Università degli Studi di L’Aquila Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali Dipartimento di Fisica Corso di Laurea in FISICA Tesi di Laurea Caratterizzazione di un rivelatore ad Argon Liquido ad elevata efficienza di raccolta di segnali di scintillazione per applicazione in esperimenti di rivelazione diretta di Materia Oscura Relatore Prof. Giovanni B. PIANO MORTARI Co-relatore Prof. Flavio CAVANNA Relatore Esterno Dr. Nicola CANCI Anno Accademico 2011/2012 Candidato Mattia FANÌ Indice Introduzione 1 La Materia Oscura 1.1 Principi Cosmologici . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre . . . . . 1.1.2 Evoluzione dell’Universo . . . . . . . . . . 1.1.3 Soluzioni del Modello Standard . . . . . . 1.2 Evidenze sperimentali dell’esistenza di DM . . . . 1.2.1 La Materia Oscura nelle galassie a spirale 1.2.2 Lenti gravitazionali . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Raggi X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.4 CMB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.5 Candele Standard . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Candidati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Caratterizzazione di un modello di DM . . . . . . 1.4.1 Strutturazione delle galassie . . . . . . . . 1.4.2 La Materia Oscura nella Via Lattea . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . 2 La Ricerca della Materia Oscura 2.1 Tecniche di Rivelazione della Materia Oscura . . . . 2.1.1 Rivelazione indiretta della Materia Oscura . 2.1.2 Rivelazione diretta della Materia Oscura . . 2.2 Tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura 2.3 Esperimenti di rivelazione diretta di DM . . . . . . 2.3.1 Cristalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.2 Liquidi Isolanti Super Riscaldati, SHIL . . . 2.3.3 Gas nobili liquefatti, LNG . . . . . . . . . . 2.3.4 Stato attuale della Ricerca . . . . . . . . . . 2.4 L’ Argon liquido come bersaglio per le WIMP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 6 7 8 13 14 15 18 19 19 20 21 24 24 27 . . . . . . . . . . 31 32 32 35 38 42 42 45 47 51 51 INDICE 3 Processi di ionizzazione e scintillazione in Argon liquido 3.1 Processi di ionizzazione in Argon liquido . . . . . . . . . . . 3.1.1 Produzione di coppie ione – elettrone in LAr . . . . . 3.1.2 Ricombinazione ione-elettrone in Argon liquido . . . 3.1.3 Cattura elettronica da parte delle impurità . . . . . . 3.2 La luce di scintillazione in LAr . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Emissione di Luce di scintillazione in Argon liquido . 3.2.2 Fenomeni di riduzione della luce in LAr: quenching ed electron escaping . . . . . . . . . . . . 3.2.3 Dipendenza dell’impulso luminoso dalla densità di ionizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.4 Attenuazione della radiazione dovuta alle impurità . 55 56 57 59 60 61 64 . . . . . . . 68 . 71 . 74 4 Analisi di segnali di scintillazione in Argon liquido e misure di resa in luce 4.1 Descrizione generale dell’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 La camera ad Argon liquido . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.2 Il sistema criogenico e di purificazione . . . . . . . . . . 4.1.3 Il sistema di raccolta della luce di scintillazione . . . . 4.1.4 Il sistema di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . 4.1.5 Operazioni di assemblaggio e messa in funzione dell’apparato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Analisi dei dati e risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Il programma di analisi dati . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.2 Risposta al singolo fotoelettrone . . . . . . . . . . . . . 4.2.3 Stabilità della SER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.4 Misure di resa in luce del rivelatore . . . . . . . . . . . 4.2.5 Considerazioni sull’andamento della resa in luce . . . . 77 78 79 80 83 86 87 88 89 90 93 96 99 Conclusioni 105 Bibliografia 107 Introduzione La ricerca della Materia Oscura (Dark Matter, DM ) costituisce attualmente una delle principali linee di ricerca nel campo della Fisica Astroparticellare. Infatti, numerose osservazioni di carattere cosmologico ed astronomico lascerebbero intuire che, nell’Universo, oltre un quinto della quantità di massa–energia debba essere costituito da DM, mentre la materia barionica ordinaria coprirebbe il solo 5% della materia totale. A livello teorico, inoltre, il concetto di Materia Oscura giocherebbe un ruolo centrale nella formulazione delle teorie di evoluzione dell’Universo e nella modellizzazione della formazione di strutture stellari, galassie ed ammassi galattici. Alcune predizioni teoriche suggeriscono infatti che la Materia Oscura sia costituita da particelle denominate WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), derivanti dal Big Bang; in particolare, l’estensione SuperSimmetrica del Modello Standard prevede l’esistenza di particelle stabili, massive e debolmente interagenti. Tuttavia, per quanto nei modelli possa essere importante e per quanto nel cosmo possa essere considerata abbondante, ad oggi non si ha una prova definitiva attraverso rivelazioni dirette dell’esistenza della Materia Oscura. In generale, gli esperimenti per la ricerca diretta della DM devono essere caratterizzati da una bassa soglia in energia, grande massa, lungo tempo di esposizione ed efficiente reiezione del fondo, in modo tale da poter rivelare, a seguito di interazioni, anche piccole quantità di energia depositata nei rivelatori (1 ÷ 100 keV ). In questo contesto la ricerca diretta della DM mediante l’utilizzo dei Gas Nobili Liquefatti (LNG), ed in particolare dell’Argon liquido (LAr) quale mezzo bersaglio/rivelatore, rappresenta una delle più promettenti linee di sviluppo nelle tecnologie sperimentali; essi vengono utilizzati in diversi apparati sia in singola fase (liquida) che in doppia fase (liquido– 2 INTRODUZIONE gassosa) permettendo di riconoscere e discriminare interazioni derivanti da particelle differenti. Infatti, il passaggio di particelle ionizzanti all’interno di un volume di LNG produce eccitazioni atomiche e ionizzazione (coppie ione–elettrone), seguite da fenomeni di ricombinazione: entrambi i processi portano all’emissione di luce di scintillazione. In presenza di un campo elettrico costante nel volume attivo di LAr, gli elettroni di ionizzazione seguono un moto di deriva; questi ultimi possono essere rivelati assieme ai segnali di luminescenza, fornendo informazioni sull’evento ionizzante. Naturalmente, la reiezione del fondo e la discriminazione dei segnali derivanti dalle varie particelle interagenti costituiscono degli aspetti di fondamentale importanza per i rivelatori ad Argon liquido. Tali caratteristiche possono essere migliorate aumentando la capacità di raccolta dei segnali di luce di scintillazione da parte del rivelatore. Sulla base di tali considerazioni è stato svolto il presente lavoro di tesi, con l’obiettivo di mettere a punto una tecnologia capace di ottimizzare la raccolta dei segnali di luce di scintillazione prodotti dalle interazioni di particelle in LAr e caratterizzare, dal punto di vista della resa in luce, un rivelatore ad Argon liquido equipaggiato di fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica. Il presente lavoro, svolto nell’ambito della fase di Ricerca e Sviluppo del programma WArP (WArP R&D), presso i laboratori esterni dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, è articolato in quattro capitoli. Nel primo capitolo viene illustrato il problema della DM attraverso una trattazione del contesto teorico e delle evidenze che portano a ritenerne estremamente attendibile l’esistenza, oltre ai possibili candidati ed al ruolo giocato nella formazione delle galassie ed all’interno della Via Lattea. Nel secondo capitolo viene descritto il panorama attuale nel campo della ricerca di questo tipo di fenomeni rari, illustrando le più importanti tecniche di rivelazione sviluppate, i principali esperimenti dedicati ed i maggiori risultati ottenuti. Il terzo capitolo è volto alla descrizione dei principali processi in cui viene rilasciata energia in Argon liquido: dopo la trattazione dei meccanismi di produzione di coppie ione-elettrone e di ricombinazione, particolare attenzione è stata rivolta ai processi relativi alla produzione di luce di scintillazione INTRODUZIONE 3 in LAr. Infine nel quarto capitolo vengono presentati i risultati delle misure di resa in luce effettuate con il rivelatore ad Argon liquido equipaggiato con fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica; pertanto vengono descritti in dettaglio le varie parti costituenti l’apparato sperimentale utilizzato, l’analisi dei segnali raccolti ed i risultati ottenuti con questo dispositivo. 4 INTRODUZIONE Capitolo 1 La Materia Oscura La Materia Oscura rappresenta uno dei più intrigati enigmi della Fisica Moderna. Oltre alle considerazioni teoriche che verranno evidenziate, sono molti gli esperimenti che suggeriscono che la maggior parte della materia contenuta nell’Universo non possa essere ascrivibile alla materia ordinaria finora conosciuta. L’idea della DM risale al 1933, quando l’astronomo F. Zwicky stimò le masse di alcuni ammassi di galassie lontani e di grande massa a partire dalle luminosità dei singoli elementi componenti. Osservando poi le velocità reciproche mostrate dalle singole galassie ed applicando il teorema del viriale, che mette in relazione l’energia cinetica media di un sistema con la sua energia potenziale totale, si accorse che le masse in gioco avrebbero dovuto essere ben più abbondanti rispetto a quelle calcolate in precedenza. La massa degli ammassi di galassie studiati, quindi, doveva essere 400 volte superiore rispetto a quella calcolata sulla base delle sole luminosità, il che lasciava presagire che fino a quel momento era stata del tutto ignorata l’esistenza della maggior parte della materia presente nell’Universo [1]. Sebbene l’evidenza sperimentale della presenza di Materia Oscura si avesse già dai tempi di Zwicky, è solo dagli anni ‘70 dello scorso secolo che si è cominciato ad approfondirne la conoscenza, ripartendo dalla discrepanza nei dati rilevata dallo stesso astronomo che ne era stato scopritore. 6 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA 1.1 Principi Cosmologici Nel 1929 Hubble aveva osservato che le linee spettrali della luce proveniente da galassie lontane apparivano sistematicamente spostate verso le frequenze del rosso (redshift), ed attribuı̀ questo risultato all’effetto Doppler associato alla velocità di recessione v = βc delle radiazioni, in accordo con l’equazione seguente p λ0 = λ (1 + β)(1 − β) = λ(1 + z) (1.1) dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione emessa dalla sorgente a riposo, e z = ∆λ/λ indica il parametro di redshift [2]. Nei suoi studi Hubble trovò che la velocità v delle galassie è proporzionale alla distanza r dalla Terra secondo la legge v = Hr (1.2) dove H è detta Costante di Hubble1 . Tuttavia, per valori molto piccoli del parametro di redshift, z 1, la Eq. (1.1) potrebbe essere interpretata come una variazione di lunghezze d’onda dovuta all’effetto Doppler e il fattore (1 + z) in generale descriverà un’espansione pressoché omogenea ed isotropa dell’Universo diretta in tutte le direzioni e dovuta ad un fattore universale R(t). Una distanza generica allora potrebbe essere definita con r(t) = R(t)r0 (1.3) indicando con lo zero al pedice le quantità riferite al tempo t = t0 , cosicché, ad esempio, R(t0 ) = R0 = 1. Si avrà dunque v(t) = Ṙ(t)r0 (1.4) ed è possibile ridefinire la costante di Hubble come H= 1 Ṙ R (1.5) Il valore della costante H0 oggi accettato è circa sette volte inferiore rispetto a quello utilizzato dallo stesso Hubble. Tuttavia, tutte le osservazioni successive hanno confermato che la relazione esistente tra distanza e velocità di recessione è lineare. 1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI 7 Lo spostamento verso il rosso è stato il primo e più longevo strumento d’indagine cosmologica: ha permesso di misurare l’Universo, di valutarne l’accelerazione, l’età e la densità media. Ha permesso di elaborare lo scenario di Universo in espansione attualmente visto come standard, il quale, estrapolato indietro nel tempo, porta ad una singolarità, un punto nel tempo in cui tutte le distanze erano nulle. L’istante in cui t = 0 infatti si fa coincidere con l’origine dell’Universo, denominato Big Bang, su proposta di Lemaı̂tre (1923) e successivamente di Gamow (1948). La teoria del Big Bang, a causa della forte assunzione che pone sull’istante zero, non risulta adeguata nella descrizione dei primissimi istanti di vita dell’Universo. Si pensa perciò che una teoria, ancora sconosciuta, della gravità quantistica inizierebbe ad operare prima che le distanze diventino precisamente zero. Ad esempio, nella teoria delle stringhe, al di sotto di una certa distanza minima, detta lunghezza di stringa e pari a circa 10−35 cm, la repulsione tra le stringhe stesse diventa maggiore di qualsiasi effetto gravitazionale. 1.1.1 Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre La descrizione dell’Universo oggi maggiormente accettata è basata sul modello di Friedmann-Robertson-Walker, più conosciuto come Modello Standard, che deriva dall’applicazione del Principio Cosmologico2 [3] alla Teoria della Relatività Generale. Considerando allora un set di coordinate comoventi3 , la metrica di Robertson-Walker può essere espressa come ds = c dt − R (t) 2 2 2 2 dr2 + r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 ) 2 1 − Kr (1.6) dove R(t) è il fattore di scala cosmico e K è una costante proporzionale alla curvatura dello spazio tridimensionale. Ridimensionando la coordinata radiale, la costante di curvatura K può assumere i soli valori discreti +1, −1 e 0 che corrispondono, rispettivamente, ad uno spazio tridimensionale chiuso, 2 “Nessun osservatore occupa una posizione preferita nell’Universo”, ossia lo spazio è omogeneo ed isotropo: ogni punto nell’Universo è uguale a ciascun altro e non esistono direzioni privilegiate. 3 In Cosmologia con la distanza comovente si definiscono le distanze tra gli oggetti in maniera indipendente dal tempo. 8 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA aperto, o piatto. Si può mostrare, inoltre, che è il fattore di scala cosmico, R(t), a parametrizzare la dinamica dell’Universo. L’evoluzione temporale dell’Universo è data dalla soluzione dell’Equazione di campo di Einstein nella Relatività Generale Gab = 8πGTab (1.7) dove G è la costante di gravitazione universale, che descrive la relazione tra la curvatura spaziotemporale (Gab ) e l’energia (Tab ) contenuta in essa, ma lo sviluppo nel tempo di una distribuzione di materia omogenea ed isotropa sarà dato dalle Equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre, che si ottengono inserendo la metrica definita nell’Eq. (1.6) all’interno dell’Equazione di Einstein, alle quali il fattore di scala R(t) obbedisce: 2 8πG Kc2 Λ Ṙ = ρ− 2 + H = R 3 R 3 (1.8) Λ 4πG R̈ = − (ρ + 3p) R 3 3 (1.9) 2 dove ρ indica la densità di materia (e radiazione) presente nel cosmo, p la sua pressione, mentre Λ è la costante cosmologica. Introdotta da Einstein prima dell’affermarsi della teoria del Big Bang allo scopo di compensare la tendenza dello spazio in alcuni modelli a contrarsi o in altri ad espandersi, e poi abbandonata dal suo stesso ideatore dopo le osservazioni di Hubble che sembravano mostrare definitivamente che l’Universo fosse in espansione, la costante cosmologica Λ viene oggi associata al concetto di energia di vuoto o energia oscura, in virtù dell’evidenza dalle osservazioni sul redshift di alcune SuperNovae di una sorta di gravità repulsiva, da cui seguirebbe un’accelerazione nell’espansione dell’Universo. 1.1.2 Evoluzione dell’Universo Può essere interessante notare che combinando le due Eqq. (1.8) e (1.9) si riottiene la Prima Legge della Termodinamica 1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI 9 d ρR3 = −3pR2 Ṙ (1.10) dt e che la Eq. (1.8) si può ricavare anche dalla Meccanica Classica. Considerando infatti una sfera di raggio R e densità ρ in espansione secondo la Eq. (1.2), una galassia di massa m posta alla distanza r subirà una forza di richiamo data dalla massa M = 4πR3 ρ/3 della sfera, ed obbedirà alla legge di conservazione dell’energia Mm R2 che con opportuna scelta delle costanti di integrazione diventa mR̈ = −G Mm 1 1 mṘ2 − G = cost = − Kmc2 2 R 2 (1.11) (1.12) Infine, moltiplicando la Eq. (1.12) per 2/mR2 si riottiene l’Equazione di Friedmann (1.8) per Λ = 0. Nell’ Eq. (1.12), il termine sulla sinistra rappresenta la somma tra l’energia cinetica e l’energia potenziale della massa m, cosı̀ il termine sulla destra ne indicherà l’energia totale. Come illustrato in Fig. (1.1), se K < 0 il termine di curvatura −Kc2 /R2 sarà positivo ed avremo un’energia totale E > 0, per cui la galassia non risulterà legata e si allontanerà indefinitamente. In questo caso parleremo di Universo aperto. Per K > 0 invece si avrà un termine di curvatura negativo, l’energia totale sarà negativa, la galassia finirà per collassare al centro della sfera dando vita allo scenario del Big Crunch, e si parlerà di Universo chiuso. Infine, nel caso in cui K = 0 l’energia cinetica e quella potenziale si bilanciano, cosı̀ sia l’energia totale che la curvatura saranno nulle, dando luogo allo scenario di Universo piatto, per cui esisterebbe un’espansione limite che l’Universo raggiungerebbe asintoticamente nel corso della sua evoluzione. A questo punto, essendo v = H0 r e M = 4πr3 ρ/3, si definisce a partire dalla Eq. (1.8) la densità critica ρc come la densità di energia o materia per cui K = 0: ρc ≡ 3H 2 8πG (1.13) 10 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA Figura 1.1: Andamento del parametro di scala R(t) in funzione del tempo per i tre valori di K. È interessante notare che al tempo attuale l’Universo appare ancora in espansione, ma le incertezze in gioco sono tali per cui non si può affermare con certezza quale sia lo scenario verso il quale si stia avviando. Stabilita la densità di riferimento ρc è possibile esprimere tutte le densità cosmologiche in funzione di essa. Si definisce parametro di densità cosmica, Ω: Ω≡ 8πG ρ = ρ ρc 3H 2 (1.14) dove ρ è la densità di energia dell’Universo. Può essere utile anche definire un fattore di scala a(t) ≡ r/r0 , che viene normalizzato a 1 al tempo attuale t0 . La costante di Hubble, H, definita nella Eq. (1.5), se riscritta nei termini del fattore di scala non risulta più costante nel tempo. Si parla allora di parametro di Hubble, H(t) H(t) = 1 da a dt (1.15) che tuttavia resta costante nello spazio al tempo attuale t0 : H0 = H(t0 ). La prima delle equazioni di Friedmann-Lemaı̂tre (1.8) risulta: Ω=1+ Kc2 H 2 R2 (1.16) 1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI 11 Pertanto, il parametro di densità cosmico Ω ad un particolare tempo cosmico, ad esempio quello attuale, è strettamente legato alla curvatura dell’Universo, come mostrato in Fig. (1.3), e si avrà che: k < 0 ⇒ Ω < 1 U niverso aperto k = 0 ⇒ Ω = 1 U niverso piatto k > 0 ⇒ Ω > 1 U niverso chiuso Di solito si distinguono anche i differenti contributi alla densità Ω e si definiscono ΩΛ (= Λ/3H 2 ) che indica la densità di energia del vuoto, Ωm che indica la densità di energia della materia ordinaria, e Ωr che indica quella della radiazione. Se si assume che l’Universo contiene solo materia ordinaria e radiazione, e quindi che ρ > 0 e p > 0, la conoscenza di Ω determina in maniera univoca l’evoluzione dell’Universo stesso. Escludendo la presenza della costante cosmologica, e quindi uguagliando Λ a zero nella Eq. (1.8), restano possibili solo gli scenari di dominazione della materia non relativistica (ρ ∝ R−3 ) e di dominazione della radiazione (ρ ∝ R−4 ), come verrà mostrato alla Sezione (1.1.3). In ogni caso, quindi, all’aumentare di R, ρ decrescerà più velocemente di R−2 . Segue dalla Eq. (1.8) che Ṙ non si annulla mai per K ≤ 0, mentre per K > 0 si annulla per un certo valore di R e diventa negativo a R maggiori. Quindi un Universo aperto o piatto (Ω ≤ 1) espande sempre, mentre un Universo chiuso (Ω > 1) può collassare (Fig. (1.2)). Un’altra importante caratteristica di un Universo senza costante cosmologica è che la sua evoluzione deve essere necessariamente decelerata, come si deduce dalla Eq. (1.9), considerando che ρ, p ≥ 0, e tenendo conto del fatto che la gravità ordinaria è sempre attrattiva. Nel caso in cui si consideri invece anche la costante cosmologica, la connessione tra geometria ed evoluzione viene persa: sia l’espansione eterna che il collasso sono possibili per ogni tipo di geometria, a seconda del valore della densità di energia di vuoto ρΛ e di materia ordinaria ρM . Una evidenza cruciale della necessità della presenza della costante cosmologica è che l’evoluzione cosmica può essere accelerata. Nell’Universo attuale, in cui la densità di energia della radiazione è trascurabile rispetto a quella della materia non relativistica, ciò può avvenire se risultano verificate 12 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA Figura 1.2: L’immagine mostra l’espansione dell’Universo in funzione del tempo a diversi valori dei contributi al parametro di densità cosmica Ω. Si possono distinguere i diversi andamenti legati agli scenari di Universo chiuso, piatto o aperto. Nel caso di Universo aperto è presente il parametro ΩΛ che determina prima un rallentamento e poi una nuova accelerazione nell’espansione dell’Universo. Da notare che sulla base dei contributi al parametro di densità varia anche la posizione sulla scala temporale del punto di origine dell’Universo. Figura 1.3: Rappresentazioni della geometria dell’Universo in funzione del parametro di densità cosmico, Ω. Lo scenario di Universo piatto (Ω = 1) corrisponde ad un Universo a geometria euclidea, mentre agli scenari di Universo aperto (Ω < 1) e di Universo chiuso (Ω > 1) corrispondono rispettivamente geometria iperbolica e geometria sferica. 1.1. PRINCIPI COSMOLOGICI 13 le seguenti condizioni, derivate dalla Eq. (1.9) ρΛ > 0 ρM < 2ρΛ (1.17) Pertanto, quando domina la pressione negativa del vuoto, è come se la gravità divenisse, su scale cosmiche, repulsiva. 1.1.3 Soluzioni del Modello Standard L’espansione dell’Universo, dall’epoca dell’inflazione fino ad oggi, risulta in accelerazione, per cui si è affermata la dominazione di una costante cosmologica, o di una qualche altra forma di energia oscura. Si può assumere come generica equazione di stato per l’Universo una relazione che leghi la densità di materia e radiazione nel cosmo, ρ, alla pressione che questa esercita, p, tale che p = ωρ (1.18) dove, in base alla termodinamica, ω viene considerata costante ed assume i seguenti valori: materia non relativistica 0 ⇒ p=0 1/3 ⇒ p = 31 ρ radiazione ω= −1 ⇒ p = −ρ energia di vuoto È da sottolineare che, nel caso in cui ω = −1, p e ρ sono di segno opposto e che sulla base di tale osservazione si può introdurre la presenza di una energia di vuoto, a cui è associata la costante cosmologica Λ. Inserendo la Eq. (1.18) nella Eq. (1.10), si ottiene la relazione che lega ρ al fattore di scala R: ρ ∝ R−3(1+ω) (1.19) Dunque, a seconda del tipo di materia dominante nell’Universo si ha ρ ∝ R−3 , era dominata dalla materia non relativistica; ρ ∝ R−4 , era dominata dalla materia relativistica (radiazione); ρ = cost, era dominata dall0 energia di vuoto. 