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riassunto

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1
1.1
Triedro principale, curvatura, vettore curvatura e torsione
Curva con ascissa curvilinea
Definizione 1.1. Sia Γ(λ) una curva in R3 in forma parametrica. Il triedro principale è un sistema di
riferimento intrinseco definito dalla curva. Sia t(s) il versore tangente alla curva:
t(s) = Γ0 (s)
dove s indica l’ascissa curvilinea.
Sia il vettore curvatura, ortogonale a t(s): Γ00 (s).
Sia il versore normale, n(s), cosı̀ definito:
n(s) =
Γ00 (s)
|Γ00 (s)|
Si definisce infine il versore binormale, b(s), come il versore normale sia a t(s) che a n(s):
b(s) = t(s) × n(s)
Definizione 1.2. Sia Γ(λ) una curva in R3 in forma parametrica, si definisce curvatura il numero
κ(s) = |Γ00 (s)|
e il raggio di curvatura come l’inverso della curvatura, se non nulla:
ρ(s) =
1
κ(s)
Proprietà 1.1. In ogni punto Γ(s) in cui κ(s) 6= 0, i vettori t0 (s) e b0 (s) hanno direzione normale:
t0 (s) = κ(s)n
b0 (s) = χ(s)n
dove χ(s) è uno scalare negativo, positivo o nullo chiamato torsione della curva.
Definizione 1.3. Dalla Proposizione sopra, e derivando le due relazioni n(s) · t(s) = 0 e n(s) · b(s) = 0, si
ottengono le formule di Frénet-Serret, che mostrano le componenti (in termini di curvatura e torsione) dei
vettori t0 (s), n0 (s), b0 (s) nel sistema di riferimento intrinseco:

0

t (s) = κ(s)n(s)
n0 (s) = −κ(s)t(s) − χ(s)b(s)

 0
b (s) = χ(s)n(s)
1.2
Curva con parametro qualsiasi
Molte volte conviene utilizzare un parametro λ che non è l’ascissa curvilinea. Cosı̀ facendo il versore tangente
dovrà essere normalizzato:
Γ0 (λ)
t(λ) = 0
|Γ (λ)|
Per il calcolo della normale, conviene scrivere la relazione che intercorre tra due differenti vettori derivata
seconda Γ00 (λ) e Γ001 (µ) secondo due differenti parametrizzazioni, derivando Γ0 (λ) = µ0 (λ)Γ01 (µ) rispetto a λ
e valutandola per µ = s. Esplicitando il vettore curvatura si ha
1
Γ0 (λ) · Γ00 (λ) 0
00
κ(λ)n(λ) = 0
Γ (λ) − 0
Γ (λ)
|Γ (λ)|2
Γ (λ) · Γ0 (λ)
Facendo quindi il prodotto vettoriale di t con il vettore curvatura si ottiene la formula spesso utilizzata per
il calcolo diretto della curvatura:
|Γ0 (λ) × Γ00 (λ)|
κ(λ) =
|Γ0 (λ)|3
da cui si ricava che il versore normale è:
Γ0 (λ) · Γ00 (λ) 0
|Γ0 (λ)|
00
n(λ) = 0
Γ
(λ)
−
Γ
(λ)
|Γ (λ) × Γ00 (λ)|
Γ0 (λ) · Γ0 (λ)
Infine, per completare il triedro principale, si definisce il versore binormale nel seguente modo:
b(λ) =
Γ0 (λ) × Γ00 (λ)
|Γ0 (λ) × Γ00 (λ)
1
1.3
Curva piana in coordinate polari
Per definire il triedro principale della curva basta pensare alla sua parametrizzazione con ϕ:
Γ(ϕ) − O = ρ(ϕ)eρ
e alla regola e0ρ (ϕ) = eϕ (ϕ)
e0ϕ (ϕ) = −eρ (ϕ). Quindi:
0
Il vettore tangente è Γ (ϕ) = ρ0 (ϕ)e
(ϕ) + ρ(ϕ)eϕ (ϕ).
R ϕ pρ
L’ascissa curvilinea è s(ϕ) = ϕ0 ρ02 (ψ) + ρ2 (ψ)dψ.
I versori tangente e normale sono quindi:
t(ϕ) =
n(ϕ) =
1
(ρ0 (ϕ)eρ + ρ(ϕ)eϕ )
(ρ02 (ϕ) + ρ2 (ϕ))1/2
(ρ02 (ϕ)
±1
(ρ(ϕ)eρ − ρ0 (ϕ)eϕ )
+ ρ2 (ϕ))1/2
con il segno stabilito da considerazioni grafiche. Il terzo versore sarà quello normale ad entrambi.
2
Il moto unidimensionale
Il primo esempio di scrittura delle equazioni di moto nel formalismo Lagrangiano viene sviluppato attorno
al moto più semplice, ovvero quello di un punto materiale vincolato su una curva.
2.1
Geometria e cinematica
Consideriamo il punto P . Lo studio del suo moto è lo studio della curva P (t), ovvero la traiettoria del
punto. Ṗ (t) è detto vettore velocità, mentre P̈ (t) è il vettore accelerazione. Il primo avrà la stessa direzione
del versore tangente alla curva nel punto, mentre il secondo giacerà sul piano osculatore, ovvero il piano
generato dal versore tangente e da quello normale alla curva. Di nostro interesse sarà l’energia cinetica
T = 12 mṖ 2 (t) dove m è la massa del punto materiale.
Ci occuperemo di un punto P , vincolato da una curva C, localmente parametrizzata da un arco Γ(λ),
λ ∈ I ⊆ R. Questo vuol dire che la traiettoria e la curva su cui il punto materiale è vincolato non sono la stessa
cosa, basti pensare ad un pendolo che oscilla tra due punti, la traiettoria è un arco di circonferenza, mentre
il vincolo geometrico Γ(λ) è tutta la circonferenza. Questo però non deve impedire una riparametrizzazione
del tipo P (t) = Γ(λ(t)), dove λ(t), incognita del problema ha ruolo di legge oraria. λ(t) è detto parametro
Lagrangiano, mentre λ̇(t) è detto velocità generalizzata.
Per formalismo Lagrangiano di una grandezza, intenderemo quella grandezza espressa in funzione di λ e
delle sue derivate temporali.
Esempio 2.1. Le espressioni Lagrangiane delle grandezze prima citate sono quindi:
Ṗ = λ̇(t)Γ0 (λ)
P̈ (t) = λ̈(t)Γ0 (λ) + λ̇2 (t)Γ00 (λ)
T =
1
m|Γ0 (λ)|2 λ̇2 (t)
2
Osservazione 2.1. Nel caso in cui il parametro Lagrangiano è l’ascissa curvilinea, si ritrovano le note
relazioni:


Ṗ (t) = ṡ(t)t(s)
P̈ (t) = s̈(t)t(s) + ṡ2 (t)κ(s)n(s)


