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Graziani Secchieri - Gli ebrei di Ferrara di fronte al terremoto del 1570

Laura Graziani Secchieri
STORIA DELL’EBRAISMO IN ITALIA
STUDI E TESTI XXX
Diretta da
PIER CESARE IOLY ZORATTINI
GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE
AL TERREMOTO DEL 1570
NON SOLO VERSO ORIENTE
STUDI SULL’EBRAISMO
IN ONORE DI
PIER CESARE IOLY ZORATTINI
ESTRATTO
I
da
a cura di
NON SOLO VERSO ORIENTE
MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI
STUDI
SULL’EBRAISMO
RICCARDO D
I SEGNI e MARCELLO MASSENZIO
IN ONORE DI PIER CESARE IOLY ZORATTINI
con la collaborazione di
MARIA AMALIA D’ARONCO
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXIV
STORIA DELL’EBRAISMO IN ITALIA
STUDI E TESTI XXX
Diretta da
PIER CESARE IOLY ZORATTINI
NON SOLO VERSO ORIENTE
STUDI SULL’EBRAISMO
IN ONORE DI
PIER CESARE IOLY ZORATTINI
I
a cura di
MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI
RICCARDO DI SEGNI e MARCELLO MASSENZIO
con la collaborazione di
MARIA AMALIA D’ARONCO
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXIV
Tutti i diritti riservati
CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI
Viuzzo del Pozzetto, 8
50126 Firenze
www.olschki.it
Collana diretta da
PIER CESARE IOLY ZORATTINI
Comitato scientifico
Roberto Bonfil (The Hebrew University, Jerusalem)
Maddalena Del Bianco Cotrozzi (Università di Udine)
Benjamin Ravid (Brandeis University, USA)
Giuliano Tamani (Università di Venezia)
VOLUME
PUBBLICATO CON IL PATROCINIO E IL CONTRIBUTO DI
Università degli Studi di Udine, Dipartimento di Scienze Umane,
Fondazione CRUP, Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia onlus,
Comunità Ebraica di Trieste, Comunità Ebraica di Padova,
Comunità Ebraica di Ferrara, Igea e Gordon Hector - Londra,
Associazione per lo Studio dell’Ebraismo delle Venezie - Udine
Comunità Ebraica di Trieste
Comunità Ebraica di Padova
Comunità Ebraica di Ferrara
ISBN 978 88 222 6356 8
INDICE
TOMO I
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
IX
Non solo verso Oriente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
XI
Bibliografia di Pier Cesare Ioly Zorattini . . . . . . . . . . . . . . . . .
» XVII
CHETRO DE CAROLIS, a PCIZ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
1
SILVIA CASTELLI, Philo’s Legatio between rethoric and history: allusions to the Jews of Rome in Philo’s Embassy to Gaius . . . .
»
5
MARIA AMALIA D’ARONCO, Giuditta eroina anglosassone . . . . . .
»
19
MARCELLO DEL VERME, Voci dal passato per l’oggi: l’angelo [del Signore] alla piscina di Bēthzathá/Bēthesdá di Gerusalemme (Gv
5,3b-4) e la ‘Guerra dei sei giorni’ (5-10 giugno 1967) . . . . .
»
27
MICHELE LUZZATI z.l., Elia da Genazzano: la sua parentela e i quattro cognomi della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
47
DANIELE NISSIM, Nomi ebraici e corrispondenti nomi locali a Padova nella seconda metà del XV secolo . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
69
MICHELA ANDREATTA, Raccontare per persuadere: conversione e
narrazione in Via della Fede di Giulio Morosini . . . . . . . . .
»
85
BENJAMIN ARBEL, Notes on the Delmedigo of Candia . . . . . . . .
»
119
STEFANO ARIETI, Amato Lusitano nella medicina del Cinquecento
»
131
ELVIRA AZEVEDO MEA, Fermento de novas mentalidades: memórias
das que saltaram tabus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
137
ANTICHITÀ E MEDIO EVO
ETÀ MODERNA
— 727 —
INDICE
CARLA BOCCATO, Vicende giudiziarie di un ebreo di Venezia nel Settecento in due processi degli Ufficiali al Cattaver . . . . . . . . . Pag. 151
MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI, Ancora su Samuel e Abram
Morpurgo di Gradisca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
167
RICCARDO DI SEGNI, L’immersione rituale (tevilà) e la tonsura nel
procedimento di riammissione dei convertiti: fonti e problemi
»
179
CRISTIANA FACCHINI, Predicare nel ghetto. Riflessioni sulla predicazione come performance rituale nel mondo ebraico di età barocca
»
187
LUCIA FRATTARELLI FISCHER, «Vivere nella sua Legge»: Phelipe
alias Philotheo Montalto da Firenze a Venezia, da Parigi ad Amsterdam. Nuovi documenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
201
ANDREA GARDI, Vicini e lontani. Luigi Ferdinando Marsigli e gli
Ebrei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
227
LAURA GRAZIANI SECCHIERI, Gli Ebrei di Ferrara di fronte al terremoto del 1570 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
245
PIETRO IOLY ZORATTINI, Carlo Antonio Maria Saverio Giuli alias
Mariam, convertito presso la Pia Casa di Venezia nel secondo
Settecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
279
GÉRARD NAHON – MICHÈLE ESCAMILLA, Matines juives à Bayonne
au XVIIe siècle au filtre du Saint Office . . . . . . . . . . . . . . .
»
295
MARIA PIA PEDANI, Kira e sultane nel Cinquecento ottomano . . .
»
345
MAURO PERANI, L’atto di morte del rabbino Šabbetay Mika’el Ginesi (1759) e il Registro dei verbali delle sedute consiliari. Un interessante esempio di incrocio delle fonti interne per la storia degli Ebrei di Lugo a metà Settecento . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
363
ADRIANO PROSPERI, Un ebreo gesuita: Gian Battista Romano alias
Eliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
387
BENJAMIN RAVID, A Moneylender (1592) and a Ghetto (1777-78):
New Light on Venetian Spalato and its Jews . . . . . . . . . . . .
»
395
MYRIAM SILVERA, Un midrash, due interpretazioni: la pluralità dei
mondi per Mosè Maimonide e per Isaac Abravanel . . . . . . . .
»
417
GIULIANO TAMANI, Il commento di Šemu’el ha-Kohen da Pisa al capitolo terzo di Qohelet (Venezia 1640) . . . . . . . . . . . . . . . .
»
431
ANDREA ZANNINI, Nazionalità, religione e commercio a Venezia agli
inizi del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
443
— 728 —
INDICE
TOMO II
ETÀ CONTEMPORANEA
ELIA BOCCARA, Elitarismo, Israelitismo, e Neo-Marranesimo tra gli
Ebrei portoghesi di Tunisi: l’esempio della famiglia Valensi . . Pag. 459
ANTONIO DANIELE, La poesia di Primo Levi . . . . . . . . . . . . . .
»
489
EMANUELE D’ANTONIO, Graziadio Isaia Ascoli e l’antisemitismo di
Cesare Lombroso. Una critica epistolare . . . . . . . . . . . . . . .
»
503
BRUNO DI PORTO, Per un profilo culturale di Raffaele Ottolenghi.
Contributo su aspetti di fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
519
GIOVANNI LUIGI FONTANA, La Scuola ‘Ottorino Tombolan Fava’ e
le origini del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta
(1923-1943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
535
FELICE ISRAEL, Studi su Filosseno Luzzatto II: i rapporti familiari
dalla fanciullezza alla maturità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
547
GADI LUZZATTO VOGHERA, Ripensare Jules Isaac: a cinquant’anni
dalla morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
559
JOHN TEDESCHI, A harbinger of Mussolini’s Racist Laws: the case of
Mario Castelnuovo-Tedesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
569
IDA ZATELLI, Graziadio Isaia Ascoli e il IV Congresso Internazionale degli Orientalisti a Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
587
LUCA ARCARI, La comparazione come metodo di selezione ‘cristianocentrica’ in Wilhelm Bousset. La ‘sostanziale differenza’ del giudaismo nel comparativismo storico-religioso tra Ottocento e Novecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
597
PIER ANGELO CAROZZI, «Quanto è difficile dire mito...». Una lettera storico-esegetica di Salvatore Minocchi a Uberto Pestalozza
»
623
MARCELLO MASSENZIO, Etnologia e teoria della religione. I contributi di Émile Durkheim, Sigmund Freud, Rudolf Otto . . . . .
»
641
RENATO ONIGA, Le Pagine ebraiche di Arnaldo Momigliano . . .
»
655
FULVIO SALIMBENI, Tra storia e letteratura. A proposito di un’antologia di scrittori ebrei italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
671
TEORIA E STORIOGRAFIA
— 729 —
INDICE
INDICI
Indice degli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 683
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
701
Indice dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
721
— 730 —
LAURA GRAZIANI SECCHIERI
GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570*
Quando il Santo – sia Egli Benedetto – fa tremare il
suo mondo, Elia ricorda le buone azioni dei padri ed
Egli si impietosisce, e cosı̀ farà nella sua eterna misericordia.
‘AZARYAH DE’ ROSSI 1
Gli anni Settanta del Cinquecento, come è noto, videro la città di Ferrara
segnata da una lunghissima serie di movimenti tellurici. Ricordato e descritto
dalle cronache 2 coeve e non solo, analizzato e studiato dagli storici di diversa
* Preparandomi alla stesura di questo saggio, ho iniziato ad analizzare il materiale archivistico,
raccolto in modo asistematico nell’arco di anni, quando il tardo inverno del 2012 lasciava il passo
all’entrante primavera. Il terremoto di maggio mi ha sorpresa a vivere con tutti i Ferraresi gli stessi
sentimenti di paura e insicurezza che andavo analizzando nelle descrizioni dei miei concittadini di
cinque secoli fa.
ABBREVIAZIONI:
Ammin. Fe.
= Amministrazione finanziaria dei paesi, Ferrara e ferrarese;
Arch. Camerale = Archivio Camerale Marchionale poi Ducale Estense;
ANAFe
= Archivio Notarile Antico di Ferrara;
ASCFe
= Archivio Storico Comunale di Ferrara;
ASCoFe
= Archivio Storico del Comune di Ferrara;
ASDFe
= Archivio Storico Diocesano di Ferrara;
ASFe
= Archivio di Stato di Ferrara;
ASMo
= Archivio di Stato di Modena;
ASV
= Archivio Segreto Vaticano;
DBI
= Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma
La sitografia è stata verificata al mese di dicembre 2012.
1 G. BUSI , Il terremoto di Ferrara nel ‘‘Me’or ‘Einayim’’ di ‘Azaryah de’ Rossi, in We-zo’t le-Angelo. Raccolta di studi giudaici in memoria di Angelo Vivian, a cura di G. Busi, Bologna, AISG 1993,
p. 82.
2 Per una puntuale analisi della cronaca municipale, dei ‘libri di ricordanze’ familiari e della
produzione annalistica nei territori governati dagli Estensi, dall’investitura di Borso a duca sino alla
devoluzione allo stato pontificio, cfr. M. FOLIN, Le cronache a Ferrara e negli Stati estensi (secoli XVXVI), in Storia di Ferrara – Il Rinascimento. Situazioni e personaggi, VI, coord. scientifico di Adriano
Prosperi, Ferrara, Corbo 2000, pp. 459-492 (anche in: http://www.rm.unina.it/biblioteca/scaffale/
— 245 —
LAURA GRAZIANI SECCHIERI
estrazione,3 il terremoto ha colpito la capitale dello stato estense dal 1570 con
ripetute scosse, delle quali sono in generale noti i gravi effetti.4 Ugualmente citata è la descrizione dell’evento che ci ha lasciato ‘Azaryah – Bonaiuto per i cristiani – de’ Rossi,5 sebbene essa non sia stata analizzata come specifica fonte di
ragguagli riguardo l’impatto prodotto dal sisma sulla popolazione ebraica.
Download/Autori_F/RM-Folin-Principi.pdf, con la cospicua bibliografia); A. BIONDI, Ferrara: cronache della caduta, in ivi, pp. 493-508.
3 Vasta e settoriale la bibliografia di riferimento; per un inquadramento della sismografia storica, cfr. E. GUIDOBONI – M. STUCCHI, The contribution of historical records of earthquakes to the evaluation of seismic hazard, «Annali di Geofisica», XXXVI, 3-4, 1993, pp. 201-215; Earthquakes in the
Past. Multidisciplinary approaches, a cura di E. Boschi, R. Funicello, E. Guidoboni, A. Rovelli, «Annali di Geofisica», XXXVIII, 5-6, 1995, pp. 473-1029.
Riguardo al tema della paura e alle risposte che il mondo occidentale, religioso e secolare, le ha
riservato, cfr. J. DELUMEAU, La peur en Occident, Paris, Fayard 1978; ID., Le péché et la peur. La culpabilisation en Occident, Paris, Fayard 1983; ID., Rassurer et protéger: le sentiment de sécurité dans
l’Occident d’autrefois, Paris, Fayard 1989; A. BORST, Il terremoto del 1348. Contributo storico alla ricerca sulle catastrofi, Salerno, Pietro Laveglia Editore sas 1988; E. GUIDOBONI, Filastrio e l’eresia sull’origine naturale del terremoto, in I terremoti prima del Mille in Italia e nell’area mediterranea. Storia
Archeologia Sismologia, a cura di E. Guidoboni, Bologna, SGA 1989, pp. 178-181; C. ROHR, Man
and Natural Disaster in the Late Middle Ages: The Earthquake in Carinthia and Northern Italy on
25 January 1348 and its Perception, in Coping with the Unexpected. Natural Disasters and their Perception, ed. by M. Kempe e C. Rohr, «Environment and History», IX, 2003, pp. 127-149.
4 Sul sisma ferrarese del 1570-74, cfr. E. GUIDOBONI , Riti di calamità: terremoti a Ferrara nel
1570-74, «Quaderni Storici», XIX, 1984, 55, pp. 107-136; EAD., I terremoti nel territorio ferrarese,
in Storia illustrata di Ferrara, a cura di F. Bocchi, Milano, AIEP 1987, vol. II, pp. 625-640;
G. BUSI, The seismic history of Italy in the Hebrew sources, in Earthquakes in the Past cit., pp. 473489: 475.
Alla luce degli avvenimenti del maggio 2012, possiamo dire che sono stati trascurati gli esiti del
convegno Ferrara e i terremoti – storia, attualità, pianificazione, organizzato dall’Associazione dei
Geologi della Provincia di Ferrara il 12 febbraio 1993, a partire dagli studi sui terremoti storici e
sulla struttura geologica regionale e della dorsale ferrarese, fino alle conclusioni: «si è visto anche
da un’analisi di tutti i dati e le evidenze esistenti che la possibilità che si verifichi un evento sismico
di grossa portata non è del tutto remota», E. FARINATTI, La struttura profonda del sottosuolo ferrarese:
modelli ed interpretazioni geologiche, relazione al convegno. Le medesime tematiche sono state riproposte anche in epoca più recente, purtroppo altrettanto inutilmente, cfr. E. GUIDOBONI – M. FOLIN,
Terremoti a Ferrara e nel suo territorio: un rischio sottovalutato, «Ferrara. Voci di una città», 33, 12/
2010, pp. 64-69, anche in: http://rivista.fondazionecarife.it/it/2010/item/735-terremoti-a-ferrara-enel-suo-territorio-un-rischio-sottovalutato. Questa disattenzione sembra essere frutto del convincimento, insito nella cultura occidentale europea, che l’uomo sia vincitore sulla natura, sottomessa e
piegata al proprio servizio, certezza che ha sviluppato processi di rimozione e oblio, cfr. M. MATHEUS, L’uomo di fronte alle calamità ambientali, in Le calamità ambientali nel tardo Medioevo europeo: realtà, percezioni, reazioni. Atti del XII convegno del Centro Studi sulla civiltà del Tardo Medioevo
– San Miniato 31 maggio-2 giugno 2008, a cura di M. Matheus, G. Piccinni, G. Pinto, G.M. Varanini,
Firenze, Firenze University Press 2010, p. 19.
5 Cfr. BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., pp. 53-92: 53-54, con la relativa bibliografia. Lo studio
propone la prima versione integrale in lingua italiana della porzione iniziale del libro, intitolata Qol
Elohim (‘La voce di Dio’), che comprende anche la descrizione del sisma di Ferrara: «La voce di Dio.
Racconto delle terribili scosse di terremoto che ebbero luogo a Ferrara nell’anno [5]331 [=1570-1]»,
p. 60. Il lavoro di G. Busi è ignorato nella pregnante premessa che introduce la traduzione in inglese
del Me’or ‘Einayim, cfr. J. WEINBERG, Azariah de’ Rossi: The Light of the Eyes, New Haven and London, Yale University Press 2001 (Yale Judaica Series XXXI).
— 246 —
GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
Nato a Mantova da Moses min ha-Adumin probabilmente nel 1511,6 a 35
anni ‘Azaryah de’ Rossi ha sposato la sorella del banchiere mantovano Hayym
Massaran.7 È vissuto fra Ancona, Bologna e Ferrara: si è stabilito 8 in quest’ultima giusto in tempo per essere testimone oculare del terremoto del 1570, appunto. Della sua produzione letteraria è stato pubblicato il solo Me’or ‘Einayim (‘La luce degli occhi’),9 testo di grande forza poetica ed erudizione,
che lascia trasparire la matrice della tipica cultura ricevuta dai giovani Ebrei
italiani nel Rinascimento: i temi della tradizione ebraica sono amalgamati
con studi ‘secolari’, comprese grammatica e retorica tanto italiane quanto latine.10 Per la familiarità con le opere sia degli antichi pagani sia dei suoi contemporanei cattolici e protestanti, de’ Rossi ha svolto una cogente funzione
come mediatore tra le culture ebraica e cristiana.11 Gravato dall’uso di fonti
non ritenute ortodosse, il contenuto critico 12 della cronologia talmudica, della
Alcuni passaggi del Qol Elohim erano già stati tradotti in italiano e pubblicati in N. SHALEM,
Una fonte ebraica poco nota sul terremoto di Ferrara del 1570, «Rivista geografica italiana», 45,
1938, pp. 66-76. Prodromi degli studi più recenti sono individuabili in R. BONFIL, Some Reflections
on the Place of Azariah de Rossi’s Meor Enayim in the Cultural Milieu of Italian Renaissance Jewry, in
Jewish Thought in the Sixteenth Century, ed. by B. D. Cooperman, Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1983, pp. 23-48 che comprende anche la traduzione inglese dell’intero testo inerente il
terremoto.
