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Marco Montaguti - Oltre lo Sprechgesang

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MARCO MONTAGUTI
OLTRE LO SPRECHGESANG
1. Sprechgesang
Per poter indagare ciò che, per il pensiero compositivo europeo – a cui deve la sua origine –,
ha significato la nascita dello Sprechgesang, cioè le sue conseguenze sia sul piano della creazione musicale sia su quello dell’utilizzo della voce in senso naturale – senza manipolazioni
tecnologiche, quindi –, ritengo innanzitutto necessario chiedersi cosa esso sia, nel senso più
completo del termine (e quindi anche cosa possa rappresentare) e perché sia nata questa tecnica
di emissione, la cui comparsa ha innescato un processo di ricerca che ha fatto perdere alla voce
la peculiarità di potere-dovere essere abbinata ad un testo, facendola così diventare uno strumento come gli altri.
Cos’è dunque lo Sprechgesang? È una modalità di produzione del suono che fonde le due
tecniche di emissione vocale più naturali (cantare e parlare) e mette quindi in luce la specificità
della voce che, unico tra gli “strumenti musicali”, è in grado di emettere fisiologicamente (cioè
senza l’utilizzo di tecniche particolari, come l’arco dalla parte del legno in uno strumento ad
arco, oppure l’uso di uno strumento a fiato senza bocchino o ancia) altezze sia determinate che
indeterminate e di realizzare una mediazione tra esse. E perché lo Sprechgesang? La risposta
ritengo risieda nell’opera in cui si “materializzò” – il Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg, una
delle vette dell’Espressionismo musicale –, lavoro in cui il compositore cercò di raggiungere
una nuova dimensione espressiva, come spiega molto chiaramente nella prefazione:
Si tenga inoltre presente che l’esecuzione non deve far emergere lo spirito e il carattere dei singoli
pezzi dal senso delle parole, esclusivamente dalla musica. Ciò che all’autore è apparso importante nella
rappresentazione pittorico-sonora degli eventi e dei sentimenti contenuti nel testo, lo si trova nella musica.
Se l’esecutore non lo trova, rinunci a introdurre qualcosa che l’autore non ha voluto mettere, perchè In
questo caso non aggiungerebbe, ma toglierebbe [traduzione di Marco Montaguti].
La ricerca sulle possibilità della voce che, come già detto, la comparsa dello Sprechgesang
stimolò, si concentrò dapprima sulle modalità di emissione e sulle loro ricadute in termini di arricchimento delle possibilità espressive e successivamente sulle potenzialità a tutto campo nella
costruzione di un “suono”. Naturalmente il passaggio da una fase all’altra non ha mai significato
il rinnegamento delle conquiste precedenti, ma piuttosto la loro somma a quelle successive.
2. I primi risultati
Le prime significative risultanze di questa ricerca, parallela a quella linguistica post-tonale,
si ebbero nel campo di quelle che possiamo considerare declinazioni dello Sprechgesang stesso,
cioè modalità di emissione più o meno orientate verso il parlato o verso il cantato, che compaiono nella produzione tra le due guerre. In Ecuatorial (1933-34) di Edgard Varèse, per coro di
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bassi, ottoni, tastiere e percussioni, troviamo ad esempio tutta una serie di indicazioni riguardanti inflessioni che l’emissione vocale deve assumere, e che testimoniano di un pensiero che,
precorrendo i tempi, ritengo si possa collegare direttamente alla fase più recente della ricerca
stessa, incentrata sulla “costruzione del suono”. Esse sono:
1) bassi divisi: metà parlato rauco e metà quasi parlato (altezze definite, nel registro grave
e intervalli minimi);
2) declamazione intonata con inflessione percussiva, nel registro acuto;
3) senza timbro, articolato (note ribattute, nel registro medio, come perorazione);
4) come sopra ma assai nasale, percussivo;
5) movimento delle labbra a bocca quasi chiusa, assai nasale (altezze anche quartitonali),
poi bocca chiusa; poi variante con chiusura finale brusca della bocca dopo l’emissione
dell’ultima nota;
6) mezzo parlato-mezzo cantato, come borbottando (altezze indicate, nel registro grave e
intervalli minimi - simile a 1); poi variante come sopra; poi variante a bocca aperta.