T = 21 mṡ2 (t)
Definizione 2.1. È necessario adesso distinguere tra due tipi di velocità. Fissiamo una posizione P0 = Γ(λ0 )
per un certo λ0 ∈ I. Si definisce velocità possibile, come una tra le qualsiasi velocità compatibili con il vincolo
nella posizione P0 e velocità effettiva la velocità, tra le possibili, che ha realmente il punto nella posizione
P0 .
Definizione 2.2. Si definisce, nel caso unidimensionale in esame, l’insieme seguente:
TP0 Γ = v ∈ R3 |v = αΓ0 (λ0 ), α ∈ R
dove P0 = Γ(λ0 ).
L’insieme è detto spazio tangente alla curva Γ in P0 . Ovviamente lo spazio tangente è indipendente dalla
parametrizzazione, ed è un sottospazio vettoriale di R3 di dimensione 1 generato da Γ0 (λ0 ). Si osservi inoltre
che l’insieme delle velocità possibili è lo spazio TP0 Γ.
2
Definizione 2.3. Si definisce sapzio normale, il completamento ortogonale di TP0 Γ, ovvero l’insieme
NP0 Γ = u ∈ R3 |u · v = 0, ∀ v ∈ TP0 Γ
Nel caso della curva, lo spazio normale è lo spazio generato dai vettori n(P0 ) e da b(P0 )
Definizione 2.4. Si chiama stato cinematico, la coppia (P, Ṗ ), posizione e velocità.
Nel caso della curva, lo stato cinematico è completamente definito dalle variabili lagrangiane (λ, λ̇) ∈ I×R,
attraverso P = Γ(λ) e Ṗ = λ̇Γ0 (λ).
Il tutto è anche indipendente dal parametro scelto.
2.2
Dinamica del punto vincolato
Considereremo d’ora in poi sempre il sistema di riferimento intrinseco del triedro principale. La determinazione del moto consiste nel risolvere il seguente problema: dato P vincolato su una curva Γ e dato il suo
stato cinematico iniziale P (0) e Ṗ (0), quali sono gli stati cinematici successivi?
Siano indicate con il vettore di R, F, le forze direttamente applicate, come la forza peso, la forza elastica. . . In generale F dipende dalla posizione, dalla velocità e dal tempo F = F(P, Ṗ , t). Per forza posizionale
si intende una forza del tipo F = F(P ).
Il fatto che il punto materiale appartenga al vincolo implica che siano presenti delle forze vincolari Φ,
che in generale dipende dalla posizione, dalla velocità e dal tempo Φ = Φ(P, Ṗ , t).
La base per lo studio del moto è la legge Newtonana della dinamica:
mP̈ = F + Φ
Scomponiamo l’equazione lungo le tre direzioni del triedro principale ricordando l’Esempio 2.1.:
m |Γ0 (λ)|2 λ̈ + Γ0 (λ) · Γ00 (λ)λ̇2 = F · Γ0 (λ) + Φ · Γ0 (λ)
(1)
mκ(λ)|Γ0 (λ)|2 λ̇2 = F · n(λ) + Φ · n(λ)
(2)
0 = F · b(λ) + Φ · b(λ)
(3)
A queste equazioni vanno aggiunte le condizioni iniziali ad un tempo fissato t = t0 , che deve essere compatibile
con il vincolo:
P (t0 ) = Γ(λ(t0 ))
Ṗ (t0 ) = λ̇(t0 )Γ0 (λ(t0 ))
Quindi le condizioni iniziali si traducono all’assegnazione di λ0 = λ(t0 ) ∈ I e λ̇0 = λ̇(t0 ) ∈ R.
La (1), (2), (3) sono tre equazioni differenziali del secondo ordine nelle quattro incognite, λ(t) e le tre
componenti di Φ. Adesso bisogna distinguere il caso in cui sia presente o meno l’attrito.
Definizione 2.5. Il vincolo Γ(λ) si diceideale o liscio se Φ è ortogonale ad ogni possibile velocità, in una
qualunque posizione P0 sul vincolo. Ovvero in una qualunque posizione P0 = Γ(λ0 ) la forza vincolare deve
rispettare Φ · v = 0 ∀ v ∈ TP0 Γ.
Questa definizione equivale alla seguente affermazione che fa riferimento al Principio dei lavori virtuali :
Il vincolo è liscio se e solo se la potenza della forza vincolare Φ è nulla, ovvero se Φ · Ṗ = 0 per ogni
possibile velocità.
Quest’ultima affermazione è equivalente al Principio di d’Alembert, secondo il quale il lavoro compiuto
dalla forza vincolare è nullo per ogni spostamento virtuale ξ, ovvero per qualsiasi spostamento compatibile
con il vincolo. Gli spostamenti virtuali vanno identificati con vettori appartenenti allo spazio tangente in P .
Se il vincolo è quindi liscio, la (1) diventa:
m |Γ0 (λ)|2 λ̈ + Γ0 (λ) · Γ00 (λ)λ̇2 = F Γ(λ), λ̇Γ0 (λ), t · Γ0 (λ)
(4)
che consiste in una equazione differenziale del secondo ordine da associare alle condizioni iniziali, quindi
risolvibile (l’unicità è assicurata dal Teorema di Cauchy). Quindi si ricava la componente lungo n e b
tramite (2) e (3).
3
2.3
La funzione Lagrangiana
Definizione 2.6. Dato un vettore v ∈ R3 , chiamiamo componente lagrangiana, lo sclare
(λ)
vθ
= Γ0 (λ) · v
dove θ sta per proiezione sullo spazio tangente e l’apice (λ) indica la dipendenza della componente dalla
parametrizzazione scelta, in particolare, se si usa una differente parametrizzazione si ha che
(µ)
(λ)
= Γ01 (µ) · v = λ0 (µ)Γ0 (λ) · v = λ0 (µ)vθ
vθ
(5)
0
Γ01 (µ),
Osservazione 2.2. Facendo riferimento allo spazio TP0 Γ generato indifferentemente da Γ (λ) o da
Γ0 (λ) = µ0 (λ)Γ1 (µ) è la formaula del cambiamento di base. In generale chiamiamo covariante, una grandezza
che, a seguito di un cambiamento di base, varia nello stesso modo con cui varia la base, controvariante
una grandezza che varia in modo inverso. Quindi la componente lagrangiana è una grandezza covariante,
come si può vedere da (5). Un esempio di grandezza controvariante può essere la velocità generalizzata
˙
lambda,
infatti, dalla regola di derivazione di ha µ̇ = µ0 (λ)λ̇, quindi la nuova velocit viene moltiplicata per
−1
µ0 (λ) = (λ0 (µ)) .
Analizziamo adesso la (4), corrispondente alla componente lagrangiana dell’equazione di moto di un punto
su un vincolo liscio. Ricordiamo la definizione di quantità di moto: Q = mṖ . Si ha quindi che Q̇ = mP̈ ,
(λ)
che è uguale al membro sinistro della (1). Il membro a sinistra di (4) sarà Q̇θ
Proprietà 2.1. Vale la seguente relazione:
(λ)
Q̇θ
=
d
dt
∂T
∂T
(λ, λ̇) −
(λ, λ̇)
∂λ
∂ λ̇
(6)
dove la parte a destra dell’uguale è chiamato binomio lagrangiano
Torniamo alla (4). Nel caso di una forza posizionale, F = F(P ), possiamo comunque definire
Z λ
Z λ
(η)
U (λ) =
F(Γ(η)) · Γ0 (η)dη =
Fθ (η)dη
λ̄
λ̄
Proprietà 2.2. La funzione U definita sopra, verifica:
(λ)
U 0 (λ) = Fθ
d
U (λ(t)) = F · Ṗ
dt
dove λ(t) è la legge oraria del moto.
Si ha quindi che U (λ(t)) rappresenta il lavoro Λ(t̄, t) compiuto dalla forza F nell’intervallo di tempo (t̄, t),
con t̄ tale che λ(t̄) = λ̄.
Tra le forze posizionali sono presenti le forze gradienti cioè, se si prende come riferimento un sistma
cartesiano x = (x, y, z) ∈ R3 , si ha che una forza F è di tipo gradiente se esiste una funzione U(x), detta
∂U
∂U
∂U
potenziale, tale che ∇x U(x) =
i+
j+
k.
∂x
∂y
∂z
Proprietà 2.3. Se F è di tipo gradiente con potenziale U, allora la funzione U (λ), a meno di una costante,
è la funzione gradiente U calcolata sul vincolo:
U (λ) = U(Γ(λ))
Possiamo adesso concludere la scrittura dell’equazione di moto per un vincolo liscio e una forza posizionale:
d ∂T
∂T
(λ)
(λ, λ̇) −
(λ, λ̇) = Fθ = U 0 (λ)
dt ∂ λ̇
∂λ
Di definisce funzione lagrangiana, o Lagrangiana, la seguente funzione:
Z λ
1
0
2 2
L(λ, λ̇) = T (λ, λ̇) + U (λ) = m|Γ (λ)| λ̇ +
F(Γ(η)) · Γ0 (η)dη
(7)
2
λ̄
Se indichiamo con V (λ) = −U (λ) l’energia potenziale, allora L indica lo scarto tra energia cinetica e
potenziale.
Proprietà 2.4. L’equazione di moto corrisponde all’equazione:
