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charlie christian

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Conservatorio Statale di Musica
O.Respighi - Latina
Dipartimento di Jazz
Triennio di primo livello Chitarra jazz A.A 2015/2016
CHARLIE CHRISTIAN
RELATORE:
TESINA STORIA DEL JAZZ 1° ANNO:
Prof. Elio Tatti
Musilli Alessandro
1
2
INDICE:

INTRODUZIONE ………………………………………………………. Pag. 3

CONTESTO STORICO: Il periodo dello Swing ……………………… Pag. 4

CENNI STORICI ………………………………………………………. Pag. 6

BIOGRAFIA ……………………………………………………………. Pag. 8

LO STILE E LA TECNICA …………………………………………… Pag. 33
Analisi di alcuni assolo ……………………………………………………. Pag. 36
Verso il bepop……………………………………………………………. . Pag. 42

COLLABORAZIONI ………………………………………………… Pag. 44

DISCOGRAFIA ………………………………………………………
Pag. 45

FONTI………………………………………………………………….
Pag. 46
3
Introduzione
Ho scelto di trattare la figura di Charlie Christian perché si tratta di un musicista che ha
portato un contributo essenziale all’evoluzione del linguaggio improvvisativo jazzistico.
Infatti, cosa insolita per un chitarrista di quell’epoca, ha rappresentato una fonte innovativa
da cui attingere per molti musicisti degli anni successivi alla sua scomparsa,ovvero gli anni
del pieno sviluppo del bepop.
Per me che ero abituato ad ascoltare chitarristi non più lontani nel tempo di Wes
Montgomery, venire a conoscenza della figura di Charlie Christian è stata un’esperienza di
grande utilità per la mia formazione culturale e soprattutto musicale. Secondo me venire a
conoscenza di un nuovo musicista è un’esperienza che può avvenire nei modi e nei tempi più
vari. Al giorno d’oggi l’offerta musicale complessiva è di tale quantità e qualità che spesso si
rischia di non incontrare della musica di enorme valore artistico e di preziosa qualità per la
propria maturazione musicale, soprattutto se considerata non più attuale.
Personalmente trovo che l’ascolto sia sempre proficuo, soprattutto quando gli obbiettivi sono
l’apprendimento e la crescita. Per questo è fondamentale cercare di indirizzare nel modo
migliore i propri ascolti e i propri studi.
Del resto anche alcuni chitarristi più recenti suggeriscono il valore di Charlie Christian. Tra
questi troviamo Jim Hall, che racconta a più riprese di come sia stato folgorato dall’ascolto
del solo di Christian in Grand Slam, e Wes Montgomery, che sentì che quello che poteva
chiedere al suo strumento lo aveva trovato in Solo Flight. Ma non vi sono solo i chitarristi ad
elogiarlo. Miles Davis nella sua biografia racconta di essere stato ispirato dal fraseggio di
Charlie Christian e afferma che secondo lui sia stato il vero fondatore del bepop.
Gli elementi che più mi hanno colpito nell’ascoltare più attentamente Christian sono: la sua
sicurezza nel suonare, l’articolazione delle frasi, la chiarezza espositiva e il suo straordinario
senso del ritmo.
Sono stati proprio l’ascolto e la curiosità che mi ha portato ad approfondire il contesto storico
in cui si trovava, le sue esperienze musicali e il suo percorso come musicista in generale, per
capire come abbia fatto un ragazzo che all’epoca aveva la mia stessa età a rivoluzionare il
modo di suonare e ad essere fonte di ispirazione per molti musicisti che sono venuti dopo di
lui.
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Contesto storico: Il periodo dello Swing
La cosiddetta era dello Swing è racchiusa in circa un decennio, tra i primi degli anni Trenta
fino ai primi anni Quaranta, in in cui la musica popolare americana fu dominata dalle big
band. Per quanto una larga fetta dell’America ballasse al ritmo del jazz, non bisogna
dimenticare che esso fu si un fenomeno di massa ma non davvero dominante. Il decennio
dello Swing può essere suddiviso in varie fasi: una prima maturazione tra il 1935 e il 1937,
legata alla ripresa dell’economia americana; uno straordinario momento di picco tra il 1938 e
il 1941; e un lento declino negli anni della guerra.
Esistono molti elementi di continuità tra il jazz della fine degli anni Venti e quello dell’era
dello Swing, sul piano sociologico come quello musicale; al tempo stesso in questi anni
emergono nuovi valori, una nuova estetica e nuove forme di consumo della musica. I
precedenti stili di jazz vengono raggruppati sotto il nome di Two Beat Jazz, in cui beat sta per
battito. Verso la fine degli anni Venti gli stili Two Beat sembravano esauriti. Ad Harlem e
soprattutto a Kansas City verso il 1928 si stava delineando già un nuovo modo di suonare.
Laddove questo nuovo modo di suonare confluì con la musica dei rappresentanti dello stile
Chicago e di New Orleans, i quali in quel periodo cominciarono la seconda grande
migrazione della storia del jazz- la migrazione da Chicago a New York- nacque lo Swing.
Diversamente dal Two Beat lo si può definire Four Beat Jazz perché il tempo in quattro viene
scandito uniformemente dall’inizio alla fine. La parola swing è una parola chiave della
musica jazz. Essa viene impiegata in due modi diversi: in primo luogo sta ad indicare un
elemento ritmico tipico del jazz, ed è presente in tutti gli stili, in tutte le fasi e in tutti i modi
di suonare jazz ed è tanto indispensabile al jazz che si è arrivati ad affermare: senza swing il
jazz non esiste. In secondo luogo la parola swing sta ad indicare lo stile jazzistico degli anni
Trenta, cioè quello stile con cui il jazz ha raggiunto il masssimo successo al livello
commerciale.
L’ondata di musica e ballo che conquistò l’America è connessa al rinnovato ottimismo
dell’era roosveltiana che, sebbene attraversò altre crisi importanti, si caratterizzò per una
graduale ripresa economica. L’America ritrovò l’energia per andare avanti grazie al relax e al
senso di benessere della musica di una minoranza oppressa: gli afroamericani. Trionfano
l’estetica musicale e corporea africana: negli anni Venti l’Africa aveva plasmato il ritmo
della musica occidentale, ora l’era dello Swing segna l’africanizzazione della melodia. La
musica più ballata e amata è costituita da ” riff ” sovrapposti, brevi frasi ripetute
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che si incastrano tra le sezioni orchestrali: una forma compositiva verticale di chiara
ascendenza africana. I protagonisti di questa rinascita furono gli adolescenti: l’era dello
Swing appartiene ai ragazzi dai sedici anni in su. Si rafforzarono i legami relazionali e un
bisogno comune di divertimento al di fuori degli impegni scolastici. Nel corso del 1933 i vari
stati americani proibirono la vendita degli alcolici nei locali pubblici. I club e i cabaret
persero così quel carattere corrotto e peccaminoso, per convertirsi in ambienti socialmente
più accettabili. Nondimeno rimanevano luoghi aperti solo a persone facoltose. Al contrario le
sale da ballo economiche, accessibili e sicure, si moltiplicarono rimpiazzando i nightclub
come istituzioni chiave del jazz poiché attiravano una clientela di massa piuttosto che di
classe. Le sale aggiunsero il fascino del club con un tocco di atmosfera notturna, tavolini,
liquori e cibo. Sul palco, le big band non si limitavano a suonare musica da ballo ma
offrivano spettacoli completi con cantanti, intermezzi per piccoli gruppi jazz e numeri con
ballerini professionisti. La sala da ballo era anche relativamente libera da pregiudizi razziali.
Se gli hotel, i teatri e i programmi radiofonici raramente presentavano orchestre nere, le sale
da ballo le ingaggiavano per delle serate singole. In generale, l’era dello Swing vide un
incremento di bianchi che danzavano con le orchestre nere e di un pubblico nero che
ascoltava o danzava con le orchestre bianche o miste. I ragazzi bianchi non avevano problemi
ad entrare al Savoy a Harlem, e non di rado all’Apollo Theatre che ospitava anche orchestre
bianche. Era più difficile che le orchestre nere suonassero in ambienti per bianchi , come gli
hotel di lusso ( Ellington all’hotel Sherman di Chicago fu un eccezione ) ma trovavano
comunque lavoro nelle sale da ballo publiche o feste per bianchi. La caratteristica dello
Swing degli anni Trenta fu la costituzione di tante big band. A Kansas City si sviluppò – ad
esempio nell’orchestra di Count Basie- uno “stile riff” in cui il vecchio schema di call and
response, tanto importante per tutto lo sviluppo della musica jazz. Questa forma di domanda
e risposta nelle grandi orchestre venne applicata alle sezione delle trombe, dei tromboni e dei
sassofoni. Un altro elemento nella formazione delle forme jazzistiche per le grandi orchestre
venne introdotto dai musicisti che erano usciti dallo stile bianco di Chicago. Nell’orchestra di
Benny Goodman confluirono le diverse correnti: la tradizione di New Orleans di Fletcher
Henderson che si occupava degli arrangiamenti per Goodmann, la tecnica “riff” di Kansas
City e la precione e la preparazione dei bianchi che da un lato tolsero a questo tipo di jazz
molta della sua espressività. Ad ogni modo essi conferirono a questa nuova musica una forma
più cantabile di modo che questo jazz poteva essere venduto ad un pubblico di massa.
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Cenni Storici
L’attività di musicista professionista di Charlie Christian si è svolta dalla metà degli anni
trenta fino al 1942(anno della sua scomparsa), quindi nel pieno del periodo dello swing.
All’epoca molti dei pionieri del jazz erano nati per lo più a New Orleans o nei pressi e in
seguito molti sarebbero venuti da New York. Tuttavia pur sapendo che già dagli anni dieci il
jazz era molto diffuso, specie verso il Sudovest, stupisce che così tanti musicisti provenissero
dall’area Kansas-Oklahoma-Texas. Charlie Christian infatti era nato a Bonham (Texas) e
cresciuto a Oklahoma City, e come lui molti altri tra cui Coleman Hawkins, Budd Johnson,
Buddy Tate ecc… Quando Charlie Christian apparve sulla scena newyorkese molti tra cui
Teddy Hill, ex direttore d’orchestra e gestore del Minton’s Playhouse, si domandavano da
dove venisse. Ovviamente la domanda va intesa in due modi: come si spiegasse il miracolo
dell’esplosione di un Christian appena ventitreenne e dalla personalità del tutto matura, ma
soprattutto, in quale retroterra potesse essere fiorita una simile tempra di innovatore. La
risposta è questa: Il Sudovest è terra di chitarra e di blues. In particolare, la tradizione blues
del Texas è una delle più antiche: forse anche più dello stile New Orleans che di solito viene
considerato come la fonte primaria del jazz. Christian incarnava tutto ciò, rivoluzionò il
modo di improvvisare portando il blues del Sudovest dentro il jazz moderno e non solo.
Senza dubbio egli aveva un immenso talento innato, ma è pur vero che il suo modo di
suonare deriva dall’intreccio di varie influenze formative: la chitarra blues del Sudovest, la
musica classica, la musica country dell’area Texas-Oklahoma. Infatti Charlie Christian nella
sua adolescenza suonava nell’orchestra a corde itinerante del padre, nei quartieri non neri di
Oklahoma City, e senza dubbio suonò e ascoltò tante musiche diverse. Infatti in quel periodo
con l’avvento della radio, dischi, e juke box, tra i vicoli delle città si ascoltavano suoni di
ogni genere, e il giovane Charlie, si può immaginare, assorbì, consciamente o no, vari stili
allora popolari in zona, tra cui il più diffuso di tutti nel Sudovest ovvero il Western Swing. Le
prime orchestre di Western Swing in pratica erano dei complessi a corde come quello di suo
padre, che nei primi anni Trenta avevano già chitarristi che suonavano parti improvvisate.
Costoro furono anche i pionieri della chitarra elettrica. Va detto inoltre che Christian oltre ai
gruppi di Western Swing, ascoltò anche molti musicisti bianchi attivi nel Sudovest, come
Bob Willis e Milton Brown, che si erano creati un certo seguito fondendo il sound del
Country&Western con il repertorio e l’improvvisazione del jazz. Uno dei tratti distintivi di
questi gruppi era la steel guitar, resa popolare dal chitarrista Leon McAuliffe del gruppo di
Bob Willis. Si trattava di quella tecnica, inventata alle Hawaii, di prendere una chitarra,
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poggiarla all’insù sulle cosce e pizzicarla intonando le note sul manico con un ditale di
acciaio. Fu McAuliffe a rendere popolare questo suono con Steel Guitar Rag del 1936. Il suo