3. Il secondo dopoguerra: gli anni Cinquanta e Sessanta
Varèse rimane tuttavia una vetta isolata, quanto a risultati di portata innovativa e significativa, per almeno un quarto di secolo, ed è probabilmente anche l’ultimo grande “ricercatore” a
non dovere qualcosa alle nuove tecnologie, che a partire dagli anni Cinquanta, direttamente o
non, cominciano a fornire nuovi stimoli al pensiero compositivo – è infatti grazie ad esse che
il compositore acquista via via consapevolezza della possibilità di ideare e realizzare un “suono”. Questo filone di ricerca, attivo ancor oggi, produsse ben presto risultati di rilievo, anche,
ad esempio, sul fronte dell’avvicinamento tra “produttori di suono”, cioè tra entità (vocali e/o
strumentali e/o, successivamente, anche tecnologiche) che, viste sotto una luce diversa, possono
concorrere fattivamente alla nascita del “nuovo” – aspetto questo sviluppatosi a partire dalla
seconda metà degli anni Sessanta.
Nella prima fase di questa nuova era, assai fervida dal punto di vista della vivacità creativa,
vedono la luce, grazie anche alla comparsa, sulla scena della musica contemporanea, di una
figura straordinaria ed unica come Cathy Berberian, alcuni dei più significativi lavori di nostro
interesse, che sintetizzerei in due titoli: il dittico delle Aventures (1962-65) di György Ligeti e la
Sequenza III (1966) di Luciano Berio – scritta appunto per Cathy Berberian –, opere nelle quali
è opportuno segnalare il ruolo della dimensione rappresentativa.
Nelle Aventures (Aventures e Nouvelles Aventures), per 3 voci e 7 strumentisti, in cui, significativamente, il compositore rinuncia ad un testo di riferimento, vengono utilizzate (e anche
combinate fra loro) moltissime nuove modalità emissive come Sprechgesang con altezze non
fisse, falsetto con altezza non precisata, cambio di altezza ad libitum all’interno dello stesso registro, mormorato, sussurrato, nasalizzato, afono, nonché la loro combinazione con movimenti
respiratori e/o con il passaggio da una ad un’altra, diverso peso tra lettere dello stesso frammento, stop di gola, oltre ad un amplissimo campionario fonetico e una cospicua (soprattutto nel
primo dei due brani) serie di indicazioni in partitura, di cui cito le più significative:
– respirazione a bocca aperta con più aria possibile;
– sospiro profondo (con modifica del fonema di riferimento durante l’operazione);
– cantare ridendo (o ridere cantando);
– inspirazione come di soprassalto;
– da voce a fiato ansimante;
– cambi di espressione (anche estremi) nel corso di uno stesso passaggio;
– emissione attraverso le mani a imbuto eventualmente avvicinandole e/o allontanandole;
– aprire e chiudere il naso;
– mano davanti alla bocca;
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– nasalizzazione a bocca chiusa;
– movimento rapido (coordinato o non) di lingua e labbra, con eventuale spostamento del
suono dall’una alle altre;
– “ingoiare” improvvisamente il suono.
Per avere un’idea più concreta dell’importanza di questi lavori è opportuno soffermarsi sui
loro apparati di legenda (praticamente identici) e su uno stralcio della partitura di Aventures in
cui compaiono solo le voci. Già nelle «Besondere Angaben für die Gesangpartien» (principali
indicazioni per le parti vocali) è possibile rilevare il grande lavoro di ricerca che sta alla base
della scrittura vocale: l’elencazione dei tipi di emissione previsti tocca ordinatamente tutti gli
stadi, di interesse del compositore, tra il cantato e il respiro, che vengono identificati con cantato, Sprechgesang, parlato, mormorato, suono afono, respiro; inoltre, nelle «Erläuterungen zur
Textaussprache» (spiegazioni per la pronuncia del testo), oltre all’elenco dei fonemi previsti
(oltre un centinaio per ciascuna partitura, e in buona parte identici) che sono quasi tutti di matrice tedesca, tranne alcuni mutuati da altre lingue europee (olandese, inglese, svedese, italiano
e francese), compaiono anche richieste di “sonorizzazione” di un respiro e viceversa, o di far
percepire allusivamente un suono vocalico come appoggio di una consonante (es. 1).
Il frammento proposto, tratto dalla Conversation, sintetizza una situazione di notevole interesse perché illustra una sonorità vocale complessiva inedita, in cui l’utilizzo di alcune delle
tipologie di emissione scelte viene contestualizzato da indicazioni specifiche, come ad esempio:
– «schluchzend» (singhiozzando / B, sist. 41, bb. 2-3);
– «nasalierend» (nasalizzando / A, sist. 41, b. 4);
– «affektiert schluchzend» (singhiozzando in maniera affettata / S, sist. 42, b. 2);
– «nur wie ein Hauch: im Hintergrund bleibend, in einem Bogen. Dennoch expressiv. Elegant bei manieriert» (come un respiro: sullo sfondo, in un unico fiato, ma espressivo, con
eleganza quasi manierata - B. sist. 42, bb. 3-4).
