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La guerra fredda culturale

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La guerra fredda culturale
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La guerra fredda culturale
Come gli USA, dopo avere esportato la cultura di massa, hanno
esportato anche la critica alla cultura di massa (con l’aiuto della
CIA).
DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
08/04/2019
COURTESY WALT DISNEY

Cultura alta, cultura bassa… cultura media? È passato più di
mezzo secolo e siamo ancora qui a parlare delle stesse cose. Ne
parliamo perché l’industria dell’entertainment cresce in fatturato,
occupa sempre più tempo nelle nostre vite e, a forza di economie
di scala, scalza l’offerta culturale meno redditizia. Quello che nel
Dopoguerra era soltanto il grido di disperazione di una sparuta
classe d'intellettuali è diventato oggi, grazie all’istruzione di
massa, un coro che assembla luoghi comuni francoforteggianti e
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rievocazioni nostalgiche di paradisi perduti spesso soltanto
immaginati.
La massa denuncia la cultura di massa, la classe media schernisce
la cultura media; e anche la presunta élite, come si dice, non si
sente tanto bene. Lafresca
fresca
fresca
fresca
fresca
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riedizione
riedizione
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Masscult
Masscult
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Dwight
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Dwight
Dwight
DwightMacDonald
MacDonald
MacDonald
MacDonald
MacDonald
MacDonaldper le edizioni Piano B, nella traduzione di
Mauro Maraschi, è l’occasione perfetta per tornare a interrogarsi
sul senso di quel dibattito, che in Italia è soprattutto associato
all’opera di divulgazione (midcult?) svolta da Umberto Eco con
Apocalittici
integrati
Apocalittici
Apocalittici
Apocalittici
Apocalitticieeeeeintegrati
integrati
integrati.
integrati
integrati

Leggi anche:
Quando la cultura di massa vinse tutto
Nella prefazione scritta qualche anno dopo i fatti Eco confessava
di non riuscire a spiegarsi il successo del suo libro, che voleva
innanzitutto fare il punto su un dibattito che, nel 1964, lui
considerava già vecchio: quello sulla cultura di massa.Dialettica
Dialettica
Dialettica
Dialettica
Dialettica
Dialettica
dell'illuminismo
dell'illuminismo
dell'illuminismo
dell'illuminismo
dell'illuminismo
dell'illuminismodei filosofi Theodor W. Adorno e Max
Horkheimer, con la sua vibrante denuncia della Culture Industry,
era uscito diciassette anni prima, nel 1947. Ed è vero che, fatta
salva la brillantezza del futuro semiologo, in Apocalittici e
integrati non si trova nessuna invenzione rivoluzionaria rispetto
ai materiali antologizzati sette anni prima da Bernard Rosenberg
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e David Manning White in Mass Culture: The Popular Arts in
America. Lì dentro c’erano tutte le tematiche e tutti gli autori,
conditi con quelle stesse analisi rigorose di film e fumetti che
avrebbero creato la reputazione di eccentrico per il nostro
Umberto nazionale.
La "non-artisticità di Walt
Disney"
Evidentemente quei temi erano molto caldi, quasi pop, e l’Italia
solo lievemente in ritardo sull’America. Il saggio di Macdonald su
Masscult e Midcult, di cui l’antologia di Rosenberg e White
presentava una versione seminale sotto il titolo A Theory of Mass
Culture, è stato tradotto sull’Almanacco letterario Bompiani. Ma
lo stesso MacDonald non inventava nulla, per così dire: a
preparargli il terreno erano stati gli scritti influentissimi di
Clement Greenberg e dei già citati Adorno e Horkheimer, già
ampiamente rimasticati dalla cultura di massa. Un indizio? Nel
1949 quelle teorie le ritroviamo in bocca al personaggio
interpretato da Kirk Douglas nel film Lettera a tre mogli di Joseph
L. Mankiewicz, premiato con due Oscar, regia e sceneggiatura:
Lo scopo della scrittura radiofonica, per come la vedo io,
è di convincere le masse che un deodorante può darti la
felicità, un colluttorio garantisce il successo e un
lassativo aiuta a renderti più seducente.
