Caratterizzazione di un rivelatore ad Argon Liquido ad elevata

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Università degli Studi di L’Aquila
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali
Dipartimento di Fisica
Corso di Laurea in FISICA
Tesi di Laurea
Caratterizzazione
di un rivelatore ad Argon Liquido
ad elevata efficienza di raccolta
di segnali di scintillazione
per applicazione in esperimenti
di rivelazione diretta
di Materia Oscura
Relatore
Prof. Giovanni B. PIANO MORTARI
Co-relatore
Prof. Flavio CAVANNA
Relatore Esterno
Dr. Nicola CANCI
Anno Accademico 2011/2012
Candidato
Mattia FANÌ
Indice
Introduzione
1 La Materia Oscura
1.1 Principi Cosmologici . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre . . . . .
1.1.2 Evoluzione dell’Universo . . . . . . . . . .
1.1.3 Soluzioni del Modello Standard . . . . . .
1.2 Evidenze sperimentali dell’esistenza di DM . . . .
1.2.1 La Materia Oscura nelle galassie a spirale
1.2.2 Lenti gravitazionali . . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Raggi X . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.4 CMB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.5 Candele Standard . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Candidati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Caratterizzazione di un modello di DM . . . . . .
1.4.1 Strutturazione delle galassie . . . . . . . .
1.4.2 La Materia Oscura nella Via Lattea . . . .
1
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2 La Ricerca della Materia Oscura
2.1 Tecniche di Rivelazione della Materia Oscura . . . .
2.1.1 Rivelazione indiretta della Materia Oscura .
2.1.2 Rivelazione diretta della Materia Oscura . .
2.2 Tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura
2.3 Esperimenti di rivelazione diretta di DM . . . . . .
2.3.1 Cristalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.2 Liquidi Isolanti Super Riscaldati, SHIL . . .
2.3.3 Gas nobili liquefatti, LNG . . . . . . . . . .
2.3.4 Stato attuale della Ricerca . . . . . . . . . .
2.4 L’ Argon liquido come bersaglio per le WIMP . . .
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51
INDICE
3 Processi di ionizzazione e scintillazione in Argon liquido
3.1 Processi di ionizzazione in Argon liquido . . . . . . . . . . .
3.1.1 Produzione di coppie ione – elettrone in LAr . . . . .
3.1.2 Ricombinazione ione-elettrone in Argon liquido . . .
3.1.3 Cattura elettronica da parte delle impurità . . . . . .
3.2 La luce di scintillazione in LAr . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.1 Emissione di Luce di scintillazione in Argon liquido .
3.2.2 Fenomeni di riduzione della luce in LAr:
quenching ed electron escaping . . . . . . . . . . . .
3.2.3 Dipendenza dell’impulso luminoso dalla densità di ionizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.4 Attenuazione della radiazione dovuta alle impurità .
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4 Analisi di segnali di scintillazione in Argon liquido e misure
di resa in luce
4.1 Descrizione generale dell’apparato
sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 La camera ad Argon liquido . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.2 Il sistema criogenico e di purificazione . . . . . . . . . .
4.1.3 Il sistema di raccolta della luce di scintillazione . . . .
4.1.4 Il sistema di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . .
4.1.5 Operazioni di assemblaggio e messa in funzione dell’apparato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Analisi dei dati e risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Il programma di analisi dati . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.2 Risposta al singolo fotoelettrone . . . . . . . . . . . . .
4.2.3 Stabilità della SER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.4 Misure di resa in luce del rivelatore . . . . . . . . . . .
4.2.5 Considerazioni sull’andamento della resa in luce . . . .
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Conclusioni
105
Bibliografia
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Introduzione
La ricerca della Materia Oscura (Dark Matter, DM ) costituisce attualmente una delle principali linee di ricerca nel campo della Fisica Astroparticellare. Infatti, numerose osservazioni di carattere cosmologico ed astronomico lascerebbero intuire che, nell’Universo, oltre un quinto della quantità
di massa–energia debba essere costituito da DM, mentre la materia barionica ordinaria coprirebbe il solo 5% della materia totale. A livello teorico,
inoltre, il concetto di Materia Oscura giocherebbe un ruolo centrale nella
formulazione delle teorie di evoluzione dell’Universo e nella modellizzazione
della formazione di strutture stellari, galassie ed ammassi galattici.
Alcune predizioni teoriche suggeriscono infatti che la Materia Oscura
sia costituita da particelle denominate WIMP (Weakly Interacting Massive
Particles), derivanti dal Big Bang; in particolare, l’estensione SuperSimmetrica del Modello Standard prevede l’esistenza di particelle stabili, massive e
debolmente interagenti.
Tuttavia, per quanto nei modelli possa essere importante e per quanto
nel cosmo possa essere considerata abbondante, ad oggi non si ha una prova
definitiva attraverso rivelazioni dirette dell’esistenza della Materia Oscura.
In generale, gli esperimenti per la ricerca diretta della DM devono essere
caratterizzati da una bassa soglia in energia, grande massa, lungo tempo di
esposizione ed efficiente reiezione del fondo, in modo tale da poter rivelare, a
seguito di interazioni, anche piccole quantità di energia depositata nei rivelatori (1 ÷ 100 keV ). In questo contesto la ricerca diretta della DM mediante
l’utilizzo dei Gas Nobili Liquefatti (LNG), ed in particolare dell’Argon liquido
(LAr) quale mezzo bersaglio/rivelatore, rappresenta una delle più promettenti linee di sviluppo nelle tecnologie sperimentali; essi vengono utilizzati
in diversi apparati sia in singola fase (liquida) che in doppia fase (liquido–
2
INTRODUZIONE
gassosa) permettendo di riconoscere e discriminare interazioni derivanti da
particelle differenti. Infatti, il passaggio di particelle ionizzanti all’interno
di un volume di LNG produce eccitazioni atomiche e ionizzazione (coppie
ione–elettrone), seguite da fenomeni di ricombinazione: entrambi i processi
portano all’emissione di luce di scintillazione. In presenza di un campo elettrico costante nel volume attivo di LAr, gli elettroni di ionizzazione seguono
un moto di deriva; questi ultimi possono essere rivelati assieme ai segnali di
luminescenza, fornendo informazioni sull’evento ionizzante.
Naturalmente, la reiezione del fondo e la discriminazione dei segnali derivanti dalle varie particelle interagenti costituiscono degli aspetti di fondamentale importanza per i rivelatori ad Argon liquido. Tali caratteristiche
possono essere migliorate aumentando la capacità di raccolta dei segnali di
luce di scintillazione da parte del rivelatore.
Sulla base di tali considerazioni è stato svolto il presente lavoro di tesi,
con l’obiettivo di mettere a punto una tecnologia capace di ottimizzare la
raccolta dei segnali di luce di scintillazione prodotti dalle interazioni di particelle in LAr e caratterizzare, dal punto di vista della resa in luce, un rivelatore ad Argon liquido equipaggiato di fotomoltiplicatori ad elevata efficienza
quantica.
Il presente lavoro, svolto nell’ambito della fase di Ricerca e Sviluppo del
programma WArP (WArP R&D), presso i laboratori esterni dei Laboratori
Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, è articolato in quattro capitoli.
Nel primo capitolo viene illustrato il problema della DM attraverso una
trattazione del contesto teorico e delle evidenze che portano a ritenerne estremamente attendibile l’esistenza, oltre ai possibili candidati ed al ruolo giocato
nella formazione delle galassie ed all’interno della Via Lattea.
Nel secondo capitolo viene descritto il panorama attuale nel campo della
ricerca di questo tipo di fenomeni rari, illustrando le più importanti tecniche di rivelazione sviluppate, i principali esperimenti dedicati ed i maggiori
risultati ottenuti.
Il terzo capitolo è volto alla descrizione dei principali processi in cui viene rilasciata energia in Argon liquido: dopo la trattazione dei meccanismi di
produzione di coppie ione-elettrone e di ricombinazione, particolare attenzione è stata rivolta ai processi relativi alla produzione di luce di scintillazione
INTRODUZIONE
3
in LAr.
Infine nel quarto capitolo vengono presentati i risultati delle misure di
resa in luce effettuate con il rivelatore ad Argon liquido equipaggiato con
fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica; pertanto vengono descritti in
dettaglio le varie parti costituenti l’apparato sperimentale utilizzato, l’analisi
dei segnali raccolti ed i risultati ottenuti con questo dispositivo.
4
INTRODUZIONE
Capitolo 1
La Materia Oscura
La Materia Oscura rappresenta uno dei più intrigati enigmi della Fisica
Moderna. Oltre alle considerazioni teoriche che verranno evidenziate, sono
molti gli esperimenti che suggeriscono che la maggior parte della materia
contenuta nell’Universo non possa essere ascrivibile alla materia ordinaria
finora conosciuta.
L’idea della DM risale al 1933, quando l’astronomo F. Zwicky stimò
le masse di alcuni ammassi di galassie lontani e di grande massa a partire
dalle luminosità dei singoli elementi componenti. Osservando poi le velocità
reciproche mostrate dalle singole galassie ed applicando il teorema del viriale,
che mette in relazione l’energia cinetica media di un sistema con la sua energia
potenziale totale, si accorse che le masse in gioco avrebbero dovuto essere
ben più abbondanti rispetto a quelle calcolate in precedenza. La massa degli
ammassi di galassie studiati, quindi, doveva essere 400 volte superiore rispetto
a quella calcolata sulla base delle sole luminosità, il che lasciava presagire che
fino a quel momento era stata del tutto ignorata l’esistenza della maggior
parte della materia presente nell’Universo [1].
Sebbene l’evidenza sperimentale della presenza di Materia Oscura si avesse già dai tempi di Zwicky, è solo dagli anni ‘70 dello scorso secolo che si è
cominciato ad approfondirne la conoscenza, ripartendo dalla discrepanza nei
dati rilevata dallo stesso astronomo che ne era stato scopritore.
6
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
1.1
Principi Cosmologici
Nel 1929 Hubble aveva osservato che le linee spettrali della luce proveniente da galassie lontane apparivano sistematicamente spostate verso le
frequenze del rosso (redshift), ed attribuı̀ questo risultato all’effetto Doppler
associato alla velocità di recessione v = βc delle radiazioni, in accordo con
l’equazione seguente
p
λ0 = λ (1 + β)(1 − β) = λ(1 + z)
(1.1)
dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione emessa dalla sorgente a riposo,
e z = ∆λ/λ indica il parametro di redshift [2]. Nei suoi studi Hubble trovò
che la velocità v delle galassie è proporzionale alla distanza r dalla Terra
secondo la legge
v = Hr
(1.2)
dove H è detta Costante di Hubble1 .
Tuttavia, per valori molto piccoli del parametro di redshift, z 1, la
Eq. (1.1) potrebbe essere interpretata come una variazione di lunghezze
d’onda dovuta all’effetto Doppler e il fattore (1 + z) in generale descriverà
un’espansione pressoché omogenea ed isotropa dell’Universo diretta in tutte
le direzioni e dovuta ad un fattore universale R(t). Una distanza generica
allora potrebbe essere definita con
r(t) = R(t)r0
(1.3)
indicando con lo zero al pedice le quantità riferite al tempo t = t0 , cosicché,
ad esempio, R(t0 ) = R0 = 1. Si avrà dunque
v(t) = Ṙ(t)r0
(1.4)
ed è possibile ridefinire la costante di Hubble come
H=
1
Ṙ
R
(1.5)
Il valore della costante H0 oggi accettato è circa sette volte inferiore rispetto a quello
utilizzato dallo stesso Hubble. Tuttavia, tutte le osservazioni successive hanno confermato
che la relazione esistente tra distanza e velocità di recessione è lineare.
1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI
7
Lo spostamento verso il rosso è stato il primo e più longevo strumento d’indagine cosmologica: ha permesso di misurare l’Universo, di valutarne
l’accelerazione, l’età e la densità media. Ha permesso di elaborare lo scenario
di Universo in espansione attualmente visto come standard, il quale, estrapolato indietro nel tempo, porta ad una singolarità, un punto nel tempo in
cui tutte le distanze erano nulle. L’istante in cui t = 0 infatti si fa coincidere
con l’origine dell’Universo, denominato Big Bang, su proposta di Lemaı̂tre
(1923) e successivamente di Gamow (1948). La teoria del Big Bang, a causa
della forte assunzione che pone sull’istante zero, non risulta adeguata nella
descrizione dei primissimi istanti di vita dell’Universo.
Si pensa perciò che una teoria, ancora sconosciuta, della gravità quantistica inizierebbe ad operare prima che le distanze diventino precisamente
zero. Ad esempio, nella teoria delle stringhe, al di sotto di una certa distanza
minima, detta lunghezza di stringa e pari a circa 10−35 cm, la repulsione tra
le stringhe stesse diventa maggiore di qualsiasi effetto gravitazionale.
1.1.1
Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre
La descrizione dell’Universo oggi maggiormente accettata è basata sul
modello di Friedmann-Robertson-Walker, più conosciuto come Modello Standard, che deriva dall’applicazione del Principio Cosmologico2 [3] alla Teoria della Relatività Generale. Considerando allora un set di coordinate
comoventi3 , la metrica di Robertson-Walker può essere espressa come
ds = c dt − R (t)
2
2
2
2
dr2
+ r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 )
2
1 − Kr
(1.6)
dove R(t) è il fattore di scala cosmico e K è una costante proporzionale
alla curvatura dello spazio tridimensionale. Ridimensionando la coordinata
radiale, la costante di curvatura K può assumere i soli valori discreti +1, −1
e 0 che corrispondono, rispettivamente, ad uno spazio tridimensionale chiuso,
2
“Nessun osservatore occupa una posizione preferita nell’Universo”, ossia lo spazio è
omogeneo ed isotropo: ogni punto nell’Universo è uguale a ciascun altro e non esistono
direzioni privilegiate.
3
In Cosmologia con la distanza comovente si definiscono le distanze tra gli oggetti in
maniera indipendente dal tempo.
8
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
aperto, o piatto. Si può mostrare, inoltre, che è il fattore di scala cosmico,
R(t), a parametrizzare la dinamica dell’Universo.
L’evoluzione temporale dell’Universo è data dalla soluzione dell’Equazione di campo di Einstein nella Relatività Generale
Gab = 8πGTab
(1.7)
dove G è la costante di gravitazione universale, che descrive la relazione tra
la curvatura spaziotemporale (Gab ) e l’energia (Tab ) contenuta in essa, ma
lo sviluppo nel tempo di una distribuzione di materia omogenea ed isotropa
sarà dato dalle Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre, che si ottengono inserendo
la metrica definita nell’Eq. (1.6) all’interno dell’Equazione di Einstein, alle
quali il fattore di scala R(t) obbedisce:
2
8πG
Kc2 Λ
Ṙ
=
ρ− 2 +
H =
R
3
R
3
(1.8)
Λ 4πG
R̈
= −
(ρ + 3p)
R
3
3
(1.9)
2
dove ρ indica la densità di materia (e radiazione) presente nel cosmo, p la
sua pressione, mentre Λ è la costante cosmologica.
Introdotta da Einstein prima dell’affermarsi della teoria del Big Bang allo scopo di compensare la tendenza dello spazio in alcuni modelli a contrarsi
o in altri ad espandersi, e poi abbandonata dal suo stesso ideatore dopo le
osservazioni di Hubble che sembravano mostrare definitivamente che l’Universo fosse in espansione, la costante cosmologica Λ viene oggi associata al
concetto di energia di vuoto o energia oscura, in virtù dell’evidenza dalle osservazioni sul redshift di alcune SuperNovae di una sorta di gravità repulsiva,
da cui seguirebbe un’accelerazione nell’espansione dell’Universo.
1.1.2
Evoluzione dell’Universo
Può essere interessante notare che combinando le due Eqq. (1.8) e (1.9)
si riottiene la Prima Legge della Termodinamica
1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI
9
d
ρR3 = −3pR2 Ṙ
(1.10)
dt
e che la Eq. (1.8) si può ricavare anche dalla Meccanica Classica. Considerando infatti una sfera di raggio R e densità ρ in espansione secondo la
Eq. (1.2), una galassia di massa m posta alla distanza r subirà una forza di
richiamo data dalla massa M = 4πR3 ρ/3 della sfera, ed obbedirà alla legge
di conservazione dell’energia
Mm
R2
che con opportuna scelta delle costanti di integrazione diventa
mR̈ = −G
Mm
1
1
mṘ2 − G
= cost = − Kmc2
2
R
2
(1.11)
(1.12)
Infine, moltiplicando la Eq. (1.12) per 2/mR2 si riottiene l’Equazione di
Friedmann (1.8) per Λ = 0.
Nell’ Eq. (1.12), il termine sulla sinistra rappresenta la somma tra l’energia cinetica e l’energia potenziale della massa m, cosı̀ il termine sulla destra
ne indicherà l’energia totale. Come illustrato in Fig. (1.1), se K < 0 il termine di curvatura −Kc2 /R2 sarà positivo ed avremo un’energia totale E > 0,
per cui la galassia non risulterà legata e si allontanerà indefinitamente. In
questo caso parleremo di Universo aperto.
Per K > 0 invece si avrà un termine di curvatura negativo, l’energia
totale sarà negativa, la galassia finirà per collassare al centro della sfera
dando vita allo scenario del Big Crunch, e si parlerà di Universo chiuso.
Infine, nel caso in cui K = 0 l’energia cinetica e quella potenziale si
bilanciano, cosı̀ sia l’energia totale che la curvatura saranno nulle, dando
luogo allo scenario di Universo piatto, per cui esisterebbe un’espansione limite
che l’Universo raggiungerebbe asintoticamente nel corso della sua evoluzione.
A questo punto, essendo v = H0 r e M = 4πr3 ρ/3, si definisce a partire
dalla Eq. (1.8) la densità critica ρc come la densità di energia o materia per
cui K = 0:
ρc ≡
3H 2
8πG
(1.13)
10
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
Figura 1.1: Andamento del parametro di scala R(t) in funzione del tempo per i
tre valori di K. È interessante notare che al tempo attuale l’Universo appare ancora
in espansione, ma le incertezze in gioco sono tali per cui non si può affermare con
certezza quale sia lo scenario verso il quale si stia avviando.
Stabilita la densità di riferimento ρc è possibile esprimere tutte le densità
cosmologiche in funzione di essa. Si definisce parametro di densità cosmica,
Ω:
Ω≡
8πG
ρ
=
ρ
ρc
3H 2
(1.14)
dove ρ è la densità di energia dell’Universo.
Può essere utile anche definire un fattore di scala a(t) ≡ r/r0 , che viene
normalizzato a 1 al tempo attuale t0 . La costante di Hubble, H, definita
nella Eq. (1.5), se riscritta nei termini del fattore di scala non risulta più
costante nel tempo. Si parla allora di parametro di Hubble, H(t)
H(t) =
1 da
a dt
(1.15)
che tuttavia resta costante nello spazio al tempo attuale t0 : H0 = H(t0 ).
La prima delle equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre (1.8) risulta:
Ω=1+
Kc2
H 2 R2
(1.16)
1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI
11
Pertanto, il parametro di densità cosmico Ω ad un particolare tempo
cosmico, ad esempio quello attuale, è strettamente legato alla curvatura
dell’Universo, come mostrato in Fig. (1.3), e si avrà che:
k < 0 ⇒ Ω < 1 U niverso aperto
k = 0 ⇒ Ω = 1 U niverso piatto
k > 0 ⇒ Ω > 1 U niverso chiuso
Di solito si distinguono anche i differenti contributi alla densità Ω e si
definiscono ΩΛ (= Λ/3H 2 ) che indica la densità di energia del vuoto, Ωm che
indica la densità di energia della materia ordinaria, e Ωr che indica quella
della radiazione. Se si assume che l’Universo contiene solo materia ordinaria
e radiazione, e quindi che ρ > 0 e p > 0, la conoscenza di Ω determina in
maniera univoca l’evoluzione dell’Universo stesso. Escludendo la presenza
della costante cosmologica, e quindi uguagliando Λ a zero nella Eq. (1.8),
restano possibili solo gli scenari di dominazione della materia non relativistica
(ρ ∝ R−3 ) e di dominazione della radiazione (ρ ∝ R−4 ), come verrà mostrato
alla Sezione (1.1.3). In ogni caso, quindi, all’aumentare di R, ρ decrescerà
più velocemente di R−2 .
Segue dalla Eq. (1.8) che Ṙ non si annulla mai per K ≤ 0, mentre per
K > 0 si annulla per un certo valore di R e diventa negativo a R maggiori. Quindi un Universo aperto o piatto (Ω ≤ 1) espande sempre, mentre un
Universo chiuso (Ω > 1) può collassare (Fig. (1.2)). Un’altra importante
caratteristica di un Universo senza costante cosmologica è che la sua evoluzione deve essere necessariamente decelerata, come si deduce dalla Eq. (1.9),
considerando che ρ, p ≥ 0, e tenendo conto del fatto che la gravità ordinaria
è sempre attrattiva.
Nel caso in cui si consideri invece anche la costante cosmologica, la connessione tra geometria ed evoluzione viene persa: sia l’espansione eterna che
il collasso sono possibili per ogni tipo di geometria, a seconda del valore della
densità di energia di vuoto ρΛ e di materia ordinaria ρM .
Una evidenza cruciale della necessità della presenza della costante cosmologica è che l’evoluzione cosmica può essere accelerata. Nell’Universo
attuale, in cui la densità di energia della radiazione è trascurabile rispetto a
quella della materia non relativistica, ciò può avvenire se risultano verificate
12
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
Figura 1.2: L’immagine mostra l’espansione dell’Universo in funzione del tempo a
diversi valori dei contributi al parametro di densità cosmica Ω. Si possono distinguere
i diversi andamenti legati agli scenari di Universo chiuso, piatto o aperto. Nel caso di
Universo aperto è presente il parametro ΩΛ che determina prima un rallentamento e
poi una nuova accelerazione nell’espansione dell’Universo. Da notare che sulla base
dei contributi al parametro di densità varia anche la posizione sulla scala temporale
del punto di origine dell’Universo.
Figura 1.3: Rappresentazioni della geometria dell’Universo in funzione del parametro
di densità cosmico, Ω. Lo scenario di Universo piatto (Ω = 1) corrisponde ad un
Universo a geometria euclidea, mentre agli scenari di Universo aperto (Ω < 1) e
di Universo chiuso (Ω > 1) corrispondono rispettivamente geometria iperbolica e
geometria sferica.
1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI
13
le seguenti condizioni, derivate dalla Eq. (1.9)
ρΛ > 0
ρM < 2ρΛ
(1.17)
Pertanto, quando domina la pressione negativa del vuoto, è come se la gravità
divenisse, su scale cosmiche, repulsiva.
1.1.3
Soluzioni del Modello Standard
L’espansione dell’Universo, dall’epoca dell’inflazione fino ad oggi, risulta in accelerazione, per cui si è affermata la dominazione di una costante
cosmologica, o di una qualche altra forma di energia oscura.
Si può assumere come generica equazione di stato per l’Universo una relazione che leghi la densità di materia e radiazione nel cosmo, ρ, alla pressione
che questa esercita, p, tale che
p = ωρ
(1.18)
dove, in base alla termodinamica, ω viene considerata costante ed assume i
seguenti valori:

materia non relativistica
 0 ⇒ p=0
1/3 ⇒ p = 31 ρ radiazione
ω=

−1 ⇒ p = −ρ energia di vuoto
È da sottolineare che, nel caso in cui ω = −1, p e ρ sono di segno opposto e
che sulla base di tale osservazione si può introdurre la presenza di una energia
di vuoto, a cui è associata la costante cosmologica Λ.
Inserendo la Eq. (1.18) nella Eq. (1.10), si ottiene la relazione che lega
ρ al fattore di scala R:
ρ ∝ R−3(1+ω)
(1.19)
Dunque, a seconda del tipo di materia dominante nell’Universo si ha
ρ ∝ R−3 , era dominata dalla materia non relativistica;
ρ ∝ R−4 , era dominata dalla materia relativistica (radiazione);
ρ = cost, era dominata dall0 energia di vuoto.