14 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA Le prime due relazioni hanno una semplice spiegazione fisica. Se l’energia e la massa dell’Universo fossero rappresentate dalla sola materia visibile, ogni galassia si comporterebbe come un granello di polvere di energia cinetica trascurabile rispetto alla densità di energia totale (Matter Dominated Model ). All’aumentare del volume dell’Universo, le galassie si farebbero sempre più rade e la loro densità numerica N diminuirebbe come R−3 . Le singole energie allora tenderanno a coincidere con le energie a riposo e la densità di energia coinciderà con la densità di materia che, a sua volta è proporzionale a N e quindi a R−3 (ρ ∝ R−3 ). Per un Universo dominato invece dalla sola radiazione (Radiation Dominated Model ), la densità di energia risulta legata alla densità numerica di fotoni ed alla loro energia: il primo termine ha un andamento identico a quello sopra indicato, mentre il secondo a causa del redshift gravitazionale diminuisce al crescere del fattore di scala come R−1 , da cui ρ ∝ R−4 . 1.2 Evidenze sperimentali dell’esistenza di DM A questo punto è chiaro come Ωtot , la quantità che rappresenta l’energia totale contenuta nello spazio-tempo, attraverso l’utilizzo della Eq. (1.16) diventi uno dei parametri essenziali per la determinazione della geometria e dell’evoluzione dell’Universo. Una serie di osservazioni nel contesto della teoria gravitazionale standard suggerisce che la componente più cospicua della materia sia una massa non visibile che non assorbe né emette radiazione luminosa [4]. In accordo con queste osservazioni, la cosiddetta massa visibile, quella associata alla materia ordinaria, non risulta più sufficiente a spiegare i problemi legati alla dinamica di ammassi e galassie e, di conseguenza, alla struttura attuale dell’Universo. Da tali considerazioni scaturisce la necessità di ipotizzare che una grande frazione della materia totale dell’Universo sia non visibile e, quindi, oscura. 1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM 1.2.1 15 La Materia Oscura nelle galassie a spirale Si definisce per prima cosa il rapporto Υ tra la massa e la luminosità4 di un dato oggetto astronomico5 , che quantifica la massa totale dell’oggetto in termini di luminosità emessa: Υ= M/M L/L (1.20) Le galassie a spirale sono composte da un nucleo centrale di forma globulare, più o meno prominente, detto bulge, o bulbo, e da alcune braccia avvolte a spirale che formano un disco più sottile, il disco galattico. Il tutto è immerso in un alone sferoidale, detto alone galattico. Le stelle e le nubi di Idrogeno, nelle galassie a spirale, sono principalmente contenute nel disco, caratterizzato da un profilo di luminosità superficiale I esponenziale: I(R) ∝ e−R/Rd , (1.21) dove R è la distanza dal centro della galassia (distanza galattocentrica) e Rd la lunghezza di scala del disco; tipicamente Rd ' 2 ÷ 4 Kpc, mentre il raggio ottico del disco risulta essere Ropt ' 4 Rd . Le stelle e le nubi di Idrogeno compiono orbite quasi circolari attorno al centro galattico in modo da contrastare l’attrazione gravitazionale e all’equilibrio l’accelerazione gravitazionale sarà uguale a quella centrifuga vc2 (R) = −gR (R, 0). R (1.22) Per la terza legge di Keplero, le stelle con orbite galattiche maggiori dovrebbero avere velocità orbitali minori. Tuttavia, nelle osservazioni condotte negli anni sulle velocità orbitali delle stelle nelle regioni periferiche di un gran numero di galassie a spirale, si vede che le velocità orbitali invece di diminuire rimangono con ottima approssimazione costanti anche a grandi raggi. Misurando allora le velocità circolari delle stelle a diversi valori del raggio (sfruttando l’effetto Doppler di alcune linee spettrali nella banda ottica e radio, come la linea di emissione a 21 cm dell’Idrogeno), si può costruire 4 5 Luminosità ottica assoluta riferita alla banda del blu. Il suffisso indica il valore per il Sole della quantità considerata. 16 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA la curva di rotazione, ossia il grafico di vc in funzione di R che fornisce l’accelerazione gravitazionale gR (R, 0) del disco: è questa la relazione che si trova alla base della migliore strategia per la ricerca di Materia Oscura nelle galassie a spirale [3]. Una discrepanza tra la curva di rotazione misurata e quella calcolata per la sola materia luminosa presente nella galassia può costituire un chiaro segnale della presenza di Materia Oscura. Sperimentalmente si osserva che la curva di rotazione cresce linearmente nella regione più interna fino a raggiungere un massimo attorno a R ' 2Rd , dopo il quale resta sostanzialmente piatta. R R < Rd vc (R) ∼ (1.23) cost R > 3 Rd Per poter ottenere l’andamento della curva di rotazione relativo alla sola materia luminosa, è necessario convertire il profilo di luminosità I(R), dato dalla Eq. (1.21) con Rd fissato, nel profilo di densità superficiale del disco Σ(R): poiché i gradienti di colore e luminosità nei dischi delle galassie a spirale sono generalmente modesti, ha senso supporre che il rapporto massa– luminosità Υd del disco sia costante. Sotto questa assunzione è possibile scrivere Σ(R) ∼ Υd I(R) (1.24) che, assieme alla Eq. (1.21), fornisce Σ(R) ∼ e−R/Rd (1.25) Tale distribuzione produce una curva di rotazione che cresce linearmente nella regione più interna fino ad un massimo raggiunto attorno a R ' 2 Rd , al quale segue per grandi distanze una discesa come R−1/2 : vc (R) ∼ R R < Rd R−1/2 R > 3 Rd (1.26) Mettendo a confronto le Eqq. (1.23) e (1.26), si osserva un buon accordo nella regione più interna del disco (R < Rd ), mentre nella regione più esterna, R > 3 Rd , essendo la velocità circolare sistematicamente maggiore di quella 1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM 17 Figura 1.4: Curva di rotazione della galassia a spirale NGC 6503 [5, 6]. Le linee indicano il contributo del disco galattico, del gas e dell’alone oscuro, quest’ultimo necessario a riprodurre la curva sperimentale osservata. La linea continua riguarda la combinazione dei contributi. aspettata sulla base della sola materia luminosa, il disaccordo diventa molto più significativo (Fig. 1.4). Il valore costante della velocità rilevata sperimentalmente suggerisce che M (r) ∝ r a grandi raggi, dove M (r) indica la massa contenuta all’interno di una sfera di raggio r. La discrepanza tra i due andamenti può essere colmata se si considera un alone di materia non visibile caratterizzato da un profilo di densità proporzionale, per grandi valori6 di r, a r−2 . Questo tipo di andamento è fornito da una serie di modelli chiamati a sfera isoterma, che descrivono particelle di massa mχ , in equilibrio termico, interagenti solo gravitazionalmente. Il più semplice di questi si basa su assunzioni di isotropia e simmetria sferica, e fornisce un profilo di densità 1 (1.27) + a2 dove a è il raggio del nucleo ed è utilizzato per mantenere finita la densità a piccole distanze dal centro galattico. Le considerazioni sin qui riportate sono ρχ ∝ 6 r2 Per avere M (r) ∝ r e dunque una velocità tangenziale costante a grandi r, è necessario assumere un alone sferico (il cui volume cresce come r3 ) con profilo di densità ρχ ∝ r−2 . 18 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA applicabili ad un gran numero di galassie a spirale [7] ed ovviamente anche alla Via Lattea; sommando i contributi provenienti dalle galassie la quantità di materia contenuta nell’Universo viene valutata essere ΩM ≈ 0.2 ÷ 0.3 [8]. Di questa quantità, solamente una piccola frazione si riferisce alla materia visibile (Ωvis ≈ 0.04). 1.2.2 Lenti gravitazionali Con lente gravitazionale [9] si indica l’effetto di distorsione che la luce subisce quando passa vicino a grandi agglomerati di materia, come ad esempio i cluster di galassie. Un attento studio delle immagini ottenute da tali osservazioni fornisce informazioni sulla distribuzione di massa propria della lente, e quindi sulla presenza di Materia Oscura nel cluster. I fenomeni di lensing si classificano in base alla massa dell’agglomerato di materia che viene preso come lente, e su scala cosmologica vanno dallo strong lensing al weak lensing, mentre per gli eventi su scala galattica si parla di microlensing, o meglio, di microlenti gravitazionali. Lo strong lensing si verifica solo per cluster regolari e in condizioni di perfetto allineamento osservatore – ammasso – sorgente. In questo caso l’immagine della sorgente si può distorcere fino a formare un cerchio attorno al cluster, chiamato anello di Einstein, di cui saranno visibili uno solo o entrambi gli archi opposti. Poiché è semplice determinare sia il raggio dell’arco che le distanze di ammasso e sorgente, da questi dati sarà possibile anche stimare la massa racchiusa nell’anello. Tuttavia, anche masse più piccole producono comunque delle distorsioni nella percezione delle galassie sullo sfondo (weak lensing), e poiché il lensing comprime l’immagine in una direzione e l’allunga nell’altra, le immagini ottenute vengono chiamate archetti : l’ellitticità degli archetti fornisce informazioni sulla forza del campo gravitazionale in ogni posizione dell’archetto e quindi, in ultima analisi, sulla massa del cluster. Riguardo la dinamica delle galassie all’interno degli ammassi, sono state effettuate osservazioni su circa 100 ammassi [8]. Ciascuna galassia apparte- 1.2. EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’ESISTENZA DI DM 19 nente all’ammasso viene considerata come massa di prova al fine di dedurre il potenziale gravitazionale: la relativa velocità di dispersione indica che la massa generante il potenziale è maggiore di quella visibile. Se si considerano gli ammassi, le più grandi strutture autogravitanti in natura, come rappresentativi dell’Universo, le misure forniscono ΩM ≈ 0.2 ÷ 0.4 [8]: ancora una volta ΩM Ωvis . 1.2.3 Raggi X Alle stesse conclusioni si può giungere attraverso la rivelazione dei raggi X emessi per bremsstrahlung dalle grandi quantità di gas ionizzato negli ammassi [8]. Assumendo un equilibrio idrostatico, è possibile esprimere la massa totale del cluster in funzione della temperatura e della densità del gas ionizzato, a loro volta connessi alla densità luminosa7 dei raggi X. Seguendo tale approccio è possibile esprimere la massa totale del cluster come funzione della distribuzione di raggi X fornita da vari esperimenti come CHANDRA [10] e ROSAT [11]. I risultati ottenuti dalle misure indipendenti effettuate su galassie e strutture a larga scala sono in buon accordo, indicando che la Materia Oscura è raccolta attorno alle galassie e non diffusa nello spazio tra di esse. 1.2.4 CMB Ulteriori evidenze della presenza di Materia Oscura possono essere ricercate su scala cosmica. La teoria del Big Bang prevede l’esistenza di un fondo di fotoni, originatosi al momento del disaccoppiamento radiazione – materia e la cui lunghezza d’onda aumenta a causa del redshift provocato dall’espansione dell’Universo, chiamato Radiazione Cosmica di Fondo (Cosmic Microwave Background, CMB ). Tale radiazione è stata effettivamente scoperta nel 1964 da Penzias e Wilson ed il suo studio permette di ricavare informazioni sui valori di Ω totale e per ciascuna delle componenti dell’Universo: in particolare, dallo studio dell’anisotropia dello spettro del CMB 7 M (r) ∼ βkB Tg r Gm 1/3β 1 − jX (r) [3], dove Tg è la temperatura del gas, jX (r) la densità luminosa di raggi X e β ' 0.4 ÷ 1.0. Sussiste inoltre la relazione jX (r) ∝ n2g (r) con ng (r) densità del gas. 20 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA (effettuata da vari esperimenti come BOOMERANG, WMAP e MAXIMA) e dalla posizione del primo picco acustico si ottiene la seguente espressione Ωtot = ΩΛ + ΩM ≈ 1, (1.28) corrispondente per l’epoca attuale ad un Universo piatto; dal rapporto tra l’ampiezza del primo e secondo picco acustico si ricava ΩB = 0.045, (1.29) dove ΩB rappresenta la componente della densità associata alla materia ordinaria (barionica). Va sottolineato che il contributo fornito dalla radiazione cosmica è ΩCM B = 4.9 · 10−5 , ossia assolutamente trascurabile rispetto alle componenti citate; per questo motivo non verrà presa in considerazione nei seguenti discorsi sull’attuale composizione dell’Universo. 1.2.5 Candele Standard Ulteriori indicazioni su scala cosmologica provengono dallo studio dell’espansione dell’Universo effettuato attraverso l’utilizzo di candele standard, oggetti astronomici di luminosità nota: il confronto tra la loro luminosità relativa (ossia quella osservata) e la luminosità assoluta (conosciuta a priori) permette di determinare la distanza a cui si trovano. A questa classe appartengono le supernovae Ia, il cui studio ha permesso di giungere alla condizione [12, 13] ΩΛ ≈ 1.33ΩM + 0.33 (1.30) che indica, in base alla Eq. (1.17), un Universo in espansione accelerata dominato dalla componente di energia del vuoto. Tale risultato, ottenuto con tecniche sperimentali molto diverse tra loro, fornisce uno scenario cosmologico caratterizzato da ΩΛ ≈ 0.71 ΩM ≈ 0.29 (1.31) dal quale si evince che, poiché Ωvis ≈ 4.95 · 10−3 è trascurabile, la maggior parte dell’energia sotto forma di materia è costituita da materia non visibile (oscura). Dal confronto tra le Eqq. (1.31) e (1.29) si deduce inoltre che circa l’86% della materia oscura deve essere esotica, ossia non-barionica: in altre 1.3. CANDIDATI 21 parole deve essere rappresentata da particelle con numero barionico zero e neutre, altrimenti l’accoppiamento diretto con i fotoni le renderebbe visibili. Questo risultato, fornito da misure del CMB, è ulteriormente rafforzato da osservazioni sperimentali di abbondanze di elementi nelle stelle. Una importante implicazione del modello del Big Bang è che gli elementi leggeri come Deuterio (2 H), Elio (3 He, 4 He) e Litio (7 Li) devono essersi formati durante i primi minuti di vita dell’Universo (nucleosintesi primordiale), quando l’energia dei fotoni è diminuita fino a scendere al di sotto dell’energia di legame dei nuclei (con l’espansione cosmica la temperatura diminuisce monotonicamente). Una volta fissato il numero di specie dei neutrini a 3, l’abbondanza prevista per gli elementi leggeri dipende da un unico parametro, la densità barionica ΩB : un aumento di ΩB comporta un leggero aumento di 4 He ed un crollo di 2 H e 3 He. Comparando dunque l’abbondanza degli elementi leggeri prevista con quella osservata si determina ΩB , che risulta essere ΩB ≈ 0.04 − 0.05 [3], in ottimo accordo con le misure di CMB. È importante sottolineare che nessun processo astrofisico conosciuto è in grado di produrre 2 H, quindi il confronto tra teoria ed osservazione per questo elemento è particolarmente preciso; inoltre le stime locali dell’abbondanza di 2 H sono in ottimo accordo con le misure effettuate su nuvole ad alto redshift, posizionate lungo la linea di vista di quasar distanti. Per quanto riguarda l’energia del vuoto, attualmente la sua natura è completamente ignota. Dal punto di vista teorico sono state proposte diverse teorie che attribuiscono il termine di pressione negativa non solo ad una costante cosmologica, e dunque all’energia del vuoto, ma anche a campi scalari lentamente variabili [14]. In tal caso il termine ΩΛ non si riferisce al vuoto ed è quindi chiamato più genericamente Energia Oscura. 1.3 Candidati Come mostrato, al fine di spiegare le osservazioni sperimentali in campo astrofisico e cosmologico, la maggior parte della Materia Oscura deve essere non-barionica. Tuttavia, mettendo a confronto i risultati ricavati dallo studio di nucleosintesi primordiale e CMB (ΩB ≈ 0.04 ÷ 0.05) con la quantità di materia luminosa osservata nell’Universo (Ωvis ≈ 4.95 · 10−3 ), risulta che una 22 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA Figura 1.5: Composizione dell’Universo all’età attuale. qualche forma di Materia Oscura barionica deve comunque esistere. Della materia barionica totale aspettata, il 10% è relativo alla materia luminosa visibile, il 40% è rappresentato dal gas ionizzato che si trova normalmente nello spazio intergalattico, mentre il 50% è oscuro. Per la Materia Oscura barionica sono stati proposti diversi candidati, i più significativi dei quali sono nubi di Idrogeno molecolare e MACHOs (MAssive Compact Halo Objects) [8]. A differenza delle nubi d’Idrogeno atomico, le nubi di H2 non sono facilmente rivelabili poiché non presentano la caratteristica linea di emissione a 21 cm e spesso, in base alla loro temperatura, non emettono alcun tipo di radiazione [8]. Per quanto riguarda i MACHOs, si tratta di una classe che contiene una grande quantità di oggetti astronomici, come stelle di neutroni, le nane bianche / rosse / beige e marroni, i pianeti e i buchi neri difficili da osservare a causa della loro luminosità estremamente ridotta. Per quanto riguarda la restante parte di DM (circa l’86%) questa deve essere esotica e neutra: si tratterà perció di una o più specie di particelle elementari con numero barionico zero. Restando nell’ambito della teoria del Big Bang, è possibile pensare che questa nuova specie di particelle, come del resto gran parte dei costituenti dell’Universo, in passato dovesse essere all’equilibrio termico con tutte le altre, ma, affinché possa questa giocare il ruolo richiesto a livello cosmologico (ΩM ≈ 0.3), fornendo cosı̀ un’abbondanza non trascurabile, è necessario supporre che al momento fosse già disaccoppiata. La densità al momento del disaccoppiamento diviene cosı̀ un parametro 1.3. CANDIDATI 23 Figura 1.6: Plot di Ων in funzione della massa Mν nell’ipotesi di neutrino massivo. cruciale per il quale sono attesi due differenti valori, in base alle condizioni cinematiche della specie in quel momento. A ciascun valore è associato un distinto caso: Materia Oscura calda (hot e warm) o fredda (cold ), corrispondenti a particelle relativistiche o meno al tempo del disaccoppiamento [4]. È possibile avere una descrizione dei due diversi scenari considerando una specie di neutrino massivo e stabile, per il quale si può calcolare il contributo Ων alla densità in funzione della propria massa Mν [4]. In Fig. (1.6) viene riportato l’andamento ottenuto per i due diversi scenari: si può vedere come, al fine di avere Ων = ΩM = 0.3, un neutrino caldo dovrebbe presentare una massa pari a qualche decina di eV , uno freddo una massa dell’ordine di 5 GeV . Quest’ultimo tipo di neutrino, data la sua elevata massa, non potrebbe certamente essere ordinario: le misure fatte al LEP escludono una quarta famiglia con Mν < 45GeV e risulta evidente che nessuna delle tre famiglie note possiede una massa cosı̀ elevata. Il neutrino freddo fa parte delle WIMP (Weakly Interactive Massive Particles), una famiglia di particelle χ definite in modo da risultare: • non-barioniche; • non relativistiche al momento del disaccoppiamento (cold); • massive (mχ ≈ GeV ÷ T eV ); 24 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA • neutre; • interagenti solo debolmente. Benché il neutrino non venga più preso in considerazione in quanto escluso dai limiti sperimentali, le WIMP restano i candidati favoriti quali costituenti della Materia Oscura in quanto la loro densità residua (la densità raggiunta dopo il disaccoppiamento), è funzione solo della scala energetica debole, Mweak ≈ 100 GeV e della Massa di Planck, MP lanck ≈ 1019 GeV e risulta cosı̀ essere naturalmente vicina ai valori osservati di ΩDM , senza il bisogno di un’ulteriore calibrazione dei parametri; inoltre l’esistenza di queste particelle è prevista dalle teorie supersimmetriche, per cui si ammette la conservazione della parità-R, imposta per evitare il decadimento del protone alle scale deboli. Tale conservazione implica che la particella supersimmetrica più leggera (LSP) sia stabile e quindi dotata di un’abbondanza cosmologica significativa, il che la rende il candidato WIMP ideale. Nella gran parte delle teorie SUSY, come nella cosiddetta estensione supersimmetrica minimale del modello standard (MSSM), la LSP coincide con il neutralino, una sovrapposizione lineare di particelle supersimmetriche prevista dai modelli teorici. 1.4 Caratterizzazione di un modello di DM Resta a questo punto da spiegare le motivazioni che portano a sostenere l’esistenza della Materia Oscura esotica e cold, fornendo cosı̀ ulteriori argomenti a sostegno delle WIMP. Per poter caratterizzare appieno un modello di Materia Oscura non-barionica e quindi discriminare tra candidati hot e cold è necessario individuare il ruolo giocato dalla Materia Oscura all’epoca delle formazioni galattiche, e confrontare le strutture generate dai modelli con quelle attualmente visibili. 