Passando alla Sequenza III – quasi un pendant solistico delle Aventures –, che invece un
testo di riferimento ce l’ha, va innanzitutto ricordato che essa, analogamente alle altre opere di
Berio con questo titolo, nasce con un preciso intento di ricerca sulle possibilità, nel senso più
lato, dello “strumento” per il quale è composta, intento evincibile anche qui già dallo schema
di legenda (che, come è noto, costituisce per le opere dell’epoca una sorta di manifesto), dove
risulta significativo che il compositore, a proposito dell’esecutore, parli di performer (es. 2).
A questa premessa segue poi, come d’uso, l’elenco delle tecniche di emissione previste, con
la relativa grafia. Tra esse, accanto a quelle più consuete, Sprechgesang compreso, e a buona
parte di quelle utilizzate anche da Ligeti, ne troviamo molte altre, frutto della ricerca del binomio Berio-Berberian: bisbigliato appoggiato al suono successivo, chiusura improvvisa della
bocca, suono con respiro, quasi sussurrato, tremolo (anche dentale), trillo della lingua contro
il labbro superiore; inoltre, l’altezza delle note può essere espressa da un intonation contour.
Precisazione di grande interesse per noi è anche quella relativa al rigo musicale: «sebbene
il confine tra parlato e cantato sia spesso indefinito, le azioni vocali scritte su una riga sono
“parlate”, quelle scritte su tre – che indicano i registri – sono “cantate” e solo quelle scritte su
cinque sono “intonate”, pur se la loro altezza non è assoluta: ogni sequenza di altezze (tra sezioni “parlate”) può essere infatti trasportata adattandola al registro vocale del performer»; anche
qui, come nei brani ligetiani, viene fatto uso di suoni (o gruppi di suoni) fonetizzati. Completano
poi la tavolozza emissiva, come spesso accade, indicazioni di espressione in partitura, legate al
singolo suono o ad un intero passaggio (apprensivo, rude, teso, languoroso, tenero, selvaggiamente, nobilmente ecc.).
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4. Gli anni successivi
A raccogliere il testimone delle opere di Ligeti e Berio sono i primi lavori con la voce di un
giovane Helmut Lachenmann: Consolation I (1967, riveduto nel 2000), Consolation II e temA
(entrambi del 1968), che sono il primo per 12 voci e 4 percussionisti, il secondo per 16 voci a
cappella e il terzo per flauto, voce (mezzosoprano) e violoncello. In essi i “filoni” di emissione
(e le modalità espressive) presenti nelle Aventures e nella Sequenza vengono sviluppati (o, se
si preferisce, precisati): in temA, ad esempio, la tessitura del mezzosoprano, relativamente alle
emissioni non intonate, è divisa in quattro parti e oltre a nuovi fonemi (anche prodotti con parti
della bocca finora non coinvolte, come il palato), comprende nuove articolazioni di inspirazione
ed espirazione, uso della lingua (schiocco contro il palato, passaggio veloce avanti e indietro
tra i denti, trattenimento all’interno della bocca), fluttuazioni sonore, articolazioni dell’apertura
della bocca (con eventuale intervento dei denti), uso delle labbra (tremolo, frullato, fischio quasi
senza timbro – «tonlos» –, apertura e chiusura continua), uso della gola (tremolo “raschiato”),
emissione di una consonante “colorata” da una vocale – tutti naturalmente anche modulati e
combinati fra loro – nonché, in ossequio alla poetica lachemanniana della musique concrète
instrumentale, vari tipi di ‘rumore’ (più o meno sonori); sempre in temA, poi, il testo, di grande pregnanza semantica, che per effetto di quanto segnalato risulta completamente sgretolato,
viene “rappresentato” espressivamente – è richiesta infatti un’emissione più esagerata possibile.
A questo proposito occorre rimarcare che, se in Berio le distorsioni hanno matrice (e funzione)
“teatrale”, in Lachenmann sono il risultato dall’applicazione alla voce di tecniche di emissione di provenienza strumentale: le partiture citate contengono dunque già risultati significativi
della ricerca del compositore tedesco sia nel campo della mutuazione reciproca di tecniche di
emissione, sia dell’avvicinamento timbrico tra esecutori di natura diversa attraverso l’imitazione
di una sonorità prodotta da uno strumento da parte di un altro (voce compresa, naturalmente),
nonché – e forse è questo l’aspetto più interessante sul fronte del pensiero compositivo – dell’evoluzione di un ‘suono’ attraverso la sua trasformazione timbrica, come a pag. 2 della partitura
di Consolation I accade al glissato, dapprima assegnato a soprani e contralti (risp. «tonlos» e
«halb geflüstert» – mezzo bisbigliato), in crescendo, poi al vibrafono, sui tubi, in diminuendo e
quasi ritardando, ed infine alla marimba, in crescendo, e più lento (es. 3).