14
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
Le prime due relazioni hanno una semplice spiegazione fisica. Se l’energia e
la massa dell’Universo fossero rappresentate dalla sola materia visibile, ogni
galassia si comporterebbe come un granello di polvere di energia cinetica
trascurabile rispetto alla densità di energia totale (Matter Dominated Model ).
All’aumentare del volume dell’Universo, le galassie si farebbero sempre più
rade e la loro densità numerica N diminuirebbe come R−3 . Le singole energie
allora tenderanno a coincidere con le energie a riposo e la densità di energia
coinciderà con la densità di materia che, a sua volta è proporzionale a N e
quindi a R−3 (ρ ∝ R−3 ).
Per un Universo dominato invece dalla sola radiazione (Radiation Dominated Model ), la densità di energia risulta legata alla densità numerica
di fotoni ed alla loro energia: il primo termine ha un andamento identico a
quello sopra indicato, mentre il secondo a causa del redshift gravitazionale
diminuisce al crescere del fattore di scala come R−1 , da cui ρ ∝ R−4 .
1.2
Evidenze sperimentali dell’esistenza di DM
A questo punto è chiaro come Ωtot , la quantità che rappresenta l’energia
totale contenuta nello spazio-tempo, attraverso l’utilizzo della Eq. (1.16)
diventi uno dei parametri essenziali per la determinazione della geometria e
dell’evoluzione dell’Universo.
Una serie di osservazioni nel contesto della teoria gravitazionale standard
suggerisce che la componente più cospicua della materia sia una massa non
visibile che non assorbe né emette radiazione luminosa [4]. In accordo con
queste osservazioni, la cosiddetta massa visibile, quella associata alla materia
ordinaria, non risulta più sufficiente a spiegare i problemi legati alla dinamica
di ammassi e galassie e, di conseguenza, alla struttura attuale dell’Universo.
Da tali considerazioni scaturisce la necessità di ipotizzare che una grande
frazione della materia totale dell’Universo sia non visibile e, quindi, oscura.
1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM
1.2.1
15
La Materia Oscura nelle galassie a spirale
Si definisce per prima cosa il rapporto Υ tra la massa e la luminosità4 di
un dato oggetto astronomico5 , che quantifica la massa totale dell’oggetto in
termini di luminosità emessa:
Υ=
M/M
L/L
(1.20)
Le galassie a spirale sono composte da un nucleo centrale di forma globulare, più o meno prominente, detto bulge, o bulbo, e da alcune braccia
avvolte a spirale che formano un disco più sottile, il disco galattico. Il tutto
è immerso in un alone sferoidale, detto alone galattico.
Le stelle e le nubi di Idrogeno, nelle galassie a spirale, sono principalmente
contenute nel disco, caratterizzato da un profilo di luminosità superficiale I
esponenziale:
I(R) ∝ e−R/Rd ,
(1.21)
dove R è la distanza dal centro della galassia (distanza galattocentrica) e Rd
la lunghezza di scala del disco; tipicamente Rd ' 2 ÷ 4 Kpc, mentre il raggio
ottico del disco risulta essere Ropt ' 4 Rd .
Le stelle e le nubi di Idrogeno compiono orbite quasi circolari attorno al centro galattico in modo da contrastare l’attrazione gravitazionale e
all’equilibrio l’accelerazione gravitazionale sarà uguale a quella centrifuga
vc2 (R)
= −gR (R, 0).
R
(1.22)
Per la terza legge di Keplero, le stelle con orbite galattiche maggiori dovrebbero avere velocità orbitali minori. Tuttavia, nelle osservazioni condotte
negli anni sulle velocità orbitali delle stelle nelle regioni periferiche di un gran
numero di galassie a spirale, si vede che le velocità orbitali invece di diminuire
rimangono con ottima approssimazione costanti anche a grandi raggi.
Misurando allora le velocità circolari delle stelle a diversi valori del raggio
(sfruttando l’effetto Doppler di alcune linee spettrali nella banda ottica e
radio, come la linea di emissione a 21 cm dell’Idrogeno), si può costruire
4
5
Luminosità ottica assoluta riferita alla banda del blu.
Il suffisso indica il valore per il Sole della quantità considerata.
16
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
la curva di rotazione, ossia il grafico di vc in funzione di R che fornisce
l’accelerazione gravitazionale gR (R, 0) del disco: è questa la relazione che si
trova alla base della migliore strategia per la ricerca di Materia Oscura nelle
galassie a spirale [3].
Una discrepanza tra la curva di rotazione misurata e quella calcolata
per la sola materia luminosa presente nella galassia può costituire un chiaro
segnale della presenza di Materia Oscura. Sperimentalmente si osserva che
la curva di rotazione cresce linearmente nella regione più interna fino a raggiungere un massimo attorno a R ' 2Rd , dopo il quale resta sostanzialmente
piatta.
R R < Rd
vc (R) ∼
(1.23)
cost R > 3 Rd
Per poter ottenere l’andamento della curva di rotazione relativo alla sola
materia luminosa, è necessario convertire il profilo di luminosità I(R), dato
dalla Eq. (1.21) con Rd fissato, nel profilo di densità superficiale del disco
Σ(R): poiché i gradienti di colore e luminosità nei dischi delle galassie a
spirale sono generalmente modesti, ha senso supporre che il rapporto massa–
luminosità Υd del disco sia costante. Sotto questa assunzione è possibile
scrivere
Σ(R) ∼ Υd I(R)
(1.24)
che, assieme alla Eq. (1.21), fornisce
Σ(R) ∼ e−R/Rd
(1.25)
Tale distribuzione produce una curva di rotazione che cresce linearmente
nella regione più interna fino ad un massimo raggiunto attorno a R ' 2 Rd ,
al quale segue per grandi distanze una discesa come R−1/2 :
vc (R) ∼
R
R < Rd
R−1/2 R > 3 Rd
(1.26)
Mettendo a confronto le Eqq. (1.23) e (1.26), si osserva un buon accordo
nella regione più interna del disco (R < Rd ), mentre nella regione più esterna,
R > 3 Rd , essendo la velocità circolare sistematicamente maggiore di quella
1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM
17
Figura 1.4: Curva di rotazione della galassia a spirale NGC 6503 [5, 6]. Le linee
indicano il contributo del disco galattico, del gas e dell’alone oscuro, quest’ultimo
necessario a riprodurre la curva sperimentale osservata. La linea continua riguarda la
combinazione dei contributi.
aspettata sulla base della sola materia luminosa, il disaccordo diventa molto
più significativo (Fig. 1.4).
Il valore costante della velocità rilevata sperimentalmente suggerisce che
M (r) ∝ r a grandi raggi, dove M (r) indica la massa contenuta all’interno
di una sfera di raggio r.
La discrepanza tra i due andamenti può essere colmata se si considera
un alone di materia non visibile caratterizzato da un profilo di densità proporzionale, per grandi valori6 di r, a r−2 . Questo tipo di andamento è fornito
da una serie di modelli chiamati a sfera isoterma, che descrivono particelle
di massa mχ , in equilibrio termico, interagenti solo gravitazionalmente. Il
più semplice di questi si basa su assunzioni di isotropia e simmetria sferica,
e fornisce un profilo di densità
1
(1.27)
+ a2
dove a è il raggio del nucleo ed è utilizzato per mantenere finita la densità a
piccole distanze dal centro galattico. Le considerazioni sin qui riportate sono
ρχ ∝
6
r2
Per avere M (r) ∝ r e dunque una velocità tangenziale costante a grandi r, è necessario
assumere un alone sferico (il cui volume cresce come r3 ) con profilo di densità ρχ ∝ r−2 .
18
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
applicabili ad un gran numero di galassie a spirale [7] ed ovviamente anche
alla Via Lattea; sommando i contributi provenienti dalle galassie la quantità
di materia contenuta nell’Universo viene valutata essere ΩM ≈ 0.2 ÷ 0.3 [8].
Di questa quantità, solamente una piccola frazione si riferisce alla materia
visibile (Ωvis ≈ 0.04).
1.2.2
Lenti gravitazionali
Con lente gravitazionale [9] si indica l’effetto di distorsione che la luce subisce quando passa vicino a grandi agglomerati di materia, come ad esempio
i cluster di galassie.
Un attento studio delle immagini ottenute da tali osservazioni fornisce
informazioni sulla distribuzione di massa propria della lente, e quindi sulla
presenza di Materia Oscura nel cluster.
I fenomeni di lensing si classificano in base alla massa dell’agglomerato di
materia che viene preso come lente, e su scala cosmologica vanno dallo strong
lensing al weak lensing, mentre per gli eventi su scala galattica si parla di
microlensing, o meglio, di microlenti gravitazionali.
Lo strong lensing si verifica solo per cluster regolari e in condizioni di
perfetto allineamento osservatore – ammasso – sorgente. In questo caso l’immagine della sorgente si può distorcere fino a formare un cerchio attorno
al cluster, chiamato anello di Einstein, di cui saranno visibili uno solo o
entrambi gli archi opposti.
Poiché è semplice determinare sia il raggio dell’arco che le distanze di
ammasso e sorgente, da questi dati sarà possibile anche stimare la massa
racchiusa nell’anello.
Tuttavia, anche masse più piccole producono comunque delle distorsioni
nella percezione delle galassie sullo sfondo (weak lensing), e poiché il lensing comprime l’immagine in una direzione e l’allunga nell’altra, le immagini
ottenute vengono chiamate archetti : l’ellitticità degli archetti fornisce informazioni sulla forza del campo gravitazionale in ogni posizione dell’archetto
e quindi, in ultima analisi, sulla massa del cluster.
Riguardo la dinamica delle galassie all’interno degli ammassi, sono state
effettuate osservazioni su circa 100 ammassi [8]. Ciascuna galassia apparte-
1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM
19
nente all’ammasso viene considerata come massa di prova al fine di dedurre
il potenziale gravitazionale: la relativa velocità di dispersione indica che la
massa generante il potenziale è maggiore di quella visibile. Se si considerano
gli ammassi, le più grandi strutture autogravitanti in natura, come rappresentativi dell’Universo, le misure forniscono ΩM ≈ 0.2 ÷ 0.4 [8]: ancora una
volta ΩM Ωvis .
1.2.3
Raggi X
Alle stesse conclusioni si può giungere attraverso la rivelazione dei raggi X emessi per bremsstrahlung dalle grandi quantità di gas ionizzato negli
ammassi [8]. Assumendo un equilibrio idrostatico, è possibile esprimere la
massa totale del cluster in funzione della temperatura e della densità del gas
ionizzato, a loro volta connessi alla densità luminosa7 dei raggi X. Seguendo
tale approccio è possibile esprimere la massa totale del cluster come funzione
della distribuzione di raggi X fornita da vari esperimenti come CHANDRA
[10] e ROSAT [11]. I risultati ottenuti dalle misure indipendenti effettuate
su galassie e strutture a larga scala sono in buon accordo, indicando che la
Materia Oscura è raccolta attorno alle galassie e non diffusa nello spazio tra
di esse.
1.2.4
CMB
Ulteriori evidenze della presenza di Materia Oscura possono essere ricercate su scala cosmica. La teoria del Big Bang prevede l’esistenza di un
fondo di fotoni, originatosi al momento del disaccoppiamento radiazione –
materia e la cui lunghezza d’onda aumenta a causa del redshift provocato
dall’espansione dell’Universo, chiamato Radiazione Cosmica di Fondo (Cosmic Microwave Background, CMB ). Tale radiazione è stata effettivamente
scoperta nel 1964 da Penzias e Wilson ed il suo studio permette di ricavare
informazioni sui valori di Ω totale e per ciascuna delle componenti dell’Universo: in particolare, dallo studio dell’anisotropia dello spettro del CMB
7
M (r) ∼
βkB Tg r
Gm
1/3β
1 − jX (r)
[3], dove Tg è la temperatura del gas, jX (r) la
densità luminosa di raggi X e β ' 0.4 ÷ 1.0. Sussiste inoltre la relazione jX (r) ∝ n2g (r)
con ng (r) densità del gas.
20
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
(effettuata da vari esperimenti come BOOMERANG, WMAP e MAXIMA)
e dalla posizione del primo picco acustico si ottiene la seguente espressione
Ωtot = ΩΛ + ΩM ≈ 1,
(1.28)
corrispondente per l’epoca attuale ad un Universo piatto; dal rapporto tra
l’ampiezza del primo e secondo picco acustico si ricava
ΩB = 0.045,
(1.29)
dove ΩB rappresenta la componente della densità associata alla materia ordinaria (barionica). Va sottolineato che il contributo fornito dalla radiazione
cosmica è ΩCM B = 4.9 · 10−5 , ossia assolutamente trascurabile rispetto alle
componenti citate; per questo motivo non verrà presa in considerazione nei
seguenti discorsi sull’attuale composizione dell’Universo.
1.2.5
Candele Standard
Ulteriori indicazioni su scala cosmologica provengono dallo studio dell’espansione dell’Universo effettuato attraverso l’utilizzo di candele standard,
oggetti astronomici di luminosità nota: il confronto tra la loro luminosità
relativa (ossia quella osservata) e la luminosità assoluta (conosciuta a priori) permette di determinare la distanza a cui si trovano. A questa classe
appartengono le supernovae Ia, il cui studio ha permesso di giungere alla
condizione [12, 13]
ΩΛ ≈ 1.33ΩM + 0.33
(1.30)
che indica, in base alla Eq. (1.17), un Universo in espansione accelerata
dominato dalla componente di energia del vuoto. Tale risultato, ottenuto con tecniche sperimentali molto diverse tra loro, fornisce uno scenario
cosmologico caratterizzato da
ΩΛ ≈ 0.71 ΩM ≈ 0.29
(1.31)
dal quale si evince che, poiché Ωvis ≈ 4.95 · 10−3 è trascurabile, la maggior
parte dell’energia sotto forma di materia è costituita da materia non visibile
(oscura). Dal confronto tra le Eqq. (1.31) e (1.29) si deduce inoltre che circa
l’86% della materia oscura deve essere esotica, ossia non-barionica: in altre
1.3. CANDIDATI
21
parole deve essere rappresentata da particelle con numero barionico zero e
neutre, altrimenti l’accoppiamento diretto con i fotoni le renderebbe visibili.
Questo risultato, fornito da misure del CMB, è ulteriormente rafforzato da
osservazioni sperimentali di abbondanze di elementi nelle stelle. Una importante implicazione del modello del Big Bang è che gli elementi leggeri come
Deuterio (2 H), Elio (3 He, 4 He) e Litio (7 Li) devono essersi formati durante i
primi minuti di vita dell’Universo (nucleosintesi primordiale), quando l’energia dei fotoni è diminuita fino a scendere al di sotto dell’energia di legame
dei nuclei (con l’espansione cosmica la temperatura diminuisce monotonicamente). Una volta fissato il numero di specie dei neutrini a 3, l’abbondanza
prevista per gli elementi leggeri dipende da un unico parametro, la densità
barionica ΩB : un aumento di ΩB comporta un leggero aumento di 4 He ed
un crollo di 2 H e 3 He. Comparando dunque l’abbondanza degli elementi leggeri prevista con quella osservata si determina ΩB , che risulta essere
ΩB ≈ 0.04 − 0.05 [3], in ottimo accordo con le misure di CMB.
È importante sottolineare che nessun processo astrofisico conosciuto è in grado di produrre 2 H, quindi il confronto tra teoria ed osservazione per questo
elemento è particolarmente preciso; inoltre le stime locali dell’abbondanza di
2
H sono in ottimo accordo con le misure effettuate su nuvole ad alto redshift,
posizionate lungo la linea di vista di quasar distanti.
Per quanto riguarda l’energia del vuoto, attualmente la sua natura è
completamente ignota. Dal punto di vista teorico sono state proposte diverse teorie che attribuiscono il termine di pressione negativa non solo ad
una costante cosmologica, e dunque all’energia del vuoto, ma anche a campi
scalari lentamente variabili [14]. In tal caso il termine ΩΛ non si riferisce al
vuoto ed è quindi chiamato più genericamente Energia Oscura.
1.3
Candidati
Come mostrato, al fine di spiegare le osservazioni sperimentali in campo
astrofisico e cosmologico, la maggior parte della Materia Oscura deve essere
non-barionica. Tuttavia, mettendo a confronto i risultati ricavati dallo studio
di nucleosintesi primordiale e CMB (ΩB ≈ 0.04 ÷ 0.05) con la quantità di
materia luminosa osservata nell’Universo (Ωvis ≈ 4.95 · 10−3 ), risulta che una
22
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
Figura 1.5: Composizione dell’Universo all’età attuale.
qualche forma di Materia Oscura barionica deve comunque esistere. Della
materia barionica totale aspettata, il 10% è relativo alla materia luminosa
visibile, il 40% è rappresentato dal gas ionizzato che si trova normalmente
nello spazio intergalattico, mentre il 50% è oscuro. Per la Materia Oscura
barionica sono stati proposti diversi candidati, i più significativi dei quali sono
nubi di Idrogeno molecolare e MACHOs (MAssive Compact Halo Objects)
[8]. A differenza delle nubi d’Idrogeno atomico, le nubi di H2 non sono
facilmente rivelabili poiché non presentano la caratteristica linea di emissione
a 21 cm e spesso, in base alla loro temperatura, non emettono alcun tipo di
radiazione [8]. Per quanto riguarda i MACHOs, si tratta di una classe che
contiene una grande quantità di oggetti astronomici, come stelle di neutroni,
le nane bianche / rosse / beige e marroni, i pianeti e i buchi neri difficili da
osservare a causa della loro luminosità estremamente ridotta.
Per quanto riguarda la restante parte di DM (circa l’86%) questa deve
essere esotica e neutra: si tratterà perció di una o più specie di particelle
elementari con numero barionico zero. Restando nell’ambito della teoria del
Big Bang, è possibile pensare che questa nuova specie di particelle, come del
resto gran parte dei costituenti dell’Universo, in passato dovesse essere all’equilibrio termico con tutte le altre, ma, affinché possa questa giocare il ruolo
richiesto a livello cosmologico (ΩM ≈ 0.3), fornendo cosı̀ un’abbondanza non
trascurabile, è necessario supporre che al momento fosse già disaccoppiata.
La densità al momento del disaccoppiamento diviene cosı̀ un parametro
1.3. CANDIDATI
23
Figura 1.6: Plot di Ων in funzione della massa Mν nell’ipotesi di neutrino massivo.
cruciale per il quale sono attesi due differenti valori, in base alle condizioni
cinematiche della specie in quel momento. A ciascun valore è associato un
distinto caso: Materia Oscura calda (hot e warm) o fredda (cold ), corrispondenti a particelle relativistiche o meno al tempo del disaccoppiamento [4].
È possibile avere una descrizione dei due diversi scenari considerando una
specie di neutrino massivo e stabile, per il quale si può calcolare il contributo
Ων alla densità in funzione della propria massa Mν [4].
In Fig. (1.6) viene riportato l’andamento ottenuto per i due diversi scenari: si può vedere come, al fine di avere Ων = ΩM = 0.3, un neutrino caldo
dovrebbe presentare una massa pari a qualche decina di eV , uno freddo una
massa dell’ordine di 5 GeV . Quest’ultimo tipo di neutrino, data la sua elevata massa, non potrebbe certamente essere ordinario: le misure fatte al LEP
escludono una quarta famiglia con Mν < 45GeV e risulta evidente che nessuna delle tre famiglie note possiede una massa cosı̀ elevata. Il neutrino freddo
fa parte delle WIMP (Weakly Interactive Massive Particles), una famiglia di
particelle χ definite in modo da risultare:
• non-barioniche;
• non relativistiche al momento del disaccoppiamento (cold);
• massive (mχ ≈ GeV ÷ T eV );
24
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
• neutre;
• interagenti solo debolmente.
Benché il neutrino non venga più preso in considerazione in quanto escluso dai limiti sperimentali, le WIMP restano i candidati favoriti quali costituenti della Materia Oscura in quanto la loro densità residua (la densità
raggiunta dopo il disaccoppiamento), è funzione solo della scala energetica
debole, Mweak ≈ 100 GeV e della Massa di Planck, MP lanck ≈ 1019 GeV e
risulta cosı̀ essere naturalmente vicina ai valori osservati di ΩDM , senza il bisogno di un’ulteriore calibrazione dei parametri; inoltre l’esistenza di queste
particelle è prevista dalle teorie supersimmetriche, per cui si ammette la conservazione della parità-R, imposta per evitare il decadimento del protone alle
scale deboli. Tale conservazione implica che la particella supersimmetrica
più leggera (LSP) sia stabile e quindi dotata di un’abbondanza cosmologica significativa, il che la rende il candidato WIMP ideale. Nella gran parte
delle teorie SUSY, come nella cosiddetta estensione supersimmetrica minimale del modello standard (MSSM), la LSP coincide con il neutralino, una
sovrapposizione lineare di particelle supersimmetriche prevista dai modelli
teorici.
1.4
Caratterizzazione di un modello di DM
Resta a questo punto da spiegare le motivazioni che portano a sostenere
l’esistenza della Materia Oscura esotica e cold, fornendo cosı̀ ulteriori argomenti a sostegno delle WIMP. Per poter caratterizzare appieno un modello
di Materia Oscura non-barionica e quindi discriminare tra candidati hot e
cold è necessario individuare il ruolo giocato dalla Materia Oscura all’epoca
delle formazioni galattiche, e confrontare le strutture generate dai modelli
con quelle attualmente visibili.
1.4.1
Strutturazione delle galassie
La formazione delle galassie è un processo non ancora del tutto compreso.
Tuttavia, la nascita delle strutture presenti nell’Universo viene usualmente
1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM
25
attribuita a fluttuazioni nella densità di materia. Tra le varie teorie proposte
a riguardo vengono considerate la teoria adiabatica delle fluttuazioni, per la
quale le grandi strutture galattiche prendono vita dalla fusione di ammassi
più piccoli. Le fluttuazioni da cui nascono questi ammassi potrebbero essere
sorte al tempo dell’inflazione (t ≈ 10−32 s), ma qui verranno considerati solo
i loro effetti nel periodo della ricombinazione (trec ≈ 4.39 · 1012 (Ω0 h2 )1/2 s).
L’aggregazione di materia nella costituzione delle galassie è un processo favorito dalla gravità ed ostacolata sostanzialmente da principali fattori:
free streaming e silk dumping. L’amplificazione delle fluttuazioni, dipendendo dall’andamento della gravità, produrrà perturbazioni di densità positive,
definite da ∆ρ/ρ > 0, dove ρ è la densità di materia e ∆ρ la densità in
eccesso legata ad una particolare fluttuazione. Si avrà cosı̀ una contrazione
ma allo stesso tempo l’eccesso di massa genererà una pressione che tenderà
a diminuire la densità locale. Considerando in prima approssimazione l’Universo statico, quindi paragonabile ad un gas statico di particelle di massa m,
l’evoluzione delle fluttuazioni risulta condizionata dalla lunghezza di Jeans
lj , definita [15] come
πkT
.
(1.32)
lj =
GN ρm
Fluttuazioni su scala inferiore a lj oscillano sotto l’azione di gravità e pressione, mentre, se la scala è superiore si ha un’amplificazione della fluttuazione.
Esprimendo il tutto in funzione della massa di Jeans Mj , definita a partire
dall’equazione precedente, si ottiene
Mj ∝ lj3 ρ ∝ ρ−1/2 T 3/2 .
(1.33)
Applicando ora tale espressione alle osservazioni sperimentali, si ottiene una
massa di Jeans barionica dell’ordine di 105 M . Va inoltre messo in evidenza
che, in base all’approssimazione effettuata, la crescita delle fluttuazioni con
scala maggiore di lj presenta un andamento esponenziale nel tempo; passando
ad uno studio più accurato, in cui il fluido di particelle non viene più considerato statico, bensı̀ in espansione, si ottiene infine una crescita temporale
governata non da un esponenziale, ma da una relazione del tipo
∆ρ
∝ (z + 1)−1
ρ
(1.34)
26
dove z =
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
R(t0 )
R(t1 )
− 1 indica il redshift e ρ la densità di materia (oscura e non).