d ∂L
∂L
(λ, λ̇) −
(λ, λ̇) = 0
dt ∂ λ̇
∂λ
4
(8)
2.4
Integrale primo dell’energia
Definizione 2.7. Per integrale primo associato all’equazione di moto, per esempio la (4), si intende una
funzione a valori reali che mantiene costante il suo valore se calcolata lungo le soluzioni dell’equazione
medesima. Per ciascuna soluzione λ(t) di (4), se I è l’integrale primo del moto, si ha che I(λ(t), λ̇(t), t) ≡
I(λ(t0 ), λ̇(t0 ), t0 ).
Per trovare gli integrali primi vale la pena fare considerazioni energetiche, che si ottengono moltiplicando
per la velocità le equazioni di moto:
mP̈ · Ṗ = F · Ṗ + Φ · Ṗ
il cui membro a sinistra è uguale della derivata dell’energia cinetica rispetto al tempo e il secondo addendo
dU
,
del membro a destra si annulla in caso di vincolo liscio. In generale non è possibile scrivere F · Ṗ come
dt
ma nel caso di forza posizionale di cui ci stiamo occupando, questo è possibile. Quindi:
d
(T − U ) = 0
dt
da cui segue che la quantità
I(λ, λ̇) = T (λ, λ̇) − U (λ) =
1
m|Γ0 (λ)|2 λ̇2 − U (λ)
2
rimane costante lungo le soluzioni λ(t), cioè I è l’integrale primo del moto. Si nota che l’integrale primo
è l’energia totale E, quindi, quanto detto corrisponde alla conservazione dell’energia totale. Il valore della
costante del moto viene calcolato dalle condizioni iniziali:
E0 =
2
1
m|Γ0 (λ0 )|2 λ˙0 + V (λ0 )
2
dove V = −U è l’energia potenziale.
Proprietà 2.5. L’equazione di moto (8) implica la relazione
d
∂L
−L =0
λ̇
dt
∂ λ̇
(9)
che equivale alla conservazione dell’energia scritta sopra questa proposizione. Questa equazione rientra nel
Teorema generalizzato dell’energia.
2.5
Studio qualitativo del moto unidimensionale
Lo scopo è quello di comprendere l’andamento delle dsoluzioni di (8), esaminando l’integrale primo dell’energia
che scriviamo qua:
E(λ, λ̇) =
2
1
1
m|Γ0 (λ)|2 λ̇2 + V (λ) ≡ E0 = m|Γ0 (λ0 )|2 λ˙0 + V (λ0 )
2
2
(10)
Portiamo l’equazione differenziale (10) in forma normale
λ̇ = ±
1 p
ψ(λ)
|Γ0 (λ)|
ψ(λ) =
2
(E − V (λ))
m
per ipotesi la curva è regolare, quindi |Γ0 (λ)| > 0∀λ ∈ I. Per quanto riguarda la scelta del segno, bisogna
scegliere quello concorde a λ̇(t0 ) = λ˙0 . Possiamo esaminare il caso in cui sia presente il +. Quindi il nostro
problema è il seguente
1 p
λ̇ = 0
ψ(λ)
λ(t0 ) = λ0
(11)
|Γ (λ)|
Si potrebbe risolvere l’equazione separando le variabili, ma in generale non è sempre fattibile. Si può provare
a trovare il carattere della soluzione senza averla necessariamente calcolata.
Dato che φ compare al denominatore deve essere φ 6= 0: in un intervallo (t0 , t0 + δ) è vero per il
Teorema della permanenza del segno, mentre successivamente potrebbe annullarsi. Si distinguono quindi
due situazioni:
Caso A ψ(λ) > 0, ∀ λ ≥ λ0 λ ∈ I
Caso B ∃ λ1 ∈ I, λ1 > λ0 | ψ(λ) > 0 ∀ λ0 ≤ λ < λ1 , ψ(λ1 ) = 0
5
Caso A Da (11) si ha che λ̇ > 0 non si annulla mai, quindi il punto percorre la curva in verso crescente
senza mai fermarsi con velocità Ṗ = λ̇Γ0 (λ). La funzione λ(t) è crescente, e non può tendere a λ̄ ∈ (λ0 , λ+ )
per t → ∞, altrimenti, λ̇ tenderebbe a zero per t → ∞ (se il limite esiste), contrastando l’ipotesi. Se il
limite non esiste possiamo ottenere la stessa conclusione estraendo una sottosuccessione che tende a zero.
Possiamo quindi affermare che il punto raggiunge la posizione corrispondete a λ = λ+ in un tempo finito o
infinito a seconda di questo integrale:
Z λ 0
|Γ (η)|
p
dη
J(λ) =
ψ(η)
λ0
Si hanno due possibilità:
A.1
P (λ+ ).
A.2
J(λ) converge per λ → λ+ : nel tempo finito t∞ = t0 + J(λ+ ) il punto ha raggiunto la posizione
J(λ) diverge per λ → λ+ : il punto impiega un tempo infinito per arrivare alla posizione P (λ+ ).
Caso B Sia t1 = t0 + J(λ1 ) il tempo in cui λ ha raggiunto λ1 . La funzione λ̇ si annulla per la prima volta
in t1 , ovvero λ̇(t) > 0 per t0 ≤ t < t1 . D’altra parte λ̇(t) = 0 implica Ṗ (t1 ) = 0. É chiaro che t1 è finito
(infinito) se J(λ1 ) è convergente (divergente). La convergenza dell’integrale dipende dalla radice λ1 secondo
la seguente
Definizione 2.8. Data una funzione F (λ) definita per λ ∈ I ⊆ R e derivabile quanto occorre, si dice che λ̄
è uno zero (o una radice) di ordine n, n naturale non nullo, per F se
F (λ̄) = 0,
dF
dn−1 F
dn F
(λ̄) = 0 ; . . . n−1 (λ̄) = 0,
(λ̄) 6= 0
dλ
dλ
dλn
Proprietà 2.6. Se λ1 è una radice semplice (di ordine 1) dell’equazione ψ(λ) = 0, allora il tempo t1 di
percorrenza da Γ(λ0 ) a Γ(λ1 ) è finito. Se λ1 è una radice almeno doppia dell’equazione ψ(λ) = 0, allora il
tempo t1 di percorrenza da Γ(λ0 ) a Γ(λ1 ) è infinito.
Distinguiamo i casi di radice semplice e almeno doppia:
B.1 Supponiamo che la radice sia semplice. Questa situazione pone il problema di cosa accade per
tempi t > t1 . Per fare chiarezza di usa la seguente proposizione:
Proprietà 2.7. Sia λ1 una radice semplice di ψ(λ) = 0 e sia t1 il tempo finito. Per t > t1 il punto P percorre
la curva in senso contrario, fintanto che ψ(λ(t)) rimane strettamente positivo
Le posizioni Γ(λ1 ), corrispondenti a radici semplici di ψ(λ) = 0 vengono detti punti di inversione del
moto. Se λ2 è un’altra radice semplice si ha la seguente
Proprietà 2.8. Il moto compreso tra due punti di inversione Γ(λ2 ) e Γ(λ1 ), λ2 < λ0 < λ1 è periodico e il
periodo è
Z λ1
Z λ1 0
|Γ0 (λ)|
|Γ (λ)|
p
q
dλ = 2
τ =2
dλ
2
ψ(λ)
λ2
λ2
(E0 − V (λ))
m
B.2 λ1 è una radice almeno doppia, quindi ψ(λ), in (λ1 − , λ1 , può essere rappresentata come ψ(λ) =
(λ1 − λ)2 g(λ)). Quindi l’integrale
Z
λ1
t1 − t0 = J(λ1 − ) +
λ1 −
|Γ0 (λ)|
p
(λ1 − λ)n g(λ)
dλ
che fornisce il tempo di percorrenza, è infinito. Per questo motivo il moto viene detto asintotico.
La posizione λ = λ1 è detta posizione di equilibrio.
Per il punto P vincolato in modo liscio sulla curva Γ(λ) e soggetto a forze posizionali, si ha che le posizioni
di equilibrio sono le soluzioni di
F · Γ0 (λ) = 0 oppure V 0 (λ) = 0
6
2.6
Grafico dell’energia potenziale
Per riassumere le principali informazioni, bisogna per prima cosa tracciare il grafico di V (λ), abbinandolo al
livello costante E0 , definito dalle condizioni iniziali. e da tracciare come retta parallela all’asse λ.
Si individuano immediatamente le posizioni di equilibrio in corrispondenza dei punti stazionari in cui
V 0 (λ = λeq ) = 0. Il livello Eeq che permette l’equilibrio è quello per cui V (λeq ) = Eeq . Graficamente, la
retta orizzontale passante per (λeq , V (λeq )) è tangente in tale punto al grafico di V, oppure ne rappresenta
un flesso orizzontale. La differenza E0 − V (λ) corrisponde all’energia cinetica T in tale posizione. Si percorre
quindi in orizzontale E0 a partire da (λ0 , E0 ), e procedendo verso destra se λ̇0 > 0 e verso sinistra se λ̇0 < 0.
Se la retta orizzontale di E0 non si interseca con il grafico di V in nessun punto, siamo nel caso A, con le sue
distinzioni. Se invece è presente un’intersezione E0 = V (λ1 ), siamo in presenza di un punto di inversione,
se V 0 (λ1 ) = 0, siamo in presenza si un moto asintotico. Nel caso di punto di inversione si percorre in senso