L’intatta attualità dell’operazione di Lachenmann è la migliore testimonianza della validità
e modernità della direzione da lui intrapresa, direzione in cui da allora si sono mossi coloro che
ne hanno condiviso l’idea di lavoro creativo basato sulla ricerca (e che, non a caso, quasi senza
eccezioni, si sono via via sempre più avvalsi delle possibilità offerte dalla tecnologia), molti
dei quali sin dall’inizio della loro attività. Tra i primi risultati di questo tipo mi sembra meritevole di citazione Transit (1972-74), per sestetto vocale e orchestra da camera, di un trentenne
Brian Ferneyhough, incentrato, come è evincibile dal titolo stesso, sull’idea di continua mobilità
del suono; in esso le voci (soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono e basso – viene
dunque coperto tutto l’ambito possibile) agiscono esattamente come una famiglia strumentale,
interagendo e mescolandosi con esse. Per meglio chiarire l’operazione del compositore inglese
ritengo opportuno soffermarsi sull’organico e sulla disposizione degli esecutori (es. 4).
Come si vede, già quest’ultima, ad anfiteatro con i protagonisti suddivisi e abbinati per sonorità più o meno omogenee, crea il presupposto per il movimento verticale del suono, ma ciò
non basta: è altresì necessario che la scrittura tenda all’omogeneità, cioè si serva di soluzioni
(modi d’attacco, modi di articolazione ecc.) trasversali. Significativo a questo proposito è l’inizio del brano, affidato alle voci e a piccole percussioni che eseguono il seguente frammento,
anche scambiandosi le parti, per 15-20”, e continuando poi ancora per un certo tempo dopo
l’ingresso di tre timpani i quali, grazie alla mutuazione del ribattuto – che nel loro intervento
assumerà anche forma di tremolo – dagli esecutori già presenti, creano un legame sonoro con
essi e, considerando che si trovano nel Circle IV (mentre gli altri sono nel I), innescano il meccanismo di transito sonoro su cui, come già detto, la composizione si basa (es. 5).
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Tra le opere significative più recenti, Les chants de l’amour di Gérard Grisey per 12 voci
e nastro magnetico (1982-84) affiancano alle tecniche di emissione più o meno già entrate in
uso quella glottale ispirata dei monaci tibetani, mentre i Tre canti senza pietre di Salvatore
Sciarrino per quartetto vocale maschile (1999) richiedono l’ausilio di parti del corpo (palmo
delle mani o dita che percuotono la guancia durante l’emissione del suono) e di oggetti (fazzoletto in bocca).
A mo’ di conclusione, mi sembra importante evidenziare un concetto credo già evincibile
da quanto detto: l’evoluzione di una tecnica esecutiva, intesa nella sua accezione più ampia,
è quasi sempre suscitata da esigenze poetiche (quindi compositive) e non da necessità di tipo
pratico: queste ultime infatti non producono soluzioni durevoli, mentre l’innovazione che trae
la sua ragion d’essere da necessità espressive ha un futuro, tanto più luminoso quanto lo sono i
suoi presupposti, contribuendo in tal modo, tra l’altro, a stabilire un ponte tra le varie epoche e
le generazioni creative che in esse si succedono.
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Es. 1
G. Ligeti, Aventures, per tre voci e sette strumentisti, p. 10.
© Copyright 1964 by Henry Litolff’s Verlag, Litolff/Peters nr. 4838,
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Es. 2
L. Berio Sequenza III|für Frauenstimme, legenda.
© Copyright 1968 by Universal Edition (London) Ltd., London.
© Copyright assigned to Universal Edition A.G., Wien/UE 13723.
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Es. 3
H. Lachenmann, Consolation I, per 12 voci e 4 percussionisti, p. 2.
© 1969 by Musikverlage Hans Gerig, Köln, 1980 assigned to Breitkopf & Härtel, Wiesbaden.
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Es. 4
B. Ferneyhough, Transit, per voci soliste e orchestra da camera, note per l’esecuzione.
© 1977 by Hinrichsen Edition, Peters Edition, London, Edition Peters n. 7219.
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Es. 5
B. Ferneyhough, Transit.
© 1977 by Hinrichsen Edition, Peters Edition, London - Edition Peters n. 7219.
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