rivale Bob Dunn, nel gruppo di Milton Brown, suonava lo stesso tipo di chitarra ma
elettrificata. La si ascolta già in dischi del 1935, ed è a Dunn che si deve la divulgazione di
quel suono. I pickup elettrici passarono anche ad amplificare la chitarra spagnola, che è poi
quella suonata da George Barnes, Eddie Durham e Floyd Smith nei loro pioneristici tentativi:
ed è la chitarra imbracciata da Christian, il cui suono e fraseggio - dalla pronuncia tesa, il
periodare bluesy, il timbro aggressivo - erano molto più debitori di Dunn e McAuliffe.
Charlie ovviamente ascoltò simili complessi e decine di altri analoghi alla radio, sui dischi e
anche dal vivo, dato che all’epoca suonavano in tutto il Sudovest. Ciò non vuol dire che li
abbia copiati, ma per lo meno lascia pensare che a metà del 1939, quando sfondò a New
York, la tradizione chitarristica che impersonava e portò al culmine, esistesse già da qualche
tempo. Infatti come si vedrà in seguito, Christian subirà delle specifiche influenze jazz che
giocarono un ruolo importante nella sua fase formativa. Oklahoma City aveva una vigorosa
tradizione jazz e inoltre era una tappa obbligatoria per le orchestre del Middlewest e del
Sudovest, compresa la più famosa, quella di Bennie Moten. L’evento che più sembra aver
incoraggiato il giovane Charlie ad intraprendere la strada che lo avrebbe portato alla gloria fu
l’arrivo in città di Lester Young, una prima volta nel 1929 e poi ancora nel 1931 con i Blue
Devils. La concezione lesteriana del sax tenore e del jazz in generale, lineare e agli antipodi
di quella verticale e armonica di Hawkins, dovette avere su Christian un effetto profondo e
duraturo anche per due motivi: la chitarra era meno ipotecata dal dominio tecnico-classico
rispetto agli strumenti dell’orchestra sinfonica; e all’epoca in giro c’erano già molti chitarristi
blues dal fraseggio lineare che erano un incoraggiamento per lui in tal senso, o forse
addirittura molti di questi erano proprio suoi idoli. Visto l’eterogeneo ambiente musicale in
cui crebbe, non stupisce che Charlie interpellato sulle sue prime influenze, non ne abbia mai
indicata una in particolare e questo la dice lunga anche perché come abbiamo visto in
precedenza, lui ebbe modo di ascoltare una miriade di musiche diverse. Resta il fatto che
quando arrivò per la prima volta a New York nel 1939 il suo stile innovativo era già maturo
da qulche tempo: forse già nel 1935, di sicuro nel 1937 quando incontrò Eddie Durham, che
girando con l’orchestra di Count Basie, gli mostrò uno dei primissimi modelli di chitarra
elettrica. Da li il resto è storia, finalmente Charlie potè dare libero sfogo al suo fraseggio da
strumento a fiato e alla sue sue idee basate su riff, contribuendo all’evoluzione del jazz, e
della chitarra in particolare negli anni a venire.
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BIOGRAFIA
Dalla nascita alle prime esperienze musicali
Charles Henry Christian nasce il 29 Luglio 1916 in Texas , a Bonham, un centinaio di
chilometri a nord di Dallas (città di cui le prime biografie lo facevano nativo oltre a
postdatarne la nascita al 1919). Terzo di tre fratelli, fin dalla nascita la musica fu
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elemento di primo piano della sua vita. I genitori, musicisti professionisti, componevano
ed eseguivano accompagnamenti di film muti presso un cinema locale: il padre alla
tromba, pur essendo polistrumentista, chitarra compresa; la madre, Willie Mae Christian
(Booker al battesimo), pianista e soprano, al pianoforte. Per sostenere la famiglia il padre
lavorava anche come cameriere presso il locale Hotel Alexander; dirigeva inoltre una
piccola orchestra . I fratelli, Edward e Clarence, rispettivamente di dieci e cinque anni più
grandi, suonavano il contrabbasso il primo, violino e mandolino il secondo: dei due solo
Edward avrebbe proseguito la carriera di musicista, dedicandosi invece Clarence a vari
mestieri.
Nel 1918 il padre, a seguito di una febbre prolungata dovuta ad una malattia imprecisata
che durò diversi mesi rimase cieco e con la famiglia si trasferì in cerca di nuove
opportunità lavorative ad Oklahoma City, città che al tempo era tappa di passaggio per le
band in viaggio dall’ est verso l’ovest. Grazie a ciò il giovane Christian avrà modo di
ascoltare musicisti del calibro di Louis Armstrong, Earl Hines, Cab Calloway, Duke
Ellington, Don Redman, Count Basie, Fletcher Henderson, Jimmie Lunceford and Chick
Webb.
Al 1921 abbiamo notizia che il padre e i tre fratelli si esibivano come musicisti di strada, il
padre cantando accompagnandosi alla chitarra, Edward e Clarence al mandolino e al
violino: il repertorio attingeva al blues, alla musica leggera del tempo e anche a musica
sacra e arie d’operetta, e Christian oltre ad assistere e fare da guida al padre ballava
rumorosamente su una tavola per attirare la folla.
È in questo periodo che iniziano i primi pionieristici e solitari esperimenti con
l’elettrificazione della chitarra: Alvino Rey (vero nome Albert o Alvin McBurney), futuro
musicista della swing era e provetto tecnico elettrico, si dilettò fin dai dodici anni nel
tentativo di inventare il modo di amplificare il suo banjo ed arrivò addirittura ad inventare il
primo prototipo di amplificatore, che però non brevettò. Assai degno di nota il fatto che nel
1935 la Gibson Guitar Corporation lo incaricò, assieme ad alcuni ingegneri, di sviluppare
un prototipo di pickup per chitarra sulla base di quello che lui stesso aveva
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progettato per il proprio strumento; da questa sperimentazione ebbe origine il pickup
della ES-150, che avrebbe assunto successivamente il soprannome di Charlie Christian
pickup dal nome del chitarrista che lo avrebbe reso universalmente noto.
Tornando a Charlie, sappiamo che nel 1923 iniziò a frequentare la Douglass Elementary
School, scuola pubblica per cittadini afro-americani. Sempre a quest’anno sono riferibili
le prime lezioni di chitarra ad opera del padre.
Alla Douglass insegnava a quel tempo un’illuminata educatrice di nome Zelia Breaux.
Costei, come direttrice del programma musicale della scuola, organizzò un percorso
didattico multilivello e multidisciplinare attraverso il quale, oltre a dare fondamenti di
teoria musicale, armonia e musica colta, si premurava di seguire gli allievi sin dalle prime
classi per cercare di individuare le potenzialità dei singoli e indirizzarne lo studio sullo
strumento a suo parere più appropriato al singolo; oltre a ciò, in collaborazione con un
teatro locale, organizzò concerti con alcuni importanti nomi del tempo, fra cui Bessie
Smith e Cab Calloway. Fu forse proprio Zelia a intuire le potenzialità del piccolo Charlie,
nonostante il suo consiglio (datato 1928) all’allievo sia stato quello di dedicarsi allo
studio della tromba: si consideri, comunque, che la chitarra elettrica doveva ancora essere
inventata. Ad ogni modo Charlie, che avrebbe preferito suonare il sassofono tenore nella
banda della scuola, non seguì a lungo il consiglio (secondo alcune fonti per una non
meglio imprecisata ‘chest condition’, forse indice di una cassa toracica non adeguata
legata alla sua corporatura costituzionalmente magra; secondo altre perché temeva che
suonare la tromba gli avrebbe sfigurato le labbra): fu così che lo scarso interesse per la
tromba (nonostante l’amore per lo strumento in sé dovuto alla passione per Louis
Armstrong) e l’impossibilità economica a permettersi l’acquisto di un sassofono lo
spinsero a dedicare le sue energie al baseball, sport verso il quale dimostrava completa
dedizione e nel quale dimostrava eccezionali qualità.
D’altro canto, l’attenzione verso la chitarra, sopitasi nel 1926 alla morte del padre che a
questo strumento lo aveva avvicinato, iniziò in quel periodo a ridestarsi in lui. Sempre
intorno al 1928 apprese le prime basi di teoria musicale e di lettura del pentagramma e
ricominciò ad esibirsi per strada coi fratelli, questa volta tuttavia nel ruolo più edificante
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di chitarrista e col fratello più grande al contrabbasso. Sembra anche che a quei tempi
Charlie iniziasse a saltare lezioni a scuola, ma rimanesse attorno all’istituto suonando il
suo strumento, attirando l’attenzione dei compagni e disturbando quindi il corso delle
lezioni, cosa che lo portò ad avere grane col direttore della scuola. Questa testimonianza,
per quanto bizzarra, fa il pari con quella di Ralph Ellison, suo amico e compagno di
classe, che riferisce di come a quei tempi Charlie stupisse i suoi amici con le sue prime
performance chitarristiche su una chitarra artigianale fatta da lui con una scatola di sigari
(notizia al limite del leggendario se non fosse che la pratica di costruire cigar-box guitar
è effettivamente esistita).
Le prime esibizioni ed esperienze professionali
Nel 1930 Charlie continua gli studi alla Douglass High School e conosce Magretta
Lorraine Christian che diventerà in seguito sua compagna. A seconda delle fonti fra il
1930 e il 1932 si colloca la sua prima esibizione in un locale, descritta in un’intervista del
’78 al biografo Craig R. McKinney da Clarence Christian. In quel periodo l’orchestra di
Don Redman si esibì all’Honey Murphey’s Club e, come di consueto per il locale, quella
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sera si svolse una jam session. Il fratello maggiore Edward a quel tempo gestiva una band
ad Oklahoma e aveva una questione in sospeso, a causa di una ragazza, col suo
trombettista James Simpson. Questi, che già da tempo aveva in simpatia il giovane
Charlie e aveva iniziato ad assecondarne la passione per la musica fornendogli i primi
rudimenti di jazz assieme al chitarrista Ralph ‘Big-Foot’ Hamilton, pensò di mettere in
imbarazzo il borioso rivale (col quale secondo amici di famiglia lo stesso Charlie ebbe
sempre difficoltà relazionali) davanti al nutrito pubblico del locale. Edward, James e
Ralph stavano dunque partecipando alla jam quando Charlie e Clarence arrivarono al
locale, Charlie smanioso di mettersi alla prova su uno dei tre pezzi che aveva studiato coi
due musicisti: Sweet Georgia Brown, Tea for two e Rose Room (dettaglio che come
vedremo avrà notevole e felice rilievo per la sua carriera alla corte di Benny Goodman).
Quando Charlie chiese al fratello di poter suonare qualcosa, questi lo respinse con un
secco “Nessuno vuole sentire quei vecchi blues”, ma Ralph lo convinse a dargli
un’opportunità e Charlie propose Sweet Georgia Brown, brano assai popolare già al
tempo: quando fu il momento di Charlie pare che questi inanellò una serie di chorus che
entusiasmarono il pubblico e lasciarono esterrefatto il fratello (che non era a conoscenza
della frequentazione musicale di Charlie con Simpson e Hamilton e dei progressi
compiuti). A grande richiesta gli fu richiesto di suonare altro e Charlie diede fondo a tutto
il suo freschissimo seppur limitato repertorio suonando i successivi due brani a sua
conoscenza col suo personale stile a note singole: l’effetto fu tale e la voce si sparse con
tale velocità nel quartiere che, al rientro di Charlie e Clarence, la loro madre sapeva già
tutto quello che era successo.
Charlie continua in quegli anni a coltivare con devozione le sue due passioni, il baseball e
la musica. Approfondisce i suoi studi con gli stessi Hamilton e Simpson dai quali riceverà
nozioni di livello più avanzato e imparerà a meglio leggere la musica. Nel 1932 dalla
relazione con Magretta nascerà la sua unica figlia che chiameranno Billie jean e Charlie
abbandonerà la scuola per dedicarsi a tempo pieno al lavoro e al sostentamento della
famiglia; in quel periodo l’interesse per il baseball andò scemando in favore di quello per
la musica che poteva tra l’altro garantirgli qualche entrata nell’immediato. Purtroppo la
relazione ebbe breve durata e presto la compagna si allontanò con la figlia.
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In quel periodo lavorava nella band del fratello Edward The Jolly Jugglers ed è riportato
che abbia lavorato anche come ballerino di tip-tap, lanciatore di baseball, cantante e
pugile. Iniziano a manifestarsi le sue prime e più dirette influenze: il già abile chitarrista e
amico Aaron Thibeaux ‘T-Bone’ Walker ma soprattutto il sassofonista tenore Lester