6 Cfr. WEINBERG , Azariah de’ Rossi cit., p. XIII .
7 Cfr. ivi, p. XV .
8 Lo stesso ‘Azaryah ha indicato la propria fuga dalla città felsinea e, implicitamente, il rifugio
nella capitale estense: «Canterò al Signore della mia salvezza [...] poiché, oltre a quanto ha già compiuto in mio favore nel farmi fuggire, nell’anno [5]327 [=1566-7] dalle mani dell’angelo sterminatore
nella comunità di Bologna», BUSI, Il terremoto di Ferrara cit., p. 89.
Per l’espulsione degli Ebrei da Bologna, cfr. D. CARPI, The Expulsion of the Jews from the Papal
States during the Time of Pope Pius V and the Inquisitional Trials against the Jews of Bologna (hæbr.),
in Scritti in memoria di Enzo Sereni, a cura di D. Carpi and R. Spiegel, Jerusalem, Fondazione Sally
Mayer 1970, pp. 145-165; A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi 1992, p. 254.
9 Prima edizione: A. DE ’ ROSSI , Me’or ‘Enayim, Mantova 1573-75. Sulle diverse edizioni, cfr.
BUSI, Il terremoto di Ferrara cit., pp. 54-55, 57.
10 WEINBERG , Azariah de’ Rossi cit., p. XIV . L’origine eterogenea della propria formazione e di
quella del testo è dichiarata in modo esplicito dallo stesso ‘Azaryah nell’introduzione al primo capitolo: «Considerazioni generali sul terremoto tratte dalla Scrittura, dalle opere dei nostri padri, da
quelle di alcuni sapienti cristiani e dei popoli che li hanno preceduti», BUSI, Il terremoto di Ferrara
cit., p. 60.
11 Cfr. G. VELTRI , The Humanist Sense of History and the Jewish Idea of Tradition: Azaria de’
Rossi’s Critique of Philo Alexandrinus, «Jewish Studies Quarterly», 2, 1995, pp. 372-93; ID., Der Lector Prudens und die Bibliothek des (uralten) Wissens: Pietro Galatino, Amatus Lusitanus und Azaria
de’ Rossi, in Christliche Kabbala: Johannes Reuchlins geistesgeschichtliche Wirkumg, a cura di
W. Schmidt-Biggermann, Pforzheim, Thorbeke 2003; J. WEINBERG, ‘‘The Voice of God’’: Jewish
and Christian Responses to the Ferrara Earthquake of November 1570, «Italian Studies», 46, 1991,
pp. 69-81; EAD., The Beautiful Soul: Azariah de’ Rossi Search for Truth, in Cultural Intermediaries.
Jewish Intellectuals in Early Modern Italy, ed. by D.B. Ruderman, G. Veltri, Philadelphia, University
of Pennsylvania Press 2004, pp. 109-126.
12 A. Pesaro lo dice «iniziatore della critica scientifica intorno alla letteratura giudaica», cfr.
— 247 —
LAURA GRAZIANI SECCHIERI
storia e tradizione ebraica espresso nel Me’or ‘Einayim è valso allo studioso
l’ostracismo degli ambienti ebraici conservatori e il cherem verso il libro, di
cui alcune comunità consentivano la lettura solo in presenza di deroghe rabbiniche scritte.13 Secondo quanto riportato nell’autobiografia di Leon Modena, de’ Rossi sarebbe morto nell’anno 5338 dalla creazione che corrisponde al
1577-78: nella copia del Me’or in suo possesso, il rabbino veneziano ha aggiunto di suo pugno il racconto della visione avuta dal mantovano nel 1574
che preannunciava la propria morte dopo tre anni, cosı̀ come Leon Modena
testimoniava che fosse esattamente avvenuto.14
L’isolamento dalla koinè ebraica fu tale da spingere de’ Rossi a chiedere
aiuto e sostegno alla curia ferrarese. Il 17 luglio 1577 l’inquisitore di Ferrara
indirizzò una lettera di raccomandazione al cardinale di Santa Severina, Giulio
Antonio Santoro, nella quale esprimeva l’opinione che, nonostante i tentativi
esperiti per ben due anni di portarlo alla conversione, ‘Azaryah de’ Rossi volesse «stare hebreo, ma non pazzo hebreo» e che avesse bisogno assoluto dell’intercessione del cardinale per pubblicare le sue opere «essendo poverissimo
A. PESARO, Memorie storiche sulla Comunità Israelitica ferrarese, Ferrara, Tipografia Sociale 1878,
ristampa anastatica, Sala Bolognese, A. Forni 1986, p. 27. Roberto Bonfil evidenzia lo scandalo e
le dotte dissertazioni seguiti alla pubblicazione del Me’or ‘Einayim, cfr. R. BONFIL, Lo spazio culturale degli ebrei d’Italia fra Rinascimento ed Età barocca, in Gli Ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, «Storia d’Italia», Annali XI, I. Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, Torino, Einaudi 1996,
pp. 413-473: 442.
13 Cfr. M. MORTARA , Cenni sul terremoto di Ferrara del 1570 e sulla famiglia del Rabbino Azaria
de Rossi, «Il Corriere Israelitico», 2, 1863-1864, pp. 121-125; B. LEVI, Della vita e degli scritti di Azaria de Rossi, Padova, Crescini 1868; S. WITTMAYER BARON, La méthode historique d’Azaria de’ Rossi,
Paris, Elias 1929; J. WEINBERG, Azariah dei Rossi. Toward a Reappraisal of the Last years of his Life,
«Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», sez. III, 8, 2, 1978, pp. 493-511; D. KAUFMANN,
Contributions à l’histoire des luttes d’Azaria de Rossi, «Revue des études juives», 33, 1986, pp. 77-87;
BONFIL, Some Reflections on the Place of Azariah de’ Rossi’s cit., pp. 23-48; Rossi, Azariah ben Moses
dei: biografia in Jewish Encyclopedia: http://www.jewishencyclopedia.com/articles/2197-azaria-bmoses-de-rossi. De’ Rossi, Azaria Bonaiuto, biografia in Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/de-rossi-azaria-bonaiuto/; BONFIL, Rabbini e comunità ebraiche cit., pp. 128-130
con la bibliografia ivi citata.
14 Vita di Jehudà. Autobiografia di Leon Modena rabbino veneziano del XVII secolo, a cura di
E. Rossi Artom, U. Fortis, A. Viterbo, Torino, Silvio Zamorani 2000, p. 71. Dalla vasta bibliografia
sulla vita del rabbino, cfr. M. COHEN, The Autobiography of a Seventh-century Venetian Rabbi: Leon
Modena’s Life of Judah, Princeton University Press 1988, che comprende la traduzione inglese dell’autobiografia del rabbino veneziano e saggi introduttivi che ne delineano l’essenza e la portata nell’ambiente ebraico e non solo; Processi del S. Uffizio di Venezia contro Ebrei e Giudaizzanti, a cura di
P.C. Ioly Zorattini, 14 volumi, Olschki, Firenze 1980-1999 (Storia dell’Ebraismo in Italia – Studi e
testi, II-III, V-VIII, X, XII-XVI, XVIII-XIX; d’ora in avanti citato per numero del volume), X, ad
indicem; Processi del S. Uffizio di Venezia, XI, ad indicem; HOWARD ERNEST ADELMAN, Success and
Failure in Seventeenth Century Venice: The life and Thought of Leon da Modena, 1571-1648, Ph.D.
diss., Brandeis University Press 1985; P.C. IOLY ZORATTINI – A. MORELLI, Modena, Leon (Yehudah
Aryeh mi-Modena), DBI, 75, 2011; anche online http://www.treccani.it/enciclopedia/leon-modena_
(Dizionario-Biografico)/.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
et perseguitato da hebrei».15 Non possiamo dire se siano state poco significative le parole dell’inquisitore o se egli fosse poco influente, ma chiaramente
l’attesa «limosina per poter stampar dette sue fatiche» non è stata elargita e
la rimanente opera letteraria di de’ Rossi è ancora manoscritta.16
Per le finalità di questo studio, limiterò l’analisi di Me’or ‘Einayim alle sole
parti del primo capitolo Qol Elohim (‘La voce di Dio’), che descrivono gli avvenimenti ferraresi, evidenziando analogie e difformità rispetto a quanto esposto dai cronachisti allo scopo di verificare se vi siano espresse peculiarità relative alla comunità ebraica. L’autore ha collocato la prima scossa all’ora
decima della notte del 17 Kislew 5331 corrispondente al 18 novembre
1570 17 ma, nel suo commento al Me’or ‘Einayim, D. Cassel ha rilevato come
la prima scossa abbia avuto luogo il 16 Kislew, cioè il 17 novembre.18 Ricca di
rimandi biblici e letterari, la prosa di de’ Rossi, alterna elementi oggettivi per
indicare il palesarsi del sisma e i suoi effetti materiali, con descrizioni soggettive e incentrate sulle reazione degli abitanti, che accomunano nella paura i
concittadini cristiani ed ebrei.19 Quello che ci viene tratteggiato è il popolo impreparato e sgomento di una città lacerata e devastata, ferita gravemente ma
non a morte: le parole conclusive del primo capitolo si aprono alla speranza
fondata sulla concreta solidità degli antichi edifici ferraresi e sulla volontà
del Signore di volgere in positivo anche le circostanze più negative.20
WEINBERG, Azariah dei Rossi. Toward a Reappraisal cit., p. 511.
In particolare, sono note due copie manoscritte dell’analisi della versione siriaca dei Vangeli:
la prima dedicata a Giacomo Boncompagni, figlio di Gregorio XIII, è presso la Biblioteca vaticana;
posteriore e ampliata con introduzione di varianti. La seconda era dedicata a Giulio Antonio Santoro, cardinale di Santa Severina: riporta sulla prima carta, di mano posteriore: «Osservazioni di
Buonaiuto de’ Rossi Ebreo sopra diversi luoghi degli evangelisti nuovamente esposti secondo la vera
lezione siriaca»; cfr. WEINBERG, The Beautiful Soul cit., p. 124, n. 112; EAD., Azaria de’ Rossi’s Obsevations on the Syriac New Testament, London, The Warburg Institute-Nino Aragno editore 2005.
L’opera è stata segnalata anche in M. MORTARA, Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti di cose
giudaiche in Italia, Padova, Tipografia F. Sacchetto 1886, p. 57: «de Rossi Azarjà ben Mosè, Mantova, Ferrara, sec. 16 [...]», con segnalazione di scritti editi e manoscritti.
17 L’ora decima corrisponde al lasso fra le 2 e le 3 della notte, secondo l’uso locale di computare
le ore dal tramonto. La scossa è stata preceduta da un rumore fortissimo che per de’ Rossi ha avuto
durata pari a «un mezzo decimo di ora» ossia a tre minuti, cfr. BUSI, Il terremoto di Ferrara cit., p. 63.
Le fonti cristiane hanno descritto che «continuò per più d’un Pater nostro», WEINBERG, ‘‘The Voice
of God’’ cit., p. 9, nota 11.
18 A. DE’ ROSSI , Me’or ‘Einayim, a cura di D. Cassel, Vilna 1864-66, repr. Jerusalem, 1970; la
data del 17 novembre è supportata dalle fonti coeve. In ogni caso, de’ Rossi ha confuso il numero ma
non il giorno della settimana: la prima scossa ha fatto tremare la città il venerdı̀, cioè durante Shabat.
19 Cfr. BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., in particolare alle pp. 63-66 e 85-86. Rimando alle pagine
seguenti la descrizione delle rovine subite dalle abitazioni dello stesso de’ Rossi e di Isaac da Fano.
20 «Ci rincuorò vedere che molte delle costruzioni di Ferrara, che erano state danneggiate, potevano essere restaurate e riparate, giacché erano state costruite in passato forti e solide: negli abitanti
della città nacque la speranza che essa di nuovo fosse celebrata alle porte per la perfetta bellezza,
15
16
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
La lettura di Qol Elohim deve essere attenta a discernere i momenti in cui
il testo descrive il popolo ferrarese nel suo complesso, dai passi in cui si volge
al più ristretto nucleo ebraico: a tutta prima esso sembra, infatti, riferirsi a
quest’ultima comunità quando indica la necessità e l’urgenza di seppellire, nonostante fosse sabato, gli oltre settanta morti travolti dai crolli della forte scossa del secondo giorno,21 mentre più oltre riferisce che nessun ebreo è rimasto
ferito o ucciso durante il sisma,22 dimostrando di avere in precedenza esteso
anche ai Cristiani l’impellenza della sepoltura e la sacralità dello Shabbath.
Sebbene l’autore abbia costruito il suo intero trattato sul confronto fra le teorie scientifiche e le speculazioni filosofiche dall’antichità alla sua contemporaneità, ha sfruttato una sola volta la tecnica del parallelismo o dell’accostamento nel descrivere le vicende e le traversie vissute dalla comunità ebraica
rispetto alla maggioranza dei concittadini cristiani.23 Ne è segnale il passaggio
che descrive i danni subiti dalle sinagoghe.24 ‘Azaryah de’ Rossi non ha proposto alcun paragone con il numero delle chiese colpite e con l’entità dei danni subiti, esattamente come non ha evidenziato la misura delle rovine e dei deperché sapessimo che nulla si oppone al Signore nel far sı̀ che a volte il male si trasformi in bene, e
che la maledizione diventi benedizione del cielo», ivi, p. 92.
Di opinione del tutto opposta è stato l’architetto Pirro Ligorio. Successore di Michelangelo come
responsabile della fabbrica di San Pietro, Pirro era passato al servizio degli Este cui ha progettato la
villa di Tivoli per ottenere, nel 1568, l’incarico di antiquario di corte a Ferrara, dove è morto il 29
ottobre 1583. Nel suo Libro, o Trattato de’ diversi terremoti l’architetto conclude la disamina dei sismi
passati motivando la grande distruzione vissuta dalla capitale estense con la scadente qualità dei materiali edilizi utilizzati per di più secondo tecniche costruttive grossolane quando non addirittura errate, cfr. E. GUIDOBONI, ‘‘Delli rimedi contra terremoti per la sicurezza degli edifici’’: la casa antisismica
di Pirro Ligorio (sec. XVI), in Tecniche e società nell’Italia dei secoli XII-XVI, Atti dell’XI Convegno Int.
del Centro Studi di Storia e d’Arte – Pistoia 1984, Bologna 1987; EAD., An early project for an antiseismic house in Italy: Pirro Ligorio’s manuscript treatise of 1570-74, «European Earthquake Engineering», n. 4, 1997, pp. 1-18; EAD., Libro di Diversi Terremoti, Roma, De Luca Edizioni d’Arte 2005.
Però la situazione in città non sembra già più cosı̀ drammatica quando, nel luglio del 1574, il
convoglio di Enrico III di Polonia, futuro re di Francia, viene accolto trionfalmente anche grazie alle
architetture effimere di Pirro Ligorio (cfr. M. MIOTTI, I simboli del trionfo: Ferrara accoglie Enrico III,
in Alla corte degli estensi. Filosofia, arte e cultura nei secoli XV e XVI. Atti del Convegno internazionale di studi – Ferrara 5-7 marzo 1992, a cura di M. Bertozzi, Ferrara, Università degli studi di Ferrara
1994, pp. 287-298): dobbiamo chiederci se siamo di fronte a una sopravvalutazione del sisma e dei
relativi danni, nell’un caso, o a una minimizzazione degli effetti, nell’altro.
21 BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., p. 65.
22 Ivi, p. 89.
23 In tal senso, il tentativo di evidenziare alcuni momenti vissuti dall’una o dall’altra collettività
deve essere perfezionato consultando anche altre fonti.
24 Ivi, pp. 88-89: «Fu un prodigio straordinario che, benché la dimora negli edifici fosse in quei
giorni assai pericolosa a causa delle scosse che erano avvenute, e per quelle che si temeva potessero
avere luogo, tanto che chiunque voleva aver salva la vita evitava di continuare a risiedervi, il lume
perpetuo non venne mai meno in nessuna delle dieci sinagoghe che vi sono qui a Ferrara. È vero
che anch’esse furono colpite da fenditure e spaccature che bisognò riparare, ma non in modo che
la gente non potesse pregarvi la sera e la mattina».
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
terioramenti patiti dal patrimonio edilizio in uso agli Ebrei rispetto a quello
utilizzato dai Cristiani. E credo si debba ritenere che la scelta di esprimersi
attraverso un ‘non confronto’ fosse estranea alla difficoltà di avere un quadro
quantitativo complessivo quanto, piuttosto, fosse insita proprio nella volontà
di non effettuare alcuna comparazione. Difficile valutare se l’autore abbia preso tale decisione per non evidenziare – oppure, se si preferisce, per sottacere –
una circostanza in tutto o in parte più favorevole agli Ebrei: sebbene il trattato, essendo stato steso in ebraico, non potesse avere un’immediata e completa
diffusione sul territorio, lo studioso mantovano, che ne desiderava la pubblicazione, non poteva escludere a priori né la possibilità – forse anche agognata,
perché sinonimo di visibilità e di agiatezza, come anche Leon Modena poi ha
più volte dichiarato per le proprie opere – che venisse tradotto e divulgato,25
né l’eventualità – questa certo paventata – che divenisse oggetto di interesse
da parte dell’Inquisizione.26
Trova un piccolo spazio nell’opera di de’ Rossi anche la vicenda particolare della sua famiglia la cui abitazione è stata gravemente lesionata già durante il primo giorno del sisma, fortunatamente senza danni alle persone.27 Attraverso il censimento delle «anime» 28 realizzato nel 1571 29 per volere di Alfonso
La prima traduzione di buona parte del Me’or ‘Einayim è stata in latino, cfr. J.H. HOTTINQuaestiones quaedam de terraemotu ex Hebraeorum atque Arabum scriptis erutae, Tiguri 1651.