Per quanto riguarda i processi dissipativi, silk dumping e free streaming
questi, come anticipato, tendono a smorzare le fluttuazioni. Il primo ha effetto solo sulla materia barionica e consiste nell’emissione di fotoni da una
zona iperdensa di materia; a causa poi dell’accoppiamento Compton, tali
fotoni riescono a trascinare con sé gli elettroni e quindi i protoni (per interazione coulombiana), riducendo in questo modo localmente la quantità ∆ρ/ρ.
Le condizioni necessarie allo sviluppo del silk dumping sono un’interazione
elettrone-fotone sufficientemente debole da permettere la fuoriuscita del fotone ed un accoppiamento con i barioni abbastanza forte. Naturalmente ciò
potrà avvenire solo in regioni talmente piccole da permettere la diffusione dei
fotoni in tempi più brevi di quelli richiesti per l’espansione; è cosı̀ possibile
introdurre anche in questo caso una massa critica MD , al di sopra della quale
il dumping sarà trascurabile. É interessante notare come per la maggior parte dei modelli il valore di MD venga sorprendentemente a coincidere con la
massa tipica delle galassie. L’altro effetto accennato, il free streaming, agisce solo su particelle con interazioni trascurabili, quindi anche sulla Materia
Oscura, e consiste nella semplice diffusione delle particelle da zone iperdense a zone ipodense. Il fenomeno, ed in particolare la sua scala temporale,
dipendono cosı̀ drasticamente dalle velocità delle particelle in gioco.
È possibile, a questo punto, considerando le osservazioni sperimentali,
trarre alcune conclusioni sulla natura della Materia Oscura. Riscalando le
attuali fluttuazioni di materia ordinaria secondo la Eq. (1.34) si ottiene,
per un tempo t precedente la ricombinazione (z ≈ 1000), un valore di ∆ρ/ρ
dell’ordine di 10−3 . Il forte accoppiamento della materia barionica con la
radiazione, presente per tempi t ≤ trec , fa sı̀ che un ∆ρ/ρ ≈ 10−3 non sia
assolutamente sufficiente a giustificare le strutture oggi presenti, in quanto
fluttuazioni di tale entità sarebbero state dissipate dal silk dumping.
Secondo questo modello, quindi, un Universo composto da sola materia
barionica non potrebbe avere la forma attuale; considerando però anche la
Materia Oscura non barionica la situazione è diversa. Vista la sua debole
interazione con la radiazione, infatti, la materia esotica potrebbe presentare per t ≤ trec fluttuazioni dell’ordine di 10−3 che non verrebbero smorzate
da nessun effetto dissipativo che non sia il free streaming. Nel caso di hot
1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM
27
dark matter il free streaming risulterebbe dominante, distruggendo qualsiasi struttura su scala inferiore a quella dei supercluster (≈ 1015 M ), mentre
nell’ipotesi di cold dark matter, a causa della ridotta velocità8 delle particelle, il free streaming si troverebbe ad essere molto più lento dell’espansione
dell’Universo.
Di conseguenza, all’epoca della ricombinazione le fluttuazioni nella densità di materia barionica sarebbero state guidate dal potenziale gravitazionale
generato dalle ben più grandi fluttuazioni di Materia Oscura ed il processo
di amplificazione ne risulterebbe cosı̀ accelerato. Un tale scenario giustificherebbe la formazione di galassie e cluster e, sebbene siano presenti delle
incompatibilità tra la dimensione dei cluster prevista dalle simulazioni a N
corpi e quella osservata, l’ipotesi di non-barionic cold dark matter sembra in
grado, nell’ambito della teoria adiabatica delle fluttuazioni, di riprodurre con
buon accordo la maggior parte dei risultati sperimentali ottenuti.
In conclusione dunque, il modello che attualmente riceve il più largo
consenso, il più efficace nella riproduzione dei dati sperimentali e nel fornire
una spiegazione della presente struttura dell’Universo, è il ΛCDM, acronimo
di Cold Dark Matter and Λ dark energy, il quale assume una distribuzione
uniforme di energia oscura con densità ΩΛ ≈ 0.7 ed una Materia Oscura
costituita da particelle non-barioniche, neutre, disaccoppiate, debolmente interagenti e cold (le WIMP) che portano il valore della densità di materia a
ΩM ≈ 0.3.
D’ora in avanti, nel corso della trattazione si considererà quindi la Materia Oscura costituita esclusivamente da WIMP ed in particolare dal neutralino.
1.4.2
La Materia Oscura nella Via Lattea
L’assunzione che la Materia Oscura sia costituita da WIMP, ossia da
particelle uscite dall’equilibrio termico solo quando non erano più relativistiche, induce a pensare che queste, a causa dell’azione gravitazionale, si siano
agglomerate assieme alla materia ordinaria, formando cosı̀ un alone pressoché sferico attorno alle galassie. Questa previsione teorica risulta valida sia
8
Da notare che con hot dark matter si indicano particelle relativistiche al momento del
disaccoppiamento, mentre con cold dark matter particelle non relativistiche (pag. 23).
28
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
per il gran numero di galassie a spirale, per le quali l’analisi delle curve di
rotazione suggerisce l’esistenza di un alone di Materia Oscura più esteso del
disco visibile, sia per la nostra galassia, per cui le stesse tecniche di misura
producono maggiori incertezze nei risultati essendo il punto di osservazione
interno all’oggetto da osservare [16].
Generalmente all’alone galattico vengono attribuite una forma sferoidale
che si sviluppa attorno al centro della galassia, ed una distribuzione di materia
regolata dall’espressione
2
a2 + r
(1.35)
ρ(r) = ρloc
Ξ
a2 + r 2
dove ρloc
Ξ rappresenta la densità di Materia Oscura nell’intorno del Sole (che
−3
[8]), r la distanza Sole – centro
si assumerà valore ρloc
Ξ ≈ 0.3 GeV cm
galattico e a un parametro di scala che rende la distribuzione non singolare
nel centro della galassia.
Attraverso questo modello, chiamato Cored Spherical Isothermal Halo, è
possibile riprodurre in maniera soddisfacente le curve di rotazione della Via
Lattea. Se le stime assunte sono corrette e se l’alone galattico è effettivamente costituito da WIMP, allora la migliore prova dell’esistenza di tale alone
sarà una misura diretta dei rinculi nucleari prodotti dall’interazione neutralino – nucleo. L’analisi si concretizza di fatto nello studio dello spettro dei
rinculi nucleari, il quale è funzione della sezione d’urto d’interazione WIMP –
nucleo, del valore locale di densità della Materia Oscura e della distribuzione
di velocità dei neutralini presenti nell’alone galattico. L’espressione di tale
spettro risulta
dR
ρloc
= NT Ξ
dER
mΞ
Z
vmax
dv f (v) v
vmin (ER )
dσN −Ξ
(v, ER )
dER
(1.36)
dove NT indica la densità numerica dei nuclei, f (v) la distribuzione della velocità dei neutralini nel sistema di riferimento solidale alla Terra, ER = µ2 v 2 (1−
cos θ)/mN l’energia di rinculo nucleare, µ la massa ridotta, dσN −Ξ /dER si
riferisce alla sezione d’urto differenziale, vmax è la massima velocità dei neutralini contenuti nell’alone galattico nel sistema di riferimento solidale alla
1/2
Terra e vmin (ER ) = (mN ER /2µ2 ) rappresenta la minima velocità di una
WIMP in grado di cedere al nucleo un’energia pari a ER .
1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM
29
Nel limite di basse energie è possibile fattorizzare la sezione d’urto differenziale come segue
dσN −Ξ
dσN −Ξ
(v, ER ) =
(v, 0)F 2 (ER )
dER
dER
(1.37)
nella quale F (ER ) è il fattore di forma nucleare e
dσN −Ξ
σN −Ξ
(v, 0) = max .
dER
ER
(1.38)
dove ERmax rappresenta la massima energia di rinculo nucleare prodotta da
un neutralino di velocità v, σN −Ξ indica la sezione d’urto totale associata ad
una WIMP di velocità v calcolata nel caso di nucleo puntiforme ed integrata9
tra ER = 0 e ER = ERmax . Utilizzando la Eq. (1.37) e la Eq. (1.38), si può
riscrivere la Eq. (1.36) come
dR
R0
=
F 2 (ER )I(ER )
dER
hERmax i
con
ρΞ
σN −Ξ hvi
mΞ
R0 = NT
e
v2
I(ER ) =
v
Z
vmax
dv
vmin (ER )
f (v)
.
v
(1.39)
(1.40)
(1.41)
Fissato poi un sistema di riferimento solidale con il centro della galassia, è
verosimile assumere che le WIMP presentino una distribuzione di velocità
maxwelliana con velocità quadratica media ω ≈ 300 km s−1 ; ponendo infine
vmax = ∞ si ottiene
√
π
3 + 2η 2
√
I(ER ) =
·
2
π(1 + 2η 2 )erf(η) + 2η exp(−η 2 )
· [erf(xmin + η) − erf(xmin − η)]
(1.42)
dove
r
η=
2
3vearth
2ω 2
s
xmin =
3mN ER
.
4µ2 ω 2
(1.43)
Dalla Eq. (1.42) e dalla definizione di µ si deduce che lo spettro dei
rinculi nucleari presenta una modulazione annua legata alla diversa velocità
9
La condizione ER = 0 implica l’assunzione di interazioni senza energia di soglia.
30
CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA
della Terra nei diversi periodi dell’anno: il moto di rotazione attorno al Sole
ed il moto del Sole attorno al centro galattico producono un andamento
periodico del modulo della velocità |vearth | con periodo annuale. A questo
punto, ipotizzando un opportuno fattore di forma10 F (ER ) per i nuclei del
bersaglio, adottando un determinato modello di distribuzione della densità
di Materia Oscura (generalmente si l’espressione della Eq. (1.35)) e quindi
fissando il valore di ρΞ , si è in grado di confrontare lo spettro sperimentale
dei rinculi nucleari con quello teorico, dato dalla Eq. (1.39); ciò permette
di individuare nello spazio dei parametri σN −Ξ e mΞ la regione di maggior
interesse sperimentale.
10
Poiché nei processi di scattering di fotoni o altre particelle il calcolo teorico della
sezione d’urto viene effettuato considerando il bersaglio puntiforme, nei casi in cui questa
approssimazione non è valida (l’estensione del bersaglio non è trascurabile) si ricorre al
fattore di forma, una funzione empirica inserita all’interno della formula della sezione
d’urto per tener conto degli effetti dati dall’estensione spaziale della distribuzione di carica
del bersaglio.
Capitolo 2
La Ricerca della Materia
Oscura
Come mostrato nel capitolo precedente, l’assunzione del Modello Standard implica che la materia barionica ordinaria costituisca circa il 4.5% della
massa-energia dell’Universo, mentre ad oggi del restante 95%, che dovrebbe
essere composto da Energia Oscura per più del 70% e per il 22% da Materia
Oscura, si sa molto poco.
Sulla base di tali considerazioni è ragionevole assumere che la Materia
Oscura sia costituita da WIMP e si può supporre che queste particelle si
siano agglomerate insieme alla materia ordinaria a causa di interazioni gravitazionali, formando degli aloni pressoché sferici che circondano le galassie.
Questa previsione teorica risulta verificata per un gran numero di galassie a
spirale, compresa la Via Lattea.
Si può pertanto pensare che la superficie terrestre sia attraversata da un
consistente flusso di WIMP, le quali, seppur con una sezione d’urto molto
piccola, potranno interagire elasticamente con la materia ordinaria e venire
quindi rivelate in modo diretto. Un’alternativa alla misura diretta dell’interazione della Materia Oscura con la materia ordinaria è rappresentata dalle
tecniche di rivelazione indirette con le quali si cerca di risalire alla natura
delle WIMP osservandone i prodotti dei processi di annichilazione.
32
2.1
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
Tecniche di Rivelazione della Materia Oscura
Per la ricerca delle WIMP vengono utilizzati due approcci principali
basati rispettivamente su tecniche dirette ed indirette di rivelazione. Nelle tecniche di rivelazione diretta si focalizza l’attenzione sull’interazione tra
neutralino e nucleo bersaglio, allo scopo di determinare il conteggio e lo
spettro differenziale dei rinculi nucleari, mentre le tecniche di rivelazione indiretta sono indirizzate all’osservazione dei prodotti dell’annichilazione del
neutralino.
2.1.1
Rivelazione indiretta della Materia Oscura
Gli esperimenti di rivelazione indiretta puntano a raccogliere i resti dei
decadimenti o delle annichilazioni di particelle di Materia Oscura, che possono comprendere antimateria, particelle ordinarie provenienti da annichilazione di coppie particella-antiparticella come neutrini o raggi γ. Le misure si
concentrano pertanto sui segnali provenienti dal Sole e dalla Terra per quanto riguarda le osservazioni dei neutrini, e per le altre particelle, sui segnali
provenienti dal centro della galassia. I canali sfruttati per questo tipo di
ricerca sono di seguito riportati:
χχ → l¯l ; q q̄ ; W + W − ; Z 0 Z 0 ; H 0 H 0 ; W ± H ∓ .
(2.1)
Per propria natura i neutralini possono decelerare in seguito a diffusione
nucleare, per cui tenderanno ad accumularsi al centro della Terra, al centro
del Sole ed in altre buche di potenziale gravitazionale e, poiché il processo
di annichilazione è guidato dalla densità numerica dei χ (∝ n2χ ), tutte le
ricerche vengono rivolte verso i corpi astronomici dove ci si aspetta che le
WIMP vengano catturate dalla gravità. Esperimenti rivolti alla ricerca di
neutrini prodotti nel centro della Terra attraverso i processi mostrati, come
ad esempio MACRO [17], AMANDA [18, 19] e Super-Kamiokande [20], hanno
potuto soltanto porre dei limiti superiori al flusso di ν.
Uno dei migliori segnali indiretti che si potrebbe rivelare è dato dai positroni prodotti dall’annichilazione χχ nell’alone galattico [21]. Il fondo,
ben noto per i positroni di alta energia, è dato dalle interazioni dei raggi
2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA
33
cosmici nell’ambiente interstellare e diminuisce rapidamente all’aumentare
dell’energia del e+ . Il processo privilegiato potrebbe dunque essere dato da:
χχ → e+ e−
che però risulta essere estremamente soppresso; il successivo canale è invece
dato dal processo
χχ → W + W − ; Z 0 Z 0
seguito dal decadimento dei bosoni in e+ . In molti modelli però il neutralino
non si accoppia con i bosoni di Gauge e quindi anche questo canale viene
soppresso. Cosı̀, oltre alla rivelazione di HE ν (High Energy Neutrinos, neutrini di alta energia), la principale tecnica indiretta consiste nella rivelazione
di fotoni prodotti secondo i canali [22]:
χχ → γγ
χχ → Z 0 γ.
(2.2)
Il primo processo, in cui Eγ = mχ , è fortemente soppresso, mentre il secondo,
dove Eγ = (mχ − m2Z )/4mχ , diventa importante solo per mχ > 45 GeV .
Il centro galattico è una sorgente privilegiata per i fotoni di tali energie,
grazie all’alta densità di materia ed alla sua vicinanza dalla Terra; ciò che
si cerca è un chiaro segnale dell’annichilazione delle WIMP che potrebbe essere dato dalla presenza di un’abbondanza insolita di fotoni a determinate
energie. Tuttavia, il segnale dei fotoni γ provenienti dal centro della galassia risulta fortemente contaminato dal fondo locale prodotto principalmente
dall’interazione dei raggi cosmici con l’ambiente interstellare.
È possibile effettuare esperimenti di rivelazione indiretta di materia oscura che ricercano i prodotti dell’annichilazione del neutralino sia a terra (stazioni di telescopi o laboratori scientifici), sia su satelliti mandati in orbita
intorno al pianeta.
Gli esperimenti condotti a terra, come ad esempio CELESTE (Francia) e
STACEE (New Mexico), utilizzano telescopi atmosferici Cherenkov (ACTs).
La caratteristica principale di questi esperimenti consiste nel distinguere (con
un’efficienza maggiore del 99%) tra cascate di raggi γ e sciami di raggi cosmici, che costituiscono il fondo dominante. La sensibilità tipica è di 1 T eV
34
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
per quanto riguarda i raggi γ, per cui esperimenti di questo tipo hanno la
possibilità di rivelare ampi intervalli di masse per le WIMP.
Gli esperimenti VERITAS (Arizona) e CANGAROO (Australia-Giappone)
hanno osservato un eccesso nel flusso di raggi γ provenienti dal centro della
galassia ma le osservazioni non sono compatibili tra loro e potrebbero anche
essere spiegate dalle emissioni provenienti da sorgenti astrofisiche, come un
buco nero al centro della Galassia.
Per quanto riguarda gli esperimenti su satellite i risultati più significativi
sono arrivati da EGRET i cui dati sembrano mettere in evidenza un segnale
al di sopra del fondo, spiegabile con la presenza di un neutralino con mχ <
50 GeV [23, 24]; tuttavia, non è possibile trarre conclusioni certe in quanto
il segnale si trova al limite della sensibilità dell’apparato.
Tra gli esperimenti equipaggiati su satellite vi sono anche PAMELA
e FERMI-LAT. La missione spaziale PAMELA ha rilevato un eccesso di
e+ /(e+ + e− ) [25] (Fig. (2.1), in alto a sinistra) rispetto alle previsioni.
Una tale sovrabbondanza è però incompatibile con lo scenario WIMP standard, poiché una eccedenza in positroni dovrebbe essere accompagnata da
un eccesso di antiprotoni, che non è stato osservato [26].
La discrepanza tra positroni e anti-protoni potrebbe aprire il campo a
nuovi tipi di scenario ma è anche compatibile con l’abbondanza di e+ /(e+ +
e− ) rilevata, essendo questa generata da sorgenti galattiche standard.
Il telescopio FERMI-LAT, Large Area Telescope, lanciato per creare una
mappatura γ del cielo, non ha confermato le osservazioni di EGRET (Fig.
(2.1), in basso a sinistra), però ha registrato una sovrabbondanza di e− + e+
(Fig. (2.1), in basso a destra). Tuttavia, i risultati di FERMI-LAT non sono
compatibili con quelli di ATIC (pallone sonda lanciato in Antartide) che ha
evidenziato una sovrabbondanza di e− rispetto alle previsioni, localizzati in
particolare nella regione 300÷700 GeV [27] (Fig. (2.1), in alto a destra). Tali
risultati suggeriscono una particella di Materia Oscura più pesante rispetto
al modello WIMP standard.
2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA
35
Figura 2.1: Risultati recenti di esperimenti di rivelazione indiretta. In alto a sinistra la
sovrabbondanza di positroni nel rapporto e+ /(e+ +e− ) [25] dell’esperimento PAMELA;
in alto a destra lo spettro dell’eccesso di elettroni in ATIC [27]; in basso a sinistra il
confronto tra la sovrabbondanza di raggi γ di EGRET con i risultati di FERMI-LAT
[28]; in basso a destra lo spettro e+ + e− di FERMI-LAT [29].
2.1.2
Rivelazione diretta della Materia Oscura
Gli esperimenti di rilevazione diretta di Materia Oscura si incentrano sul
rilevamento delle WIMP che ci si aspetta siano presenti nell’alone galattico
che circonda la Via Lattea e nelle vicinanze del Sole. Se, come si ipotizza, le
WIMP dell’alone si comportano in conformità con lo Standard Halo Model,
per cui le particelle di Materia Oscura agirebbero come un gas con velocità
di distribuzione di Maxwell-Boltzmann [30], la velocità media delle WIMP in
relazione al resto della galassia dovrà essere uguale a zero. Tuttavia, a causa
della spinta gravitazionale verso il centro della galassia, il disco galattico,
e di conseguenza il sistema solare, ruotano intorno al centro galattico, con
velocità pari a ∼ 220 km/s per il Sole. La velocità di questo moto influenza la
36
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
Figura 2.2: A sinistra l’interazione di una WIMP con un rivelatore. A destra, la
frequenza di eventi attesi, in Argon, per secondo, per kg, per keV per una WIMP di
massa 60 GeV /c2 , secondo i parametri standard dell’alone galattico.
velocità della Terra nell’orbita di rivoluzione intorno al Sole (∼ 48 km/s nel
s.d.r. del sistema solare). La composizione di queste due velocità, considerata
nel s.d.r. terrestre, genera il cosiddetto vento delle WIMP, e conferisce alle
particelle rilevate sulla superficie terrestre una certa energia cinetica.
Il rilevamento dei rinculi dei nuclei bersaglio a seguito di urti rappresenta l’unica possibilità per rilevare la presenza di Materia Oscura: le WIMP,
infatti, non sono dotate di carica elettrica (se lo fossero, questa verrebbe
immediatamente rilevata), per cui ci si attende che una WIMP che urti un
atomo del rivelatore interagisca principalmente con il nucleo bersaglio trasferendovi la propria energia cinetica e causandone il rinculo. Le energie
trasferite negli urti dovranno essere dell’ordine dei 10 ÷ 100 keV , dove minori saranno le energie e maggiori gli eventi aspettati, come mostrato in Fig.
(2.2), per cui saranno più efficienti gli esperimenti con le energie di soglia più
basse e con i volumi maggiori.
Oltre alla reiezione di tutte le interazioni note allo scopo di andare ad
analizzare i segnali rimanenti, si possono ricercare direttamente i segnali che
ci si aspetta per la Materia Oscura misurando modulazione annuale e modulazione giornaliera. La velocità di rivoluzione della Terra attorno al Sole
non è costante ma diminuisce e aumenta nel passaggio tra afelio e perielio,
e con essa diminuisce ed aumenta la velocità del rivelatore rispetto all’alone
2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA
37
Figura 2.3: Rivelazione in modulazione giornaliera. [32]
di Materia Oscura, modificando nel corso dell’anno il numero di eventi attesi
in una sinusoide con il picco nel mese di giugno. La modulazione giornaliera,
invece, deriva dalla rotazione della Terra attorno al proprio asse e dalla inclinazione di questo rispetto al piano galattico, per cui la direzione del vento
di WIMP percepito sulla terra varierebbe di 90◦ nell’arco della giornata [31]
(Fig. (2.3)).
Tuttavia, la rilevazione delle particelle di Materia Oscura, per loro stessa
natura, risulta estremamente difficoltosa e per mettere a punto dei validi
esperimenti sono necessari una serie di precisi accorgimenti. Assumendo
le proprietà di distribuzione maxwelliana, un intervallo di masse di 20 ÷
200 GeV ed una tipica massa atomica del bersaglio A < 200, gli urti tra le
WIMP e le particelle bersaglio possono indurre rinculi nucleari con energie
depositate dell’ordine di 10 ÷ 100 keV , con una frequenza (rate) minore di
1 evento / kg /giorno (Total rate unit, tru).
Eventi cosı̀ rari e caratterizzati da una bassa energia richiedono necessariamente che l’esperimento soddisfi determinate condizioni illustrate di
seguito.
• Soglia energetica
La soglia in energia deve presentare il più basso valore raggiungibile,
in modo da poter essere sensibile ad una grande porzione dello spettro
aspettato che presenta approssimativamente un andamento esponenziale decrescente. Questo implica che all’aumentare dell’energia, si verifica
sia un rapido decremento della frequenza totale di eventi, sia una di-
38
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
minuzione della modulazione annuale osservata poiché la differenza tra
le frequenze di Giugno e Dicembre cresce proprio nella regione a bassa
energia.
• Esposizione
Massa del rivelatore e tempi di misura sono legati tra di loro e devono
essere massimizzati al fine di raggiungere una statistica adeguata: la
frequenza di interazione è ovviamente proporzionale al numero di centri
di diffusione e quindi alla massa del bersaglio; essendo poi gli eventi
molto rari, è anche necessario mantenere il rivelatore attivo il più a
lungo possibile.
