ALMA MATER STUDIORUM Università di Bologna FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica Tesi specialistica - Interazioni fondamentali STUDIO DELLE PROPRIETÀ OTTICHE DI UN NUOVO PROTOTIPO DI LUMINOMETRO PER L’ESPERIMENTO ATLAS Tesi di: Alberto Mengarelli Relatore: Chiar.mo Prof. Nicola Semprini Cesari Sessione III Anno Accademico 2006-2007 A mio padre, mia madre e mia sorella. Qualsiasi via è solo una via, e non c’è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nell’abbandonarla, se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare... Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione. Provala tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda... Questa via ha un cuore? Se lo ha, la via è buona. Se non lo ha, non serve a niente. (Carlos Castaneda, The Teachings of don Juan) Indice Introduzione 1 1 L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 1.1 L’acceleratore LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 L’esperimento ATLAS . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Il programma sperimentale . . . . . . . . . . 1.2.2 Magneti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Inner Detector . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.4 Calorimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.5 Spettrometro muonico . . . . . . . . . . . . 1.2.6 Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ) 1.2.7 Sistema di calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 La misura della luminosità ad ATLAS 2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Metodi di misura della luminosità . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Roman Pot e Alfa: misura della luminosità attraverso processi di diffusione elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 ZDC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 LUCID . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.1 Struttura del rivelatore LUCID . . . . . . . . . . . . 2.5.2 Il codice di simulazione di LUCID . . . . . . . . . . . 2.5.3 I test-beam effettuati su LUCID . . . . . . . . . . . . 2.5.4 La resistenza alla radiazione di LUCID . . . . . . . . 3 Verso un nuovo progetto di luminometro 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 L’ambiente del luminometro . . . . . . . . 3.2.1 Simulazioni Monte Carlo . . . . . . 3.3 Lo schema generale del nuovo luminometro 3.3.1 L’effetto Cherenkov . . . . . . . . . i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 7 7 12 13 15 17 20 22 25 . 25 . 27 . . . . . . . 30 34 36 37 41 44 47 . . . . . 51 51 52 53 54 55 ii 3.4 3.5 3.3.2 Le bacchette di quarzo . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.3 Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo . . . . La resistenza alla radiazione dei materiali . . . . . . . . . . . 3.4.1 La facility d’irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2 Il banco ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.3 La misura dell’indice di rifrazione del quarzo . . . . . 3.4.4 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.5 La misura del coefficiente di trasmissione del quarzo . 3.4.6 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.7 Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11 . . 3.4.8 Considerazioni conclusive sulla resistenza alla radiazione dei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prove su fascio di un primo prototipo . . . . . . . . . . . . . 3.5.1 Descrizione del prototipo . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.2 Le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.3 I risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 59 63 66 67 68 75 81 84 91 . . . . . 93 94 94 95 96 Conclusioni 101 A La caustica 105 B Relazioni di Fresnel 109 Bibliografia 115 Ringraziamenti 125 Introduzione All’interno dell’apparato ATLAS (A T oroidal LHC ApparatuS ), uno dei quattro grandi rivelatori attualmente in costruzione lungo il collisionatore LHC, verrà installato il LUCID (Luminosity M easurement U sing C herenkov I ntegrating Detector), un rivelatore dedicato alla misura della luminosità di LHC in entrambe le fasi di operatività previste dal collisionatore. Il LUCID è un ”detector” che stima la luminosità rivelando le particelle primarie provenienti dal punto di interazione (IP) tramite la misura della luce Cherenkov emessa in tubi di alluminio riempiti di gas. Per la prima installazione sono previsti due ”vessel” posizionati a circa 17 m prima e dopo l’IP contenenti 20 tubi dei quali 16 direttamente accoppiati a PMT a singolo anodo (LUCID fase 1), mentre i restanti 4 sono letti da fibre ottiche che portano il segnale a fotomoltiplicatori a multi anodo MAPMT (LUCID fase 2). La prima configurazione risulta, dai test-beam effettuati, molto più performante rispetto a quella di fase 2 che è però imposta dalla elevata dose di radiazione prevista ad alte luminosità nella zona del LUCID. In base a queste considerazioni, il lavoro di questa tesi è stato quello di anticipare lo studio di una nuova possibile configurazione del LUCID fase 2 proponendo lo schema generale di un nuovo luminometro più compatto e maneggevole. Nel tentativo di amplificare il segnale, si è pensato infatti di sostituire i tubi di alluminio ed il mezzo radiativo gassoso con delle bacchette di quarzo che garantiscono un numero maggiore di fotoni prodotti per effetto Cherenkov. La resistenza alla radiazione del quarzo, va però accertata con cura non essendo un materiale sostituibile durante gli anni di presa dati ad LHC. 1 2 In questa tesi si sono quindi studiati i parametri ottici di interesse (indice di rifrazione e coefficiente di trasmissione) del quarzo e la loro eventuale