità. – 6. L’identità personale di
fronte alla collettività ed il rischio di un uso mistificante delle clausole generali: alcuni esempi. –
7. Identità personale e aspetti totalmente immateriali della persona. – 8. Qualche interlocutoria
conclusione.
1. L’identità personale quale criterio
ordinante di disparate discipline di settore: dalle regole ai principi, dai principi alle regole. L’art. 5 cod. civ. può essere
interpretato restrittivamente, così da relegare
la sua portata applicativa agli atti di disposizione giuridica del corpo, oppure estensivamente,
così da ricomprendere gli atti di disposizione
materiale; ma un’interpretazione lata finirebbe
oggigiorno con l’essere incostituzionale, in
quanto lesiva della libertà di autodeterminazione, specialmente qualora l’esercizio di quest’ultima sia protesa verso una piena realizzazione della personalità. Ad ogni modo, la regola formulata nel codice civile del ’42 è fonte di
regole indubbiamente parziali e, comunque,
insufficienti a fronteggiare tutte le possibili forme di coinvolgimento di interessi attinenti alla
persona, di cui esalta la dimensione della pura
corporeità – incentrata, tra l’altro, sulla nozione di integrità fisica, non immune da un’originaria vocazione patrimonialistica del diritto
privato, anziché su quella di salute – e trascura
completamente le componenti immateriali, tra
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le quali quelle che più decisamente, soprattutto in accordo all’evoluzione della moderna coscienza sociale, contribuiscono a modellare
l’identità personale.
L’esame di molte discipline settoriali, del resto, permette di scorgere come criterio ordinante, ancorché spesso implicito, appunto
l’identità della persona, che è il nucleo inviolabile della dignità umana. Ciononostante, occorre constatare che l’identità personale può
essere plasmata ad immagine sia della dignità
soggettiva sia della dignità oggettiva dell’uomo
e, pertanto, che la tutela dell’identità non è mai
neutra nei fini e può essere orientata al perseguimento di ben diversi propositi: l’esaltazione
della dignità soggettiva, infatti, respinge l’idea
che il singolo possa subire condizionamenti in
funzione di interessi che lo trascendono, mentre l’obiettivo di proteggere la dignità oggettiva
giustifica eventuali compressioni al principio
di autodeterminazione nelle scelte che pure
non si ripercuotono al di fuori della sfera individuale ( 1 ).
L’interprete, allora, dopo aver rilevato la ratio del diritto positivo vigente e del diritto di
formazione giurisprudenziale, può solo tentare
di risalire dalle regole dettate per talune fattispecie ai principi informatori, allo scopo di desumere da quei principi regole applicabili in altre fattispecie o, almeno, indicazioni che siano
utili al legislatore de jure condendo.
( 1 ) Per una panoramica generale su tutti questi
argomenti, si consenta il rinvio ad Anzani, Identità
personale e «atti di disposizione della persona», in
questa Rivista, 2008, II, 207.
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Aggiornamenti
2. L’identità personale in rapporto ai
beni della vita e della salute. La salute
non è un valore assoluto che, almeno in generale, obbliga a curarsi, perché è piuttosto uno
strumento di realizzazione e di affermazione
della propria identità, tanto che, ai sensi dell’art. 32 Cost., i Trattamenti Sanitari Obbligatori non possono in nessun caso – e quindi
neppure per soddisfare un’esigenza della collettività – violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana ( 2 ).
In assenza dei presupposti che giustifichino
un T.S.O., il fondamento di ogni attività terapeutica – in conformità a ciò che viene sancito
non più solo dalla Costituzione, ma ora anche
dalla Convenzione di Oviedo ( 3 ) e dalla Carta
di Nizza ( 4 ), oltre che dal Codice di Deontologia Medica ( 5 ) – dev’essere ricercato nel consenso informato, consapevole e cosciente del
paziente. L’operatore sanitario che violi l’autodeterminazione del paziente, pertanto, potrebbe incorrere in responsabilità civile e penale,
pur senza aver cagionato in concreto un danno
alla salute.
Il principio dell’autodeterminazione terapeutica, invero, dovrebbe sempre trovare applicazione anche rispetto alle scelte cc.dd. «di
fine vita», alla luce dell’inviolabile diritto di
ciascuno a non essere sottoposto a trattamenti
indesiderati.
Nell’ipotesi in cui una persona perda la propria capacità, inoltre, la rilevanza di una volontà espressa ora per allora, in particolare tramite
le cc.dd. «direttive sanitarie anticipate» ed il
c.d. «testamento biologico», può essere desunta, già de jure condito, da alcuni indici normativi. Ad esempio, l’art. 408, comma 1o, cod. civ.
consente a chiunque sia attualmente capace, in
previsione di una futura ed eventuale incapacità, di designare, con effetto vincolante per il
Giudice, colui che dovrà essere chiamato ad
assumere l’ufficio di amministratore di sostegno: si riconosce valore giuridico, quindi, ad
2
o
( ) Cfr. l’art. 33, comma 2 , l. 23.12.1978, n. 833
(Istituzione del servizio sanitario nazionale) e l’art. 7
della Convenzione Europea di Oviedo del 1997 sui
diritti dell’uomo e la biomedicina.
( 3 ) Cfr. l’art. 5.
( 4 ) Cfr. l’art. 3, comma 2o, lett. a).
( 5 ) Cfr. gli artt. 35 e 38.
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una volontà precedente l’incapacità del designante di provvedere ai propri interessi, anche
a quelli di natura non patrimoniale, che potranno essere curati in sua vece dal rappresentante.
La tutela della dignità soggettiva del paziente, infine, sollecita sia l’implementazione delle
cure cc.dd. «palliative» sia il rifiuto di ogni forma di «accanimento terapeutico» (che nulla ha
in comune con la c.d. eutanasia passiva) ( 6 ).
Ma dovrebbe orientare anche le scelte legislative sull’eutanasia (passiva ed attiva) e sul suicidio assistito, perché non si può prescindere
dalla valutazione che della dignità umana faccia lo stesso malato, il quale potrebbe considerare la qualità della propria vita secondo canoni che non coincidono con quelli seguiti dalla
maggioranza dei consociati ( 7 ).
3. L’identità personale come ratio di
alcune ipotesi di libertà di disporre di
sé. Una persona può tendenzialmente rivendicare la libertà di scegliere ogniqualvolta le conseguenze pregiudizievoli di una scelta non
esorbitano dalla sua sfera individuale.
Ad esempio, il tentato suicidio, a differenza
dell’istigazione al suicidio, è penalmente irrilevante sia perché un’incriminazione sarebbe
psicologicamente controproducente nei confronti del reo sia, soprattutto, perché il suicida
compie un gesto supremo con il quale rivendica, al cospetto del destino, una personale sovranità ( 8 ): chi ha desiderato di morire, invero,
non rifiutava la vita, ma quella vita ancora da
vivere. D’altra parte, il kamikaze è punibile
non per il gesto suicidiario in quanto tale, bensì solo perché con esso attenta all’incolumità
altrui.
Colui che attui lo sciopero della fame e/o
della sete, poi, non cerca la morte al pari di un
aspirante suicida, ma, senza esporre altri a pericolo, accetta il rischio di morire per uno sco( 6 ) Cfr. gli artt. 3, 16, 18, 23 e 39 Codice di
Deontologia Medica.
( 7 ) Su tutti questi temi, solo per ragioni di spazio,
si rinvia ad Anzani, Consenso ai trattamenti medici
e «scelte di fine vita», in Danno e resp., 2008, 957.
( 8 ) Fiandaca, in Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte speciale, II, I delitti contro la persona, Zanichelli, 2006, 2 ss., 32 ss.
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«Atti di disposizione della persona»
po che – perlomeno nella prospettiva dell’agente – viene considerato prioritario: lo scioperante esercita il diritto costituzionale a protestare pacificamente a sostegno delle proprie
opinioni o dei propri interessi e merita sempre
rispetto, tanto che con l’alimentazione e/o
l’idratazione coatte si userebbe illecitamente
violenza nei suoi confronti ( 9 ).
Ancora, la detenzione per uso personale ed il
consumo di sostanze stupefacenti sono tollerati
e non puniti, fatta salva l’adozione di taluni
provvedimenti (come il ritiro della patente di
guida) a tutela della sicurezza pubblica, mentre
è penalmente sanzionata la cessione di droga,
che è una condotta rivolta verso altri ( 10 ).
L’identità della persona, tuttavia, riguardo ai
fenomeni che coinvolgono il corpo, non funge
soltanto da barriera invalicabile rispetto ad ingerenze esterne, bensì anche da criterio di legittimazione in casi nei quali un atto di autodeterminazione sarebbe ordinariamente vietato.
Le manifestazioni sportive intrinsecamente o
casualmente pericolose, ad esempio, sono lecite perché favoriscono la promozione psico-fisica e sociale sia degli atleti sia degli spettatori,
nonché, nel caso dell’agonismo professionistico, la realizzazione di aspirazioni lavorative
( 11 ).
La trasformazione del corpo, inoltre, può
servire ad assecondare la dimensione immateriale della propria identità, così da stare bene
con se stessi; o a comunicare attraverso la fisicità, che è sensorialmente percepibile dagli altri, tutta la complessità della propria essenza
identitaria, che comprende profili altrimenti
nascosti o di non immediata evidenza se non a
noi stessi: è quello che accade con il piercing, il
tatuaggio o la chirurgia plastica ( 12 ).
( 9 ) Romboli, La libertà di disporre del proprio
corpo, nel Commentario Scialoja-Branca, ZanichelliForo it., 1988, sub art. 5, 355 ss.
Cfr. l’art. 53 Codice di Deontologia Medica.