• Fondo
Per aumentare la sensibilità sperimentale è essenziale un’efficiente reiezione del fondo in quanto la finestra energetica d’interesse è dominata
dal fondo associato alla radioattività naturale, costituito principalmente da due componenti. La prima consiste nelle particelle α, β e γ,
prodotte dai materiali che circondano e/o costituiscono l’apparato sperimentale e che interagiscono elettromagneticamente con il rivelatore;
la seconda, invece, è rappresentata dai neutroni prodotti dalla radioattività naturale e da interazioni di raggi cosmici. Quest’ultima è anche
la più importante in quanto i neutroni sono in grado di produrre rinculi
nucleari indistinguibili dalle interazioni elastiche delle WIMP. Per tali
motivi, è indispensabile innanzitutto operare in laboratori sotterranei
(per abbattere il flusso di raggi cosmici che raggiunge il rivelatore),
impiegare materiali di elevata radiopurezza ed utilizzare schermi per
neutroni e raggi γ. Il fondo residuo viene quindi trattato in diversi
modi, in accordo con le differenti tecniche sperimentali.
2.2
Tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura
Le principali difficoltà a cui va incontro un esperimento basato sulla rivelazione diretta della materia oscura consistono nella bassa frequenza di inte-
2.2. TECNICHE DI RIVELAZIONE DIRETTA DELLA MATERIA
OSCURA
39
razione, nella ristrettezza dell’intervallo energetico, e nel fatto che le energie
in gioco sono estremamente basse, come mostrato.
Per ridurre i problemi legati alla frequenza di interazione si agisce sugli
esperimenti cercando di massimizzare tempo di misura e massa del rivelatore,
mentre per quanto riguarda la difficoltà di riuscire ad operare a basse energie,
sono state sviluppate diverse tecniche sperimentali.
I principali processi fisici utilizzati dagli esperimenti di rivelazione diretta degli eventi derivanti dall’interazione della DM possono essere cosı̀
sintetizzati:
• Ionizzazione: una particella, interagendo all’interno del rivelatore,
produce una certa quantità di coppie ione – elettrone libere (se il bersaglio è liquido o gassoso) o coppie lacuna – elettrone (se il bersaglio è
un cristallo) che possono essere rivelate tramite l’applicazione di campi
elettrici e l’utilizzo di dispositivi di raccolta della carica; questo tipo di
misura è caratterizzata da valori1 di RC/γ differenti da 1.
• Scintillazione: una particella interagente in un materiale scintillante
induce l’emissione di luce prodotta dalla diseccitazione di atomi eccitati. Il segnale prodotto può essere rivelato attraverso l’uso di strumenti
sensibili alla luce, come i fotosensori. Tra gli scintillatori impiegati
in questo campo si hanno NaI(Tl) e CsI, ma anche Ar, Ne e Xe, che
presentano dei buoni rapporti RC/γ per il segnale di scintillazione.
• Vibrazioni reticolari : La rivelazione dei fononi prodotti nell’interazione di particelle è adottata dai rivelatori criogenici (portati a temperature di qualche mK ) si basa sul fatto che la capacità termica del
rivelatore è cosı̀ bassa che anche un piccolo deposito di energia produce
un aumento di temperatura. Questa tecnica vanta la più bassa soglia
energetica raggiungibile (rinculi nucleari di qualche keV ), ma presenta
degli svantaggi quali il rapporto RC/γ = 1, che non fornisce intrinsecamente un metodo per discriminare e rigettare il fondo e le non
1
Un rivelatore produce segnali differenti per un rinculo nucleare ed un rinculo elettronico della stessa energia; questo comportamento viene riassunto nel recoil/γ ratio (RC/γ):
un valore RC/γ 6= 1 indica proprio che a parità di energia ceduta al sistema, il sistema
produce segnali differenti per le due differenti tipologie di evento.
40
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
Figura 2.4: Schema dei principali esperimenti di rivelazione diretta, raggruppati in
base ai processi fisici utilizzati nella rivelazione dell’energia depositata dall’interazione
con le WIMP.
trascurabili difficoltà tecniche introdotte dalle temperature di lavoro
estremamente basse.
Alcuni rivelatori sono pensati per essere sensibili ad uno solo di tali
processi fisici, altri a due; questa differenza porta ad una suddivisione della
maggior parte degli esperimenti a rivelazione diretta in due grandi famiglie:
esperimenti a modalità di rivelazione singola ed esperimenti a modalità di
rivelazione doppia.
Gli esperimenti in modalità singola devono lavorare in condizioni di bassissimo fondo in quanto non forniscono un metodo di discriminazione. Ogni
evento che cade nella finestra di accettanza viene semplicemente raccolto e
considerato un candidato WIMP caratterizzato dalla corrispondente energia
misurata. Gli esperimenti in modalità doppia, invece, sono capaci di accoppiare alla misura dell’energia un metodo di discriminazione, che permette di
scartare efficientemente i rinculi elettronici e gli altri eventi che ricadono nel
fondo.
2.2. TECNICHE DI RIVELAZIONE DIRETTA DELLA MATERIA
OSCURA
41
I rinculi elettronici sono eventi dovuti ad emissioni γ e β in cui la particella incidente interagisce con gli elettroni atomici i quali, a loro volta,
perdono energia ionizzando ed eccitando gli atomi del rivelatore. I rinculi
nucleari consistono invece in un’interazione praticamente elastica particella
– nucleo: qui è il nucleo, e non gli elettroni atomici, a ionizzare ed eccitare il
mezzo. La discriminazione del fondo è basata sul fatto che i due tipi di rinculi
presentano differenti perdite di energia per unità di lunghezza (dE/dx): in
genere questo produce una diversa densità di ionizzazione che, in accordo con
le varie tecniche, si traduce in un differente segnale all’uscita dell’apparato
sperimentale.
Il più delle modalità di reiezione del fondo è basato, attraverso l’utilizzo
di efficienti tecniche di rivelazione, sulle differenze tra densità di ionizzazione
di eventi di tipo elettronico (γ o β) di fondo e di eventi di tipo rinculo
nucleare causati da WIMP o da neutroni. Per utilizzare al meglio queste
tecniche, a volte si preferisce registrare le interazioni in più di un canale, tra
scintillazione, ionizzazione e vibrazioni reticolari, come accennato.
Per quanto riguarda il fondo indotto dai neutroni, invece, le tecniche di
discriminazione menzionate non sono efficienti. Questo perché le WIMP non
presentano carica elettrica ed interagiscono esclusivamente con i nuclei del
rivelatore. Tuttavia, vi sono delle differenze tra le WIMP ed i neutroni, come
ad esempio la sezione d’urto: se ci si aspetta che una WIMP possa venire
rivelata di rado, un neutrone sarà sempre visibile, e per di più, se il rivelatore
è abbastanza grande, uno stesso neutrone potrebbe interagire più di una volta
e venire cosı̀ riconosciuto facilmente. Inoltre, si tende a costruire rivelatori
alla massima radiopurezza possibile, proprio per minimizzare la presenza di
neutroni ambientali di cui comunque si cerca di determinare la frequenza di
interazione aspettata.
Gli esperimenti che utilizzano le due tecniche di reiezione menzionate
possono, in linea di principio, rivelare le WIMP dall’osservazione di uno spettro differenziale di rinculi sopra il fondo dopo aver verificato che l’andamento
di tale spettro non sia compatibile con il fondo studiato. L’esperimento sarà
allora in grado di fornire una regione nello spazio dei parametri [σχ−n ,mχ ]
che rappresenta tutti i modelli che predicono una frequenza di interazioni di
WIMP compatibile con i risultati. D’altra parte, se tale spettro energetico
42
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
non viene osservato, l’esperimento fornisce un limite superiore nello spazio
dei parametri, che scarta, ad un certo livello di confidenza, quei modelli che
prevedono un frequenza d’interazione maggiore di quello del fondo. In tal
caso, una volta raggiunta una statistica sufficientemente elevata da minimizzare gli errori ad essa associati, la sensibilità sperimentale non può venire
ulteriormente migliorata anche aumentando la massa o il tempo di misura,
e la frequenza del fondo rappresenta la massima sensibilità raggiungibile da
un rivelatore.
2.3
Esperimenti di rivelazione diretta di DM
Nel corso degli ultimi anni sono stati sviluppati diversi esperimenti che
utilizzano tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura. Questi, oltre
a basarsi su uno o più princı̀pi tra quelli illustrati, possono essere raggruppati
in base alle diverse tipologie di bersaglio per le interazioni con le WIMP.
2.3.1
Cristalli
Gli esperimenti che utilizzano cristalli puntano principalmente a rilevare
gli effetti dell’interazione tra le WIMP ed il reticolo cristallino, ed operano a
temperature di pochi mK.
ANAIS (Annual Modulation with NAI Scintillators, Canfranc, Spagna) rappresenta il risultato su larga scala ottenuto dall’attività di diversi
prototipi. L’esperimento finale, non ancora operativo, comprenderà 100 kg
di cristalli di NaI(Tl) e si baserà sullo studio della modulazione annuale dei
segnali della presenza di Materia Oscura. La collaborazione al momento è
all’opera per cercare di migliorare le prestazioni del rivelatore, focalizzandosi sulla riduzione del fondo (1 evento/keV /kg/giorno) e sull’abbassamento
della soglia energetica (2 keV ) [33].
CDMS/CDMS II (Cryogenic Dark Matter Search, Soudan Underground Laboratory, Minnesota, USA) è un esperimento basato sulla rilevazione sia dei segnali di ionizzazione che dei fononi. Il rivelatore è costituito
2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM
43
Figura 2.5: A sinistra, i dati della calibrazione di CDMS II: la fascia superiore indica
il rinculo dei nuclei, quella più bassa il rinculo dei neutroni, mentre i punti indicano
gli elettroni in superficie eliminati applicando una serie di tagli cinematici. A destra, il
risultato del run di dati: i due segnali osservati nella banda del rinculo nucleare. [34]
da semiconduttori di Ge-Si ZIP (Z-dependent Ionization Phonon), che operano alla temperatura di 50 mK. La seconda fase dell’esperimento, CDMS
II è in funzione dal giugno del 2006; l’apparato è composto da 30 rilevatori
a cristalli liquidi con una massa di a 4.75 kg di Germanio e di 1.1 kg di Silicio tenuti ad una temperatura inferiore a 50 mK in modo da permettere di
rivelare cariche e fononi sottoforma di calore con un’ottima soppressione dal
fondo. Nella discriminazione del fondo è stato inserito un parametro temporale basato sul rapporto tra carica e coefficiente di dilatazione adiabatica per
escludere i segnali vicini alla superficie dei rilevatori.
I risultati dell’analisi dati di CDMS II, annunciati alla fine del 2009, mostrano due eventi compresi nella banda di accettazione delle WIMP, di cui
uno molto vicino alla regione del fondo (Fig. (2.5)). Per tali risultati va
considerato il 23% di errore statistico.
L’esperimento CoGeNT (Coherent Germanium Neutrino Technology,
Minnesota, USA) situato nella miniera di Soundan, utilizza un solo cristallo
di Germanio ad elevata purezza da 440 g, raffreddato con azoto liquido. Il
rivelatore raccoglie i segnali di ionizzazione ed ha una soglia energetica molto
bassa (∼ 0.5 keV ) che permette di ricercare eventi di tipo rinculo nucleare che
coinvolgerebbero particelle di Materia Oscura di masse relativamente piccole
44
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
(> 5 GeV ).
Nel febbraio 2010, CoGeNT ha reso noto di aver trovato un risultato
di modulazione del segnale (su un periodo di 15 mesi e con un’evidenza di
quasi 3 deviazioni standard) che potrebbe essere compatibile con la scoperta
di WIMP di massa relativamente leggera [35].
L’esperimento DAMA (DArk MAtter) si trova all’interno dei Laboratori
Nazionali del Gran Sasso ed è utilizzato per lo studio di fenomeni rari.
Figura 2.6: Gli effetti della modulazione annuale osservati da DAMA e dal suo
successore, DAMA-LIBRA.
Le tecniche di rivelazione di DAMA sono basate sulla registrazione dei
segnali di scintillazione da parte di cristalli di NaI(Tl) di elevata radiopurezza
di 100 kg per la fase DAMA e di 250 kg per la fase DAMA/LIBRA (Large
sodium Iodide Bulk for RAre processes), costruiti appositamente per ottenere un fondo interno e uno scudo esterno da fonti radioattive. Lo scopo di
DAMA è quello di ricercare le effettive modulazioni annuali [36] osservando
2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM
45
il numero totale delle interazioni registrate durante l’anno. Con una esposizione complessiva di 0.29 ton · anno, DAMA presenta un segnale di Materia
Oscura. Il risultato delle osservazioni è noto fin dal 2000 e da allora nessun
altro esperimento è stato in grado di darne conferma.
L’esperimento di seconda generazione, DAMA/LIBRA, continua l’investigazione di DAMA/NaI con a disposizione una massa maggiore ed una più
elevata sensibilità. In particolare, i dati dei primi quattro cicli annuali sono stati rilasciati nel 2008. I risultati confermano l’evidenza indipendente
da modelli sulla presenza di particelle di Materia Oscura nell’alone galattico.
Nel Febbraio 2010 sono stati rilasciati i dati di due ulteriori cicli annuali. L’esposizione cumulativa raccolta, considerando i 7 cicli annuali di DAMA/NaI
e i 6 cicli annuali di DAMA/LIBRA, è 1.17 ton · anno. Anche i risultati di
DAMA/LIBRA non sono stati confermati.
EDELWEISS (Expérience pour DEtecter Les Wimps En Site Souterrain) è situato nel laboratorio sotterraneo di Modane, all’interno del traforo
del Fréjus che collega la Francia all’Italia, utilizza cristalli di germanio ad
altissima purezza, alla temperatura di ∼ 20 mK, analogamente a CDMS. I
risultati della prima fase dell’esperimento, EDELWEISS I, escludono per le
WIMP una sezione d’urto superione ai 106 pb.
Lo stadio attuale dell’esperimento, EDELWEISS-II, composto da una
serie di 10 rilevatori criogenici ciascuno contenente 400 g di Germanio ha
pubblicato i risultati relativi ai 14 mesi di presa dati, rilevando 5 possibili
eventi candidati rilevati con energie superiori ai 20 keV . Tuttavia, il risultato
è in disaccordo sia con le rilevazioni di CDMS che con quelle di CDMS II.
Per la fase successiva dell’esperimento, si prevede di passare dai 400
attuali ad 800 g di Germanio, oltre al miglioramento del sistema di discriminazione del fondo.
2.3.2
Liquidi Isolanti Super Riscaldati, SHIL
Gli esperimenti a Liquidi Isolanti Super Riscaldati nascono dall’idea piuttosto recente di utilizzare per la ricerca di Materia Oscura il principio delle
camere a bolle, ed utilizzano come bersaglio sensibile nei rivelatori vapori di
46
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
liquidi organici elettricamente neutri.
L’esperimento COUPP (Chicagoland Observatory for Underground Particle Physics, FNAL, US) è costituito da una camera contenente 1.5 kg di
CF3 I, ultrapuro, un bersaglio estremamente sensibile alle interazioni WIMP
indipendenti o dipendenti dallo spin. In condizioni di bassa pressione e buona
reiezione del fondo γ è possibile fare in modo che ogni rinculo crei bolle nella
camera. Ciò che desta maggiore interesse dal punto di vista della ricerca di
Materia Oscura è la dipendenza dal rapporto dE/dx che indica l’energia depositata per unità di lunghezza che è scarsa per le particelle poco ionizzate,
ma elevata per gli eventi di tipo rinculo nucleare. I neutroni, come in molti
esperimenti, possono venire esclusi osservando le interazioni multiple nel rilevatore. COUPP ha pubblicato i risultati dei run ottenuti con la camera da
1.5 kg [37], che forniscono una delle più competitive curve di sensibilità per
interazioni WIMP – nucleo.
I risultati dell’ esperimento PICASSO (Project In CAnada to Search
for Supersymmetric Objects, SNOLab, Canada) hanno posto un miglioramento alla soglia dell’esistenza delle WIMP. Utilizzando C4 F10 vaporizzato come materiale attivo, tuttavia, non sono stati rilevati segnali candidati
WIMP, nonostante un’esposizione di 1.98 ± 0.19 kg · d. Supponendo per le
WIMP una massa di 29GeV /c2 , sono stati ottenuti dei limiti per la sezione
d’urto per i protoni nel caso indipendente dallo spin di σp = 1.31 pb e per i
neutroni di σn = 21.5 pb, con un livello di confidenza del 90%. In entrambi i
casi sono stati sono state escluse per le WIMP masse al di sotto dei 20 GeV /c2
[38, 39].
SIMPLE (Superheated Instrument for Massive ParticLe Experiments,
LSBB, Rustrel, Francia) è un esperimento di ricerca di Materia Oscura basato
su rivelatori a C2 ClF5 vaporizzato, che non tiene conto dell’accoppiamento
con lo spin. I risultati preliminari relativi all’esposizione di 0.6 kg ·d di cinque
dispositivi da 1 l contenente ognuno 10 g di massa, hanno escluso, grazie
anche alla migliorata sensibilità del rivelatore, l’interazione WIMP–protone
superiore ai 5 pb con M = 50 GeV /c2 [40].
2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM
47
Figura 2.7: Principi della rivelazione in doppia fase a doppio criterio di discriminazione
negli esperimenti che utilizzano gas nobili liquefatti.
2.3.3
Gas nobili liquefatti, LNG
Una diversa generazione di esperimenti che ha visto di recente un maggiore sviluppo utilizza per la rivelazione i gas nobili liquefatti, diventati di
uso comune come mezzo per la ricerca di Materia Oscura principalmente
per la loro facilità di reperimento e di utilizzo, per il relativo basso costo e
soprattutto per le notevoli proprietà intrinseche di scintillazione che permettono una buona discriminazione del fondo. Gli esperimenti possono essere
concepiti in singola e in doppia fase, a seconda della presenza dello scintillatore utilizzato in uno solo o in diversi stati di aggregazione, a cui possono
corrispondere criteri di discriminazione singoli o doppi. Per quanto riguarda
la rivelazione in singola fase (e a singolo criterio di discriminazione), si tratta di una modalità di rivelazione di relativa semplicità, ma che necessita di
maggiori attenzioni soprattutto per quanto riguarda le insidie nella reiezione
del fondo e che verrà affrontata in maniera più dettagliata nel Capitolo 4.
Un esempio di rivelatore in doppia fase e a doppio criterio di discriminazione in gas nobili liquefatti invece, può essere osservato nella Fig. (2.7). La
tecnica di rivelazione è basata sulla registrazione dei segnali di scintillazione primari (S1), che provengono dalla luce emessa subito dopo l’interazione
nella fase liquida, e di quelli provenienti delle scintillazioni secondarie (S2),
48
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
luce emessa dalla ionizzazione successiva degli elettroni che vengono prima
condotti per mezzo di un campo elettrico e poi eccitati nella fase gassosa.
Questa tecnica offre un forte potere di reiezione dovuto al fatto che il rapporto tra la scintillazione e la ionizzazione nei gas nobili liquefatti dipende dalla
quantità dE/dx, l’energia rilasciata per unità di lunghezza dalla particella
incidente [41]. Tuttavia, la discriminazione tra particelle γ/β e quelle che
interagiscono con il nucleo come WIMP e neutroni, in Xe, Ar, Ne, può essere
condotta confrontando il rapporto S2/S1.
La combinazione con metodi di discriminazione dei segnali, come la PSD
(discussa in maniera più dettagliata nel capitolo 4) permette la reiezione della
maggior parte2 del fondo γ/β.
La soppressione dei neutroni, infine, necessita di un sistema di veto o di
rivelatori con proprietà adeguate. Un buon esperimento di ricerca di Materia
Oscura deve necessariamente comprendere anche buoni sistemi di reiezione
del fondo.
ArDM (Argon Dark Matter) è un rivelatore a doppia fase, installato
presso i laboratori del CERN di Ginevra, in Svizzera, che utilizza Argon per
il volume di 1 ton. I segnali per le scintillazioni secondarie vengono rivelati usando direttamente dei LEM (Large Electron Multipler) oltre ai comuni
fototubi (PMTs). La camera di ArDM era già stata operativa con metà dei
fotosensori, ed aveva ottenuto un guadagno in luce di 0.5 phe/keV , consistente col valore aspettato di 1.0 phe/keV per l’esperimento a pieno regime.
I laboratori che hanno ospitato le varie fasi di ArDM sono stati SUNLAB
(Polonia), Canfrac (Spagna) e Slanic (Romania).
La collaborazione DEAP/CLEAN (Dark matter Experiment using
Argon Pulse shape discrimination / Cryogenic Low Energy Astrophysics with Noble liquids, SNOLAB, Ontario, Canada) dopo il rivelatore di prima
generazione, DEAP-1, con un bersaglio di 7 kg di Argon liquido e dopo miniCLEAN, un dispositivo capace di contenere 500 kg di liquido bersaglio con
91 fototubi, e 150 kg di volume fiduciale, in funzione dal 2011, sta metten2
La PSD si rivela particolarmente utile negli esperimenti di rivelazione di DM in Argon,
in cui il fondo è generato principalmente dalle emissioni dell’isotopo 39 Ar [42].
2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM
49
do a punto il rivelatore più grande, ad Argon liquido, DEAP/CLEAN-3600,
contenente 3600 kg di Argon in singola fase. Per il futuro è in programma
il rivelatore CLEAN da 20-50 kg basato sulla rivelazione ad Argon, anche se
non è escluso l’utilizzo del Neon.
DarkSide è un programma di rivelazione diretta di Materia Oscura che
utilizza Argon depleto come liquido bersaglio, ed è situato all’interno dei
Laboratori Nazionali del Gran Sasso, nella fase DarkSide-10, da 10 kg di
Argon. La collaborazione ha messo a punto nuove tecniche di riduzione del
fondo attraverso l’utilizzo di schermi attivi, in modo da poter considerare
maggiormente attendibili ognuno degli eventi candidati WIMP che verranno
rivelati. Durante i test effettuati all’interno dei laboratori di Princeton, il
prototipo aveva raggiunto una resa in luce di ∼ 4.5 phe/keV , mentre per
la fase DarkSide-50, per cui è prevista la messa a punto sempre all’interno
dei LNGS, entro la fine del 2012, si punta al raggiungimento di una LY di
6.0 phe/keV [43].
La collaborazione XMASS (Xenon neutralino MASS detector, Kamioka, Giappone), ha realizzato nel 2008 un rivelatore allo Xenon in singola fase,
da 857 kg, con 642 fototubi che permettono una definizione di un volume fiduciale di 100 kg, di 80 cm di diametro. Il dispositivo presenta una sezione
d’urto di 10−45 cm2 , che potrebbe consentire di raggiungere una frequenza di
eventi di fondo di 10−47 giorno/keV /kg.
L’esperimento WArP (Wimp Argon Programme) è stato realizzato all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso con l’obiettivo della ricerca
di Cold Dark Matter sotto forma di particelle WIMP.
Il principale risultato ottenuto dalla collaborazione attraverso l’utilizzo
del prototipo è stato quello di aver perfezionato la sensibilità in luce in Argon
liquido, raggiungendo nel 2006 per gli eventi di tipo neutronico un valore di
LYAr = 1.26 ± 0.15 phe/keV , ottenuta calibrando il dispositivo con una
sorgente di Am-Be. La calibrazione era stata effettuata utilizzando soltanto
tre dei sette fototubi a disposizione.
L’esperimento era basato sulla rivelazione diretta in doppia fase e sistema
50
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
di veto attivo, ed ha prodotto dei risultati con il prototipo da 2.3 l, circa 3 kg,
con una esposizione di 96.5 kg · giorno che hanno escluso un ampio range
di masse possibili per le particelle di Materia Oscura [44], giungendo alla
discriminazione di sezioni d’urto fino a 10−42 cm2 .
I risultati del prototipo hanno inoltre mostrato la validità dell’utilizzo di
due metodi di discriminazione indipendenti, la Pulse Shape Discrimination
e il rapporto tra le ampiezze degli impulsi (S1)/(S2) tra il segnale ritardato
dell’interazione degli elettroni in GAr (S2) e quello dell’iniziale emissione di
luce in LAr (S1), e confermano la validità della scelta dell’Argon come mezzo
attivo per la ricerca delle WIMP.
L’analisi dei dati raccolti dal rivelatore da 100 l è attesa per la fine del
2012.