Young.
Per quanto riguarda il primo, più grande di Charlie di sei anni, sappiamo che questi lo
presentò a Ralph Hamilton e da quel momento iniziarono a studiare insieme. T-Bone
Walker era figlio di una cantante e chitarrista blues e nella sua casa erano spesso ospiti di
passaggio la domenica storici bluesmen quali il mitico Blind Lemon Jefferson. Walker,
già dai quindici anni, nel 1925, era chitarrista di professione e accompagnava alcune fra
le più grandi cantanti di blues quali Ma Rainey, Ida Cox e Bessie Smith e al 1929, a soli
diciannove anni, risale il suo debutto discografico con la Columbia. Influenzato
fortemente per sua stessa ammissione da Lonnie Johnson, Walker fu però innovativo nel
fatto di allontanarsi dalla classica forma blues I7-IV7-V7 in 12 battute e nel suo fraseggio
ispirato dagli strumentisti a fiato che si allontanava dal tipico stile accordale dell’epoca e
dello stesso Ralph Hamilton, ciò che fa pensare che lui e Charlie si siano influenzati
vicendevolmente. Lo stesso Walker racconta come a quel tempo lui e Charlie si
esibissero in un numero nel quale si alternavano al basso e alla chitarra passandosi gli
strumenti e inframezzando il tutto con dei piccoli balletti. Come Charlie per il jazz,
Walker sarà storicamente considerato dai posteri come uno dei principali responsabili
dello sviluppo della chitarra elettrica nel blues e di conseguenza nel rock and roll (Jimi
Hendrix lo ha più volte indicato come fondamentale influenza).
Per quanto riguarda Lester Young, Charlie ebbe modo di ascoltarlo per la prima volta nel
1929, quando Young arrivò col suo gruppo a Kansas City e lo incontrò e ne fece diretta
conoscenza nel 1932. In quell’anno il sassofonista fece una stagione ad Oklahoma City
presso il Ritz Ballroom coi suoi Thirteen Original Blue Devils, una delle band itineranti
più importanti del sud ovest, che si rifaceva nel nome alla famosa Blue Devils di Walter
Page (dalla quale ultima avrebbero preso le mosse diversi musicisti della Bennie Moten's
Kansas City Orchestra e dell’orchestra di Count Basie, tra cui lo stesso Basie).
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L’influenza di Young su Charlie, che si rifece espressamente al sassofonista per quanto
riguarda il proprio fraseggio e per la ricerca della propria voce musicale, fu tale che
diverse testimonianze riferiscono come per tutta la vita il chitarrista fosse solito
riprodurre in scat-singing i soli del sassofonista. Young ebbe modo di raccontare come,
dopo le serate dei Thirteen Original Blue Devils lui e Charlie fossero soliti trovarsi per
suonare insieme per le strade del quartiere: e come riferì lo stesso Christian, da quel
momento decise che voleva che la sua chitarra “suonasse come un sassofono”.
Fra il 1934 e il 1937 Charlie fa esperienza suonando inizialmente come già riferito nei
The Jolly Jugglers del fratello Edward ed anche in trio con lo stesso, impieghi che
abbandonerà perché riteneva insufficiente la paga; successivamente lo ritroviamo in
diversi gruppi regionali: con Leslie Sheffield nel gruppo Leslie Sheffield & his
Rhythmaires, con Leonard Chadwick nei Leonard Chadwick & his Rhythmaires; il suo
primo ingaggio di rilievo è con l’orchestra di Alphonso Trent, nella quale suona chitarra e
basso e con la quale inizierà a fare serate anche in giro per il Texas. Quando l’orchestra si
sciolse, fu ingaggiato da Anna Mae Winburn per una tournée nel sud-ovest della sua
Anna Mae Winburn and the Cotton Club Boys, nella quale suona assieme all’amico e
insegnante James Simpson.
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L’incontro con la chitarra elettrica
Dagli inizi del ’35, la chitarra elettrica cominciò ad essere frequentemente utilizzata nelle
hot string bands (quelle che saranno storicamente indicate come formazioni di ‘Western
Swing’ o ancora di ‘hillbilly boogie’ o ‘cowboy jazz’: va notato a questo proposito che
erano costituite esclusivamente da musicisti bianchi) e, quel che è più importante, non
solo in funzione ritmica ma in evidente ruolo solistico; formazioni queste la cui musica
era continuamente diffusa per radio e estesamente registrata su disco. Fra i chitarristi più
rappresentativi troviamo allora Jim Boyd (anch’egli di Bonham, città natale di Charlie e
forse il primo ad aver registrato con una chitarra amplificata) e Muryel ‘Zeke’ Campbell,
entrambi chitarristi nei Light Crust Doughboys, forse la prima formazione di ‘Western
Swing’; Leon McAuliff e successivamente Eldon Shamblin nella Bob Wills and His
Texas Playboy (McAuliff alla steel-guitar); Bob Dunn dei Milton Brown and His Musical
Brownies, (anch’egli steel-guitarist) fra i primi a registrare la chitarra elettrica su disco e
che mostrava in alcuni dei suoi assoli singolarità riscontrabili diffusamente nello stile di
Christian, quali la tendenza a evitare la netta divisione delle battute e quella di anticipare
in modo pesante gli accordi, oltre al caratteristico fraseggio staccato. Oltre a poter
legittimamente immaginare che Charlie abbia ascoltato tutta questa musica per radio e dal
vivo, sappiamo per certo che nel ’36 si recò assieme a Leslie Sheffield a Dallas per la
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Texas Centennial Celebration, dove ebbe modo di suonare e venne a diretto contatto con
molte delle più note hot string bands che parteciparono all’evento.
Nel ’37 Charles acquista a rate in un negozio di Oklahoma la sua prima vera chitarra
elettrica, una Gibson ES-150, modello appena avviato alla commercializzazione su larga
scala dalla nota fabbrica di strumenti: prima di allora infatti si era ingegnato
grossolanamente per amplificare i suoi soli ricorrendo ad un microfono serrato fra le
ginocchia. La nuova chitarra era venduta di serie in abbinamento al proprio amplificatore,
l’EH-150, e persino al cavo jack e il numero 150 altro non era che il prezzo complessivo
dell’equipaggiamento: 75 dollari la chitarra, 75 dollari l’amplificatore.
In quell’anno Count Basie fece tappa con la sua orchestra ad Oklahoma City e vi rimase
per circa quattro settimane prima di continuare la tournée. Nell’orchestra suonava in quel
periodo un altro pioniere dell’amplificazione della chitarra, Eddie Durham, che già dal
’29 aveva sperimentato integrando un rudimentale risuonatore ricavato da una teglia per
torte ed abbinato ad un megafono (i megafoni erano usati per i soli anche dai fiati) nella
sua chitarra e nell’ottobre dello stesso anno aveva registrato brevi parti solistiche con essa:
la sua registrazione di Hittin’ the Bottle con l’orchestra di Jimmie Lunceford del 30
settembre 1935 con una chitarra resofonica amplificata tramite un microfono conficcato in
una delle ‘f’ che prendeva il suono direttamente dal risuonatore e lo inviava ad un
amplificatore costruito dallo stesso Durham, è considerata dalla letteratura jazzistica la
prima registrazione di chitarra amplificata nella storia del jazz. In realtà Roberto
Colombo in base a una più accurata ricostruzione alla luce delle più recenti acquisizioni
cronologiche e a considerazioni di buon senso ne attribuisce il primato a George Barnes: è
indubbio ad ogni modo che le tenaci sperimentazioni di Durham nella direzione di dare
una nuova voce alla chitarra abbiano influenzato i chitarristi a venire, Charles compreso.
Tale fu infatti la presa di posizione di Durham che in tutte le orchestre di cui fece parte in
veste di solista (ed arrangiatore e trombonista, con Bennie Moten, Jimmie Lunceford e
Count Basie), la sua veste solistica era sottolineata dalla presenza di un altro chitarrista in
veste esclusivamente ritmica (rispettivamente Leroy Berry, Al Norris, Freddie Green).
Sia come sia, Durham racconterà di essere stato lui a spingere Charlie Christian
all’acquisto e all’utilizzo di una vera chitarra elettrica, oltre a dargli fondamentali
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indicazioni tecniche che avrebbero grandemente influito sul suo stile in via di
definizione, quale quella di cercare di suonare il più possibile con la plettrata verso il
basso per ottenere un attacco più simile a quello di un sassofono; ancora Durham riferirà
che quando incontrò Charles questi suonava il pianoforte e possedeva una chitarra di
infimo ordine il che, unito al fatto che sostenne di avere avviato anche Floyd Smith alla
chitarra, questione che appare improbabile ai più, non sembra conferire piena credibilità
alla fonte.
Sempre nel corso del ’37 il ventunenne Charles guida saltuariamente un proprio gruppo
comprendente il fratello Edward e nel ’38-’39 è nuovamente con Alphonso Trent (questa
volta però nel solo ruolo di chitarrista) nella Alphonso Trent & his Harlem Swingsters. È
durante una tappa di questa formazione che la chitarrista Mary Osborne della nota
orchestra di Andy Kirk rimase colpita dal suono della chitarra di Charles, simile a un
sassofono distorto, tanto da correre il giorno successivo ad acquistare una ES-150;
riferisce inoltre che Christian eseguì nota per nota l’assolo di Django Reinhardt su St.
Louis Blues, il che fa supporre che attraverso la radio e i dischi Charles stesse venendo a
conoscenza anche del lavoro del chitarrista gitano.
Gli ingaggi e la fama di Christian iniziarono ad estendersi anche molto lontano dalle sue
zone, se è vero che un negozio di strumenti di Bismarck (quasi milletrecento chilometri
da Oklahoma City) esponeva in vetrina la nuova Gibson ES-150 indicandola come la
chitarra utilizzata da Charlie Christian e se il Pittsburgh Courier (oltre milleseicento
chilometri) scriveva “Charlie Christian è un mago sulla Epiphone (!) guitar”. Ed è in quel
periodo che la carriera di Charles conosce la svolta che lo porterà al successo.
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John Hammond e la svolta
Nel ’39 Benny Goodman, “il Re dello Swing”, il musicista di jazz più noto e seguito del
momento e stabilmente presente nelle classifiche musicali nazionali, stava cercando
nuovi talenti per sopperire alle importanti defezioni da parte di musicisti chiave quali
Harry James, Gene Kruppa e Teddy Wilson. Suo fidato consigliere (e futuro genero) era
John Hammond, stimato talent scout, giornalista e produttore per la Columbia, il quale
era presumibilmente affascinato dalla novità rappresentata dalla chitarra elettrica: nel ’38
aveva prodotto i dischi dei Kansas City Five e Kansas City Six, piccoli gruppi formati da
musicisti della band di Basie fra cui il chitarrista ‘elettrico’ Eddie Durham (oltre a Buck
Clayton, Jo Jones, Walter Page, Freddie Green per i ‘Five’ e Lester Young per i ‘Six’); i
‘Six’ furono inoltre presentati dallo stesso Hammond nel primo concerto “From Spiritual
to Swing” da lui pensato e organizzato al Carnegie Hall, questa volta con Leonard Ware
al posto di Durham; pochi giorni dopo avrebbe spinto perché Goodman provasse il suono
della chitarra elettrica nelle sue formazioni minori. Fu così che Goodman, vivace
sperimentatore e attento alle evoluzioni dei gusti del pubblico, ospitò in gennaio Ware e
successivamente a maggio un altro chitarrista, George Rose, in due esibizioni
radiofoniche a suo nome per la CBS, oltre a cercare, nell’intervallo fra le due date, di
portare alla propria corte Floyd Smith, chitarrista nei Clouds of Joy di Andy Kirk, il cui
“Floyd Guitar’s Blues” (arrangiato da Mary Lou Williams) aveva ottenuto un
impressionante successo commerciale: operazione che fallì nonostante Goodman si fosse
spinto ad offrire addirittura cinquemila dollari. A posteriori si può dire che il fallimento si
rivelò una incredibile fortuna per Benny: pochi mesi dopo infatti Floyd, di passaggio da
Oklahoma City con l’orchestra di Andy Kirk in programma al Ritz Ballrom, fu invitato dai
colleghi (fra cui la stessa Mary Lou che già aveva ascoltato Christian ed altri che volevano
dare una lezione a Floyd che si era probabilmente montato la testa per il successo
del suo singolo) a partecipare alla jam al Ritz Grill, dove si esibiva Charles,
preventivamente istruito a non prendere soli prima che Floyd salisse sul palco; e da
questa jam il chitarrista da cinquemila dollari uscì, musicalmente parlando, con tutte le
ossa rotte. Nel frattempo Hammond non aveva smesso di cercare e, durante una sessione
di registrazione per Mildred Bailey and Her Oxford Greys nella quale Floyd suonava la