( 10 ) Tonini, Gli atti di disposizione del corpo
umano anche alla luce di recenti interventi legislativi
e giurisprudenziali, in Giust. pen., 1997, II, 577 ss.
( 11 ) Aureliano-Benedetti-Randazzo, in Breccia-Pizzorusso, Atti di disposizione del proprio corpo, a cura di Romboli, Ed. Plus, 2007, 339, 367,
381.
( 12 ) Rodotà, Quattro paradigmi per l’identità, in
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Il mutamento dei caratteri sessuali per mezzo di trattamento medico-chirurgico, ancora, è
ammesso, a certe condizioni e previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, appunto per
consentirne l’adeguamento ad una reale, benché interiore, identità: il legislatore italiano, infatti, ha concepito il sesso come un profilo della personalità che è determinato da un insieme
di fattori sia fisici sia psicologici e sociali. «La l.
n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell’alveo di
una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più
attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale» ( 13 ).
D’altronde, l’ammissibilità della sterilizzazione volontaria irreversibile – sia pure nel rispetto di talune cautele (come il sincerarsi della
solidità delle motivazioni, dell’età non più giovanissima e di un’ormai stabile situazione familiare ed affettiva del richiedente) – può favorire
tanto l’estrinsecazione della personalità sessuale (anche al di fuori del transessualismo) quanto una procreazione cosciente e responsabile
( 14 ).
Infine, si pensi alla l. n. 194/1978 ( 15 ), in materia di interruzione volontaria della gravidanza, un intervento sanitario che può essere richiesto dalla donna con una manifestazione di
volontà che integra sempre un atto personalissimo, pur quando la richiesta – con un procedimento nel quale è prevista, a fini di mero
L’identità nell’orizzonte del diritto privato, Supplemento a questa Rivista, 2007, 28, il quale, tra l’altro,
porta l’esempio dei cc.dd. Body Integrity Identity
Disorders, che inducono a richiedere la rimozione
chirurgica di una parte del corpo sana, ma indesiderata, tanto che negli Stati Uniti un medico ha accolto la richiesta di amputare le gambe del paziente.
( 13 ) Così in Corte cost., 24.5.1985, n. 161, in
Giur. it., 1985, I, 1, 1173, 4. Cfr. la l. 14.4.1982, n.
164 (Norme in materia di attribuzione di sesso).
( 14 ) Natali-Ragone, in Breccia-Pizzorusso,
op. cit., 153, 179. Cfr. Cass. pen., 18.3.1987, ric.
Conciani, in Foro it., 1988, II, 447, con nota di
Fiandaca, con cui è stata cassata App. Firenze,
6.3.1985, ivi, 1985, II, 384; Trib. Milano,
20.10.1997, in Danno e resp., 1999, 82, con nota di
Bona.
( 15 ) Si tratta della l. 22.5.1978, n. 194 (Norme per
la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza).
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controllo di regolarità, la partecipazione del
Giudice Tutelare – provenga da donne minorenni o addirittura interdette (artt. 12 e 13)
( 16 ). Mentre negli Stati Uniti l’interruzione della gravidanza, emblematico risvolto del fondamentale right of privacy della donna, ha avuto
molto spazio nel dibattito sulla libertà individuale quale primario criterio regolatore degli
atti di disposizione del proprio corpo, la predetta legge italiana occupa formalmente una
posizione isolata nel panorama generale sulla
disponibilità di se stessi, perché il baricentro
della disciplina è il bilanciamento tra la salute
della gestante e la vita del nascituro: il che è
espressione di un arduo quanto apprezzabile
sforzo di non disconoscere la pluralità degli interessi e dei valori in conflitto, come sarebbe
invece avvenuto se la disciplina fosse stata improntata a tutela di uno soltanto dei soggetti
coinvolti ( 17 ). Tuttavia, nella prassi concernente (almeno) l’aborto nei primi novanta giorni
dal concepimento, anche in virtù delle ambiguità che connotano lo stesso testo legislativo,
viene assegnata prevalenza quasi assoluta all’autodeterminazione della donna ( 18 ), a testimonianza del fatto che il legislatore e gli operatori manifestano spesso evidenti sintomi di disagio di fronte a questioni delicate.
4. Segue: in particolare, i trapianti inter vivos e la sperimentazione medica.
Un ulteriore spunto di riflessione è offerto dalla materia delle «donazioni» di organi o di altre
( 16 ) Cfr. Corte cost., ord. 15.3.1996, n. 76, in
Giust. civ., 1997, I, 41, con nota di Giardina.
( 17 ) Cfr. Corte cost., 18.2.1975, n. 27, in Foro
it., 1975, I, 515.
( 18 ) Giardina, Libertà e salute, in Il diritto alla
salute, a cura di Busnelli e Breccia, Giuffrè, 1979,
111 ss.; Gazzoni, Osservazioni non solo giuridiche
sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Dir. fam. e pers., 2005, II, spec. 201.
La donna coniugata che assuma la scelta di abortire senza consultare il marito, o comunque senza
che la sua scelta sia condivisa dal marito, potrebbe
però esporsi all’addebito dell’intollerabilità della
convivenza in caso di separazione personale dei coniugi: Ruscello, in Famiglia e matrimonio, a cura di
Ferrando, Fortino e Ruscello, I, Giuffrè, 2002,
786 ss.; contra, cfr. Trib. Monza, 26.1.2006, in Resp. civ. e prev., 2006, 901, con nota di Gorgoni.
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parti del corpo a scopo di trapianto inter vivos,
perché il dono di se stessi, che a volte consente
al donante di dare significato alla propria esistenza, è una delle più alte affermazioni della
personalità individuale ( 19 ).
Un dono, però, è essenzialmente gratuito e
deve esserlo, a fortiori, anche in caso di cessione – rectius, di destinazione ad uno scopo ( 20 ) –
di parti del proprio corpo. Il principio di gratuità, che traduce il valore della solidarietà, è
infatti accolto nei documenti elaborati in sede
internazionale (come la Convenzione Europea
di Oviedo) ( 21 ) e, almeno in Italia, nelle discipline legislative di settore [come quelle sulla
( 19 ) Zatti, Il corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in questa Rivista, 2007, II, 6.
( 20 ) Di «destinazione» parla Ferrando, Il principio di gratuità, biotecnologie e «atti di disposizione
del corpo», in Eur. e dir. priv., 2002, 761 ss.
( 21 ) L’art. 21 della Convenzio di Oviedo dispone
che «[i]l corpo umano e le sue parti non devono, in
quanto tali, essere fonte di profitto», un principio
che trova specifiche applicazioni in tema di trapianti
(artt. 21 e 22 del Prot. Add. del 24.1.2002) e di sperimentazione sull’uomo (art. 12 del Prot. Add. sulla
ricerca biomedica del 25.1.2005). Sono tuttavia opportune due precisazioni: 1) il predetto principio si
riferisce solo alla medicina e della biologia, con la
conseguenza che rimangono escluse dalla sua area di
incidenza numerose fattispecie di disposizione del
corpo a titolo oneroso (ad esempio, la prostituzione,
le prestazioni lavorative di carattere sportivo, lo
sfruttamento commerciale dell’«immagine» del corpo); 2) il divieto di commercializzazione riguarda il
corpo e le sue parti in quanto tali, il che implica la
proibizione di una cessione remunerata del materiale biologico umano unicamente nella relazione tra
cedente e primo beneficiario, mentre non investe
tutti i successivi rapporti giuridici che interessino il
corpo trasformato o manipolato: Resta, nel Trattato
di diritto civile, diretto da Sacco, Le persone e la famiglia, I, Le persone fisiche e i diritti della personalità, a cura di Alpa e Resta, Utet, 2006, 606 ss.
Un principio analogo è enunciato nell’art. 3, comma 2o, lett. c), Carta di Nizza. In ambito extraeuropeo, sono da menzionare due Dichiarazioni dell’Unesco: quella del 3.12.1997 sul genoma umano ed
i diritti dell’uomo, all’art. 4; quella del 16.10.2003
sui dati genetici umani, all’art. 8. Sul commercio degli ovociti umani, cfr., ad esempio, la Risoluzione
approvata dal Parlamento Europeo il 10.3.2005, in
Dir. fam. e pers., 2006, II, 425.
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«Atti di disposizione della persona»
donazione del sangue e dei suoi componenti
( 22 ) e sulla donazione del midollo osseo ( 23 )],
giacché la cedibilità a titolo oneroso abbandonerebbe il cedente al ricatto dell’indigenza e
potrebbe confliggere con la dignità oggettiva
dell’essere umano, nonché, soprattutto, con il
principio di uguaglianza sostanziale: in un mercato dove questo genere di risorse scarseggia, i
più poveri diverrebbero i fornitori di materiale
biologico ed i più ricchi ne diverrebbero gli acquirenti ( 24 ).
La gratuità sembra avere una sfumatura di
scambio nei trapianti tra viventi cc.dd. crossover, nei quali, con il consenso di tutti gli interessati, vengono incrociate più coppie, formate
da un donatore e da un ricevente, al cui interno
– per un’incompatibilità tra i pazienti – l’intervento sanitario sarebbe irrealizzabile: in questo
tipo di trapianti, cioè, sulla base di un preventivo patto di reciprocità, sono coinvolti nell’espianto e nell’impianto di organi soggetti di
coppie diverse ( 25 ). Ma si tratta pur sempre di
una reciprocità che non viene contaminata da
venalità e, dunque, che non intacca la sostanziale gratuità del gesto di coloro che destinano
al trapianto parti del proprio corpo: l’incrocio
è solo il mezzo tecnico per realizzare indirettamente ciò che non potrebbe essere realizzato
direttamente. Alla fine, infatti, ciascuno versa
in una posizione né migliore né deteriore di
quella in cui si troverebbe se l’intervento sanitario fosse stato effettuato senza uno «scam( 22 ) Cfr. l’art. 2, comma 2o, l. 21.10.2005, n. 219
(Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della
produzione nazionale degli emoderivati).