Anche XENON si trova all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran
Sasso. La collaborazione utilizza la tecnica della doppia fase e lo Xenon come
liquido bersaglio. Il primo rivelatore, XENON 10, ha reso pubblici i propri
dati nel 2008 [45], che hanno rappresentato uno dei limiti sperimentali di
maggior rilievo. Nel 2011 sono stati presentati i risultati di XENON 100
[46], relativi ai dati raccolti tra gennaio e giugno del 2010, in un intervallo
di energie compreso tra 8.4 e 44.6 keVnr , (keV nuclear recoil equivalent) e
che presentano tre possibili eventi candidati WIMP, ma con fondo atteso di
1.8 ± 0.6 eventi. Tuttavia, i dati di XENON 100 compongono una delle migliori curve di esclusione (Fig. (2.8)) oggi esistenti.
ZEPLIN III (ZonEd Proportional scintillation in LIquid Noble gases)
è un rivelatore in doppia fase allo Xenon, situato nel Boulby Underground Laboratory, North Yorkshire, UK, alla profondità di 1100 m. Il bersaglio per le
WIMP consiste in una camera, contenente 12 kg di Xenon liquido sormontato da un sottile strato di Xenon allo stato gassoso, tenuti sotto osservazione
da 31 fototubi. La collaborazione ZEPLIN III, che include l’Università di
Edinburgo, il Rutherford Appleton Laboratory, l’Imperial College London, il
LIP-Coimbra (Portogallo) e l’ITEP di Mosca, ha annunciato i risultati dei
primi run nel 2009, con 128 kg · day fiduciali, in 83 giorni ha rivelato 3.05
eventi con un livello di confidenza del 90%.
2.4. L’ ARGON LIQUIDO COME BERSAGLIO PER LE WIMP
2.3.4
51
Stato attuale della Ricerca
La Figura (2.8) mostra il confronto tra la sezione d’urto di interazione e
la massa delle WIMP e riportano le previsioni dei modelli teorici di SuperSimmetria. Salta all’occhio che molti risultati sperimentali ottenuti da vari
esperimenti si collocano entro le regioni previste dalle varie teorie (zona grigia,
in basso a destra), e che tuttavia non hanno mostrato risultati soddisfacenti
in termini di rivelamento di segnali WIMP candidati.
Si vede inoltre che il risultato di DAMA risulta quasi completamente
escluso da ogni previsione teorica.
2.4
L’ Argon liquido come bersaglio per le
WIMP
Come illustrato al paragrafo (2.1.2), un rivelatore progettato per la ricerca diretta della Materia Oscura deve possedere alcune caratteristiche di
grande importanza, quali una grande massa, la più bassa soglia energetica
raggiungibile, una riduzione del fondo altamente efficiente ottenuta attraverso l’uso di schermi e di tecniche di discriminazione delle particelle, ed una
buona esposizione temporale.
La scelta del materiale utilizzato come bersaglio per le WIMP è altrettanto importante e deve essere valutata anche in base alla frequenza di eventi
attesa: l’aumento della massa atomica infatti da un lato fa crescere la sezione
d’urto, mentre dall’altro ne causa la diminuzione in quanto rende più veloce
la decrescita del fattore di forma.
Considerando tutti questi aspetti, l’ Argon liquido può rappresentare
un buon materiale sensibile per il rilevamento delle WIMP. La tecnologia ad
Argon liquido infatti è ben supportata a livelli industriali per poter realizzare
rivelatori di grande massa, mentre i processi di ionizzazione e di scintillazione
prodotti dall’interazione di particelle in liquidi nobili si prestano ad efficienti
metodi di discriminazione.
Tutto ciò è particolarmente importante per limitare gli effetti di una sorgente intrinseca di fondo rappresentata dalla presenza di una piccola frazione
di un isotopo dell’ Argon naturale, l’ 39 Ar che è un β- emettitore.
52
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
Figura 2.8: Plot esclusivi dei risultati degli esperimenti di maggior rilevanza nella
ricerca di Materia Oscura. Nella zona grigia, in basso a destra, le previsioni di alcuni
modelli teorici.
2.4. L’ ARGON LIQUIDO COME BERSAGLIO PER LE WIMP
53
La separazione dell’isotopo 39 Ar dall’Argon utilizzato a fini di ricerca si
effettua attraverso processi di centrifugazione, oppure si ricorre all’estrazione
di Argon fossile dalle sorgenti sotterranee di gas naturale.
Figura 2.9: A sinistra lo spettro differenziale dei rinculi dei nuclei di Argon per σχ−n ≈
10−5 pb e differenti valori di mχ . Gli spettri includono la correzione legata al fattore
di forma nucleare. A destra, curve di iso-rate, espresse in iru, (eventi/kg/giorno),
in funzione della massa della WIMP e della sezione d’urto WIMP – nucleone per un
bersaglio di Argon (A = 40), con una soglia di rivelazione ER = 30 keV .
Per quanto riguarda l’interazione con la materia oscura, i nuclei di Argon
hanno spin nullo, dunque il rivelatore risulta sensibile solo ad interazioni indipendenti dallo spin e questo consente di studiare l’utilizzo dell’Argon come
bersaglio per le WIMP nell’ambito del modello standard, potendo trascurare lo spin. La Figura (2.9) riporta lo spettro differenziale atteso dei rinculi
nucleari per diversi valori di mχ e per un accoppiamento WIMP – nucleone dell’ordine di 10−5 pb. Viene mostrata inoltre, la frequenza integrata di
rinculi potenzialmente osservabile, assumendo dei limiti di rivelazione3 di
E1 = 30 keV e E2 = 100 keV , sotto forma di curve di iso-rate nello spazio
dei parametri [σχ−n − mχ ].
3
la frequenza di eventi integrata si riduce in presenza di una soglia energetica e varia
al variare di essa.
54
CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA
Capitolo 3
Processi di ionizzazione e
scintillazione in Argon liquido
L’Argon è uno dei gas inerti più abbondanti nell’aria (' 0.9%), per
questo risulta facilmente reperibile in commercio, in grandi quantità ed a
prezzi relativamente moderati, e la sua scelta come mezzo per la ricerca nel
campo della Fisica Astroparticellare è favorita da diverse caratteristiche:
• alta densità;
• elevato potere isolante;
• alta mobilità elettronica;
• buon guadagno ione – elettrone;
• elevata resa in fotoni di scintillazione;
• facilità di purificazione;
• disponibilità a costi contenuti.
La tecnologia che fa uso dei gas nobili liquefatti, ed in particolare dell’Argon liquido su larga scala, rende possibile la rivelazione dei prodotti della
ionizzazione e della luce di scintillazione generata da eventi ionizzanti nel volume attivo. Infatti, una particella carica che interagisce nell’Argon liquido
produce eccitazioni atomiche con conseguenti separazioni ione – elettrone
(ionizzazione), seguite da ricombinazione. Ognuno di questi processi porta
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
56
ARGON LIQUIDO
Grandezza
Z
A
Densità
Punto di ebollizione (@1.02 bar)
Motilità
Rigidità Dielettrica
Potenziale di Prima Ionizzazione
Energia media di separazione tra i livelli
Valore
18
40
1.39 g/cm2
87.2 K
500 cm2 V −1 s−1
100 kV /cm
I = 15.7 eV
Egap = 14.3 eV
Tabella 3.1: Proprietà fisiche principali dell’Argon liquido
all’emissione di luce di scintillazione ultravioletta (VUV, Vacuum UltraViolet 1 ) [47, 48, 49] e pertanto ionizzazione e scintillazione in LAr sono processi
strettamente correlati. In presenza di un campo elettrico applicato al volume attivo di LAr, una parte della carica di ionizzazione può essere raccolta
ed in linea di principio il rapporto tra la luce di scintillazione e la carica
elettrica può essere utilizzato come criterio di discriminazione delle particelle
interagenti nel rivelatore. Le principali caratteristiche riguardanti i processi
di ionizzazione e scintillazione sono riassunti nelle Tabelle (3.1) e (3.2).
3.1
Processi di ionizzazione in Argon liquido
Il processo iniziale di produzione di coppie ione – elettrone dipende
fortemente da come le particelle interagenti trasferiscono energia nel mezzo.
Particelle come muoni, pioni, protoni, particelle α e nuclei leggeri, con
velocità relativistiche (β ' 0.1), rilasciano energia nel mezzo per lo più in
maniera anelastica, favorendo cosı̀ il processo di ionizzazione ed in questo
caso il processo è descritto dalla formula di Bethe-Bloch. Per velocità medie,
comprese nell’intervallo 0.01 < β < 0.1, non sono più valide alcune delle
ipotesi della formula di Bethe-Bloch [50] ed inizia a diventare dominante la
cattura elettronica da parte degli ioni pesanti. Infine, per velocità tali che
1
Con tale termine si indicano le radiazioni ultraviolette emesse nella regione 150 ÷
200 nm, il cui principale assorbente in natura è l’Ossigeno presente nell’aria. Per gli
scopi scientifici, la radiazione viene utilizzata principalmente in condizioni di vuoto, o in
ambienti completamente privi di ossigeno.
3.1. PROCESSI DI IONIZZAZIONE IN ARGON LIQUIDO
Perdita di energia media (mip)
Energia media per produzione di
coppie (e− , Ar+ )
Rapporto tra numero di atomi eccitati
e numero di ioni
Stati dimerici eccitati Ar2∗ (banda M )
Energia del decadimento γ
Spettro del decadimento γ
Costanti temporali di decadimento
Energia media di produzione di fotoni γ
Lunghezza d’onda della diffusione
Rayleigh (127 nm, 89 K)
Lunghezza di attenuazione (caso ideale)
Indice di rifrazione (127 nm)
Emissioni Čerenkov (110-600 nm)
Guadagno in luce:
-in assenza di campi (caso ideale)
-in assenza di campi (mip)
-con campo elettrico 500 V /cm (mip)
-con campo elettrico > 15 kV /cm (mip)
57
hdEmip /dxi = 1.519 M eV cm2 /g
WLAr = 23.6 eV
Nex /Ni = 0.21
Singoletto Σu , Tripletto 3 Σu
hEγ i = 9.7 eV
hλscint i = 127 nm; σscint ' 3 nm
τS ∼ 6 ns, τT ∼ 1.2 ÷ 1.6 µs
W 0 = 19.5 eV
1
LR = 90 cm ± 35%
∞
1.38
1430 γ/cm
Yγ
Yγ
Yγ
Yγ
= 5.1 · 104 γ/M eV
' 4.1 · 104 γ/M eV
' 2.4 · 104 γ/M eV
' 1.3 · 104 γ/M eV
Tabella 3.2: Proprietà della ionizzazione e dell’emissione di luce per l’Argon liquido
β < 0.01, le perdite di energia vengono completamente trasferite agli atomi
e il processo di ionizzazione si fa sempre meno frequente. Una descrizione
più accurata delle interazioni tra particelle cariche e nuclei elettronicamente
schermati è fornita nella teoria di Lindhard [51].
3.1.1
Produzione di coppie ione – elettrone in LAr
La perdita media di energia per la produzione di coppie ione – elettrone è all’incirca la stessa per tutte le particelle che interagiscono nel mezzo
essenzialmente attraverso collisioni con gli elettroni atomici. Ad esempio,
nel caso di particelle α di alcuni M eV interagenti in Argon [52] si hanno
WGAr = 26.4 eV e WLAr = 23.6 eV .
L’energia rilasciata dalla particella incidente può essere divisa in due termini: il termine relativo all’energia media ceduta direttamente sotto forma di
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
58
ARGON LIQUIDO
movimento atomico, ν, e il termine relativo all’energia trasferita agli elettroni
del mezzo, η̄, per cui si ha
E =ν+η
(3.1)
dove il contributo η può essere espresso come
η(E) = Ni E i + Nex E ex + Ni se
(3.2)
con Ni che rappresenta il numero di coppie ione – elettrone prodotte dall’energia media E i , Nex il numero di atomi di Argon eccitati dall’energia E ex e
se è l’energia cinetica media degli elettroni la cui eccitazione non è sufficiente
alla ionizzazione, che viene dispersa in calore.
In genere, prendono parte al processo una particella di massa M1 e numero atomico Z1 che rilascia un’energia E in un mezzo composto di una
sola specie atomica, di massa M2 e numero atomico Z2 . Poiché le equazioni
che governano l’andamento delle variabili in gioco dipendono da molteplici
parametri, risulta difficoltoso riuscire a stimarne i valori. Per descrivere il
comportamento delle nubi elettroniche, alle energie tipiche dei processi in
gioco (> 100 eV ) si ricorre a metodi statistici, come l’approccio di Thomas–
Fermi utilizzato nella teoria di Lindhard per semplificare la descrizione dei
fenomeni.
Per valutare ν e η è utile introdurre le variabili adimensionali energia e range ρ

aM2

 = E Z1 Z2 e2 (M1 +M2 )


ρ=
(3.3)
2N M M
1 2
R 4πa
(M1 +M2 )2
dove a = 0.8853a0 Z −1/3 , N è il numero di atomi per unità di volume e con
R è indicato il range. Si può pertanto definire la variazione
d
M1 + M2
= S
dρ
4πe2 Z1 Z2 M1
(3.4)
3.1. PROCESSI DI IONIZZAZIONE IN ARGON LIQUIDO
59
Figura 3.1: La perdita di energia per ionizzazione espressa come funzione delle variabili adimensionali e ρ. Si notano anche il contributo nucleare costante e quello
elettronico proporzionale alla velocità delle particelle incidenti.
dove S è la perdita totale di energia per ionizzazione dovuta all’interazione
della particella carica nel mezzo considerato, da cui
d
d
= 0.327 ,
= k1/2
(3.5)
dρ n
dρ e
con k = 0.10 ÷ 0.20, opportuna costante che tiene conto di tutte le unità.
Come mostrato in Fig. (3.1), per un valore tipico di k = 0.015, l’intersezione
delle curve suggerisce tre diverse regioni per l’andamento della perdita di
energia per ionizzazione:
• per 0 < E < Ec (c ) domina il contributo di schermo dato dai nuclei;
• nella regione Ec (c ) ≤ E1 (1 ) diventa più importante la perdita di energia dovuta alle collisioni elettroniche e Se raggiunge il suo massimo per
v ' v1 ;
• per E > E1 (1 ) la perdita di energia per ionizzazione elettronica inizia
a decrescere gradualmente in accordo con la formula di Bethe-Bloch.
3.1.2
Ricombinazione ione-elettrone in Argon liquido
Può accadere che le coppie ione – elettrone prodotte da una particella
ionizzante che interagisce con un gas o un liquido nobile si ricombinino. Se-
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
60
ARGON LIQUIDO
condo numerosi studi e misurazioni, i processi di ricombinazione dipendono
fortemente dall’intensità di campo elettrico esterno, dalla natura e dal regime
cinematico della particella ionizzata [53, 54, 55].
Sono state proposte teorie differenti, nell’ottica dell’interazione fra particelle incidenti in un volume gassoso o liquido a cui è applicato un campo
elettrico Ed [56, 57, 58]. In particolare, nel geminate model ogni coppia ione – elettrone viene supposta separata spazialmente dalle altre, mentre la
columnar-like theory descrive il processo assumendo che la ricombinazione
avvenga con ione anche appartenente ad un’altra coppia.
In tutti i modelli di ricombinazione, l’effetto può essere descritto attraverso una relazione tra la carica elettronica inizialmente prodotta, proporzionale al numero delle coppie prodotte, e la carica raccolta, proporzionale
alla raccolta del numero di elettroni che sfuggono dalla ricombinazione.
3.1.3
Cattura elettronica da parte delle impurità
In presenza di un campo elettrico, gli elettroni prodotti in seguito a ionizzazione che non si ricombinano continuano a muoversi liberamente nel
volume di Argon liquido, anche per distanze relativamente grandi [59]. Nell’Argon prodotto a livello industriale restano però delle frazioni di O2 , N2 ,
H2 O ed altre impurità, dovute ai processi di separazione del gas dall’aria,
che possono interferire con la raccolta della carica elettrica prodotta. In particolare, le impurezze elettronegative, S, danno luogo al processo di cattura
elettronica:
e− + S → S −
(3.6)
la cui costante di reazione ke può essere espressa da:
Z
ke =
σ(E)f (E)dE
(3.7)
dove E è l’energia degli elettroni, σ(E) la sezione d’urto del processo di cattura e f (E) è la funzione di distribuzione di Maxwell – Boltzmann dell’energia
degli elettroni [60, 61].
Partendo dal presupposto che la concentrazione Ne degli elettroni liberi
prodotti da eventi ionizzanti è inferiore alla concentrazione S delle impurità,
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
Impurity
O2
H2 O
CO2
61
ke (l · mol−1 s−1 )
5.5 · 1010
' 107
' 107
Tabella 3.3: Valori di ke per differenti tipologie di impurezze calcolati per Ed =
1 kV /cm.
la concentrazione di elettroni liberi diminuisce nel tempo con andamento
indicato nella formula seguente:
dNe
= −ke Ne S ⇒ Ne (t) = Ne (0)e−t/τe
(3.8)
dt
dove Ne (0) è la concentrazione di elettroni al tempo t = 0 e il tempo di vita
degli elettroni τe è definito come2 :
1
= ke S
τe
(3.9)
e rappresenta il tempo dopo il quale il numero degli elettroni ancora liberi
riduce di un fattore 1/e.
Il valore della costante ke dipende dal campo di deriva applicato al volume attivo di LAr. In tabella (3.1.3) sono riportati i valori di ke per diversi
tipi di impurezze calcolati ad un valore di Ed = 1 kV /cm.
3.2
La luce di scintillazione in LAr
Per scintillazione si intende l’emissione di un impulso luminoso da parte
di un materiale in seguito a eventi di eccitazione e ionizzazione. La raccolta
della luce di scintillazione prodotta dall’interazione di una particella carica in
un materiale scintillante rappresenta una delle più usate e versatili tecniche
di rivelazione nell’ambito della Fisica Astroparticellare e trova il suo utilizzo
in diverse applicazioni, tra cui la misura del tempo di volo (t.o.f., time of
flight), la spettroscopia gamma e beta, la Pulse Shape Discrimination (PSD).
2
Il processo di cattura da parte delle impurità può essere descritto dalla lunghezza di
attenuazione: λ = vd τe , dove vd è la velocità di deriva degli elettroni in LAr. [59]
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
62
ARGON LIQUIDO
Non esistono scintillatori ideali per cui, in generale, la scelta di un materiale è determinata dalle funzioni cui questo dovrà assolvere cercando di
rispondere al meglio ai seguenti specifici requisiti:
• conversione in luce dell’energia cinetica delle particelle interagenti rivelabile con alta efficienza di scintillazione;
• linearità della conversione in luce: la luce emessa deve essere proporzionale all’energia rilasciata nel mezzo nel più ampio range possibile;
• trasparenza alla propria luce di scintillazione;
• tempo di decadimento della luce emessa minimo (se il segnale è utilizzato a scopo di trigger);
• indice di rifrazione tale da massimizzare la raccolta della luce favorendo
l’accoppiamento con il fotosensore.
Sono diversi i processi che terminano con l’emissione di luce da parte di
un materiale scintillante:
• la fluorescenza, emissione immediata (tempo di decandimento τd ≤
10−8 s) di radiazione visibile da parte di una sostanza a seguito della
sua eccitazione;
• la fosforescenza, emissione di luce su scale più grandi (τd > 10−8 s) e
con lunghezze d’onda maggiori rispetto alla fluorescenza;
• la fluorescenza ritardata che presenta lo stesso spettro di emissione della
fluorescenza, ma con un tempo di emissione a seguito dell’eccitazione
molto più lungo.
Perché si consideri un buon scintillatore, una sostanza deve convertire la
più larga frazione possibile di energia della particella incidente in fluorescenza
minimizzando i contributi dati da fosforescenza e fluorescenza ritardata.
I liquidi nobili, ed in particolare Argon e Xenon, vengono correntemente
utilizzati come materiali scintillanti e sono considerati ottimi mezzi attivi
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
63
di rivelazione grazie all’alta resa in luce3 , alla possibilità di raggiungere un
elevato grado di purezza ed ai costi di produzione moderati che, principalmente nel caso dell’Argon, favoriscono la realizzazione di rivelatori di grandi
dimensioni, necessari per operare nel campo della ricerca di fenomeni rari
della Fisica Astroparticellare.
L’Argon liquido è considerato un buon mezzo scintillatore, relativamente
abbondante e performante, ed offre un guadagno in luce teorico, in assenza
di campi elettrici e processi di attenuazione, dell’ordine di ∼ 5 · 104 fotoni
per M eV di energia depositata in LAr da una particella ionizzante4 .
Una complicazione relativa alla raccolta della luce di scintillazione in
Argon liquido è data dal fatto che tale emissione avviene sottoforma di
fotoni VUV nella regione dello spettro elettromagnetico intorno a 127 nm
(∼ 9.7 eV ) [62, 63]. I comuni dispositivi di raccolta, come i fototubi, non sono sensibili alle emissioni VUV, principalmente a causa dell’opacità del vetro
in tale regione spettrale, come mostrato alla Sezione (4.1.3).
Va anche considerato che, per la natura del fotocatodo, i fotomoltiplicatori presentano un decremento dell’efficienza al diminuire della temperatura:
l’emissione di un elevato numero di fotoelettroni5 induce infatti un eccesso di
carica positiva che non viene efficientemente neutralizzato a causa degli elevati valori di resistività che si hanno a bassa temperatura. Tale situazione porta
un campo elettrico locale che sfavorisce l’emissione di nuovi fotoelettroni.
Per riuscire a mantenere livelli di efficienza elevati, vengono utilizzati
fotocatodi bialcalini sui quali viene depositato un sottile strato di platino
per favorire il processo di neutralizzazione. Tuttavia, lo spessore dello strato
di platino deve essere sufficientemente grande da garantire una veloce ed
efficiente ridistribuzione della carica, in modo da ristabilire immediatamente
l’equipotenzialità della superficie, ma al contempo deve essere abbastanza
sottile da ridurre il meno possibile la capacità di trasmissione della luce.
3
scintillation o photon yield, ossia il numero di fotoni di scintillazione emesso per unità
di energia ceduta al mezzo
4
Per avere un termine di paragone si può considerare che uno degli scintillatori più
comuni, il NaI(Tl), presenta una LY =∼ 3.8 · 104 fotoni per M eV
5
Con tale termine si indica un singolo elettrone che per effetto fotoelettrico viene
prodotto dall’interazione dei fotoni con il fotocatodo del fotorivelatore.
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
64
ARGON LIQUIDO
3.2.1
Emissione di Luce di scintillazione in Argon liquido
L’interazione di una particella carica in Argon liquido produce ionizzazione ed eccitazioni atomiche con conseguente emissione di fotoni aventi lunghezza d’onda λ = 127nm. Studi sperimentali [48, 64] hanno mostrato che, in
relazione a questi due fenomeni, la luce di scintillazione presenta due diverse
componenti, chiamate luce di ricombinazione (recombination luminescence)
e luce di eccitazione (self-trapped exciton luminescence).
Si ha luce di ricombinazione in seguito a fenomeni di ionizzazione: lo
ione atomico Ar+ liberato dall’interazione si lega ad un atomo di Argon Ar
e forma uno ione molecolare Ar2+ . Quest’ultimo, assorbendo un elettrone
prodotto nell’interazione e termalizzatosi attraverso gli urti nel mezzo, si dissocia producendo un atomo di Argon nello stato fondamentale ed un atomo
in stato eccitato, Ar∗∗ . Attraverso processi dissipativi non radiativi, Ar∗∗
decade fino al primo stato eccitato (Ar∗ ); prima di decadere ulteriormente
verso lo stato fondamentale, l’interazione con un atomo neutro può portare
alla formazione di una molecola in stato eccitato Ar2∗ , la quale decade emettendo un fotone da 127nm, ossia nella regione dell’ultravioletto (E ≈ 9.7eV ).
Tale processo è sintetizzato come segue [65]:
Ar+ + Ar → Ar2+
∗∗
Ar2+ + e−
th → Ar + Ar
Ar∗∗ → Ar∗ + f ononi
Ar∗ + Ar → Ar2∗
Ar2∗ → Ar + Ar + hν.