contrario il livello E0 e si effettuano le stesse considerazioni a seconda che sia presente o meno una seconda
intersezione. Nel primo caso si ha un moto periodico, nel secondo abbiamo invece un moto di tipo A. Se,
infine, la condizione iniziale è λ˙0 = 0 si comprende che la posizione iniziale λ(t0 ) è una posizione di equilibrio
se V 0 (λ0 ) = 0 o un punto di massimo o minimo per λ(t). Se V 0 (λ(t0 ) 6= 0. In quest’ultimo caso il moto
procede nella regione accessibile: verso sinistra se V 0 (λ(t0 ) > 0 e verso destra se V 0 (λ(t0 ) < 0.
2.7
Il piano delle fasi
Oltre al grafico della funzione V, una procedura altrettanto efficace consiste nel tracciare la sequenza degli
stati cinematici (λ, λ̇) di varie soluzioni: ciascuna di tali curve (λ(t), λ̇(t) è l’orbita sul piano delle fasi (λ, λ̇)
della soluzione λ(t) di (4). L’insieme delle orbite tracciate sul piano delle fasi, dà origine al ritratto di fase.
Se nella (4) la forza F non dipende esplicitamente da t,allora le orbite sul piano delle fasi non possono
intersecarsi. La produzione del ritratto è avvantaggiata dalla presenza di un integrale primo. Quest’ultimo
semplifica notevolmente il compito di tracciare le orbite, dal momento che esse sono conteute negli insiemi
di livello T (λ, λ̇) + V (λ) = E0 , ovvero, in forma id grafico:
r
2
1
(E0 − V (λ))
λ̇ = ± 0
|Γ (λ)| m
dove E0 ha ruolo di parametro.
Le orbite dei moti asintotici vengono dette separatrici, per sottolineare il ruolo de separare la zona del
piano delle fai da quella dove il moto è illimitato.
Ricapitolando:
• il ritratto di fase è simmetrico rispetto all’asse λ;
• ogni orbita ha il suo verso di percorrenza, facilmente deducibile dall’appartenenza dell’orbita al semipiano λ̇ > 0 o in λ̇ < 0;
• le posizioni di equilibrio corrispondono ai punti isolati sull’asse λ;
• i moti periodici con punti di inversione λ1 e λ2 sono rappresentati da orbite chiuse di estremi (λ1 , 0) e
(λ2 , 0), non necessariamente simmetriche rispetto all’asse del segmento di estremi λ1 e λ2 ;
• i moti non limitati corrispondono ad orbite aperte in una direzione, presentando rispetto alla direzione
opposta o un’inversione o un moro asintotico o un’ulteriore non limitatezza; il ramo aperto dell’orbita
non può intersecare l’asse λ e va accoppiato al ramo simmetrico rispetto all’asse λ;
• il moto asintotico può presentarsi come un’orbita di tipo arco che unisce due posizioni di equilibrio.
Sia gli archi finiti che i rami infiniti si presentano nei due semipiani suddivisi dall’asse λ in modo
simmetrico.
2.8
Stabilità all’equilibrio
Definizione 2.9. La posizione di equilibrio sul piano delle fasi λ = λeq , λ̇ = 0, viene detta stabile se,
comunque si fissi un intorno aperto U di (λeq , 0), si può determinare un intorno aperto W del medesimo
punto (λeq , 0) per cui, se (λ(0), λ̇(0)) ∈ W , allora la soluzione λ(t) dell’equazione (4) che ha per dato iniziale
è tale che (λ(0), λ̇(0)), è tale che (λ(t), λ̇(t)) ∈ U ∀ t ≥ 0.
7
L’instabilità corrisponde alla negazione di stabilità: la posizione di equilibrio (λeq , 0) viene detta instabile
se esiste un intorno aperto U 3 (λeq , 0) tale che comunque si fissi un intorno W 3 (λeq , 0) esiste un dato
iniziale (λ(0), λ̇(0)) ∈ W per cui la corrispondente soluzione λ(t) è tale che (λ(t̄), λ̇(t̄)) 6∈ U per qualche t̄ > 0.
La definizione sopra equivale ad affermare che la posizione di equilibrio λeq è stabile se
∀ > 0 ∃ δ > 0 t. c. |(λ(0), λ̇(0)) − (λeq , 0)| < δ ⇒ |(λ(t), λ̇(t)) − (λ(t), λ̇(t))| < ∀ t ≥ 0
q
dove |(λ1 , λ˙1 ) − (λ2 , λ˙2 )| = (λ1 − λ2 )2 + (λ˙1 − λ˙2 )2 .
Praticamente la definizione di stabilità si riferisce alla possibilità di avere sotto controllo lo stato cinematico delle soluzioni intorno all’equilibrio: contenere le orbite in un disco di raggio arbitrario, pur di
scegliere i dati iniziali in un disco di raggio opportuno δ, significa evitare l’allontanamento e tenere limitata
la velocità. É importante mostrare i criteri che implicano i caratterizzano la stabilità, come il criterio di
Liapunov, che verrà mostrato nel contesto generale dei sistemi differenziali in due variabili in forma normale
e autonomi, ovvero del tipo:
(
ẋ(t) = f (x, y)
(12)
ẏ(t) = g(x, y)
Assumiamo che esistano le condizioni di esistenza ed unicità associata alle condizioni iniziali. Per il sistema
(12) viene detto piano delle fasi, il piano (x,y), e una posizione di equilibrio consiste in una soluzione costante
del sistema, quindi tutte e sole le posizioni (xeq , yeq ) per cui f (xeq , yeq ) = 0 g(xeq , yeq ) = 0
La definizione di stabilità per il sistema (12) è la stessa che si è utilizzata nella definizione (2.9) e,
utilizzando la versione che usa i dischi in R2 si ha che:
Definizione 2.10. La posizione di equilibrio (xeq , yeq ) del sistema (12) è stabile se
∀ > 0 ∃ δ > 0 t. c. |(x(0), y(0)) − (xeq , yeq )| < δ ⇒ |(x(t), y(t)) − (xeq , yeq )| < ∀ t ≥ 0
Teorema 2.1. (Criterio sufficiente di stabilità di Lyapunov in R2 ). Sia (xeq , yeq ) una posizione di equilibrio
per il sistema (12). Se esiste una funzione Λ(x, y) a valori reali, definita in un intorno aperto V di (xeq , yeq ),
almeno di classe C 1 (V) e con le ulteriori proprietà:
1. Λ(xeq , yeq ) = 0
2. Λ ha un minimo isolato in (xeq , yeq ):
Λ(x, y) > 0per(x, y) ∈ V/(xeq , yeq )
3. Λ verifica la condizione
f (x, y)
∂
∂
Λ(x, y) + g(x, y) Λ(x, y) ≤ 0
∂x
∂y
per ogni (x, y) ∈ V.
Allora la posizione (xeq , yeq ) è stabile.
Si osservi che la condizione 3. equivale alla richiesta che Λ non sia crescente lungo le soluzioni del sistema.
Tornando al caso del moto unidimensionale:
Teorema 2.2. (Criterio di Dirichlet, caso unidimensionale). Se λeq è una posizione di equilibrio in cui
V (λ) ha un minimo isolato, allora l’equilibrio è stabile.
Osservazione 2.3. L’ipotesi di minimo isolato è essenziale, basti pensare ad un punto materiale soggetto
alla forza peso su un piano orizzontale: tutte sono posizioni di equilibrio (equilibrio indifferente).
Osservazione 2.4. Il criterio di Dirichlet non è invertibile cosı̀ come è scritto, cioè una posizione di equilibrio
stabile può non essere un minimo isolato. Però esistono funzioni, dette analitiche, di classe C ∞ ma non
sviluppabile in serie di Taylor. Si può dimostrare che se la funzione è analitica, allora una posizione di
equilibrio stabile è necessariamente un minimo isolato per V, che è la reversibilità del criterio di Lyapunov.
8
2.9
Piccole oscillazioni
Vogliamo studiare in modo più ampio il moto attorno alle posizioni di equilibrio. Per fare questo sostituiamo
le equazioni di moto con quelle approssimate mediante lo sviluppo di Taylor. Scriviamo quindi la lagrangiana
L(λ, λ̇) e sviluppiamola con Taylor. Se F(x,y) è una funzione definita per x = (x, y) ∈ U ⊆ R2 a valori in R
di classe almeno C 2 (U ), lo sviluppo intorno al punto x0 = (x0 , y0 ) ∈ U si scrive
1
F (x) = F (x0 ) + ∇x F (x0 ) · (x − x0 ) + (x − x0 )T Jx (∇x F )(x0 )(x − x0 ) + R
2
dove