( 23 ) Cfr. l’art. 4 l. 6.3.2001, n. 52 (Riconoscimento
del Registro nazionale italiano dei donatori di midollo osseo).
( 24 ) Sull’alternativa tra i modelli ispirati alla solidarietà o al mercato, nonché sull’effettivo significato
del termine «donazione», Mazzoni, Etica del dono
e donazione di organi, in Riv. crit. dir. priv., 1997, 39;
Id., Il dono è il dramma. Il dono anonimo e il dono
dispotico, ivi, 2002, 515. Sull’attuale nozione di gratuità, Galasso, Il principio di gratuità, ivi, 2001,
205; Venuti, Atti di disposizione del corpo e principio di gratuità, in Dir. fam. e pers., 2001, I, 827; Ferrando, op. cit., spec. 765 ss.
( 25 ) D’Avack, Trapianto da vivente crossover:
aspetti etici e giuridici, in Dir. fam. e pers., 2006, II,
1509.
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bio» di organi e, soprattutto, si rimane al di
fuori di qualsivoglia logica economica.
Il dono di parti del corpo, peraltro, avviene
spesso tra persone che non si conoscono o, addirittura, che non devono conoscersi ( 26 ). Ed è un
dono che non può oppure, talvolta, non deve essere ricambiato nel contesto di una relazione
biunivoca, in maniera da non suscitare nel beneficiario sentimenti di gratitudine nei confronti di
una specifica persona. «Colui che ha ricevuto
l’organo o il sangue sa tuttavia che esso è stato
(...) donato, non venduto. (...) Lo Stato che favorisca atti di liberalità verso sconosciuti non fa altro che stabilire rapporti di reciprocità, obblighi
verso la restituzione. Ma questi obblighi di restituzione non vengono pretesi o attesi da chi riceve il dono, ma dalla società nel suo insieme» ( 27 ).
La destinazione del proprio corpo al bene collettivo o altrui, comunque, non risponde ad una
«doverosità sociale» identificabile nei «doveri
morali o sociali» che sono il fondamento delle
obbligazioni naturali di cui all’art. 2034 cod. civ.,
giacché integra una c.d. «prestazione superetica»: il comune sentire dei consociati censura il
mancato adempimento di un’obbligazione naturale, mentre non condanna l’indisponibilità ad
eseguire una prestazione superetica, la cui rilevanza sociale si traduce piuttosto in un positivo
apprezzamento, sul piano morale, della sua effettiva attuazione ( 28 ).
I trapianti tra viventi sono ammessi, di regola, solo per parti del corpo facilmente rigenerabili. Ma la regola patisce delle eccezioni, perché lo stesso legislatore, a volte, considera la
( 26 ) Ad esempio, cfr. l’art. 90, comma 3o, d. legis.
30.6.2003, n. 196 (Codice in materia di protezione
dei dati personali).
( 27 ) Così Mazzoni, Il dono è il dramma, cit., 520.
( 28 ) Bozzi, Alla ricerca del contratto gratuito atipico, in Riv. dir. civ., 2004, II, 210. Tuttavia, in dottrina vi è anche chi, in nome di un dovere di solidarietà, sostiene l’ammissibilità costituzionale dell’alterazione coattiva dell’integrità fisica di un individuo,
purché non si traduca in una permanente e rilevante
menomazione delle funzioni fisiologiche e biologiche, a beneficio del fondamentale bene della vita altrui; sicché, ad esempio, sarebbe configurabile il
prelievo forzoso di sangue a scopo di emotrasfusione: Gemma, Costituzione ed integrità fisica, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 61 ss., 75 ss.
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travolgente ed irrazionale carica motivazionale
che può scaturire dai rapporti familiari o dai
legami affettivi, i quali – secondo una logica
antitetica a quella dell’anonimato – sono in
grado di «qualificare» la solidarietà tra potenziali donatori e malati: le discipline sul trapianto tra viventi di un rene ( 29 ) o di un lobo di fegato ( 30 ), in particolare, attraverso un procedimento in cui è previsto l’intervento dell’Autorità giudiziaria a garanzia della ricorrenza di
tutti i presupposti stabiliti dalla legge e della
genuinità del consenso degli interessati, permettono invero la donazione – purché da parte
di maggiorenni, a titolo gratuito, senza l’apposizione di elementi accidentali e con esclusione
di diritti di sorta del donatore nei confronti del
ricevente – a beneficio (non di chiunque, bensì) unicamente di uno stretto congiunto o di
una specifica persona che non possa ricevere
l’organo da un suo familiare.
Un altro esemplare dono di sé, che è al contempo affermazione della propria identità, è la
sottoposizione consapevole, spontanea e gratuita a sperimentazioni mediche nell’interesse
(quantomeno anche) della collettività. Il consenso informato della persona che aderisce alla
sperimentazione è indispensabile, ma in questa
materia – a differenza di quanto può dirsi a
proposito dell’autodeterminazione terapeutica
– esso non svolge solo la funzione di rendere
ponderabili i rischi che l’individuo dovrà correre in rapporto ai positivi risultati attesi (attesi, peraltro, non in favore dello stesso volontario), perché è altresì strumentale all’effettiva
soddisfazione dello spirito altruistico e socialmente partecipativo da cui è animato colui che
in tal modo dispone di sé, da riguardare come
soggetto dotato di dignità e non come mero
oggetto dell’attività dello sperimentatore:
un’adeguata e completa informazione, infatti,
dev’essere fornita al volontario sia preventivamente, così da garantire una partecipazione attiva alla ricerca e da promuovere l’intento solidaristico che permea la prestazione; sia continuativamente, così da mantenere in risalto il
( 29 ) Cfr. la l. 26.6.1967, n. 458 (Trapianto del rene
tra persone viventi).
( 30 ) Cfr. la l. 16.12.1999, n. 483 (Norme per consentire il trapianto parziale di fegato).
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senso solidaristico della partecipazione ad una
sperimentazione in itinere e da consentire un
controllo circa il perdurare della rispondenza
tra i valori personali e gli scopi dello studio
( 31 ).
5. L’identità personale nella sessualità. Spesso più individualità s’incontrano e, allora, devono con-vivere nel vicendevole rispetto dell’alterità. È quanto avviene nella sessualità, che normalmente – ma non sempre – è una
componente dell’affettività ( 32 ).
( 31 ) Iovane, Il consenso informato nella sperimentazione medica, in Breccia-Pizzorusso, op.
cit., 259 ss. In materia di sperimentazione clinica,
cfr. il d. legis. 24.6.2003, n. 211 (Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della
buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico).
( 32 ) Le relazioni sessuali tra due persone, per diverse ragioni nello spazio e nel tempo, sono a volte
ritenute illecite dagli ordinamenti giuridici: si pensi
ai reati di adulterio, di sodomia (estensivamente intesa, cioè comprensiva di ogni pratica sessuale incompatibile, anche soltanto in astratto, con un fine
procreativo) o di incesto. Sulla sodomia nell’esperienza dell’ordinamento statunitense, Barsotti, Il
sodomita messo al bando dalla Corte Suprema degli
Stati Uniti trova protezione presso le corti statali. Il
federalismo americano e la tutela dei diritti, in Riv.
crit. dir. priv., 2002, 637. Quanto alle relazioni incestuose, in Trib. Venezia, 31.7.2006, in questa Rivista, 2007, I, 864, con nota di Valle, si giunge ad affermare, invero incongruentemente, che «(...) una
considerazione del sistema giuridico basato sulla piena tutela dei diritti dell’individuo sia come singolo sia
nelle formazioni sociali dove si sviluppa la sua personalità, prescindendo dalla corrispondenza ad un modello di tipo naturale, permette di (...)» concedere la
tutela aquiliana anche a chi intrattenga una convivenza more uxorio incestuosa nel caso in cui il fatto
illecito di un terzo cagioni la morte dell’altro convivente; ma una tale affermazione, che – a rigor di logica – si sarebbe dovuta accompagnare alla denuncia di una pretesa incostituzionalità, per contrasto
con i diritti inviolabili della persona, del reato di incesto, è smentita dalla circostanza che già la sola
presenza nel sistema giuridico del predetto reato,
per un verso, esclude che sia plausibile un «diritto»
alle relazioni incestuose e, per altro verso, si giustifica con la necessità di comprimere la libertà sessuale
allo scopo di attuare valori ritenuti prevalenti, quali
– appunto – proprio la naturalità (sia pure in senso
NGCC 2009 - Parte seconda
«Atti di disposizione della persona»
Scomparso il reato di adulterio, oggi un coniuge infedele è esposto verso la responsabilità
civile più di un terzo, giacché il coniuge fedifrago, in certi casi, potrebbe essere chiamato a
rispondere della propria condotta nei confronti dell’altro coniuge, mentre dell’infedeltà non
sarebbe ritenuto responsabile l’amante dell’adultero: i doveri che sorgono dal matrimonio, infatti, vincolano soltanto i contraenti e
non sono opponibili ai terzi, la cui libertà (anche sessuale) è un valore superiore all’interesse
confliggente della persona «tradita» ( 33 ).
Inoltre, si pensi alla realtà delle convivenze,
eterosessuali oppure omosessuali, e al dibattito
sulle possibili forme giuridiche di un loro riconoscimento, che in molti Paesi – in Europa,
sullo sfondo di una tormentata giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e
della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, anche sulla scia di alcune risoluzioni del
Parlamento Europeo e della Carta di Nizza –
hanno condotto o all’elaborazione di appositi
istituti giuridici o alla rivisitazione dell’istituto
matrimoniale ( 34 ).