(3.10)
La luce di eccitazione si basa, invece, sull’eccitazione indotta dal passaggio di una particella [65]:
Ar∗ + Ar → Ar2∗
Ar2∗ → Ar + Ar + hν.
(3.11)
Come il precedente, anche questo processo termina con il decadimento di una
molecola di Argon e quindi con l’emissione di un fotone da 127 nm. L’analisi
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
65
Figura 3.2: Andamento dell’intensità della luce di scintillazione e della carica raccolta
in LAr in funzione del campo elettrico applicato. Sugli assi delle ordinate la scala di
sinistra si riferisce all’intensità luminosa e il valore 100 è assegnato alla luce raccolta
a campo nullo, mentre la scala di destra si riferisce alla carica raccolta e il valore 100
è attribuito alla carica Q0 prodotta inizialmente.
dello spettro di emissione mostra che la diseccitazione dell’atomo di Argon
Ar∗ attraverso la produzione di un fotone è fortemente soppressa: in media,
l’atomo eccitato Ar∗ cattura un atomo neutro di Argon formando uno stato
legato Ar2∗ prima che abbia luogo la diseccitazione.
L’esistenza delle due diverse origini per la luce di scintillazione in Argon
è stata rivelata mediante l’uso di un campo elettrico di deriva [65]: l’applicazione di un campo elettrico esterno infatti non ha effetti sulla luce di
eccitazione, mentre può influenzare fortemente la ricombinazione delle coppie ione – elettrone e quindi la luce di ricombinazione. La Fig. (3.2) mostra
il comportamento della luce rivelata e della carica raccolta in funzione del
campo elettrico applicato per segnali dati da elettroni di 1 M eV .
L’intensità della luce di scintillazione raggiunge il suo massimo a campo
nullo e comincia a diminuire non appena il campo elettrico applicato aumenta; in questo particolare caso (elettroni da 1 M eV ), per campi elettrici
dell’ordine di 10 kV /cm, praticamente tutta la carica viene raccolta e sopravvive solo il 33% della luce, attribuibile completamente alla componente
di eccitazione [41]. Questi valori possono essere considerati attendibili solo per particelle al minimo di ionizzazione (mip) in LAr (come gli elettroni
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
66
ARGON LIQUIDO
Figura 3.3: Curve di decadimento della luce di scintillazione in LAr. Sono rappresentati gli andamenti sia per la luce di eccitazione, sia per quella di ricombinazione.
Le due differenti scale temporali mettono in risalto la presenza delle due componenti.
[55].
considerati) in quanto il processo di ricombinazione dipende fortemente dalla
densità di ionizzazione, quindi dalla natura della particella interagente.
Nella Figura (3.3) vengono riportate le curve di decadimento misurate
per la luce di scintillazione per l’Argon liquido [55]. Le misure sono state effettuate in condizioni di campo elettrico opposte, in modo da poter separare
la luce di ricombinazione da quella di eccitazione. Nella prima serie di misure
è stato applicato un campo elettrico di 6 kV /cm allo scopo di rendere nulla la
componente di ricombinazione; nel secondo caso le misure sono state eseguite
in assenza di campi elettrici e alla luce di scintillazione totale cosı̀ misurata è
stato sottratto il contributo dell’eccitazione, precedentemente determinato. I
risultati sperimentali mostrano lo stesso andamento, sia per la luce di ricombinazione che per quella di eccitazione, caratterizzato dalla presenza di due
contributi ben distinti, uno con costante di decadimento τs ≈ 6 ns, l’altro
con costante di decadimento τt ≈ 1600 ns.
La presenza di una componente veloce ed una lenta sembra suggerire che
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
67
il processo
Ar2∗ → Ar + Ar + hν
(3.12)
avvenga tramite la diseccitazione verso lo stato fondamentale 1 Σ+
g (2 Ar) di
1 +
due distinti stati molecolari eccitati, Σu (stato di singoletto) e 3 Σ+
u (stato
di tripletto).
Quest’ultimo, vietato dalla regola di selezione ∆S = 0, risulta in realtà
possibile a causa dell’effetto di mescolamento associato all’interazione spin –
orbita e dà origine alla componente lenta del segnale6 .
A partire dalle reazioni che descrivono il fenomeno della scintillazione, è
possibile stimare il numero di fotoni emessi da una particella ionizzante [66].
Assumendo che la diseccitazione di ogni Ar2∗ generi soltanto un fotone, in
assenza di riduzione della luce il numero massimo di fotoni di scintillazione
Nph prodotti dall’energia E0 rilasciata da una particella ionizzante sarà
Nph = Ni + Nex = Ni
Nex
1+
Ni
E0
=
W
Nex
1+
Ni
(3.13)
dove Ni e Nex indicano rispettivamente il numero di ioni e di atomi eccitati
prodotti da una particella ionizzante, mentre W rappresenta l’energia media
richiesta per formare una coppia ione – elettrone.
Dalla Eq. (3.13) si ricava la grandezza
W0 =
W
(1 + Nex /Ni )
(3.14)
che rappresenta l’energia media intrinseca necessaria per la produzione di
fotoni in Argon liquido. Inserendo la Eq. (3.14) nella Eq. (3.13) si ottiene
l’espressione
E
Nph = 0
(3.15)
W
che può essere utilizzata per stimare il numero di fotoni emessi da una particella ionizzante. Usando come valori per l’Argon liquido Nex /Ni = 0.21
[65] e W = 23.6 eV [65], si ottiene W 0 = 19.5 eV [66]; il numero di fotoni
prodotti in LAr da un deposito di energia di 1 M eV risulta quindi essere
6
Talvolta in letteratura è riportata anche l’esistenza di una componente intermedia con
τ ∼ 50 ÷ 70 ns la cui origine non è ancora chiara.
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
68
ARGON LIQUIDO
Figura 3.4: Scintillation yield in funzione del LET per particelle di varia natura. I
pallini indicano i risultati sperimentali con le relative barre d’errore; i pallini pieni si
riferiscono a ioni relativistici. I riquadri verticali mostrano i calcoli teorici effettuati da
Hitachi et al. [67].
5.13 · 104 . Questo numero rappresenta il massimo valore teorico per lo scintillation yield del LAr e, come si deduce da una serie di esperimenti [66, 67],
risulta appropriato solo per gli ioni pesanti relativistici dal N e (A = 20) al
La (A = 139). I dati sperimentali, ottenuti con un campo elettrico nullo, sono riportati nella Fig. (3.4), la quale mostra lo scintillation yield in funzione
del LET, Linear Energy Transfer, che rappresenta il rate medio di perdita
d’energia lungo il percorso della particella e viene calcolato semplicemente
dividendo la perdita d’energia per il range della particella. Come si vede
dalla figura, tutte le particelle, eccetto gli ioni precedentemente menzionati,
hanno un dL/dE minore di quello previsto: questa soppressione della luce
può essere spiegata introducendo i concetti di electron escaping e quenching.
3.2.2
Fenomeni di riduzione della luce in LAr:
quenching ed electron escaping
Quenching ed electron escaping sono due processi che avvengono in
differenti regioni di LET.
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
69
L’electron escaping domina nelle regioni di basso LET: ha effetto sugli
elettroni relativistici e sugli ioni leggeri ed è generato dal fatto che, a campo
nullo, una larga frazione degli elettroni non si ricombina per un lungo tempo.
Tale fenomeno viene spesso spiegato tramite la teoria della ricombinazione
di Onsager [58]. In breve, quando un elettrone originatosi dalla ionizzazione
viene rallentato fino alla termalizzazione, se si trova ad una distanza dal
proprio ione (lo ione da cui si è dissociato) minore del raggio di Onsager
(la distanza alla quale l’energia di Coulomb è uguale all’energia termica),
allora non può scappare dall’influenza dello ione e la coppia ione – elettrone
si ricombina (in termini matematici, la probabilità di fuga per l’elettrone
al raggio di Onsager è e−1 ). Al contrario, se il punto di termalizzazione
dell’elettrone è al di fuori del raggio di Onsager, esso è libero dall’influenza
del proprio ione anche in caso di campo elettrico esterno nullo. Per l’Argon
◦
liquido il raggio di Onsager è 1250 A, mentre il range di termalizzazione
◦
degli elettroni è stimato essere ≈ 2000 A. Ci si aspetta dunque che in
assenza di campo elettrico un gran numero di elettroni non si ricombini per
un tempo molto lungo (ordine di alcuni ms): è questo che causa la riduzione
della scintillazione nella regione di basso LET, in quanto le finestre temporali
generalmente utilizzate non vanno oltre7 le decine di µs. Va sottolineato che,
proprio per la sua natura, l’electron escaping non è un fenomeno di quenching
(ossia un processo non radiativo che, assorbendo parte dell’energia rilasciata
nel mezzo, porta ad una diminuzione della luce emessa): la luce rivelata
in questo caso dipende sensibilmente dal valore della finestra temporale di
acquisizione; aumentando infatti a sufficienza l’ampiezza di tale finestra si
otterrebbe un dL/dE paragonabile a quello degli ioni pesanti relativistici.
È possibile verificare ciò attraverso la misura della grandezza I + aS, la
somma del numero di elettroni collezionati su un elettrodo (I) e del numero
di fotoni di scintillazione emessi (aS), dove S è l’intensità di scintillazione
misurata sperimentalmente, mentre a è un fattore di normalizzazione. Per
come è costruita, I + aS risulta indipendente dal campo elettrico e dalla
7
In realtà, una descrizione più corretta ed accurata del fenomeno dovrebbe tener conto
anche del “volume di ricombinazione”, ossia della ricombinazione degli elettroni con ioni
diversi dal proprio. Per gli scopi del presente lavoro ciò non è però necessario; gli sviluppi
di questo argomento possono essere trovati nel lavoro di Doke et al. [66].
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
70
ARGON LIQUIDO
Figura 3.5: Dipendenza dal LET del rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) in LAr per varie
particelle. Tra parentesi sono riportate le particelle non relativistiche. I valori di
I + aS/ (Ni + Nex ) minori di uno indicano la presenza di fenomeni di quenching [66].
carica nucleare della particella ionizzante. Se non sono presenti fenomeni
di quenching, è possibile ottenere il valore di a assumendo che l’intensità
di scintillazione a campo elettrico nullo, S0 , corrisponda al massimo numero di fotoni possibile, Nph , espresso nella Eq. (3.13). Quindi, per gli ioni
relativistici di N e, F e, Kr e La, i quali producono il numero massimo di
fotoni, il rapporto aS0 / (Ni + Nex ) deve essere pari a uno; inoltre, anche il
rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) deve essere uno per ogni campo elettrico applicato. Nel caso di elettroni, protoni e ioni di He, S0 non corrisponde a
Ni + Nex : l’electron escaping non permette ad una parte degli elettroni prodotti di ricombinarsi per un lungo periodo, quindi questi non contribuiscono
alla scintillazione osservabile. In presenza di un campo elettrico però tali
elettroni vengono facilmente raccolti, cosı̀ il rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) resta uguale ad uno anche per questa categoria di particelle. La Fig. (3.5)
riporta i valori di I + aS/ (Ni + Nex ), misurati in presenza di un alto campo
elettrico, per diversi ioni su un ampio spettro di LET. Si può osservare come
si abbia I + aS/ (Ni + Nex ) = 1 per quasi tutte le particelle, anche nella zona
di bassi LET, dove opera l’electron escaping. Per le particelle α, i frammenti
di fissione e gli ioni di Au questo rapporto resta invece minore di uno, indica-
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
71
zione del fatto che per queste particelle la luce di scintillazione viene ridotta
da dei fenomeni di quenching.
Come anticipato, con il termine quenching si indicano tutti quei processi che assorbono una parte dell’energia rilasciata nel mezzo, indirizzandola
lungo canali non radiativi. Dal punto di vista della scintillazione questa è
una reale perdita d’energia, in quanto l’ipotesi che tutta l’energia ceduta
nel mezzo da una particella venga convertita in luce di scintillazione risulta
non più valida. Dai dati sperimentali riportati in Fig. (3.5) si deduce che il
quenching interessa solo le particelle ad alto LET, ma allo stesso tempo esso
non può essere considerato una semplice funzione della densità di perdita
d’energia, altrimenti gli ioni relativistici di F e, Kr e La dovrebbero presentare un fattore di quenching più grande di quello misurato per le particelle
α: in accordo con il modello teorico [67], deve esistere anche una dipendenza
dai dettagli della traccia della particella, come dalla distribuzione radiale. Il
meccanismo proposto per il quenching della scintillazione è
Ar∗ + Ar∗ → Ar + Ar + e−
(3.16)
ed il suo rate dipende dalla densità di atomi eccitati Ar∗ . Poiché questi stati
Ar∗ sono coinvolti in entrambi i meccanismi che generano luce di eccitazione e di ricombinazione (Eq. (3.10), Eq. (3.11)), entrambe le componenti
risentiranno del quenching8 .
3.2.3
Dipendenza dell’impulso luminoso dalla densità
di ionizzazione
La luce di scintillazione indotta da un’interazione in LAr presenta due
componenti distinte, caratterizzate da costanti di decadimento differenti,
τs ≈ 6 ns e τt ≈ 1.6 µs. La loro emissione inoltre è stata attribuita alla
transizione verso lo stato fondamentale rispettivamente dello stato eccitato
3 +
più basso di singoletto, 1 Σ+
u , e di tripletto, Σu . Risulta possibile allora esprimere l’impulso luminoso prodotto dal passaggio di una particella in Argon
liquido come
I(t) = Is e−t/τs + It e−t/τt .
(3.17)
8
Anche in questo caso viene tralasciata la descrizione del modello teorico, rimandando
per ogni approfondimento al lavoro di Hitachi [67].
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
72
ARGON LIQUIDO
Figura 3.6: Curve di decadimento per impulsi generati da elettroni, particelle α
e frammenti di fissione in LAr [68]. Sono riportate la componente veloce (grafico di
sinistra) e quella lenta (grafico di destra). Le misure sono state effettuate in condizioni
di campo elettrico nullo.
mentre le costanti di decadimento non dipendono dal rate della perdita d’energia (ossia dal LET), assumendo valori simili, compatibili entro gli errori
sperimentali, per particelle di differente natura (Fig. (3.6) e Tab. (3.4)) [68].
L’intensità relativa delle componenti, Is /It (singoletto/tripletto), dipende in modo sensibile dal LET, come mostrano i dati sperimentali riassunti
nella Tab. (3.4). Sperimentalmente si è osservato che per particelle con alto LET (ad esempio neutroni e particelle α), l’intensità della componente
di singoletto (componente veloce) cresce a spese di quella di tripletto. Dei
diversi meccanismi che possono essere ipotizzati per descrivere il comportamento osservato, tra tutti il più plausibile sembra essere quello riguardante le
collisioni superelastiche con elettroni termici [68]. Secondo questa teoria, gli
elettroni di ionizzazione, dopo essere stati termalizzati, possono collidere prima della ricombinazione con gli stati di singoletto ed indurre una transizione
singoletto – tripletto. La probabilità di questo processo è in qualche modo
connessa con il tempo di ricombinazione in Argon liquido che, ovviamente, è funzione della densità di ionizzazione. Tale processo è quindi favorito
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
Particella
e−
α
Residui di fissioni
τs (ns)
6.3 ± 0.2
4.6
4.18 ± 0.2
τt (ns)
1020 ± 60
1540
1000 ± 95
1110 ± 50
6±2
1590 ± 100
4.85 ± 0.08 1463 ± 55
4.9 ± 0.2
1260 ± 65
∼5
1200 ± 100
4.4
1100
7.1 ± 1.0 1660 ± 100
6.8 ± 1.0 1550 ± 100
73
Is /It Ref.
0.083 [65]
0.26 [69]
0.083 [70]
[71]
0.3
[68]
[72]
0.25 [73]
[65]
3.3
[69]
1.3
[68]
3
[68]
Tabella 3.4: Costanti di decadimento ed intensità relative per le componenti di
singoletto e tripletto della luce di scintillazione in LAr e rapporti Is /It tra le intensità
delle componenti lenta e veloce.
per le particelle al minimo di ionizzazione (come gli elettroni), per le quali
i tempi di ricombinazione sono più lunghi: in questo caso il numero di stati
di singoletto inizialmente prodotti viene ridotto in maniera più consistente, portando cosı̀ ad un maggior peso della componente lenta nell’impulso
di scintillazione prodotto. Questo meccanismo spiega, almeno in maniera
qualitativa, l’andamento del rapporto Is /It in funzione del LET.
Come già riportato, in Argon liquido i raggi γ interagiscono con gli elettroni atomici, mentre i neutroni interagiscono con i nuclei di Argon, particelle
con elevata densità di ionizzazione. Per tale motivo, l’impulso prodotto da
interazioni di raggi γ vedrà un maggior peso della componente lenta rispetto a quella veloce mentre il contrario accadrà per neutroni e particelle α. A
parità di energia rilasciata quindi, l’impulso generato da un γ sarà caratterizzato da una coda più alta (una maggiore quantità di luce a tempi più lunghi)
rispetto a quella dell’impulso di un neutrone: è questa differenza nella forma
che può essere sfruttata, tramite la PSD, per la discriminazione di neutroni
e γ in Argon liquido.
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
74
ARGON LIQUIDO
3.2.4
Attenuazione della radiazione dovuta alle impurità
Le proprietà dell’Argon liquido sin qui illustrate ne fanno un ottimo
mezzo attivo per le applicazioni sperimentali. Tuttavia, tali proprietà si
riferiscono a condizioni ideali, in cui l’Argon viene considerato completamente
puro. Infatti, la presenza di concentrazioni seppur piccole di impurezze, quali
N2 , O2 , H2 O, CO, CO2 , dovute ai processi di produzione industriale di LAr,
ne altera la resa in luce. Per quanto riguarda la presenza di CO e CO2 ,
tipicamente presenti in concentrazioni molto basse (< 0.01 ppm), gli effetti
possono essere considerati trascurabili. Anche i processi di quenching dovuti
alla presenza di N2 incidono poco nell’attenuazione della radiazione poiché
dipendono dalla concentrazione di Azoto [74], e sono piuttosto lenti, essendo
caratterizzati da una frequenza costante di ' 3.8 · 10−12 cm3 s−1 , equivalente a
0.11 ppm−1 µs−1 . Per quanto riguarda invece i residui di O2 e H2 O, si ricorre
ad una trattazione più accurata.
Il principale processo di quenching negli urti tra le impurità X e gli
eccimeri Ar∗2 è il seguente:
Ar∗2 + X → 2Ar + X
(3.18)
Questo processo è molto efficace per particelle ionizzanti leggere la cui
emissione è dominata dalla componente di tripletto ed inibisce la diseccitazione degli eccimeri Ar∗2 che altrimenti produrrebbero radiazione VUV. Se la
concentrazione delle impurezze resta costante, diminuisce via via quella degli
eccimeri, come mostrato nella relazione seguente
dAr2∗
= −kXAr2∗ =⇒ Ar2∗ (t) = Ar2∗ (0)e−kXt
dt
(3.19)
caratterizzata dalla costante di diseccitazione k. La dipendenza temporale
dell’emissione della luce di scintillazione, l0 (t), in Argon liquido contaminato
può essere espressa dalla seguente equazione
IS0
t
IT0
t
l (t) = 0 exp − 0 + 0 exp − 0
τS
τs
τT
τT
0
(3.20)
3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR
75
dove, τj0 che indica il tempo di vita effettivo e Ij0 che indica l’effettiva ampiezza, per ciascuna componente j = S, T , sono funzioni della concentrazione
delle impurità X:
1
1
(X, t = 0) + kX
0
τj
τj
(3.21)
e dove con Ij0 si indicano le ampiezze effettive, considerato l’effetto del quenching, che sono funzione delle concentrazioni delle impurezze X:
Ij0 (X) =
Ij
1 + τj + kX
(3.22)
Sia Ij0 che τj0 diminuiscono all’aumentare della concentrazione di X e
la grandezza l0 (t) in assenza di impurtità diventa la grandezza ideale l(t).
La somma delle ampiezze a seguito del quenching (Eq. (3.20)) sarà minore
dell’unità:
Z
∞
l0 (t) dt = (IS0 + IT0 ) ≤ 1
(3.23)
0
A partire dalla Eq. (3.23) si può definire fattore di quenching QF
QF = IS0 + IT0 ,
0 ≤ QF ≤ 1
(3.24)
nominalmente come il rapporto tra l’intensità totale della luce emessa per una
data concentrazione di impurezze X rispetto al caso dell’Argon liquido puro
(caso ideale). In altre parole per una data concentrazione di eventi di ionizzazione, QF rappresenta la frazione della popolazione di eccimeri che sopravvive
ai processi di quenching, in grado di emettere fotoni di scintillazione.
CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN
76
ARGON LIQUIDO
Capitolo 4
Analisi di segnali di
scintillazione in Argon liquido e
misure di resa in luce
La tecnologia che fa uso dell’Argon liquido come mezzo bersaglio rappresenta una delle più promettenti linee di ricerca soprattutto nella realizzazione
di rivelatori nell’ambito della Fisica Astroparticellare ed in particolare nel
filone riguardante la rivelazione diretta della Materia Oscura.
In questo contesto, un rivelatore ideale a LAr per la rivelazione diretta
della Materia Oscura, come in precedenza illustrato, deve in generale presentare dei requisiti fondamentali quali la grande massa bersaglio, la più bassa
soglia energetica raggiungibile ed una riduzione del fondo altamente efficiente, ottenuta attraverso l’uso di schermi e di tecniche di discriminazione delle
particelle.
I precedenti studi di ricerca e sviluppo condotti dalla collaborazione
WArP hanno evidenziato come sia possibile realizzare dei rivelatori per la
ricerca diretta della DM basati sull’Argon liquido. La tecnologia ad Argon a
doppia fase (liquido–gassoso) si basa sulla simultanea rivelazione dei segnali relativi alla luce di scintillazione ed alla carica di ionizzazione (elettroni)
prodotti da eventi ionizzanti in Argon. Per tali rivelatori, una caratteristica
rilevante è rappresentata dall’elevata Resa in Luce (Light Yield, LY ) ottenibile, ossia la capacità del rivelatore considerato di poter rivelare la maggior
quantità di luce di scintillazione prodotta, anche in seguito ad eventi che
rilasciano un ammontare di energia relativamente basso nel mezzo attivo.
78
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Tale caratteristica si riflette direttamente sulla capacità di poter abbassare
la soglia energetica di rivelazione degli eventi e di ottenere una buona reiezione del fondo attraverso il metodo della Pulse Shape Discrimination, la
discriminazione tra eventi di tipo rinculo elettronico dovuti ad emissioni γ
e β ed eventi di tipo rinculo nucleare (tra cui ci si aspetta di individuare
segnali di WIMP), in quanto l’efficacia della PSD dipende fortemente dalla capacità di rivelare i fotoni di scintillazione. Per tale motivo, in questo
quadro sperimentale, si inserisce il presente lavoro di tesi, la cui principale
finalità ha riguardato la misura della LY di un rivelatore a LAr equipaggiato
con fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica attraverso lo studio degli
spettri di scintillazione ottenuti esponendo il rivelatore a differenti sorgenti
radioattive di calibrazione. I risultati ottenuti vanno a confermare la validità
della tecnologia che fa uso dell’Argon liquido per la ricerca diretta della DM.
4.1
Descrizione generale dell’apparato
sperimentale
Il dispositivo sperimentale utilizzato nel corso della fase di presa dati
del presente lavoro è stato installato nei laboratori esterni dei Laboratori
Nazionali del Gran Sasso dell’INFN (Hall di Montaggio).
L’apparato, rappresentato in Fig. (4.1), è costituito da una camera ad
Argon liquido ospitante quattro fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica per la rivelazione dei segnali di scintillazione; questa è stata inserita in
un dewar riempito con LAr che funge da bagno termico. Il dispositivo è
corredato da delle linee di svuotamento collegate ad una pompa turbomolecolare per la messa in vuoto della camera, ad una linea di iniezione alla quale
sono annessi dei filtri per la purificazione dell’Argon in fase di riempimento,
e da una serie di sensori per il controllo della pressione e dei livelli del bagno
esterno di LAr.