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La sceneggiatrice del film, Vera Caspary, era una nota
intellettuale socialista — come Greenberg, MacDonald, Adorno e
Horkheimer. E proprio come loro, a partire dagli anni Trenta si
era allontanata dall’ortodossia staliniana per abbracciare una
forma di socialismo più facilmente solubile nel contesto
americano: un socialismo liberale, vicino alle posizioni della
Quarta Internazionale fondata da Lev Trotsky nel 1938, non
privo di venature conservatrici che emergono proprio in merito
alla cultura di massa.
Di fatto, tutto il dibattito sul Masscult va letto in chiave
geopolitica: non si capisce perché degli intellettuali si interessano
tanto di scrittura radiofonica, di fumetti o di cinema, se non
inquadriamo la questione nella più ampia riflessione sui
totalitarismi. La ridefinizione del campo estetico va di pari passo
con un tentativo di definire il “nemico” — fascismo, nazismo,
stalinismo raggruppati entro una teoria politica generale — e
soprattutto di individuare nella cultura americana stessa —
magari proprio nei terribili fumetti — i semi di una possibile
deriva totalitaria.
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courtesy Bompiani
Nel 1945 finisce una guerra, calda, e ne inizia una nuova, fredda:
una fase di rivalità politica tra le due superpotenze mondiali,
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USA e Unione Sovietica, che sarà anche l’occasione per ridefinire
le rispettive identità culturali. Così inizia un’altra guerra fredda,
quella tra cultura alta e cultura bassa. In quello stesso anno
1945, in effetti, appare sulla Partisan Review un articolo
particolare, in mezzo ad altri su temi ben più seri come la
liberazione della Francia o l'ultimo saggio filosofico di Ernst
Cassirer: la severa recensione di un cartone animato. Si tratta del
lungometraggio I tre caballeros, che fornisce alla critica
femminista Barbara Deming lo spunto per argomentare attorno a
quella che lei considera, fin dal titolo del suo intervento, la “nonartisticità di Walt Disney” (The artlessness of Walt Disney).
I Tre Caballeros
Questo film del 1944 è il seguito ideale di Saludos amigos del
1942, voluto e finanziato dal Dipartimento di Stato USA per
tessere rapporti di buon vicinato con i paesi dell'America Latina.
Come il precedente è costituito da vari episodi con il solo filo
conduttore della presenza del personaggio di Paperino. Ma non
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bisogna lasciarsi ingannare dall’apparente ingenuità della trama
e delle situazioni: secondo Deming, questo film mette in scena
addirittura “l’incubo dei nostri tempi”. Siamo, ricordiamolo, nel
1945: l’anno della bomba atomica e della liberazione di
Auschwitz. Sullo schermo, Paperino si limitava a ballare la
samba.
La cultura di massa come
strada per il totalitarismo
Non è casuale che l’articolo di Deming fosse uscito su Partisan, la
rivista su cui scrivevano i già citati MacDonald e Greenberg; il
quartiere generale dei socialisti liberali come George Orwell, dei
trotzkisti americani come James Burnham, degli intellettuali
europei sfuggiti al nazismo come Hannah Arendt o allo
stalinismo come Victor Serge. Oltre che essere il luogo di
elaborazione da cui sorse la riflessione detta antitotalitaria,
Partisan Review era uno spazio di contaminazione tra
l’intellighenzia del Vecchio Mondo e quella del Nuovo, il luogo di
una vera e propria trasmissione, anzi di un vero e proprio
trapianto. Una translatio imperii, per così dire, che passava anche
dalla capacità degli intellettuali statunitensi di legittimarsi come
eredi della cultura europea lavando via i pregiudizi che pesavano
sulla cultura degli americani.