1.4.1 Strutturazione delle galassie La formazione delle galassie è un processo non ancora del tutto compreso. Tuttavia, la nascita delle strutture presenti nell’Universo viene usualmente 1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM 25 attribuita a fluttuazioni nella densità di materia. Tra le varie teorie proposte a riguardo vengono considerate la teoria adiabatica delle fluttuazioni, per la quale le grandi strutture galattiche prendono vita dalla fusione di ammassi più piccoli. Le fluttuazioni da cui nascono questi ammassi potrebbero essere sorte al tempo dell’inflazione (t ≈ 10−32 s), ma qui verranno considerati solo i loro effetti nel periodo della ricombinazione (trec ≈ 4.39 · 1012 (Ω0 h2 )1/2 s). L’aggregazione di materia nella costituzione delle galassie è un processo favorito dalla gravità ed ostacolata sostanzialmente da principali fattori: free streaming e silk dumping. L’amplificazione delle fluttuazioni, dipendendo dall’andamento della gravità, produrrà perturbazioni di densità positive, definite da ∆ρ/ρ > 0, dove ρ è la densità di materia e ∆ρ la densità in eccesso legata ad una particolare fluttuazione. Si avrà cosı̀ una contrazione ma allo stesso tempo l’eccesso di massa genererà una pressione che tenderà a diminuire la densità locale. Considerando in prima approssimazione l’Universo statico, quindi paragonabile ad un gas statico di particelle di massa m, l’evoluzione delle fluttuazioni risulta condizionata dalla lunghezza di Jeans lj , definita [15] come πkT . (1.32) lj = GN ρm Fluttuazioni su scala inferiore a lj oscillano sotto l’azione di gravità e pressione, mentre, se la scala è superiore si ha un’amplificazione della fluttuazione. Esprimendo il tutto in funzione della massa di Jeans Mj , definita a partire dall’equazione precedente, si ottiene Mj ∝ lj3 ρ ∝ ρ−1/2 T 3/2 . (1.33) Applicando ora tale espressione alle osservazioni sperimentali, si ottiene una massa di Jeans barionica dell’ordine di 105 M . Va inoltre messo in evidenza che, in base all’approssimazione effettuata, la crescita delle fluttuazioni con scala maggiore di lj presenta un andamento esponenziale nel tempo; passando ad uno studio più accurato, in cui il fluido di particelle non viene più considerato statico, bensı̀ in espansione, si ottiene infine una crescita temporale governata non da un esponenziale, ma da una relazione del tipo ∆ρ ∝ (z + 1)−1 ρ (1.34) 26 dove z = CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA R(t0 ) R(t1 ) − 1 indica il redshift e ρ la densità di materia (oscura e non). Per quanto riguarda i processi dissipativi, silk dumping e free streaming questi, come anticipato, tendono a smorzare le fluttuazioni. Il primo ha effetto solo sulla materia barionica e consiste nell’emissione di fotoni da una zona iperdensa di materia; a causa poi dell’accoppiamento Compton, tali fotoni riescono a trascinare con sé gli elettroni e quindi i protoni (per interazione coulombiana), riducendo in questo modo localmente la quantità ∆ρ/ρ. Le condizioni necessarie allo sviluppo del silk dumping sono un’interazione elettrone-fotone sufficientemente debole da permettere la fuoriuscita del fotone ed un accoppiamento con i barioni abbastanza forte. Naturalmente ciò potrà avvenire solo in regioni talmente piccole da permettere la diffusione dei fotoni in tempi più brevi di quelli richiesti per l’espansione; è cosı̀ possibile introdurre anche in questo caso una massa critica MD , al di sopra della quale il dumping sarà trascurabile. É interessante notare come per la maggior parte dei modelli il valore di MD venga sorprendentemente a coincidere con la massa tipica delle galassie. L’altro effetto accennato, il free streaming, agisce solo su particelle con interazioni trascurabili, quindi anche sulla Materia Oscura, e consiste nella semplice diffusione delle particelle da zone iperdense a zone ipodense. Il fenomeno, ed in particolare la sua scala temporale, dipendono cosı̀ drasticamente dalle velocità delle particelle in gioco. È possibile, a questo punto, considerando le osservazioni sperimentali, trarre alcune conclusioni sulla natura della Materia Oscura. Riscalando le attuali fluttuazioni di materia ordinaria secondo la Eq. (1.34) si ottiene, per un tempo t precedente la ricombinazione (z ≈ 1000), un valore di ∆ρ/ρ dell’ordine di 10−3 . Il forte accoppiamento della materia barionica con la radiazione, presente per tempi t ≤ trec , fa sı̀ che un ∆ρ/ρ ≈ 10−3 non sia assolutamente sufficiente a giustificare le strutture oggi presenti, in quanto fluttuazioni di tale entità sarebbero state dissipate dal silk dumping. Secondo questo modello, quindi, un Universo composto da sola materia barionica non potrebbe avere la forma attuale; considerando però anche la Materia Oscura non barionica la situazione è diversa. Vista la sua debole interazione con la radiazione, infatti, la materia esotica potrebbe presentare per t ≤ trec fluttuazioni dell’ordine di 10−3 che non verrebbero smorzate da nessun effetto dissipativo che non sia il free streaming. Nel caso di hot 1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM 27 dark matter il free streaming risulterebbe dominante, distruggendo qualsiasi struttura su scala inferiore a quella dei supercluster (≈ 1015 M ), mentre nell’ipotesi di cold dark matter, a causa della ridotta velocità8 delle particelle, il free streaming si troverebbe ad essere molto più lento dell’espansione dell’Universo. Di conseguenza, all’epoca della ricombinazione le fluttuazioni nella densità di materia barionica sarebbero state guidate dal potenziale gravitazionale generato dalle ben più grandi fluttuazioni di Materia Oscura ed il processo di amplificazione ne risulterebbe cosı̀ accelerato. Un tale scenario giustificherebbe la formazione di galassie e cluster e, sebbene siano presenti delle incompatibilità tra la dimensione dei cluster prevista dalle simulazioni a N corpi e quella osservata, l’ipotesi di non-barionic cold dark matter sembra in grado, nell’ambito della teoria adiabatica delle fluttuazioni, di riprodurre con buon accordo la maggior parte dei risultati sperimentali ottenuti. In conclusione dunque, il modello che attualmente riceve il più largo consenso, il più efficace nella riproduzione dei dati sperimentali e nel fornire una spiegazione della presente struttura dell’Universo, è il ΛCDM, acronimo di Cold Dark Matter and Λ dark energy, il quale assume una distribuzione uniforme di energia oscura con densità ΩΛ ≈ 0.7 ed una Materia Oscura costituita da particelle non-barioniche, neutre, disaccoppiate, debolmente interagenti e cold (le WIMP) che portano il valore della densità di materia a ΩM ≈ 0.3. D’ora in avanti, nel corso della trattazione si considererà quindi la Materia Oscura costituita esclusivamente da WIMP ed in particolare dal neutralino. 1.4.2 La Materia Oscura nella Via Lattea L’assunzione che la Materia Oscura sia costituita da WIMP, ossia da particelle uscite dall’equilibrio termico solo quando non erano più relativistiche, induce a pensare che queste, a causa dell’azione gravitazionale, si siano agglomerate assieme alla materia ordinaria, formando cosı̀ un alone pressoché sferico attorno alle galassie. Questa previsione teorica risulta valida sia 8 Da notare che con hot dark matter si indicano particelle relativistiche al momento del disaccoppiamento, mentre con cold dark matter particelle non relativistiche (pag. 23). 28 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA per il gran numero di galassie a spirale, per le quali l’analisi delle curve di rotazione suggerisce l’esistenza di un alone di Materia Oscura più esteso del disco visibile, sia per la nostra galassia, per cui le stesse tecniche di misura producono maggiori incertezze nei risultati essendo il punto di osservazione interno all’oggetto da osservare [16]. Generalmente all’alone galattico vengono attribuite una forma sferoidale che si sviluppa attorno al centro della galassia, ed una distribuzione di materia regolata dall’espressione 2 a2 + r (1.35) ρ(r) = ρloc Ξ a2 + r 2 dove ρloc Ξ rappresenta la densità di Materia Oscura nell’intorno del Sole (che −3 [8]), r la distanza Sole – centro si assumerà valore ρloc Ξ ≈ 0.3 GeV cm galattico e a un parametro di scala che rende la distribuzione non singolare nel centro della galassia. Attraverso questo modello, chiamato Cored Spherical Isothermal Halo, è possibile riprodurre in maniera soddisfacente le curve di rotazione della Via Lattea. Se le stime assunte sono corrette e se l’alone galattico è effettivamente costituito da WIMP, allora la migliore prova dell’esistenza di tale alone sarà una misura diretta dei rinculi nucleari prodotti dall’interazione neutralino – nucleo. L’analisi si concretizza di fatto nello studio dello spettro dei rinculi nucleari, il quale è funzione della sezione d’urto d’interazione WIMP – nucleo, del valore locale di densità della Materia Oscura e della distribuzione di velocità dei neutralini presenti nell’alone galattico. L’espressione di tale spettro risulta dR ρloc = NT Ξ dER mΞ Z vmax dv f (v) v vmin (ER ) dσN −Ξ (v, ER ) dER (1.36) dove NT indica la densità numerica dei nuclei, f (v) la distribuzione della velocità dei neutralini nel sistema di riferimento solidale alla Terra, ER = µ2 v 2 (1− cos θ)/mN l’energia di rinculo nucleare, µ la massa ridotta, dσN −Ξ /dER si riferisce alla sezione d’urto differenziale, vmax è la massima velocità dei neutralini contenuti nell’alone galattico nel sistema di riferimento solidale alla 1/2 Terra e vmin (ER ) = (mN ER /2µ2 ) rappresenta la minima velocità di una WIMP in grado di cedere al nucleo un’energia pari a ER . 1.4. CARATTERIZZAZIONE DI UN MODELLO DI DM 29 Nel limite di basse energie è possibile fattorizzare la sezione d’urto differenziale come segue dσN −Ξ dσN −Ξ (v, ER ) = (v, 0)F 2 (ER ) dER dER (1.37) nella quale F (ER ) è il fattore di forma nucleare e dσN −Ξ σN −Ξ (v, 0) = max . dER ER (1.38) dove ERmax rappresenta la massima energia di rinculo nucleare prodotta da un neutralino di velocità v, σN −Ξ indica la sezione d’urto totale associata ad una WIMP di velocità v calcolata nel caso di nucleo puntiforme ed integrata9 tra ER = 0 e ER = ERmax . Utilizzando la Eq. (1.37) e la Eq. (1.38), si può riscrivere la Eq. (1.36) come dR R0 = F 2 (ER )I(ER ) dER hERmax i con ρΞ σN −Ξ hvi mΞ R0 = NT e v2 I(ER ) = v Z vmax dv vmin (ER ) f (v) . v (1.39) (1.40) (1.41) Fissato poi un sistema di riferimento solidale con il centro della galassia, è verosimile assumere che le WIMP presentino una distribuzione di velocità maxwelliana con velocità quadratica media ω ≈ 300 km s−1 ; ponendo infine vmax = ∞ si ottiene √ π 3 + 2η 2 √ I(ER ) = · 2 π(1 + 2η 2 )erf(η) + 2η exp(−η 2 ) · [erf(xmin + η) − erf(xmin − η)] (1.42) dove r η= 2 3vearth 2ω 2 s xmin = 3mN ER . 4µ2 ω 2 (1.43) Dalla Eq. (1.42) e dalla definizione di µ si deduce che lo spettro dei rinculi nucleari presenta una modulazione annua legata alla diversa velocità 9 La condizione ER = 0 implica l’assunzione di interazioni senza energia di soglia. 30 CAPITOLO 1. LA MATERIA OSCURA della Terra nei diversi periodi dell’anno: il moto di rotazione attorno al Sole ed il moto del Sole attorno al centro galattico producono un andamento periodico del modulo della velocità |vearth | con periodo annuale. A questo punto, ipotizzando un opportuno fattore di forma10 F (ER ) per i nuclei del bersaglio, adottando un determinato modello di distribuzione della densità di Materia Oscura (generalmente si l’espressione della Eq. (1.35)) e quindi fissando il valore di ρΞ , si è in grado di confrontare lo spettro sperimentale dei rinculi nucleari con quello teorico, dato dalla Eq. (1.39); ciò permette di individuare nello spazio dei parametri σN −Ξ e mΞ la regione di maggior interesse sperimentale. 10 Poiché nei processi di scattering di fotoni o altre particelle il calcolo teorico della sezione d’urto viene effettuato considerando il bersaglio puntiforme, nei casi in cui questa approssimazione non è valida (l’estensione del bersaglio non è trascurabile) si ricorre al fattore di forma, una funzione empirica inserita all’interno della formula della sezione d’urto per tener conto degli effetti dati dall’estensione spaziale della distribuzione di carica del bersaglio. Capitolo 2 La Ricerca della Materia Oscura Come mostrato nel capitolo precedente, l’assunzione del Modello Standard implica che la materia barionica ordinaria costituisca circa il 4.5% della massa-energia dell’Universo, mentre ad oggi del restante 95%, che dovrebbe essere composto da Energia Oscura per più del 70% e per il 22% da Materia Oscura, si sa molto poco. Sulla base di tali considerazioni è ragionevole assumere che la Materia Oscura sia costituita da WIMP e si può supporre che queste particelle si siano agglomerate insieme alla materia ordinaria a causa di interazioni gravitazionali, formando degli aloni pressoché sferici che circondano le galassie. Questa previsione teorica risulta verificata per un gran numero di galassie a spirale, compresa la Via Lattea. Si può pertanto pensare che la superficie terrestre sia attraversata da un consistente flusso di WIMP, le quali, seppur con una sezione d’urto molto piccola, potranno interagire elasticamente con la materia ordinaria e venire quindi rivelate in modo diretto. Un’alternativa alla misura diretta dell’interazione della Materia Oscura con la materia ordinaria è rappresentata dalle tecniche di rivelazione indirette con le quali si cerca di risalire alla natura delle WIMP osservandone i prodotti dei processi di annichilazione. 32 2.1 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA Tecniche di Rivelazione della Materia Oscura Per la ricerca delle WIMP vengono utilizzati due approcci principali basati rispettivamente su tecniche dirette ed indirette di rivelazione. Nelle tecniche di rivelazione diretta si focalizza l’attenzione sull’interazione tra neutralino e nucleo bersaglio, allo scopo di determinare il conteggio e lo spettro differenziale dei rinculi nucleari, mentre le tecniche di rivelazione indiretta sono indirizzate all’osservazione dei prodotti dell’annichilazione del neutralino. 2.1.1 Rivelazione indiretta della Materia Oscura Gli esperimenti di rivelazione indiretta puntano a raccogliere i resti dei decadimenti o delle annichilazioni di particelle di Materia Oscura, che possono comprendere antimateria, particelle ordinarie provenienti da annichilazione di coppie particella-antiparticella come neutrini o raggi γ. Le misure si concentrano pertanto sui segnali provenienti dal Sole e dalla Terra per quanto riguarda le osservazioni dei neutrini, e per le altre particelle, sui segnali provenienti dal centro della galassia. I canali sfruttati per questo tipo di ricerca sono di seguito riportati: χχ → l¯l ; q q̄ ; W + W − ; Z 0 Z 0 ; H 0 H 0 ; W ± H ∓ . (2.1) Per propria natura i neutralini possono decelerare in seguito a diffusione nucleare, per cui tenderanno ad accumularsi al centro della Terra, al centro del Sole ed in altre buche di potenziale gravitazionale e, poiché il processo di annichilazione è guidato dalla densità numerica dei χ (∝ n2χ ), tutte le ricerche vengono rivolte verso i corpi astronomici dove ci si aspetta che le WIMP vengano catturate dalla gravità. Esperimenti rivolti alla ricerca di neutrini prodotti nel centro della Terra attraverso i processi mostrati, come ad esempio MACRO [17], AMANDA [18, 19] e Super-Kamiokande [20], hanno potuto soltanto porre dei limiti superiori al flusso di ν. Uno dei migliori segnali indiretti che si potrebbe rivelare è dato dai positroni prodotti dall’annichilazione χχ nell’alone galattico [21]. Il fondo, ben noto per i positroni di alta energia, è dato dalle interazioni dei raggi 2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA 33 cosmici nell’ambiente interstellare e diminuisce rapidamente all’aumentare dell’energia del e+ . Il processo privilegiato potrebbe dunque essere dato da: χχ → e+ e− che però risulta essere estremamente soppresso; il successivo canale è invece dato dal processo χχ → W + W − ; Z 0 Z 0 seguito dal decadimento dei bosoni in e+ . In molti modelli però il neutralino non si accoppia con i bosoni di Gauge e quindi anche questo canale viene soppresso. Cosı̀, oltre alla rivelazione di HE ν (High Energy Neutrinos, neutrini di alta energia), la principale tecnica indiretta consiste nella rivelazione di fotoni prodotti secondo i canali [22]: χχ → γγ χχ → Z 0 γ. (2.2) Il primo processo, in cui Eγ = mχ , è fortemente soppresso, mentre il secondo, dove Eγ = (mχ − m2Z )/4mχ , diventa importante solo per mχ > 45 GeV . Il centro galattico è una sorgente privilegiata per i fotoni di tali energie, grazie all’alta densità di materia ed alla sua vicinanza dalla Terra; ciò che si cerca è un chiaro segnale dell’annichilazione delle WIMP che potrebbe essere dato dalla presenza di un’abbondanza insolita di fotoni a determinate energie. Tuttavia, il segnale dei fotoni γ provenienti dal centro della galassia risulta fortemente contaminato dal fondo locale prodotto principalmente dall’interazione dei raggi cosmici con l’ambiente interstellare. È possibile effettuare esperimenti di rivelazione indiretta di materia oscura che ricercano i prodotti dell’annichilazione del neutralino sia a terra (stazioni di telescopi o laboratori scientifici), sia su satelliti mandati in orbita intorno al pianeta. Gli esperimenti condotti a terra, come ad esempio CELESTE (Francia) e STACEE (New Mexico), utilizzano telescopi atmosferici Cherenkov (ACTs). La caratteristica principale di questi esperimenti consiste nel distinguere (con un’efficienza maggiore del 99%) tra cascate di raggi γ e sciami di raggi cosmici, che costituiscono il fondo dominante. La sensibilità tipica è di 1 T eV 34 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA per quanto riguarda i raggi γ, per cui esperimenti di questo tipo hanno la possibilità di rivelare ampi intervalli di masse per le WIMP. Gli esperimenti VERITAS (Arizona) e CANGAROO (Australia-Giappone) hanno osservato un eccesso nel flusso di raggi γ provenienti dal centro della galassia ma le osservazioni non sono compatibili tra loro e potrebbero anche essere spiegate dalle emissioni provenienti da sorgenti astrofisiche, come un buco nero al centro della Galassia. Per quanto riguarda gli esperimenti su satellite i risultati più significativi sono arrivati da EGRET i cui dati sembrano mettere in evidenza un segnale al di sopra del fondo, spiegabile con la presenza di un neutralino con mχ < 50 GeV [23, 24]; tuttavia, non è possibile trarre conclusioni certe in quanto il segnale si trova al limite della sensibilità dell’apparato. Tra gli esperimenti equipaggiati su satellite vi sono anche PAMELA e FERMI-LAT. La missione spaziale PAMELA ha rilevato un eccesso di e+ /(e+ + e− ) [25] (Fig. (2.1), in alto a sinistra) rispetto alle previsioni. Una tale sovrabbondanza è però incompatibile con lo scenario WIMP standard, poiché una eccedenza in positroni dovrebbe essere accompagnata da un eccesso di antiprotoni, che non è stato osservato [26]. La discrepanza tra positroni e anti-protoni potrebbe aprire il campo a nuovi tipi di scenario ma è anche compatibile con l’abbondanza di e+ /(e+ + e− ) rilevata, essendo questa generata da sorgenti galattiche standard. Il telescopio FERMI-LAT, Large Area Telescope, lanciato per creare una mappatura γ del cielo, non ha confermato le osservazioni di EGRET (Fig. (2.1), in basso a sinistra), però ha registrato una sovrabbondanza di e− + e+ (Fig. (2.1), in basso a destra). Tuttavia, i risultati di FERMI-LAT non sono compatibili con quelli di ATIC (pallone sonda lanciato in Antartide) che ha evidenziato una sovrabbondanza di e− rispetto alle previsioni, localizzati in particolare nella regione 300÷700 GeV [27] (Fig. (2.1), in alto a destra). Tali risultati suggeriscono una particella di Materia Oscura più pesante rispetto al modello WIMP standard. 2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA 35 Figura 2.1: Risultati recenti di esperimenti di rivelazione indiretta. In alto a sinistra la sovrabbondanza di positroni nel rapporto e+ /(e+ +e− ) [25] dell’esperimento PAMELA; in alto a destra lo spettro dell’eccesso di elettroni in ATIC [27]; in basso a sinistra il confronto tra la sovrabbondanza di raggi γ di EGRET con i risultati di FERMI-LAT [28]; in basso a destra lo spettro e+ + e− di FERMI-LAT [29]. 2.1.2 Rivelazione diretta della Materia Oscura Gli esperimenti di rilevazione diretta di Materia Oscura si incentrano sul rilevamento delle WIMP che ci si aspetta siano presenti nell’alone galattico che circonda la Via Lattea e nelle vicinanze del Sole. Se, come si ipotizza, le WIMP dell’alone si comportano in conformità con lo Standard Halo Model, per cui le particelle di Materia Oscura agirebbero come un gas con velocità di distribuzione di Maxwell-Boltzmann [30], la velocità media delle WIMP in relazione al resto della galassia dovrà essere uguale a zero. Tuttavia, a causa della spinta gravitazionale verso il centro della galassia, il disco galattico, e di conseguenza il sistema solare, ruotano intorno al centro galattico, con velocità pari a ∼ 220 km/s per il Sole. La velocità di questo moto influenza la 36 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA Figura 2.2: A sinistra l’interazione di una WIMP con un rivelatore. A destra, la frequenza di eventi attesi, in Argon, per secondo, per kg, per keV per una WIMP di massa 60 GeV /c2 , secondo i parametri standard dell’alone galattico. velocità della Terra nell’orbita di rivoluzione intorno al Sole (∼ 48 km/s nel s.d.r. del sistema solare). La composizione di queste due velocità, considerata nel s.d.r. terrestre, genera il cosiddetto vento delle WIMP, e conferisce alle particelle rilevate sulla superficie terrestre una certa energia cinetica. Il rilevamento dei rinculi dei nuclei bersaglio a seguito di urti rappresenta l’unica possibilità per rilevare la presenza di Materia Oscura: le WIMP, infatti, non sono dotate di carica elettrica (se lo fossero, questa verrebbe immediatamente rilevata), per cui ci si attende che una WIMP che urti un atomo del rivelatore interagisca principalmente con il nucleo bersaglio trasferendovi la propria energia cinetica e causandone il rinculo. Le energie trasferite negli urti dovranno essere dell’ordine dei 10 ÷ 100 keV , dove minori saranno le energie e maggiori gli eventi aspettati, come mostrato in Fig. (2.2), per cui saranno più efficienti gli esperimenti con le energie di soglia più basse e con i volumi maggiori. Oltre alla reiezione di tutte le interazioni note allo scopo di andare ad analizzare i segnali rimanenti, si possono ricercare direttamente i segnali che ci si aspetta per la Materia Oscura misurando modulazione annuale e modulazione giornaliera. La velocità di rivoluzione della Terra attorno al Sole non è costante ma diminuisce e aumenta nel passaggio tra afelio e perielio, e con essa diminuisce ed aumenta la velocità del rivelatore rispetto all’alone 2.1. TECNICHE DI RIVELAZIONE DELLA MATERIA OSCURA 37 Figura 2.3: Rivelazione in modulazione giornaliera. [32] di Materia Oscura, modificando nel corso dell’anno il numero di eventi attesi in una sinusoide con il picco nel mese di giugno. La modulazione giornaliera, invece, deriva dalla rotazione della Terra attorno al proprio asse e dalla inclinazione di questo rispetto al piano galattico, per cui la direzione del vento di WIMP percepito sulla terra varierebbe di 90◦ nell’arco della giornata [31] (Fig. (2.3)). Tuttavia, la rilevazione delle particelle di Materia Oscura, per loro stessa natura, risulta estremamente difficoltosa e per mettere a punto dei validi esperimenti sono necessari una serie di precisi accorgimenti. Assumendo le proprietà di distribuzione maxwelliana, un intervallo di masse di 20 ÷ 200 GeV ed una tipica massa atomica del bersaglio A < 200, gli urti tra le WIMP e le particelle bersaglio possono indurre rinculi nucleari con energie depositate dell’ordine di 10 ÷ 100 keV , con una frequenza (rate) minore di 1 evento / kg /giorno (Total rate unit, tru). Eventi cosı̀ rari e caratterizzati da una bassa energia richiedono necessariamente che l’esperimento soddisfi determinate condizioni illustrate di seguito. • Soglia energetica La soglia in energia deve presentare il più basso valore raggiungibile, in modo da poter essere sensibile ad una grande porzione dello spettro aspettato che presenta approssimativamente un andamento esponenziale decrescente. Questo implica che all’aumentare dell’energia, si verifica sia un rapido decremento della frequenza totale di eventi, sia una di- 38 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA minuzione della modulazione annuale osservata poiché la differenza tra le frequenze di Giugno e Dicembre cresce proprio nella regione a bassa energia. • Esposizione Massa del rivelatore e tempi di misura sono legati tra di loro e devono essere massimizzati al fine di raggiungere una statistica adeguata: la frequenza di interazione è ovviamente proporzionale al numero di centri di diffusione e quindi alla massa del bersaglio; essendo poi gli eventi molto rari, è anche necessario mantenere il rivelatore attivo il più a lungo possibile. • Fondo Per aumentare la sensibilità sperimentale è essenziale un’efficiente reiezione del fondo in quanto la finestra energetica d’interesse è dominata dal fondo associato alla radioattività naturale, costituito principalmente da due componenti. La prima consiste nelle particelle α, β e γ, prodotte dai materiali che circondano e/o costituiscono l’apparato sperimentale e che interagiscono elettromagneticamente con il rivelatore; la seconda, invece, è rappresentata dai neutroni prodotti dalla radioattività naturale e da interazioni di raggi cosmici. Quest’ultima è anche la più importante in quanto i neutroni sono in grado di produrre rinculi nucleari indistinguibili dalle interazioni elastiche delle WIMP. Per tali motivi, è indispensabile innanzitutto operare in laboratori sotterranei (per abbattere il flusso di raggi cosmici che raggiunge il rivelatore), impiegare materiali di elevata radiopurezza ed utilizzare schermi per neutroni e raggi γ. Il fondo residuo viene quindi trattato in diversi modi, in accordo con le differenti tecniche sperimentali. 