Un digitalizzatore di forme d’onda legge direttamente i segnali della luce
di scintillazione rivelati dai fototubi e li va ad immagazzinare nel calcolatore
al quale è connesso, da cui può essere effettuata l’analisi dei dati.
4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO
SPERIMENTALE
4.1.1
79
La camera ad Argon liquido
Il rivelatore, mostrato in Fig. (4.2), è costituito da una camera ad Argon
liquido derivata dal prototipo da 2.3 litri dell’esperimento WArP ed utilizzato
per questo caso specifico in singola fase (liquida). Essa è formata da una
sezione cilindrica (φ = 18.4 cm e h = 9.5 cm) sovrapposta ad una sezione
conica (φtop = 17.6 cm, φbot = 16.0 cm, e h = 7.5 cm) corrispondente ad
un volume complessivo di 4.3 l di Argon liquido, calcolati per la camera
completamente riempita.
Il sistema realizzato in PTFE è interamente contenuto all’interno di una
una camera cilindrica in acciaio inossidabile di 30 cm di diametro e altezza
60 cm, completamente immersa in un bagno termico di Argon liquido al
Figura 4.1: Schema dell’apparato sperimentale.
80
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
fine di mantenere stabile la pressione interna del rivelatore durante tutto il
periodo di presa dati.
Per la raccolta della luce di scintillazione, quattro fototubi da 3” Hamamatsu R11065 sono stati montati in posizione verticale, a partire dalla
sommità della camera e rivolti verso il basso; la copertura fotocatodica del
dispositivo si attesta intorno al 12% della superficie interna totale. L’intero
volume interno della camera, ad eccezione delle finestre dei PMT, è stato
rivestito con del materiale altamente riflettente, depositato con uno strato di TetraPhenilButadiene (TPB) che funge da convertitore per la luce di
scintillazione VUV emessa dal LAr.
Per monitorare il livello dell’Argon liquido all’interno del rivelatore sono
stati installati dei sensori P T 1000 il cui funzionamento è basato sul fatto
che resistività e rigidità dielettrica degli stessi presentano un diverso comportamento nelle due differenti fasi dell’Argon; più in dettaglio, un primo
sensore è stato posizionato all’altezza della finestra dei fototubi mentre altri
due sensori, inseriti all’altezza dei circuiti di partizione dei PMT, vanno ad
indicare il livello massimo di LAr nella camera.
Infine, sono stati installati dei sensori di vuoto e di pressione, utilizzati
rispettivamente durante la fase di messa in vuoto dell’apparato e durante
tutta la fase della presa dati con la finalità di monitorare il valore della
pressione dell’Argon all’interno della camera.
4.1.2
Il sistema criogenico e di purificazione
Come in precedenza menzionato, per mantenere stabile la pressione durante tutta la fase della presa dati, il rivelatore è stato inserito in un dewar
riempito con dell’Argon liquido; un sistema di stoccaggio posto esternamente
al laboratorio, permette il riempimento quotidiano del dewar.
Per il riempimento della camera è stata implementata nel sistema una
linea di riempimento (Fig. (4.1)) che collega una bombola di Argon 6.0
(Argon commerciale, 99.9999% di purezza), prodotto da Rivoira S.p.A. al
rivelatore posto nel bagno termico.
Alla linea, antecedente la camera è stato connesso un filtro composto
R
per 1/4 da setacci molecolari e per 3/4 da Oxisorb
, che consentono di
4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO
SPERIMENTALE
81
Figura 4.2: Rappresentazioni della camera ad Argon liquido. Nell’immagine centrale
si possono osservare la posizione dei quattro fototubi e il meccanismo di ricircolo
dell’Argon. A destra invece è riportato lo schema del dispositivo, nel quale si possono
notare le connessioni per l’inserimento dell’Argon e per la messa in vuoto; si osserva
anche la posizione del dispositivo all’interno del bagno termico ed il sistema di supporto.
Nella fase sperimentale la camera è stata riempita di Argon liquido fin sopra i fototubi.
migliorare i livelli di purezza riportati nelle specifiche tecniche dell’Argon
gassoso commerciale [75] (Tab. (4.1)).
Elemento
Ossigeno (O2 )
Azoto (N2 )
Acqua (H2 O)
Idrogeno (H2 )
Idrocarburi totali (THC)
Anidride Carbonica (CO2 )
Monossido di Carbonio (CO)
Contaminazione residua
≤ 0.2 ppm
≤ 0.5 ppm
0.5 ppm
0.1 ppm
0.05 ppm
0.05 ppm
0.05 ppm
Tabella 4.1: Specifiche tecniche Argon 6.0 (prodotto da Rivoira S.p.A.). Nella tabella
sono indicati i valori massimi possibili per le impurità rilevabili.
82
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Inoltre, poiché normalmente la purezza raggiunta tende a diminuire nel
tempo, la camera è dotata di un sistema di ricircolo (Fig. (4.2)) costituito da
un filtro T rigonT M allo scopo di stabilizzare, se non di migliorare la purezza
dell’Argon.
Di seguito vengono illustrate le caratteristiche principali delle tipologie
di filtri utilizzati:
R
• Oxisorb
È un sistema di purificazione utilizzato per la rimozione di Ossigeno
ed altri composti residui, basato su processi chimici di assorbimento
dell’O2 e fisici dell’H2 O. Il composto attivo è costituito da perline di
gel di Silicio (SiO2 ) che favoriscono la cattura dell’Ossigeno da parte
del Cromo mediante la seguente reazione:
2Cr + O2 → 2CrO3
(4.1)
Si raggiungono cosı̀ purezze < 5 ppb per l’O2 e < 30 ppb per H2 O [76].
• TrigonT M
È una delle espressioni commerciali utilizzate per indicare l’Engelhard’s
Q5, un reagente catalizzatore di ossigeno prodotto dalla BASF SE.
Si tratta di un composto granulare, di forma irregolare, costituito
principalmente da alluminio (80 − 90%) e ossidi metallici, quali CuO
(10 ÷ 14%), M nO2 (< 1%), CoO (< 1%), N iO2 (< 1%). L’ossigeno viene trattenuto per mezzo di reazioni che portano alla formazione
di ossidi metallici a partire dalle grandi quantità di metalli contenute nel composto. Le specifiche tecniche garantiscono una riduzione
dell’Ossigeno a livelli ≤ 1 ppb [77].
• Setacci molecolari
Si tratta di alluminosilicati in strutture microporose, con pori di dimensioni inferiori di 2 nm che agiscono per assorbimento fisico. La struttura
del materiale consente una superficie complessiva di 1000 m2 /g, grazie
R
alla quale i filtri Zeolite e Hydrosorb
risultano ottimi filtri per la
cattura di idrocarburi e composti solfati ed ossigenati presenti in LAr
e GAr [78].
4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO
SPERIMENTALE
4.1.3
83
Il sistema di raccolta della luce di scintillazione
La luce di scintillazione prodotta all’interno della camera viene raccolta
dai quattro fototubi ad elevata efficienza quantica R11065 prodotti dalla
Hamamatsu Photonics K.K..
Si tratta di fotomoltiplicatori a 12 stadi, con finestre in quarzo (Syntetic
Silica) da 3”, opache a lunghezze d’onda inferiori a 160 nm, dotati di speciali
fotocatodi bialcalini sviluppati per operare efficientemente alle temperature
dell’Argon liquido (87 K) nell’intervallo di frequenze che vanno dall’UV al visibile. I punti di forza del fototubo utilizzato sono il veloce tempo di risposta,
Figura 4.3: Immagine e principali caratteristiche del PMT Hamamatsu R11065.
una buona risoluzione temporale e l’elevata Efficienza Quantica, QE, al 35%
intorno ai 400 nm a temperatura ambiente, garantita stabile alle temperature dell’Argon liquido. Le principali caratteristiche del fototubo, dichiarate
dal costruttore, sono riportate in Fig. (4.3). Per differenze di potenziale
84
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
tra catodo e primo dinodo superiori a 300 V si ottiene, per il primo dinodo una Efficienza di Raccolta (Collection Efficiency, CE ) per i fotoelettroni
superiore al 95%.
Figura 4.4: Schema utilizzato per i circuiti di partizione per l’alimentazione dei
fototubi Hamamatsu R11065.
In Figura (4.4) è rappresentato il circuito di partizione utilizzato per
l’alimentazione della catena dei 12 dinodi, realizzato a partire da un circuito
stampato G10, in accordo con lo schema elettrico di riferimento fornito dalla
Hamamatsu.
Tuttavia, come accennato nella Sezione (3.2), i processi di luminescenza
in Argon liquido generano fotoni VUV di lunghezza d’onda pari a 127 nm,
che non sono rilevabili mediante i comuni dispositivi di raccolta della luce. Le finestre in vetro o in quarzo dei comuni fototubi, infatti, sono opache alla radiazione ultravioletta e per tali lunghezze d’onda presentano una
trasmittanza praticamente nulla.
La Fig. (4.5), che mostra le curve di trasmittanza per i più comuni materiali utilizzati per la produzione delle finestre dei fototubi, suggerirebbe che
per la rilevazione dei segnali cercati si potrebbe ricorrere all’uso di fotomoltiplicatori dotati di finestre in M gF2 . Tali fotutubi, tuttavia, sono disponibili
in commercio soltanto a costi elevati e risultano estremamente fragili alle
temperature di lavoro in Argon liquido.
Pertanto, per raggiungere un’elevata efficienza di raccolta, contenere i
costi ed evitare ulteriori complicazioni, normalmente si utilizzano i comuni
fotomoltiplicatori con finestre in vetro o in quarzo, ricorrendo all’ausilio di
4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO
SPERIMENTALE
85
selettori di lunghezze d’onda (wavelength shifter, wls). Si tratta di sostanze
che possono essere depositate sia sulle superfici del volume attivo della camera
e sia direttamente sulle finestre dei fototubi, ed hanno la funzione di reagire
alla radiazione VUV e trasmetterla al dispositivo con una diversa frequenza
che sia rivelabile. Uno dei più comuni wls utilizzati negli esperimenti in
Argon liquido è il TPB, un idrocarburo aromatico che viene vaporizzato in
vuoto sulle superfici scelte. L’emissione spettrale del TPB si estende dai 390
ai 520 nm e si addensa intorno ai 440 nm (Fig. (4.6)), dove la trasmittanza
delle finestre in vetro e l’efficienza quantica del fotocatodo del PMT sono
sufficientemente elevate [80, 81].
Come in precedenza accennato, tutte le superfici interne della camera
che delimitano il volume attivo di LAr sono state ricoperte con del materiale
riflettente, su cui era stato depositato, mediante evaporazione in vuoto, uno
strato di TPB pari a ∼ 300 µg/cm2 .
Il substrato riflettente (3M VIKUITI ESR) consiste in un polimero completamente dielettrico, riflettente al 99%, che dopo la deposizione del TPB
conserva una riflettività di ∼ 95%, riemettendo fotoni nelle lunghezze d’on-
Figura 4.5: Curve di trasmittanza per diversi materiali per le finestre dei fototubi,
in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente. I dati si riferiscono a finestre
dello spessore di 1 mm [79].
86
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Figura 4.6: Confronto tra la risposta del TPB (in blu, unità arbitrarie) e l’Efficienza
Quantica del PMT Hamamatsu R11065 (in rosso), hQEi = 29.5%, mediata sullo
spettro del TPB. In verde è riportata l’Efficienza Quantica di un altro fototubo (ETL
D750, con hQEi = 17.5%) di uso comune nel campo delle ricerche criogeniche di luce
di scintillazione [82].
da del blu. Ne consegue che i fotoni convertiti alle frequenze del visibile
potranno venire riflessi più volte dalle superfici della camera, fino alla loro
rivelazione da parte dei fototubi.
4.1.4
Il sistema di acquisizione dati
I segnali dei fototubi vengono inviati direttamente ad una scheda di acquisizione dati (DAQ) che digitalizza le forme d’onda rilevate e le invia al
calcolatore per l’immagazzinamento e l’analisi postuma dei dati.
In Figura (4.7) sono rappresentati, oltre alla camera equipaggiata con
i quattro fototubi, anche la scheda di acquisizione dati utilizzata, la V1751
prodotta dalla CAEN S.p.A..
Si tratta di una scheda VME (standard Versa Module Europe) da 10 bit,
a 8 canali con campionamento da 1GS/s, capace di campionare con buona
resa gli impulsi veloci (dell’ordine delle decine di ns) ottenuti da rivelatori
come i fototubi del sistema sperimentale utilizzato.
Grazie all’alta velocità di campionamento ed alla capacità di interpolare
coppie di canali mediante la modalità Dual Edge Sampling (DES mode) della
4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO
SPERIMENTALE
87
Figura 4.7: Schema dell’acquisizione dati.
scheda, è stato possibile effettuare misure molto precise attraverso metodi
di interpolazione sugli impulsi digitalizzati. Per questo motivo, è possibile
riprodurre la forma d’onda del segnale digitalizzato con estrema accuratezza.
La condizione di trigger viene configurata in base ad un algoritmo che
confronta ogni misura con un segnale di maggioranza (majority) inviato dalla
scheda al selettore di soglia. Nella configurazione di maggioranza impostata
per le misure effettuate, il trigger della scheda si attiva quando viene rilevato
da tre dei quattro fototubi, entro un definito intervallo temporale, un segnale
dell’ampiezza di 1.5 phel; quindi le forme d’onda vengono acquisite e trasferite
via fibre ottiche nella scheda PCI CAEN A2818, connessa al calcolatore.
4.1.5
Operazioni di assemblaggio e messa in funzione
dell’apparato
Prima del montaggio del dispositivo e dell’assemblaggio della linea di
riempimento, tutti i componenti meccanici in PTFE destinati alla composizione della camera sono stati trattati in un forno a vuoto alla temperatura
di 80 ◦ C per quattro settimane.
Completata la linea di trasferimento dell’Argon e una volta terminati
l’assemblaggio ed il posizionamento della camera all’interno del dewar destinato al contenimento del bagno termico, l’intero apparato è stato sottoposto
88
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
ad una fase di pompaggio del vuoto mediante una pompa turbomolecolare
della durata di quattro giorni, fino al raggiungimento di una pressione di
∼ 10−5 mbar, e successivamente ad una fase di flussaggio con Argon gassoso riscaldato per 24 ore. Terminato il flussaggio, è stato operato un nuovo
pompaggio del vuoto della durata di due giorni, fino al nuovo raggiungimento
della pressione di ∼ 10−5 mbar, quindi il rivelatore è stato immesso nel bagno
di Argon liquido; dopo una ulteriore fase di criopompaggio, infine, è stato
immesso nel rivelatore Argon 6.0, ulteriormente purificato dal filtro aggiunto
alla linea di flussaggio (Sezione (4.1.2)).
Completate tutte le operazioni precedenti alla messa in funzione del
sistema e dopo un intervallo di alcune ore necessarie alla termalizzazione
dei fototubi in LAr è stato impostato il potenziale di alimentazione (Fig.
(4.4)) sul catodo dei fototubi, raggiungendo lentamente il punto di lavoro
HV ' −1400 V , corrispondente ad un guadagno di ∼ 3 · 106 .
Per effettuare le misure di LY, il dispositivo è stato esposto a differenti
sorgenti di elettroni e raggi γ; le varie sorgenti utilizzate sono state collocate
all’interno di un apposito collimatore il quale, a sua volta, durante la fase
di presa dati veniva portato in corrispondenza del centro del volume attivo
della camera e posizionato esternamente a essa all’interno del bagno termico.
(Fig. (4.1)).
4.2
Analisi dei dati e risultati
I risultati del presente lavoro si riferiscono agli studi sperimentali condotti nel periodo compreso tra febbraio e aprile del 2011. Per effettuare le
misure di resa in luce il rivelatore è stato esposto ad alcune sorgenti radioattive di calibrazione, quali l’ 241 Am, il 131 Ba ed il 137 Cs. Sono state scelte
tali sorgenti in quanto gli spettri di scintillazione ad esse correlati presentano
delle strutture riconoscibili ad intervalli di energie diverse. In particolare,
l’isotopo 241 Am decade in 237 N t con emissioni α con un tempo di dimezzamento di 432.2 yrs e la maggior parte dei decadimenti è accompagnata
da emissione di elettroni Auger e di raggi X e γ, con energie che possono
raggiungere l’ordine di alcuni M eV . La riga di maggiore interesse per le
misure di LY effettuate con il dispositivo in oggetto è quella dell’emissione
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
89
γ a 59.54 keV per via della regolarità dell’emissione (il picco è praticamente
monocromatico) ad energie relativamente basse. Infatti, nell’intenzione di
mettere a punto una tecnologia rivolta alla rivelazione di Materia Oscura, è
importante che i rivelatori, calibrati su energie paragonabili a quelle attese
per i segnali di WIMP, presentino un’alta efficienza di raccolta di segnali,
stimabile in primo luogo attraverso il valore della LY. Le interazioni del rivelatore con le emissioni delle altre sorgenti menzionate sono state considerate
allo scopo di avere sia un confronto con i risultati ottenuti con l’241 Am sia
una panoramica più completa delle prestazioni del rivelatore.
4.2.1
Il programma di analisi dati
Un apposito software dedicato è stato utilizzato per processare i segnali
di luce raccolti e per la loro analisi. Il software è il risultato dell’unione di
più codici, ognuno dei quali relativo ad una diversa fase dell’analisi dati. I
pacchetti includono, oltre ad una libreria I/O che decodifica differenti formati
binari in matrici di numeri, il codice di analisi vero e proprio, unito a un codice
per la creazione di forme d’onda medie, un programma per il fit delle risposte
ai singoli fotoelettroni (SER) e un codice per l’analisi della singola forma
d’onda. Il software di analisi si avvale dell’utilizzo di un database MySQL
per l’immagazzinamento e la lettura dei dati delle varie fasi di acquisizione.
Ogni pacchetto comunica separatamente con il rispettivo database e l’analisi
dei dati è comunque effettuata in ambiente ROOT.
Per il calcolo della SER, sono state acquisite ed analizzate 5000 forme
d’onda per ciascuno dei quattro fototubi (canali) inseriti nel rivelatore, mentre 100000 forme d’onda sono state considerate ed esaminate, per ogni canale,
per determinare gli spettri relativi all’esposizione a sorgente di calibrazione
ed al fondo ambientale.
In generale, ad ogni presa dati, dopo la determinazione della baseline
e la sottrazione di quest’ultima, il software considera tra i segnali delle forme d’onda acquisite dalla scheda, solo quelli che presentano un’ampiezza
maggiore di 2.8 volte1 lo scarto quadratico medio (RMS) delle fluttuazioni
1
Tale valore rappresenta il giusto compromesso affinché non vengano persi impulsi
di SER e venga efficientemente rigettato il rumore di fondo del segnale generato dalle
fluttuazioni della baseline.
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
90
della baseline (tra questi segnali vi sono anche normalmente eventi residui di
fondo ambientale). Tali segnali vengono poi integrati e processati in intervalli temporali e modalità differenti ed infine immessi in una distribuzione
(istogramma), a seconda che si tratti della determinazione della SER o dello spettro derivante da esposizione a sorgente di calibrazione (oppure fondo
ambientale). Delle apposite funzioni di fit applicate agli spettri ottenuti vengono poi utilizzate per determinare i parametri che caratterizzano il processo
fisico preso in esame.
Infine, il software per la ricostruzione del segnale restituisce un file relativo allo spettro dell’emissione considerata (che può essere inerente all’acquisizione di segnali dovuta all’esposizione a sorgenti di calibrazione o al
solo fondo ambientale). Ad ogni spettro ottenuto da esposizione a sorgente
viene sottratto lo spettro relativo alla risposta del rivelatore concernente la
presa dati nelle normali condizioni ambientali; lo spettro risultante da tale
operazione viene analizzato utilizzando delle funzioni di fit adeguate a riprodurre le strutture in esso riconoscibili (ad esempio picco fotoelettrico o spalla
Compton).
4.2.2
Risposta al singolo fotoelettrone
La risposta dei fototubi al segnale di singolo fotoelettrone (SER) viene
determinata processando i segnali derivanti dai singoli fotoelettroni emessi
dal fotocatodo di ciascun PMT ed è fondamentale per la calibrazione del
rivelatore, per verificare la stabilità e il guadagno dei fototubi e per il calcolo
della LY del dispositivo sperimentale.
Nelle misure effettuate per la determinazione della SER, sono stati considerati per ciascuna forma d’onda registrata soltanto gli impulsi isolati di
singolo fotoelettrone presenti nella coda del segnale e come già detto, con
un’ampiezza maggiore di 2.8 × RM S della baseline. Più in dettaglio, sono stati presi in esame gli impulsi di SER appartenenti ad un intervallo
temporale compreso tra 5 e 7 µs dopo l’inizio del segnale2 .
2
Considerando che nella catena di DAQ è stato impostato un valore di pretrigger pari
a ' 2 µs la finestra temporale utilizzata per gli impulsi di singolo fotoelettrone è in valore
assoluto compresa tra 7 e 9 µs.
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
91
Figura 4.8: Esempio di forma d’onda acquisita per l’esposizione all’Americio. A destra
è rappresentata la forma d’onda ottenuta mediando gli impulsi di singolo fotoelettrone
rilevati.
Figura 4.9: Spettro di singolo fotoelettrone nella configurazione sperimentale utilizzata con tensione di alimentazione −1400 V . Sono riconoscibili le distribuzioni multiple
dei fotoelettroni
L’impulso di singolo fotoelettrone si presenta tipicamente come un impulso alquanto contratto con una larghezza a mezza altezza (Full Width Half
Maximum, FWHM) di ∼ 5 ns ed una larghezza massima di ' 20 ns dopo
l’inizio del segnale, mentre l’oscillazione relativa alla stabilizzazione definitiva
dei successivi 100 ns è praticamente trascurabile. In Fig. (4.8) a sinistra,
è mostrato un esempio di forma d’onda acquisita in seguito all’esposizione
del rivelatore alla sorgente di 241 Am. Nella coda del segnale sono stati selezionati ed evidenziati alcuni impulsi di singolo fotoelettrone utili per la
determinazione della SER. Si può notare anche che i segnali della compo-
92
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
nente di singoletto (dell’ordine del ns) sono addensati sullo zero del segnale,
mentre sono distinguibili alcuni dei segnali di tripletto (dell’ordine dei µs),
nella coda gaussiana dell’emissione. Nell’immagine a destra è invece rappresentata una forma d’onda media di singolo fotoelettrone ottenuta in una delle
fasi di presa dati.
L’area compresa tra la forma d’onda dell’impulso e la baseline locale, calcolata in ADC × ns, è quella che viene considerata nell’integrazione
dell’impulso di singolo fotoelettrone.
Per effettuare l’operazione di integrazione è stata dapprima stimata e
sottratta la baseline locale relativa a ciascun impulso considerato nella forma
d’onda, in seguito è stato definito un intervallo temporale di integrazione. La
finestra di integrazione ∆T per il singolo impulso viene determinata in modo
tale che ∆T = 5 ns + ∆t + 25 ns, dove ∆t rappresenta la durata di un singolo
impulso, a cui vengono sommati 5 ns prima dell’inizio del segnale e 25 ns
dopo la fine dello stesso. Se, però, in un intorno inferiore a 50 ns è presente
un secondo impulso di SER, non vengono considerate due distinte finestre
temporali di integrazione ma, gli impulsi trovati vengono raggruppati in un
solo segnale e viene preso in considerazione un unico intervallo temporale
pari alla somma delle durate dei due impulsi, della loro distanza temporale
a cui occorre sempre aggiungere i 5 ns prima dell’inizio del primo segnale ed
25 ns dopo la fine del secondo. Ovviamente, nel caso di più impulsi di SER
ravvicinati il controllo procede per successive iterazioni.
Quanto alla baseline locale, essa riguarda il singolo impulso di fotoelettrone e corrisponde al valore medio del segnale rilevato in assenza di altri
picchi attribuibili all’interazione di fotoelettrone. Essa viene determinata in
una finestra temporale di 50 ns, considerata a partire da 25 ns dopo il picco,
se in tale intervallo non vengono rilevati altri impulsi. Se, al contrario, nella
finestra della baseline viene rilevato un nuovo picco, la finestra si sposta a
25 ns dal secondo picco e si ripete il controllo.