La guerra di Partisan Review contro la cultura di massa, a dire il
vero, era iniziata qualche anno prima. Precisamente nel 1939:
nel suo articolo Avant-garde and Kitsch, infatti, Greenberg
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assimilava i prodotti dell’industria culturale americana al
realismo sovietico e all’arte dei nazisti. Si trattava secondo lui di
diverse forme di kitsch, ai quali si deve opporre la cultura alta
come una forma di resistenza culturale e perciò politica. Scrive
Greenberg:
Dove esiste un'avanguardia, generalmente troviamo
anche una retroguardia. È abbastanza vero:
contemporaneamente alla comparsa in scena
dell'avanguardia, nell'Occidente industriale spuntò un
altro fenomeno culturale, quella cosa a cui i tedeschi
hanno dato lo stupendo nome di Kitsch: l'arte e la
letteratura popolari e commerciali, con i loro rotocalchi,
le copertine delle riviste, le illustrazioni, gli annunci
pubblicitari, i romanzi su carta patinata o su carta
scadente, i fumetti, la musica pop, il tip tap, i film di
Hollywood ecc. Per qualche ragione questo gigantesco
fenomeno è sempre stato dato per scontato. Sarebbe
ora di indagare sui suoi come e i suoi perché. Il kitsch è
un prodotto della rivoluzione industriale, che
nell'Europa occidentale e in America ha urbanizzato le
masse e ha instaurato quello che si chiama
l'analfabetismo universale.
Per l’intellighenzia dell’epoca, la cultura pop era diventata una
chiave per leggere la crisi della democrazia, una teoria per
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spiegare perché in tutto il mondo i popoli si consegnavano alle
dittature di destra e di sinistra. Greenberg ne dava una
spiegazione non solo sociologica o economica, ma una
spiegazione estetica. Queste teorie, sviluppate dapprima dal
pensiero conservatore europeo — si pensi allaRibellione
Ribellione
Ribellione
Ribellione
Ribellione
Ribellionedelle
delle
delle
delle
delle
delle
masse
masse
masse
masse
masse
masse(1930) di José Ortega y Gasset, allaRivolta
Rivolta
Rivolta
Rivolta
Rivolta
Rivoltacontro
contro
contro
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controililililililmondo
mondo
mondo
mondo
mondo
mondo
moderno
Regno
della
quantità
moderno
moderno
moderno
moderno di Julius Evola (1934) o alRegno
Regno
Regno
Regnodella
della
della
dellaquantità
quantità
quantità
quantità di René
Guénon (1939) — avevano finalmente trovato una formulazione
coerente con i valori della sinistra americana.
Nasceva così la figura del “conservatore di sinistra”, di cui autori
come MacDonald, Orwell o Adorno furono i rappresentanti più
illustri — Pasolini verrà qualche anno più tardi. Per loro i
fumetti, come il cinema e la musica leggera, sarebbero degli
strumenti per manipolare le coscienze; una forma di propaganda
simile a quella impiegata di Mussolini, Hitler e Stalin.
Intellettuali come Walter Lippmann, con il suo saggio
Opinione
pubblica
sull’O
Opinione
Opinione
Opinione
Opinione
pinione pubblica
pubblica
pubblica
pubblica del 1922, e Edward Bernays, con
Propaganda
Propaganda
Propaganda
Propaganda
Propaganda nel 1926, avevano fornito spunti che erano stati
raccolti dai leader politici ma erano anche riusciti a mettere in
guardia il mondo dai potenti strumenti di manipolazione
sviluppati dall’industria culturale.
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Il dibattito contro la cultura di massa, in questo senso, nasce
all’interno di una gigantesca reductio ad hitlerum. Sfuggiti dalla
Germania nazista per approdare negli USA negli anni 1930,
Adorno e Horkheimer non potevano immaginare che nel Nuovo
Mondo avrebbero trovato ad attenderli una minaccia altrettanto
insidiosa di Adolf Hitler — ovvero Topolino. Ma questa reductio è
anche un modo di fondare, in negativo, una legittimità culturale
per gli Stati Uniti.
Negli anni seguenti le firme di Partisan proseguiranno la crociata,
che culmina in un articolo del 1946 sul Krazy Kat di George
Herriman. L’autore è il critico Robert Warshow, noto come uno
dei primi intellettuali a essersi interessato allo studio della
cultura pop ed essersi speso contro le teorie del dottor Wertham
sui rischi sociali del consumo di fumetti. Apologeta dell’arte
sequenziale, Warshow? Tutt’al contrario: qui descrive i lettori di
fumetti come "sottoproletari" (Lumpen), "nemici della cultura",
"potenziali bruciatori di libri" che allo stadio più avanzato della
propria alienazione sarebbero capaci (sic) di lasciare che i nazisti
uccidano gli ebrei.
