Articolo uscito in spagnolo sul Blog http://proyectoraimondi.wordpress.com/ della missione archeologica antropologica dell'Università di Bologna valle del Chacas, Perù - Maria Molinari La dimensione del femminile nelle comunità andine è una dimensione presente e in costante cambiamento. La figura femminile a Huari e nelle comunità circostanti è stata analizzata da me attraverso l’osservazione delle pratiche quotidiane e in particolare della pratica del parto (elemento fondamentale della vita della donna campesina). Sia quest’ultimo elemento che la rappresentazione della donna sono elementi ancora oggi fortemente presenti nella simbologia della cultura andina, che stanno tuttavia mutando nel corso del tempo. La pratica etnografica si è svolta nell’area urbana di Huari e nelle comunità circostanti, in particolare Acopalca e Yacya. In molte zone rurali delle Ande vi è ancora la tradizione, o molto spesso trattasi di necessità, di partorire in casa con l’aiuto delle parteras, le levatrici tradizionali. La partera è una figura importante all’interno delle comunità agricole poiché è lei che attraverso l’esperienza e la conoscenza si prende cura della partoriente (dunque non solo del momento del parto, ma di tutto l’evento e dei suoi protagonisti diretti e indiretti). La cura che la partera pone occupandosi del parto è anche la cura che pone nei riguardi dell’evento: la cura della partoriente e della sua famiglia (dal momento in cui la donna non ha possibilità di occuparsene). La ricerca delle erbe, la preparazione del cibo, il rituale legato al prima e al dopo parto: la lettura delle foglie di coca e il loro chaqchar collettivo, dalle preghiere, alla gestione del cordone ombelicale e della placenta e la loro sepoltura rituale, poi più avanti il battesimo e il primo taglio dei capelli. La partera non si rivela essere una mera esecutrice dell’operazione ostetrica, ma la sua presenza assume un ruolo importante per tutta la comunità. La sua funzione compensatrice in taluni momenti e l’esperienza necessaria in altri, la rendono importante agli occhi di tutti, molti dei quali nati continueranno a chiamarla “madrina” nel corso del tempo. La transizione al “progresso” che molte popolazioni vivono in questi decenni risulta evidente anche in pratiche importanti come il parto: lo stato vorrebbe che le donne campesinas si abituassero a partorire in ospedale per ridurre al minimo i rischi di contrarre malattie e per ridurre al minimo il rischio di vita del nascituro. Il passaggio però ad un’usanza così lontana fa sì che siano ancora molte le donne oggi che preferiscono il letto di casa. Una delle ragioni sta proprio nel fatto che il parto non è solo un fatto, e basta, ma è anche un fatto “culturale” e dunque richiede familiarità e tradizione. La modalità con cui viene praticato il parto in ospedale è una modalità estranea sotto diversi aspetti: l’ambiente sterile, l’assenza della famiglia allargata, la presenza di personale medico di sesso maschile, i tempi differenti, l’assenza delle cure tradizionali (a partire dall’alimentazione fino all’utilizzo delle erbe curative). Il parto è anche ciò che più d’ogni altro atto evidenzia il legame della donna con la terra. In particolare il simbolismo femminile è strettamente legato alla Pachamama: la terra e la donna sono creatrici fertili della vita. L’occuparsi per esempio delle sementi già raccolte è un compito considerato esclusivamente femminile poiché la terra appartiene allo stesso genere. Il legame della donna andina con la terra è evidente anche nella mitologia e nelle credenze: anteriormente le divinità femminili erano relazionate con la produzione agricola e marina. Nei miti di origine del Tahuantinsuyu i ruoli delle donne appaiono in relazione ai prodotti agricoli. Vi è una relazione dunque tra le figure mitologiche femminili che danno origine ai prodotti agricoli e le donne che, in stretto vincolo con esse, si dedicavano alla trasformazione degli alimenti per l’offerta rituale e dei prodotti destinati alla redistribuzione (Astete, 2002). Le divinità presenti nella mitologia si distinguono in due tipi: quelle maschili, relazionate soprattutto con i fenomeni naturali (valanghe, movimenti sismici, tormente, fulmini…) e quelle femminili, che ricoprono la necessità vitale del genere umano offrendo ai suoi fedeli il necessario per vivere (Rostworowski, 1998). La presenza di divinità femminili in relazione ai prodotti agricoli, unito allo stretto vincolo delle donne con la semina e con la preparazione degli alimenti, definisce un’evidente tendenza della cultura andina verso il legame tra elementi femminili e fertilità. Non è un caso, infatti, che quando nasce una femmina si usa dire “è nato taque” che è lo stesso nome che si utilizza per indicare il deposito delle sementi ubicato in una parte della casa. Non ultimo l’atto di riconsegnare alla terra, seppellendoli, il cordone ombelicale e la placenta, avendone cura di posizionarli in modo che possano essere benefici per la fertilità, o viceversa, a seconda del modo e del luogo in cui vengono sepolti. La complementarietà maschile-femminile si evidenzia in molti aspetti della vita quotidiana, nelle fasi delle attività agricole come nei compiti assegnati a ciascuno di essi e la donna, nella partecipazione allo spazio economico familiare, rappresenta efficacemente tanto l’aspetto produttivo come il benessere sociale. Questo modo di assumere le sue funzioni risponde al significato e al comportamento della “famiglia allargata” andina, come unità di produzione e consumo all’interno della quale tutti i suoi membri partecipano in entrambi gli aspetti, ma con un’assegnazione dei ruoli che assicurano la riproduzione del modello familiare. Un tema di interesse oggi è quello dell’impatto del progresso che avanza, che entra nelle case della gente portando innovazioni in un mondo non sempre pronto a riceverle. Questo contribuisce fortemente a mutare il ruolo della donna oggi nelle comunità andine e, con questo, muta soprattutto la sua rappresentazione simbolica.