∂F
(x,
y)
 ∂x



∇x F (x0 ) = 

 ∂F

(x, y)
∂y
∂2F
 ∂x2 (x, y)

Jx (∇x F )(x0 ) = 
 2
 ∂ F
(x, y)
∂x∂y

∂2F
(x, y) 
∂x∂y



2

∂ F
(x,
y)
2
∂y


x=x0 , y=y0
x=x0 , y=y0
Calcoliamo lo sviluppo di Taylor per la funzione lagrangiana L(λ, λ̇) = 12 m|Γ0 (λ)|2 λ̇2 − V (λ) nelle variabili
lagrangiane x = (λ, λ̇), attorno alla posizione di equilibrio stabile x0 = (λeq , 0). Dato che
mλ̇2 (|Γ00 |2 + Γ0 · Γ000 ) − V 2mΓ0 · Γ00 λ̇
mΓ0 · Γ00 λ̇2 − V 0
∇(λ,λ̇) L =
J
(∇
L)
=
(λ,λ̇)
(λ,λ̇)
m|Γ0 (λ)|2
2mΓ0 · Γ00 λ̇
m|Γ0 |2
calcolate nella posizione di equilibrio si ha
L(λeq , 0) = −V (λeq )
∇(λ,λ̇) L(λeq , 0) = (0, 0)
J(λ,λ̇) (∇(λ,λ̇) L)(λeq , 0) =
−V 00 (λeq )
0
0
m|Γ0 (λeq )|2
Quindi L = L2 + R, dove
L2 (λ, λ̇) = −V (λeq ) +
1
m|Γ0 (λeq )|2 λ̇2 − V 00 (λeq )(λ − λeq )2
2
(13)
è la cosiddetta Lagrangiana approssimata o Lagrangiana delle piccole oscillazioni. É importante notare che
la stabilità non è sufficiente a garantire che la (13) sia una buona approssimazione del moto, infatti può
accadere che V 00 (λeq ) = 0 pur essendo λeq un minimo isolato come, ad esempio, V = λ4 . In questo caso il
termine dovuto a V scompare, quindi bisogna considerare gli ordini successivi dello sviluppo di Taylor.
Nell’ipotesi V 00 (λeq ) > 0, il calcolo dell’equazione di moto (8) sulla lagrangiana L2 , dà luogo alla seguente
equazione:
m|Γ0 (λeq )|2 λ̈ + V 00 (λeq )(λ − λeq ) = 0
(14)
che viene detta equazione delle piccole oscillazioni. Si osserva in (14) la presenza di un moto armonico
centrato il λeq di frequenza:
r
1
V 00 (λeq )
ω
=
ν=
2π
2π|Γ0 (λeq )|
m
detta frequenza delle piccole oscillazioni. Il moto armonico in (14) è detto moto normale.
3
La geometria delle superfici
Definizione 3.1. Una superficie è un sottoinsieme Σ ⊆ R3 tale che per ogni punto P ∈ Σ si può determinare
un insieme aperto U ⊆∈ R2 ed un insieme aperto W ∈ R3 contenente P in modo che esista un’applicazione
biunivoca Θ : U → W ∩ Σ
Chiameremo u, v parametri, le applicazioni Θ, mappe e la globalità di esse, atlante.
3.1
Superfici regolari
Sia Σ ⊂ R3 parametrizzato da applicazioni del tipo