26 Cfr. P.C. IOLY ZORATTINI , Censura e controllo della stampa ebraica a Venezia nel Cinquecento,
in Manoscritti, frammenti e libri ebraici nell’Italia dei secoli XV-XVI, Atti del VII Congresso internazionale dell’AISG, a cura di G. Tamani, A. Vivian, Roma, Carucci 1991, pp. 115-127; ID., II Sant’Uffizio di Venezia e il controllo della stampa ebraica nella seconda metà del ’500, in La censura libraria
nell’Europa del XVI secolo, a cura di U. Rozzo, Udine, FORUM 1997, pp. 127-146; M. CAFFIERO, I
libri degli ebrei. Censura e norme della revisione in una fonte inedita, in Censura ecclesiastica e cultura
politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, Atti del Convegno – 5 marzo 1999, a cura di C. Stango,
Fondazione Luigi Firpo – Centro di studi sul pensiero politico, Firenze, Olschki 2001 (Storia dell’ebraismo in Italia – Studi e testi XVI), pp. 203-224; EAD., Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia,
libri proibiti e stregoneria, Torino, Einaudi 2012, pp. 44-77.
In ambito ferrarese, aveva operato fra gli altri il convertito Giacomo Geraldini, cfr. R. SEGRE, La
tipografia ebraica a Ferrara e la stampa della ‘‘Biblia’’ (1551-59), «Italia medioevale e umanistica»,
XXXV, Padova, Editrice Antenore 1992, p. 327; I. SONNE, Expurgation of hebrew books – the work
of Jewish scholars, «Bulletin oh the New York Public Library», XLVI, 1942, pp. 975-1014: 989.
27 BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., p. 89: «in occasione della violentissima scossa che ebbe
luogo nell’ora terza della sera del sabato santo [quando] cadde il tetto sulla stanza in cui stavo di
solito con mia moglie e i miei figli. La maggior parte dei mattoni e delle travi che crollarono cadde
proprio sul mio letto, di modo che, se ci fossimo trovati allora in quella stanza, com’era nostra abitudine tanto alla sera quanto al mattino, saremmo stati senza dubbio pestati e triturati e – Dio
scampi! – non sarebbe restato in vita nessuno di noi».
28 È opportuno notare che, dopo essere stata registrata solo la popolazione di età superiore ai 16
anni – manca pertanto in assoluto il valore di infanzia e adolescenza –, a chiosa dei conteggi di ogni
contrada vengono scorporate le «anime inutili» cioè donne, vecchi, putti, frati, suore, preti, soldati
della «militia», Ebrei ed Ebree, computando solo gli uomini fra i 16 e i 50 anni: le sole forze attive.
29 Cfr. ASMo, Arch. Camerale, Ammin. Fe., b. 100: Popolazione – Descrizione delle anime, registro
25
GER,
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
II allo scopo di conoscere la consistenza della popolazione urbana, possiamo
apprendere che la residenza di ‘Azariah de’ Rossi appena descritta era in via
Contrari 30 e conoscere i dettagli della composizione del suo nucleo familiare:
Bonaiuto de’ Rossi .........
Ovidia sua moglie ..........
Hester figlia ....................
Rafael genero ..................
Iudia e .............................
Smeralda .........................
n.
n.
n.
n.
14 31
15
15
14
n. 15
A conclusione del volumetto, il massaro della contrada di San Romano ha
riassunto la situazione: «preti nº 7, vecchi nº 134, putti nº 409, homini dalli sedici
anni sino alli cinquanta descritti sotto il n. otto nº 456, donne nº 729, putte nº
314, hebrei nº 326, donne hebree nº 260, soldati nº 12», per un totale di 2647
persone. L’analisi dei censimenti delle singole contrade 32 permette di conoscere
l’entità della popolazione ferrarese a circa 10 mesi dall’inizio del terremoto, dopo che sono state eseguite le prime e più spedite opere di recupero edilizio e che
buona parte degli abitanti era rientrata nelle proprie abitazioni,33 volente 34 o nolente.35 Il quadro che si ricostruisce consente anche di confermare le ipotesi ineC: Descrittione delle anime del Massaro di Santo Romano, il cui incipit è: «Compendio et descritione del
populo di Ferrara, sotto la parochia di Santo Romano di quale ne è massaro messer Giovanni Battista
Savonuzzo fatta del presente anno 1571 principiando suso la via Grande dalla Gabella [...]».
30 Nello stile della sempre ostica toponomastica antica, il massaro si è espresso definendo «Da
una banda della strada di Fasolo» per indicare la strada perpendicolare all’odierna via de’ Romei,
ossia l’attuale via Contrari, appunto.
31 Dopo il capofamiglia, i registri elencano i componenti del nucleo domestico, concluso con i
servitori. A fianco di ogni nome è stato apposto un numero identificativo della categoria di appartenenza: con la segnatura «nº 14» è rubricato ogni uomo ebreo, con «n. 15» ogni donna ebrea.
32 ASMo, Arch. Camerale, Ammin. Fe., b. 100: Popolazione – Descrizione delle anime, registro
A: San Guglielmo; registro B: Boccacanale cioè Santo Stefano; registro C: San Romano; registro D:
San Nicolò, Santa Maria di Bocche e San Pietro; registro F: San Paolo e Sesto di San Romano; registro I: San Gregorio, San Salvatore, San Martino, Santa Maria de Vado; registro L: Sant’Andrea e
San Vitale.
33 L’esposizione degli eventi sismici tramandata da un testimone dell’epoca si conclude proprio
con l’indicazione del conteggio dei fuoriusciti: «fu fatta una descricione che li era andato forra di
Ferrara più de ondece millia persone, che poi tornorno pasato che fu li frangenti», ASV, Armadio
XLVII, n. 22, G.M. DI MASSA, Memorie di Ferrara, c. 55v. Nella realtà, i registri ducali hanno annotato i presenti in città, strada per strada, praticamente casa per casa.
34 Secondo testimoni oculari, il rientro in città e nelle abitazioni è stato intrapreso dopo tre mesi
dall’inizio delle principali scosse telluriche: «per li qualli terremoti fu di bisongno ongnuno di Ferrara
abandonare le lor chase et a ritirarse alla canpangna per spacio de mesi tre»; ivi, c. 55v.
35 Il bando ducale emesso il 14 agosto 1571 intimava perentoriamente alla popolazione sfollata
il ritorno in città entro il mese di ottobre, pena la perdita dei beni, cfr. ASMo, Cancelleria Ducale,
Gridario, Registri di gride, busta 1, t. I, cc. 51-54: Grida sopra il venire ad habitare a Ferrara.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
renti le aree di maggior densità abitativa da parte degli Ebrei, sebbene alcuni
valori percentuali risultino forse falsati dalla presenza dei grandi conventi nelle
contrade di Boccacanale e Santo Stefano e di San Guglielmo.
Contrada
Totale abitanti
oltre i 16 anni
Ebrei
Ebree
Totale
%
San Guglielmo
6.394
20 spagnoli
22
42
0.65
Boccacanale Santo Stefano
3.343
6
7
13
0.38
San Romano
2.647
326
260
586
22.13
San Nicolò
817
–
–
–
Santa Maria di Bocche
779
51
57
108
13.86
San Pietro
2.182
36
34
70
3.20
San Paolo
386
20
8
28
7.25
Sesto di San Romano
933
17
17
34
3.64
San Gregorio
1.100
184
183
367
33.66
San Salvatore e San Martino
1.187
11
9
20
1.68
Santa Maria in Vado
985
–
–
–
–
Sant’Andrea
935
–
–
–
–
San Vitale
294
–
–
–
–
671
597
1.268
5.76
Totale popolazione
21.985
–
Dopo le prime violentissime scosse, le famiglie ebree di Ferrara, come
quelle cristiane, hanno reagito rispondendo ai rischi più prossimi e al timore
del sisma secondo due modalità: 36 alcuni nuclei si sono accampati nei giardini
o nelle immediate vicinanze della città, come i de’ Rossi; 37 altri hanno scelto di
allontanarsi in località sicure, presso parenti e amici, e ne sono un esempio i
Modena, che vedremo più oltre, e imprecisati «ebrei e marrani» che sono citati in una missiva spedita da Ferrara il 23 novembre.38
BUSI, Il terremoto di Ferrara cit., pp. 85-86.
Ivi, pp. 90-91.
38 Discours sur l’espouventable, horrible et merveilleux tremblement de terre, citato in WEINBERG, Azariah de’ Rossi: The Light of the Eyes cit., p. 24, nota 82.
36
37
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
Identici per le due componenti religiose della popolazione ferrarese sono
stati i proponimenti delle preghiere e dei digiuni,39 che la comunità cristiana
ha esternato anche con processioni. Se indistinguibili sono stati la paura e lo
sconforto, equivalente è stato l’aiuto apportato da chi aveva qualcosa da offrire ai più sfortunati: 40 per la compagine ebraica Qol Elohim presenta uno
dopo l’altro i «benefattori della comunità di Ferrara».41 Citato per primo,
troviamo «il nobile, padre dei poveri», don Yishaq Abravanel, di cui tratterò
in seguito. Al suo fianco nell’opera meritoria di soccorso, Yishaq da Fano,42
Yosef ha-Lewi, Aharon de’ Galli,43 Rabbi Šelomoh da Modena e, indicati in
modo più generico, «gli eletti tra i notabili del popolo di Dio della comunità
sefardita».44
Poco più oltre, ‘Azaryah de’ Rossi ha descritto la drammatica esperienza
vissuta dallo stesso Isaac da Fano, anch’egli salvatosi quasi miracolosamente
insieme alla sua famiglia dal crollo della propria abitazione.45
39 BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., p. 88. Altrettanto si fece a Venezia in occasione della fine
delle peste, nel novembre 1631; Vita di Jehudà cit., p. 95. A questo proposito, si deve avere la consapevolezza di quanto fosse differente l’interpretazione offerta da Medioevo ed Età moderna ai fenomeni eccezionali: nei flagelli divini erano riuniti invasione delle cavallette, carestia e terremoto, pestilenza e guerra, sulla scorta dell’Apocalisse e delle piaghe d’Egitto, cfr. MATHEUS, L’uomo di fronte
alle calamità ambientali cit., p. 6. E sono gli stessi flagelli contro i quali la cristianità impetra protezione nella liturgia dell’Ascensione, cfr. A. BENVENUTI, Riti propiziatori e di espiazione, in Le calamità
ambientali cit., pp. 77-86: 76.
40 BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., p. 86.
41 Ivi, p. 87. Evidenzio ora l’unico caso il cui ‘Azaryah de’ Rossi ha sottolineato l’analogo comportamento tenuto dai Ferraresi delle due religioni: «E cosı̀ tra i cristiani: tutte le piazze della città, le
strade, i cortili, le zone recintate e i giardini, aperti o chiusi che fossero erano pieni di tende, baracche
di legno e capanne in cui i ricchi e i poveri stavano insieme. Anch’essi sparsero, donarono denaro ai
loro poveri, ognuno con quel che poteva donare la sua mano, giacché era tempo che ogni popolo,
nella propria lingua, si rivolgesse al Signore e gli mostrasse la propria rettitudine in espiazione e riscatto dell’anima», ivi, pp. 87-88.
42 Oltre che mercante, Yishaq – Isaac nei documenti ferraresi – da Fano era uno dei titolati del
banco dei Carri, cfr. A. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara (14921559), a cura di L. Graziani Secchieri, Firenze, Olschki 2011, ad indicem. A. Pesaro lo indica come
uno dei due capi della Comunità: l’altro era don Isaac Abravanel, di cui parleremo presto, cfr. PESARO, Memorie storiche cit., p. 28.
43 Frammentarie e poco significative le informazioni provenienti dal notarile su Aharon de’
Galli, cognome che J. Weinberg ha indicato come «Degale», cfr. WEINBERG, ‘‘The Voice of God’’
cit., p. 29. Troviamo Aaron del fu David de Gallis il 2 marzo 1576 nell’abitazione del notaio Bonsignori mentre stipula una convenzione con Ioseph del fu Isaac Levi: per entrambi non è riportata
alcuna ulteriore indicazione, cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 34 s, c. 36r,
2 marzo 1576.
44 Anche in questo caso, don Isaac Abravanel non viene accomunato alla Nazione sefardita,
cosı̀ come di norma è accaduto ai componenti della sua famiglia. La volontaria separazione degli iberici, quasi un isolamento, sembra essere la ragione della poca dimestichezza di ‘Azaryah de’ Rossi con
i nomi dei singoli che l’autore ha preferito genericamente indicare come «comunità sefardita».
45 BUSI , Il terremoto di Ferrara cit., p. 91.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
L’autore ha riferito anche dei disturbi di cui ha sofferto la propria moglie,
disturbi che egli riteneva originati dal sisma stesso 46 attraverso le grandi paure
e «il vapore del sale cattivo e sue esalazioni solfatiche». La sintomatologia descritta e in particolare la smodata voglia di sale possono essere messi in rapporto con un’insufficienza, probabilmente acuta, delle ghiandole surrenali – o
surreni – che può essere stata motivata dallo stress intenso prodotto dal terremoto. Le ghiandole surrenali producono ormoni, come il cortisone e l’aldosterone, che servono a difendere l’organismo dagli ‘insulti’ acuti di qualsiasi
origine. Potenti stress dovuti a gravi malattie, incidenti o traumi importanti
ne comportano un forte coinvolgimento: un terremoto di grave intensità rappresenta un evento traumatizzante che può causare un impegno importante
della funzione surrenalica. Tuttavia, non sempre questa risposta dell’organismo è in grado di controbilanciare gli effetti dello stress, specie in caso di attività già insufficienti prima dell’evento traumatico. La malattia primitiva che
lesiona i surreni, producendo la loro insufficienza, è detta morbo di Addison,47 sovente causata dalla tubercolosi, già presente in Italia nel XVI secolo,
di cui era nota la scrofola, anche se non si conosceva ancora come agente patogeno il bacillo di Koch. Già forse indeboliti per altri motivi, come la TBC, i
surreni della moglie di ‘Azaryah de’ Rossi potrebbero essere stati soggetti ad
una crisi acuta, detta appunto crisi addisoniana. In questa circostanza, vi è
un’importante perdita di sodio attraverso le urine, per cui nell’organismo impoverito insorge la necessità di mangiare salato o addirittura solo sale. La carenza di sodio provoca inoltre ipotensione e facilità di svenimento, e quindi
pallore. Non solo; dalla crisi surrenalica con insufficienza acuta della ghiandola, si può supporre un’azione melanocitostimolante dell’ipofisi: nel morbo di
Addison, mancando l’inibizione degli ormoni surrenalici in quanto deficitari,
l’ipofisi è ‘libera’ di produrre l’ACTH,48 ormone che stimola le cellule che
46 «A causa di quelle distrette e paure la donna che il Signore mi ha destinato [i.e. mia moglie]
cadde gravemente ammalata: il suo sangue si intorbidò, il suo volto si ingiallı̀ sino a che divenne come
un pezzo d’oro e tutti coloro che la vedevano la guardavano fisso. Fu presa da una tale voglia di sale
che durante i pasti, invece di verdura, carne o frutta, mangiava una fetta di pane con molto sale, sia in
privato sia di fronte agli altri: [tale cibo] aveva per lei un sapore dolcissimo ed ecco che si verificò il
prodigio – ne sia lode al Signore. Infatti guarı̀ senz’altra cura: non ebbe più il volto alterato; chi la
vedeva s’accorgeva che era sana, scomparve quel colore dal suo volto, e le passò del tutto, in modo
miracoloso, quella strana voglia smodata. Allora l’uomo intelligente vide che le opere del Signore
vengono dai segreti della natura: era infatti come se questa medicina fosse stata escogitata da Esculapio o da Ippocrate. Forse il vapore del sale cattivo e le sue esalazioni solfatiche che salivano dalla
terra e le arrecavano danno furono scacciate dal sale buono – questo eliminò quello – ed ella fu salvata per grazia di Dio», ivi, pp. 86-87.
47 Il morbo – o malattia – prende il nome da Thomas Addison, il primo medico che lo ha identificato.
48 Si tratta dell’AdrenoCorticoTropinHormon o ACTH.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
producono melanina, per cui la cute dei soggetti, già pallida per la bassa pressione, appare come abbronzata assumendo una tinta gialla spenta, simile all’oro vecchio. Il fenomeno descritto in Qol Elohim fu transitorio, cosa che collima con il quadro clinico di un’improvvisa e passeggera turba della funzione
ghiandolare endocrina.49 Quanto al «sangue divenuto torbido» riferito dal testo, rimane un sintomo non collaborante con il quadro generale se inteso in
senso letterale ma ben inquadrato nelle opinioni mediche del tempo basate
su temperamenti e umori fisici e psicologici.50
Un piccolo spazio in cronache e resoconti ha avuto la querelle ingeneratasi
fra papa Pio V e casa d’Este: in modo poco diplomatico, il pontefice aveva
dichiarato all’inviato internunzio di Alfonso II che era stato proprio il comportamento del duca con il suo eccessivo favore per «giudei e marrani» a richiamare il sisma su Ferrara.51 Pungente e puntuale era stata la risposta del49 Ringrazio il dottor Giorgio Ricci, mio cognato, che ha suggerito la diagnosi per la soluzione
di questo cold case medico.