2.2 Tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura Le principali difficoltà a cui va incontro un esperimento basato sulla rivelazione diretta della materia oscura consistono nella bassa frequenza di inte- 2.2. TECNICHE DI RIVELAZIONE DIRETTA DELLA MATERIA OSCURA 39 razione, nella ristrettezza dell’intervallo energetico, e nel fatto che le energie in gioco sono estremamente basse, come mostrato. Per ridurre i problemi legati alla frequenza di interazione si agisce sugli esperimenti cercando di massimizzare tempo di misura e massa del rivelatore, mentre per quanto riguarda la difficoltà di riuscire ad operare a basse energie, sono state sviluppate diverse tecniche sperimentali. I principali processi fisici utilizzati dagli esperimenti di rivelazione diretta degli eventi derivanti dall’interazione della DM possono essere cosı̀ sintetizzati: • Ionizzazione: una particella, interagendo all’interno del rivelatore, produce una certa quantità di coppie ione – elettrone libere (se il bersaglio è liquido o gassoso) o coppie lacuna – elettrone (se il bersaglio è un cristallo) che possono essere rivelate tramite l’applicazione di campi elettrici e l’utilizzo di dispositivi di raccolta della carica; questo tipo di misura è caratterizzata da valori1 di RC/γ differenti da 1. • Scintillazione: una particella interagente in un materiale scintillante induce l’emissione di luce prodotta dalla diseccitazione di atomi eccitati. Il segnale prodotto può essere rivelato attraverso l’uso di strumenti sensibili alla luce, come i fotosensori. Tra gli scintillatori impiegati in questo campo si hanno NaI(Tl) e CsI, ma anche Ar, Ne e Xe, che presentano dei buoni rapporti RC/γ per il segnale di scintillazione. • Vibrazioni reticolari : La rivelazione dei fononi prodotti nell’interazione di particelle è adottata dai rivelatori criogenici (portati a temperature di qualche mK ) si basa sul fatto che la capacità termica del rivelatore è cosı̀ bassa che anche un piccolo deposito di energia produce un aumento di temperatura. Questa tecnica vanta la più bassa soglia energetica raggiungibile (rinculi nucleari di qualche keV ), ma presenta degli svantaggi quali il rapporto RC/γ = 1, che non fornisce intrinsecamente un metodo per discriminare e rigettare il fondo e le non 1 Un rivelatore produce segnali differenti per un rinculo nucleare ed un rinculo elettronico della stessa energia; questo comportamento viene riassunto nel recoil/γ ratio (RC/γ): un valore RC/γ 6= 1 indica proprio che a parità di energia ceduta al sistema, il sistema produce segnali differenti per le due differenti tipologie di evento. 40 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA Figura 2.4: Schema dei principali esperimenti di rivelazione diretta, raggruppati in base ai processi fisici utilizzati nella rivelazione dell’energia depositata dall’interazione con le WIMP. trascurabili difficoltà tecniche introdotte dalle temperature di lavoro estremamente basse. Alcuni rivelatori sono pensati per essere sensibili ad uno solo di tali processi fisici, altri a due; questa differenza porta ad una suddivisione della maggior parte degli esperimenti a rivelazione diretta in due grandi famiglie: esperimenti a modalità di rivelazione singola ed esperimenti a modalità di rivelazione doppia. Gli esperimenti in modalità singola devono lavorare in condizioni di bassissimo fondo in quanto non forniscono un metodo di discriminazione. Ogni evento che cade nella finestra di accettanza viene semplicemente raccolto e considerato un candidato WIMP caratterizzato dalla corrispondente energia misurata. Gli esperimenti in modalità doppia, invece, sono capaci di accoppiare alla misura dell’energia un metodo di discriminazione, che permette di scartare efficientemente i rinculi elettronici e gli altri eventi che ricadono nel fondo. 2.2. TECNICHE DI RIVELAZIONE DIRETTA DELLA MATERIA OSCURA 41 I rinculi elettronici sono eventi dovuti ad emissioni γ e β in cui la particella incidente interagisce con gli elettroni atomici i quali, a loro volta, perdono energia ionizzando ed eccitando gli atomi del rivelatore. I rinculi nucleari consistono invece in un’interazione praticamente elastica particella – nucleo: qui è il nucleo, e non gli elettroni atomici, a ionizzare ed eccitare il mezzo. La discriminazione del fondo è basata sul fatto che i due tipi di rinculi presentano differenti perdite di energia per unità di lunghezza (dE/dx): in genere questo produce una diversa densità di ionizzazione che, in accordo con le varie tecniche, si traduce in un differente segnale all’uscita dell’apparato sperimentale. Il più delle modalità di reiezione del fondo è basato, attraverso l’utilizzo di efficienti tecniche di rivelazione, sulle differenze tra densità di ionizzazione di eventi di tipo elettronico (γ o β) di fondo e di eventi di tipo rinculo nucleare causati da WIMP o da neutroni. Per utilizzare al meglio queste tecniche, a volte si preferisce registrare le interazioni in più di un canale, tra scintillazione, ionizzazione e vibrazioni reticolari, come accennato. Per quanto riguarda il fondo indotto dai neutroni, invece, le tecniche di discriminazione menzionate non sono efficienti. Questo perché le WIMP non presentano carica elettrica ed interagiscono esclusivamente con i nuclei del rivelatore. Tuttavia, vi sono delle differenze tra le WIMP ed i neutroni, come ad esempio la sezione d’urto: se ci si aspetta che una WIMP possa venire rivelata di rado, un neutrone sarà sempre visibile, e per di più, se il rivelatore è abbastanza grande, uno stesso neutrone potrebbe interagire più di una volta e venire cosı̀ riconosciuto facilmente. Inoltre, si tende a costruire rivelatori alla massima radiopurezza possibile, proprio per minimizzare la presenza di neutroni ambientali di cui comunque si cerca di determinare la frequenza di interazione aspettata. Gli esperimenti che utilizzano le due tecniche di reiezione menzionate possono, in linea di principio, rivelare le WIMP dall’osservazione di uno spettro differenziale di rinculi sopra il fondo dopo aver verificato che l’andamento di tale spettro non sia compatibile con il fondo studiato. L’esperimento sarà allora in grado di fornire una regione nello spazio dei parametri [σχ−n ,mχ ] che rappresenta tutti i modelli che predicono una frequenza di interazioni di WIMP compatibile con i risultati. D’altra parte, se tale spettro energetico 42 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA non viene osservato, l’esperimento fornisce un limite superiore nello spazio dei parametri, che scarta, ad un certo livello di confidenza, quei modelli che prevedono un frequenza d’interazione maggiore di quello del fondo. In tal caso, una volta raggiunta una statistica sufficientemente elevata da minimizzare gli errori ad essa associati, la sensibilità sperimentale non può venire ulteriormente migliorata anche aumentando la massa o il tempo di misura, e la frequenza del fondo rappresenta la massima sensibilità raggiungibile da un rivelatore. 2.3 Esperimenti di rivelazione diretta di DM Nel corso degli ultimi anni sono stati sviluppati diversi esperimenti che utilizzano tecniche di rivelazione diretta della Materia Oscura. Questi, oltre a basarsi su uno o più princı̀pi tra quelli illustrati, possono essere raggruppati in base alle diverse tipologie di bersaglio per le interazioni con le WIMP. 2.3.1 Cristalli Gli esperimenti che utilizzano cristalli puntano principalmente a rilevare gli effetti dell’interazione tra le WIMP ed il reticolo cristallino, ed operano a temperature di pochi mK. ANAIS (Annual Modulation with NAI Scintillators, Canfranc, Spagna) rappresenta il risultato su larga scala ottenuto dall’attività di diversi prototipi. L’esperimento finale, non ancora operativo, comprenderà 100 kg di cristalli di NaI(Tl) e si baserà sullo studio della modulazione annuale dei segnali della presenza di Materia Oscura. La collaborazione al momento è all’opera per cercare di migliorare le prestazioni del rivelatore, focalizzandosi sulla riduzione del fondo (1 evento/keV /kg/giorno) e sull’abbassamento della soglia energetica (2 keV ) [33]. CDMS/CDMS II (Cryogenic Dark Matter Search, Soudan Underground Laboratory, Minnesota, USA) è un esperimento basato sulla rilevazione sia dei segnali di ionizzazione che dei fononi. Il rivelatore è costituito 2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM 43 Figura 2.5: A sinistra, i dati della calibrazione di CDMS II: la fascia superiore indica il rinculo dei nuclei, quella più bassa il rinculo dei neutroni, mentre i punti indicano gli elettroni in superficie eliminati applicando una serie di tagli cinematici. A destra, il risultato del run di dati: i due segnali osservati nella banda del rinculo nucleare. [34] da semiconduttori di Ge-Si ZIP (Z-dependent Ionization Phonon), che operano alla temperatura di 50 mK. La seconda fase dell’esperimento, CDMS II è in funzione dal giugno del 2006; l’apparato è composto da 30 rilevatori a cristalli liquidi con una massa di a 4.75 kg di Germanio e di 1.1 kg di Silicio tenuti ad una temperatura inferiore a 50 mK in modo da permettere di rivelare cariche e fononi sottoforma di calore con un’ottima soppressione dal fondo. Nella discriminazione del fondo è stato inserito un parametro temporale basato sul rapporto tra carica e coefficiente di dilatazione adiabatica per escludere i segnali vicini alla superficie dei rilevatori. I risultati dell’analisi dati di CDMS II, annunciati alla fine del 2009, mostrano due eventi compresi nella banda di accettazione delle WIMP, di cui uno molto vicino alla regione del fondo (Fig. (2.5)). Per tali risultati va considerato il 23% di errore statistico. L’esperimento CoGeNT (Coherent Germanium Neutrino Technology, Minnesota, USA) situato nella miniera di Soundan, utilizza un solo cristallo di Germanio ad elevata purezza da 440 g, raffreddato con azoto liquido. Il rivelatore raccoglie i segnali di ionizzazione ed ha una soglia energetica molto bassa (∼ 0.5 keV ) che permette di ricercare eventi di tipo rinculo nucleare che coinvolgerebbero particelle di Materia Oscura di masse relativamente piccole 44 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA (> 5 GeV ). Nel febbraio 2010, CoGeNT ha reso noto di aver trovato un risultato di modulazione del segnale (su un periodo di 15 mesi e con un’evidenza di quasi 3 deviazioni standard) che potrebbe essere compatibile con la scoperta di WIMP di massa relativamente leggera [35]. L’esperimento DAMA (DArk MAtter) si trova all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso ed è utilizzato per lo studio di fenomeni rari. Figura 2.6: Gli effetti della modulazione annuale osservati da DAMA e dal suo successore, DAMA-LIBRA. Le tecniche di rivelazione di DAMA sono basate sulla registrazione dei segnali di scintillazione da parte di cristalli di NaI(Tl) di elevata radiopurezza di 100 kg per la fase DAMA e di 250 kg per la fase DAMA/LIBRA (Large sodium Iodide Bulk for RAre processes), costruiti appositamente per ottenere un fondo interno e uno scudo esterno da fonti radioattive. Lo scopo di DAMA è quello di ricercare le effettive modulazioni annuali [36] osservando 2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM 45 il numero totale delle interazioni registrate durante l’anno. Con una esposizione complessiva di 0.29 ton · anno, DAMA presenta un segnale di Materia Oscura. Il risultato delle osservazioni è noto fin dal 2000 e da allora nessun altro esperimento è stato in grado di darne conferma. L’esperimento di seconda generazione, DAMA/LIBRA, continua l’investigazione di DAMA/NaI con a disposizione una massa maggiore ed una più elevata sensibilità. In particolare, i dati dei primi quattro cicli annuali sono stati rilasciati nel 2008. I risultati confermano l’evidenza indipendente da modelli sulla presenza di particelle di Materia Oscura nell’alone galattico. Nel Febbraio 2010 sono stati rilasciati i dati di due ulteriori cicli annuali. L’esposizione cumulativa raccolta, considerando i 7 cicli annuali di DAMA/NaI e i 6 cicli annuali di DAMA/LIBRA, è 1.17 ton · anno. Anche i risultati di DAMA/LIBRA non sono stati confermati. EDELWEISS (Expérience pour DEtecter Les Wimps En Site Souterrain) è situato nel laboratorio sotterraneo di Modane, all’interno del traforo del Fréjus che collega la Francia all’Italia, utilizza cristalli di germanio ad altissima purezza, alla temperatura di ∼ 20 mK, analogamente a CDMS. I risultati della prima fase dell’esperimento, EDELWEISS I, escludono per le WIMP una sezione d’urto superione ai 106 pb. Lo stadio attuale dell’esperimento, EDELWEISS-II, composto da una serie di 10 rilevatori criogenici ciascuno contenente 400 g di Germanio ha pubblicato i risultati relativi ai 14 mesi di presa dati, rilevando 5 possibili eventi candidati rilevati con energie superiori ai 20 keV . Tuttavia, il risultato è in disaccordo sia con le rilevazioni di CDMS che con quelle di CDMS II. Per la fase successiva dell’esperimento, si prevede di passare dai 400 attuali ad 800 g di Germanio, oltre al miglioramento del sistema di discriminazione del fondo. 2.3.2 Liquidi Isolanti Super Riscaldati, SHIL Gli esperimenti a Liquidi Isolanti Super Riscaldati nascono dall’idea piuttosto recente di utilizzare per la ricerca di Materia Oscura il principio delle camere a bolle, ed utilizzano come bersaglio sensibile nei rivelatori vapori di 46 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA liquidi organici elettricamente neutri. L’esperimento COUPP (Chicagoland Observatory for Underground Particle Physics, FNAL, US) è costituito da una camera contenente 1.5 kg di CF3 I, ultrapuro, un bersaglio estremamente sensibile alle interazioni WIMP indipendenti o dipendenti dallo spin. In condizioni di bassa pressione e buona reiezione del fondo γ è possibile fare in modo che ogni rinculo crei bolle nella camera. Ciò che desta maggiore interesse dal punto di vista della ricerca di Materia Oscura è la dipendenza dal rapporto dE/dx che indica l’energia depositata per unità di lunghezza che è scarsa per le particelle poco ionizzate, ma elevata per gli eventi di tipo rinculo nucleare. I neutroni, come in molti esperimenti, possono venire esclusi osservando le interazioni multiple nel rilevatore. COUPP ha pubblicato i risultati dei run ottenuti con la camera da 1.5 kg [37], che forniscono una delle più competitive curve di sensibilità per interazioni WIMP – nucleo. I risultati dell’ esperimento PICASSO (Project In CAnada to Search for Supersymmetric Objects, SNOLab, Canada) hanno posto un miglioramento alla soglia dell’esistenza delle WIMP. Utilizzando C4 F10 vaporizzato come materiale attivo, tuttavia, non sono stati rilevati segnali candidati WIMP, nonostante un’esposizione di 1.98 ± 0.19 kg · d. Supponendo per le WIMP una massa di 29GeV /c2 , sono stati ottenuti dei limiti per la sezione d’urto per i protoni nel caso indipendente dallo spin di σp = 1.31 pb e per i neutroni di σn = 21.5 pb, con un livello di confidenza del 90%. In entrambi i casi sono stati sono state escluse per le WIMP masse al di sotto dei 20 GeV /c2 [38, 39]. SIMPLE (Superheated Instrument for Massive ParticLe Experiments, LSBB, Rustrel, Francia) è un esperimento di ricerca di Materia Oscura basato su rivelatori a C2 ClF5 vaporizzato, che non tiene conto dell’accoppiamento con lo spin. I risultati preliminari relativi all’esposizione di 0.6 kg ·d di cinque dispositivi da 1 l contenente ognuno 10 g di massa, hanno escluso, grazie anche alla migliorata sensibilità del rivelatore, l’interazione WIMP–protone superiore ai 5 pb con M = 50 GeV /c2 [40]. 2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM 47 Figura 2.7: Principi della rivelazione in doppia fase a doppio criterio di discriminazione negli esperimenti che utilizzano gas nobili liquefatti. 2.3.3 Gas nobili liquefatti, LNG Una diversa generazione di esperimenti che ha visto di recente un maggiore sviluppo utilizza per la rivelazione i gas nobili liquefatti, diventati di uso comune come mezzo per la ricerca di Materia Oscura principalmente per la loro facilità di reperimento e di utilizzo, per il relativo basso costo e soprattutto per le notevoli proprietà intrinseche di scintillazione che permettono una buona discriminazione del fondo. Gli esperimenti possono essere concepiti in singola e in doppia fase, a seconda della presenza dello scintillatore utilizzato in uno solo o in diversi stati di aggregazione, a cui possono corrispondere criteri di discriminazione singoli o doppi. Per quanto riguarda la rivelazione in singola fase (e a singolo criterio di discriminazione), si tratta di una modalità di rivelazione di relativa semplicità, ma che necessita di maggiori attenzioni soprattutto per quanto riguarda le insidie nella reiezione del fondo e che verrà affrontata in maniera più dettagliata nel Capitolo 4. Un esempio di rivelatore in doppia fase e a doppio criterio di discriminazione in gas nobili liquefatti invece, può essere osservato nella Fig. (2.7). La tecnica di rivelazione è basata sulla registrazione dei segnali di scintillazione primari (S1), che provengono dalla luce emessa subito dopo l’interazione nella fase liquida, e di quelli provenienti delle scintillazioni secondarie (S2), 48 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA luce emessa dalla ionizzazione successiva degli elettroni che vengono prima condotti per mezzo di un campo elettrico e poi eccitati nella fase gassosa. Questa tecnica offre un forte potere di reiezione dovuto al fatto che il rapporto tra la scintillazione e la ionizzazione nei gas nobili liquefatti dipende dalla quantità dE/dx, l’energia rilasciata per unità di lunghezza dalla particella incidente [41]. Tuttavia, la discriminazione tra particelle γ/β e quelle che interagiscono con il nucleo come WIMP e neutroni, in Xe, Ar, Ne, può essere condotta confrontando il rapporto S2/S1. La combinazione con metodi di discriminazione dei segnali, come la PSD (discussa in maniera più dettagliata nel capitolo 4) permette la reiezione della maggior parte2 del fondo γ/β. La soppressione dei neutroni, infine, necessita di un sistema di veto o di rivelatori con proprietà adeguate. Un buon esperimento di ricerca di Materia Oscura deve necessariamente comprendere anche buoni sistemi di reiezione del fondo. ArDM (Argon Dark Matter) è un rivelatore a doppia fase, installato presso i laboratori del CERN di Ginevra, in Svizzera, che utilizza Argon per il volume di 1 ton. I segnali per le scintillazioni secondarie vengono rivelati usando direttamente dei LEM (Large Electron Multipler) oltre ai comuni fototubi (PMTs). La camera di ArDM era già stata operativa con metà dei fotosensori, ed aveva ottenuto un guadagno in luce di 0.5 phe/keV , consistente col valore aspettato di 1.0 phe/keV per l’esperimento a pieno regime. I laboratori che hanno ospitato le varie fasi di ArDM sono stati SUNLAB (Polonia), Canfrac (Spagna) e Slanic (Romania). La collaborazione DEAP/CLEAN (Dark matter Experiment using Argon Pulse shape discrimination / Cryogenic Low Energy Astrophysics with Noble liquids, SNOLAB, Ontario, Canada) dopo il rivelatore di prima generazione, DEAP-1, con un bersaglio di 7 kg di Argon liquido e dopo miniCLEAN, un dispositivo capace di contenere 500 kg di liquido bersaglio con 91 fototubi, e 150 kg di volume fiduciale, in funzione dal 2011, sta metten2 La PSD si rivela particolarmente utile negli esperimenti di rivelazione di DM in Argon, in cui il fondo è generato principalmente dalle emissioni dell’isotopo 39 Ar [42]. 2.3. ESPERIMENTI DI RIVELAZIONE DIRETTA DI DM 49 do a punto il rivelatore più grande, ad Argon liquido, DEAP/CLEAN-3600, contenente 3600 kg di Argon in singola fase. Per il futuro è in programma il rivelatore CLEAN da 20-50 kg basato sulla rivelazione ad Argon, anche se non è escluso l’utilizzo del Neon. DarkSide è un programma di rivelazione diretta di Materia Oscura che utilizza Argon depleto come liquido bersaglio, ed è situato all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, nella fase DarkSide-10, da 10 kg di Argon. La collaborazione ha messo a punto nuove tecniche di riduzione del fondo attraverso l’utilizzo di schermi attivi, in modo da poter considerare maggiormente attendibili ognuno degli eventi candidati WIMP che verranno rivelati. Durante i test effettuati all’interno dei laboratori di Princeton, il prototipo aveva raggiunto una resa in luce di ∼ 4.5 phe/keV , mentre per la fase DarkSide-50, per cui è prevista la messa a punto sempre all’interno dei LNGS, entro la fine del 2012, si punta al raggiungimento di una LY di 6.0 phe/keV [43]. La collaborazione XMASS (Xenon neutralino MASS detector, Kamioka, Giappone), ha realizzato nel 2008 un rivelatore allo Xenon in singola fase, da 857 kg, con 642 fototubi che permettono una definizione di un volume fiduciale di 100 kg, di 80 cm di diametro. Il dispositivo presenta una sezione d’urto di 10−45 cm2 , che potrebbe consentire di raggiungere una frequenza di eventi di fondo di 10−47 giorno/keV /kg. L’esperimento WArP (Wimp Argon Programme) è stato realizzato all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso con l’obiettivo della ricerca di Cold Dark Matter sotto forma di particelle WIMP. Il principale risultato ottenuto dalla collaborazione attraverso l’utilizzo del prototipo è stato quello di aver perfezionato la sensibilità in luce in Argon liquido, raggiungendo nel 2006 per gli eventi di tipo neutronico un valore di LYAr = 1.26 ± 0.15 phe/keV , ottenuta calibrando il dispositivo con una sorgente di Am-Be. La calibrazione era stata effettuata utilizzando soltanto tre dei sette fototubi a disposizione. L’esperimento era basato sulla rivelazione diretta in doppia fase e sistema 50 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA di veto attivo, ed ha prodotto dei risultati con il prototipo da 2.3 l, circa 3 kg, con una esposizione di 96.5 kg · giorno che hanno escluso un ampio range di masse possibili per le particelle di Materia Oscura [44], giungendo alla discriminazione di sezioni d’urto fino a 10−42 cm2 . I risultati del prototipo hanno inoltre mostrato la validità dell’utilizzo di due metodi di discriminazione indipendenti, la Pulse Shape Discrimination e il rapporto tra le ampiezze degli impulsi (S1)/(S2) tra il segnale ritardato dell’interazione degli elettroni in GAr (S2) e quello dell’iniziale emissione di luce in LAr (S1), e confermano la validità della scelta dell’Argon come mezzo attivo per la ricerca delle WIMP. L’analisi dei dati raccolti dal rivelatore da 100 l è attesa per la fine del 2012. Anche XENON si trova all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. La collaborazione utilizza la tecnica della doppia fase e lo Xenon come liquido bersaglio. Il primo rivelatore, XENON 10, ha reso pubblici i propri dati nel 2008 [45], che hanno rappresentato uno dei limiti sperimentali di maggior rilievo. Nel 2011 sono stati presentati i risultati di XENON 100 [46], relativi ai dati raccolti tra gennaio e giugno del 2010, in un intervallo di energie compreso tra 8.4 e 44.6 keVnr , (keV nuclear recoil equivalent) e che presentano tre possibili eventi candidati WIMP, ma con fondo atteso di 1.8 ± 0.6 eventi. Tuttavia, i dati di XENON 100 compongono una delle migliori curve di esclusione (Fig. (2.8)) oggi esistenti. ZEPLIN III (ZonEd Proportional scintillation in LIquid Noble gases) è un rivelatore in doppia fase allo Xenon, situato nel Boulby Underground Laboratory, North Yorkshire, UK, alla profondità di 1100 m. Il bersaglio per le WIMP consiste in una camera, contenente 12 kg di Xenon liquido sormontato da un sottile strato di Xenon allo stato gassoso, tenuti sotto osservazione da 31 fototubi. La collaborazione ZEPLIN III, che include l’Università di Edinburgo, il Rutherford Appleton Laboratory, l’Imperial College London, il LIP-Coimbra (Portogallo) e l’ITEP di Mosca, ha annunciato i risultati dei primi run nel 2009, con 128 kg · day fiduciali, in 83 giorni ha rivelato 3.05 eventi con un livello di confidenza del 90%. 