L’autodeterminazione sessuale del singolo,
poi, è ormai giudicata più importante del dovere coniugale, comunque incoercibile, di assi-
strettamente laico) delle relazioni umane, specialmente nel contesto familiare: il tabù dell’incesto, infatti, è presente in tutte le culture, perché è indispensabile per garantire sia la salute psico-fisica delle nuove generazioni sia la preservazione della struttura sociale.
( 33 ) Cfr. Trib. Brescia, 14.10.2006, in Resp. civ.
e prev., 2007, 81, con nota di Bilotta-Cendon;
Trib. Milano, 24.9.2002, ivi, 2003, 465, con nota
di Facci.
( 34 ) Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare,
in Riv. dir. civ., 2002, I, 509; Pignatelli, I livelli europei di tutela delle coppie omosessuali tra «istituzione» matrimoniale e «funzione» familiare, in Riv. dir.
cost., 2005, 243; Romboli-Pignatelli-Carrillo
(trad. it. di Isolani), Expòsito Gòmez (trad. it. di
Famiglietti), Lauroba (trad. it. di Famiglietti), Dal
Canto-De Marzo, La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali in Italia, in Foro it., 2005, V, 256; Lipari, Riflessioni su famiglia e sistema comunitario, in
Familia, 2006, I, 1; Barsotti, Il matrimonio tra persone dello stesso sesso: orientamenti recenti delle Corti americane, in Corr. giur., 2007, 1023.
NGCC 2009 - Parte seconda
stenza morale e materiale, sebbene nell’intimità della relazione con l’Altro, sotto le mentite
spoglie della pretesa all’adempimento di un debitum coniugale, possano ancora consumarsi
episodi di violenza ( 35 ).
Ancora, l’interesse alla riservatezza sulle
condizioni personali di salute non giustifica la
condotta di colui che, pur nell’esercizio del
proprio diritto alla sessualità, ometta di informare il partner circa il fatto di avere una malattia a trasmissione venerea, perché, tra i contrapposti valori in gioco, devono prevalere
quelli della salute e dell’autodeterminazione altrui ( 36 ).
Dalla convergenza degli itinerari di un Io
maschile e di un Io femminile, infine, può sortire un altro tracciato esistenziale, ma ciò, per
qualcuno, potrebbe non essere un evento lieto,
come dimostrano le note questioni che – nel
gergo dei giuristi – si condensano in una «nascita indesiderata» o in una «vita non voluta»
( 37 ).
( 35 ) Ciascun coniuge – salve le conseguenze di ordine civile sul piano della controversa imputabilità
dell’intollerabilità della convivenza – può rifiutarsi
di intrattenere rapporti sessuali con l’altro. La condotta del coniuge che pretendesse con la forza un
congiungimento carnale, anzi, sarebbe illecita anche
sotto il profilo penale. Cfr. Cass., 23.3.2005, n.
6276, in questa Rivista, 2006, I, 217, con nota di
Ferrando; Cass. pen., 11.7.2006, in Foro it., 2007,
I, 372, con nota di Di Fresco. Per una riflessione
giuridica – ma su basi storiche, filosofiche e teologiche – in merito alla dimensione anche fisica della relazione coniugale, tra il serio ed il faceto, Vassalli,
Del Ius in corpus del debitum coniugale e della servitù d’amore ovverosia la dogmatica ludicra, Bardi,
1944.
( 36 ) La persona reticente, pertanto, è da ritenersi
responsabile, sia penalmente sia civilmente, per le
lesioni o la morte del partner che siano la conseguenza di un contagio: ad esempio, nonostante che
l’art. 5 l. 5.6.1990, n. 135 (Programma di interventi
urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS),
stabilisca in generale per i soggetti affetti dal virus
H.I.V. il diritto all’anonimato, cfr. Cass. pen.,
3.8.2001, n. 30425, Lucini, in Cass. pen., 2002, 3096,
con nota di Di Salvo, ivi, 2003, 1932; Trib. Firenze, 17.1.2006 e Trib. Bologna, 13.4.2006, in Resp.
civ. e prev., 2007, 369, con nota di Porreca.
( 37 ) In materia di wrongful birth, cfr. Cass.,
21.6.2004, n. 11488, in questa Rivista, 2005, I, 552,
7
Aggiornamenti
6. L’identità personale di fronte alla
collettività ed il rischio di un uso mistificante delle clausole generali: alcuni
esempi. L’ambivalenza del concetto di identità
personale, che riflette a volte più la dignità soggettiva a volte più la dignità oggettiva dell’uomo,
è drammaticamente esemplificata dal rituale delle mutilazioni genitali femminili, a cui la stessa
donna potrebbe volersi sottoporre o per un convinto ossequio alla propria cultura o – sia pure
come extrema ratio – per essere accettata nella
propria comunità sociale ed ivi realizzarsi come
persona almeno sotto profili diversi da quello
della sessualità. Ebbene, il legislatore di molti
Paesi (tra i quali l’Italia), in conformità ad alcune
Convenzioni internazionali, ha ritenuto di preminente rilievo la protezione della dignità oggettiva dell’essere umano e, perciò, ha incriminato
tali pratiche in ogni caso ( 38 ).
Alcuni usi del corpo, peraltro, sono proibiti
o trascurati dalla legge non per un’indefettibile
attitudine a pregiudicare la persona, con tutto
ciò che ne può conseguire sia per il singolo sia
a livello sociale, ma in quanto contrasterebbero
con l’ordine pubblico piuttosto che con il
buon costume, che sono due clausole generali,
dai contorni sfumati e spesso fungibili per chi
se ne avvalga, poste a tutela di interessi o pubblici o collettivi o, comunque, estranei alla sfera individuale di colui i cui atti vengono sindacati. L’ordine pubblico ed il buon costume,
d’altronde, sono a volte adoperati impropriamente, a protezione di interessi non già impersonali, bensì riferibili a singoli soggetti ben determinati o determinabili ( 39 ).
con nota di Pasquinelli. In materia di wrongful life
(oltre all’ormai celebre pronunciamento della Suprema Corte francese in merito all’affaire Perruche,
reso in Cour de Cass., ass. plén., 17.11.2000, in
questa Rivista, 2001, I, 209, con nota di Palmerini
e postilla di Busnelli), cfr. Cass., 29.7.2004, n.
14488, in Resp. civ. e prev., 2004, 1348, con nota di
Gorgoni.
( 38 ) Cfr. la l. 9.1.2006, n. 7 (Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile). In proposito, Cassano-Patruno, Mutilazioni genitali femminili, in
Fam. e dir., 2007, 179. Cfr. l’art. 52 Codice di Deontologia Medica.
( 39 ) Già Rescigno, «In pari causa turpitudinis»,
8
Dal lato degli usi proibiti, si ponga mente ai
divieti di fecondazione eterologa e di maternità
surrogata, i quali, oltre a difendere un precostituito modello di relazioni familiari, hanno lo
scopo di tutelare coloro che sarebbero coinvolti in tali pratiche, specialmente il concepturus.
La l. n. 40/2004, che reca la prima disciplina
in materia di procreazione medicalmente assistita (consentita solo a coppie eterosessuali di
persone maggiorenni, coniugate o conviventi,
in età potenzialmente fertile ed entrambe viventi), è stata tacciata di apriorismo ideologico,
ma – sia pure senza sottacere le incongruenze
della legge – nell’approccio a questo tema è indispensabile essersi già domandati quando inizi la vita, che valore abbia l’embrione e se la
procreazione assistita tout court o le varie tecniche di procreazione possano in qualche modo ridondare a scapito del concepturus. In altre
parole, occorre stabilire se alla sfera soggettiva
degli aspiranti genitori si contrappongano altre
sfere di interessi, tra le quali una che sia riconducibile a colui che dal nulla viene chiamato
all’essere ( 40 ).
Il nato, infatti, ad esempio nel caso della fecondazione di una donna single per mezzo del
seme maschile del compagno defunto piuttosto
che di un donatore, potrebbe in ipotesi sopportare pregiudizi di ordine psicologico per essere venuto al mondo in assenza di uno dei genitori. O, nel caso della fecondazione eterologa, per avere scoperto che uno dei genitori putativi non è quello biologico. O ancora, nel cain Riv. dir. civ., 1966, I, 26 ss.; da ultimo, Cruciani,
Limiti agli atti di disposizione del corpo: dal binomio
ordine pubblico-buon costume alla dignità, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 197.
( 40 ) Anteriormente alla l. 19.2.2004, n. 40 (Norme
in materia di procreazione medicalmente assistita),
quando, all’interno della gamma delle forme di fecondazione e di maternità artificiali, il discrimine tra
lecito ed illecito era quasi interamente rimesso alle
clausole generali dell’ordine pubblico e del buon
costume, cfr. Trib. Monza, 27.10.1989, in questa
Rivista, 1990, I, 355, con nota di Liaci; Trib. Palermo, ord. 8.1.1999, ivi, 1999, I, 221, con nota di
Palmerini e postilla di Busnelli; Trib. Bologna,
ord. 9.5.2000, Trib. Bologna, 26.6.2000, ivi, 2001,
I, 475, con nota di Favilli; Trib. Roma, ord.
17.2.2000, Trib. Roma, ord. 29.3.2000, ivi, 2000, I,
310, con nota di Argentesi.