50 Anche Leon Modena riferisce qualcosa di simile quando descrive gli esiti delle continue e
furiose litigate con la moglie: «io mi arrabbiavo e gridavo e impazzivo, il mio sangue si faceva nero
e ardeva, il mio cuore soffriva di vertigine e le mie viscere si agitavano in me». Dopo di che, «divenni
ulcera e pus e filamento dentro il mio corpo e mi misi a letto circa a metà del mese di Kislev con
febbri e dolori e dure morbosità, specialmente a causa dell’asma»: se questi ultimi sintomi sono ascrivibili all’asma, di più complessa analisi è il sangue ‘nero e ardente’ causato dalla aggressività muliebre, cfr. Vita di Jehudà cit., p. 110. Ancora il sangue entra nella sintomatologia e, questa volta, nel
recupero della salute di Leon Modena: «per bontà del Signore a quanto pare guarii, perché mi scoppio una bolla che si trovava nel polmone, sputai sangue dalla bocca e guarii», ivi, p. 112.
51 Quindi non era una colpa attribuita agli Ebrei ma alla liberalità religiosa di casa d’Este, che
pure aveva in qualche misura preso le distanze dalle più evidenti forme di eresia – si pensi al Calvinismo di Renata di Francia e del suo entourage –, ma che aveva subı̀to e continuava ad essere sottoposto
alle influenze interreligiose e interculturali di alcune personalità influenti della corte, da Pellegrino Prisciani a Celio Calcagnini. Tale articolato e complesso panorama è stato tratteggiato durante la XIII
Settimana di Alti Studi, svoltasi a Ferrara nel 2010 e incentrata sulla Cultura religiosa a Ferrara e nell’Europa del Rinascimento. Degli Atti, pubblicati «Schifanoia» rivista dell’Istituto di Studi Rinascimentali, 40/41, Pisa-Roma, Fabrizio Serra 2011, si segnalano in particolare, cfr. R. GORRIS CAMOS,
«Chose de si grande consequence n’estoit à dissimuler»: Calvino e la duchessa, pp. 13-36; M. MIEGGE,
Emanuele Tremellio: da Ferrara all’Europa, pp. 37-38; A. FOA, Ferrara ebraica all’alba del Cinquecento,
pp. 39-44; E. CAMPI, I luoghi dell’esilio di Emanuele Tremellio, pp. 45-58; K. AUSTIN, Le sfide e le traversie di Emanuele Tremellio, pp. 59-68; D. GARRONE, La versione latina della Bibbia ebraica di Immanuel Tremellius: alcuni esempi, pp. 69-82; M. MIEGGE, Emanuele Tremellio interprete delle profezie di
Daniele, pp. 83-88; P. STEFANI, La ‘‘Biblia Española’’ di Ferrara, pp. 89-96; L. BARALDI, Le porte della
luce. Mistica ebraica in filigrana nella Ferrara del Cinquecento, pp. 97-110; D. SPEZIARI, Clément Marot
‘ferrarese’ nel Ducato di Savoia e alla corte di Francia: l’esempio del ms. fr. 337 della Houghton Library
Università di Harvard e del ms. di Chantilly, pp. 111-118; F. MATTEI, Architettura, committenza, eterodossia: palazzo Naselli a Ferrara e palazzo Bocchi a Bologna (1527-1555), pp. 165-182.
Inoltre, cfr. G. DALL’OLIO, Il controllo dell’eresia tra zelo religioso e ragion di Stato (1530-1570),
«Storia di Ferrara – Il Rinascimento. Situazioni e personaggi», VI, coordinamento scientifico di
A. Prosperi, pp. 231-230; R. SEGRE, La tipografia ebraica a Ferrara cit., p. 331, che segnala la differente
posizione di Ercole II rispetto all’eterodossia della moglie e al ritorno all’Ebraismo dei Marrani; Giovanni Calvino – Renata di Francia. Lealtà in tensione. Un carteggio protestante tra Ferrara e l’Europa
(1537-1564), a cura di L. De Chirico e D. Walker, Caltanissetta, Alfa & Omega 2009.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
l’inviato ferrarese: «Beatissimo Padre, né giudei né marrani han causato il terremoto essendo cosa naturale».52 Ma Pio V aveva voluto l’ultima parola anche
su questo argomento: nel breve che ha indirizzato ad Alfonso II il 1º dicembre
1570, cioè circa due settimane dopo l’avvio di quella sequenza di scosse che
avrebbe afflitto Ferrara per un quadriennio, il pontefice aveva affermato che,
quantunque i terremoti siano generati da cause naturali, era bene chiedersi se i
peccati umani non avessero offerto a Dio l’occasione per consentire che si fossero verificati/verificassero: infatti Egli poteva dare un segno evidente della
sua ira, quale avvisaglia al popolo e ai principi affinché non si ostinassero a
commettere gli stessi peccati.53
Nel decennio successivo allo sciame sismico, due episodi si segnalano come cedimenti di Alfonso II in ottemperanza alla politica controriformistica del papato: l’arresto di Yosef Saralvo e l’erezione della Casa dei Catecumeni, cfr. A. DI LEONE LEONI, Due personaggi della ‘‘Nation Portughesa’’ di Ferrara: un martire e un avventuriero, «Rassegna mensile d’Israel», LVII, 1991, pp. 407448; ID., La Nazione ebraica cit., ad indicem; P.C. IOLY ZORATTINI, Sephardic Settlement in Ferrara
under the House of Este in New Horizons, in Sephardic Studies, ed. by Y.K. Stillman and G.K. Zucker, Albany, State University of New York Press 1993, pp. 5-13: 8; M. MARZOLA, Per la storia della
Chiesa ferrarese nel secolo XVI (1497-1590), I, Torino, SEI 1976, pp. 620-623.
52 GUIDOBONI , Riti di calamità cit., pp. 107-135: 117. Diversa la forma ma non la sostanza nella
replica di Alfonso II al papa secondo quanto riportato da Cassel e poi ripreso da Pesaro e Busi: il
duca avrebbe ribattuto invitando il pontefice a controllare se avessero subito più danni le chiese o
le sinagoghe (crollate 12 delle prime, non una delle seconde), cfr. A. DE’ ROSSI, Me’or ‘Einayim,
ed. Cassel cit.; PESARO, Memorie storiche cit., p. 28; G. BUSI, The seismic history of Italy in the Hebrew sources, in Earthquakes in the Past. Multidisciplinary approaches cit., pp. 473-489: 475.
53 M. BONITO, Terra tremante, overo continuatione de’ terremoti dalla creatione del mondo fino
al tempo presente, Napoli 1691, ristampa anastatica Sala Bolognese, Forni 1981, p. 709.
Il Giudaismo antico e medievale è orientato ad identificare nell’individuo la radice del male e la
colpa come un atto che il singolo deve espiare personalmente: indifferentemente se perseguito o impunito, il crimine può essere la causa di fenomeni astrofisici – come le eclissi – o geofisici – come i
terremoti –, cfr. G. VELTRI, Reinassance Philosophy in Jewish Garb, Boston, Leiden, Brill 2009,
pp. 126-127. Cosı̀ si è espresso ‘Azaryah de’ Rossi: «È cosa buona e giusta che in questo mio esordio
faccia conoscere agli uomini – fino a che ve ne saranno – l’opera compiuta [dal Signore] ai miei
giorni qui a Ferrara, e, in questa generazione, il padre faccia sapere ai suoi figli che non è certo menzogna il mio parlare. So che non si tratta di avvenimenti straordinari, lontani dalla natura, ché anzi
sono accaduti molto volte prima di noi, ma per chi vi assiste si tratta di una cosa difficile [da capire],
che provoca un improvviso terrore: è, in effetti, un evento quasi miracoloso, che spinge l’uomo a
riconoscere la potenza del Signore e a pentirsi», BUSI, Il terremoto di Ferrara cit., p. 62. Egli poi afferma anche che: «Non vi è però dubbio [...] che le parole di tutti questi commentatori non vanno
prese alla lettera non sia mai che attribuisca a Dio caratteristiche materiali –, ma indicano verità nascoste, facendo comprendere, per mezzo di allegorie, cose rette a chi cerca la scienza», ivi, pp. 74-75.
Infine, W. Behringer ha evidenziato quella che ha definito «l’economia del peccato»: quanto più
gravi o numerose sono state le colpe degli uomini, tanto più violente si sono abbattute le punizioni
divine sotto forma di fenomeni naturali, cfr. W. BEHRINGER. Kulturgeschichte des Klimas, München,
C. H. Beck Verlag 2007, p. 180. Inoltre, cfr. O. NICCOLI, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento,
Roma-Bari 1987. Di tale visione cosmogonica è permeato il Cristianesimo antico, medievale, moderno e, addirittura, contemporaneo: questa tesi è stata sostenuta da Roberto de Mattei, già vicepresidente del CNR e storico della Chiesa, che ritiene la catastrofe di Fukushima e il terremoto di Messina manifestazioni della punizione divina; cfr. http://www.fondazionelepanto.org/2011/interventoprof-roberto-de-mattei-radio-maria-20-aprile-2011/ e R. DE MATTEI, Il mistero del Male e i castighi di
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
Più che una descrizione degli eventi sismici ferraresi è una semplice nota
quella che la penna di Leon Modena ci ha offerto nella propria autobiografia
in cui ricostruisce anche vicende relative ai propri antenati e alla sua stessa nascita: avendo dovuto lasciare forzosamente Bologna nel 1568-69, Jizchaq figlio
del medico e rabbino Mordekhaj da Modena si stabilı̀ a Ferrara dove sposò
Rachel figlia del fu Jochanan Levi e vedova di Mordekhaj detto Gumpeln Parenzo per la festa di Shavu’oth-Pentecoste del 22-23 maggio 1569. Alla sposa
fu cambiato il nome in Diana, per la previsione fatta dal rabbino Avraham da
Rovigo sull’avversa fortuna economica che era legata al matrimonio di Jizchaq
con Rachel.54 Nel 5331 del computo ebraico corrispondente al 1570-71, Diana rimase incinta.
Vi fu un terremoto grande e forte nella città di Ferrara quale non c’era stato in
nessun’altra terra, secondo tutto quello che è scritto nel libro Meor ‘enajim del sapiente de’ Rossi surricordato; il mio signor padre e i suoi famigliari scapparono per salvarsi nella città di Venezia. Mentre erano là, il lunedı̀, tra le 18 e le 19 ore [tra mezzogiorno e l’una], 28 Nissan, 23 aprile 5331 [1571] nacqui io l’amareggiato e misero,
e quasi simile a Geremia e a Giobbe. Maledissi quel giorno: e infatti perché sono uscito per vedere sofferenze e dolore, disgrazia e angustia, solo male tutto il tempo? Mia
madre ebbe un parto molto difficile, io ero ripiegato nella posizione con il deretano
verso l’esterno; già allora tutto mi andava spaventosamente storto.55
Non si legge nelle parole di Leon Modena – sempre tragiche quando riferite alle vicende personali, ad esclusione delle situazioni in cui esalta la propria figura di studioso – un particolare rapporto di causa effetto fra il sisma (e
le paure avute dalla puerpera) e le difficoltà del parto; 56 in ogni caso, la famiDio, Verona, Fede e Cultura 2011, risposta alla polemica innescata dalle dichiarazioni dello stesso a
Radio Maria. Sul tema, cfr. G. VELTRI, «Dannare l’universale per il particolare?» Colpa individuale e
pena collettiva nel pensiero di Rabbi Simone Luzzatto, «La Rassegna mensile di Israel», vol. 77, fasc.
1/2, 2012, pp. 65-81: 67; A. FAORO, Prime ricerche sulla Casa dei catecumeni di Ferrara, in Ebrei a
Ferrara Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc.
XIII-XX), Atti del Convegno internazionale di studi, Ferrara 3-4 ottobre 2013-Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, a cura di L. Graziani Secchieri, Firenze, Giuntina 2014,
pp. 219-231.
54 Sulla prassi di sostituire il nome nella cultura ebraica, cfr. E. ZOLLI , Israele. Studi storico-religiosi, Udine, Istituto delle edizioni accademiche 1935, in particolare Il rito del cambiamento del
nome nel pensiero ebraico, pp. 352-360.
55 Vita di Jehudà cit., pp. 40-41.
56 In altre situazioni, invece, Leon Modena ha riportato con puntigliosità il suo pensiero circa la
ragione – morale e fisico/scientifica, o pseudo tale che fosse – di specifici avvenimenti: «ma a causa di
due donne, serve in casa del surricordato signor Mordekhaj, che mi odiavano e amareggiavano malvagiamente le mia vita, perdoni loro il Signore, tornai a casa dopo un anno», ivi, p. 46; «In tutto quel
periodo andavamo impoverendo, perché il mio signor padre di b. m. era rimasto sconvolto, pieno di
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
glia rimase a Venezia otto mesi per poi fare ritorno a Ferrara: le scosse telluriche, pur perduranti, andavano scemando di intensità e di frequenza in modo
graduale,57 tanto da consentire ai più il rientro in città. Jizchaq da Modena
prese casa sulla «Ghiara» dove rimase con la famiglia per quattro anni.58 Ancora una conferma ci viene dal fondo notarile: nel marzo del 1575,59 attraverso
il suo procuratore, conte Bellisario Estense Tassoni, il cardinale Luigi d’Este
ha venduto 219 moggia e 5 staia di frumento a Isaach del fu Angelo «de Mutina hebreo habitator Ferrariae in via Glarae in contracta Pollicini Sancti Antonii», l’attuale via XX Settembre. Si è trattata di una scelta immobiliare piuttosto insolita rispetto all’uso fino ad allora seguito dagli immigrati italiani,
askenaziti e sefarditi, che si sono in prevalenza concentrati trovando casa nell’area limitrofa alla sinagoga dei Sabbioni oppure nell’Addizione Erculea.60
Nell’attesa di rinvenire il contratto di affitto con adeguata confinazione, si
può ipotizzare che l’edificio locato dal padre di Leon Modena potesse essere
situato in prossimità del banco dei Carri, posizionato sulla via Grande, nella
zona sud-orientale della città. Quanto al carico, nel rogito di specificava che
era già stato imbarcato su navi che «ut dixit vulgariter sono già incaminate
per Venetia» dove il frumento sarebbe stato consegnato ad Isaach o al suo
paura e di terrore, per gli astri che combattevano contro di lui», ivi, p. 48; «Nei giorni di Chanukkà
5355 il diavolo mi fece un brutto scherzo: mi danneggiò non poco e persi circa cento ducati», ivi,
p. 57; «improvvisamente gli scese molto sangue in bocca dal capo; e da allora smise di occuparsi
di quell’arte [ndr. l’alchimia], perché si disse che forse i vapori dell’arsenico e dei sali, che erano necessari per essa, avevano danneggiato il suo capo», ivi, p. 69; «fra mediazione e bozze guadagnai
quasi cinquecento ducati, che dopo la morte di mio figlio surricordato andarono tutti a finire per
la mia stoltezza [ndr. nel gioco d’azzardo]», ivi, p. 70; «Egli disse la confessione dei peccati e le suppliche, e subito dopo perse conoscenza a causa del colpo in testa, e non disse più una parola sensata», ivi, p. 79; «Benedetto il Signore, che mi aveva assistito da quattro anni a questa parte, facendomi abbandonare del tutto la via del cattivo giuoco», ivi, p. 107.
Propensione per individuare nel sisma l’origine del difficile parto in: WEINBERG, ‘‘The Voice of
God’’ cit., p. 73, n. 19.
57 Lo sciame sismico è continuato con scosse più distanziate fino al febbraio 1574, poi ancora
più rarefatte fino al 1576; infine è stato registrato un ulteriore, intenso evento tellurico nel 1591.
58 Vita di Jehudà cit., pp. 42-43.
59 Cfr. ASFe, ANAFe, Maurelio Iacobelli, matr. 569, pacco 29s, Schede 1575, cc. 12v-14r:
«Emptio frumenti pro domino Isaach de Mutina hebreo ab illustrissimo et reverendissimo domino
domino Aloysio cardinale Estensi».
60 Cfr. PESARO , Memorie storiche cit.; A. BALLETTI , Gli ebrei e gli Estensi, Modena, Società Tipografica Modenese, Antica Tipografia Soliani 1913; MILANO, Storia degli ebrei in Italia cit.; L. GRAZIANI SECCHIERI , Ebrei italiani, askenaziti e sefarditi a Ferrara: un’analisi topografica dell’insediamento
e delle sue trasformazioni (secoli XIII-XVI), in Gli ebrei nello Stato della Chiesa. Insediamenti e mobilità (secoli XIV-XVIII), a cura di M. Caffiero e A. Esposito, Padova, Esedra editrice 2012, pp. 163190; EAD., Le case dei sefarditi. Per una topografia dell’insediamento ebraico di Ferrara alla metà del
Cinquecento, in Studi sul mondo sefardita in memoria di Aron Leoni, a cura di P.C. Ioly Zorattini,
M. Luzzati, M. Sarfatti, Firenze, Olschki 2012, pp. 69-99.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
rappresentante, l’ebreo Donato Belfonte «banchario» 61 residente nella città
della Serenissima. Il prezzo del grano è stato definito in 2960 scudi d’oro
che Isaach Modena si è impegnato a pagare in parte in moneta,62 in parte trasferendo al cardinale Luigi crediti vantati presso due cittadini ferraresi.