L’insieme dei valori ottenuti dalle integrazioni degli impulsi delle forme
d’onda acquisite per i singoli fotoelettroni viene distribuito in un istogramma
che corrisponde allo spettro di SER per ciascun PMT.
Uno spettro tipico di singolo fotoelettrone per uno dei PMT installati
nel rivelatore è riportato in Fig. (4.9). Si può notare come esso sia costituito
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
93
da una distribuzione di tipo gaussiano raccolta intorno ad un primo picco
ben visibile che corrisponde ai segnali derivanti dai singoli fotoelettroni; tale
struttura è inoltre ben separata dalla distribuzione relativa al fondo che include gli eventi spuri provenienti principalmente dagli elettroni che per effetto
termoionico dipartono dal catodo e attraverso la catena di moltiplicazione del
PMT, giungono all’anodo. Sono anche visibili altri picchi un po’ più allargati corrispondenti a valori di carica maggiori ed associati alle distribuzioni
multiple dei fotoelettroni.
Nell’analisi della SER viene utilizzata un funzione di fit che è il risultato della sovrapposizione di un’esponenziale decrescente che ben ricostruisce
l’andamento del rumore di fondo ed una serie di funzioni gaussiane per i
fotoelettroni maggiormente evidenti.
Il dato di maggior rilievo è naturalmente rappresentato dal valor medio della posizione del primo picco intorno al quale si distribuisce il primo
fotoelettrone, a cui si fa riferimento per il calcolo del guadagno del fotomoltiplicatore; esso corrisponde alla carica di uscita misurata per un singolo
fotoelettrone entrante, stimata dalla conversione del primo picco del fit di
SER da ADC × ns in unità di carica (pC) e fornisce pertanto il fattore di
conversione utile per l’analisi dello spettro della corrispondente sorgente di
raggi gamma e la determinazione della LY dell’intero sistema.
4.2.3
Stabilità della SER
La risposta al singolo fotoelettrone per i fototubi installati nella camera
è stata monitorata per tutto il periodo della presa dati, durante il quale
per la posizione del picco di SER di ciascun PMT è stato riscontrato un
comportamento pressoché stabile nel tempo.
Va rilevato che durante tale periodo sono state effettuate anche misure
non strettamente funzionali al presente lavoro, per le quali molto spesso sono
state variate alcune impostazioni del sistema, come ad esempio la tensione
dei fototubi e i valori dei settaggi della catena di acquisizione dati.
Nei dati mostrati in Fig. (4.10), sono stati presi in considerazione i dati
relativi alle esposizioni alle sorgenti 241 Am, 131 Ba, 137 Cs considerate per le
misure di resa in luce, dati relativi alle misure in condizioni ambientali (rive-
94
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Figura 4.10: Andamento della risposta al singolo fotoelettrone monitorata per i
quattro fototubi del rivelatore durante l’intero periodo di presa dati.
latore non esposto a sorgenti) e dati relativi all’esposizione ad una sorgente
di neutroni Am − Be utilizzata per verificare la capacità del dispositivo di
discriminare tra eventi di tipo rinculo elettronico ed eventi di tipo rinculo
nucleare.
Nel grafico si distinguono tre intervalli temporali maggiormente significativi, in cui è stato possibile effettuare rilevamenti sulla risposta al singolo
fotoelettrone con maggiore frequenza.
Durante primo di tali periodi (∼ 70 ÷ 220 hrs) si sono verificate alcune
interruzioni della fornitura elettrica che hanno influenzato sensibilmente gli
andamenti di almeno due dei quattro fototubi (verde e blu), mentre per il
terzo fototubo si stabilizza soltanto in seguito all’ultimo black out ed alla
modifica di alcune impostazioni iniziali.
Nel periodo seguente (∼ 220 ÷ 500 hrs) sono stati effettuati dei test sulla
scheda di acquisizione dati [83]; i punti riportati nel grafico sono comunque relativi alle misure di calibrazione effettuate quando il sistema veniva riportato
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
95
alle condizioni iniziali di presa dati.
Figura 4.12: Andamento delle SER doFigura 4.11: Andamento della SER:
tre dei quattro fototubi presentano una
risposta al singolo fotoelettrone diversa
rispetto al quarto.
po la variazione nelle tensioni di alimentazione dei PMT: le risposte al singolo
fotoelettrone per tutti i PMT risultano
maggiormente ravvicinate.
Successivamente, in una nuova fase di presa dati (∼ 500 ÷ 600 hrs)
impostata su valori iniziali delle tensioni di alimentazione dei PMT e dei
settaggi della catena di acquisizione, si evidenzia una buona stabilità della
SER dei fototubi, come mostrato in Fig. (4.11).
Tuttavia si registra che tre dei quattro fototubi, pur mostrando un andamento costante, presentano una risposta al singolo fotoelettrone inferiore
rispetto a quella del quarto, sintomo del fatto che pur essendo tutti alimentati alla stessa tensione, i singoli guadagni fossero leggermente differenti. In
seguito (∼ 580 ÷ 640 hrs), per poter effettuare ulteriori misure utili al lavoro sulla scheda di acquisizione dati, la tensione di alimentazione di ciascun
fototubo è stata aumentata di circa 200 V . Quando poi (∼ 640 ÷ 800 hrs) le
tensioni di alimentazione dei PMT sono state riportate ai valori precedenti,
si è verificato un importante aumento della risposta al singolo fotoelettrone
da parte dei tre fototubi, che si sono portati sui livelli tenuti stabilmente dal
quarto durante tutto il periodo di presa dati (Fig. (4.12)).
Va notato che per tutto il periodo della presa dati, le massime variazioni
riscontrate nei valori delle SER per i vari fotomoltiplicatori sono inferiori al
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
96
20%, e che tali fluttuazioni comportano solamente una piccola differenza nei
guadagni dei PMT la cui rilevanza è alquanto limitata in riferimento alle
misure di resa in luce effettuate.
4.2.4
Misure di resa in luce del rivelatore
La resa in luce Light Yield, LY, è una caratteristica fondamentale per
un rivelatore di segnali di luce ed indica il numero di fotoelettroni (phel )
raccolti da un sistema di rivelazione per unità di energia depositata nel mezzo
scintillatore in esso contenuto. Costituisce l’aspetto più importante della
calibrazione di un rivelatore e dipende in primo luogo dall’efficienza quantica
dei fototubi, ma anche da diversi fattori, come la geometria del rivelatore
[84], la copertura fotocatodica e le condizioni di funzionamento a regime
dell’apparato sperimentale, tra cui la purezza dello scintillatore e l’efficienza
di conversione e riemissione del wls e del substrato riflettente. Pertanto, il
valore della LY determinato sperimentalmente deve essere confrontato con
una previsione teorica, ad esempio mediante simulazioni MonteCarlo.
Nel caso specifico del presente lavoro, come in precedenza menzionato,
sono state effettuate diverse misure di LY esponendo il rivelatore a sorgenti di 241 Am, 131 Ba, 137 Cs. Le misure relative alle esposizioni alle sorgenti
sono state alternate con delle prese dati in cui il rivelatore era sottoposto
esclusivamente alla radiazione di fondo ambientale. In questo modo è stato
possibile sottrarre, mediante il software di analisi dati, dopo aver effettuato
una normalizzazione basata sulla frequenza degli eventi registrati, agli spettri
di sorgente quelli di fondo ambientale e disporre quindi di spettri più nitidi
per le risposte del rivelatore agli impulsi a cui era sottoposto, come mostrato
nella Figura (4.13).
Questa accortezza si è rivelata particolarmente utile nel caso dell’esposizione alla sorgente di Americio per la quale la frequenza di eventi rilevati,
a causa della debole emissione della sorgente, era superiore di soli 5 Hz rispetto a quella degli eventi di fondo, mentre l’escursione giornaliera tra le
frequenze di eventi rivelati nelle prese dati del fondo ambientale superava
anche i 10 Hz.
Oltre alla risposta del rivelatore all’Americio, per avere un confronto con
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
97
le prestazioni del rivelatore a valori diversi di energie, sono state eseguite
anche delle misure relative ad esposizioni a Bario e Cesio, per le quali sono
state prese in considerazione, rispettivamente i picchi di emissione a 356 keV
e 662 keV .
Le varie forme d’onda acquisite per ciascuna fase di presa dati, dopo la
determinazione e la sottrazione della baseline locale, sono state state trattate
in maniera analoga a quanto fatto per il calcolo dell’integrazione degli impulsi
di SER. In questo caso, però, sono stati considerati tutti gli impulsi (sopra
soglia) di singolo fotoelettrone all’interno di una finestra temporale pari a
7 µs a partire dall’inizio del segnale. La scelta di tale durata è stata fatta
dopo aver verificato che la perdita della quantità di luce relativa al valore
temporale considerato era ben inferiore all’1%.
I contributi individuali delle integrazioni dei singoli impulsi, diversamente da quanto effettuato per l’ottenimento dello spettro di SER, non vengono
direttamente distribuiti in un istogramma, ma per ogni forma d’onda acquisita dal singolo PMT, vengono sommati assieme. Pertanto per ciascun
fototubo ne consegue che, per ogni forma d’onda acquisita, si ottiene un segnale espresso in unità di ADC × ns; la corrispondente quantità in unità di
phel è ottenuta normalizzando tali risultati e dividendoli per il valor medio
risultante dalla valutazione dei parametri del fit effettuato sullo spettro di
Spettro di 241 Am e spettro del fondo ambientale. In rosso si osserva lo spettro risultante dalla sottrazione degli spettri precedenti in cui si evidenzia
maggiormente la struttura del picco fotoelettrico.
Figura 4.13:
98
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Figura 4.14: Fit degli spettri di emissione per Bario [sinistra] e Cesio [destra] con i
relativi fit sovrapposti.
SER della stessa presa dati. Infine, i valori in phel ricavati vengono distribuiti all’interno di un istogramma che rappresenta lo spettro in energia (relativo
all’esposizione a sorgente o a fondo ambientale) del singolo PMT. Per ottenere lo spettro in energia totale, occorre quindi sommare, dopo l’operazione
di normalizzazione per la rispettiva SER, le ampiezze dei segnali dei singoli
canali dei PMT.
All’interno del programma di analisi è stata poi applicata una serie di
tagli volti a rigettare gli eventi a bassa energia tali che Emin = 20 phel, ad
escludere eventuali eventi con energie troppo alte tali da fornire dei segnali
saturati e a trascurare gli eventi sovrapposti e quelli acquisiti al di fuori della
finestra temporale considerata di raccolta dei dati.
Per quanto riguarda gli errori associati alla misura della resa in luce si può
ragionevolmente affermare che l’errore statistico derivante dall’applicazione
della funzione di fit sullo spettro risultante ottenuto è trascurabile e l’errore
sistematico associato alle misurazioni delle LY viene valutato in base alla
dispersione dei valori del picco degli spettri (4÷5% del fondo sottratto), dalle
incertezze associate alla taratura e quindi alla formula per la determinazione
del picco di SER (' 2%) e anche dagli errori sistematici dell’analisi, dovuti
alla scelta dei vari parametri interni (valutata 2÷3%); si può pertanto stimare
un errore complessivo del 5%.
In figura (4.15) è riportato uno dei migliori risultati ottenuti durante la
campagna di misure; esso è relativo allo spettro di 241 Am in cui alla struttura
del picco fotoelettrico è stata applicata una funzione di fit gaussiana. Il valore
medio ottenuto dal fit risulta essere intorno a 378 phel, da cui dividendo per
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
99
l’energia dell’emissione considerata (59.54 keV ) si ottiene un valore per la
resa in luce del rivelatore pari a
LY = 6.35
phel
± 5%
keV
(4.2)
mentre il valore ricavato per la risoluzione del rivelatore risulta essere σE /E =
8%.
Tale risultato è pienamente compatibile con il valore atteso dalle previsioni MonteCarlo basate su ipotesi relative alle proprietà ottiche del sistema
considerato, all’efficienza quantica e di collezione dei PMT e al livello di
purezza del LAr stimato durante tutta la fase delle operazioni del rivelatore.
4.2.5
Considerazioni sull’andamento della resa in luce
La stabilità nel tempo della resa in luce per le sorgenti di calibrazione
utilizzate è stata monitorata durante tutto il periodo della presa dati. La
Figura (4.16) mostra gli andamenti delle LY per le tre sorgenti, nella quale
sono distinguibili nelle prime ore di messa in funzione del sistema una fase di
rapida crescita, seguita da un lungo periodo di stabilità in cui il valore della
LY si attesta sui 6 phel/keV (con una tendenza ad un’ulteriore crescita più
lieve).
Figura 4.15: Spettro dell’241 Am con la relativa funzione di fit gaussiana sovrapposta:
si riscontra un valore medio di ∼ 378 phel a cui corrisponde una misura di LY pari a
6.35 phel/keV (Eq. (4.2)).
100
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
In Fig. (4.17) sono mostrati i dati relativi all’esposizione della camera
ad Argon liquido all’isotopo 241 Am; in questo caso è stato eseguito un fit
lineare a partire dai primi punti che presentano caratteristiche di stabilità,
ottenendo dei valori per la resa in luce comunque superiori a 6 phel/keV .
Oltre al monitoraggio dell’andamento della resa in luce globale del rivelatore è stato effettuato anche il confronto, mostrato in Fig. (4.18), tra
la LY dell’intero dispositivo e i valori di resa in luce dei singoli fototubi per
un intervallo temporale in cui la presa dati è avvenuta in condizioni ottimali
(cfr. Sez. (4.2.3)). Il grafico mostra che sia la LY per l’intero dispositivo che
quelle per singolo PMT in tale intervallo presentano una buona stabilità. Si
può comunque notare come uno dei quattro fototubi installati nel rivelatore
presenti sistematicamente una resa in luce leggermente inferiore rispetto agli
altri (di ∼ 10%). Si potrebbe pertanto stimare, in assenza di questo effetto,
un valore derivato per la resa in luce di LY ' 6.5 ÷ 6.6 phel/keV .
Al termine della presa dati e prima dello svuotamento dell’Argon del rivelatore, è stata effettuata una misura diretta, mediante spettroscopia di massa,
[rosa], 137 Cs
[blu] e 133 Ba [azzurro]: dopo una rapida crescita si osserva un valore pressochè stabile
che si attesta intorno a 6 phel/ keV durante tutta la fase della presa dati.
Figura 4.16: Andamento temporale della LY per le sorgenti di
241 Am
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
Figura 4.17: Dati relativi all’esposizione del rivelatore alla sorgente di
101
241 Am.
Il fit
lineare mostra una LY di poco superiore a 6 phel/keV ottenuta considerando l’intero
periodo di esposizione
Figura 4.18: Analisi per le LY di singolo fototubo. Si nota che uno dei quattro
fototubi presenta una resa in luce leggermente inferiore rispetto agli altri.
102
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
Figura 4.19: Forme d’onda medie con fit esponenziali di un run di dati (in rosso) e
confronto con le misure di un altro test in cui il livello di impurità nell’Argon era nei
limiti attesi.
della purezza dell’Argon in fase gassosa presente all’interno della camera.
Con questo metodo sono state rilevate delle concentrazioni di GN2 diluito
in GAr superiori a quelle dichiarate dal fornitore. Infatti, alla linea di riempimento non sono stati applicati filtri per la rimozione delle concentrazioni
di Azoto residue, ma solo per quelle di O2 e H2 O, ritenute maggiormente
dannose alla raccolta della luce di scintillazione, come discusso alla Sezione
(3.2.4). La presenza di impurità nell’Argon contenuto nella camera si manifesta attraverso la riduzione della componente lenta τT del decadimento della
luce di scintillazione del LAr a causa dell’effetto di quenching sullo stato di
tripletto degli eccimeri Ar2∗ (Sezione (3.2.2)).
In Figura (4.19) è mostrato il confronto tra forme d’onda medie rilevate
nelle misure relative al presente lavoro e nelle misure relative ad un test
analogo ma effettuato in precedenza [82], utilizzando un solo fototubo ed
una camera di dimensioni inferiori ed in cui non sono state rivelate impurezze
residue superiori a quelle aspettate.
Dal confronto, si nota un’attenuazione della componente di tripletto mag-
4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI
103
giore nel segnale relativo alle misure effettuate con il rivelatore descritto nel
presente lavoro; stimando la costante di decadimento τT attraverso un fit
esponenziale, si ottiene:
τT =∼ 1130 ns.
(4.3)
Comparando tale valore con quello aspettato per l’Argon liquido ad una
purezza nominale, pari a τT ' 1300 ns [85, 86], si può stimare che la diminuzione dell’emissione luminosa dovuta alla presenza di impurità, si attesta
sul ∼ 10%, con relativa conseguente riduzione della LY.
Pertanto, sulla base dell’analisi dei dati raccolti nel presente lavoro, considerando la minor efficienza riscontrata per uno dei quattro fotomoltiplicatori
installati nel rivelatore e tenendo presente la perdita di una frazione della
luce dovuta all’effetto del quenching dell’Azoto, per la resa in luce può essere
ragionevolmente estrapolato un valore all’interno dell’intervallo:
LY ' 7 ÷ 7.5
phel
.
keV
(4.4)
Sulla base di questi risultati e di altri studi effettuati in precedenza [87],
si può pensare di ricavare il valore minimo di soglia energetica raggiungibile
per gli eventi di rinculo elettronico e per quelli di rinculo nucleare. Infatti,
stimando una soglia minima realistica di rivelazione per i rinculi elettronici,
espressa in phel, pari a ∼ 35 phel e considerando una LY=7 phel/keV , ne
consegue una soglia in energia per gli eventi di rinculo elettronico di ∼ 5 keV .
Per i rinculi nucleari, a causa dell’effetto di quenching della luce di scintillazione dovuto alle interazioni di particelle cariche pesanti in Argon liquido,
occorre considerare la riduzione della LY; assumendo un fattore di quenching
pari a 0.25 si otterrebbe una soglia in energia per gli eventi di rinculo nucleare inferiore a 20 keV . Il tutto si tradurrebbe direttamente, a parità di
esposizione per un rivelatore a LAr, in un incremento della sensibilità per gli
eventi di DM.
I risultati ottenuti mostrano quindi come rivelatori ad Argon liquido ad
elevata efficienza di raccolta per i segnali di scintillazione, che esibiscono
valori di LY∼ 7 phel/keV , siano in grado di rivelare eventi ionizzanti che
rilasciano in LAr energie di pochi keV quali possono essere le interazioni
104
CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN
ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE
dovute alle particelle di DM, validando cosı̀ la totale efficacia dei dispositivi
che fanno uso di questa promettente tecnologia.
Conclusioni
Nell’ultimo decennio la Materia Oscura ha visto un rinnovato interesse
da parte della comunità scientifica internazionale per le possibili conseguenze
che la sua definitiva scoperta potrebbe portare nella Fisica Astroparticellare,
nella Cosmologia e nell’Astrofisica. Di conseguenza la ricerca della DM è
stata protagonista di un grande sviluppo, soprattutto per quanto riguarda
le tecniche sperimentali e la costruzione di nuovi rivelatori, con una grande
attenzione nel campo dei rivelatori che utilizzando gas nobili liquefatti, ed in
particolare l’Argon, come mezzo attivo di rivelazione.
In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi, svolto nell’ambito
della fase di Ricerca e Sviluppo del programma WArP (WArP R&D), presso
i laboratori esterni dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN e volto
alla caratterizzazione di un rivelatore a LAr equipaggiato con fotomoltiplicatori di nuova generazione ad elevata efficienza quantica.
L’uso di tali dispositivi, unitamente alla tecnologia sin qui sviluppata
[47, 73, 86, 88, 83], ha permesso di mostrare sperimentalmente come un rivelatore ad Argon liquido con copertura fotocatodica del 12% possa raggiungere
una resa in luce superiore a 7 phel/keV , in modo da rendere possibile la rivelazione dei segnali derivanti dal deposito in LAr di energie di pochi keV ,
paragonabili a quelle attese per i segnali di WIMP. Tale risultato si riflette
direttamente in un incremento sostanziale della sensibilità del rivelatore per
gli eventi derivanti dalle interazioni delle particelle di DM.
Le condizioni sperimentali che hanno reso possibile ottenere determinati
valori di resa in luce sono ascrivibili in primo luogo all’utilizzo di fototubi ad
elevate efficienza quantica ed efficienza di collezione, altamente performanti
alle temperature dell’Argon liquido, i quali hanno mostrato una buona stabilità nella loro risposta durante l’intera fase di presa dati, all’elevata efficien-
106
CONCLUSIONI
za di conversione del selettore di lunghezze d’onda depositato sui materiali
che delimitano il volume attivo della camera utilizzata ed infine alla buona
purezza dell’Argon.
I risultati ottenuti confermano quindi come sia effettivamente possibile
realizzare dei rivelatori ad Argon liquido di grandi dimensioni per la ricerca
diretta della DM, senza che questi perdano le loro potenzialità e le loro
prestazioni.
I dati raccolti ed i risultati delle misure effettuate, riportati nel presente
lavoro di tesi, sono stati utilizzati nel lavoro per la pubblicazione del seguente
articolo:
“Demonstration and comparison of photomultiplier tubes at liquid Argon temperature”– 2012 JINST 7 P01016,
pubblicato su JINST - Journal of Instrumentation (IOP Publishing
Ltd and SISSA) [82].
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[83] R. Acciarri, et al . Test of PMT Signal Read-out in a Liquid Argon Dark
Matter Detector with a New Fast Waveform Digitizer. JINST Journal
of Instrumentation, 7, (2012).
[84] E. Segreto. An analytic technique for the estimation of the light yield of
a scintillation detector. JINST Journal of Instrumentation, 7, (2012),
P05008.
[85] T. Heindl, et al. The scintillation of liquid Argon. EPL, 91, (2010),
62002).
[86] R. Acciarri et al. Effects of Nitrogen contamination in liquid Argon.
JINST Journal of Instrumentation, 5, (2010), 06003.
[87] P. Kryczynski. The Effect of Using Isotopically Depleted Argon on Dark
Matter Detection Prospects. M. Sc. Thesis, , (2011).
[88] R. Brunetti et al. WARP: Wimp Argon Programme. LNGS P 36/04,
(2004).
Ringraziamenti
Durante i mesi dedicati allo svolgimento dell’intero lavoro di tesi, all’interno dei LNGS, ho avuto modo di conoscere e collaborare con persone
estremamente piacevoli ed interessanti. A loro, a quanti hanno reso possibile
il conseguimento di questo risultato ed a coloro che in tutto questo periodo
con la propria presenza mi hanno trasmesso preziosi insegnamenti vanno i
miei più sinceri ringraziamenti.
Tra questi, in primo luogo vorrei ringraziare il Prof. Flavio Cavanna e il
Prof. Giovanni B. Piano Mortari, per avermi dato l’opportunità di svolgere
questo importante lavoro di tesi in un ambiente eccezionalmente interessante
e stimolante, oltre che per la disponibilità certa sulla quale ho potuto sempre
contare e per la costante presenza, nonostante le distanze, durante l’intero
svolgimento delle attività.
Un sentito ringraziamento va senza dubbio al Dr. Nicola Canci, per il
costante grande impegno rivolto al miglior esito possibile di questo lavoro di
tesi, per l’abnegazione e la passione con le quali si è dedicato allo svolgimento
di tutte le attività, per il sostegno, per la serietà, la precisione e la puntualità
con cui ha seguito l’intero compiersi del lavoro, per tutte le volte che abbiamo
rispettato le scadenze anche rimanendo in Hall di Montaggio fino a notte
inoltrata, per le N versioni del file main che ha dovuto leggere e correggere,
e per quanto in questi mesi ho imparato da lui.
Ringrazio anche il Dr. Ettore Segreto, il Dr. Andrzej Szelc, e il Dr. Roberto Acciarri, amico di vecchia data, per la costante attenzione, per i chiarimenti e le delucidazioni, per i preziosi suggerimenti e per tutte le volte che
con pazienza e attenzione hanno apportato il loro insostituibile contributo.
Infine, il ringraziamento più vivo e profondo, che non ha bisogno di
parole, va alla mia bella famiglia, e ad Eleonora.
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