x(u, v)
Θ(u, v) = x(u, v) =  y(u, v) 
z(u, v)
9
Nell’ipotesi di derivabilità fino all’ordine che occorre, indicheremo le derivate prime delle funzioni di parametrizzazione, con i vettori




∂x
∂x
 ∂v 
 ∂u 








 ∂y 
 ∂y 




xv (u, v) = 
xu (u, v) = 


 ∂v 
 ∂u 




 ∂z 
 ∂z 
∂u
∂v
e le derivate seconde con xuu (u, v). . .
La condizione di regolarità in un punto di una superficie parametrica è la seguente
Definizione 3.2. Un punto regolare di una superfici liscia è un punto x(u, v) in cui i due vettori xu (u, v) e
xv (u, v) calcolati in tale punto sono linearmente indipendenti, ovvero non nulli e non paralleli o, equivalentemente se la matrice Jacobiana


∂x ∂x
 ∂u ∂v 




 ∂y ∂y 

J(u,v) x(u, v) = 
 ∂u ∂v  = (xu xv )




 ∂z ∂z 
∂u
∂v
ha rango massimo pari a 2.
Definizione 3.3. Chiamiamo superficie regolare un sottoinsieme Σ di R3 tale che
1. per ogni punto P ∈ Σ si può determinare un insieme aperto U ⊆ R2 ed un insieme aperto W ⊆ R3
contenente P in modo che esista un’applicazione Θ : U → W ∩ Σ liscia;
2. l’applicazione Θ è un omeomorfismo (è continua, biunivoca e ha l’inversa continua) tra U e W ∩ Σ;
3. ogni punto è regolare.
3.2
Superfici di rotazione
Fissato un sistema di riferimento di origine O e coordinate (x, y, z) si consideri sul piano y=0 una curva
di equazione Γ(u) = (f (u), 0, h(u)), u ∈ I ⊆ R. La parametrizzazione del luogo che si ottiene mediante
rotazione di Γ attorno all’asse z è:
x(u, v) = (f (u) cos v, f (u) sin v, h(u)) (u, v) ∈ I × (−π, π)
3.3
Curve su una superficie, linee coordinate
Sia Γ(λ), λ ∈ I ⊆ R una curva tale che ogni suo punto appartenga ad una superficie: Γ(λ) ∈ Σ ∀ λ ∈ I. Si
può dimostrare che ogni curva su Σ si può scrivere tramite una parametrizzazione di u e v:
Γ(λ) = Θ(u(λ), v(λ)) ∈ Σ ⊂ R3
(15)
Incompleto!!!!
3.4
Spazio tangente e normale
In ogni punto regolare P0 sulla superficie con coordinate x0 = x(u0 , v0 ) è possibile definire il piano tangente
come il piano passante per P0 e normale al vettore xu (u0 , v0 ) × xv (u0 , v0 )
Equivalentemente è possibile definirlo come l’insieme delle combinazioni lineari dei vettori tangenti alle
linee coordinate:
ΠP0 = Q ∈ R3 | Q − P0 = αxu (u0 , v0 ) + βxv (u0 , v0 ), (α, β) ∈ R2
(16)
10
Possiamo scrivere il piano tangente come uno sottospazio vettoriale di dimensione 2 generato dai vettori
tangenti alle linee coordinate
WP0 = hx(u0 , v0 ), xv (u0 , v0 )i ⊂ R
Per avere una seconda visione possiamo considerare tutte le curve che passano per P0 e che appartengono
alla superficie. Si definisce quindi l’insieme
TP0 Σ = {w ∈ R3 | ∃ curva Γ(λ) ⊂ Σ, Γ(λ0 ) = P0 , Γ0 (λ0 ) = w}
Proprietà 3.1. L’insieme TP0 Σ coincide con WP0 .
3.5
Cambiamento di parametri
Definizione 3.4. Dati (u, v) ∈ U ⊆ R2 , chiamiamo riparametrizzazione o cambiamento di parametri, una
funzione definita da U in un aperto Ū ⊆ R2 tale che
ū = ū(u, v)
v̄ = v̄(u, v)
(17)
La richiesta è che la funzione sia liscia, ovvero sia localmente derivabile e con inversa localmente derivabile
(diffeomorfismo).
Proprietà 3.2. La riparametrizzazione (17) è un diffeomorfismo locale in un punto (u0 , v0 ) ∈ U se e solo
se la matrice Jacobiana


∂ ū ∂ ū
 ∂u ∂v 


J(u,v) (ū, v̄) = 

 ∂v̄ ∂v̄ 
∂u ∂v
calcolata per u = u0 , v = v0 è non singolare. Inoltre se u = u(ū, v̄), v = v(ū, v̄) è l’applicazione inversa,
vale, in ogni punto di U0 in cui è definito il diffeomorfismo
−1
J(ū,v̄) (u, v) = J(u,v) (ū, v̄)
Con x̄(ū, v̄) la scrittura della superficie mediante la nuova riparametrizzazione.
4
4.1
Moto di un punto su una superficie
Cinematica: Velocità possibili
Sia P un punto materiale di massa m vincolato su una superficie. La traiettoria del punto, la velocità e
l’accelerazione sono date dalle seguenti parametrizzazioni temporali:
P (t) = x(u(t), v(t))
Ṗ (t) = xu u̇ + xv v̇
P̈ (t) = xuu u̇2 + 2xuv u̇v̇ + xvv v̇ 2 + xu ü + xv v̈
Proprietà 4.1. L’insieme delle velocità possibili, ovvero compatibili con il vincolo, in un punto P0 coincide
con lo spazio tangente TP0 Σ quindi, una velocità possibile in P0 = x(u0 , v0 ) è ogni vettore della forma
x(u0 , v0 )u u̇ + xv (u0 , v0 )v̇ ∈ TP0 Σ
Le quantità (u, v) sono le coordinate lagrangiane, mentre (u̇, v̇) sono le velocità generalizzate, quindi
(u, v, u̇, v̇) sono le quattro variabili lagrangiane.
Scriviamo adesso l’energia cinetica nelle variabili lagrangiane:
T =
dove
1
1
1
mṖ 2 = m(xu u̇ + xv v̇) · (xu u̇ + xv v̇) = m E(u, v)u̇2 + 2F (u, v)u̇v̇ + G(u, v)v̇ 2
2
2
2
E(u, v) = xu (u, v) · xu (u, v)
F (u, v) = xu (u, v) · xv (u, v) = xv (u, v) · xu (u, v)
G(u, v) = xv (u, v) · xv (u, v)
Quindi T è un polinomio omogeneo di secondo grado.
11
(18)
4.2
Dinamica, le equazioni di moto
Si scompone l’equazione del moto mP̈ = F + Φ nei due spazi normale e tangente:
(
mP̈ · xu = F · xu + Φ · xu
componenti in TP Σ
mP̈ · xv = F · xv + Φ · xv
mP̈ · N = F · N + Φ · N
componente in NP Σ
(19)
(20)
dove N = (xu × xv )/|xu × xv |.
Definizione 4.1. Dato un vettore w ∈ R3 , chiamiamo componenti lagrangiane di w le quantità:
(u)

o più sinteticamente
(u,v)
wθ
(u)
(v)