Ad una situazione di diffusa difficoltà, gli Estensi hanno risposto soccorrendo la città soprattutto attraverso l’impegno morale e religioso in quanto un sistema di welfare moderno da parte dell’istituzione governativa era senza dubbio
ancora di là da venire.63 La famiglia ducale ha sempre partecipato alle processioni devozionali, il cui percorso si snodava lungo le vie urbane toccando i giardini dove era essa stessa alloggiata, le mura che cingevano l’Addizione, la città
antica con il centro ecclesiale, politico, economico e commerciale.64 Agendo attraverso la Camera ducale, casa d’Este è intervenuta riparando e ricostituendo il
proprio patrimonio edilizio; imposto da Alfonso II,65 il restauro dei palazzi e degli edifici privati danneggiati è stato a totale carico dei singoli proprietari: del
resto non era insito nella visione istituzionale dell’epoca l’emissione di provvedimenti pubblici finalizzati a dare impulso e supporto economico al risanamento urbano. Per sostenere il restauro e la ricostruzione delle chiese e degli edifici
religiosi lesionati che, a causa di calcoli statici spesso spinti al limite, erano risultati più vulnerabili e quindi più danneggiati, papa Pio V si è obbligato economicamente concedendo agli enti religiosi un quarto delle decime. In conclusione, si può applicare anche al contesto ferrarese il commento di Sabatino degli
Arienti circa le difficoltà finanziarie bolognesi a seguito del sisma del 1505:
«se atende per chi può a fare conciare le sue cosse ruinate».66
61 I notai estensi definivano sempre «foeneratores» gli Ebrei prestatori in Ferrara, mentre riportavano dizioni diverse per i colleghi che esercitavano altrove.
62 Si è impegnato a versare 1000 scudi entro sei giorni dalla consegna della merce e altrettanti
entro un mese.
63 La politica degli Estensi si è espressa attraverso atti di governo di grande attenzione sociale,
anche alla luce di quanto Borso aveva teorizzato definendo come il consenso della cittadinanza, acquisita altresı̀ con provvedimenti assistenziali e sociali, fosse uno degli strumenti del potere. Del resto, la partecipazione agli aspetti collettivi della religione, come le processioni e le liturgie, era considerata valida sia dai governanti sia dal popolo, in quanto facente parte della mentalità condivisa.
Sulla prassi della duplice risposta, fattiva e devozionale, delle cittadinanze dinanzi a una catastrofe naturale, cfr. G.J. SCHENK, Dis-astri. Modelli interpretativi delle calamità naturali dal Medioevo
al Rinascimento, in Le calamità ambientali cit., pp. 23-75.
64 Cfr. E. GUIDOBONI , La reconquête symbolique des villes: les processions, in Quand la terre
tremblait, ed. E. Guidoboni, Jean-Paul Poirier, Paris, Odile Jacob 2004, pp. 160-161; A. BENVENUTI,
Riti propiziatori e di espiazione, in Le calamità ambientali cit., pp. 77- 86.
65 Cfr. GUIDOBONI , I terremoti nel territorio ferrarese cit., p. 635.
66 E. BOSCHI – E. GUIDOBONI , I terremoti a Bologna e nel suo territorio dal XII al XX secolo,
INGV – SGA (Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia – Storia Geofisica Ambiente), Bologna,
Compositori 2003, p. 121.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
Pur nel loro spiccato realismo le cronache, compresa quella di ‘Azaryah
de’ Rossi, non entrano nello specifico delle singole circostanze; sono diversi
l’impatto emotivo e la valutazione economica quando invece si vengono a toccare con mano le difficoltà finanziarie cui il terremoto ha costretto anche figure influenti della città. Spesso sono proprio le suppliche rivolte al duca,67
conservate fra i protocolli dei notai oppure divenute parte integrante di un
rogito, a offrire la misura della vastità, durata nel tempo e drammaticità della
situazione: scorrendo le sole carte del notaio Bonsignori 68 fra i numerosi
esempi che si possono incontrare prendo in esame solo gli atti che vedono l’intervento di Ebrei.
Il sisma iniziato nel novembre 1570 ha portato lo scompiglio in accordi e
contratti già definiti; ne è prototipo il rapporto fra Odoardo Gomes,69 da una
parte, e, dall’altra, i nobili ferraresi Sebastiano Cestarelli – diacono della cattedrale di Ferrara – e Orazio del fu Francesco Cestarelli, che agivano ciascuno in
nome e per conto anche dei rispettivi fratelli Filippo e Alfonso Pio. Il 22 agosto
1570 nell’edificio posto nella contrada di Sant’Agnese «super via Magna» che
era oggetto dell’affittanza che analizziamo,70 Sebastiano e Orazio Cestarelli hanno locato per cinque anni al portoghese Odoardo Gomes l’edificio coperto di
coppi e in muratura, con solai e cortile, posto a Ferrara sulla via Grande.71 Il
67 Per la supplica indirizzata al Signore di Ferrara, diretta ad ottenere il consenso a contravvenire a vincoli successori oppure a leggi statutarie e istituzionali, con finalità di convenienza personale
o familiare cfr. L. TURCHI, La giustizia del principe. Ricerche sul caso estense (Secoli XV-XVI), s.l., Bulzoni (Modena, stampato da Edizioni Bernini) 2005: Segretari e cancellieri al servizio della giustizia:
suppliche, minute e carteggi, pp. 40-63, ‘‘Liberalitatis’’ ovvero del grande cuore del principe, pp. 157167, Suppliche quattrocentesche: prima note, pp. 223-238.
68 Senza aver compiuto uno spoglio sistematico del fondo notarile antico, attingo solo dagli appunti presi negli anni, prima della chiusura forzosa dell’Archivio di Stato di Ferrara in seguito ai
danni creati dal sisma del maggio 2012.
69 Su Odoardo/Duarte Gomes alias David Zaboca cfr. Processi del S. Uffizio di Venezia cit., I, II
e IV, ad indicem; SEGRE, La tipografia ebraica a Ferrara cit., p. 309; DI LEONE LEONI, La Nazione
ebraica cit., ad indicem; E. TRANIELLO, Artigianato e commercio: il ruolo delle diverse componenti
ebraiche nella Ferrara di Ercole II d’Este (1535-1559), in Studi sul mondo sefardita in memoria di Aron
Leoni cit., p. 60, nota 32.
70 Cfr. ASFe, ANAFe, Giacomo Conti, matr. 584, pacco 12s, prot. 1570, cc. sciolte allegate a
c. 76v, 22 agosto 1570: «Affictus domini Odoardi Gomes a reverendo domino Sebastiano Cistarello
et a domino Horatio etiam de Cestarellis»; citato in L. GRAZIANI SECCHIERI, per restaurare in più lochi
alcuni difeti causati dal taramoto, catalogo della mostra, Archivio di Stato di Ferrara 2013, pp. 11-12.
Era presente anche Laura di Angelo «de Carionibus» vedova di Cristoforo «de Schianchis», cittadina ferrarese della contrada di San Giacomo «intra moenia»: la donna aveva titolo a partecipare
alla stipula nella sua qualità di usufruttuaria dei beni di diritto del marito defunto, come era attestato
dal rogito del 6 febbraio 1568 del notaio Rainaldo Ettori citato nell’affittanza in esame.
71 L’edificio era individuato dalla confinazione designata dalla via Grande da un capo e da Pietro «Vergnaninum» dall’altro, dagli stessi Cestarelli con un altro fabbricato affittato a Maurelio Iacobelli da un lato e ancora dal «Vergnaninum» dall’altro lato.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
canone annuo richiesto di 34 scudi d’oro in oro andava a costituire la somma
complessiva di 170 scudi, dei quali Sebastiano e Orazio hanno dichiarato di avere già avuti da Odoardo 60 scudi 72 in precedenza e altri 40 il giorno stesso del
contratto; a sua volta, l’affittuario si è impegnato a versare la cifra residua, pari a
70 scudi, a cominciare dalla festa di San Michele dell’anno successivo.73 Prima
del 29 settembre 1571, però, è sopraggiunto il terremoto a scompaginare quanto
era stato deciso, per cui i protagonisti della transazione 74 si sono ritrovati di nuovo davanti al notaio Conti. Il 4 gennaio 1571, viene redatta una proroga di affitto
che si apre con un’ampia premessa riassuntiva delle vicende intercorse appena
descritte, ossia degli accordi contenuti nell’atto di affitto stretto nel 1570, dei
pagamenti effettuati e di quelli da eseguire. I contraenti si sono quindi premurati
di precisare che, a causa del terremoto che dal 16 novembre dell’anno precedente perdurava 75 nella città di Ferrara, la costruzione affittata da Odoardo era stata
«multum conquassata et dannificata» tanto da richiedere ingenti opere di riparazione e di adattamento per rimetterla nello stato pristino affinché potesse essere comodamente abitata, con grandi spese che i proprietari non erano in grado di sostenere. Si giunge infine alla sostanza del nuovo rogito: il reverendo
Sebastiano e Orazio Cestarelli hanno dichiarato di ritenersi soddisfatti per quanto avevano già ricevuto da Odoardo Gomes per l’affittanza precedente e gli hanno promesso in amplissima forma di prorogare a suo favore la locazione per altri
cinque anni con un canone annuo di 34 scudi d’oro in oro da versare alla festa di
San Michele, avendo ottenuto da lui con un interesse dell’8% annuo la cifra
(non quantificata) per sostenere le spese di restauro.76
Fra le vendite effettuate negli anni ‘caldi’ del terremoto, quella finanziariamente più rilevante ha visto protagonista un facoltoso ebreo ferrarese che abbiamo già avuto modo di conoscere in Qol Elohim – citato in quella sede come Yosef ha-Lewi – dove era celebrato come uno dei principali benefattori
dei confratelli danneggiati dal sisma; e di un’ulteriore opera meritoria per la
Comunità ebraica Ioseph Levi si è reso protagonista il 7 gennaio 1575 77 allor72 I 60 scudi erano suddivisi erano fra Laura «de Carionibus» – 31 e 1/ – e i Cestarelli stessi –
2
28 e 1/2 –.
73 Il residuo sarebbe stato versato attraverso quattro pagamenti annuali, ciascuno di 17 scudi e
1
/2 d’oro in oro.
74 Ad esclusione di Laura, per la quale era evidentemente cessata la partecipazione in usufrutto.
75 Nel testo: «perseverat».
76 Cfr. ASFe, ANAFe, Giacomo Conti, matr. 584, pacco 13s, due copie: prot. 1571, cc. 1v-3v e
cc. sciolte, 4 gennaio 1571: «Prorogatio affictus pro domino Odoardo Gomez a reverendo domino
Sebastiano et consortibus de Cestarelli».
77 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 33 s, Schede 1575, cc. 212v215r, 7 gennaio 1575: «Promissio domino Ioseph Levi a magistro Iacobo Perusino».
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
ché ha commissionato al fiammingo maestro Giacomo «Perusinus» del fu
Alessandro, intarsiatore residente a Ferrara nella contrada di San Clemente
sulla via Grande, un armadio con due sedie in noce da collocare «nella sinagoga delli hebrei».78 Il 2 aprile 1571, Giovanni Battista del fu Vincenzo Vincenzi della contrada di San Romano ha promesso di vendere al «solerti» Ioseph del fu Isaac Levi, mercante «Ferrariae habitatori»,79 l’edificio che era
descritto in volgare nei patti:
La vendita se intende la casa grande posta in Ferrara nella contrata di San Romano, nella via de Vignatagliata dalli Sabbioni conquassata e dannificata da terremoto e
cosı̀ in termine che si ritrova cioè verso la Zoecha e drio la strada che va alla casa di
Contrari verso la strada delle Vecchie et Sarasino et quella dove sta Moisè Cohen ad
affitto e la stalla con li secchiari e pozzo e sue pertinentie, esclusi i cornisotti e i armari
e le pietre che sono nel cortile per pretio de scuti tremilaquattrocento cioè scudi 3.400
d’oro e in oltre la gabella qual il comprator s’obliga a pagare [...].80
78 Si deve ritenere che la locuzione «sinagoga delli hebrei» sottintenda la sinagoga di ser Mele
da Roma, poi conosciuta come sinagoga dei Sabbioni o degli Italiani e tempio Maggiore o Italiano, a
lungo oggetto di studio da parte di Paolo Ravenna. Il frutto di tale impegno è confluito nel volume
P. RAVENNA, La Sinagoga dei Sabbioni. Il Tempio di Rito Italiano a Ferrara da Ser Mele ai Finzi Contini, Ferrara, Edisai 2012. Poco dopo la scomparsa dell’autore, mescolato agli altri promemoria inerenti le carte del notaio Bonsignori, ho rinvenuto questa nota, accantonata con l’intenzione di analizzarla e approfondirla al momento di trattare la figura di Ioseph Levi: con rammarico, ho constatato
che questo ritardo non mi ha permesso di condividere con l’avv. Ravenna la soddisfazione del ritrovamento di queste carte.
Per la funzione centripeta svolta dalla sinagoga dei Sabbioni nella scelta residenziale degli immigrati ebrei in Ferrara, cfr. GRAZIANI SECCHIERI, Ebrei italiani, askenaziti e sefarditi a Ferrara cit.,
pp. 181-183.
79 Sulla figura dell’ebreo askenazita Ioseph di Isaac Levi, mercante e titolare del banco dei Sabbioni di Ferrara, cfr. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., ad indicem. Nel 1568 era uno dei feneratori che, nel palazzo dei Diamanti, hanno siglato il concordato con il cardinale Luigi d’Este per
l’apertura di un quarto banco di prestito in città, cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr.
569, pacco 26 s, c. sciolta, 26 aprile 1568: «Licentia et facultas concessa per dominum dominum
Isaach de Fano et Iosephum Levi hebreos Illustrissimo et Reverendissimo domino domino Aloisio
cardinali Estensi pro nominando unum hebreum bancherium pro uno alio idest quarto bancho feneratitio apperienti et exercenti in civitatis Ferrariae». Ritroviamo nel 1576 il mercante e cittadino di
Ferrara Ioseph del fu Isaac Levi risiedere nella contrada di Santa Maria di Bocche, nella strada di San
Francesco, allorché, insieme ai suoi fratelli Iacob, Benedetto alias Aloisio e Samuel, ha stipulato società con il cognato Ioseph del fu Iacob Corinaldi detto Faneto, cfr. ivi, pacco 34 s, 1576, cc. 19v25r, 28 agosto 1576, n. 38: «Acceptatio et societas inter dominum Iosephum et fratres de Levi et
dominum Iosephum de Corinalto».
80 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 29 s, 5º quint. prot. schede 1571,
cc. 201r-203r, 2 aprile 1571: «Promissio de vendendo et emendo inter dominum Iohannem Baptistam Vincentium et dominum Iosephum Levi»»; citato in GRAZIANI SECCHIERI, per restaurare in più
lochi cit., pp. 17-20. La sera successiva, nella contrata di Sant’Agnese, Domenico di Giovanni Battista
Vincenzi ha confermato a Ioseph Levi la promessa di vendita cosı̀ come predisposto da suo padre,
cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 29 s, 5º quint. prot. schede 1571, c. 204rv, 3 aprile 1571: «Assensus domini Iosephi Levi a domino Dominico de Vincentiis».
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
Le parti si sono accordate per pagamenti nel giorno di San Michele: 1.000
scudi il primo anno, 500 ogni anno successivo sino al raggiungimento della
somma. Il diritto d’uso dovuto alla chiesa di Sant’Agnese sarebbe stato permutato sopra un altro edificio se l’acquirente lo avesse sollecitato. A richiesta
di Levi, anche i parenti di Giovanni Battista Vincenzi – sua madre Isabetta e i
figli Domenico e Francesco – avrebbero assentito alla vendita. L’edificio doveva essere consegnato a Pasqua; dopo 8 giorni Ioseph avrebbe pagato 200
scudi, da scalare dai 1.000 pattuiti. La vendita si intendeva fatta «pro persona
nominanda» da parte di Ioseph entro un anno o, in caso contrario, proprietari
sarebbe divenuti lo stesso ebreo e i suoi eredi. L’8 giugno, i contraenti si sono
riuniti nell’abitazione di «Ioseph et olim illorum de Vincentiis» nella contrada
di San Romano, formula che attestava che Ioseph si era trasferito nell’edificio
vendutogli, dove Ludovico Gillini, che ne aveva avuto il mandato da Giovanni
Battista Vincenzi,81 ha concordato gli ultimi dettagli dei pagamenti.82 La sera
successiva, Domenico di Giovanni Battista Vincenzi ha confermato al Levi la
promessa di vendita cosı̀ come predisposto da suo padre.
È il 31 gennaio 1572 e siamo nella residenza del giudice dei Savi in via
Borgo dei Leoni nella contrada di San Guglielmo: con questo rogito si dà seguito alla promessa di vendita del 2 aprile 1571 appena citata. Il nobile Giovanni Battista del fu Domenico Vincenzi, minore di 25 anni e maggiore di 15,
aveva inoltrato al duca la supplica con la quale chiedeva di poter vendere anziché riparare
il suo palazzo per il terremoto mal condizionato et ch’era necessario fare molta spesa.83
Il rescritto di assenso è firmato dal Segretario ducale Ludovico Gillini. Cosı̀, il 16 gennaio 1572, il giovane ha venduto al mercante ebreo Ioseph del fu
Isaac Levi, che abitava al momento nell’edificio in oggetto, un’ampia costruzione in muratura, coperta di coppi e con solai, con un cortile, un orto, un
altro fabbricato adiacente e una stalla – anche questi in muratura, coperti
81 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 29 s, 5º quint. prot. schede 1571,
cc. 203v-204v, 18 maggio 1571: «Mandatum magnifici domini Joannis Baptistae Vincentiis in magnificum dominum Ludovicum Gillinum».
82 Cfr. ivi, cc. 204v-205v, 8 giugno 1571: «Promissio domini Iosephi Levi a domino Iohanni
Baptista Vincentio»; cc. 205v-207v, 13 luglio 1571: «Assensus domini Iosephi Levi a domino Nicolao
Vincentio»; cc. 207v-208v, 11 settembre 1571: «Assensus et promissio domini Iosephi Levi a Vincentiis»; cc. 209r-210r, 12 settembre 1571: «Assensus et promissio pro domino Iosepho Levi a domino Alphonso de Vincentiis»; cc. 211r-213r, 19 ottobre 1571: «Ratificatio et absolutio inter dominum Iohannem Baptistam Vincentium et dominum Ioseph Levi».