NGCC 2009 - Parte seconda
«Atti di disposizione della persona»
so del c.d. «affitto d’utero», per il fatto di dover gestire un rapporto con più di due figure
«genitoriali», quali i genitori biologici e la madre surrogata. Il nato da fecondazione eterologa, poi, a causa dell’inacquisibilità della mappa
genetica dell’ignoto genitore biologico, potrebbe non essere in grado di curarsi adeguatamente da malattie ereditarie o di prevenire la trasmissione di patologie genetiche ai propri figli.
L’esigenza di una protezione preventiva – in
presenza anche solo del rischio di un pregiudizio per colui che già non è, mai sarà e non si vede per quale ragione dovrebbe venire ad ogni
costo ad esistenza ad esclusivo beneficio degli
aspiranti genitori (il cui interesse è l’unico individuabile con certezza ex ante) – può allora
spingersi fino al punto di vietare il concepimento medicalmente assistito: è quanto suggerisce il principio «di precauzione» ( 41 ), che si
connette al principio «di casualità della vita»
( 42 ).
Non varrebbe obiettare che nel concepimento sessuato, totalmente libero, la posizione del
concepturus è priva di rilevanza e che, d’altro
canto, sarebbe impensabile comprimere l’autodeterminazione sessuale degli individui per
evitare, ad esempio, che siano concepiti soggetti affetti da patologie ereditarie, giacché in
relazione alla procreazione naturale sarebbe in
effetti inammissibile – nella logica di un bilanciamento di interessi attento alla tutela della
dignità umana – una legge che frapponesse
( 41 ) Il principio di precauzione sembra ormai
avere – almeno a livello comunitario, se non internazionale – una portata generale, non più circoscritta
alla tutela dell’ambiente e della salute. La sua funzione più nobile, poi, è la salvaguardia delle «generazioni future». Su detto principio, Gragnani, Il
principio di precauzione come modello di tutela dell’ambiente, dell’uomo, delle generazioni future, in
Riv. dir. civ., 2003, II, 9.
( 42 ) Le persone tendono a rifuggire dalla responsabilità per le conseguenze negative delle proprie
scelte, sicché è da ritenere che tanto di più non accetteranno le conseguenze delle scelte altrui. Ciò costringe almeno ad interrogarsi se si tratti di un fondato motivo per non ammettere la fecondazione eterologa. Sul principio di casualità della vita, in virtù
del quale è da respingere qualsivoglia condizionamento dell’esistenza e dello sviluppo della personalità di ciascuno, Gazzoni, op. cit., passim.
NGCC 2009 - Parte seconda
ostacoli (comunque incoercibili) all’esplicazione della sessualità, mentre in relazione alla procreazione medicalmente assistita si tratta di stabilire se una legge possa consentire agli aspiranti genitori, magari con il doveroso ausilio
dello Stato o con l’opera anche spontanea di
terzi privati, di rimuovere artificialmente un
ostacolo alla procreazione: detto altrimenti, nel
caso di un limite alla procreazione sessuata la
libertà personale verrebbe ristretta, mentre nel
caso di un nulla osta alla procreazione assistita
la libertà personale verrebbe ampliata, con
l’avallo del legislatore, per mezzo di strumenti
innaturali messi a disposizione dalla scienza.
Né varrebbe obiettare che qualcuno degli inconvenienti di una fecondazione assistita priva
di argini possono proporsi anche nell’applicazione dell’adozione dei minori, perché quest’ultimo istituto – che, tra l’altro, deve perseguire l’esclusivo interesse del minore, non degli
aspiranti genitori adottivi – mira a rimediare allo stato di abbandono di un bambino già nato,
cioè ad un dramma personale in atto ( 43 ).
Dal lato degli usi del corpo trascurati dalla
legge, si ponga mente a quanto incerti siano i
regimi ai quali assoggettare le tante sfaccettature del c.d. «mercato del sesso» ( 44 ) e, in particolare, alla disciplina italiana in materia di prostituzione, che è votata all’ineffettività ed è ad
ogni modo inadeguata: il nostro legislatore, infatti, non ha vietato il meretricio, bensì lo sfrut( 43 ) Dopo la l. n. 40/2004, Ferrando, La nuova
legge in materia di procreazione medicalmente assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 2004, 810; Ruscello, La nuova legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Fam. e dir., 2004, 628; Vallini,
Procreazione medicalmente assistita, in Leggi Penali
Complementari, a cura di Padovani, Giuffrè, 2007,
570. Sull’inizio della vita umana e la soggettività del
concepito, Busnelli, L’inizio della vita umana, in
Riv. dir. civ., 2004, I, 533; Gazzoni, op. cit., 168.
Cfr. Trib. Catania, ord. 3.5.2004, in Fam. e dir.,
2004, 372, con nota di Ferrando; Trib. Cagliari,
ord. 29.6.2004, Trib. Cagliari, decr. 5.6.2004, in
Fam. e dir., 2004, 498, con nota di Figone. V. anche
le nt. 79 e 80.
Cfr. gli artt. 44 e 45 Codice di Deontologia Medica.
( 44 ) Zeno-Zencovich, «Sex and the contract»:
dal mercimonio al mercato, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 2007, 1191.
9
Aggiornamenti
tamento ed il favoreggiamento di questa attività, sebbene – incongruentemente – si mostri
indifferente verso i risvolti personali e sociali
del fenomeno ( 45 ).
Di certo, è insoddisfacente ed inopportuna
l’integrale riconduzione della prostituzione,
nei suoi aspetti personali e patrimoniali, alle residuali regole dettate dagli artt. 5 e 2035 cod.
civ.; sia perché ciò non consente di discernere
tra coloro che si prostituiscono non per propria scelta, o in virtù di una scelta affetta da
condizionamenti, e coloro che, al contrario, si
prostituiscono in virtù di una scelta del tutto libera, sia perché la parte debole del rapporto di
meretricio, al di là di ogni valutazione di natura
morale, non beneficia della protezione forte
che il diritto dovrebbe comunque assicurarle
( 46 ). La Corte di Giustizia, d’altronde, dopo
aver precisato che «non le spetta sostituire la
sua valutazione a quella dei legislatori degli Stati
membri in cui un’attività asseritamente immorale è lecitamente praticata», ha affermato che
l’«attività di prostituzione esercitata in qualità
di lavoratore autonomo può essere considerata
un servizio fornito a fronte di una retribuzione»,
tanto che, tra l’altro, deve trovare applicazione
il principio di non discriminazione tra prestatori di lavoro all’interno del mercato comunitario ( 47 ).
Il
ProstitutionsGesetz
tedesco
del
20.12.2001, invece, è un esempio di come si
possano realisticamente contemperare tutti gli
interessi in conflitto, giacché stabilisce che l’accordo a titolo oneroso avente ad oggetto una
prestazione sessuale deve considerarsi, per un
verso, valido (vale a dire non più contrario ai
( 45 ) Marrone, Nuovi soggetti politici: i diritti civili delle prostitute, in Quad. giust., 1983, n. 25, 18;
Marino, Appunti per uno studio dei profili costituzionalistici della prostituzione, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 211.
( 46 ) Sull’anacronismo dell’art. 2035 cod. civ., già
Rescigno, op. cit., 1.
( 47 ) Così in Corte giust. CE, 20.11.2001, causa
C-268/99, in Quad. cost., 2002, 398, con commento
di Luciani, Il lavoro autonomo della prostituta, il
quale, tuttavia, osserva che questa pronuncia è stata
resa nel contesto di un ordinamento comunitario
che ancora non annoverava tra i propri parametri la
dignità della persona.
10
buoni costumi) e, per altro verso, vincolante
solo nei confronti del cliente: la persona che
esercita la prostituzione – la cui autodeterminazione sessuale, in quanto parte debole nel
rapporto di meretricio, è stata salvaguardata –
non è pertanto obbligata ad eseguire la prestazione pattuita, ma viene tutelata sul piano economico, poiché ha azione per il pagamento del
corrispettivo ( 48 ).
L’ordine pubblico ed il buon costume, nondimeno, di frequente transitano, e talvolta surrettiziamente si celano, nel concetto di dignità
oggettiva dell’uomo.
Non si può nascondere che «quello che viene presentato come un principio di tutela della
dignità della persona, in verità non ha nulla a
che vedere con la dignità dell’uomo o della
donna concretamente interessati, bensì si riferisce al genere umano complessivamente inteso, o ad un gruppo più ristretto di soggetti ben
identificabile al suo interno» ( 49 ). Si corre pertanto il rischio che della dignità si faccia un uso
autoritario ( 50 ), giacché è intuibile che il ricorso a questo concetto si risolve in un’imposizione al singolo dell’identità dominante all’interno del gruppo ( 51 ): in nome della dignità, ad
esempio, si impediscono ad un nano esibizioni
circensi che presuppongono il nanismo, nonostante che da esse egli tragga gratificazioni economiche ed artistiche ( 52 ); e si preclude ad una
donna libera e consenziente il redditizio mestiere della spogliarellista, così da incentivarla
paradossalmente a dedicarsi ad attività più degradanti, benché tollerate, come la prostituzione ( 53 ).
Ma «(...) ciò che è contestabile nella lettura
della dignità umana come limite all’autodeter-
( 48 ) Bianchi, Dentro o fuori il mercato? «Commodification» e dignità umana, in Riv. crit. dir. priv.,
2006, 495 ss.; Cruciani, op. cit., 201 ss.
( 49 ) Così Bianchi, op. cit., 518.
( 50 ) Morozzo della Rocca, Il principio di dignità come clausola generale, in Dem. e dir., 2004,
202.
( 51 ) Bianchi, op. cit., 519.
( 52 ) Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della Carta
dei diritti), in Riv. dir. civ., 2002, II, 801; Morozzo
della Rocca, op. cit., 195.