2.4. L’ ARGON LIQUIDO COME BERSAGLIO PER LE WIMP 2.3.4 51 Stato attuale della Ricerca La Figura (2.8) mostra il confronto tra la sezione d’urto di interazione e la massa delle WIMP e riportano le previsioni dei modelli teorici di SuperSimmetria. Salta all’occhio che molti risultati sperimentali ottenuti da vari esperimenti si collocano entro le regioni previste dalle varie teorie (zona grigia, in basso a destra), e che tuttavia non hanno mostrato risultati soddisfacenti in termini di rivelamento di segnali WIMP candidati. Si vede inoltre che il risultato di DAMA risulta quasi completamente escluso da ogni previsione teorica. 2.4 L’ Argon liquido come bersaglio per le WIMP Come illustrato al paragrafo (2.1.2), un rivelatore progettato per la ricerca diretta della Materia Oscura deve possedere alcune caratteristiche di grande importanza, quali una grande massa, la più bassa soglia energetica raggiungibile, una riduzione del fondo altamente efficiente ottenuta attraverso l’uso di schermi e di tecniche di discriminazione delle particelle, ed una buona esposizione temporale. La scelta del materiale utilizzato come bersaglio per le WIMP è altrettanto importante e deve essere valutata anche in base alla frequenza di eventi attesa: l’aumento della massa atomica infatti da un lato fa crescere la sezione d’urto, mentre dall’altro ne causa la diminuzione in quanto rende più veloce la decrescita del fattore di forma. Considerando tutti questi aspetti, l’ Argon liquido può rappresentare un buon materiale sensibile per il rilevamento delle WIMP. La tecnologia ad Argon liquido infatti è ben supportata a livelli industriali per poter realizzare rivelatori di grande massa, mentre i processi di ionizzazione e di scintillazione prodotti dall’interazione di particelle in liquidi nobili si prestano ad efficienti metodi di discriminazione. Tutto ciò è particolarmente importante per limitare gli effetti di una sorgente intrinseca di fondo rappresentata dalla presenza di una piccola frazione di un isotopo dell’ Argon naturale, l’ 39 Ar che è un β- emettitore. 52 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA Figura 2.8: Plot esclusivi dei risultati degli esperimenti di maggior rilevanza nella ricerca di Materia Oscura. Nella zona grigia, in basso a destra, le previsioni di alcuni modelli teorici. 2.4. L’ ARGON LIQUIDO COME BERSAGLIO PER LE WIMP 53 La separazione dell’isotopo 39 Ar dall’Argon utilizzato a fini di ricerca si effettua attraverso processi di centrifugazione, oppure si ricorre all’estrazione di Argon fossile dalle sorgenti sotterranee di gas naturale. Figura 2.9: A sinistra lo spettro differenziale dei rinculi dei nuclei di Argon per σχ−n ≈ 10−5 pb e differenti valori di mχ . Gli spettri includono la correzione legata al fattore di forma nucleare. A destra, curve di iso-rate, espresse in iru, (eventi/kg/giorno), in funzione della massa della WIMP e della sezione d’urto WIMP – nucleone per un bersaglio di Argon (A = 40), con una soglia di rivelazione ER = 30 keV . Per quanto riguarda l’interazione con la materia oscura, i nuclei di Argon hanno spin nullo, dunque il rivelatore risulta sensibile solo ad interazioni indipendenti dallo spin e questo consente di studiare l’utilizzo dell’Argon come bersaglio per le WIMP nell’ambito del modello standard, potendo trascurare lo spin. La Figura (2.9) riporta lo spettro differenziale atteso dei rinculi nucleari per diversi valori di mχ e per un accoppiamento WIMP – nucleone dell’ordine di 10−5 pb. Viene mostrata inoltre, la frequenza integrata di rinculi potenzialmente osservabile, assumendo dei limiti di rivelazione3 di E1 = 30 keV e E2 = 100 keV , sotto forma di curve di iso-rate nello spazio dei parametri [σχ−n − mχ ]. 3 la frequenza di eventi integrata si riduce in presenza di una soglia energetica e varia al variare di essa. 54 CAPITOLO 2. LA RICERCA DELLA MATERIA OSCURA Capitolo 3 Processi di ionizzazione e scintillazione in Argon liquido L’Argon è uno dei gas inerti più abbondanti nell’aria (' 0.9%), per questo risulta facilmente reperibile in commercio, in grandi quantità ed a prezzi relativamente moderati, e la sua scelta come mezzo per la ricerca nel campo della Fisica Astroparticellare è favorita da diverse caratteristiche: • alta densità; • elevato potere isolante; • alta mobilità elettronica; • buon guadagno ione – elettrone; • elevata resa in fotoni di scintillazione; • facilità di purificazione; • disponibilità a costi contenuti. La tecnologia che fa uso dei gas nobili liquefatti, ed in particolare dell’Argon liquido su larga scala, rende possibile la rivelazione dei prodotti della ionizzazione e della luce di scintillazione generata da eventi ionizzanti nel volume attivo. Infatti, una particella carica che interagisce nell’Argon liquido produce eccitazioni atomiche con conseguenti separazioni ione – elettrone (ionizzazione), seguite da ricombinazione. Ognuno di questi processi porta CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 56 ARGON LIQUIDO Grandezza Z A Densità Punto di ebollizione (@1.02 bar) Motilità Rigidità Dielettrica Potenziale di Prima Ionizzazione Energia media di separazione tra i livelli Valore 18 40 1.39 g/cm2 87.2 K 500 cm2 V −1 s−1 100 kV /cm I = 15.7 eV Egap = 14.3 eV Tabella 3.1: Proprietà fisiche principali dell’Argon liquido all’emissione di luce di scintillazione ultravioletta (VUV, Vacuum UltraViolet 1 ) [47, 48, 49] e pertanto ionizzazione e scintillazione in LAr sono processi strettamente correlati. In presenza di un campo elettrico applicato al volume attivo di LAr, una parte della carica di ionizzazione può essere raccolta ed in linea di principio il rapporto tra la luce di scintillazione e la carica elettrica può essere utilizzato come criterio di discriminazione delle particelle interagenti nel rivelatore. Le principali caratteristiche riguardanti i processi di ionizzazione e scintillazione sono riassunti nelle Tabelle (3.1) e (3.2). 3.1 Processi di ionizzazione in Argon liquido Il processo iniziale di produzione di coppie ione – elettrone dipende fortemente da come le particelle interagenti trasferiscono energia nel mezzo. Particelle come muoni, pioni, protoni, particelle α e nuclei leggeri, con velocità relativistiche (β ' 0.1), rilasciano energia nel mezzo per lo più in maniera anelastica, favorendo cosı̀ il processo di ionizzazione ed in questo caso il processo è descritto dalla formula di Bethe-Bloch. Per velocità medie, comprese nell’intervallo 0.01 < β < 0.1, non sono più valide alcune delle ipotesi della formula di Bethe-Bloch [50] ed inizia a diventare dominante la cattura elettronica da parte degli ioni pesanti. Infine, per velocità tali che 1 Con tale termine si indicano le radiazioni ultraviolette emesse nella regione 150 ÷ 200 nm, il cui principale assorbente in natura è l’Ossigeno presente nell’aria. Per gli scopi scientifici, la radiazione viene utilizzata principalmente in condizioni di vuoto, o in ambienti completamente privi di ossigeno. 3.1. PROCESSI DI IONIZZAZIONE IN ARGON LIQUIDO Perdita di energia media (mip) Energia media per produzione di coppie (e− , Ar+ ) Rapporto tra numero di atomi eccitati e numero di ioni Stati dimerici eccitati Ar2∗ (banda M ) Energia del decadimento γ Spettro del decadimento γ Costanti temporali di decadimento Energia media di produzione di fotoni γ Lunghezza d’onda della diffusione Rayleigh (127 nm, 89 K) Lunghezza di attenuazione (caso ideale) Indice di rifrazione (127 nm) Emissioni Čerenkov (110-600 nm) Guadagno in luce: -in assenza di campi (caso ideale) -in assenza di campi (mip) -con campo elettrico 500 V /cm (mip) -con campo elettrico > 15 kV /cm (mip) 57 hdEmip /dxi = 1.519 M eV cm2 /g WLAr = 23.6 eV Nex /Ni = 0.21 Singoletto Σu , Tripletto 3 Σu hEγ i = 9.7 eV hλscint i = 127 nm; σscint ' 3 nm τS ∼ 6 ns, τT ∼ 1.2 ÷ 1.6 µs W 0 = 19.5 eV 1 LR = 90 cm ± 35% ∞ 1.38 1430 γ/cm Yγ Yγ Yγ Yγ = 5.1 · 104 γ/M eV ' 4.1 · 104 γ/M eV ' 2.4 · 104 γ/M eV ' 1.3 · 104 γ/M eV Tabella 3.2: Proprietà della ionizzazione e dell’emissione di luce per l’Argon liquido β < 0.01, le perdite di energia vengono completamente trasferite agli atomi e il processo di ionizzazione si fa sempre meno frequente. Una descrizione più accurata delle interazioni tra particelle cariche e nuclei elettronicamente schermati è fornita nella teoria di Lindhard [51]. 3.1.1 Produzione di coppie ione – elettrone in LAr La perdita media di energia per la produzione di coppie ione – elettrone è all’incirca la stessa per tutte le particelle che interagiscono nel mezzo essenzialmente attraverso collisioni con gli elettroni atomici. Ad esempio, nel caso di particelle α di alcuni M eV interagenti in Argon [52] si hanno WGAr = 26.4 eV e WLAr = 23.6 eV . L’energia rilasciata dalla particella incidente può essere divisa in due termini: il termine relativo all’energia media ceduta direttamente sotto forma di CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 58 ARGON LIQUIDO movimento atomico, ν, e il termine relativo all’energia trasferita agli elettroni del mezzo, η̄, per cui si ha E =ν+η (3.1) dove il contributo η può essere espresso come η(E) = Ni E i + Nex E ex + Ni se (3.2) con Ni che rappresenta il numero di coppie ione – elettrone prodotte dall’energia media E i , Nex il numero di atomi di Argon eccitati dall’energia E ex e se è l’energia cinetica media degli elettroni la cui eccitazione non è sufficiente alla ionizzazione, che viene dispersa in calore. In genere, prendono parte al processo una particella di massa M1 e numero atomico Z1 che rilascia un’energia E in un mezzo composto di una sola specie atomica, di massa M2 e numero atomico Z2 . Poiché le equazioni che governano l’andamento delle variabili in gioco dipendono da molteplici parametri, risulta difficoltoso riuscire a stimarne i valori. Per descrivere il comportamento delle nubi elettroniche, alle energie tipiche dei processi in gioco (> 100 eV ) si ricorre a metodi statistici, come l’approccio di Thomas– Fermi utilizzato nella teoria di Lindhard per semplificare la descrizione dei fenomeni. Per valutare ν e η è utile introdurre le variabili adimensionali energia e range ρ aM2 = E Z1 Z2 e2 (M1 +M2 ) ρ= (3.3) 2N M M 1 2 R 4πa (M1 +M2 )2 dove a = 0.8853a0 Z −1/3 , N è il numero di atomi per unità di volume e con R è indicato il range. Si può pertanto definire la variazione d M1 + M2 = S dρ 4πe2 Z1 Z2 M1 (3.4) 3.1. PROCESSI DI IONIZZAZIONE IN ARGON LIQUIDO 59 Figura 3.1: La perdita di energia per ionizzazione espressa come funzione delle variabili adimensionali e ρ. Si notano anche il contributo nucleare costante e quello elettronico proporzionale alla velocità delle particelle incidenti. dove S è la perdita totale di energia per ionizzazione dovuta all’interazione della particella carica nel mezzo considerato, da cui d d = 0.327 , = k1/2 (3.5) dρ n dρ e con k = 0.10 ÷ 0.20, opportuna costante che tiene conto di tutte le unità. Come mostrato in Fig. (3.1), per un valore tipico di k = 0.015, l’intersezione delle curve suggerisce tre diverse regioni per l’andamento della perdita di energia per ionizzazione: • per 0 < E < Ec (c ) domina il contributo di schermo dato dai nuclei; • nella regione Ec (c ) ≤ E1 (1 ) diventa più importante la perdita di energia dovuta alle collisioni elettroniche e Se raggiunge il suo massimo per v ' v1 ; • per E > E1 (1 ) la perdita di energia per ionizzazione elettronica inizia a decrescere gradualmente in accordo con la formula di Bethe-Bloch. 3.1.2 Ricombinazione ione-elettrone in Argon liquido Può accadere che le coppie ione – elettrone prodotte da una particella ionizzante che interagisce con un gas o un liquido nobile si ricombinino. Se- CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 60 ARGON LIQUIDO condo numerosi studi e misurazioni, i processi di ricombinazione dipendono fortemente dall’intensità di campo elettrico esterno, dalla natura e dal regime cinematico della particella ionizzata [53, 54, 55]. Sono state proposte teorie differenti, nell’ottica dell’interazione fra particelle incidenti in un volume gassoso o liquido a cui è applicato un campo elettrico Ed [56, 57, 58]. In particolare, nel geminate model ogni coppia ione – elettrone viene supposta separata spazialmente dalle altre, mentre la columnar-like theory descrive il processo assumendo che la ricombinazione avvenga con ione anche appartenente ad un’altra coppia. In tutti i modelli di ricombinazione, l’effetto può essere descritto attraverso una relazione tra la carica elettronica inizialmente prodotta, proporzionale al numero delle coppie prodotte, e la carica raccolta, proporzionale alla raccolta del numero di elettroni che sfuggono dalla ricombinazione. 3.1.3 Cattura elettronica da parte delle impurità In presenza di un campo elettrico, gli elettroni prodotti in seguito a ionizzazione che non si ricombinano continuano a muoversi liberamente nel volume di Argon liquido, anche per distanze relativamente grandi [59]. Nell’Argon prodotto a livello industriale restano però delle frazioni di O2 , N2 , H2 O ed altre impurità, dovute ai processi di separazione del gas dall’aria, che possono interferire con la raccolta della carica elettrica prodotta. In particolare, le impurezze elettronegative, S, danno luogo al processo di cattura elettronica: e− + S → S − (3.6) la cui costante di reazione ke può essere espressa da: Z ke = σ(E)f (E)dE (3.7) dove E è l’energia degli elettroni, σ(E) la sezione d’urto del processo di cattura e f (E) è la funzione di distribuzione di Maxwell – Boltzmann dell’energia degli elettroni [60, 61]. Partendo dal presupposto che la concentrazione Ne degli elettroni liberi prodotti da eventi ionizzanti è inferiore alla concentrazione S delle impurità, 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR Impurity O2 H2 O CO2 61 ke (l · mol−1 s−1 ) 5.5 · 1010 ' 107 ' 107 Tabella 3.3: Valori di ke per differenti tipologie di impurezze calcolati per Ed = 1 kV /cm. la concentrazione di elettroni liberi diminuisce nel tempo con andamento indicato nella formula seguente: dNe = −ke Ne S ⇒ Ne (t) = Ne (0)e−t/τe (3.8) dt dove Ne (0) è la concentrazione di elettroni al tempo t = 0 e il tempo di vita degli elettroni τe è definito come2 : 1 = ke S τe (3.9) e rappresenta il tempo dopo il quale il numero degli elettroni ancora liberi riduce di un fattore 1/e. Il valore della costante ke dipende dal campo di deriva applicato al volume attivo di LAr. In tabella (3.1.3) sono riportati i valori di ke per diversi tipi di impurezze calcolati ad un valore di Ed = 1 kV /cm. 3.2 La luce di scintillazione in LAr Per scintillazione si intende l’emissione di un impulso luminoso da parte di un materiale in seguito a eventi di eccitazione e ionizzazione. La raccolta della luce di scintillazione prodotta dall’interazione di una particella carica in un materiale scintillante rappresenta una delle più usate e versatili tecniche di rivelazione nell’ambito della Fisica Astroparticellare e trova il suo utilizzo in diverse applicazioni, tra cui la misura del tempo di volo (t.o.f., time of flight), la spettroscopia gamma e beta, la Pulse Shape Discrimination (PSD). 2 Il processo di cattura da parte delle impurità può essere descritto dalla lunghezza di attenuazione: λ = vd τe , dove vd è la velocità di deriva degli elettroni in LAr. [59] CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 62 ARGON LIQUIDO Non esistono scintillatori ideali per cui, in generale, la scelta di un materiale è determinata dalle funzioni cui questo dovrà assolvere cercando di rispondere al meglio ai seguenti specifici requisiti: • conversione in luce dell’energia cinetica delle particelle interagenti rivelabile con alta efficienza di scintillazione; • linearità della conversione in luce: la luce emessa deve essere proporzionale all’energia rilasciata nel mezzo nel più ampio range possibile; • trasparenza alla propria luce di scintillazione; • tempo di decadimento della luce emessa minimo (se il segnale è utilizzato a scopo di trigger); • indice di rifrazione tale da massimizzare la raccolta della luce favorendo l’accoppiamento con il fotosensore. Sono diversi i processi che terminano con l’emissione di luce da parte di un materiale scintillante: • la fluorescenza, emissione immediata (tempo di decandimento τd ≤ 10−8 s) di radiazione visibile da parte di una sostanza a seguito della sua eccitazione; • la fosforescenza, emissione di luce su scale più grandi (τd > 10−8 s) e con lunghezze d’onda maggiori rispetto alla fluorescenza; • la fluorescenza ritardata che presenta lo stesso spettro di emissione della fluorescenza, ma con un tempo di emissione a seguito dell’eccitazione molto più lungo. Perché si consideri un buon scintillatore, una sostanza deve convertire la più larga frazione possibile di energia della particella incidente in fluorescenza minimizzando i contributi dati da fosforescenza e fluorescenza ritardata. I liquidi nobili, ed in particolare Argon e Xenon, vengono correntemente utilizzati come materiali scintillanti e sono considerati ottimi mezzi attivi 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 63 di rivelazione grazie all’alta resa in luce3 , alla possibilità di raggiungere un elevato grado di purezza ed ai costi di produzione moderati che, principalmente nel caso dell’Argon, favoriscono la realizzazione di rivelatori di grandi dimensioni, necessari per operare nel campo della ricerca di fenomeni rari della Fisica Astroparticellare. L’Argon liquido è considerato un buon mezzo scintillatore, relativamente abbondante e performante, ed offre un guadagno in luce teorico, in assenza di campi elettrici e processi di attenuazione, dell’ordine di ∼ 5 · 104 fotoni per M eV di energia depositata in LAr da una particella ionizzante4 . Una complicazione relativa alla raccolta della luce di scintillazione in Argon liquido è data dal fatto che tale emissione avviene sottoforma di fotoni VUV nella regione dello spettro elettromagnetico intorno a 127 nm (∼ 9.7 eV ) [62, 63]. I comuni dispositivi di raccolta, come i fototubi, non sono sensibili alle emissioni VUV, principalmente a causa dell’opacità del vetro in tale regione spettrale, come mostrato alla Sezione (4.1.3). Va anche considerato che, per la natura del fotocatodo, i fotomoltiplicatori presentano un decremento dell’efficienza al diminuire della temperatura: l’emissione di un elevato numero di fotoelettroni5 induce infatti un eccesso di carica positiva che non viene efficientemente neutralizzato a causa degli elevati valori di resistività che si hanno a bassa temperatura. Tale situazione porta un campo elettrico locale che sfavorisce l’emissione di nuovi fotoelettroni. Per riuscire a mantenere livelli di efficienza elevati, vengono utilizzati fotocatodi bialcalini sui quali viene depositato un sottile strato di platino per favorire il processo di neutralizzazione. Tuttavia, lo spessore dello strato di platino deve essere sufficientemente grande da garantire una veloce ed efficiente ridistribuzione della carica, in modo da ristabilire immediatamente l’equipotenzialità della superficie, ma al contempo deve essere abbastanza sottile da ridurre il meno possibile la capacità di trasmissione della luce. 3 scintillation o photon yield, ossia il numero di fotoni di scintillazione emesso per unità di energia ceduta al mezzo 4 Per avere un termine di paragone si può considerare che uno degli scintillatori più comuni, il NaI(Tl), presenta una LY =∼ 3.8 · 104 fotoni per M eV 5 Con tale termine si indica un singolo elettrone che per effetto fotoelettrico viene prodotto dall’interazione dei fotoni con il fotocatodo del fotorivelatore. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 64 ARGON LIQUIDO 3.2.1 Emissione di Luce di scintillazione in Argon liquido L’interazione di una particella carica in Argon liquido produce ionizzazione ed eccitazioni atomiche con conseguente emissione di fotoni aventi lunghezza d’onda λ = 127nm. Studi sperimentali [48, 64] hanno mostrato che, in relazione a questi due fenomeni, la luce di scintillazione presenta due diverse componenti, chiamate luce di ricombinazione (recombination luminescence) e luce di eccitazione (self-trapped exciton luminescence). Si ha luce di ricombinazione in seguito a fenomeni di ionizzazione: lo ione atomico Ar+ liberato dall’interazione si lega ad un atomo di Argon Ar e forma uno ione molecolare Ar2+ . Quest’ultimo, assorbendo un elettrone prodotto nell’interazione e termalizzatosi attraverso gli urti nel mezzo, si dissocia producendo un atomo di Argon nello stato fondamentale ed un atomo in stato eccitato, Ar∗∗ . Attraverso processi dissipativi non radiativi, Ar∗∗ decade fino al primo stato eccitato (Ar∗ ); prima di decadere ulteriormente verso lo stato fondamentale, l’interazione con un atomo neutro può portare alla formazione di una molecola in stato eccitato Ar2∗ , la quale decade emettendo un fotone da 127nm, ossia nella regione dell’ultravioletto (E ≈ 9.7eV ). Tale processo è sintetizzato come segue [65]: Ar+ + Ar → Ar2+ ∗∗ Ar2+ + e− th → Ar + Ar Ar∗∗ → Ar∗ + f ononi Ar∗ + Ar → Ar2∗ Ar2∗ → Ar + Ar + hν. (3.10) La luce di eccitazione si basa, invece, sull’eccitazione indotta dal passaggio di una particella [65]: Ar∗ + Ar → Ar2∗ Ar2∗ → Ar + Ar + hν. (3.11) Come il precedente, anche questo processo termina con il decadimento di una molecola di Argon e quindi con l’emissione di un fotone da 127 nm. L’analisi 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 65 Figura 3.2: Andamento dell’intensità della luce di scintillazione e della carica raccolta in LAr in funzione del campo elettrico applicato. Sugli assi delle ordinate la scala di sinistra si riferisce all’intensità luminosa e il valore 100 è assegnato alla luce raccolta a campo nullo, mentre la scala di destra si riferisce alla carica raccolta e il valore 100 è attribuito alla carica Q0 prodotta inizialmente. dello spettro di emissione mostra che la diseccitazione dell’atomo di Argon Ar∗ attraverso la produzione di un fotone è fortemente soppressa: in media, l’atomo eccitato Ar∗ cattura un atomo neutro di Argon formando uno stato legato Ar2∗ prima che abbia luogo la diseccitazione. L’esistenza delle due diverse origini per la luce di scintillazione in Argon è stata rivelata mediante l’uso di un campo elettrico di deriva [65]: l’applicazione di un campo elettrico esterno infatti non ha effetti sulla luce di eccitazione, mentre può influenzare fortemente la ricombinazione delle coppie ione – elettrone e quindi la luce di ricombinazione. La Fig. (3.2) mostra il comportamento della luce rivelata e della carica raccolta in funzione del campo elettrico applicato per segnali dati da elettroni di 1 M eV . L’intensità della luce di scintillazione raggiunge il suo massimo a campo nullo e comincia a diminuire non appena il campo elettrico applicato aumenta; in questo particolare caso (elettroni da 1 M eV ), per campi elettrici dell’ordine di 10 kV /cm, praticamente tutta la carica viene raccolta e sopravvive solo il 33% della luce, attribuibile completamente alla componente di eccitazione [41]. Questi valori possono essere considerati attendibili solo per particelle al minimo di ionizzazione (mip) in LAr (come gli elettroni CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 66 ARGON LIQUIDO Figura 3.3: Curve di decadimento della luce di scintillazione in LAr. Sono rappresentati gli andamenti sia per la luce di eccitazione, sia per quella di ricombinazione. Le due differenti scale temporali mettono in risalto la presenza delle due componenti. [55]. considerati) in quanto il processo di ricombinazione dipende fortemente dalla densità di ionizzazione, quindi dalla natura della particella interagente. Nella Figura (3.3) vengono riportate le curve di decadimento misurate per la luce di scintillazione per l’Argon liquido [55]. Le misure sono state effettuate in condizioni di campo elettrico opposte, in modo da poter separare la luce di ricombinazione da quella di eccitazione. Nella prima serie di misure è stato applicato un campo elettrico di 6 kV /cm allo scopo di rendere nulla la componente di ricombinazione; nel secondo caso le misure sono state eseguite in assenza di campi elettrici e alla luce di scintillazione totale cosı̀ misurata è stato sottratto il contributo dell’eccitazione, precedentemente determinato. I risultati sperimentali mostrano lo stesso andamento, sia per la luce di ricombinazione che per quella di eccitazione, caratterizzato dalla presenza di due contributi ben distinti, uno con costante di decadimento τs ≈ 6 ns, l’altro con costante di decadimento τt ≈ 1600 ns. La presenza di una componente veloce ed una lenta sembra suggerire che 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 67 il processo Ar2∗ → Ar + Ar + hν (3.12) avvenga tramite la diseccitazione verso lo stato fondamentale 1 Σ+ g (2 Ar) di 1 + due distinti stati molecolari eccitati, Σu (stato di singoletto) e 3 Σ+ u (stato di tripletto). Quest’ultimo, vietato dalla regola di selezione ∆S = 0, risulta in realtà possibile a causa dell’effetto di mescolamento associato all’interazione spin – orbita e dà origine alla componente lenta del segnale6 . A partire dalle reazioni che descrivono il fenomeno della scintillazione, è possibile stimare il numero di fotoni emessi da una particella ionizzante [66]. Assumendo che la diseccitazione di ogni Ar2∗ generi soltanto un fotone, in assenza di riduzione della luce il numero massimo di fotoni di scintillazione Nph prodotti dall’energia E0 rilasciata da una particella ionizzante sarà Nph = Ni + Nex = Ni Nex 1+ Ni E0 = W Nex 1+ Ni (3.13) dove Ni e Nex indicano rispettivamente il numero di ioni e di atomi eccitati prodotti da una particella ionizzante, mentre W rappresenta l’energia media richiesta per formare una coppia ione – elettrone. Dalla Eq. (3.13) si ricava la grandezza W0 = W (1 + Nex /Ni ) (3.14) che rappresenta l’energia media intrinseca necessaria per la produzione di fotoni in Argon liquido. Inserendo la Eq. (3.14) nella Eq. (3.13) si ottiene l’espressione E Nph = 0 (3.15) W che può essere utilizzata per stimare il numero di fotoni emessi da una particella ionizzante. Usando come valori per l’Argon liquido Nex /Ni = 0.21 [65] e W = 23.6 eV [65], si ottiene W 0 = 19.5 eV [66]; il numero di fotoni prodotti in LAr da un deposito di energia di 1 M eV risulta quindi essere 6 Talvolta in letteratura è riportata anche l’esistenza di una componente intermedia con τ ∼ 50 ÷ 70 ns la cui origine non è ancora chiara. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 68 ARGON LIQUIDO Figura 3.4: Scintillation yield in funzione del LET per particelle di varia natura. I pallini indicano i risultati sperimentali con le relative barre d’errore; i pallini pieni si riferiscono a ioni relativistici. I riquadri verticali mostrano i calcoli teorici effettuati da Hitachi et al. [67]. 5.13 · 104 . Questo numero rappresenta il massimo valore teorico per lo scintillation yield del LAr e, come si deduce da una serie di esperimenti [66, 67], risulta appropriato solo per gli ioni pesanti relativistici dal N e (A = 20) al La (A = 139). I dati sperimentali, ottenuti con un campo elettrico nullo, sono riportati nella Fig. (3.4), la quale mostra lo scintillation yield in funzione del LET, Linear Energy Transfer, che rappresenta il rate medio di perdita d’energia lungo il percorso della particella e viene calcolato semplicemente dividendo la perdita d’energia per il range della particella. Come si vede dalla figura, tutte le particelle, eccetto gli ioni precedentemente menzionati, hanno un dL/dE minore di quello previsto: questa soppressione della luce può essere spiegata introducendo i concetti di electron escaping e quenching. 3.2.2 Fenomeni di riduzione della luce in LAr: quenching ed electron escaping Quenching ed electron escaping sono due processi che avvengono in differenti regioni di LET. 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 69 L’electron escaping domina nelle regioni di basso LET: ha effetto sugli elettroni relativistici e sugli ioni leggeri ed è generato dal fatto che, a campo nullo, una larga frazione degli elettroni non si ricombina per un lungo tempo. Tale fenomeno viene spesso spiegato tramite la teoria della ricombinazione di Onsager [58]. In breve, quando un elettrone originatosi dalla ionizzazione viene rallentato fino alla termalizzazione, se si trova ad una distanza dal proprio ione (lo ione da cui si è dissociato) minore del raggio di Onsager (la distanza alla quale l’energia di Coulomb è uguale all’energia termica), allora non può scappare dall’influenza dello ione e la coppia ione – elettrone si ricombina (in termini matematici, la probabilità di fuga per l’elettrone al raggio di Onsager è e−1 ). Al contrario, se il punto di termalizzazione dell’elettrone è al di fuori del raggio di Onsager, esso è libero dall’influenza del proprio ione anche in caso di campo elettrico esterno nullo. Per l’Argon ◦ liquido il raggio di Onsager è 1250 A, mentre il range di termalizzazione ◦ degli elettroni è stimato essere ≈ 2000 A. Ci si aspetta dunque che in assenza di campo elettrico un gran numero di elettroni non si ricombini per un tempo molto lungo (ordine di alcuni ms): è questo che causa la riduzione della scintillazione nella regione di basso LET, in quanto le finestre temporali generalmente utilizzate non vanno oltre7 le decine di µs. Va sottolineato che, proprio per la sua natura, l’electron escaping non è un fenomeno di quenching (ossia un processo non radiativo che, assorbendo parte dell’energia rilasciata nel mezzo, porta ad una diminuzione della luce emessa): la luce rivelata in questo caso dipende sensibilmente dal valore della finestra temporale di acquisizione; aumentando infatti a sufficienza l’ampiezza di tale finestra si otterrebbe un dL/dE paragonabile a quello degli ioni pesanti relativistici. È possibile verificare ciò attraverso la misura della grandezza I + aS, la somma del numero di elettroni collezionati su un elettrodo (I) e del numero di fotoni di scintillazione emessi (aS), dove S è l’intensità di scintillazione misurata sperimentalmente, mentre a è un fattore di normalizzazione. Per come è costruita, I + aS risulta indipendente dal campo elettrico e dalla 7 In realtà, una descrizione più corretta ed accurata del fenomeno dovrebbe tener conto anche del “volume di ricombinazione”, ossia della ricombinazione degli elettroni con ioni diversi dal proprio. Per gli scopi del presente lavoro ciò non è però necessario; gli sviluppi di questo argomento possono essere trovati nel lavoro di Doke et al. [66]. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 70 ARGON LIQUIDO Figura 3.5: Dipendenza dal LET del rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) in LAr per varie particelle. Tra parentesi sono riportate le particelle non relativistiche. I valori di I + aS/ (Ni + Nex ) minori di uno indicano la presenza di fenomeni di quenching [66]. carica nucleare della particella ionizzante. Se non sono presenti fenomeni di quenching, è possibile ottenere il valore di a assumendo che l’intensità di scintillazione a campo elettrico nullo, S0 , corrisponda al massimo numero di fotoni possibile, Nph , espresso nella Eq. (3.13). Quindi, per gli ioni relativistici di N e, F e, Kr e La, i quali producono il numero massimo di fotoni, il rapporto aS0 / (Ni + Nex ) deve essere pari a uno; inoltre, anche il rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) deve essere uno per ogni campo elettrico applicato. Nel caso di elettroni, protoni e ioni di He, S0 non corrisponde a Ni + Nex : l’electron escaping non permette ad una parte degli elettroni prodotti di ricombinarsi per un lungo periodo, quindi questi non contribuiscono alla scintillazione osservabile. In presenza di un campo elettrico però tali elettroni vengono facilmente raccolti, cosı̀ il rapporto I + aS/ (Ni + Nex ) resta uguale ad uno anche per questa categoria di particelle. La Fig. (3.5) riporta i valori di I + aS/ (Ni + Nex ), misurati in presenza di un alto campo elettrico, per diversi ioni su un ampio spettro di LET. Si può osservare come si abbia I + aS/ (Ni + Nex ) = 1 per quasi tutte le particelle, anche nella zona di bassi LET, dove opera l’electron escaping. Per le particelle α, i frammenti di fissione e gli ioni di Au questo rapporto resta invece minore di uno, indica- 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 71 zione del fatto che per queste particelle la luce di scintillazione viene ridotta da dei fenomeni di quenching. Come anticipato, con il termine quenching si indicano tutti quei processi che assorbono una parte dell’energia rilasciata nel mezzo, indirizzandola lungo canali non radiativi. Dal punto di vista della scintillazione questa è una reale perdita d’energia, in quanto l’ipotesi che tutta l’energia ceduta nel mezzo da una particella venga convertita in luce di scintillazione risulta non più valida. Dai dati sperimentali riportati in Fig. (3.5) si deduce che il quenching interessa solo le particelle ad alto LET, ma allo stesso tempo esso non può essere considerato una semplice funzione della densità di perdita d’energia, altrimenti gli ioni relativistici di F e, Kr e La dovrebbero presentare un fattore di quenching più grande di quello misurato per le particelle α: in accordo con il modello teorico [67], deve esistere anche una dipendenza dai dettagli della traccia della particella, come dalla distribuzione radiale. Il meccanismo proposto per il quenching della scintillazione è Ar∗ + Ar∗ → Ar + Ar + e− (3.16) ed il suo rate dipende dalla densità di atomi eccitati Ar∗ . Poiché questi stati Ar∗ sono coinvolti in entrambi i meccanismi che generano luce di eccitazione e di ricombinazione (Eq. (3.10), Eq. (3.11)), entrambe le componenti risentiranno del quenching8 . 3.2.3 Dipendenza dell’impulso luminoso dalla densità di ionizzazione La luce di scintillazione indotta da un’interazione in LAr presenta due componenti distinte, caratterizzate da costanti di decadimento differenti, τs ≈ 6 ns e τt ≈ 1.6 µs. La loro emissione inoltre è stata attribuita alla transizione verso lo stato fondamentale rispettivamente dello stato eccitato 3 + più basso di singoletto, 1 Σ+ u , e di tripletto, Σu . Risulta possibile allora esprimere l’impulso luminoso prodotto dal passaggio di una particella in Argon liquido come I(t) = Is e−t/τs + It e−t/τt . (3.17) 8 Anche in questo caso viene tralasciata la descrizione del modello teorico, rimandando per ogni approfondimento al lavoro di Hitachi [67]. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 72 ARGON LIQUIDO Figura 3.6: Curve di decadimento per impulsi generati da elettroni, particelle α e frammenti di fissione in LAr [68]. Sono riportate la componente veloce (grafico di sinistra) e quella lenta (grafico di destra). Le misure sono state effettuate in condizioni di campo elettrico nullo. mentre le costanti di decadimento non dipendono dal rate della perdita d’energia (ossia dal LET), assumendo valori simili, compatibili entro gli errori sperimentali, per particelle di differente natura (Fig. (3.6) e Tab. (3.4)) [68]. L’intensità relativa delle componenti, Is /It (singoletto/tripletto), dipende in modo sensibile dal LET, come mostrano i dati sperimentali riassunti nella Tab. (3.4). Sperimentalmente si è osservato che per particelle con alto LET (ad esempio neutroni e particelle α), l’intensità della componente di singoletto (componente veloce) cresce a spese di quella di tripletto. Dei diversi meccanismi che possono essere ipotizzati per descrivere il comportamento osservato, tra tutti il più plausibile sembra essere quello riguardante le collisioni superelastiche con elettroni termici [68]. Secondo questa teoria, gli elettroni di ionizzazione, dopo essere stati termalizzati, possono collidere prima della ricombinazione con gli stati di singoletto ed indurre una transizione singoletto – tripletto. La probabilità di questo processo è in qualche modo connessa con il tempo di ricombinazione in Argon liquido che, ovviamente, è funzione della densità di ionizzazione. Tale processo è quindi favorito 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR Particella e− α Residui di fissioni τs (ns) 6.3 ± 0.2 4.6 4.18 ± 0.2 τt (ns) 1020 ± 60 1540 1000 ± 95 1110 ± 50 6±2 1590 ± 100 4.85 ± 0.08 1463 ± 55 4.9 ± 0.2 1260 ± 65 ∼5 1200 ± 100 4.4 1100 7.1 ± 1.0 1660 ± 100 6.8 ± 1.0 1550 ± 100 73 Is /It Ref. 0.083 [65] 0.26 [69] 0.083 [70] [71] 0.3 [68] [72] 0.25 [73] [65] 3.3 [69] 1.3 [68] 3 [68] Tabella 3.4: Costanti di decadimento ed intensità relative per le componenti di singoletto e tripletto della luce di scintillazione in LAr e rapporti Is /It tra le intensità delle componenti lenta e veloce. per le particelle al minimo di ionizzazione (come gli elettroni), per le quali i tempi di ricombinazione sono più lunghi: in questo caso il numero di stati di singoletto inizialmente prodotti viene ridotto in maniera più consistente, portando cosı̀ ad un maggior peso della componente lenta nell’impulso di scintillazione prodotto. Questo meccanismo spiega, almeno in maniera qualitativa, l’andamento del rapporto Is /It in funzione del LET. Come già riportato, in Argon liquido i raggi γ interagiscono con gli elettroni atomici, mentre i neutroni interagiscono con i nuclei di Argon, particelle con elevata densità di ionizzazione. Per tale motivo, l’impulso prodotto da interazioni di raggi γ vedrà un maggior peso della componente lenta rispetto a quella veloce mentre il contrario accadrà per neutroni e particelle α. A parità di energia rilasciata quindi, l’impulso generato da un γ sarà caratterizzato da una coda più alta (una maggiore quantità di luce a tempi più lunghi) rispetto a quella dell’impulso di un neutrone: è questa differenza nella forma che può essere sfruttata, tramite la PSD, per la discriminazione di neutroni e γ in Argon liquido. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 74 ARGON LIQUIDO 3.2.4 Attenuazione della radiazione dovuta alle impurità Le proprietà dell’Argon liquido sin qui illustrate ne fanno un ottimo mezzo attivo per le applicazioni sperimentali. Tuttavia, tali proprietà si riferiscono a condizioni ideali, in cui l’Argon viene considerato completamente puro. Infatti, la presenza di concentrazioni seppur piccole di impurezze, quali N2 , O2 , H2 O, CO, CO2 , dovute ai processi di produzione industriale di LAr, ne altera la resa in luce. Per quanto riguarda la presenza di CO e CO2 , tipicamente presenti in concentrazioni molto basse (< 0.01 ppm), gli effetti possono essere considerati trascurabili. Anche i processi di quenching dovuti alla presenza di N2 incidono poco nell’attenuazione della radiazione poiché dipendono dalla concentrazione di Azoto [74], e sono piuttosto lenti, essendo caratterizzati da una frequenza costante di ' 3.8 · 10−12 cm3 s−1 , equivalente a 0.11 ppm−1 µs−1 . Per quanto riguarda invece i residui di O2 e H2 O, si ricorre ad una trattazione più accurata. Il principale processo di quenching negli urti tra le impurità X e gli eccimeri Ar∗2 è il seguente: Ar∗2 + X → 2Ar + X (3.18) Questo processo è molto efficace per particelle ionizzanti leggere la cui emissione è dominata dalla componente di tripletto ed inibisce la diseccitazione degli eccimeri Ar∗2 che altrimenti produrrebbero radiazione VUV. Se la concentrazione delle impurezze resta costante, diminuisce via via quella degli eccimeri, come mostrato nella relazione seguente dAr2∗ = −kXAr2∗ =⇒ Ar2∗ (t) = Ar2∗ (0)e−kXt dt (3.19) caratterizzata dalla costante di diseccitazione k. La dipendenza temporale dell’emissione della luce di scintillazione, l0 (t), in Argon liquido contaminato può essere espressa dalla seguente equazione IS0 t IT0 t l (t) = 0 exp − 0 + 0 exp − 0 τS τs τT τT 0 (3.20) 3.2. LA LUCE DI SCINTILLAZIONE IN LAR 75 dove, τj0 che indica il tempo di vita effettivo e Ij0 che indica l’effettiva ampiezza, per ciascuna componente j = S, T , sono funzioni della concentrazione delle impurità X: 1 1 (X, t = 0) + kX 0 τj τj (3.21) e dove con Ij0 si indicano le ampiezze effettive, considerato l’effetto del quenching, che sono funzione delle concentrazioni delle impurezze X: Ij0 (X) = Ij 1 + τj + kX (3.22) Sia Ij0 che τj0 diminuiscono all’aumentare della concentrazione di X e la grandezza l0 (t) in assenza di impurtità diventa la grandezza ideale l(t). La somma delle ampiezze a seguito del quenching (Eq. (3.20)) sarà minore dell’unità: Z ∞ l0 (t) dt = (IS0 + IT0 ) ≤ 1 (3.23) 0 A partire dalla Eq. (3.23) si può definire fattore di quenching QF QF = IS0 + IT0 , 0 ≤ QF ≤ 1 (3.24) nominalmente come il rapporto tra l’intensità totale della luce emessa per una data concentrazione di impurezze X rispetto al caso dell’Argon liquido puro (caso ideale). In altre parole per una data concentrazione di eventi di ionizzazione, QF rappresenta la frazione della popolazione di eccimeri che sopravvive ai processi di quenching, in grado di emettere fotoni di scintillazione. CAPITOLO 3. PROCESSI DI IONIZZAZIONE E SCINTILLAZIONE IN 76 ARGON LIQUIDO Capitolo 4 Analisi di segnali di scintillazione in Argon liquido e misure di resa in luce La tecnologia che fa uso dell’Argon liquido come mezzo bersaglio rappresenta una delle più promettenti linee di ricerca soprattutto nella realizzazione di rivelatori nell’ambito della Fisica Astroparticellare ed in particolare nel filone riguardante la rivelazione diretta della Materia Oscura. In questo contesto, un rivelatore ideale a LAr per la rivelazione diretta della Materia Oscura, come in precedenza illustrato, deve in generale presentare dei requisiti fondamentali quali la grande massa bersaglio, la più bassa soglia energetica raggiungibile ed una riduzione del fondo altamente efficiente, ottenuta attraverso l’uso di schermi e di tecniche di discriminazione delle particelle. I precedenti studi di ricerca e sviluppo condotti dalla collaborazione WArP hanno evidenziato come sia possibile realizzare dei rivelatori per la ricerca diretta della DM basati sull’Argon liquido. La tecnologia ad Argon a doppia fase (liquido–gassoso) si basa sulla simultanea rivelazione dei segnali relativi alla luce di scintillazione ed alla carica di ionizzazione (elettroni) prodotti da eventi ionizzanti in Argon. Per tali rivelatori, una caratteristica rilevante è rappresentata dall’elevata Resa in Luce (Light Yield, LY ) ottenibile, ossia la capacità del rivelatore considerato di poter rivelare la maggior quantità di luce di scintillazione prodotta, anche in seguito ad eventi che rilasciano un ammontare di energia relativamente basso nel mezzo attivo. 78 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Tale caratteristica si riflette direttamente sulla capacità di poter abbassare la soglia energetica di rivelazione degli eventi e di ottenere una buona reiezione del fondo attraverso il metodo della Pulse Shape Discrimination, la discriminazione tra eventi di tipo rinculo elettronico dovuti ad emissioni γ e β ed eventi di tipo rinculo nucleare (tra cui ci si aspetta di individuare segnali di WIMP), in quanto l’efficacia della PSD dipende fortemente dalla capacità di rivelare i fotoni di scintillazione. Per tale motivo, in questo quadro sperimentale, si inserisce il presente lavoro di tesi, la cui principale finalità ha riguardato la misura della LY di un rivelatore a LAr equipaggiato con fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica attraverso lo studio degli spettri di scintillazione ottenuti esponendo il rivelatore a differenti sorgenti radioattive di calibrazione. I risultati ottenuti vanno a confermare la validità della tecnologia che fa uso dell’Argon liquido per la ricerca diretta della DM. 4.1 Descrizione generale dell’apparato sperimentale Il dispositivo sperimentale utilizzato nel corso della fase di presa dati del presente lavoro è stato installato nei laboratori esterni dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN (Hall di Montaggio). L’apparato, rappresentato in Fig. (4.1), è costituito da una camera ad Argon liquido ospitante quattro fotomoltiplicatori ad elevata efficienza quantica per la rivelazione dei segnali di scintillazione; questa è stata inserita in un dewar riempito con LAr che funge da bagno termico. Il dispositivo è corredato da delle linee di svuotamento collegate ad una pompa turbomolecolare per la messa in vuoto della camera, ad una linea di iniezione alla quale sono annessi dei filtri per la purificazione dell’Argon in fase di riempimento, e da una serie di sensori per il controllo della pressione e dei livelli del bagno esterno di LAr. Un digitalizzatore di forme d’onda legge direttamente i segnali della luce di scintillazione rivelati dai fototubi e li va ad immagazzinare nel calcolatore al quale è connesso, da cui può essere effettuata l’analisi dei dati. 4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO SPERIMENTALE 4.1.1 79 La camera ad Argon liquido Il rivelatore, mostrato in Fig. (4.2), è costituito da una camera ad Argon liquido derivata dal prototipo da 2.3 litri dell’esperimento WArP ed utilizzato per questo caso specifico in singola fase (liquida). Essa è formata da una sezione cilindrica (φ = 18.4 cm e h = 9.5 cm) sovrapposta ad una sezione conica (φtop = 17.6 cm, φbot = 16.0 cm, e h = 7.5 cm) corrispondente ad un volume complessivo di 4.3 l di Argon liquido, calcolati per la camera completamente riempita. Il sistema realizzato in PTFE è interamente contenuto all’interno di una una camera cilindrica in acciaio inossidabile di 30 cm di diametro e altezza 60 cm, completamente immersa in un bagno termico di Argon liquido al Figura 4.1: Schema dell’apparato sperimentale. 