 ∈ R2
wθ

=
(v)
= w · xu ∈ R, wθ

wθ
= w · xv ∈ R
wθ
Proprietà 4.2. Se (ū, v̄) è una nuova parametrizzazione che induce la nuova base hx̄ū , x̄v̄ i, la relazione tra
le due componenti lagrangiane è
w · x̄u
(ū,v̄)
(u,v)
wθ
=
= (J(ū,v̄) (u, v))T wθ
(21)
w · x̄v
Si osservi che il comportamento delle componenti lagrangiane è covariante.
4.3
Equazioni di Lagrange
Proprietà 4.3. Le componenti lagrangiane di Q = mP̈ verificano
(u,v)
Q̇θ
=
d
(∇(u̇,v̇) T (u, v, u̇, v̇)) − ∇(u,v) T (u, v, u̇, v̇)
dt
(22)
ovvero, componente per componente

d ∂T
∂T
(u)


mP̈ · xu = Q̇θ =
−


dt ∂ u̇
∂u



mP̈ · xv = Q̇(v) = d ∂T − ∂T
θ
dt ∂ v̇
∂v
Utilizzando le (22) possiamo scrivere le (19) come

d ∂T
∂T


−
= F · xu + Φ · xu

 dt ∂ u̇
∂u
(23)



 d ∂T − ∂T = F · xv + Φ · xv
dt ∂ v̇
∂v
Queste sono dette equazioni di Lagrange di seconda specie o del secondo tipo.
4.4
Vincoli ideali, forze applicate
Il vincolo Φ si dice liscio o ideale se è ortogonali ad ogni velocità possibile, in ogni posizione di P:
Φ · w = 0, ∀ w ∈ TP Σ
Il vincolo è liscio se e solo se le componenti langrangiane sono nulle. L’ipotesi di un vincolo ideale elimina
l’incognita Φ da (19) e quest’ultima viene disaccoppiata da (20). Quest’ultima, alla fine, permette di trovare
Φ integrando le (19).
12
Proprietà 4.4. Se la forza applicata F è pari al gradiente di una funzione U : D ⊆ R3 → R, ovvero esiste
U tale che
F(x, y, z) = ∇x U(x, y, z)
allora la funzione
U (u, v) = U(x(u, v), y(u, v), z(u, v))
verifica
(u)
Fθ (u, v) =
∂
U (u, v)
∂u
(v)
Fθ (u, v) =
∂
U (u, v)
∂v
(24)
Osservazione 4.1. La proprietà sopra può essere formulata anche nel seguente modo: se una forza è di tipo
(u,v)
gradiente, allora la forza generalizzata Fθ
ammette come gradiente il potenziale ristretto sulla superficie.
Si compie dunque l’analogia formale
(u,v)
F = ∇x U(x) ⇒ Fθ
= ∇(u,v) U (u, v)
Se il punto è soggetto a più forze gradiente, il potenziale è la somma dei potenziali, sia nelle variabili
cartesiane che lagrangiane.
4.5
La funzione Lagrangiana
Definizione 4.2. Definiamo
L(u, v, u̇, v̇) = T (u, v, u̇, v̇) + U (u, v)
(25)
come la funzione lagrangiana del sistema. Essa dipende dallo stato cinematico, sia dal tipo di sollecitazione.
Vedremo che sarà possibile scrivere le equazioni di moto in funzione solo di L nelle ipotesi di vincoli lisci
e di forze direttamente applicate riconducibili ad un gradiente.
Proprietà 4.5. Le equazioni di moto per un punto vincolato su una superficie liscia e soggetto a una o piu
forze di tipo gradiente, si scrivono:

d ∂L ∂L


−
=0

 dt ∂ u̇
∂u
(26)


d
∂L
∂L


−
=0
dt ∂ v̇
∂v
d
oppure, in forma vettoriale ∇(u̇,v̇) L − ∇(u,v) L = 0
dt
Per quanto riguarda le configurazioni di equilibrio è necessario, nel caso più generale (23), che una
soluzione costante u(t) = u0 v(t) = v0 richiede l’annullamento delle componenti lagrangiane della forza:
(u,v)
Fθ
(u,v)
+ Φ0
=0
(27)
Nell’ipotesi di vincolo liscio quest’ultima si riduce a
(u,v)
Fθ
=0
(28)
Le posizioni di equilibrio per il sistema (23) sono tutte e sole le soluzioni di (26) e (27) nei rispettivi casi di
vincolo non liscio oppure liscio. Questa proposizione ha come conseguenza il seguente corollario:
Proprietà 4.6. Se le forze applicate sono di tipo gradiente e il vincolo è liscio, le posizioni di equilibrio
(ueq , veq0 ) sono tutti e soli i punti stazionari della funzione U (u, v), ovvero i valori u = ueq e v = veq che
verificano
∂U
∂U
=0
=0
∂u u=ueq , v=veq
∂v u=ueq , v=veq
Si conclude dicendo che le equazioni di moto sono tutte equivalenti, in ogni parametrizzione, e che le
equazioni nei nuovi parametri si ottengono moltiplicando quella nei vecchi parametri per la matrice del
cambiamento di base (J(ū,v̄) (u, v))T
13
4.6
Integrali primi del moto
Per (24) si ha, nell’ipotesi di vincolo liscio e forza applicata di tipo gradiente:
∂U
∂U
d
(u)
(v)
U (u(t), v(t)) =
u̇ +
v̇ = Fθ u̇ + Fθ v̇ = F · Ṗ (t)
dt
∂u
∂v
Quindi adesso nelle ipotesi di vincolo liscio e forze applicate di tipo gradiente, la funzione
E(u, v, u̇, v̇) = T (u, v, u̇, v̇) + V (u, v) = E0 , V = −U
rimane costante lungo ogni moto e il valore costante viene determinato dalle quattro condizioni iniziali.
Anche la (9) è estendibile al caso bidimensionale, operando sulle equazioni di moto lagrangiane, moltiplicando per u̇ e v̇ e ottenendo alla fine:
∂L
∂L
d
u̇
+ v̇
−L =0
(29)
dt
∂ u̇
∂ v̇
che come nel caso monodimensionale esprime la conservazione dell’energia, poiché la quantità dentro le
parentesi tonde è uguale all’energia totale del sistema.
Definizione 4.3. Una coordinata ciclica è una coordinata non presente nella funzione lagrangiana
Proprietà 4.7. (Criterio di Dirichlet). Nelle ipotesi che le forze applicate siano di tipo gradiente e che il
vincolo sia liscio, se (ueq , veq ) è un minimo isolato per V (u, v) = −U (u, v), allora l’equilibro è stabile.
5
5.1
Metrica di una superficie
La prima forma fondamentale
Introdurre una metrica significa introdurre un metodo per effettuate misure su oggetti dell’insieme. Il punto
di partenza è uno spazio vettoriale V di dimensione finita n, in cui è definita unaforma bilineare: ϕV×V → R,
quest’ultima determinata dai vettori di una base {u1 , . . . un }. Gli elementi aij = φ(ui , uj ) vanno a formare
la matrice quadrata n × n che permette di calcolare il valore della forma bilineare su qualsiasi coppia di
vettori v, w, tramite ϕ(v, w) = ξ T Aη, dove ξ e η sono i vettori delle coordinate di v e w rispetto alla base
{u1 , . . . un }.
É utile ricordarsi che per passare ad una seconda base {ū1 , . . . ūn } si utilizza la formula del cambiamento
di base
Ā = BAB T
dove B è la matrice del cambio di base.
Una spazio vettoriale provvisto di unap
forma bilineare definita positiva, si dice normato, ed è possibile
definire la norma di un vettore come |v| = ϕ(v, v), in particolare se consiste nel prodotto scalare ordinario,
la norma è detta euclidea. Lo spazio a cui applichiamo le nozioni citate, è ciascuno degli spazi tangente TP Σ
costruiti in ciascuno dei punti P sulla superficie, considerando come forma bilineare, il prodotto scalare
ordinario con la norma euclidea. La matrice di tale forma, rispetto alla base {xu , xv } è:


E(u, v) F (u, v)

A(u, v) = 
F (u, v) G(u, v)
dove E(u, v) = |xu |2 , F (u, v) = xu · xv , G(u, v) = |xv |2 . Questi coefficienti sono i coefficienti della prima
forma fondamentale.
Osservazione 5.1. La scrittura dell’energia cinetica come
m
E F
u̇
T = (u̇ v̇)
F G
v̇
2
mette in evidenza la struttura di forma quadratica
14
5.2
Calcolo di quantità metriche
Le misure delle metriche(lunghezza, area. . . ) sono riconducibili ai coefficienti della 1 forma fondamentale.
Iniziamo dalla lunghezza di una curva su una superficie. Sia Γ(λ) = x(u(λ), v(λ)) una curva su Σ. Si ha che
|Γ(λ)|2 = Eu02 (λ) + 2F u0 (λ)v 0 (λ) + Gv 02 (λ)
La lunghezza della curva tra i valori λ0 e λ1 è, per definizione:
Z λ1
Z λ1 p
Eu02 (λ) + 2F u0 (λ)v 0 (λ) + Gv 02 (λ)dλ
l=
|Γ(λ)|dλ =
λ0
(30)
λ0
Definiamo l’angolo tra due curve (Γ1 (λ) = x(u1 (λ), v1 (λ) e Γ2 (µ) = x(u2 (µ), v2 (µ))su una superficie che si
intersecano nel punto P0 = x(u1 (λ0 ), v1 (λ0 ) = x(u2 (µ0 ), v2 (µ0 ). L’angolo α che si forma tra le curve è dato
da
Γ0 (λ0 ) · Γ02 (µ0 )
Eu01 u02 + F (u01 v20 + u02 v20 ) + Gv20 v10
cos α = 0 1
=
(31)
0
0 0
0
|Γ1 (λ0 )| · |Γ2 (µ0 )|
Eu02
1 + 2F u1 v2 + Gv1
Per quanto riguarda l’area di una porzione di superficie ΣD = x(u, v) ∈ R3 |(u, v) ∈ D ⊆ U ⊆ Σ, si ha che
essa vale:
Z
Z p
EG − F 2 dudv =
|xu × xv |dudv
(32)
A(ΣD ) =
D
D
Il valore della lunghezza, dell’angolo e dell’area deve essere lo stesso per qualsiasi parametrizzazione. Per
ottenere lo stesso risultato basta moltiplicare l’integranda per il valore assoluto del determinate dello Jacobiano.
Definizione 5.1. Si dice parametrizzazione ortogonale, una parametrizzazione per la quale F (u, v) = 0
in ogni punto della superficie, ovvero, i due vettori xu exv sono ortogonali, ovvero le linee coordinate si
incontrano secondo angoli retti.
5.3
Curve Geodetiche
Ci chiediamo quali curve su una superficie possiamo considerare delle ”rette”. Una risposta potrebbe essere
la curva più corta che passa tra due punti.
L’estensione di retta a superficie non piana è duplice:
Per la geometria Con rette e punti si costruisce un nuovo spazio geometrico nel quale ambientare enti
della geometria euclidea, si parla di geometrie non euclidee
Per la meccanica le rette di una superficie sono i percorsi che un punto materiale prende in assenza di
forze esterne, ovvero le traiettorie del moto spontaneo
Definizione 5.2. Una curva geodetica di una superficie è una curva Γ(λ) su di essa, tale che in ogni
punto il vettore derivata seconda Γ00 (λ) è nullo, oppure è diretto come la direzione normale alla superficie:
xu × xv
n=
|xu × xv |
Γ(λ) × n(u(λ), v(λ) = 0
oppure, in modo equivalente:
(
Γ00 · xu = 0
Γ00 · xv = 0
∀λ∈I
(33)
La (33) ha come conseguenza le seguenti
Proprietà 5.1. Se Γ(λ) è una geodetica, allora
1. |Γ0 (λ)| = c, c costante, ∀λ ∈ I
2. |Γ0 (λ) · Γ00 (λ)| = 0 ∀λ ∈ I
3. Se s è l’ascissa curvilinea sulla curva, si ha λ = as + b, dove a, b sono costanti.
Proprietà 5.2. Se Γs (s) è la parametrizzazione mediante ascissa curvilinea della geodetica Γ, vale
Γ00 (λ) = c2 Γ00s (s) = κn
dove c è la cotante che compare in 1. e Γ00s (s) è il vettore curvatura.
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(34)
Proprietà 5.3. Una curva è una geodetica se e solo se per una qualsiasi parametrizzazione x(u, v) della
superficie si ha
Γ0 (λ) × Γ00 (λ) · xu × xv = 0
(35)
Osservazione 5.2. Si può osservare che per una curva, non necessriamente geodetica, si può scomporre
il vettore curvatura Γ00s (s) secondo la direzione normale alla superficie. Per un opportuno scalare κN e un
opportuno vettore tangente alla superficie T, si ha
Γ00s (s) = κN n + T
lo scalare κN viene detto curvatura normale, mentre T misura lo scarto tra la direzione normale alla curva
e alla superficie.
La curva Γs (s) è una geodetica se e solo se T = 0
Osservazione 5.3. Si può esprimere il vettore T come: T = κτ n × Γ0s (s) per qualche scalare κτ . Il vettore
curvatura assume quindi la forma
Γ00s (s) = κN n + κτ n × Γ0s (s)
Lo scalare κτ è detto curvatura geodetica. Si può definire nuovamente la curva geodetica come quella che ha
κτ = 0
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