( 53 ) Bianchi, op. cit., 513 ss.
NGCC 2009 - Parte seconda
«Atti di disposizione della persona»
minazione e all’autonomia privata è presente
pure nell’uso della dignità come momento di
espansione dell’autodeterminazione e della libertà di scelta individuale. Ed infatti l’uso della
dignità umana da parte dei giudici sembra costantemente orientato a dare espressione ai valori dominanti contro le scelte dei singoli, quale che sia l’esito conclusivo della controversia
(...)». Esemplare, a questo riguardo, è la decisione con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sì dichiarato l’incostituzionalità della legge che incriminava la sodomia per violazione
dei diritti fondamentali della persona, ma «(...)
in quanto i rapporti sessuali proibiti sono (possono essere) espressione di una relazione interpersonale stabile e duratura, propria di un’esistenza dignitosa. Ecco allora che l’(omo)erotismo si legittima nella misura in cui (non è fine
a se stesso e) diventa l’anticamera della creazione di una famiglia o, almeno, di un menage domestico» ( 54 ).
Tutto questo comprova che il concetto di dignità (specialmente sotto il profilo della realizzazione dell’identità personale) – così come
tanti altri strumenti dogmatici – permette di
accedere a percorsi ricostruttivi che si snodano
in direzioni divergenti e persino opposte: la dignità, infatti, è il possibile punto di intersezione tra un microcosmo, che ha per centro di
gravità il bene del singolo, ed un macrocosmo,
che ha per centro di gravità il bene della collettività.
7. Identità personale e aspetti totalmente immateriali della persona. Il corpo,
nella sua estensione naturale o ampliata da
qualche «appartenenza» artificiale ( 55 ), è il simulacro dell’identità di una persona, nel senso
che ne è l’esteriorità percepibile, ma – così come il simboleggiato è ben più del simbolo –
l’identità non si esaurisce nel corpo. Il novero
delle forme di disposizione della persona, invero, ricomprende adesso atti che riguardano
aspetti privi di incidenza attuale sull’integrità
fisica o sulla salute, oppure del tutto avulsi dal-
( 54 ) Così Marella, Il fondamento sociale della dignità umana. Un modello costituzionale per il diritto
europeo dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 76.
( 55 ) Zatti, op. cit., 6.
NGCC 2009 - Parte seconda
la corporeità, benché non neutri in relazione
all’identità personale ( 56 ).
«Se da una parte il corpo “contenendo” la
persona costituisce il suo baluardo, dall’altra è
però diventato un “surplus” poiché, essendo la
persona stessa ridotta ad un insieme di informazioni (“corpo elettronico”), è sempre possibile ricostruirla al di là dei confini naturali costituiti dal corpo» ( 57 ).
Si pensi a quegli atti della più varia natura
con i quali – secondo schemi irriducibili a
quelli sia proprietari sia puramente consensualistici – vengano trasmessi, acquisiti, rifiutati
oppure distrutti taluni dati, magari sensibili,
inerenti al disponente, ovvero informazioni
che si prestano a molteplici impieghi, spesso
inquietanti, e suscitano interrogativi circa le
norme da applicare ( 58 ). Ebbene, ciò spiega
perché molte discipline sul trattamento dei dati personali, tra cui quella italiana, richiamino,
a chiusura di un sistema di regole ispirate ad
una logica di bilanciamento tra contrastanti
esigenze, e con una finalità nel contempo ordinante ed integrativa, tanto il valore della «dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e
al diritto alla protezione dei dati personali»
(art. 2 d. legis. n. 196/2003) ( 59 ), quanto la
clausola generale della correttezza (art. 11):
«(...) da una parte, il rispetto del diritto alla
protezione dei dati personali si configura come
una precondizione per il pieno godimento di
altri diritti fondamentali; e, dall’altra parte, impone una ricostruzione dei singoli diritti fondamentali nel nuovo contesto sociale disegnato
dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» ( 60 ).
Ad esempio, i dati genetici forniscono indi-
( 56 ) Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non
diritto, Feltrinelli, 2006, 73 ss.
( 57 ) Così Marini, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in
Riv. dir. civ., 2006, I, 366. Cfr. l’art. 14 d. legis. n.
196/2003.
( 58 ) Resta, nel Trattato di diritto civile, cit., 565
ss.
( 59 ) Alpa, nel Trattato di diritto civile, cit., 104.
( 60 ) Così Rodotà, Tra diritti fondamentali ed elasticità della normativa: il nuovo Codice sulla Privacy,
in Eur. e dir. priv., 2004, 4 ss.
11
Aggiornamenti
cazioni, anche di tipo predittivo, che sono valutabili, tra l’altro, ai fini della stipulazione di
un contratto di assicurazione sanitaria, dell’instaurazione di un rapporto di lavoro, dell’amministrazione della giustizia penale e civile,
della salvaguardia della sicurezza collettiva; ma
la loro acquisizione ed il loro impiego possono
interferire con la dignità ed i diritti inviolabili
della persona, nonché dare adito a discriminazioni (che, inoltre, sono suggerite non sempre
da conoscenze scientifiche ormai consolidate,
ma a volte – sulla base di un quadro informativo incompleto o di ipotesi scientifiche non ancora confermate – da semplici dubbi o da calcoli probabilistici). Non è dunque casuale che i
testi giuridici europei sul patrimonio genetico
richiamino espressamente ed enfaticamente,
ancora una volta, il valore della «dignità» e
che, ai sensi dell’art. 90 del Codice italiano sulla privacy, il trattamento dei dati genetici sia
consentito nei soli casi previsti da apposita autorizzazione rilasciata dal Garante.
Il patrimonio genetico, peraltro, quale collegamento biologico diretto tra le generazioni,
accomuna più persone all’interno di un medesimo gruppo sociale da cui, ovviamente, sono
esclusi familiari come il coniuge ed i figli adottivi, ma di cui fanno parte, ad esempio, il donatore di gameti o il genitore che non ha riconosciuto il proprio figlio, cioè persone che pure
non rientrano nella cerchia familiare in senso
giuridico. La questione del regime di protezione da accordare ai dati personali raggiunge
l’apice della criticità in ipotesi nelle quali essi,
appunto, non siano di pertinenza esclusiva di
un individuo, ma siano condivisi da più soggetti, che potrebbero ostentare interessi contrapposti ( 61 ).
( 61 ) Nelkin (trad. it. di Mancini), Informazione
genetica: bioetica e legge, in Riv. crit. dir. priv., 1994,
491; Barison, Assicurazioni «sanitarie» e test genetici in Italia e negli Stati Uniti: affinità materiali e differenze giuridiche fondamentali, in Riv. dir. civ.,
2000, I, 143; Rodotà, Tra diritto e società. Informazioni genetiche e tecniche di tutela, in Riv. crit. dir.
priv., 2000, 571; Cirillo, La progressiva conoscenza
del genoma umano: tutela della persona e problemi
giuridici connessi con la protezione dei dati genetici,
in Riv. dir. civ., 2002, II, 399; Picotti, Trattamento
dei dati genetici, violazioni della privacy e tutela dei
12
Ad esempio, è tendenzialmente da escludere che i dati genetici condivisi da più persone
possano essere oggetto di atti di disposizione
da parte di una sola di esse in favore di terzi,
perché si disporrebbe di qualcosa che appartiene anche agli altri condividenti e, quindi, si
interferirebbe unilateralmente nella loro sfera
soggettiva ( 62 ). Si rifletta, poi, sul caso di chi
abbia la necessità di accedere al patrimonio
genetico di un genitore, contro la volontà di
questi, per consentire su se stesso la diagnosi
di malattie ereditarie o per poter prevedere ed
eventualmente evitare la trasmissione di patologie alla propria prole: in un provvedimento
del Garante della privacy, in esito al bilanciamento tra l’interesse di un padre alla riservatezza sul proprio patrimonio genetico e l’interesse della figlia ad accedere alle cartelle cliniche di quel genitore per la tutela della propria
salute e l’esercizio di una procreazione cosciente e responsabile, si è ritenuto che a prevalere fosse quest’ultimo ( 63 ). Le legislazioni
di quegli ordinamenti nei quali è ammessa la
fecondazione eterologa, invero, sono solite
prevedere che l’esigenza di tutelare la salute
della persona nata con l’ausilio di questa tecnica possa giustificare, sia pure nel rispetto di
determinate cautele, l’acquisizione di talune
informazioni – altrimenti destinate a rimanere
riservate – relative al donatore ( 64 ). Ancora, si
pensi al caso della donna che, al momento del
parto, dichiari di non voler essere menzionata
come madre del bambino da lei partorito, così
da impedire al figlio, anche per il futuro, la ri-
diritti fondamentali nel processo penale, in Dir. inf.,
2003, 689; Gennari, Identità individuale e diritti
della persona, in Riv. crit. dir. priv., 2005, 623; Pellecchia, Scelte contrattuali e informazioni personali,
Giappichelli, 2005, passim, spec. 45 ss., 66 ss.
Cfr. gli artt. 11 e 12 Convenzione di Oviedo e
l’art. 46 Codice di Deontologia Medica.
( 62 ) Croce, Genetica umana e diritto: problemi e
prospettive, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 100 ss.
( 63 ) Cfr. Garante prot. dati pers., 24.5.1999,
in questa Rivista, 1999, I, 829, con nota di Catallozzi.
( 64 ) Ciardelli, La procreazione assistita in alcune
legislazioni europee prima, durante e dopo la legge n.
40/2004: Austria, Germania, Francia, Grecia e Spagna, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 121 ss.