Geopolitica della cultura alta
Insomma mentre l’industria culturale americana invade l’Europa,
un gruppo d’intellettuali newyorkesi la assimila nientemeno che
al nazismo. Più curioso tuttavia appare il fatto che la stessa
contraddizione si manifesta anche nelle decisioni politiche e
nell’azione degli organi dello Stato. Mentre il dipartimento di
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Stato promuove dei cartoni animati, la CIA inizia a interessarsi
alla rivista Partisan. Qualche anno dopo (come viene raccontato
da Hugh Wilford nel suo libro The Mighty Wurlitzer: How the CIA
Played America) l’agenzia si metterà direttamente a finanziarla
attraverso l’American Committee for Cultural Freedom.
Una delle firme più prestigiose della rivista — l’ex-trotzkista
James Burnham, folgorato sulla via di Damasco
dell’antistalinismo — collaborava con i servizi segreti americani
fin dal 1944 e diventerà pochi anni dopo il fervente direttore del
dipartimento di “Political and Psychological Warfare". In questa
luce, il dibattito tra cultura bassa e cultura alta appare come il
sintomo di una duplice strategia egemonica.
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courtesy Politecnico
Da una parte l’industria culturale americana esercita quel “soft
power” che permette di trasmettere agli europei dei valori che
accompagnano i finanziamenti del Piano Marshall (1947-1951).
Ad esempio i fumetti: in Italia, dopo il periodo di censura
mussoliniana terminato con la Liberazione, inizia a essere
pubblicato materiale USA e questo persino sulla stampa di
sinistra, dal Politecnico di Elio Vittorini che pubblica Braccio di
ferro e Barnaby all’Unità con Blondie e Dagoberto…
Il medium-fumetto diventa l’emblema dell'americanizzazione del
Tex
continente e s’incarna ad esempio nel personaggio-simbolo diTex
Tex
Tex
Tex
Willer
Willer
Willer
Willer,
Willer
Willer
Willer il cow-boy creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio
Galleppini nel 1948. Ma in verità è tutto un fiorire di eroi
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europei col passaporto americano, a partire dal Belgio con il
Lucky Luke di Morris (1946) e l’aviatore Buck Danny di JeanMichel Charlier e Victor Hubinon (1947). In questi personaggi
medium e messaggio si sovrappongono, andando a disegnare i
confini di un’America immaginata e ricostruita in laboratorio
secondo il gusto dei paesi di destinazione.

Proprio mentre colonizzano il
mondo con il proprio
immaginario pop, gli intellettuali
USA ci tengono a promuovere
un’alternativa più elitista
D’altra parte, e qui sta il paradosso, non sono pochi gli
intellettuali americani che vedono nel successo di questa nuova
cultura di massa un sintomo delle tentazioni totalitarie della
civilità industriale. Questi intellettuali (apocalittici, come
appunto li chiamerà Umberto Eco) e le loro teorie hanno un
ruolo ben preciso nel posizionamento geopolitico degli Stati
Uniti, che sentono di dover dimostrare che il Nuovo Continente è
anche in grado di esprimere una “cultura alta” in continuità con
l’esperienza modernista europea, in grado di incarnare quella
cifra antitotalitaria alla quale l’Europa aveva abdicato. Insomma
proprio mentre colonizzano il mondo con il proprio immaginario
pop, gli intellettuali USA ci tengono a promuovere un’alternativa
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più elitista, incarnata da artisti come Jackson Pollock e scrittori
come William Faulkner. Di questa attività critica, i cui bersagli
primari sono l’arte accademica e il realismo sovietico, il fumetto
sarà una delle vittime collaterali. Il successo dell’operazione
culturale portata avanti dalla Partisan Review è segnalato dal
diventare-midcult delle loro stesse battaglie, dei loro testi, dei
loro autori.
Attraverso la duplice ideologia del masscult e del midcult, gli
USA hanno prodotto ed esportato un messaggio contradditorio:
da una parte quello della cultura pop, dall’altro quello della
cultura elitista. Mentre esercitavano il dominio simbolico
necessario alla costruzione di una zona d’influenza politica e
commerciale, nello stesso tempo sono riusciti a legittimarsi come
guardiani dei più alti valori di libertà e di emancipazione. La
potenza dell’egemonia culturale americana in fondo sta tutta qui:
dopo avere esportato in Europa la loro cultura di massa, sono
riusciti a esportare persino la loro critica della cultura di massa.
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