chitarra acustica e Mary Lou Williams il piano, confessò a quest’ultima di gradire lo stile
di Floyd all’acustica e di ritenere invece terribile il suono amplificato della lap steel
guitar utilizzata in Floyd Guitar’s Blues e lo stile simil-hawaiano adottato in quel caso dal
19
chitarrista. Mary Lou, memore della jam al Ritz Grill, consigliò allora a John di
raggiungere il locale di Oklahoma City, dove suonava stabilmente il più grande
chitarrista elettrico che avesse mai ascoltato. Ed Hammond le diede ascolto.
Diretto in California per registrare Benny Goodman, programmò una tappa ad Oklahoma
dove Charles, avvisato della visita, lo attendeva all’aereoporto con tutto il suo gruppo, tutti
stipati in una Buick che portò anche Hammond all’albergo dove la madre di
Christian lavorava come donna di servizio. Nel pomeriggio si tenne l’audizione al Ritz,
Hammond rimase fortemente impressionato dalle capacità di Charles ma gli fu subito
evidente che il resto del gruppo non era lontanamente all’altezza del chitarrista: dunque,
sebbene a malincuore, fu costretto a frustrare le speranze del gruppo e a chiedere al solo
Christian di partecipare all’audizione per Goodman. Quella sera al Ritz Grill ci fu una jam
di saluto a Charles e il mattino seguente Charles partì in treno alla volta di Los Angeles
per l’audizione con Benny Goodman.
20
L’incontro col “Re dello Swing”
La prima impressione non fu delle migliori. Hammond stesso raccontò come già al
momento di proporre a Goodman l’audizione di Christian questi avesse risposto
seccamente “Chi diavolo vuole ascoltare un chitarrista elettrico?”, frase che sembrerebbe in
contrasto con la sua precedente fallita trattativa per avere Floyd nel gruppo ma che a mio
avviso trova giustificazione considerando che quest’ultimo suonava la lap steel guitar
all’hawaiana ed era quindi tutt’altro strumento e concezione rispetto alla chitarra elettrica,
che Goodman nella sua esperienza collegava alle performance radiofoniche condivise
con Leonard Ware e George Rose, senza dubbio meno innovativi rispetto a Christian nel
dare voce al nuovo strumento. La diffidenza iniziale di Goodman crebbe al momento delle
presentazioni in studio. La band stava terminando una sessione di registrazione quando
Hammond fece il suo ingresso a fianco di un paesanotto vestito a festa e con un
21
cappellone da cow-boy che reggeva, secondo lo stesso Hammond, “un’ordinaria
spanish guitar” con una mano e un “primitivo amplificatore” con l’altra: la Gibson gli era
stata infatti ritirata dal negozio nella quale l’aveva acquistata, a motivo di mancato
pagamento delle rate; sarà Hammond a riscattarla e recuperarla successivamente.
Alla fine della sessione Goodman acconsentì controvoglia per pura cortesia ad
ascoltare Charles e gli chiese di accompagnarlo su Tea for two senza neanche dargli il
tempo
di
collegare
l’amplificatore;
dopo
un
paio
di
minuti,
per
nulla
impressionato da quello che aveva sentito, abbandonò seccato lo studio seguito da
Hammond col quale si lamentò di avergli presentato un “impossible rube”, un
impossibile zoticone. Si consideri che Goodman era abituato fino a quel momento a fare
audizioni in acustico ai migliori e armonicamente avanzati chitarristi ritmici presenti sulla
piazza e come già riportato non aveva la minima idea di cosa Christian avesse da offrire
in termini solistici sulla chitarra elettrica. Hammond non si perse d’animo e con lui
Charles. Quella sera il gruppo di Goodman suonava al ristorante Victor Hugo di Beverly
Hills e, mentre Benny cenava durante la pausa fra il primo e il secondo set, Hammond e
il contrabbassista Arnie Bernstein (come testimonia l’allora presente sassofonista tenore
Jerry Jerome
intervistato
da
Kevin Centlivre
nel
1993,
collocando
però
erroneamente l’evento al Coconuts Grove) introdussero di nascosto la strumentazione
di Charles attraverso la cucina e la collocarono sul palco. Quando Benny rientrò in scena
col suo quintetto, Charles fece la sua comparsa dalla cucina e si andò a sedere al suo posto:
Goodman, trattenendosi dal reagire di fronte alla esclusiva clientela del locale, non potè
far altro che lanciare un’occhiata di ghiaccio in direzione di Hammond e vendicarsi
chiamando un brano che era certo l’impossibile zoticone non conoscesse, non rientrando
solitamente nel repertorio delle orchestre nere: Rose Room… Charles, che come abbiamo
visto aveva in passato studiato a fondo il pezzo con Simpson e Hamilton, quando fu il suo
turno si lanciò in una torrenziale improvvisazione che a detta dei presenti portò il brano a
durare nel complesso quarantacinque minuti, inanellando uno dietro l’altro oltre venti
chorus di solo. Goodman ovviamente rivide la sua iniziale diffidenza e assunse all’istante
Christian che passò così nel giro di pochi giorni a guadagnare dai due dollari e mezzo
a serata del Ritz Grill di Oklahoma a centocinquanta dollari al mese alla corte di
‘King’ Goodman: era il 16 agosto 1939.
22
Il primo Benny Goodman Sextet
Da questo momento in poi la biografia di Christian diviene strettamente legata a quella del suo
band leader e per questo molto meglio definita cronologicamente ma molto meno stimolante da
un punto di vista narrativo: è la musica a prevalere sulle fonti extramusicali nel descrivere i
successivi due anni della vita di Charles Christian. O meglio, come Goodman comincerà a
chiamarlo fissandone il nome nella storia della musica, ‘Charlie’ Christian.
Fin dalla sera successiva il Benny Goodman Quintet si trasforma quindi in un sestetto, composto
da
- Benny Goodman, clarinetto;
- Lionel Hampton, vibrafono;
- Fletcher Henderson, piano;
- Charlie Christian, chitarra;
- Artie Bernstein, contrabbasso;
- Nick Fatool, batteria.
:
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Questa formazione sarà ricordata come il primo Benny Goodman Sextet in cui abbia
militato Charlie Christian, e sarebbe stato attivo dal 19 agosto al 2 dicembre 1939.
La prima registrazione di Charlie col sestetto risale al 19 agosto, appena qualche giorno
dopo l’audizione.
Benny Goodman e il suo gruppo fra il ’36 e il ’39 partecipavano settimanalmente come
Benny Goodman’s Swing School al Camel Caravan, un varietà musicale radiofonico
sponsorizzato dalla nota marca di sigarette e trasmesso inizialmente dalla NBC e
successivamente dalla CBS. Benny Goodman disponeva settimanalmente di un budget di
trecento dollari per gli ospiti e la prima proposta di Hammond a Benny non appena ebbe
scoperto Christian ad Oklahoma City era stata proprio quella di investire quei soldi per
portare il nuovo talento fino a Los Angeles, come ospite dello show: grazie alla jam al
Victor Hugo, Charlie Christian vi entrava invece per così dire dalla porta principale, come
nuovo membro effettivo del Benny Goodman Sextet. Il brano eseguito fu Flying Home di
Hampton - DeLange - Goodman, registrato per la prima volta proprio in quella occasione:
a Charlie sarà riservato l’onore del chorus di improvvisazione di apertura prima di quello
di Hampton, mentre Goodman si limiterà all’esposizione del tema. La pratica di presentare
pezzi nuovi al Camel Caravan (almeno fino a tutto il ’39, anno in cui la trasmissione ebbe
termine) sembra essere, analizzando le approfondite cronologie di Leo Valdes e Peter
Broadbent sulle registrazioni di Charlie Christian, una costante del modus operandi di
Benny Goodman: un po’ come per gli odierni singoli, venivano presentati per radio i brani
che sarebbero successivamente stati registrati in studio col sestetto, con la fondamentale
differenza che in questo caso le esibizioni erano dal vivo e non pre-registrate.
La prima registrazione su disco di Charlie risale invece all’11 settembre ’39 e non è però
col sestetto ma con l’orchestra di Lionel Hampton, col quale aveva stretto una forte
amicizia e passava ore assieme ascoltando musica, suonando e sviluppando idee musicali
della cui paternità disografica, secondo diverse testimonianze e sulla base di evidenze
stilistiche, si sarebbe spesso fregiato Benny Goodman, secondo un’abitudine piuttosto
diffusa al tempo fra i capi orchestra.
Col sestetto registra la prima volta il 2 ottobre dello stesso anno, i pezzi sono i già
radiodiffusi Flying Home e Stardust, oltre al brano che aveva sconvolto Goodman e i
24
clienti del Victor Hugo la sera del 16 agosto, Rose Room. Ancora, il 22 novembre,
sessione in cui troviamo la famosa Seven Come Eleven, firmata Goodman ma attribuita a
Christian; stesso discorso varrà per AC/DC Current e Shivers, registrate il 20 dicembre
’39 dal secondo Benny Goodman sextet ma radiodiffuse con la precedente formazione.
Alla stessa sessione è riferibile una seconda take che sarà rinominata Homeward Bound
(“diretto verso casa”) e rilasciata anni dopo durante il secondo conflitto mondiale come
lato B di un V-Disc (dischi mandati per volontà del governo statunitense ai propri militari
in guerra in Europa, a sostegno morale), alla quale è stata giustapposta a posteriori la
voce di Benny Goodman che saluta i soldati.
Durante questo primo periodo abbiamo testimonianza audio
di una jam session
all’Harlem Breakfast Club di Minneapolis il 24 settembre 1939, con Jerry Jerome al sax
tenore, Frankie Hines al piano, Oscar Pettiford al basso e Charlie Christian che in assenza
di batterista si può ascoltare sostenersi durante il solo battendo il piede. La natura di jam
session è evidente all’ascolto, oltre che per la qualità dell’audio, per la lunghezza dei
pezzi che superano i circa 3’30’’ dei 78 giri del tempo, e per la maggiore libertà dei
musicisti nel solo sia in termini di durata che di espressività rispetto alle registrazioni
ufficiali. Oltre a due distinte take della famosa I Got Rhythm con due esuberanti chorus di
Charlie per take, abbiamo l’unica versione di Stardust ad oggi in cui prenda un corhus di
solo a note singole (oltre al chorus di solo preparato in cui mescola, anticipando le
caratteristiche che saranno poi di Wes Montgomery, note singole, voicing accordali e
ottave, e che sarà il solo chorus presente nelle esibizioni e registrazioni con Goodman); e
per finire Tea for two, il pezzo della sbrigativa prima audizione con Goodman, nel quale,
oltre ad un’introduzione accordale preparata più lunga di quella ‘ufficiale’ su disco, si
prodiga in tre impressionanti chorus di solo che anticipano anni di jazz a venire.
Il 6 ottobre 1939 Charlie fa il suo debutto al celeberrimo Carnegie Hall di New York col
sestetto (si consideri che l’allora tempio esclusivo della musica classica si era aperto al
jazz per la prima volta il 16 gennaio 1938, con un concerto dell’orchestra dello stesso
Benny Goodman): erano passati meno di due mesi da quando Charles Christian era salito
sul treno da Oklahoma City verso Los Angeles.
Ad ottobre registra nuovamente con l’orchestra di Hampton con, fra gli altri, Dizzie
Gillespie alla tromba, e successivamente come ospite dell’orchestra della cantante Ida Cox;
ha inoltre per la prima volta la possibilità di incidere in studio con l’intera orchestra di
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Goodman nella già citata sessione del 22 novembre in cui si era registrato anche il Benny
Goodman Sextet.
Oltre a ricordare la partecipazione col sestetto al Center Theatre di New York come gruppo
di apertura al musical Swinging the Dream, che nonostante le celebrità coinvolte nel
progetto (per dirne due: Louis Armstrong fra i protagonisti; Walt Disney alla scenografia)
si rivelò un fallimento resistendo solo tredici sere; l’impegno quasi quotidiano col
gruppo dalla sua assunzione fino a tutto novembre in registrazioni radiofoniche, ingaggi
vari, singoli concerti, che riempiono tutto il tempo compreso fra le tre registrazioni su
disco; la partecipazione costante alle jam session, in una delle quali‘polverizzò’ Les Paul
(espressione utilizzata dallo stesso chitarrista, che racconta come invece fino ad allora fosse
solito ‘tagliare le teste’ dei chitarristi che lo sfidavano in jam session); si può dire che non
ci siano per il resto date particolarmente significative in questa prima parte di vita
professionale di Christian.
Fondamentale però per la storia della chitarra nel jazz è la data del 1° dicembre 1939,
giorno in cui sulla rivista Down Beat compare un articolo a nome di Charlie Christian