NGCC 2009 - Parte seconda
«Atti di disposizione della persona»
costruzione delle sue origini biologiche: l’istituto dell’anonimato materno si spiega con
l’intento di disincentivare il ricorso all’aborto
(sia legale sia clandestino), nonché la soppressione o l’esposizione dei neonati e, perciò, il
beneficio assicurato dall’ordinamento alla madre è l’accettazione di un male minore per tutelare mediatamente il frutto del concepimento ( 65 ).
L’identità dell’intero genere umano e di ciascuna persona, poi, non può formare oggetto
di diritti di privativa in favore di qualche singolo, specialmente se a scopo di sfruttamento
commerciale: lo attesta la legge italiana di recepimento della direttiva comunitaria in materia
di invenzioni biotecnologiche ( 66 ).
Se i dati personali contribuiscono a delineare
l’identità della persona, allora non si comprende perché, in caso di transessualismo, la rettificazione dei dati anagrafici sia consentita soltanto a seguito dell’effettivo mutamento dei caratteri sessuali e non – come avviene, ad esempio, in Svezia – al semplice ricorrere della stessa situazione clinica che, per assecondare ragioni di ordine psicologico, legittimerebbe un
apposito intervento chirurgico di tipo demolitorio-ricostruttivo ( 67 ) (fatte salve eventuali limitazioni di ordine pubblico ad un pieno riconoscimento dello status spettante all’altro ses-
( 65 ) Cfr. Cons. Stato, 17.6.2003, n. 3402, in
Fam. e dir., 2004, 74, con nota di Merello; Corte
cost., 25.11.2005, n. 425, in questa Rivista, 2006, I,
545, con nota di Long. V. Renda, L’accertamento
della maternità: anonimato materno e responsabilità
per la procreazione, in Fam. e dir., 2004, 510; più articolatamente, Id., L’accertamento della maternità.
Profili sistematici e prospettive evolutive, Giappichelli, 2008.
( 66 ) Cfr. gli artt. 4, comma 1o, lett. a) e c), e 5,
comma 3o, l. 22.2.2006, n. 78 (Conversione in legge,
con modificazioni, del d.l. 10 gennaio 2006, n. 3, recante attuazione della direttiva 98/44/CE in materia
di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche). Nello specifico, Izzo, La disciplina delle biotecnologie e la tutela della «dignità umana»: la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Rass.
dir. civ., 2007, 1179.
( 67 ) Rodotà, La vita e le regole, cit., 88; Botton,
Sesso, identità e nome nel mondo transessuale, nota a
Corte giust. CE, 27.4.2006, causa C-423/04, in
Fam. e dir., 2007, 113.
NGCC 2009 - Parte seconda
so, ad esempio riguardo alla capacità matrimoniale ( 68 )). La mera rettificazione dei dati anagrafici, inoltre, eviterebbe che qualcuno, dopo
avere ormai irrimediabilmente reciso ogni legame fisico con la propria originaria identità sessuale, provi costernanti rimorsi a causa di tardivi ripensamenti ( 69 ). D’altro canto, la giurisprudenza tende a concedere la rettificazione
anagrafica a quei transessuali i quali, pur essendosi sottoposti a trattamenti sanitari volti alla
conversione dei caratteri somatici, non abbiano assunto in toto l’aspetto dell’opposto genere sessuale o per i limiti connaturati alle contingenti conoscenze mediche o – a seguito di un
bilanciamento con il diritto alla salute – per la
necessità di non esporsi ad elevati rischi ( 70 ).
Il diritto al nome è invero un elemento della
personalità, «tradizionalmente definito come il
diritto “a essere se stessi”» ( 71 ), perché il nome è
un fondamentale segno distintivo della persona. La legge, già in molti casi, consente alla
persona – se minore, tramite chi la rappresenta
– di modificare il nome (nelle sue componenti
del prenome e del cognome) oppure di acquistare o di perdere un cognome ( 72 ). E sono al-
( 68 ) I matrimoni tra persone dello stesso sesso,
quand’anche siano stati validamente contratti all’estero secondo una legge straniera, per l’ordinamento italiano devono attualmente considerarsi inesistenti o, comunque, contrari all’ordine pubblico
internazionale: cfr. App. Roma, decr. 13.7.2006, in
Fam. e dir., 2007, 166, con nota di Sesta.
( 69 ) Cfr. Trib. Velletri, 2.11.2005, in Dir. fam.
e pers., 2006, I, 1183.
( 70 ) Cfr. Trib. Bologna, 5.8.2005, in Foro it.,
2006, I, 3542.
( 71 ) Così in Cass., 26.5.2006, n. 12641 (con
Cass., 14.7.2006, n. 16093), in Fam. e dir., 2006,
469, con nota di Carbone.
( 72 ) Si pensi alla disciplina generale sulla modificabilità del nome e del cognome ai sensi degli artt.
84 ss. d.p.r. 3.11.2000, n. 396 (Regolamento per la
revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello
stato civile); alla scelta rimessa al figlio naturale in
ordine alla sostituzione o all’aggiunta al cognome
originario di quello del genitore che effettui il riconoscimento ai sensi dell’art. 262 cod. civ. (su cui ha
inciso la dichiarazione di incostituzionalità pronunciata in Corte cost., 23.7.1996, n. 297); alle esigenze che possono essere manifestate dai coniugi in ordine all’impiego del cognome maritale da parte della
13
Aggiornamenti
l’esame del legislatore alcune proposte tese ad
ampliare l’autodeterminazione privata in ordine al cognome (in particolare – nella direzione
tracciata da alcune Convenzioni internazionali
– al fine di permettere l’assunzione anche di
quello materno ( 73 )).
L’immagine della persona, poi, è suscettibile
di utilizzo e di sfruttamento – e, parallelamente, di lesione – in vari modi: ad esempio, può
essere impiegata (con – o, a volte, senza – il
consenso dell’interessato) in pubblicità commerciali piuttosto che in un reality show o nel
patrocinio di iniziative benefiche ( 74 ).
Ancora, il diritto morale d’autore, che è dissociabile dai diritti patrimoniali sull’opera dell’ingegno, è indisponibile e gode di peculiari
mezzi di tutela, a dimostrazione del fatto che
ad interessi diversi si confanno statuti giuridici
altrettanto differenziati.
Nel complesso, il legislatore, malgrado siano
in gioco i diritti della personalità morale, riserva molta autonomia alle determinazioni privadonna in sede di separazione, ex art. 156 bis cod.
civ., o di divorzio, ex art. 5, comma 3o, l. 1o.12.1970,
n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).
( 73 ) Con riguardo al tema del cognome materno,
cfr. Corte cost., 16.2.2006, n. 61, in Dir. fam. e
pers., 2006, I, 927; Cass., 1o.8.2007, n. 16989, in
Fam. e dir., 2008, 247, con nota di Ravot; Cass., n.
16093/2006, Cass., n. 12641/2006, citt.; Cass.,
17.7.2004, n. 13298, in Fam. e dir., 2004, 457, con
nota di Carbone; Corte giust. CE, 2.10.2003,
causa C-148/02, Trib. Bologna, decr. 9.6.2004, in
Fam. e dir., 2004, 437, con nota di Bugetti.
( 74 ) I riflessi pregiudizievoli della lesione della reputazione personale, ad esempio, possono essere cosa ben diversa da quelli della lesione della reputazione professionale, giacché i primi hanno solitamente
natura non patrimoniale, mentre i secondi possono
essere a volte apprezzati come danno patrimoniale:
cfr. Cass., 10.5.2001, n. 6507, in Dir. e giust., 2001,
n. 22, 15; Trib. Lecce, ord. 25.8.2003, in Danno e
resp., 2004, 746, con nota di Liace. Il problema si
pone anche con riferimento alle ipotesi di illecito
sfruttamento dell’immagine (celebre o meno) altrui:
cfr. Cass., 1o.12.2004, n. 22513, ivi, 2005, 969, con
nota di Oliari; Cass., 25.3.2003, n. 4366, ivi, 2003,
978, con nota di Ubertazzi; Trib. Milano,
9.1.2004, ivi, 2005, 91, con nota di Covucci; Trib.
Tortona, 24.11.2003, ivi, 2004, 535, con note di
Pardolesi e Tassone.
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te: ad esempio, al consenso dell’interessato si fa
ripetutamente cenno in materia di protezione
dei dati personali (artt. 23, 24, 81 d. legis. n.
196/2003); il consenso della persona offesa è
richiesto per la divulgazione delle generalità o
dell’immagine della vittima di atti di violenza
sessuale (art. 734 bis cod. pen.); la pubblicazione delle corrispondenze epistolari o delle memorie familiari e personali, ove abbiano carattere di confidenzialità, è subordinata al consenso dell’autore, nonché, trattandosi di materiale epistolare, anche del destinatario (art. 93
l. 22.4.1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio); il
ritratto di una persona non può, senza il suo
consenso, essere riprodotto (art. 96 l. n. 633/
1941); il consenso del socio receduto permette
la conservazione del patronimico nella ragione
sociale (artt. 2292, comma 2o, e 2314, comma
1o, cod. civ.). Il consenso, allora, opera spesso
«come strumento di autonomia, in quanto è
una tecnica idonea a definire, nelle relazioni
con terzi, un particolare assetto dell’identità
personale» ( 75 ).
8. Qualche interlocutoria conclusione. Nascita, vita e morte, in quanto regolati dalle leggi di natura, erano in passato soltanto lambiti dal diritto, che li assumeva essenzialmente
come fatti ai quali ricollegare determinati effetti
giuridici; ma oggi quegli eventi non rientrano più
nella categoria dei meri fatti, perché possono
configurarsi essi stessi come effetti di comportamenti umani dei quali il diritto deve stabilire la liceità, i limiti e le modalità di svolgimento. L’uomo le leggi naturali «le ha studiate, le ha sperimentate, le ha testate fino a riprodurle, a modificarle, tentando di cancellare da esse quella ingiustizia, cui nessuna legge morale o giuridica
avrebbe potuto porre rimedio». Eppure attorno
ad ogni conquista della scienza «si affolla una serie di problemi che, se non risolti, rischiano di
annullare la portata rivoluzionaria ad essa connessa, creando nuove ingiustizie, nuove sofferenze, nuovi dolori» ( 76 ).
