PITTURA ITALIANA DAL 1200: la RINASCITA Il linguaggio pittorico, agli inizi del Duecento, si presenta in Italia ancora condizionato dall’arte bizantina e dai suoi immutabili parametri stilistici. Il primo tentativo di distaccarsi da questa tradizione, o comunque di andare oltre, fu di inserire paesaggi al posto dei fondi dorati privi di profondità. Ma le figure rimasero senza peso e si disponevano con assoluta libertà su fondali con i quali non avevano alcun rapporto visivo plausibile. In sintesi il problema era abbastanza semplice: come dare apparenza di tridimensionalità a ciò che ha solo due dimensioni? L’immagine costruita su un piano, sia esso un foglio o un muro, ha sempre e solo due dimensioni reali. Una terza dimensione, che sfonda il piano in profondità dandoci l’illusione di vedere oltre il limite fisico del piano, può essere creata solo con la sapienza tecnica di chi costruisce l’immagine. Questa sapienza si basa su due tecniche fondamentali: i corpi prendono aspetto tridimensionale con il chiaroscuro, lo spazio ci appare tridimensionale se è costruito con la prospettiva. La rinascita dell’architettura avviene a partire dall’anno mille, bisogna aspettare ancora qualche secolo prima che un analogo fenomeno interessi le arti figurative. Durante il periodo romanico anche la pittura e la scultura conoscono una più intensa produzione, e ciò soprattutto per la decorazione delle cattedrali, ma non conoscono un reale rinnovamento stilistico. Le immagini appaiono bloccate in forme stereotipe, realizzate con povertà di mezzi espressivi. Le sculture, sempre a bassorilievo, hanno figure rigide e geometrizzate. Sia in pittura che in scultura è del tutto sconosciuto il problema della visione in profondità: le figure che animano una scena sono poste su un unico piano di rappresentazione, con evidenti effetti di sproporzione e di irrazionalità spaziale. Di fatto, in questo periodo, il maggiore centro di irradiazione artistica rimane sempre Bisanzio, e da lì il gusto dell’icone dorate pervade ancora l’Europa occidentale. L’avvio di un’arte figurativa di reale ispirazione europea inizia proprio quando si avverte la necessità di superare gli stilemi figurativi bizantini. Ciò avviene a partire dal XIII secolo in poi, in due aree geografiche precise: l’Italia centrale e la Francia. Tuttavia l’arte figurativa sia gotica che italiana mostrano, nel corso del XIII e XIV secolo, una identica destinazione: entrambe sono realizzate come decorazione o arredo degli edifici architettonici, in particolare edifici religiosi: chiese, cattedrali, monasteri, pievi, ecc. E questa particolare subalternità delle arti figurative all’architettura determinò una precisa differenziazione tipologica tra arte italiana e arte gotica. L’edificio gotico ha uno scheletro strutturale di tipo lineare che riesce a liberare ampie superfici da destinare a vetrate. In tali edifici, ridottisi le superfici murarie, l’affresco divenne impraticabile: nacquero così le vetrate istoriate. Le immagini furono realizzate in vetri dai colori vivaci connessi tra loro da sottile piombature, e collocate nei vani delle finestre. In Italia questa rigida concezione strutturale del gotico non ebbe mai ampia diffusione, così che l’architettura praticata in quei secoli offrì sempre ai pittori ampie superfici murarie su cui era possibile intervenire con la classica tecnica della pittura ad affresco. L’arte italiana non iniziò con il Rinascimento prese l’avvio già alla metà del XIII secolo. In questa lunga fase di sperimentazione ed elaborazione, durata circa due secoli, si definisce una vera e propria arte «nazionale» italiana. Ed è proprio la concordanza di questo percorso culturale, far sì che questa stagione artistica deve essere definita come epoca della nascita dell’«arte italiana», e con come gotico italiano. Tema fondamentale per rendere l’arte italiana diversa sia da quella gotica sia da quella bizantina, fu lo studio dell’arte antica. Le passate grandezze dell’arte romana mostravano sempre più non solo la superiorità dell’arte classica rispetto a quella medievale, ma indicavano chiaramente la differenza tra l’arte occidentale e quella bizantina. In particolare la prima ha tre fondamenti che all’arte bizantina sono sconosciuti: il naturalismo, il senso della bellezza terrena, il gusto per la narrazione. Ed è proprio partendo da questi tre parametri che l’arte italiana iniziò il suo percorso di affrancamento rispetto all’arte bizantina. Diverso è anche il percorso stilistico rispetto all’arte gotica. Quest’ultima trovava nell’intreccio lineare e sinuoso, nonché nelle accese cromie, il suo senso estetico, privo però di componenti naturalistiche e tridimensionali. L’arte gotica era tesa alla ricerca di una raffinata eleganza che sapesse di fiabesco e affabulatorio, ma restava priva di costruzione razionale sia della figura sia dello spazio. L’arte italiana ha invece tutt’altro intento: essa cerca la verità ottica più razionale. La costruzione dell’immagine non vuole creare mondi fiabeschi, ma riprodurre il più esattamente possibile il nostro mondo terreno, secondo le leggi fisiche, ottiche e tattili, che lo governano. Si sviluppò una maggiore sensibilità ai sentimenti e allo spazio. Principali centri di questo rinnovamento sono Firenze e Siena. La pittura fiorentina si stacca dai modelli bizantini più di quella senese; è infatti più naturalistica, le figure diventano espressive e plastiche, lo spazio si sviluppa in profondità attraverso una prospettiva intuitiva e il paesaggio è riprodotto in modo realistico. Ma in qualche opera ancora permane la proporzione gerarchica ed il fondo oro. Fu restituito un nuovo senso volumetrico alla pittura attraverso l’accostamento dei toni di colore. Nacque un nuovo spiccato interesse verso il mondo delle cose naturali. Ci fu una rinnovata e persistente esplorazione dello spazio e delle sue possibilità di traduzione pittorica, l’attenzione posta alla struttura e all’immagine umana e alla capacità di descrizione dei sentimenti. La pittura dall’undicesimo al tredicesimo secolo tentò di liberarsi dai concetti e dalle forme tipiche dell’arte bizantina. Prima dalle forme poi dai concetti. Il lavoro fu lento e faticoso perché quello era la “seconda età dell’oro” dell’arte bizantina e artisti orientali erano chiamati a lavorare in Italia per comporre grandi cicli di affreschi e mosaici. Mentre nelle grandi Cattedrali lavoravano i sapientissimi pittori d’oriente, nelle modeste pievi una schiera di pittori nostrani si esprimeva alla buona con forti intonazioni locali. Il loro linguaggio era fondamentalmente bizantino, variamente graduato di espressioni e accenti classicheggianti ellenistici. Ma l’idea che avevano della pittura non era più quella bizantina. Il linguaggio bizantino venne adottato, lo trasformarono e finirono per farne una cosa del tutto nuova. La religiosità bizantina cedette il campo ad un modo più umano e semplice di intendere il Cristianesimo. Il linguaggio artistico più inteso ridivenne quello classico. La pittura italiana del Duecento è caratterizzata da un lungo confronto con la tradizione bizantina, da Venezia all'Italia meridionale, la cultura bizantina si era insinuata ben prima del XIII secolo. E' proprio partendo da un approfondimento dei mezzi stilistici ed espressivi bizantini, che l'esigenza italiana di realismo riesce a esprimersi nella pittura fra la seconda metà del XII e gli anni settanta del XIII secolo.