intitolato “Guitarmen, Wake Up and Pluck!” (“chitarristi svegliatevi e plettrate”), che
passerà alla storia come un vero e proprio manifesto della chitarra elettrica: l’articolo
invita i chitarristi a munirsi di chitarra elettrica ed amplificatore e ad emanciparsi dalla
schiavitù dell’accompagnamento ritmico, reinventandosi una carriera solista come lui
stesso aveva fatto trasformando dall’oggi al domani la sua vita e la sua condizione.
Nonostante più di un biografo dubiti circa la paternità dell’articolo o lo consideri
indubbiamente scritto da altri, forse per il riferimento ad un altro articolo di Down Beat e
per il particolareggiato excursus sull’evoluzione del nascente strumento, oltre che per il
linguaggio più facilmente attribuibile ad un giornalista musicale che non a un
“impossibile zoticone” (che come avrebbe detto Barney Kessel che lo conobbe
personalmente: “Non si esprimeva altrettanto bene a parole quanto con la musica”) si può
ammettere a mio parere la possibilità che l’articolo abbia preso inizialmente spunto da
considerazioni verbali di Christian e sia stato reso più passabile ad opera per esempio di
Hammond.
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Il secondo Benny Goodman Sextet
Dal 16 dicembre del ’39 Fletcher Henderson decide di dedicarsi solo all’arrangiamento
per il sestetto e il ruolo di pianista viene ricoperto da quel momento da Johnny Guarnieri. È
il secondo Benny Goodman Sextet, che rimarrà tale fino al 30 giugno 1940. A questo
periodo appartengono nuovi brani originali quali Gone with “what” wind (parodia del
titolo del film Via col vento, appena uscito al cinematografo), Boy meets Goy, Good
enough to Keep, oltre, come già anticipato, ad essere registrati Shivers, AC-DC Current e
I’m confessin, rodati col precedente sestetto.
Il 24 dicembre del ’39 il gruppo torna al Carnegie Hall per il secondo concerto “From
Spiritual To Swing” organizzato ancora da Hammond e in quell’occasione Charlie viene
inserito da Hammond nei Kansas City Six di Count Basie, ruolo ricoperto nel primo
concerto da Eddie Dhuram; pare che la scelta di privare il sestetto di Benny dell’esclusiva
su Charlie per la serata abbia mandato su tutte le furie Benny. Da segnalare è la vittoria
nei sondaggi come miglior chitarrista jazz dell’anno su Down Beat, una delle riviste di
jazz più importanti del periodo, nonostante la comparsa sulla scena di Christian solo
nell’ultimo quadrimestre dell’anno; primato che manterrà anche nel ’40 (battendo Django
Reinhardt per 4445 voti a 124) e ’41, oltre a vincere il corrispondente premio anche sul
Metronome Poll in questi secondi due anni.
Dopo due settimane di ferie in gennaio in cui torna a trovare parenti e amici, riprende la
routine di concerti e ingaggi vari registrando la prima sessione col nuovo sestetto il 7
febbraio del ’40 con però la straordinaria presenza al piano di Count Basie al posto di
Guarnieri. Come vincitore del Metronome Pall partecipa coi vincitori di ogni categoria
alla sessione della Metronome All-Star Strut il 7 febbraio 1940 a New York.
Il primo marzo Charlie si ammalò e fu portato con la febbre a 40° e tosse insistente in un
ospedale di Chicago, dove gli furono scoperte cicatrici tubercolotiche nei polmoni. I
medici gli prescrissero riposo e uno stile di vita più regolare (Charlie dormiva poco dato
che terminava spesso le serate nei locali dove partecipava alle jam session; inoltre era un
forte fumatore di marijuana): consigli a cui Christian non diede gran rilievo. Nello stesso
periodo anche Goodman ebbe problemi alla schiena e sospese gli ingaggi del gruppo fino
al 19 marzo.
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Dal suo rientro e fino a tutto aprile Benny ottenne un lungo ingaggio sulla west coast, al
Cocoanut Grove, un night club di Los Angeles, dove si registrano diverse esibizioni sia
del sestetto che dell’intera orchestra. In quel periodo inoltre Arnold Covarrubias,
chitarrista dell’orchestra, abbandona il suo posto e Charlie inizia a far parte stabilmente
anche dell’orchestra come accompagnatore. Al Cocoanut in aprile avrà modo di esibirsi
anche con Fred Astaire. Fra aprile e giugno il sestetto registra in tre sessioni, l’ultima
delle quali con Dudley Brooks al piano al posto di Guarnieri.
Il 15 luglio 1940 per l’aggravarsi del suo problema alla schiena, che rese necessario un
intervento chirurgico, Benny sciolse l’orchestra e mantenne a busta paga solo i musicisti
che riteneva essenziali, fra cui Christian. Questi torna quindi a Oklahoma City e sembra
riferibile a questo intervallo di tempo il breve periodo di conoscenza e frequentazione col
giovane Barney Kessel, uno dei chitarristi che maggiormente ne subirà l’influenza ed uno
dei pochi testimoni visivi affidabili riguardo la tecnica strumentale di Charlie.
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Nel Benny Goodman Septet
In ottobre Goodman riorganizza il gruppo mantenendo praticamente solo Charlie
Christian e il contrabbassista Artie Bernstein (Hampton aveva lasciato per costituire un
gruppo suo), ed attingendo per il resto a piene mani dall’orchestra di Basie, forma il
nuovo Benny Goodman Septet, dalla formazione più variabile dei precedenti sestetti ma
con la presenza pressoché costante dello stesso Count Basie al piano, di George Auld al
sassofono contralto e del talentuoso trombettista di Duke Ellington, Cootie Williams.
Il 7 novembre il gruppo registra per la prima volta e porta in studio due nuovi originali,
Wholly Cats e Benny’s Bugle. Nella successiva registrazione del 19 dicembre abbiamo le
nuove Gone with “What” Wind e Breakfast Feud, questa volta con Kenny Kersey al
piano. Il 15 gennaio del ’41 sono nuovamente in studio per registrare fra le altre la nuova
Gone with “What” Draft. Il giorno successivo Charlie, nuovamente vincitore
dell’annuale sondaggio del Metronome Poll, registra per la seconda volta con la
Metronome Poll All Star Band. Il 5 febbraio registra con l’Edmond Hall Celeste Quartet
e, per la prima volta su disco, suona solo la chitarra acustica, probabilmente perché
Goodman
aveva
l’esclusiva
sulla
sua
presenza
alla
chitarra
elettrica.
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Il 3 marzo 1941 segna un altro momento storico nella carriera di Charlie: è infatti il giorno
in cui viene presentato per la prima volta al pubblico attraverso l’emittente radio NBC
il
brano che più caratterizzerà la figura di Christian agli occhi delle presenti e future
generazioni, Solo Flight (presentato allora come Chonk Charlie Chonk). Il brano, una sorta
di breve “concerto per chitarra”, vede Charlie improvvisare per tutto il tempo (circa due
minuti, quasi tre nella successiva versione in studio registrata il giorno successivo) escluso
un breve obbligato iniziale introduttivo sull’intera orchestra di Goodman, arrangiata per
l’occasione da Jimmy Mundy. Il pezzo salirà al 1° posto della Billboard Harlem Hit Parade e
raggiungerà il 20° nella Billboard Hot 100 (Pop) del 1944. Ad essa si riferirà in questi
termini Wes Montgomery in un’intervista a Guitar Player del ’73: “"Solo Flight" - gente,
quello era davvero troppo! La ascolto ancora. Era lui quello da seguire (‘He was IT’). Non
ho ascoltato nessun altro per circa un anno”. Con Solo Flight si ha quindi, alla fine di un
processo durato anni, la definitiva consacrazione della chitarra elettrica come strumento
solista e la sua liberazione dalla ‘schiavitù’ dell’accompagnamento.Il 13 marzo 1941 vede
l’ultima sessione in studio per Charlie Christian con Benny Goodman. È un documento
eccezionale in quanto, a causa di una falsa partenza nella registrazione mentre i tecnici
preparavano i suoni, furono registrati più di venti minuti di improvvisazione collettiva del
gruppo in attesa dell’arrivo di Goodman per la registrazione delle take (da qui il
titolo ‘Waiting for Benny’ dato al ‘brano’, che al momento della pubblicazione risulterà
intestato al solo Goodman, l’unico musicista assente…).
I musicisti,
completamente
rilassati, suonano senza interruzione provando uno dei due pezzi previsti per la sessione (A
Smo - o - o - oth One) e successivamente scivolando senza continuità dentro ad altri quattro
brani di repertorio, realizzandone a tratti anche improvvisati frammenti di arrangiamento.
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Gli ultimi anni “at Minton’s Playhouse”
Da questo momento la storia di Charlie Christian inizia a volgere al termine e la routine con
Benny Goodman comincia a perdere in importanza come sussidio cronologico. Fra il
17 marzo e il 5 maggio ‘41 si segnalano solo cinque apparizioni radiofoniche del Benny
Goodman Septet con Charlie Christian e successivamente, dal 28 maggio dello stesso anno
quello
che
possiamo
considerare
un
prolungato
ingaggio,
in
questo
caso
dell’orchestra al completo, in occasione del Monte Prosper Dance Carnival presso il
Madison Square Garden di New York, che si protrarrà con esibizioni più ravvicinate (dieci
registrazioni in differenti date conosciute ad oggi) fino a metà giugno.
In questo periodo Charlie continua assiduamente a frequentare ogni jam session cui
potesse partecipare nel dopo lavoro con Goodman e a rientrare di frequente a Oklahoma City
non appena ne avesse la possibilità. È presumibile che iniziasse ad essere gravemente
malato. I colleghi ricordano come durante gli spostamenti rimanesse nella parte posteriore
del bus della band a fumare marijuana e canticchiare gli assoli di Lester Young, immerso “in
his Charlie Christian’s world”.
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Sono i mesi in cui scopre il Minton’s Playhouse, il locale aperto nel ’38 dall’ex
sassofonista Henry Minton sulla 118th Street di New York e gestito dall’ottobre del ’40 da
Teddy Hill, un ex capo orchestra che dal ’41 ne affida la direzione musicale al
batterista Kenny Clarke. Questi assunse il trombettista Joe Guy, il contrabbassista Nick
Fenton e il pianista Thelonious Monk come elementi di una impressionante band
residente, di supporto alle jam session notturne che si svolgevano nel locale. Charlie diventa
fin da subito un appassionato frequentatore del locale, partecipando attivamente
alle jam session quasi tutte le notti, tanto da diventare praticamente un elemento
aggiuntivo della house band e spingere il gestore ad acquistare un amplificatore (e forse
anche una chitarra) esclusivamente dedicato a suo uso. Ogni lunedì sera, giorno in cui i
musicisti delle orchestre di passaggio solitamente non lavoravano e quindi potevano più
facilmente prendere parte alle jam, si svolgeva la Monday Celebrity night. I musicisti
entravano, bevevano e mangiavano gratis in abbondanza e in cambio suonavano
altrettanto gratuitamente per gli avventori. Il locale diventò presto, probabilmente anche per
motivi di ordine pratico, la fucina di un nuovo genere musicale che di lì a poco avrebbe
sconvolto il jazz per come fino ad allora veniva inteso. Probabilmente per scoraggiare i
troppi musicisti scadenti (e aggiungerei impudenti) che si presentavano per suonare allettati
dalla profferta di cibo e bevande, i musicisti residenti cominciarono a rendere dura la vita ai
solisti: ‘chiamando’ i pezzi in tonalità diverse da quelle in cui erano comunemente eseguiti o
ad un tempo vertiginosamente accelerato, accompagnando i solisti in modo continuo ma
irregolare, modificando le strutture armoniche con sostituzioni di singoli accordi o
addirittura di intere parti della struttura del pezzo, e via dicendo. Fra le celebrità
contemporanee e future che hanno condiviso il palco con Charlie troviamo, solo per citarne
alcune, Dizzy Gillespie, Don Byas, Billie Holiday, Fats Waller, Ella Fitzgerald.
Quel che è più importante, di quelle jam session esiste un prezioso documento audio, una
registrazione effettuata con la propria attrezzatura amatoriale da Jerry Newman, allora
studente alla Columbia University. Libero dalle restrizioni temporali imposte dal limite
fisico dei supporti a 78 giri e dagli altrettanto contingentati tempi cui lo costringeva la radio,
Charlie si permette il lusso di inanellare diversi chorus di solo in ogni brano, colloquiando
in Swing to Bop (‘Topsy’) con Kenny Clarke che lo stimola con la sua innovativa gestione
del tempo, accompagnato al piano non da Monk come spesso riferito ma da Kenny Kersey e
al contrabbasso da Fenton, alternandosi ai soli col trombettista Joe Guy.