83 Cfr. ivi, c. 204r-v, 3 aprile 1571: «Assensus domini Iosephi Levi a domino Dominico de Vincentiis».
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
di coppi e con solai – dall’altro lato della via di Vignatagliata, posta a Ferrara
nella contrada di San Romano parte nella detta via di Vignatagliata tendente
dalla via dei Sabbioni verso la Giovecca e parte nella via tendente dall’abitazione dei Contrari alla via delle Vecchie e parte in via del Fasolo,84 al prezzo di
3400 scudi d’oro con l’obbligo per l’acquirente di pagare tutta la gabella, fatti
salvi i diritti vantati dall’ospedale ossia priorato di Sant’Agnese.85 La cessione
del complesso di immobili si è conclusa solo il 1º febbraio 1572, quando il
nobile ferrarese Giacomo del fu Girolamo Trotti, in qualità di procuratore
del priorato di Sant’Agnese, ha investito – per un anno dal giorno stesso,
per 40 soldi e 5 denari marchesani annui – l’ebreo Ioseph del fu Isaac Levi,
mercante e cittadino ferrarese ex privilegio,86 della contrada di Sant’Agnese,
84 L’edificio era descritto come confinante da un capo con la detta via che dall’abitazione dei
Contrari conduce a via delle Vecchie o Saraceno, dall’altro capo con Antonio Montecatino e altri
vicini, da un lato con via Vignatagliata tendente da via dei Sabbioni verso via Giovecca e dall’altro
lato in parte con la via del Fasolo e in parte con altri vicini. Non sembri ripetitivo e/o superfluo riproporre descrizione notarile e confinazione dell’immobile perché vedremo che ogni atto presenta
un tassello di originalità utile a definire posizione, consistenza e caratteri architettonici dell’oggetto
di vendita.
85 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, 1º quint. prot. schede 1572,
cc. 51r-57v, 31 gennaio 1572: «Emptio domini Iosephi Levi ab illis de Vincentiis». La supplica è
molto complessa e articolata perché elenca numerosi e onerosi impegni finanziari che Giovanni Battista aveva assunti e doveva onorare.
86 Esiziale per l’acquisto di un immobile, quest’informazione era sottaciuta negli atti di cessione.
Per una puntuale disamina delle differenti situazioni locali, rimane insuperato il capitolo «Lo
status civitatis», in V. COLORNI, Legge ebraica e leggi locali, Milano, A. Giuffrè 1945, pp. 13-99:
81-99. Inoltre, cfr. S. SIMONSOHN, La condizione giuridica degli ebrei nell’Italia centrale e settentrionale, in Gli ebrei in Italia cit., pp. 95-120: 108-110: Status giuridico e cittadinanza; A. TOAFF, Judei
cives? Gli ebrei nei catasti di Perugia del Trecento, «Zakhor», 4, 2000, pp. 11-36; R.C. MUELLER,
Lo status degli ebrei nella Terraferma veneta del Quattrocento: tra politica, religione, cultura ed economia. Saggio introduttivo, in Ebrei nella Terraferma veneta del Quattrocento. Atti del Convegno di studi
– Verona 14 nov. 2003, a cura di G.M. Varanini e R.C. Mueller, «Reti Medievali», VI, I, Firenze
2005, pp. 1-21, anche in: http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/atti/ebrei.htm; E. TRANIELLO, Tra appartenenza ed estraneità: gli ebrei e le città del Polesine di Rovigo nel Quattrocento, in Ebrei nella Terraferma veneta cit., pp. 163-175: 164-166, anche in: http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/atti/ebrei/
Traniello.htm; A. MÖSCHTER, Gli ebrei a Treviso durante la dominazione veneziana (1388-1509),
«Reti Medievali», VI, I, 2005, anche in: http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/atti/ebrei/Moschter.htm, p. 12, con una ricchissima bibliografia. Per gli indirizzi dei più recenti studi, cfr. A. TOAFF,
Comuni italiani e cittadini ebrei nel tardo medioevo, in Gli ebrei nell’Italia centro settentrionale fra
tardo medioevo ed età moderna (secoli XV.XVIII), a cura di M. Romani ed E. Traniello, «Cheiron»,
57-58, 2012, Roma, Bulzoni, pp. 29-45, con bibliografia aggiornata.
Per la situazione ferrarese, cfr. GRAZIANI SECCHIERI, Ebrei italiani, askenaziti e sefarditi a Ferrara
cit., pp. 163-190: 176-177. Diversamente dalle concessioni di cittadinanza attribuite agli stranieri,
quelle ex privilegio concesse dagli Este ad ebrei erano di norma ad personam ed erano, pertanto,
estese ai figli e ai discendenti solo se espressamente dichiarato tanto da dover essere più volte ripetute
e confermate, cfr. A. FRANCESCHINI, Presenza ebraica a Ferrara. Testimonianze archivistiche fino al
1492, a cura di P. Ravenna, Firenze, Olschki 2007, docc. 148, 361bis, 369, 369, 679, 842, 900,
1051, 1158. Al contrario, i conferimenti mantovani riportati da Colorni nell’Appendice di documenti
tutti allargati anche a figli e discendenti, cfr. COLORNI, Legge ebraica cit., pp. 367-370.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
di una costruzione grande in muratura, coperta di coppi e con solai, con cortile, loggia e pozzo, ad un angolo della quale un tempo era una torre,
quae nunc ex eam magni terremotus anni MDLXX mense Novembri et die decimo
septimo eiusdem mensis et deinde de die in die vigentis et ad huc perseverantis pro
quadam parte reperitur demolita et devastata,87
posta a Ferrara nella contrada di Sant’Agnese.88 L’edificio, che in precedenza
era diviso in cinque immobili poi riuniti in un sol corpo, era stato concesso in
beneficio al campsor Francesco Vincenzi fin dal 1534,89 e ora da Giovanni Battista Vincenzi, nipote del beneficiario originario, e dai suoi figli Domenico e
Francesco ne aveva rilevata la piena proprietà Ioseph Levi.90
Concludo lo spoglio di rogiti che comprendono la trascrizione di suppliche riportando il contenuto dell’atto di vendita stipulato nel 1576 da Vincenza
Tiberti di Cesena, vedova del capitano Giovanni Paolo Lavezzoli, che ha chiesto al notaio di riportare, in apertura del rogito, la ricopiatura dell’istanza inoltrata al duca per poter vendere la propria abitazione: già in precedenza Alfonso II le aveva concesso di poter prendere in prestito «dalli hebrei» 200 scudi
offrendo come pegno «la sua casa ove è assicurata la sua dote» ma, avuta tale
somma, è sopraggiunto il terremoto,
che conquassò affatto detta casa dove fu sforzata l’oratrice pigliar pur da detti hebrei
per riparare detta casa scudi settanta per li quali danari detta casa è impegnata a detti
hebrei: 91
sempre più indebitata e senza alcun parente in Ferrara, Vincenza chiedeva al
duca di vendere l’immobile per pagare i suoi debiti e ritornare nella città natale, dove poter vivere in famiglia. Avuta la dispensa e venduto l’edificio della
87 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, 1º quint. prot. schede 1572,
cc. 51r-57v, 31 gennaio 1572 cit.
88 Il notaio ha riportato che il fabbricato confinava da un capo e da un lato con le vie pubbliche, dall’altro capo un tempo con i Montecatini e al momento con Antonio Aventi, dall’altro lato con
lo stesso investito in parte con l’orto di detto edificio e in parte con il fabbricato che un tempo detenevano i Leuti.
89 Il 22 ottobre 1534 il contratto era stato steso dal notaio Franchi: se reperibile fra le sue carte
(cfr. ASFe, ANAFe, Bartolomeo Franchi, matr. 446, pacco 1), il documento potrà aggiungere qualche informazione per la determinazione della posizione e della stima dell’edificio prima che subisse i
danni del sisma.
90 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, 1º quint. prot. schede 1572,
cc. 17r-18v: 1º febbraio 1572: «Usus domini Ioseph Levi hebrei a prioratu Sanctae Agnetis»; citato in
GRAZIANI SECCHIERI, per restaurare in più lochi cit., pp. 23-24.
91 Cfr. ivi, pacco 34 s, cc. sciolte, 21 marzo 1576: «Emptio domini Iacobi Placentini a domina
Vincentia Tiberta Lavezolla».
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
contrada di San Vitale a Giacomo di Tommaso Piacentini, la vedova ha saldato il suo debito con Isaac da Fano pari a 200 scudi mutuati il 16 marzo 1570 (a
rogito del notaio Giulio Iacobelli) e 70 scudi presi in prestito per riparazioni e
spese necessarie a seguito del terremoto del 1570.
Già da questa breve carrellata si può affermare che, se il terremoto non ha
fatto differenze nel lesionare e devastare gli edifici ferraresi di qualsiasi proprietà fossero, erano comunque i patrimoni complessivi dei singoli che potevano consentire di affrontare un restauro, impresa che si dimostrava invece
proibitiva per chi non aveva altri capitali su cui fare affidamento. Nel breve
volgere dei pochi anni considerati e senza, con questo, pretendere di aver ricostruito il quadro complessivo dei danni e dei danneggiati dal sisma vista l’esiguità dei documenti esaminati, sembra di poter dedurre che, al momento di
ottenere una sicura solvibilità, erano le attività mercantili-creditizie nel loro insieme, quindi anche e/o soprattutto ebraiche, che generavano disponibilità di
capitale liquido più di quelle immobiliari o di rendita tipiche dell’aristocrazia
ferrarese: in questo modo si spiegano non solo i reiterati per quanto modesti
mutui affrontati dalla vedova Vincenza, ma anche la vendita del costoso palazzo dei Vincenzi. A questo proposito, è necessario ricordare ancora che
gli acquisti di immobili erano di esclusiva pertinenza dei cittadini ferraresi,
al cui novero hanno avuto accesso ex privilegio ben pochi Ebrei, nessun marrano o portoghese.92
Connessa in modo sottile al terremoto è la vicenda che ha avuto protagonista l’ebreo aristocratico – come evidenziava l’attributo nobiliare, di origine
iberica – don Isaac figlio del fu don Samuel Abravanel che, in un giorno di
metà maggio del 1572,93 ha dato appuntamento al notaio ferrarese Girolamo
Bonsignori nella residenza di Giovanni Battista Laderchi detto l’Imola.94 Se
92 Fino ad ora si è rinvenuto solo l’acquisto del terreno per le sepolture della Nazione portoghese, cfr. P.C. IOLY ZORATTINI, I cimiteri sefarditi di Ferrara, «Annali di Ca’ Foscari», serie orientale
17, 25/3, 1986, pp. 33-60.
93 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, 2º quint. prot. schede 1572,
cc. 85r-86r, 16 maggio 1572: «Donatio monialium Sancti Augustini a domino Isaac Abravanello»;
citato in GRAZIANI SECCHIERI, per restaurare in più lochi cit., pp. 24-25.
Nell’atto, don Isaac Abravanel si è presentato al notaio come ebreo «habitans» in via Giovecca
nella contrada di San Guglielmo. Sulla figura di don Isaac del fu don Samuel (Simone) Abravanel e
sulle sue articolate vicende personali, cfr. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., ad indicem. Oltre
alla generosità verso le classi «sofferenti» e le conoscenze mediche, A. Pesaro ne descrive il credito
goduto a corte e, a causa di ciò, l’accusa di macchinare contro Ercole II nel 1546 e, quindi, l’assoluzione completa per la brillante difesa da parte di Bartolomeo Ricci di Lugo, fino alla morte avvenuta nel 1585, cfr. PESARO, Memorie storiche cit., p. 22.
94 Nel 1583 è stato nominato consigliere e segretario di Stato da Alfonso II; rimasto fedele a
casa d’Este anche dopo la devoluzione, ha avuto il titolo di conte di Montalto e la signoria di Albinea
dal duca di Modena. È morto nella nuova capitale estense nel 1618 e la sua salma è stata trasportata a
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
non si può ritenere evento bizzarro che il mercante facesse ricorso ai servigi
del professionista per registrare una delle tante transazioni che lo hanno visto
protagonista nella città estense, almeno degno di nota è che la sede prescelta
per tale rogito fosse la residenza del dottore in diritto civile Laderchi, che al
momento era lettore presso lo Studio e di lı̀ a poco avrebbe iniziato il cursus
honorum alla corte di Alfonso II d’Este. I due illustri personaggi, il causidico
ferrarese in ascesa e l’ebreo ritenuto maggiorente sia dalla Comunità ebraica
sia dai cortigiani ferraresi,95 avranno avuto più d’una occasione per conoscersi.
Tali abboccamenti forse non sono avvenuti nei palazzi ducali durante cerimonie ufficiali e di apparato, o celebrazioni ludico-cavalleresche e spettacoli teatrali 96 oppure tenzoni sportive 97 poiché, se è pur certo che uomini di corte ed
Ebrei si frequentassero nella quotidianità, e ciò era senz’altro noto a tutti, è
anche indubitabile che questo non fosse ostentato pubblicamente. Anche volendo ritenere che le occasioni per incontrarsi ‘in società’ potessero essere state scarse, possiamo comunque supporre che i due si conoscessero come vicini
di casa, in quanto entrambi risiedevano in via Giovecca, nella contrada di San
Guglielmo.98
Ferrara dove è stata sepolta nella chiesa del Gesù. Sulla complessa figura di Giovanni Battista Laderchi detto l’Imola cfr. R. MONTAGNANI, Giovan Battista Laderchi nel governo estense (1572-1618),
«Atti e Memorie Deputazione Storia Patria di Modena», serie X, XII, 1977, pp. 101-153; G. BIONDI,
voce Laderchi, Giovanni Battista, in DBI, con la ricchissima bibliografia; http://www.treccani.it/
enciclopedia/giovanni-battista-laderchi_(Dizionario_Biografico).
95 Non dimentichiamo che fra gli Ebrei, sefarditi e non, invitati nella città estense da Ercole I e
poi da Ercole II per infondere impulso all’economia e al commercio ferraresi, alcuni si erano distinti e
per ricchezza e prestigio, da donna Beatrice de Luna a Ioseph Navarro alias Pero Pinhero, fino allo
stesso don Isaac, che aveva realizzato un oratorio privato nella propria abitazione ferrarese (cfr. DI
LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., II, doc. 393) e che manteneva Giuseppe Fez, «speciale rabbino
addetto alla sua casa» dove viveva «molto splendidamente», PESARO, Memorie storiche cit., p. 22.
96 Per un quadro complessivo delle rappresentazioni e degli allestimenti teatrali sia progettati
sia allestiti a Ferrara nella seconda metà del Cinquecento cfr. Cronologia e Indici a cura di Sergio
Monaldini, in I teatri di Ferrara, a cura di P. Fabbri, Tomo I, Lucca, Libreria Musicale Italiana
2002, pp. 115-134.
97 Facevano parte dell’asse ereditario pervenuto nel 1586 ad Alberto e Pietro Soncino dalla
Penna (zio e nipote) due vacchette dei debitori della Sala per il Giuoco della Racchetta costruita e
gestita dallo stesso Alberto e dal suo defunto fratello Soncino intorno al 1570; da tali registri contabili
appare che tutta la città, compresi numerosi Ebrei, praticava quell’attività a mezzo fra lo sport e l’espressione cavalleresca. Se anche possiamo escludere che una società di ceti come quella cinquecentesca vedesse partite giocate fra aristocratici e popolani o fra Cristiani ed Ebrei, non sarà stato infrequente che essi si siano incrociati negli spogliatoi annessi alla Sala, che abbiano scommesso magari
l’uno contro l’altro, che abbiano parteggiato in campi avversi, cfr. L. GRAZIANI SECCHIERI, Gioco della
Racchetta a Ferrara tra manifestazioni cavalleresche, rappresentazioni teatrali e attività economiche,
«Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara», 88, a.a. 188, 2010-2011, Ferrara 2012, pp. 99-128.
98 Cfr. ASCFe, ASCoFe, serie Patrimoniale, libro 30, inserto 11, Compendio de tutte le case,
palazi, conventi, et strade, di Ferrara tolto in nota per il tenire netta la citta, di comissione del illustrissimo signore giudice de dodeci Savii (Compendio Montecatino), c. 35v: «La strada Della Zovecha»;
c. 36v: «Imola, Signore: un palazzo: £ 4:0:0».
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
Ma ancora interessante per la sua atipicità è la natura dell’atto che Girolamo Bonsignori ha rogato a casa dell’Imola, intitolandolo «Donatio monialium Sancti Augustini a domino Isaac Abravanello». Infatti don Isaac aveva
deciso di elargire una somma – che immaginiamo consistente, pur rimanendo
non quantificata – alle suore del monastero di Sant’Agostino di Ferrara dell’ordine degli Eremitani 99 nel quale, fattasi cristiana e professa con il nome
di suor Laura, era morta la figlia dell’Abravanel.100 Quest’ultimo ha ceduto
a titolo di donazione fra vivi tutte le ragioni e i diritti che vantava sui beni gestiti da Salomon Iachia quando questi, gestiva in qualità di fattore gli affari
anconitani dello stesso don Isaac negli anni ’50 del Cinquecento.101 Davanti
al notaio e ai testimoni, l’Abravanel motivava il donativo con il desiderio di
sovvenire all’esigenza di restaurare il monastero di Sant’Agostino, danneggiato
in modo grave dal tremendo sisma dei mesi precedenti: 102 egli dichiarava di
Quanto all’abitazione di don Isaac, un’ulteriore informazione su di essa è rintracciabile nella
data topica di un atto del 5 ottobre 1570: «Ferrariae, in contracta Sancti Romani, in via Iudecae,
in domo heredum domini Ioannis Caroli Angussoli habitationis domini donni Isaac Abravanelli»,
ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 28 s, 4º quint. prot. schede 1570, cc. 193v195r, 5 ottobre 1570: «Transactio et absolutio inter dominum Esdram Vicinum et dominum don
Davit Iachia». Si riconosce il palazzo Anguissola di corso Giovecca, n. 274 di antica anagrafe e n. 105
odierna. Abitato dal principe Filippo d’Este, marchese di San Martino e dal cardinale Aldobrandini,
primo legato pontificio di Ferrara, è poi appartenuto ai marchesi Zavaglia, ai conti Massari, ai conti
Masi, e infine ai Zanardi, cfr. G. MELCHIORRI, Nomenclatura ed etimologia delle piazze e strade di
Ferrara, Sala Bolognese, Arnaldo Forni 1981 (ristampa anastatica dell’edizione Ferrara 1918),
p. 111.