80 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE fine di mantenere stabile la pressione interna del rivelatore durante tutto il periodo di presa dati. Per la raccolta della luce di scintillazione, quattro fototubi da 3” Hamamatsu R11065 sono stati montati in posizione verticale, a partire dalla sommità della camera e rivolti verso il basso; la copertura fotocatodica del dispositivo si attesta intorno al 12% della superficie interna totale. L’intero volume interno della camera, ad eccezione delle finestre dei PMT, è stato rivestito con del materiale altamente riflettente, depositato con uno strato di TetraPhenilButadiene (TPB) che funge da convertitore per la luce di scintillazione VUV emessa dal LAr. Per monitorare il livello dell’Argon liquido all’interno del rivelatore sono stati installati dei sensori P T 1000 il cui funzionamento è basato sul fatto che resistività e rigidità dielettrica degli stessi presentano un diverso comportamento nelle due differenti fasi dell’Argon; più in dettaglio, un primo sensore è stato posizionato all’altezza della finestra dei fototubi mentre altri due sensori, inseriti all’altezza dei circuiti di partizione dei PMT, vanno ad indicare il livello massimo di LAr nella camera. Infine, sono stati installati dei sensori di vuoto e di pressione, utilizzati rispettivamente durante la fase di messa in vuoto dell’apparato e durante tutta la fase della presa dati con la finalità di monitorare il valore della pressione dell’Argon all’interno della camera. 4.1.2 Il sistema criogenico e di purificazione Come in precedenza menzionato, per mantenere stabile la pressione durante tutta la fase della presa dati, il rivelatore è stato inserito in un dewar riempito con dell’Argon liquido; un sistema di stoccaggio posto esternamente al laboratorio, permette il riempimento quotidiano del dewar. Per il riempimento della camera è stata implementata nel sistema una linea di riempimento (Fig. (4.1)) che collega una bombola di Argon 6.0 (Argon commerciale, 99.9999% di purezza), prodotto da Rivoira S.p.A. al rivelatore posto nel bagno termico. Alla linea, antecedente la camera è stato connesso un filtro composto R per 1/4 da setacci molecolari e per 3/4 da Oxisorb , che consentono di 4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO SPERIMENTALE 81 Figura 4.2: Rappresentazioni della camera ad Argon liquido. Nell’immagine centrale si possono osservare la posizione dei quattro fototubi e il meccanismo di ricircolo dell’Argon. A destra invece è riportato lo schema del dispositivo, nel quale si possono notare le connessioni per l’inserimento dell’Argon e per la messa in vuoto; si osserva anche la posizione del dispositivo all’interno del bagno termico ed il sistema di supporto. Nella fase sperimentale la camera è stata riempita di Argon liquido fin sopra i fototubi. migliorare i livelli di purezza riportati nelle specifiche tecniche dell’Argon gassoso commerciale [75] (Tab. (4.1)). Elemento Ossigeno (O2 ) Azoto (N2 ) Acqua (H2 O) Idrogeno (H2 ) Idrocarburi totali (THC) Anidride Carbonica (CO2 ) Monossido di Carbonio (CO) Contaminazione residua ≤ 0.2 ppm ≤ 0.5 ppm 0.5 ppm 0.1 ppm 0.05 ppm 0.05 ppm 0.05 ppm Tabella 4.1: Specifiche tecniche Argon 6.0 (prodotto da Rivoira S.p.A.). Nella tabella sono indicati i valori massimi possibili per le impurità rilevabili. 82 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Inoltre, poiché normalmente la purezza raggiunta tende a diminuire nel tempo, la camera è dotata di un sistema di ricircolo (Fig. (4.2)) costituito da un filtro T rigonT M allo scopo di stabilizzare, se non di migliorare la purezza dell’Argon. Di seguito vengono illustrate le caratteristiche principali delle tipologie di filtri utilizzati: R • Oxisorb È un sistema di purificazione utilizzato per la rimozione di Ossigeno ed altri composti residui, basato su processi chimici di assorbimento dell’O2 e fisici dell’H2 O. Il composto attivo è costituito da perline di gel di Silicio (SiO2 ) che favoriscono la cattura dell’Ossigeno da parte del Cromo mediante la seguente reazione: 2Cr + O2 → 2CrO3 (4.1) Si raggiungono cosı̀ purezze < 5 ppb per l’O2 e < 30 ppb per H2 O [76]. • TrigonT M È una delle espressioni commerciali utilizzate per indicare l’Engelhard’s Q5, un reagente catalizzatore di ossigeno prodotto dalla BASF SE. Si tratta di un composto granulare, di forma irregolare, costituito principalmente da alluminio (80 − 90%) e ossidi metallici, quali CuO (10 ÷ 14%), M nO2 (< 1%), CoO (< 1%), N iO2 (< 1%). L’ossigeno viene trattenuto per mezzo di reazioni che portano alla formazione di ossidi metallici a partire dalle grandi quantità di metalli contenute nel composto. Le specifiche tecniche garantiscono una riduzione dell’Ossigeno a livelli ≤ 1 ppb [77]. • Setacci molecolari Si tratta di alluminosilicati in strutture microporose, con pori di dimensioni inferiori di 2 nm che agiscono per assorbimento fisico. La struttura del materiale consente una superficie complessiva di 1000 m2 /g, grazie R alla quale i filtri Zeolite e Hydrosorb risultano ottimi filtri per la cattura di idrocarburi e composti solfati ed ossigenati presenti in LAr e GAr [78]. 4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO SPERIMENTALE 4.1.3 83 Il sistema di raccolta della luce di scintillazione La luce di scintillazione prodotta all’interno della camera viene raccolta dai quattro fototubi ad elevata efficienza quantica R11065 prodotti dalla Hamamatsu Photonics K.K.. Si tratta di fotomoltiplicatori a 12 stadi, con finestre in quarzo (Syntetic Silica) da 3”, opache a lunghezze d’onda inferiori a 160 nm, dotati di speciali fotocatodi bialcalini sviluppati per operare efficientemente alle temperature dell’Argon liquido (87 K) nell’intervallo di frequenze che vanno dall’UV al visibile. I punti di forza del fototubo utilizzato sono il veloce tempo di risposta, Figura 4.3: Immagine e principali caratteristiche del PMT Hamamatsu R11065. una buona risoluzione temporale e l’elevata Efficienza Quantica, QE, al 35% intorno ai 400 nm a temperatura ambiente, garantita stabile alle temperature dell’Argon liquido. Le principali caratteristiche del fototubo, dichiarate dal costruttore, sono riportate in Fig. (4.3). Per differenze di potenziale 84 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE tra catodo e primo dinodo superiori a 300 V si ottiene, per il primo dinodo una Efficienza di Raccolta (Collection Efficiency, CE ) per i fotoelettroni superiore al 95%. Figura 4.4: Schema utilizzato per i circuiti di partizione per l’alimentazione dei fototubi Hamamatsu R11065. In Figura (4.4) è rappresentato il circuito di partizione utilizzato per l’alimentazione della catena dei 12 dinodi, realizzato a partire da un circuito stampato G10, in accordo con lo schema elettrico di riferimento fornito dalla Hamamatsu. Tuttavia, come accennato nella Sezione (3.2), i processi di luminescenza in Argon liquido generano fotoni VUV di lunghezza d’onda pari a 127 nm, che non sono rilevabili mediante i comuni dispositivi di raccolta della luce. Le finestre in vetro o in quarzo dei comuni fototubi, infatti, sono opache alla radiazione ultravioletta e per tali lunghezze d’onda presentano una trasmittanza praticamente nulla. La Fig. (4.5), che mostra le curve di trasmittanza per i più comuni materiali utilizzati per la produzione delle finestre dei fototubi, suggerirebbe che per la rilevazione dei segnali cercati si potrebbe ricorrere all’uso di fotomoltiplicatori dotati di finestre in M gF2 . Tali fotutubi, tuttavia, sono disponibili in commercio soltanto a costi elevati e risultano estremamente fragili alle temperature di lavoro in Argon liquido. Pertanto, per raggiungere un’elevata efficienza di raccolta, contenere i costi ed evitare ulteriori complicazioni, normalmente si utilizzano i comuni fotomoltiplicatori con finestre in vetro o in quarzo, ricorrendo all’ausilio di 4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO SPERIMENTALE 85 selettori di lunghezze d’onda (wavelength shifter, wls). Si tratta di sostanze che possono essere depositate sia sulle superfici del volume attivo della camera e sia direttamente sulle finestre dei fototubi, ed hanno la funzione di reagire alla radiazione VUV e trasmetterla al dispositivo con una diversa frequenza che sia rivelabile. Uno dei più comuni wls utilizzati negli esperimenti in Argon liquido è il TPB, un idrocarburo aromatico che viene vaporizzato in vuoto sulle superfici scelte. L’emissione spettrale del TPB si estende dai 390 ai 520 nm e si addensa intorno ai 440 nm (Fig. (4.6)), dove la trasmittanza delle finestre in vetro e l’efficienza quantica del fotocatodo del PMT sono sufficientemente elevate [80, 81]. Come in precedenza accennato, tutte le superfici interne della camera che delimitano il volume attivo di LAr sono state ricoperte con del materiale riflettente, su cui era stato depositato, mediante evaporazione in vuoto, uno strato di TPB pari a ∼ 300 µg/cm2 . Il substrato riflettente (3M VIKUITI ESR) consiste in un polimero completamente dielettrico, riflettente al 99%, che dopo la deposizione del TPB conserva una riflettività di ∼ 95%, riemettendo fotoni nelle lunghezze d’on- Figura 4.5: Curve di trasmittanza per diversi materiali per le finestre dei fototubi, in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente. I dati si riferiscono a finestre dello spessore di 1 mm [79]. 86 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Figura 4.6: Confronto tra la risposta del TPB (in blu, unità arbitrarie) e l’Efficienza Quantica del PMT Hamamatsu R11065 (in rosso), hQEi = 29.5%, mediata sullo spettro del TPB. In verde è riportata l’Efficienza Quantica di un altro fototubo (ETL D750, con hQEi = 17.5%) di uso comune nel campo delle ricerche criogeniche di luce di scintillazione [82]. da del blu. Ne consegue che i fotoni convertiti alle frequenze del visibile potranno venire riflessi più volte dalle superfici della camera, fino alla loro rivelazione da parte dei fototubi. 4.1.4 Il sistema di acquisizione dati I segnali dei fototubi vengono inviati direttamente ad una scheda di acquisizione dati (DAQ) che digitalizza le forme d’onda rilevate e le invia al calcolatore per l’immagazzinamento e l’analisi postuma dei dati. In Figura (4.7) sono rappresentati, oltre alla camera equipaggiata con i quattro fototubi, anche la scheda di acquisizione dati utilizzata, la V1751 prodotta dalla CAEN S.p.A.. Si tratta di una scheda VME (standard Versa Module Europe) da 10 bit, a 8 canali con campionamento da 1GS/s, capace di campionare con buona resa gli impulsi veloci (dell’ordine delle decine di ns) ottenuti da rivelatori come i fototubi del sistema sperimentale utilizzato. Grazie all’alta velocità di campionamento ed alla capacità di interpolare coppie di canali mediante la modalità Dual Edge Sampling (DES mode) della 4.1. DESCRIZIONE GENERALE DELL’APPARATO SPERIMENTALE 87 Figura 4.7: Schema dell’acquisizione dati. scheda, è stato possibile effettuare misure molto precise attraverso metodi di interpolazione sugli impulsi digitalizzati. Per questo motivo, è possibile riprodurre la forma d’onda del segnale digitalizzato con estrema accuratezza. La condizione di trigger viene configurata in base ad un algoritmo che confronta ogni misura con un segnale di maggioranza (majority) inviato dalla scheda al selettore di soglia. Nella configurazione di maggioranza impostata per le misure effettuate, il trigger della scheda si attiva quando viene rilevato da tre dei quattro fototubi, entro un definito intervallo temporale, un segnale dell’ampiezza di 1.5 phel; quindi le forme d’onda vengono acquisite e trasferite via fibre ottiche nella scheda PCI CAEN A2818, connessa al calcolatore. 4.1.5 Operazioni di assemblaggio e messa in funzione dell’apparato Prima del montaggio del dispositivo e dell’assemblaggio della linea di riempimento, tutti i componenti meccanici in PTFE destinati alla composizione della camera sono stati trattati in un forno a vuoto alla temperatura di 80 ◦ C per quattro settimane. Completata la linea di trasferimento dell’Argon e una volta terminati l’assemblaggio ed il posizionamento della camera all’interno del dewar destinato al contenimento del bagno termico, l’intero apparato è stato sottoposto 88 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE ad una fase di pompaggio del vuoto mediante una pompa turbomolecolare della durata di quattro giorni, fino al raggiungimento di una pressione di ∼ 10−5 mbar, e successivamente ad una fase di flussaggio con Argon gassoso riscaldato per 24 ore. Terminato il flussaggio, è stato operato un nuovo pompaggio del vuoto della durata di due giorni, fino al nuovo raggiungimento della pressione di ∼ 10−5 mbar, quindi il rivelatore è stato immesso nel bagno di Argon liquido; dopo una ulteriore fase di criopompaggio, infine, è stato immesso nel rivelatore Argon 6.0, ulteriormente purificato dal filtro aggiunto alla linea di flussaggio (Sezione (4.1.2)). Completate tutte le operazioni precedenti alla messa in funzione del sistema e dopo un intervallo di alcune ore necessarie alla termalizzazione dei fototubi in LAr è stato impostato il potenziale di alimentazione (Fig. (4.4)) sul catodo dei fototubi, raggiungendo lentamente il punto di lavoro HV ' −1400 V , corrispondente ad un guadagno di ∼ 3 · 106 . Per effettuare le misure di LY, il dispositivo è stato esposto a differenti sorgenti di elettroni e raggi γ; le varie sorgenti utilizzate sono state collocate all’interno di un apposito collimatore il quale, a sua volta, durante la fase di presa dati veniva portato in corrispondenza del centro del volume attivo della camera e posizionato esternamente a essa all’interno del bagno termico. (Fig. (4.1)). 4.2 Analisi dei dati e risultati I risultati del presente lavoro si riferiscono agli studi sperimentali condotti nel periodo compreso tra febbraio e aprile del 2011. Per effettuare le misure di resa in luce il rivelatore è stato esposto ad alcune sorgenti radioattive di calibrazione, quali l’ 241 Am, il 131 Ba ed il 137 Cs. Sono state scelte tali sorgenti in quanto gli spettri di scintillazione ad esse correlati presentano delle strutture riconoscibili ad intervalli di energie diverse. In particolare, l’isotopo 241 Am decade in 237 N t con emissioni α con un tempo di dimezzamento di 432.2 yrs e la maggior parte dei decadimenti è accompagnata da emissione di elettroni Auger e di raggi X e γ, con energie che possono raggiungere l’ordine di alcuni M eV . La riga di maggiore interesse per le misure di LY effettuate con il dispositivo in oggetto è quella dell’emissione 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 89 γ a 59.54 keV per via della regolarità dell’emissione (il picco è praticamente monocromatico) ad energie relativamente basse. Infatti, nell’intenzione di mettere a punto una tecnologia rivolta alla rivelazione di Materia Oscura, è importante che i rivelatori, calibrati su energie paragonabili a quelle attese per i segnali di WIMP, presentino un’alta efficienza di raccolta di segnali, stimabile in primo luogo attraverso il valore della LY. Le interazioni del rivelatore con le emissioni delle altre sorgenti menzionate sono state considerate allo scopo di avere sia un confronto con i risultati ottenuti con l’241 Am sia una panoramica più completa delle prestazioni del rivelatore. 4.2.1 Il programma di analisi dati Un apposito software dedicato è stato utilizzato per processare i segnali di luce raccolti e per la loro analisi. Il software è il risultato dell’unione di più codici, ognuno dei quali relativo ad una diversa fase dell’analisi dati. I pacchetti includono, oltre ad una libreria I/O che decodifica differenti formati binari in matrici di numeri, il codice di analisi vero e proprio, unito a un codice per la creazione di forme d’onda medie, un programma per il fit delle risposte ai singoli fotoelettroni (SER) e un codice per l’analisi della singola forma d’onda. Il software di analisi si avvale dell’utilizzo di un database MySQL per l’immagazzinamento e la lettura dei dati delle varie fasi di acquisizione. Ogni pacchetto comunica separatamente con il rispettivo database e l’analisi dei dati è comunque effettuata in ambiente ROOT. Per il calcolo della SER, sono state acquisite ed analizzate 5000 forme d’onda per ciascuno dei quattro fototubi (canali) inseriti nel rivelatore, mentre 100000 forme d’onda sono state considerate ed esaminate, per ogni canale, per determinare gli spettri relativi all’esposizione a sorgente di calibrazione ed al fondo ambientale. In generale, ad ogni presa dati, dopo la determinazione della baseline e la sottrazione di quest’ultima, il software considera tra i segnali delle forme d’onda acquisite dalla scheda, solo quelli che presentano un’ampiezza maggiore di 2.8 volte1 lo scarto quadratico medio (RMS) delle fluttuazioni 1 Tale valore rappresenta il giusto compromesso affinché non vengano persi impulsi di SER e venga efficientemente rigettato il rumore di fondo del segnale generato dalle fluttuazioni della baseline. CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE 90 della baseline (tra questi segnali vi sono anche normalmente eventi residui di fondo ambientale). Tali segnali vengono poi integrati e processati in intervalli temporali e modalità differenti ed infine immessi in una distribuzione (istogramma), a seconda che si tratti della determinazione della SER o dello spettro derivante da esposizione a sorgente di calibrazione (oppure fondo ambientale). Delle apposite funzioni di fit applicate agli spettri ottenuti vengono poi utilizzate per determinare i parametri che caratterizzano il processo fisico preso in esame. Infine, il software per la ricostruzione del segnale restituisce un file relativo allo spettro dell’emissione considerata (che può essere inerente all’acquisizione di segnali dovuta all’esposizione a sorgenti di calibrazione o al solo fondo ambientale). Ad ogni spettro ottenuto da esposizione a sorgente viene sottratto lo spettro relativo alla risposta del rivelatore concernente la presa dati nelle normali condizioni ambientali; lo spettro risultante da tale operazione viene analizzato utilizzando delle funzioni di fit adeguate a riprodurre le strutture in esso riconoscibili (ad esempio picco fotoelettrico o spalla Compton). 4.2.2 Risposta al singolo fotoelettrone La risposta dei fototubi al segnale di singolo fotoelettrone (SER) viene determinata processando i segnali derivanti dai singoli fotoelettroni emessi dal fotocatodo di ciascun PMT ed è fondamentale per la calibrazione del rivelatore, per verificare la stabilità e il guadagno dei fototubi e per il calcolo della LY del dispositivo sperimentale. Nelle misure effettuate per la determinazione della SER, sono stati considerati per ciascuna forma d’onda registrata soltanto gli impulsi isolati di singolo fotoelettrone presenti nella coda del segnale e come già detto, con un’ampiezza maggiore di 2.8 × RM S della baseline. Più in dettaglio, sono stati presi in esame gli impulsi di SER appartenenti ad un intervallo temporale compreso tra 5 e 7 µs dopo l’inizio del segnale2 . 2 Considerando che nella catena di DAQ è stato impostato un valore di pretrigger pari a ' 2 µs la finestra temporale utilizzata per gli impulsi di singolo fotoelettrone è in valore assoluto compresa tra 7 e 9 µs. 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 91 Figura 4.8: Esempio di forma d’onda acquisita per l’esposizione all’Americio. A destra è rappresentata la forma d’onda ottenuta mediando gli impulsi di singolo fotoelettrone rilevati. Figura 4.9: Spettro di singolo fotoelettrone nella configurazione sperimentale utilizzata con tensione di alimentazione −1400 V . Sono riconoscibili le distribuzioni multiple dei fotoelettroni L’impulso di singolo fotoelettrone si presenta tipicamente come un impulso alquanto contratto con una larghezza a mezza altezza (Full Width Half Maximum, FWHM) di ∼ 5 ns ed una larghezza massima di ' 20 ns dopo l’inizio del segnale, mentre l’oscillazione relativa alla stabilizzazione definitiva dei successivi 100 ns è praticamente trascurabile. In Fig. (4.8) a sinistra, è mostrato un esempio di forma d’onda acquisita in seguito all’esposizione del rivelatore alla sorgente di 241 Am. Nella coda del segnale sono stati selezionati ed evidenziati alcuni impulsi di singolo fotoelettrone utili per la determinazione della SER. Si può notare anche che i segnali della compo- 92 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE nente di singoletto (dell’ordine del ns) sono addensati sullo zero del segnale, mentre sono distinguibili alcuni dei segnali di tripletto (dell’ordine dei µs), nella coda gaussiana dell’emissione. Nell’immagine a destra è invece rappresentata una forma d’onda media di singolo fotoelettrone ottenuta in una delle fasi di presa dati. L’area compresa tra la forma d’onda dell’impulso e la baseline locale, calcolata in ADC × ns, è quella che viene considerata nell’integrazione dell’impulso di singolo fotoelettrone. Per effettuare l’operazione di integrazione è stata dapprima stimata e sottratta la baseline locale relativa a ciascun impulso considerato nella forma d’onda, in seguito è stato definito un intervallo temporale di integrazione. La finestra di integrazione ∆T per il singolo impulso viene determinata in modo tale che ∆T = 5 ns + ∆t + 25 ns, dove ∆t rappresenta la durata di un singolo impulso, a cui vengono sommati 5 ns prima dell’inizio del segnale e 25 ns dopo la fine dello stesso. Se, però, in un intorno inferiore a 50 ns è presente un secondo impulso di SER, non vengono considerate due distinte finestre temporali di integrazione ma, gli impulsi trovati vengono raggruppati in un solo segnale e viene preso in considerazione un unico intervallo temporale pari alla somma delle durate dei due impulsi, della loro distanza temporale a cui occorre sempre aggiungere i 5 ns prima dell’inizio del primo segnale ed 25 ns dopo la fine del secondo. Ovviamente, nel caso di più impulsi di SER ravvicinati il controllo procede per successive iterazioni. Quanto alla baseline locale, essa riguarda il singolo impulso di fotoelettrone e corrisponde al valore medio del segnale rilevato in assenza di altri picchi attribuibili all’interazione di fotoelettrone. Essa viene determinata in una finestra temporale di 50 ns, considerata a partire da 25 ns dopo il picco, se in tale intervallo non vengono rilevati altri impulsi. Se, al contrario, nella finestra della baseline viene rilevato un nuovo picco, la finestra si sposta a 25 ns dal secondo picco e si ripete il controllo. L’insieme dei valori ottenuti dalle integrazioni degli impulsi delle forme d’onda acquisite per i singoli fotoelettroni viene distribuito in un istogramma che corrisponde allo spettro di SER per ciascun PMT. Uno spettro tipico di singolo fotoelettrone per uno dei PMT installati nel rivelatore è riportato in Fig. (4.9). Si può notare come esso sia costituito 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 93 da una distribuzione di tipo gaussiano raccolta intorno ad un primo picco ben visibile che corrisponde ai segnali derivanti dai singoli fotoelettroni; tale struttura è inoltre ben separata dalla distribuzione relativa al fondo che include gli eventi spuri provenienti principalmente dagli elettroni che per effetto termoionico dipartono dal catodo e attraverso la catena di moltiplicazione del PMT, giungono all’anodo. Sono anche visibili altri picchi un po’ più allargati corrispondenti a valori di carica maggiori ed associati alle distribuzioni multiple dei fotoelettroni. Nell’analisi della SER viene utilizzata un funzione di fit che è il risultato della sovrapposizione di un’esponenziale decrescente che ben ricostruisce l’andamento del rumore di fondo ed una serie di funzioni gaussiane per i fotoelettroni maggiormente evidenti. Il dato di maggior rilievo è naturalmente rappresentato dal valor medio della posizione del primo picco intorno al quale si distribuisce il primo fotoelettrone, a cui si fa riferimento per il calcolo del guadagno del fotomoltiplicatore; esso corrisponde alla carica di uscita misurata per un singolo fotoelettrone entrante, stimata dalla conversione del primo picco del fit di SER da ADC × ns in unità di carica (pC) e fornisce pertanto il fattore di conversione utile per l’analisi dello spettro della corrispondente sorgente di raggi gamma e la determinazione della LY dell’intero sistema. 