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A metà giugno del ’41 la svolta tragica della vita di Charlie: sentitosi male fu ricoverato a
causa dei suoi problemi polmonari e da quel momento non uscì più dagli ospedali fino al
2 Marzo 1942, data della sua morte per tubercolosi polmonare cronica, stessa sorte
toccata solo tre mesi dopo ad un altro musicista che rivoluzionò il proprio strumento, il
contrabbassista Jimmy Blanton. E solo nove mesi dopo la morte di Christian sarebbe nato
un altro genio della chitarra: Jimi Hendrix.
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LO STILE E LA TECNICA
La prima cosa che risalta all’ascolto della musica di Charlie Christian è la sicurezza del suo
fraseggio. Questa affermazione ha sicuramente a che fare con l’aspetto timbrico e di attacco
della nota, con la nitidezza e definizione con cui ogni singola nota è emessa dallo strumento
e considerando che tra alcuni chitarristi di fama (soprattutto tra quelli non professionisti) la
mancanza di autorevolezza nell’emissione del suono è piuttosto ricorrente. In Christian , al
contrario, la solidità del costrutto è sbalorditiva e suggerisce una particolare attenzione, nello
sviluppo del proprio stile, alla ricerca di solide basi su cui costruire il discorso musicale. È
veramente raro infatti imbattersi in titubanze o imperfezioni esecutive nelle esibizioni di
Christian, che dimostra in ciò un’estrema praticità nell’approccio alla musica. Ciò è a mio
avviso riferibile ad almeno due elementi essenziali che hanno segnato la breve vita: i primi
contatti con la musica e la carriera con Goodman. Per quanto riguarda il primo aspetto,
abbiamo visto come fin da piccolo per Christian la musica non abbia ricoperto il semplice
ruolo di intrattenimento, ma sia stata intesa come attività lavorativa e fonte di sostentamento;
prima attraverso l’esposizione all’ambiente familiare in cui quasi tutti esercitavano la
professione, della quale egli stesso fu gradualmente partecipe, in secondo luogo quando, alla
nascita della figlia, abbandonò il baseball per dedicarsi completamente alla musica per il
sostentamento della famiglia. Il secondo elemento è sicuramente dovuto al fatto che Charlie
era a contatto diretto con la fervente attività musicale professionale che animava i luoghi in
cui era nato, nonché quello indiretto grazie ai nuovi media che diffondevano la musica delle
prime personalita di successo anche tra i musicisti di colore, uno tra tutti Louis Armstrong.
C’e poi l’improvvisa svolta che lo porta alle dipendenze di Goodman, professionista di fama
internazionale e noto per il suo perfezionismo.
Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente tecnici abbiamo le testimonianze oculari di
Barney Kessel e di Mary Osbourne, che possono essere riscontrati in un’attenta analisi delle
registrazioni disponibili e con ancora maggiore evidenza e riscontro immediato
cimentandosi nella riproduzione diretta dei suoi soli sulla chitarra.
Charlie suonava con un plettro grande, triangolare, di consistenza rigida, adottando
principalmente, se non quasi esclusivamente, la plettrata verso il basso per rendere l’attacco
più omogeneo e meno succettibile alla naturale differenza di intensità che la più comune
plettrata alternata comporta. Trovo però eccessiva l’ affermazione di Kessel in quanto
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utilizzando solo ed esclusivamente la plettrata verso il basso, risulterebbe impossibile
effettuare alcuni passaggi presenti nei suoi soli. Lo staesso Jim Hall afferma che Christian
aveva l’abilità di far suonare ogni nota come se la plettrata fosse sempre in battere: C’è
quindi da pensare che dietro l’omogeneità di plettrata non ci sia solo un fattore meccanico
ma un’abilità meditata e acquistata con la pratica.
Ulteriore elemento tecnico, supportato questa volta anche dalle evidenze fotografiche, è il
fatto che tenesse le ultime tre dita della mano destra saldamente appoggiate al batti- penna
della chitarra, favorendo un movimento più meccanico della plettrata e una più uniforme
immissione di energia nell’atto di sollecitare la corda.
Relativamente alla mano sinistra, è invece pienamente ammissibile la testimonianza che lo
vede utilizzare quasi esclusivamente le prime tre dita ( pollice escluso) della mano, ed anche
in questo caso le foto disposizione danno conferma alla testimonianza stessa. Questo
approccio al fraseggio, per certi aspetti è limitante, garantisce d’altra parte una maggiore
presa sulle nota premute sul manico, il dito mignolo essendo tendenzialmente più debole dal
punto di vista della forza applicata. La riduzione del movimento delle prime tre dita
permette inoltre una più facile gestione ritmica e melodica del fraseggio, soprattutto quando
questo sia tendenzialmente limitato al suonare in posizione, ovvero strutturando la frase
all’interno di un piccolo settore di tastiera.
Fraseggio e concezione accordale del solo:
Nel fraseggio din un musicista rientrano questioni che hanno a che fare con il suo vissuto
extra-musicale,il suo carattere, la sua concezione della musica le sue conoscenze teoriche e
tecniche, le influenze che ha subito direttamente o dall’ascolto di altri musicisti. Partirei
considerando uno degli aspetti più comuni riguardo allo stile improvvisativo di Christian,
ovvero che la sua passione per gli strumenti a fiato lo abbia spinto a evolvere dalla
concezione dello strumento principalmente ritmica del periodo, ad una più ad una più larga
interpretazione della chitarra in veste di strumento solista. Dovendon riassumere in poche
parole, la sintesi è: Charlie Christian affronta evidentemente l’approccio all’improvvisazione
come sviluppo in senso melodico di struttire accordali.
Non siamo quindi di fronte ad un esteta della melodia, un musicista che affronta gli accordi
attraversandoli e scavando fra le “eventuali” difficoltà della struttura armonica, ma di fronte
ad un musicista che basa fortemente la costruzione dei propri soli ai solidi appigli garantiti
da una schietta relazione fra forme accordali, visivamente e tattilmente intese, e fraseggio
risultante.
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D’altro canto la linea che separa la pratica dalla schematizzazione è nel caso di Charlie
Christian molto sottile. Ammesso che, come credo, la pratica sia la vera chiave di lettura del
suo approccio all’improvvisazione; che come già suggerito, la ricerca di una solida base
tecnico-pratica che gli permettesse di affrontare con disinvoltura un’esperienza musicale di
stampo professionale è probabilmente stata una necessità oltre che una personale attitudine
nell’approccio alla musica; che la pratica richiede tempo e dedizione e lo sviluppo di nuove
idee può diventare oltre un certo limite complicato senza addentrarsi in questioni teoriche ,
che solo dopo essere state comprese possono essere sviscerate nella pratica; che da un certo
punto in avanti, praticamente quello che ci è noto, la ricerca di nuove idee e possibilità
musicali nello stile di Christian si è dovuta svolgere in tempi molto limitati e solo negli
ultimi anni con maggiore frequenza in occasioni che gli lasciassero più tempo alla
sperimentazione (non è forse un caso che, come riportato in biografia, fosse praticamente di
casa al Minton’s pur a discapito della sua stessa salute).
Qello che Christian aggiunge alla semplice attitudine pratica nei brevi tempi concessigli
dalla carriera e dalla vita, che gli ha permesso di non restare un semplice praticone
professionista ma di diventare quello che è diventato ( e suggerisce che molto ancora
avrebbe potuto crescere), sono a mio avviso orecchio e intuito: il primo per assorbire le
influenze esterne e cogliere le nuove possibilità che emergevano dalla sua pratica, in modo
più o meno volontario; il secondo per selezionare ciò che era secondo il suo gusto, degno di
essere selezionato e fissato nel proprio bagaglio pratico. Inoltre va ricordato che Charlie
oltre ad essere un solista di un certo spessore, si adattava bene anche nelle esecuzioni
ritmiche. Infatti un mese dopo l’assunzione nell’orchestra di Goodman, si ritrovò per la
prima volta in studio di incisione, con Lionel Hampton , Coleman Hawkins, Ben Webster,
Chu Berry, il giovane Dizzy Gillespie, Benny Carter e la sezione ritmica con Clyde Hart,
Milt Hinton e Cozy Cole. In quel caso nonostante avesse dimostrato le sue capacità
solistiche, venne relegato nella ritmica e oltretutto con la chitarra acustica. Nondimeno si
adattò bene al suo ruolo, dando un brillante contributo al robusto swing del gruppo. A causa
della sua supremazia a note singole, il lavoro di Christian come accompagnatore in ritmica è
stato dimenticato. Ci sono molte matrici che danno la prova della sua destrezza come
chitarrista ritmico, per esempio “Hot mallets” (con Hampton), in alcuni brani del concerto
From Spirituals to Swing alla Carnegie Hall, sia con il sestetto Goodmann che con i Kansas
City Six, ma soprattutto con l’Edmond Hall Celeste Quartet. Da ascoltare inoltre lo swing
perfetto ed elastico di Christian e del bassista Israel Crosby in Jammin’ in Four e Celestial
Express nei quali sembra di sentire un unico strumento.
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ANALISI DI ALCUNI ASSOLO
Ho ritenuto opportuno al fine di spiegare meglio il fraseggio e la concezione del solo di
Christian, di analizzare alcuni assolo che ho avuto modo di studiare, in particolare facendo
un’analisi ritmica - armonica per capire le varie sfumature e abbellimenti che il chitarrista era
solito ad utilizzare.
Rose Room - 2 ottobre del 1939
Per la prima analisi mi soffermo sulle battute 12-13, da notare innanzitutto la variazione
ritmica; fino a quel punto Christian ha basato il solo su note da un ottavo passando poi ad una
volata di terzine di crome. In secondo luogo nella dodicesima battuta l’accordo di riferimento
è fondamentalmente un F7/9/13, arpeggiato in quella che è la fase ascendente della frase
seguendone quasi esclusivamente il profilo: 3,(5),b7,9,13. Si noti come l’aggiunta della 5a
permetta tra l’altro di raggiungere la 13° escludendo l’uso del mignolo, fungendo da perno
nel fare rientrare l’indice dalla sua posizione allargata. Segue un piccolo balletto fra primo e
terzo dito sui due lati ‘verticali’ di quello che sulla chitarra è visualizzabile come un piccolo
rettangolo, che funge da collegamento fra i due accordi della progressione armonica e non
comporta rischi intermini di dissonanze essendo costituito dalle stesse note già utilizzate
nell’ascendere (3ae 5a sono in questo caso all’ottava superiore, oltre alla 1a, fondamentale
omessa in precedenza); l’elemento portante della frase rimane essenzialmente ritmico, col
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suo svolgimento in terzine, e la melodia si mantiene pressoché orizzontale ondeggiando
dall’interno della parte superiore dell’accordo (fra b7 e 13). Attraverso le due note a cavallo
di battuta, 13a e 5a di F7 o 3a e 9a di Bb7, si ha il collegamento con la frase discendente,
derivabile da un’altra comune forma accordale e terminante con un cromatismo che, in
questo caso, più che cercare la b9, serve ad assecondare la continuità ritmica permettendo la
conclusione dell’ultima terzina sulla fondamentale dell’accordo.
Riassumendo:
- fase ascendente, raggiungimento e mantenimento del climax, fase discendente;
- due riferimenti accordali;
- ritmo come scheletro della frase.
Nelle battute iniziali invece, precisamente dalla n°4 alla n°7, la frase è interamente giocata
sulla medesima forma accordale movibile vista nell’esempio precedente (in quel caso Bb7);
cromatismo con b9 in levare interpretabile ancora come nota di passaggio verso la
fondamentale, come anche la #11 attraversata per raggiungere la fondamentale di Db. In
questo caso è più immediato interpretare l’arrivo alla nota come evento a sé, guidato più dalla
forza attrattiva della stessa che non dalla visualizzazione di una delle possibili forme
accordali che la contenga, semplificando ulteriormente il pensiero dalla forma dell’accordo a
una singola nota di arrivo: tant’è che la battuta n°7 di Db è svolta semplicemente ribattendo
la nota (la successiva battuta n°8, pur rimanendo il brano su Db, sarà già proiettata verso la