99 Per le vicende storiche e il patrimonio artistico della chiesa e del monastero di Sant’Agostino cfr.
A. MEZZETTI – E. MATTALIANO, Indice ragionato delle ‘‘Vite di pittori e scultori ferraresi’’ di Gerolamo
Baruffaldi, vol. II, Ferrara, Cassa di Risparmio di Ferrara 1981, pp. 19-20, con la relativa bibliografia.
100 «Ac in eo ex hac ad aliam beatam vitam transitu fecerit»: questa espressione, tipica dei rogiti
notarili in occasione di decessi fra le mura monastiche, deve essere uscita di getto dalla penna di Bonsignori, poiché non poteva essersi espresso in tal modo un esponente della Comunità ebraica qual era
don Isaac. A questo proposito, aggiungo che proprio al sentimento di solidarietà rinsaldatosi durante
il sisma Pesaro ascrivere la decisione presa il 5 aprile 1573 di riunire le «Corporazioni» italiana e
askenazita in un’unica entità, allora definita Università degli Ebrei, cfr. PESARO, Memorie storiche
cit., pp. 30-32.
101 Sulla figura di Salomon Iachia, componente della Nazione degli ebrei portoghesi di Ancona
e martire di Ancona, cfr. R. SEGRE, Nuovi documenti sui Marrani d’Ancona (1555-1559), «Michael»,
IX, 1985, pp. 130-233: 199-201 dove è pubblicato l’inventario dei beni sequestrati a «Salomon Jachias», in cui sono citate diverse merci esplicitamente di don Isaac Abravanel; cfr. DI LEONE LEONI,
La Nazione ebraica cit., ad indicem.
102 La prima supplica al duca datata 1572 e conservata fra le pagine del protocollo di G. Bonsignori è slegata da rogiti di riferimento e persino da semplici appunti del notaio, ma contiene comunque una quantità di dati sufficienti a farci comprendere la situazione: Agostino e Roberto Capelini godevano in feudo dalla Camera ducale una costruzione che «per il grande terremoto è tutta
rovinata a tal [punto] che minaccia ruina in tutte qual le sue parti» posta «nella contradella che
va dietro il convento delle suore di Santo Agustino», a riprova che tale zona era stata pesantemente
coinvolta dal sisma, cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, c. sciolta, 27
gennaio 1572; citato in GRAZIANI SECCHIERI, per restaurare in più lochi cit., p. 17.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
essere mosso a ciò da carità e amore di Dio. Non specificava quale Dio, ma
tanto è bastato alle consorelle per accettare di buon grado l’elargizione. Quello stesso giorno, sono state le suore di Sant’Agostino a convocare il notaio
Bonsignori nella chiesa del loro monastero dove, in quanto beneficiarie dei
beni appena donati da don Isaac Abravanel, le religiose hanno affidato mandato al mercante lucchese Giovanni Battista Lamberti affinché esigesse la riconsegna e recuperasse i beni anconitani (mobili e immobili) di don Isaac, che
dal tempo della reclusione e morte di Salomon Iachia erano stati trasferiti a
Francesco Tommasi o ad altre persone.103
Dietro, anzi: prima di questa vicenda era, però, un altro rogito che, straordinariamente – nel senso letterale di fuori dall’ordinario –, non era citato come antefatto della donazione in oggetto ma che, in effetti, ne era il fondamento. Il 27 settembre 1571, nella chiesa di Santa Caterina Martire, la principale
parte in causa, don Isaac Abravanel, ha dettato al notaio Bonsignori alcune
premesse dell’atto del 1572. Innanzitutto, egli si è dichiarato creditore nei
confronti di Francesco Tomasi e soci che avevano avuto dalla Camera Apostolica l’appalto sui beni degli Ebrei confiscati in compimento della costituzione
di papa Paolo IV, a causa della quale Salomon Iachia, assieme ad altri Marrani
di Ancona, era stato incarcerato «et tandem morte violenti affectus». Il fatto è
rilevante poiché, come si è ricordato poc’anzi, in quegli anni Salomon Iachia
era agente e gestore delle transazioni commerciali dello stesso don Isaac tanto
che, nella generale confisca patrimoniale conseguente agli arresti, erano stati
coinvolti anche beni e merci dell’Abravanel finiti nelle mani dei detti Francesco Tomasi e soci contro i quali lo stesso aveva intentato causa.104 Poi, ancora,
don Isaac ha esposto che
103 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, cc. 86r-88r, 16 maggio
1572: «Mandatum reverendarum monialium Sancti Augustini in dominum Michaelem [sic] Lambertum». Sulla figura di Giovanni Battista Lamberti cfr. Processi del S. Uffizio di Venezia cit., II, pp. 8081; DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., ad indicem; R. MAZZEI, La Ferrara di Ercole II (15341559). A proposito di un recente studio sugli ebrei di Ferrara, «Archivio Storico Italiano», CLXIX,
2011, pp. 579-586; TRANIELLO, Artigianato e commercio cit., p. 59; GRAZIANI SECCHIERI, Le case
dei sefarditi cit., pp. 77, 97.
104 Dalla vasta letteratura sulla vicenda cfr. S. WITTMAYER BARON , A Social and Religious History of the Jews, vol. XIV, Philadelphia, Jewish Publication Society 5730 / 1970, pp. 35-43; SEGRE,
Nuovi documenti sui Marrani cit., pp. 130-233; S. SIMONSOHN, Marranos in Ancona under papal protection, «Michael», IX, 1985, pp. 234-267; R. LAMDAN, The Boycott of Ancona – Viewing the Other
Side of the Coin (hæbr.), From Lisbon to Salonica and Constantinople, ed. by Z. Ankori, Tel Aviv, Tel
Aviv University 1988, pp. 135-154; A. DI LEONE LEONI, Per una storia della Nazione Portoghese ad
Ancona e a Pesaro, in L’identità dissimulata. Giudaizzanti iberici nell’Europa cristiana dell’età moderna, a cura di P.C. Ioly Zorattini, Firenze, Olschki 2000 (Storia dell’Ebraismo in Italia – Studi e
testi XX), pp. 27-97; P.C. IOLY ZORATTINI, Ancora sui Giudaizzanti portoghesi di Ancona (1556):
Condanna e riconciliazione, «Zakhor», V, 2001-2002, pp. 39-52; DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
intuitu charitatis et ex eo quod olim eius filia domina [manca nome] in monasterio
infrascripto ingressa effectu prius christiana in eo decesserit, velit se erga infrascriptas
moniales et monasterium eorum gratum et munificum reddere omnia iura sua et actiones in eis de rebus, mercibus et facultatibus ac bonis suis.105
Il benefattore poneva anche alcune condizioni: per prima cosa, che il donativo avesse vigore e si intendesse eseguito soltanto se nel successivo biennio
si fossero potute recuperare le dette merci e facoltà dalla Camera Apostolica o
dai suoi commissari. Inoltre, l’elargizione avrebbe avuto effetto soltanto per
due terzi del valore riscattato, mentre la terza frazione – al netto di ogni spesa
e gravame – avrebbe dovuto essere consegnata dalle monache a don Isaac, al
quale doveva spettare in pieno diritto nonostante detta donazione. L’accordo
sottoscritto dall’Abravanel e dalle consorelle prevedeva che il terzo destinato a
don Isaac dovesse essergli consegnato a Venezia presso i mercanti Alfonso,
Lorenzo e Roberto Strozzi 106 che si erano impegnati a ricevere e trasferire
quanto ricavato dalla riconsegna.107 Si trattava, quindi, di accordi articolati
e ben definiti ma, come detto, nulla di ciò che era stato pattuito del 1571 compariva nell’atto del 1572.
L’unica figlia di don Isaac di cui si ha notizia aveva nome Hester: era bambina
nel 1557, allorché l’Abravanel aveva dettato uno 108 sbrigativo testamento,109 pocit., in particolare I, pp. 487-494; M.J. FERRO TAVAREZ, voce: Ancona, in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, Pisa, Edizioni della Normale 2010, vol. I, pp. 61-62.
105 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 30 s, cc. 86r-88r, 16 maggio
1572 cit.
106 Sulle figure dei mercanti fiorentini Lorenzo e Roberto di Camillo Strozzi, cfr. Processi del
S. Uffizio di Venezia cit., VII, pp. 145 e n. 8, 148, 149 e n. 12; DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica
cit., ad indicem.
107 Cfr. ASFe, ANAFe, Girolamo Bonsignori, matr. 569, pacco 29 s, 3º quint. prot. schede
1571, cc. 130r-132v, 27 settembre 1571: «Conventio protestatio et declaratio inter venerabiles moniales Sancti Augustini et dominum Isaac Abravanellum».
108 Sono le prime disposizioni testamentarie ferraresi conosciute. Non si può escludere, peraltro, che in precedenza don Isaac avesse già testato in altre circostanze e in differenti terre.
109 Cfr. ASFe, ANAFe, Andrea Coccapani, matr. 534, pacco 5, prot. 1557, cc. 221r-222v, 8
novembre 1557: «Testamentum magnifici domini donni Isaach Abravanelli»; regesto parziale in DI
LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., I, p. 338; II, doc. 1482. Dopo una prima correzione («In
Dei [...]»: la D iniziale di «Dei» è sovrascritta ad altra lettera: la X di «Xpi», forse?) il notaio prosegue con sicurezza nella redazione del testamento dell’ebreo Abravanel, registrando la doppia datazione cristiana ed ebraica: anno dalla nascita di Cristo 1557, indizione quinta decima, 8 novembre e
dalla creazione del mondo anno 5318. Ancora una volta don Isaac ci stupisce per il luogo scelto per il
rogito, la cella di frate Zaffarini nel monastero di San Nicolò a Ferrara, e per i testimoni: sei dei sette
testi sono confratelli di tale convento. Gli unici legati che il testatore ha disposto sono 5 lire marchesane a ciascuno dei suoi fratellastri: Iacob, Leone alias Iuda, Letizia e Gioia. Per la modestia indifferenziata di queste sole donazioni ai quattro, il testamento pare essere stato dettato con rabbia, alla
chiusura della transazione con la matrigna.
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
chi giorni dopo la definitiva conclusione delle annose cause che lo avevano visto
opporsi alla matrigna donna Benvenida 110 e ai figli nati dall’unione con don Samuel: Iacob, Leone, Letizia e Gioia.111 Anzi, in queste sue disposizioni testamentarie, don Isaac aveva indicato che suo fratello Leone «alias Iuda» avrebbe dovuto essere suo erede universale se la figlioletta Hester, definita «infantem», fosse
morta prima di lui. Evento che, peraltro, si è avverato. Infatti, di tenore del tutto
diverso è il successivo testamento dettato il 21 giugno 1563,112 mentre don Isaac
giaceva malato nella propria camera da letto nella parte superiore della residenza
nella contrada dei Sabbioni «prope Sanctum Franciscum»: 113 ad una nutrita seSu forma, struttura e contenuti dei lasciti testamentari di Ebrei, cfr. COLORNI, Legge ebraica cit.,
pp. 213-221; C. BOCCATO, Testamenti di israeliti nel fondo del notaio veneziano Pietro Bracchi seniore
(sec. XVII), «La Rassegna mensile di Israel», XLII, 1976, pp. 281-297; P. IOLY ZORATTINI, ‘‘Raccomando prima l’anima mia all’infinito et omnipotente Iddio de Israel...’’. Morte e testatori ebrei a Venezia nell’età moderna, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», XL, 2004, pp. 129-158.
In particolare, per i testamenti femminili cfr. V. ROVIGO, ‘Publicum instrumentum scriptum in
lingua et littera ebraicha’: la documentazione di una minoranza tra autonomia documentaria e vocazioni
maggioritarie, in Margini di libertà: testamenti femminili nel Medioevo, Atti del convegno internazionale Verona 23-25 ottobre 2008, a cura di M.C. Rossi, Caselle di Sommacampagna (VR), Cierre ed.
2010, pp. 407-434; M. DAVIDE, I testamenti delle donne nelle comunità askenazite e in quelle di origine italiana nell’Italia settentrionale (XIV-XVI secolo), in Margini di libertà cit., pp. 435-456; E. TRANIELLO, Percorsi di donne ebree a Ferrara (XVI secolo), in Margini di libertà cit., pp. 457-474; A. ESPOSITO, I testamenti delle altre: le donne delle minoranze nella Roma del Rinascimento, in Margini di
libertà cit., pp. 475-488.
110 Sulla figura di donna Benvenida, seconda (o forse unica e legittima) moglie di don Samuel
Abravanel, e sulla complessa controversia familiare che ebbe luogo alla morte don Samuel nel
corso della quale donna Benvenida aveva espresso dubbi sulla legittimità della nascita di don Isaac,
cfr. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., ad indicem. La terza figlia della coppia, Allegra, non
appare nominata in questa querelle né nei testamenti di don Isaac che tratteremo in seguito, cfr. ivi,
I, p. 329.
Sulla controversia relativa all’eredità di don Samuel Abravanel, cfr. COLORNI, Legge ebraica cit.,
pp. 220-221.
111 Il testamento di don Isaac è addirittura il primo atto che il notaio ha registrato subito dopo
la transazione fra gli Abravanel, cfr. ASFe, ANAFe, Andrea Coccapani, matr. 534, pacco 5, prot.
1557, cc. 209r-221r, 2 novembre 1557: «Transactio inter magnificos de Abbravanellis»; regesto parziale, cfr. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., II, doc. 1481.
112 Cfr. ASFe, ANAFe, Maurelio Taurini, matr. 535, pacco 27, prot. testamenti, cc. 38v-43v:
«Testamentum donni Isaach Barbanelli», 21 giugno 1563. Il testamento è citato in DI LEONE LEONI,
La Nazione ebraica cit., I, p. 333: l’autore si proponeva di pubblicarne la trascrizione nella seconda
parte dell’opera che, purtroppo, non vedrà mai la luce.
Al di là della collera e del dispetto di don Isaac, che sembrano trasparire nel testamento del
1557, la forma e la sostanza dei due atti sono correttamente diverse in quanto, secondo il diritto talmudico-rabbinico, solo il malato in procinto di morte può disporre delle sue proprietà. E ciò avviene
unilateralmente, cioè senza che l’atto acquisti validità attraverso il kinian sudar. Per la mancanza di
quest’ultimo, l’atto non è irrevocabile e quindi, in caso di guarigione, esso diviene nullo automaticamente, come è avvenuto per l’Abravanel, cfr. COLORNI, Legge ebraica cit., pp. 213-214.
113 Evidentemente, don Isaac si era spostato, in data imprecisata e per motivazioni non conosciute, da questa abitazione nella centrale e affollata via dei Sabbioni a quella (che immaginiamo più
elegante e prestigiosa) sulla strada della Giovecca, non lontano dal palazzo dove aveva abitato Grazia
de Luna.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
rie di dichiarazioni di crediti nei riguardi di Ebrei – ferraresi e non solo – e di Cristiani,114 segue un elenco più ristretto di legati.115 Infine, don Isaac ha nominato
sua erede universale la «dilettissimam» sorella Letizia e suo esecutore testamentario il cognato, proprio omonimo e marito della detta erede. Né in queste disposizioni né nei codicilli dettati subito dopo allo stesso notaio è nominata la figlia
Hester: 116 alla luce di quanto dichiarato da don Isaac nei due rogiti del notaio
Bonsignori, possiamo immaginare che Hester, entrata in convento, avesse già
professato la rinuncia ai beni paterni (e materni).117 Ma un lascito sarebbe stato
114 Sono citati tutti i soci delle attività economiche di don Isaac; dal suo libro di scritture risultavano suoi debitori: i fratelli Moisè e Meir di Salomon Bordellani, i lusitani Abram Mendo e Manuel
«Bezzazi» – per Bichacho – e, ancora, Abram Catelani suo genero e nipote, Felice Castaldi «super
vico Zodeche», Lebbo Bathseva di Verona, Iacob Rainer, Iuda Civigliar, il suo stesso fratello don
Iuda del fu don Samuel «Barbaneli», Salamon Sasson, Samuel Lombroso residente ad Alessandria
d’Egitto e il di lui nipote Menachem, Ioseph di Isach Levi prestatore al banco dei Sabbioni di Ferrara; l’ebreo Iacob «Thedeschi cognomenato Capto» [?]. Erano invece creditori di don Isaac «quorum nunc meminit et memoriae mandare potuit»: il capitano Giulio Roti, il lusitano Davit Lerma,
l’eredità del suo defunto fratello don Iacob, don Isaac suo cognato e Moisè Benasser. Ritroviamo
i vivaci componenti di questa vicenda in DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., ad indicem.