4.2.3 Stabilità della SER La risposta al singolo fotoelettrone per i fototubi installati nella camera è stata monitorata per tutto il periodo della presa dati, durante il quale per la posizione del picco di SER di ciascun PMT è stato riscontrato un comportamento pressoché stabile nel tempo. Va rilevato che durante tale periodo sono state effettuate anche misure non strettamente funzionali al presente lavoro, per le quali molto spesso sono state variate alcune impostazioni del sistema, come ad esempio la tensione dei fototubi e i valori dei settaggi della catena di acquisizione dati. Nei dati mostrati in Fig. (4.10), sono stati presi in considerazione i dati relativi alle esposizioni alle sorgenti 241 Am, 131 Ba, 137 Cs considerate per le misure di resa in luce, dati relativi alle misure in condizioni ambientali (rive- 94 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Figura 4.10: Andamento della risposta al singolo fotoelettrone monitorata per i quattro fototubi del rivelatore durante l’intero periodo di presa dati. latore non esposto a sorgenti) e dati relativi all’esposizione ad una sorgente di neutroni Am − Be utilizzata per verificare la capacità del dispositivo di discriminare tra eventi di tipo rinculo elettronico ed eventi di tipo rinculo nucleare. Nel grafico si distinguono tre intervalli temporali maggiormente significativi, in cui è stato possibile effettuare rilevamenti sulla risposta al singolo fotoelettrone con maggiore frequenza. Durante primo di tali periodi (∼ 70 ÷ 220 hrs) si sono verificate alcune interruzioni della fornitura elettrica che hanno influenzato sensibilmente gli andamenti di almeno due dei quattro fototubi (verde e blu), mentre per il terzo fototubo si stabilizza soltanto in seguito all’ultimo black out ed alla modifica di alcune impostazioni iniziali. Nel periodo seguente (∼ 220 ÷ 500 hrs) sono stati effettuati dei test sulla scheda di acquisizione dati [83]; i punti riportati nel grafico sono comunque relativi alle misure di calibrazione effettuate quando il sistema veniva riportato 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 95 alle condizioni iniziali di presa dati. Figura 4.12: Andamento delle SER doFigura 4.11: Andamento della SER: tre dei quattro fototubi presentano una risposta al singolo fotoelettrone diversa rispetto al quarto. po la variazione nelle tensioni di alimentazione dei PMT: le risposte al singolo fotoelettrone per tutti i PMT risultano maggiormente ravvicinate. Successivamente, in una nuova fase di presa dati (∼ 500 ÷ 600 hrs) impostata su valori iniziali delle tensioni di alimentazione dei PMT e dei settaggi della catena di acquisizione, si evidenzia una buona stabilità della SER dei fototubi, come mostrato in Fig. (4.11). Tuttavia si registra che tre dei quattro fototubi, pur mostrando un andamento costante, presentano una risposta al singolo fotoelettrone inferiore rispetto a quella del quarto, sintomo del fatto che pur essendo tutti alimentati alla stessa tensione, i singoli guadagni fossero leggermente differenti. In seguito (∼ 580 ÷ 640 hrs), per poter effettuare ulteriori misure utili al lavoro sulla scheda di acquisizione dati, la tensione di alimentazione di ciascun fototubo è stata aumentata di circa 200 V . Quando poi (∼ 640 ÷ 800 hrs) le tensioni di alimentazione dei PMT sono state riportate ai valori precedenti, si è verificato un importante aumento della risposta al singolo fotoelettrone da parte dei tre fototubi, che si sono portati sui livelli tenuti stabilmente dal quarto durante tutto il periodo di presa dati (Fig. (4.12)). Va notato che per tutto il periodo della presa dati, le massime variazioni riscontrate nei valori delle SER per i vari fotomoltiplicatori sono inferiori al CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE 96 20%, e che tali fluttuazioni comportano solamente una piccola differenza nei guadagni dei PMT la cui rilevanza è alquanto limitata in riferimento alle misure di resa in luce effettuate. 4.2.4 Misure di resa in luce del rivelatore La resa in luce Light Yield, LY, è una caratteristica fondamentale per un rivelatore di segnali di luce ed indica il numero di fotoelettroni (phel ) raccolti da un sistema di rivelazione per unità di energia depositata nel mezzo scintillatore in esso contenuto. Costituisce l’aspetto più importante della calibrazione di un rivelatore e dipende in primo luogo dall’efficienza quantica dei fototubi, ma anche da diversi fattori, come la geometria del rivelatore [84], la copertura fotocatodica e le condizioni di funzionamento a regime dell’apparato sperimentale, tra cui la purezza dello scintillatore e l’efficienza di conversione e riemissione del wls e del substrato riflettente. Pertanto, il valore della LY determinato sperimentalmente deve essere confrontato con una previsione teorica, ad esempio mediante simulazioni MonteCarlo. Nel caso specifico del presente lavoro, come in precedenza menzionato, sono state effettuate diverse misure di LY esponendo il rivelatore a sorgenti di 241 Am, 131 Ba, 137 Cs. Le misure relative alle esposizioni alle sorgenti sono state alternate con delle prese dati in cui il rivelatore era sottoposto esclusivamente alla radiazione di fondo ambientale. In questo modo è stato possibile sottrarre, mediante il software di analisi dati, dopo aver effettuato una normalizzazione basata sulla frequenza degli eventi registrati, agli spettri di sorgente quelli di fondo ambientale e disporre quindi di spettri più nitidi per le risposte del rivelatore agli impulsi a cui era sottoposto, come mostrato nella Figura (4.13). Questa accortezza si è rivelata particolarmente utile nel caso dell’esposizione alla sorgente di Americio per la quale la frequenza di eventi rilevati, a causa della debole emissione della sorgente, era superiore di soli 5 Hz rispetto a quella degli eventi di fondo, mentre l’escursione giornaliera tra le frequenze di eventi rivelati nelle prese dati del fondo ambientale superava anche i 10 Hz. Oltre alla risposta del rivelatore all’Americio, per avere un confronto con 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 97 le prestazioni del rivelatore a valori diversi di energie, sono state eseguite anche delle misure relative ad esposizioni a Bario e Cesio, per le quali sono state prese in considerazione, rispettivamente i picchi di emissione a 356 keV e 662 keV . Le varie forme d’onda acquisite per ciascuna fase di presa dati, dopo la determinazione e la sottrazione della baseline locale, sono state state trattate in maniera analoga a quanto fatto per il calcolo dell’integrazione degli impulsi di SER. In questo caso, però, sono stati considerati tutti gli impulsi (sopra soglia) di singolo fotoelettrone all’interno di una finestra temporale pari a 7 µs a partire dall’inizio del segnale. La scelta di tale durata è stata fatta dopo aver verificato che la perdita della quantità di luce relativa al valore temporale considerato era ben inferiore all’1%. I contributi individuali delle integrazioni dei singoli impulsi, diversamente da quanto effettuato per l’ottenimento dello spettro di SER, non vengono direttamente distribuiti in un istogramma, ma per ogni forma d’onda acquisita dal singolo PMT, vengono sommati assieme. Pertanto per ciascun fototubo ne consegue che, per ogni forma d’onda acquisita, si ottiene un segnale espresso in unità di ADC × ns; la corrispondente quantità in unità di phel è ottenuta normalizzando tali risultati e dividendoli per il valor medio risultante dalla valutazione dei parametri del fit effettuato sullo spettro di Spettro di 241 Am e spettro del fondo ambientale. In rosso si osserva lo spettro risultante dalla sottrazione degli spettri precedenti in cui si evidenzia maggiormente la struttura del picco fotoelettrico. Figura 4.13: 98 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Figura 4.14: Fit degli spettri di emissione per Bario [sinistra] e Cesio [destra] con i relativi fit sovrapposti. SER della stessa presa dati. Infine, i valori in phel ricavati vengono distribuiti all’interno di un istogramma che rappresenta lo spettro in energia (relativo all’esposizione a sorgente o a fondo ambientale) del singolo PMT. Per ottenere lo spettro in energia totale, occorre quindi sommare, dopo l’operazione di normalizzazione per la rispettiva SER, le ampiezze dei segnali dei singoli canali dei PMT. All’interno del programma di analisi è stata poi applicata una serie di tagli volti a rigettare gli eventi a bassa energia tali che Emin = 20 phel, ad escludere eventuali eventi con energie troppo alte tali da fornire dei segnali saturati e a trascurare gli eventi sovrapposti e quelli acquisiti al di fuori della finestra temporale considerata di raccolta dei dati. Per quanto riguarda gli errori associati alla misura della resa in luce si può ragionevolmente affermare che l’errore statistico derivante dall’applicazione della funzione di fit sullo spettro risultante ottenuto è trascurabile e l’errore sistematico associato alle misurazioni delle LY viene valutato in base alla dispersione dei valori del picco degli spettri (4÷5% del fondo sottratto), dalle incertezze associate alla taratura e quindi alla formula per la determinazione del picco di SER (' 2%) e anche dagli errori sistematici dell’analisi, dovuti alla scelta dei vari parametri interni (valutata 2÷3%); si può pertanto stimare un errore complessivo del 5%. In figura (4.15) è riportato uno dei migliori risultati ottenuti durante la campagna di misure; esso è relativo allo spettro di 241 Am in cui alla struttura del picco fotoelettrico è stata applicata una funzione di fit gaussiana. Il valore medio ottenuto dal fit risulta essere intorno a 378 phel, da cui dividendo per 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 99 l’energia dell’emissione considerata (59.54 keV ) si ottiene un valore per la resa in luce del rivelatore pari a LY = 6.35 phel ± 5% keV (4.2) mentre il valore ricavato per la risoluzione del rivelatore risulta essere σE /E = 8%. Tale risultato è pienamente compatibile con il valore atteso dalle previsioni MonteCarlo basate su ipotesi relative alle proprietà ottiche del sistema considerato, all’efficienza quantica e di collezione dei PMT e al livello di purezza del LAr stimato durante tutta la fase delle operazioni del rivelatore. 4.2.5 Considerazioni sull’andamento della resa in luce La stabilità nel tempo della resa in luce per le sorgenti di calibrazione utilizzate è stata monitorata durante tutto il periodo della presa dati. La Figura (4.16) mostra gli andamenti delle LY per le tre sorgenti, nella quale sono distinguibili nelle prime ore di messa in funzione del sistema una fase di rapida crescita, seguita da un lungo periodo di stabilità in cui il valore della LY si attesta sui 6 phel/keV (con una tendenza ad un’ulteriore crescita più lieve). Figura 4.15: Spettro dell’241 Am con la relativa funzione di fit gaussiana sovrapposta: si riscontra un valore medio di ∼ 378 phel a cui corrisponde una misura di LY pari a 6.35 phel/keV (Eq. (4.2)). 100 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE In Fig. (4.17) sono mostrati i dati relativi all’esposizione della camera ad Argon liquido all’isotopo 241 Am; in questo caso è stato eseguito un fit lineare a partire dai primi punti che presentano caratteristiche di stabilità, ottenendo dei valori per la resa in luce comunque superiori a 6 phel/keV . Oltre al monitoraggio dell’andamento della resa in luce globale del rivelatore è stato effettuato anche il confronto, mostrato in Fig. (4.18), tra la LY dell’intero dispositivo e i valori di resa in luce dei singoli fototubi per un intervallo temporale in cui la presa dati è avvenuta in condizioni ottimali (cfr. Sez. (4.2.3)). Il grafico mostra che sia la LY per l’intero dispositivo che quelle per singolo PMT in tale intervallo presentano una buona stabilità. Si può comunque notare come uno dei quattro fototubi installati nel rivelatore presenti sistematicamente una resa in luce leggermente inferiore rispetto agli altri (di ∼ 10%). Si potrebbe pertanto stimare, in assenza di questo effetto, un valore derivato per la resa in luce di LY ' 6.5 ÷ 6.6 phel/keV . Al termine della presa dati e prima dello svuotamento dell’Argon del rivelatore, è stata effettuata una misura diretta, mediante spettroscopia di massa, [rosa], 137 Cs [blu] e 133 Ba [azzurro]: dopo una rapida crescita si osserva un valore pressochè stabile che si attesta intorno a 6 phel/ keV durante tutta la fase della presa dati. Figura 4.16: Andamento temporale della LY per le sorgenti di 241 Am 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI Figura 4.17: Dati relativi all’esposizione del rivelatore alla sorgente di 101 241 Am. Il fit lineare mostra una LY di poco superiore a 6 phel/keV ottenuta considerando l’intero periodo di esposizione Figura 4.18: Analisi per le LY di singolo fototubo. Si nota che uno dei quattro fototubi presenta una resa in luce leggermente inferiore rispetto agli altri. 102 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE Figura 4.19: Forme d’onda medie con fit esponenziali di un run di dati (in rosso) e confronto con le misure di un altro test in cui il livello di impurità nell’Argon era nei limiti attesi. della purezza dell’Argon in fase gassosa presente all’interno della camera. Con questo metodo sono state rilevate delle concentrazioni di GN2 diluito in GAr superiori a quelle dichiarate dal fornitore. Infatti, alla linea di riempimento non sono stati applicati filtri per la rimozione delle concentrazioni di Azoto residue, ma solo per quelle di O2 e H2 O, ritenute maggiormente dannose alla raccolta della luce di scintillazione, come discusso alla Sezione (3.2.4). La presenza di impurità nell’Argon contenuto nella camera si manifesta attraverso la riduzione della componente lenta τT del decadimento della luce di scintillazione del LAr a causa dell’effetto di quenching sullo stato di tripletto degli eccimeri Ar2∗ (Sezione (3.2.2)). In Figura (4.19) è mostrato il confronto tra forme d’onda medie rilevate nelle misure relative al presente lavoro e nelle misure relative ad un test analogo ma effettuato in precedenza [82], utilizzando un solo fototubo ed una camera di dimensioni inferiori ed in cui non sono state rivelate impurezze residue superiori a quelle aspettate. Dal confronto, si nota un’attenuazione della componente di tripletto mag- 4.2. ANALISI DEI DATI E RISULTATI 103 giore nel segnale relativo alle misure effettuate con il rivelatore descritto nel presente lavoro; stimando la costante di decadimento τT attraverso un fit esponenziale, si ottiene: τT =∼ 1130 ns. (4.3) Comparando tale valore con quello aspettato per l’Argon liquido ad una purezza nominale, pari a τT ' 1300 ns [85, 86], si può stimare che la diminuzione dell’emissione luminosa dovuta alla presenza di impurità, si attesta sul ∼ 10%, con relativa conseguente riduzione della LY. Pertanto, sulla base dell’analisi dei dati raccolti nel presente lavoro, considerando la minor efficienza riscontrata per uno dei quattro fotomoltiplicatori installati nel rivelatore e tenendo presente la perdita di una frazione della luce dovuta all’effetto del quenching dell’Azoto, per la resa in luce può essere ragionevolmente estrapolato un valore all’interno dell’intervallo: LY ' 7 ÷ 7.5 phel . keV (4.4) Sulla base di questi risultati e di altri studi effettuati in precedenza [87], si può pensare di ricavare il valore minimo di soglia energetica raggiungibile per gli eventi di rinculo elettronico e per quelli di rinculo nucleare. Infatti, stimando una soglia minima realistica di rivelazione per i rinculi elettronici, espressa in phel, pari a ∼ 35 phel e considerando una LY=7 phel/keV , ne consegue una soglia in energia per gli eventi di rinculo elettronico di ∼ 5 keV . Per i rinculi nucleari, a causa dell’effetto di quenching della luce di scintillazione dovuto alle interazioni di particelle cariche pesanti in Argon liquido, occorre considerare la riduzione della LY; assumendo un fattore di quenching pari a 0.25 si otterrebbe una soglia in energia per gli eventi di rinculo nucleare inferiore a 20 keV . Il tutto si tradurrebbe direttamente, a parità di esposizione per un rivelatore a LAr, in un incremento della sensibilità per gli eventi di DM. I risultati ottenuti mostrano quindi come rivelatori ad Argon liquido ad elevata efficienza di raccolta per i segnali di scintillazione, che esibiscono valori di LY∼ 7 phel/keV , siano in grado di rivelare eventi ionizzanti che rilasciano in LAr energie di pochi keV quali possono essere le interazioni 104 CAPITOLO 4. ANALISI DI SEGNALI DI SCINTILLAZIONE IN ARGON LIQUIDO E MISURE DI RESA IN LUCE dovute alle particelle di DM, validando cosı̀ la totale efficacia dei dispositivi che fanno uso di questa promettente tecnologia. Conclusioni Nell’ultimo decennio la Materia Oscura ha visto un rinnovato interesse da parte della comunità scientifica internazionale per le possibili conseguenze che la sua definitiva scoperta potrebbe portare nella Fisica Astroparticellare, nella Cosmologia e nell’Astrofisica. Di conseguenza la ricerca della DM è stata protagonista di un grande sviluppo, soprattutto per quanto riguarda le tecniche sperimentali e la costruzione di nuovi rivelatori, con una grande attenzione nel campo dei rivelatori che utilizzando gas nobili liquefatti, ed in particolare l’Argon, come mezzo attivo di rivelazione. In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi, svolto nell’ambito della fase di Ricerca e Sviluppo del programma WArP (WArP R&D), presso i laboratori esterni dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN e volto alla caratterizzazione di un rivelatore a LAr equipaggiato con fotomoltiplicatori di nuova generazione ad elevata efficienza quantica. L’uso di tali dispositivi, unitamente alla tecnologia sin qui sviluppata [47, 73, 86, 88, 83], ha permesso di mostrare sperimentalmente come un rivelatore ad Argon liquido con copertura fotocatodica del 12% possa raggiungere una resa in luce superiore a 7 phel/keV , in modo da rendere possibile la rivelazione dei segnali derivanti dal deposito in LAr di energie di pochi keV , paragonabili a quelle attese per i segnali di WIMP. Tale risultato si riflette direttamente in un incremento sostanziale della sensibilità del rivelatore per gli eventi derivanti dalle interazioni delle particelle di DM. Le condizioni sperimentali che hanno reso possibile ottenere determinati valori di resa in luce sono ascrivibili in primo luogo all’utilizzo di fototubi ad elevate efficienza quantica ed efficienza di collezione, altamente performanti alle temperature dell’Argon liquido, i quali hanno mostrato una buona stabilità nella loro risposta durante l’intera fase di presa dati, all’elevata efficien- 106 CONCLUSIONI za di conversione del selettore di lunghezze d’onda depositato sui materiali che delimitano il volume attivo della camera utilizzata ed infine alla buona purezza dell’Argon. I risultati ottenuti confermano quindi come sia effettivamente possibile realizzare dei rivelatori ad Argon liquido di grandi dimensioni per la ricerca diretta della DM, senza che questi perdano le loro potenzialità e le loro prestazioni. I dati raccolti ed i risultati delle misure effettuate, riportati nel presente lavoro di tesi, sono stati utilizzati nel lavoro per la pubblicazione del seguente articolo: “Demonstration and comparison of photomultiplier tubes at liquid Argon temperature”– 2012 JINST 7 P01016, pubblicato su JINST - Journal of Instrumentation (IOP Publishing Ltd and SISSA) [82]. Bibliografia [1] F. Zwicky. Helvetica Physica Acta, 6, pp. 110-127, (1933). [2] D. H. Perkins. Introduction to High Energy Physics - 4th Edition. Cambridge University Press, (2000). [3] M. Roncadelli. astro-ph/0307115, (2003). [4] M.S. Turner, E.W. Kolb. The early Universe (Frontiers in Physics). (1990). [5] B. Fuchs. astro-ph/9812048, 1998. [6] G. Jungman, M. Kamionkowski, K. Griest. (1996), 195. Phys. Rev. Rep., 267, [7] P. Salucci, M. Persic. ASP Conf. Ser. 117: Dark and Visible Matter in Galaxies and Cosmological Implications. Bringham Young University, Provo UT, (1997), 1-27. [8] M.Roncadelli. 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Piano Mortari, per avermi dato l’opportunità di svolgere questo importante lavoro di tesi in un ambiente eccezionalmente interessante e stimolante, oltre che per la disponibilità certa sulla quale ho potuto sempre contare e per la costante presenza, nonostante le distanze, durante l’intero svolgimento delle attività. Un sentito ringraziamento va senza dubbio al Dr. Nicola Canci, per il costante grande impegno rivolto al miglior esito possibile di questo lavoro di tesi, per l’abnegazione e la passione con le quali si è dedicato allo svolgimento di tutte le attività, per il sostegno, per la serietà, la precisione e la puntualità con cui ha seguito l’intero compiersi del lavoro, per tutte le volte che abbiamo rispettato le scadenze anche rimanendo in Hall di Montaggio fino a notte inoltrata, per le N versioni del file main che ha dovuto leggere e correggere, e per quanto in questi mesi ho imparato da lui. Ringrazio anche il Dr. Ettore Segreto, il Dr. Andrzej Szelc, e il Dr. Roberto Acciarri, amico di vecchia data, per la costante attenzione, per i chiarimenti e le delucidazioni, per i preziosi suggerimenti e per tutte le volte che con pazienza e attenzione hanno apportato il loro insostituibile contributo. Infine, il ringraziamento più vivo e profondo, che non ha bisogno di parole, va alla mia bella famiglia, e ad Eleonora.