modulazione al IVm, ovvero Dbm).
Quindi:
- due frasi ad andamento discendente unite da una terzina di lancio;
- un solo riferimento accordale più una target note;
- struttura formale del tipo domanda - risposta.
Dalla battuta n°8 alla n°10 invece il discorso cambia. Questa frase richiede di spendere
qualche parola in più. Inizia con un vero arpeggio di IVm6, costruito intorno alla comune
forma di Dbm con 5° al basso sulla quarta corda. La frase, anticipata di due quarti e pensata
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in ottavi, ha maggiore coerenza melodica se pensata su una cadenza plagale composta IVmVIIb7-I, ma non è da escludere che sia stata pensata erroneamente come un II-V verso Bb.
Quello che risulta all’ascolto è una iniziale descrizione per arpeggio dell’accordo di Dbm
(con un breve cromatismo di passaggio (sulla #5), anticipata di due quarti col suo tipico
modo di creare tensione e attesa per l’accordo successivo, che lo porta però inevitabilmente, a
partire praticamente dal secondo quarto delle appena cominciate due battute di Dbm, a
proseguire per un lungo cromatismo alla ricerca della ritrovata quadratura delle cose: e fra la
soluzione di passare alla corda più bassa che raramente utilizza nel fraseggio o restare sulla
corda su cui si trova, e vedendosi approssimare il capotasto che spezzerebbe la continuità
ritmica della linea togliendogli anche quel sostegno, opta per raddoppiare la durata dei propri
passi incappando in un paio di incidenti nella relazione fra melodia e accordo sotteso. È a Partire
dalla prima nota che probabilmente lo mette in allarme (b5) che Charlie raddoppia le durate,
ma i due passi successivi non migliorano la situazione, sofeermandodi per un quarto ciascuno
sulla 11ª e soprattutto sulla 3ª maggiore in un contesto di IVm; solo all’inizio di batt.10 trova
pace ( e si ferma per due quarti) sulla b3 dell’accordo per poi giocarsi, col tutto il tempo per
riflettere, l’ultima nota che manca prima del capotasto, la 5° del Ab in arrivo.
Quindi fondamentalmente:
- frase discendente mista ottavi / quarti
- un riferimento accordale
- lungo cromatismo a raggiungere gradi più stabili.
Dato che mi rendo conto che questa spiegazione possa sembrare troppo impertinente e
fantasiosa, aggiungo di seguito gli estratti dello stesso passaggio armonico del chorus
successivo e della versione registrata il 9 ottobre 1939. Vediamo subito come nel secondo
chorus della registrazione da cui è tratto l’esempio, memore dell’esperienza del primo chorus,
si guardi bene dall’anticipare il Dbm e lo affronti poi esclusivamente basandosi sulla sicura
6ª, usata come lancio ritmico per una sua caratteristica frase ad effetto che per sua grinta
distrae completamente dall’accordo e lo leva di impiccio permettendogli di rilassarsi sulla più
rodata forma del Ab.
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- motivo ritmico di riempimento e lancio basato sulla sola 6ª;
- double stop con anticipo dell’Ab.
Versione del 9 ottobre 1939, primo chorus, anticipa di un quarto e mezzo, percorre in su e
in giù l’arpeggio sulle tre corde più acute e di nuovo sposta il focus sul ritmo, collegando
la discesa alla successiva salita con un frammento melodico giocato fra 5ª e 6ª
- frase discendente, collegamento, frase ascendente;
- una forma accordale.
Secondo chorus, diversa forma accordale di riferimento, rimane praticamente per una battuta
e il primo quarto della successiva sulla 6ª e solo negli ultimi tre quarti “passeggia”
cautamente fra 9ª e b7 in quello che fra l’altro si può interpretare anche visivamente come
anticipo dell’accordo successivo.
- nota singola (6ª)
- breve frammento cromatico molto probabilmente visto in termini di anticipo dell’Ab.
La cosa che salta subito all’occhio analizzando gli assoli di Charlie Christian, è l’uso
intensivo della b9 sugli accordi di dominante ovvero nei passaggi V7 - I. Questa tensione che
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lui aggiungeva all’accordo già “agitato” di suo, al momento della risoluzione sul I grado
risultava molto efficace, motivo per cui Christian faceva largamente uso di questa “tensione”.
Ecco dei frammenti tratti da alcuni assolo:
La già citata Rose Room del 2 ottobre 1939, battute 12-13
I Found a New Baby, 15 gennaio 1941, battute. 6-7
Poor Butterfly, 1940, battute 1-2
Chiaramente questi non sono gli unici assolo in cui compare l’uso della b9, ma sono solo
alcuni esempi dato che il chitarrista come già detto in precedenza, faceva largo uso di questa
alterazione.
Ciò che ho potuto dedurre analizzando questo materiale è che il fraseggio di Christian in
termini di scelte melodiche sia estremamente legato a poche forme accordali utilizzate però
in modo efficacissimo. Negli assoli alternava due tipi di fraseggio: idee brevi e reiterate sulla
A, sviluppi complessi e cromatici sulla B. Più che nelle brevi improvvisazioni con il sestetto,
questa forma si coglie meglio nelle lunghe cavalcate solistiche in jam session, in particolare
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nelle registrazioni fatte dal vivo con il sassofonista Jerry Jerome nel 1939 a Minneapolis, e
soprattutto quelle catturate dall’appassionato Jerry Newman al Minton’s. È in queste
occasioni informali che Christian si rivela in tutta la sua genialità. Le registrazioni al
Minton’s del 1941 sono particolarmente preziose perché ci fanno entrare dentro al laboratorio
del linguaggio dell’improvvisazione. Qui Charlie, libero da vincoli di arrangiamenti e
minutaggio, si scatena con un linguaggio profondamente innovativo. Topsy,uno dei brani
salvati dall’oblio, scorre in un’inesauribile successione di riff, i cui accenti sono dislocati in
posizioni sempre diverse della battuta, che poi si sciolgono in lunghe frasi prese tutte d’un
fiato, chiaramente ispirate al fraseggio di Lester Young.
A tal proposito Christian portò la cultura del riff come idee di base per la composizione dei
brani. I temi dei dischi columbia del sestetto Goodman, Seven Come Eleven, Ac-Dc Current,
Air Mail Special, sono tutti basati su idee ripetute, spesso con accenti spostati in modo
insolito, a cui a volte rispondono frasi complesse. Air Mail Special è un esempio di come le
improvvisazioni di Christian divenissero temi: della melodia AABA la A consiste in un riff
che sarebbe potuto uscire dal sax di Lester Young, ma la B è chiaramente uscita fuori dal
fraseggio solistico di Christian.
Dalle registrazioni che ci sono rimaste comprendiamo che il suono tesissimo, il gioco dei
mordenti, gli incessanti slittamenti di accenti, l’oscillazione di frasi lunghe e brevi, i
cromatismi, l’impronta blues, i portamenti brevi e incisivi hanno fondato il moderno
linguaggio della chitarra elettrica e aperto nuove prospettive all’improvvisazione jazz. Certo
da improvvisatore radicato nel mondo folk, Christian fonda le sue idee su un ampio bagaglio
di formule disposte secondo le regole legate al suo stile. La natura rurale del suo pensiero si
irradia anche nella capitale Solo Flight, con la big band di Goodman, il primo concerto per
chitarra elettrica e orchestra della storia. Christian abbozzò un canovaccio di due brevi giri
che si alternano liberamente, su cui l’arrangiatore Jimmy Mundy costruì una cornice
orchestrale, producendo un capolavoro rimasto unico nel suo genere. È impossibile
immaginare in che direzione sarebbe andato Charlie Christian se la tubercolosi non l’avesse
fermato a soli ventisei anni.
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VERSO IL BEPOP…
Quelle registrazioni al Minton’s mostrano che qualcos’altro si stava muovendo nei club di
Harlem. Ad esempio, in Topsy il batterista Kenny Clarke interagisce con i solisti in maniera
costante e irregolare: butta lì colpi di con la cassa, inserisce interiezioni sul rullante, crea
insomma una rete di ritmi che a sua volta influenzano e deviano quelli di Christian. Clarke
sta gradualmente liberando la batteria dal ruolo di regolatore della danza inserendo una
miriade di figurazioni ritmiche integrate. Una trasformazione che, sulla strada indicata da
Basie, investe anche il pianoforte, il quale con altre figurazioni, va ad incastrarsi con i ritmi
degli altri musicisti. Alle jam session del Minton’s e del Monroe’s il batterista Kenny
Clarke, il pianista Thelonious Monk, il chitarrista Charlie Christian, il trombettista Dizzy
Gillespie, il sax alto Charlie Parker, il sax tenore Don Byas, giunti a New York da mezza
America e con alle spalle le esperienze più diverse, stavano abbandonando la regolarità
dello Swing per avventurarsi verso una nuova dimensione dialogica. Christian praticamente
visse al Minton’s l’ultimo anno della sua vita, suonando notte dopo notte le lunghe jam che
finivano solo con la chiusura del locale e permettevano a un solista di suonare tutti i chorus
che voleva. Non c’è dubbio che tra i giovani apparsi al Minton’s nel 1941, Christian fosse
il più avanzato, originale e maturo, perfino più di Gillespie e Monk. Vi sono grandi assolo
di diversi chorus registrati al Minton’s che ci danno un’idea più chiara del talento e della
destrezza tecnica di Charlie Christian. Rispetto a quando suonava nel sestetto di Goodman
non doveva accontentarsi di brevi esecuzioni; l’atmosfera era più rilassata e gli consentiva
un’invenzione più libera e esplorativa. Ma soprattutto, assolo come quelli in Stompin’ at
the Savoy, Up on Teddy’s Hill e Charlies Choice ( swing to bop) fannno pensare che forse
Christian stesse appena trovando se stesso, nonostante i sui brillanti trascorsi. Il suo lavoro
qui rivela un’inventiva inesausta, una fertilità inesauribile, e segni un ulteriore salto
stilistico. In effetti segnala la nascita di un nuovo linguaggio jazz, che a quell’epoca
nemmeno Charlie Parker aveva individuato con tanta chiarezza. Il Christian del Minton’s
inizia piano piano a distaccarsi dallo Swing tradizionale. Ora i ritmi sono delineati in modo
più netto, più incisivi, animati da un tipo nuovo, più limpido, di swing propulsivo.
Oltrettutto le crome sono più uniformi, prossime ai ritmi bepop che sarebbero diventati
comuni nel giro di pochi anni. Anche sul piano melodico Christian mostra ora una
concezione più moderna e snella, quasi del tutto lineare, meno inchiodata agli accordi
sottostanti e riempita con più cromatismi di passaggio. In questo ultimo periodo Christian
appare intento ad allontanarsi dalle vecchie linee dal sapore blues. Non che se ne sia mai
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liberato, ma è chiaro che sta tentando in qualche modo di rompere con le convenzioni del
blues o di estenderle in una visione più ampia. Inoltre cerca di sviluppare linee fatte di una
sola lunga frase, infatti il primo Christian tendeva ad avere il respiro corto, non per
incapacità, ma come meditato elemento del suo stile. Questa cosa è del tutto normale visto
che come abbiamo già visto, da ragazzo in Oklahoma suonava la tromba e che in qualche
modo ne era stato influenzato. In effetti nei primi dischi lo si sente spezzare le frasi,
respirare, per così dire, come farebbe un solista di strumento a fiato. La bellezza dell’ultimo
Christian risiede nelle sue doti di equilibrio e maturità, intrinseche a entrambe le radici del
suo stile; da una parte la sua concezione semplice , quasi folk, del blues inteso come il
racconto di una storia, e dall’altra la lunga esperienza maturata negli anni di un artista di
straordinario talento e precocità. Indubbiamente al momento della sua scomparsa nel 1942,
Charlie stava per diventare l’uomo che avrebbe ridisegnato il linguaggio del jazz, anche se
a tal proposito ha dato un enorme contributo.
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Collaborazioni
1938-1939 Alphonso Trent & His Harlem Swingster
16/08/1939 Benny Goodman sextet
11/09/1939 Lionel Hampton Orcherstra
24/09/1939 Jam session all’Harlem Breakfast club di Minneapolis con:
Jerry Jerome – sax tenore
Oscar Pettiford - Basso
Frankie Hines – Pianoforte
16/12/1939 Con il secondo Benny Goodman sextet
24/12/1939 Nel secondo concerto From spiritual to Swing con I Kansas City Six
Ottobre, 1940 Settetto con Benny Goodman
05/02/1941 Edmond Hall Celeste Quartet
31/10/1939 Ida Cox and Her All Star Band
04/10/1940 Eddy Howard
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Discografia