115 I lasciti erano indirizzati a diversi enti ebraici e ad altri soggetti. Alla Schola del dottor rabi
Abraam Salom a «Zaffeth» «presso Gerusalemme» erano destinati 10 scudi d’oro, per il tramite di
suo cognato don Isaach Abravanel; e cosı̀ alla Società della Misericordia degli Ebrei Italiani di Ferrara (10 scudi d’oro) e ai poveri Ebrei Italiani e «Germanis» (10 scudi d’oro ad arbitrio di Salomon
Sasson). Il fratello don Iuda Abravanel avrebbe ricevuto la «prima partem seu tomum libri Rabi Mosee Egiptii»; Dolce, residente nella sua casa, avrebbe avuto 300 scudi d’oro, con l’aggiunta di qualsiasi abito di lino, lana, panno, seta o altro genere e gioie, ornamenti – tanto aurei che argentei, sia
quotidiani sia festivi – che fossero destinati in suo uso dal testatore, e ancora cinque casse grandi e
quattro piccole, masserizie di casa e mobilio vario; al servitore Raphael de Bethel sarebbero stati aggiunti al salario dovuto 20 scudi d’oro, oltre alla restituzione di 70 lire marchesane che Raphael aveva
anticipato per gli usi di casa allo stesso testatore; anche Bona, madre di Dolce, era al servizio nella
casa del testatore e avrebbe ricevuto 20 scudi d’oro in aggiunta al salario, segnato con precisione nel
libro dello stesso don Isaac. Rilevo come per la sola Dolce non sia precisata la presenza di una retribuzione e che la munificità dei lasciti in beni personali è assimilabile, almeno nella formulazione,
più ai lasciti ad una moglie che ad una serva.
116 Cfr. ASFe, ANAFe, Maurelio Taurini, matr. 535, pacco 27, prot. testamenti, cc. 43v-44v, 21
giugno 1563: «Legatum Raphaelis de Bethel sibi factum per donnum Issach Barbanelmum». Dopo il
legato a Raphael de Bethel, il codicillo designa la sorella Letizia quale erede universale con la specifica «ex testamento aut ex donatione», tanto che si conclude con la «declaratio traditionis clavium
domus camerarum locorumque eius [testatoris] ac capsarum et scrineorum omnium dicti testatoris».
Il luogo e i sette testi citati – due notai e cinque maestri di arti diverse – sono i medesimi dell’atto
precedente: per sua natura il codicillo viene redatto di norma soltanto per integrare o modificare un
precedente dispositivo più generale. È difficile credere ad un ripensamento subitaneo, dato che la
parte riguardante Raphael è ripetuta tal quale; si deve pensare forse ad un peggioramento improvviso
della salute di don Isaac? Tuttavia, l’infermità si è poi risolta positivamente consentendo a don Isaac
di ritornare nel pieno possesso dei suoi beni.
117 Nell’archivio del monastero di Sant’Agostino conservato presso l’Archivio Storico Diocesano di Ferrara, ho cercato invano un riscontro dell’entrata in clausura della figlia di don Isaac: venivano registrate tramite atto notarile solo le assegnazioni dotali che comprendevano cessioni di beni
immobili che, entrati nel patrimonio effettivo dell’istituto religioso, erano poi messi a frutto tramite
concessioni ad uso e affittanze. Non rimane traccia, invece, delle costituzioni dotali di soli beni mo-
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
comunque possibile, anche se la fanciulla aveva lasciato l’Ebraismo: 118 v’è da
supporre che ella fosse quindi già deceduta prima del 1563.
La donazione condizionata del 1571 e quella per il terremoto del 1572 dipingono uno scenario di causali e disegni indefinito e con troppe ombre che si apre a
due interpretazioni molto diverse. Da un lato consideriamo che don Isaac era un
punto di riferimento nell’ambito della comunità: presso la sua abitazione nella
contrada di Sant’Agnese sulla via dei Sabbioni – praticamente di fronte all’edificio dove avevano sede il banco dei Sabbioni, la sinagoga di ser Mele da Roma e
il mikvè –, egli aveva accolto alcuni Sefarditi in transito per Ferrara,119 offrendo
bili e contanti, cfr. S. SUPERBI, La dote e il chiostro, in ‘‘In dotem pro dote et dotis nomine’’. Il sistema
dotale tra norma e prassi nella Ferrara del XIV secolo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Ferrara, rel. Maria Serena Mazzi, a.a. 2008/2010, pp. 152-154.
118 Mancando una letteratura specifica su testamenti in cui eredi sono i figli neofiti, a titolo di
esempio cito due atti di ambito ferrarese, sebbene settecenteschi. Nel 1768, giacendo infermo nella
camera superiore prospiciente via Gattamarcia nella sua abitazione, ha dettato le ultime volontà Aron
del fu Isac Modigliani; dopo aver dato disposizioni per la sepoltura, ha indicato come lasciti che fossero restituite alla sua sposa Eleonora Scandiani le doti, come indicate nel rogito del notaio Antonio
Piccini del 6 agosto 1732, e che a Moisè Vita Norsa fossero restituiti i 24 scudi che lo stesso gli aveva
prestato «per puro amore» prendendoli dalla propria bottega. Eredi universali ha nominato Bongiorno e Adamo «hora neofito», figli suoi e della detta Eleonora, con l’obbligo di creare le doti delle
loro sorelle Benedetta e Lea, pure sue figlie, secondo la legge. Ha poi indicato curatori testamentari
Samuel Pesaro e Moisè di Emanuel Anau, Massari dell’Università degli Ebrei, cfr. ASFe, ANAFe,
Asdrubale Onofrio Azzi, matr. 1560, pacco 5, 18 dicembre 1768.
Nel 1770, nella camera prospiciente il cortile nella sua abitazione, ha dettato le ultime volontà
Rachael del fu Aron Isac Pesaro vedova di Silvio Ancona «di anni 72 e più». Dopo aver disposto che
il suo corpo fosse sepolto nel cimitero degli Ebrei Italiani, a titolo di legato ha lasciato alla propria
figlia Ester, neofita con il nome di Maria Maddalena Monticelli Zanirati, 1 scudo per una sola volta,
quantunque ella avesse già avute le sue competenze ereditarie paterne e materne nel 1757, mentre ha
nominato Sabadino e Lea, figli legittimi ed eredi di suo figlio Aron Isac Ancona, propri eredi universali dei beni mobili, immobili e dello jus kazakà di cui ella godeva sull’abitazione in via Vignatagliata. Infine, ha indicato come curatori testamentari Samuel Amadio Norsa e Moisè Monachi, cfr.
ivi, pacco 7, 13 maggio 1770.
119 Cfr. P.C. IOLY ZORATTINI , Ebrei sefarditi e Marrani a Ferrara dalla fine del Quattrocento alla
devoluzione del Ducato estense, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, a cura di
A. Biondi, A. Prosperi, Ferrara, Panini 1987, pp. 117-130; ID., Anrriquez Nunez alias Abraham Righetto: A Marrano caught between the S. Uffizio of Venice and the Inquisition of Lisbon, in The Mediterranean and the Jews. Banking, Finance and International Trade (XVI-XVIII centuries), a cura di
A. Toaff e S. Schwarzfuchs, Ramat Gan, Bar-Ilan University Press 1989, pp. 291-307; ID., Ebrei sefarditi, Marrani e Nuovi Cristiani a Venezia nel Cinquecento, in ‘‘E andammo là dove il vento ci
spinse’’. La cacciata degli ebrei dalla Spagna, a cura di G.N. Zazzu, Genova, Marietti 1992, pp.
115-137; ID., Un profilo del marranesimo alla fine del ’500: la denuncia al S. Uffizio romano di fra’
Zaccaria da Lisbona, in Mémorial I. S. Révah. Études sur le marranisme, l’hétérodoxie juive et Spinosa,
a cura di H. Méchoulan et G. Nahon, Paris-Louvain, Peeters 2001, pp. 529-543; ID., La dissimulazione perfetta. Le doppie nozze di Juan Micas (Yosef Naci), in La centralità del dubbio, a cura di
C. Hermanin, L. Simonutti, Firenze, Olschki 2010, pp. 457-478; la serie dei Processi del S. Uffizio
di Venezia contro Ebrei e Giudaizzanti cit.; L’identità dissimulata. Giudaizzanti iberici nell’Europa cristiana dell’età moderna, a cura di P.C. Ioly Zorattini, Firenze, Olschki 2000 (Storia dell’Ebraismo in
Italia – Studi e testi, XX); DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., I-II, che compendia gli studi
precedenti dell’autore.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
loro protezione proprio nei confronti del ramo della sua stessa famiglia capitanato dalla matrigna Benvenida.120 Aveva anche ottenuto di realizzarvi un proprio
oratorio privato annesso.121 Viene da chiedersi quale percorso personale avrà
compiuto Hester, che aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita secolare nell’abitazione di un tale eminente rappresentante della società ebraica: quali persone
ella possa aver incontrato tali da influire sulle sue decisioni, allontanandola in
modo cosı̀ totale e definitivo dalla famiglia e dalle frequentazioni abituali. Ma,
a quel che sembra, non dal ricordo del padre, che ha saputo raggiungere la memoria di lei anche dietro le mura della clausura, sovvenendo alla necessità verificatasi dopo il sisma che aveva ferito la città e il monastero che l’aveva accolta.122
Davanti al palesamento del Cripto-giudaismo praticato dai famigliari oppure alla
loro conversione alla religione dei Padri, spesso la reazione dei giovani Marrani
cresciuti nel Cristianesimo è stata di ribellione e rottura con i congiunti. Ai maschi erano accessibili forme di rifiuto che, nei casi estremi, giungevano alla fuga,
sulla scorta della decisione di intraprendere a ritroso il viaggio diasporico compiuto dai parenti fino alla penisola iberica dove poter vivere da Cristiani o, al contrario, di effettuare pellegrinaggi nelle terre dove l’Ebraismo era praticato liberamente. Si tratta di percorsi di spiritualità e di vagabondaggio che erano per lo
più preclusi alle ragazze: 123 allevate in Cristo e incapaci di accettare la conversione dei genitori, davanti a loro si aprivano solo le porte della Chiesa o, meglio, del
convento.124 Possiamo solo immaginare questo padre che aveva sopportato il peCfr. GRAZIANI SECCHIERI, Le case dei sefarditi cit., p. 84.
Cfr. DI LEONE LEONI, La Nazione ebraica cit., I, docc. 393, 1398. I due privilegi, concessi
dalla Camera Apostolica e confermati dal vicario del vescovo di Ferrara il 4 maggio 1547 e dal duca
22 maggio 1557, facevano riferimento all’abitazione in via dei Sabbioni in primis, ma erano estendibili a qualsiasi altro edificio abitato da don Isaac, quindi anche nel palazzo della Giovecca in cui si è
trasferito in data non nota, prima del sisma del 1570. Sulla collocazione delle sinagoghe ferraresi e
sulla distinzione fra pubbliche e private, cfr. GRAZIANI SECCHIERI, Ebrei italiani, askenaziti e sefarditi
a Ferrara cit., pp. 163-190: 183-185.
122 Anche a questo riguardo la ricerca presso l’archivio del convento di Sant’Agostino è stata
infruttuosa: non è stata rinvenuta documentazione inerente ai danni subiti dal complesso monastico
né alle opere di risarcimento degli stessi.
123 Cfr. B. PULLAN, Gli Ebrei d’Europa e l’Inquisizione a Venezia dal 1550 al 1670, Roma, Il
Veltro 1985, pp. 331-354.
124 Dall’imponente bibliografia, cfr. Itinerari ebraico-cristiani, a cura di M. Caffiero, A. Foa,
A. Morisi Guerra, Fasano, Schena 1987; Ebrei e cristiani nell’Italia medievale e moderna. Conversioni,
scambi, contrasti. Atti del VI Congresso internazionale dell’AISG, S. Miniato, 4-6 novembre 1986, a
cura di M. Luzzati, M. Olivari, A.M. Veronese, Roma, Carucci 1988; D.M. GITLITZ, Secrecy and Deceit. The Religion of Crypto-Jews, Philadelphia-Jerusalem, Jewish Publication Society 1996, published
by arrangement with the author Fost University of New Mexico 2002; C. CORMAN, Sur la piste des
marranes, Paris, Édition du Passant 2000; Troubled Souls. Conversos, Cripto-jews and Other Confused
Jews, ed. by C. Meyers, N. Simms, Hamilton, Outrigger Publishers 2001; «Zakhor: Ebrei: identità e
confronti», V, 2001-2002; N. ROTH, Conversos, Inquisition and Expulsion of the Jews from Spain, Madison WI, Wisconsin University Press 2002.
120
121
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LAURA GRAZIANI SECCHIERI
so del disdoro davanti agli occhi della comunità ebraica,125 accresciuto dal dolore
per l’allontanamento dell’unica figlia. Era una perdita addirittura duplice in
quanto non solo Hester aveva abbandonato la religione dei Padri, ma si era anche votata a Cristo entrando in monastero.126
Se avessimo fra le mani il solo atto del 1572 potremmo ritenere che il sentimento paterno potesse essere stato superiore a qualsiasi altra forma di livore
visto che, nove anni dopo il suo secondo testamento, egli ha compiuto questo
atto di donazione che si configura come del tutto estraneo all’abituale comportamento dell’entourage ebraico.127 Tale gesto può essere letto, al contrario,
come un tentativo – forse l’ultimo – di riscuotere quanto perduto ad Ancona,
approfittando della vicenda privata della figlia monaca, della città messa in ginocchio dal sisma, del convento bisognoso di restauri. Se non era ancora riuscito ad incassare quei crediti dopo quindici anni ed era plausibile ritenere che
anche in futuro avrebbe trovato porte sbarrate a tale riscossione, don Isaac
poteva invece pensare che le autorità ecclesiastiche anconetane sarebbero state meglio disposte nei confronti degli emissari delle monache ferraresi, riuscendo cosı̀ ad aggirare le imposizioni pontificie: non a caso l’atto del 1572
non richiama quello che era stato steso l’anno precedente, che dettava le condizioni del donativo e la parziale restituzione a don Isaac ma, anzi, aggiunge la
causale della donazione a risarcimento delle lesioni procurate dal sisma. Sisma
che nel settembre 1571 aveva già creato i crolli, e che nel 1572 andava scemando nell’intensità delle scosse e dei danni procurati: la sottigliezza del giureconsulto Laderchi sembra forse avere suggerito a don Isaac una giustificazione inoppugnabile anche davanti agli occhi della Camera Apostolica. Le
ricerche che ho fino ad ora compiuto non hanno portato alcuna luce sull’esito
di questa vicenda. Non si trova riferimento della donazione nel volume Sommario particolare dei contratti, dove i rogiti sono registrati secondo la tipologia
125 La conversione è uno strappo luttuoso e per il singolo e per la comunità, come indicava
Leon Modena che, perfino nel descrivere la fine drammatica degli odiati assassini del suo amatissimo
figlio Zavulon, ha specificato che «tutti gli altri finirono in modo tragico, alcuni si convertirono, di
altri non si seppe più nulla», Vita di Jehudà cit., p. 81.
126 La presenza di suor Laura nel convento di Sant’Agostino nella fase post-sisma è attestata dal
censimento del 1571, dove la troviamo citata al trentaseiesimo posto fra le ottanta monache, cfr.
ASMo, Arch. Camerale, Ammin. Fe., b. 100: Popolazione – Descrizione delle anime, registro L: Descrittione delle anime del Massaro di Santo Gregorio, Santo Salvatore, Santo Martino et Santa Maria
del Vado, il cui incipit è: «Compendio et descrittione del populo di Ferrara sotto le infrascritte parochie [...]».
127 Per la verità, anche qualche non ebreo (Felice Castaldi e il capitano Giulio Roti) è oggetto di
legati nel testamento del 1563, sebbene il gesto possa sottintendere semplicemente la restituzione di
somme pendenti, ad esempio per motivi mercantili, di cui don Isaac voleva garantire il rientro, dato il
pericolo di morte imminente. In ogni caso, dalla documentazione ferrarese è emerso finora questo
unico esempio di donazione a favore di un monastero da parte di un ebreo.
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GLI EBREI DI FERRARA DI FRONTE AL TERREMOTO DEL 1570
contrattuale, conservato nell’archivio del convento di Sant’Agostino, né vi è
stato possibile individuare le risultanze dell’opera compiuta da Lamberti ad
Ancona in nome delle monache. Gli incartamenti della Camera Apostolica
e degli Archivi di Stato di Ancona e Modena potrebbero chiarire se l’attività
del mercante sia stata vincente su Tomasi oppure se si sia risolta in un’ulteriore, forse definitiva, sconfitta per don Isaac e nella rinuncia alla riscossione.
La fonte eterogenea dei documenti e il loro reperimento asistematico consentono di definire in modo forse incompleto e pregiudizievole quale possa
essere stata la visione che gli Ebrei di Ferrara hanno avuto del sisma ferrarese
del 1570. Ciononostante, concatenare le espressioni poetiche di ‘Azaryah de’
Rossi ai passi aspri dell’autobiografia di Leone Modena – analizzando le une e
gli altri secondo un’ottica finalizzata all’individuazione degli effetti sulle cose e
sugli uomini – e cercare di coniugare la panoramica ottenuta con lo stereotipato formulario notarile consente di ricreare una visione originale e un ulteriore contributo alla conoscenza della permanenza ebraica a Ferrara. Le vicende delineate dalle fonti notarili superano per cronologia e integrano per
valenza le parole dei due rabbini e le situazioni che essi hanno tratteggiato:
sono vicende che descrivono la fattività di individui decisi a superare anche
il dramma del disastro tellurico, attraverso affittanze e restauri, acquisti e donazioni, generosità nei confronti dei più bisognosi e verso la sinagoga, simbolo
della continuità in Ferrara di quella compagine ebraica che, di lı̀ a poco, si sarebbe costituita in Università.
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FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • SESTO FIORENTINO (FI)
NEL MESE DI NOVEMBRE 2014
ISSN 1122-0716
ISBN 978 88 222 6356 8