( 75 ) Così Resta, Contratto e persona, nel Trattato
del contratto, diretto da Roppo, VI, Interferenze, a
cura di Roppo, Giuffrè, 2006, 59 ss.
( 76 ) Così Fortino, Le diseguaglianze «per natuNGCC 2009 - Parte seconda
«Atti di disposizione della persona»
Il diritto oggettivo e, nelle veci di un legislatore spesso latitante, gli interpreti, pertanto,
non possono abdicare al ruolo di prevenire o
di regolare i conflitti tra valori e tra interessi,
ancorché in un sistema multiculturale ( 77 ).
Uno statuto della persona dev’essere costruito nel rispetto dei principi, ma il richiamo all’autorità dei principi di rango superiore è indispensabile non tanto per asseverare la liceità di
un atto, quanto, semmai, per sancirne l’illiceità: i divieti sono in rapporto di eccezione rispetto alla libertà, anche quando quest’ultima
rimanga una mera facoltà che non assurge a diritto soggettivo.
Dettare regole generali in materia di beni
personali, la cui «giustizia» in relazione a qualunque atto lato sensu dispositivo ed in qualunque circostanza richiederebbe una massiccia
dose di flessibilità, è difficile.
Le discipline di settore, pur frammentarie,
sono invece maggiormente aderenti alla complessità di uno specifico oggetto e consentono
l’adozione di regole più «giuste», sebbene tutte
le regolamentazioni casistiche producano lacune e, perciò, si espongano a censure di incostituzionalità per irragionevole disparità di trattamento: ad esempio, fino a pochi anni orsono
era ammesso il trapianto tra viventi di un rene,
ma non quello di un lobo di fegato, che è un
organo rigenerabile. Le lacune, inoltre, non
possono essere agevolmente colmate né tramite l’interpretazione estensiva o l’analogia, stante la peculiarità della ratio di ogni intervento
legislativo; né tramite il ricorso diretto ai principi dell’ordinamento, ed in particolare a quelli
di rango costituzionale, stante, di solito, l’opportunità o addirittura la necessità di una mediazione che non può essere rimessa all’occasionale interprete, bensì alla discrezionalità del
legislatore, chiamato a ponderare valori confliggenti oppure a derogare ad altre norme di
legge che, altrimenti, dovrebbero trovare applicazione.
Nell’affrontare temi del genere, l’approccio
ra» e le risposte del diritto: il problema dei limiti alla
autodeterminazione dei soggetti, in Breccia-Pizzorusso, op. cit., 29 ss.
( 77 ) Grosso-Viola, in Multiculturalismo, diritti
umani, pena, a cura di Bernardi, Giuffrè, 2006,
109, spec. 116 ss. e 137.
NGCC 2009 - Parte seconda
potrebbe essere improntato al British way, che
privilegia la previa, ma lenta formazione del
consenso sociale su uno specifico intervento legislativo; piuttosto che al French way, che assegna al legislatore il compito di intervenire tempestivamente, anche in modo da orientare la
prassi scientifica e lo stesso costume sociale,
per la preservazione e la promozione di determinati valori. Ma l’uno o l’altro approccio sono
comunque da preferire all’Italian way, che
spesso consiste nel non legiferare affatto, per
incapacità o per mancanza di volontà ( 78 ).
In alcune materie, è inevitabile che la proposta o l’adozione di una disciplina si fondino su
presupposti almeno parzialmente ideologici.
Nessuno, certo, può dare risposte sicure e definitive a quesiti che accompagnano l’esistenza
dell’umanità tutta e di ciascuno, eppure – come avvertiva già Cartesio – delle risposte
«provvisorie», da accettare come tali, sono necessarie alla quotidianità, al fine di evitare sia la
paralisi collettiva e personale sia l’anarchia sociale: l’opinabilità di qualsivoglia decisione
non può far propendere, o costituire un alibi,
per la rinuncia a decidere; e ciò vale anche per
le decisioni da assumere a livello legislativo.
D’altronde, il fatto di lasciare consapevolmente una materia sguarnita di sufficiente regolamentazione – e, dunque, il fatto di consentire che ciascuno si comporti in quell’ambito
come meglio creda (si pensi al far west di cui
tanto si è parlato, prima della l. n. 40/2004, con
riguardo alla fecondazione assistita) – sarebbe
già in sé il frutto di una scelta, però di una scelta implicita e pertanto, spesso, ipocrita: l’intento di omettere una presa di posizione chiara
sull’assetto dell’eventuale pluralità di interessi
coinvolti in un dato fenomeno, cioè, non potrebbe essere mascherato né con la falsa rassegnazione ad una permanente assenza di disciplina né con la mera invocazione dell’abrogazione di una disciplina vigente ( 79 ). Ed una re( 78 ) Zatti, Verso un diritto per la bioetica: risorse
e limiti del discorso giuridico, in Riv. dir. civ., 1995, I,
44 ss.
( 79 ) Cfr. Corte cost., 28.1.2005, n. 49; Corte
cost., 28.1.2005, n. 48; Corte cost., 28.1.2005, n.
47; Corte cost., 28.1.2005, n. 46; Corte cost.,
28.1.2005, n. 45 (con Corte cost., ord. 28.1.2005),
in Foro it., 2005, I, 626, con nota di Romboli.
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Aggiornamenti
golamentazione lacunosa o largamente permissiva, a tacer d’altro, sarebbe giustificabile solo
a condizione che la condotta del soggetto agente non interferisca nella sfera altrui.
Ovviamente, le opzioni prescelte dal legislatore su taluni temi restringono per il futuro la
sua discrezionalità qualora intervenga di nuovo per sciogliere d’autorità dilemmi etici analoghi agli altri precedentemente affrontati, almeno nel caso in cui intenda confermare la
soluzione data a questi ultimi, perché anche il
legislatore è vincolato alla preservazione della
coerenza interna dell’ordinamento giuridico
ed al rispetto del principio di ragionevolezza:
ad esempio, la liceità dell’interruzione volontaria della gravidanza per ragioni terapeutiche
non può che contrastare con un divieto di effettuare diagnosi sull’embrione prodotto in vitro prima dell’eventuale impianto nell’utero
materno ( 80 ).
Jhering, nell’anno 1883, scriveva che «[s]i
può definire la legge come l’unione di chi comprende e vede lontano contro chi vede solo ciò
che ha vicino. I primi devono costringere i secondi a compiere ciò che è nel loro interesse.
Ma non è nell’interesse dei miopi, per farli felici contro la loro volontà, bensì nell’interesse
della comunità. La legge è l’arma indispensabile dell’intelligenza contro la stupidità». Ebbene, come ha osservato Rodotà, l’imperialismo
giuridico che traspare dalle pagine di Jhering
80
( ) Cfr. Corte cost., ord. 9.11.2006, n. 369, in
Foro it., 2007, I, 698; in Dir. fam. e pers., 2007, I, 21,
con nota di D’Avack; Trib. Cagliari,
22-24.9.2007, in questa Rivista, 2008, I, 249, con
nota di Palmerini; Trib. Firenze, ord.
17-19.12.2007, in Guida al dir., 2008, n. 3, 53, con
nota di Salerno; T.A.R. Lazio, 31.10.200721.1.2008, n. 398, ibidem, n. 6, 60, con nota di Caruso.
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«era pur sempre un’attitudine storicamente
temperata dal fatto che, nel momento in cui venivano scritte, vigeva una convenzione sociale
che escludeva dall’impero del diritto molte significative province, affidate invece al governo
della religione, dell’etica, del costume, della
natura. (...) Ma, al riparo dalla costrizione giuridica, non si era perciò più liberi. La religione
signoreggiava l’anima, l’etica s’impadroniva dei
comportamenti, il costume sociale obbligava,
la natura segnava invalicabili confini. Quelle
regole erano poste al di là d’ogni influenza individuale. Non era possibile modificarle. E la
loro trasgressione aveva effetti più pesanti della
sanzione giuridica. (...) La legge, invece, come
opera consapevole dell’uomo, rimane nella sua
disponibilità, può essere modificata» ( 81 ).
Riconoscere che l’esercizio del potere legislativo è sovente indispensabile, tuttavia, non
significa professare la legolatria del giuspositivista ( 82 ). Lipari ha icasticamente notato che
«la giuridicità si pone all’un tempo come fine e
come inizio, appagamento e insieme insoddisfazione, pienezza e contemporaneamente attesa di un ulteriore riempimento»: «il diritto è
immagine della persona così come la persona è
immagine del diritto» ed in ciò «si consuma il
tormento del giurista, ma si illumina al contempo la sua fiducia nell’essenzialità di un ruolo che nessun potere potrà mai annientare»
( 83 ).
( 81 ) Così Rodotà, op. ult. cit., 12 ss., che cita nel
virgolettato von Jhering, Lo scopo nel diritto
(1877-1883), a cura di Losano, Giappichelli, 1972,
394.
( 82 ) Contro la legolatria del giuspositivismo, di
recente, Grossi, in Incontro con Paolo Grossi, a cura
di Belloni e Ripepe, Edizioni Plus, 2007, spec. 60
ss.
( 83 ) Così Lipari, op. cit., 14, che riprende espressamente un’intuizione di Rosmini.
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