Electric ( Uptown Records, 2011, UPCD27-63)

Charlie Christian With the Benny Goodman Sextet and Orchestra ( Columbia lp
CL652-195)

Solo Flight: The Genius of Charlie Christian ( Columbia, 1972)

Solo Flight ( live performances as member of the Benny Goodman Sextet,
Vintage Jazz Classics, 2003)

Genius of the Electric Guitar ( Columbia, 1939-1941 recordings)

Guitar Wizard (LeJazz, 1993 Charly Holdings Inc.)

Live at Minton’s Playhouse 1941
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.
FONTI
LIBRI:




STEFANO ZENNI, Storia del jazz. Una prospettiva globale, Stampa alternativa
(Collana New Jazz People), 2012
GUNTHER SCHULLER, Il Jazz. L’era dello Swing; I grandi Solisti, EDT (Collana Jazz),
2008
BERENDT JOACHIM E. ; GUNTHER HUESMANN, Il libro del Jazz, Odoya
(Collana Odoya Library)
PETER BROADBENT, Charlie Christian,United Kingdom, Ashley Mark
Publishing Company, 1997
SITI INTERNET:




http://people.duke.edu/~tnp/biograph.html
http://www.jazz.com/encyclopedia/christian-charlie-charles-henry
http://www.jazzitalia.net/lezioni/pietronicosia/
GARRY HANSEN, Charlie Christian Legend of Jazz Guitar,
http://www.music-open-source.com/source/Charlie-Christian-guitar-methodeBook/
fichier/%28ebook%29%20Charlie%20Christian%20%20Legend%20of%20the%20Jaz%20Guitar.pdf

Google libri e Wikipedia, ricerche varie per consultazione
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