alterazione, sottoponendoli all’irraggiamento con un flusso di neutroni veloci pari a quello previsto in prossimità di LUCID in un anno di LHC ad alta luminosità. Il capitolo 1 di questo lavoro è dedicato all’inquadramento del ruolo dell’esperimento ATLAS, descritto in tutte le sue componenti, all’interno del progetto LHC. Nel secondo capitolo vengono invece descritti i metodi di misura della luminosità, focalizzando l’attenzione sui rivelatori che svolgono questo ruolo internamente al programma di ATLAS. Il capitolo 3 costituisce la parte sperimentale principale della tesi dove vengono presentati lo schema generale del nuovo luminometro ed i risultati delle misure di resistenza alla radiazione effettuate sulle sue componenti. Nell’ultimo paragrafo vengono infine brevemente riportati i risultati preliminari ottenuti testando su fascio un primo prototipo del luminometro in quarzo. Capitolo 1 L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 1.1 L’acceleratore LHC LHC, acronimo di ”Large H adron C ollider”, è un acceleratore di particelle e collisionatore situato al CERN, vicino a Ginevra, e contenuto in un anello sotterraneo di circa 27 Km di circonferenza ad una profondità variabile da 50 a 175 m. La macchina, attualmente in costruzione, dovrebbe essere operativa a partire da ottobre 2008 ed a regime sarà in grado di accelerare protoni fino alla energia di 7 TeV con una energia totale nel centro di massa pari a 14 TeV. Dopo un anno di esercizio alla luminosità di 2 × 1033 cm−2 s−1 , la macchina dovrebbe raggiungere la luminosità di progetto pari a 2.3 × 1034 cm−2 s−1 . Ciascun fascio di protoni sarà composto da 3564 pacchetti, dei quali solamente 2808 pieni, ed ogni pacchetto conterrà al momento dell’iniezione 1.15×1011 protoni. Ciascun pacchetto sarà lungo 7.55 cm ed avrà dimensioni trasversali dell’ordine del millimetro ridotte a 16 µm nei punti di interazione. La ”sopravvivenza” dei fasci è stimata essere dell’ordine delle 13 ore, con collisioni ogni 25 ns, come determinato dalla distanza spaziale dei pacchetti all’interno dell’anello. L’acceleratore è stato progettato per potere accelerare oltre ai protoni anche nuclei pesanti (piombo) completamente ionizzati fino ad un’energia nel centro di massa pari a 2.76 TeV ed una luminosità di 1027 cm−2 s−1 . I fasci di particelle circoleranno in due tubi separati e saranno 3 4 Figura 1.1: Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle sale sperimentali e delle strutture di accesso. Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 5 fatti collidere in quattro punti di interazione, in corrispondenza dei rivelatori attualmente in costruzione (Fig. 1.1). L’energia finale delle particelle che circoleranno negli anelli di LHC sarà raggiunta attraverso una complessa successione di accelerazioni e trasferimenti nella rete di accelerazioni del CERN. I protoni ad esempio, dopo essere stati prodotti ed accelerati all’interno del LINAC fino ad una energia di 50 MeV, verranno trasferiti al PS Booster ed accelerati fino alla energia di 1.4 GeV, nuovamente trasferiti al PS ed accelerati fino ad una energia di 26 GeV, poi all’SPS fino a 450 GeV e nuovamente trasferiti negli anelli di LHC dove saranno accelerati alla energia finale di 7 TeV e fatti collidere al centro delle sale sperimentali dove sono installati i rivelatori degli esperimenti. La necessità di raggiungere le più alte energie compatibili con la preesistente struttura del tunnel ha in qualche modo imposto di accelerare protoni che rispetto agli elettroni sono affetti da una minore emissione di luce di sincrotrone. Da un punto di vista costruttivo sarebbe stato più semplice impiegare protoni ed antiprotoni che attraverso tecniche ben collaudate possono essere contenuti ed accelerati all’interno dello stesso anello. Tuttavia, per evitare i tempi morti associati all’accumulazione degli antiprotoni, si è preferito operare solo con protoni pagando però il prezzo della realizzazione di due distinti anelli di accelerazione. Parametro Valore Energia Numero di particelle per pacchetto Numero di pacchetti Luminosità iniziale Luminosità finale σ(sezione d’urto pp) L ×σ 7 TeV 1.67 × 1011 ' 2808 2 × 1033 cm2 s−1 1034 cm2 s−1 100 mb = 10−25 cm2 109 Hz (1) Tabella 1.1: Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisioni pp alla luminosità di progetto. Tenendo conto della relazione che lega l’impulso p delle particelle che orbitano all’interno di un acceleratore circolare al campo magnetico medio fornito 6 dai suoi magneti dipolari ed al suo raggio: p = 0.3BR (1.1) ci si rende conto facilmente che l’energia di 7 Tev per fascio dei protoni è la massima raggiungibile con le attuali tecnologie di produzione del campo magnetico. Ponendo infatti p = 7000 Gev/c ed R = 4240 m dall’equazione (1.1) otteniamo un campo magnetico medio sull’orbita di 5.5 T. Dato che non è possibile disporre magneti dipolari per la curvatura della traiettoria su tutta la circonferenza, ma solo su una frazione di questa (una parte di questa deve essere riservata alle cavità risonanti per gli stadi di accelerazione), risulta che per produrre un tale campo magnetico medio è necessario disporre di magneti dipolari da 8.33 T realizzabili oggi con tecniche superconduttive piuttosto spinte. Più in dettaglio il progetto prevede 1232 dipoli magnetici superconduttori per la curvatura della traiettoria dei protoni (Fig. 1.2) e 392 quadrupoli magnetici per la loro focalizzazione. Ciascuno dei dipoli magnetici ha una Figura 1.2: Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore con indicate le componenti costitutive. Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 7 lunghezza di 14.3 m ed una massa di 23.8 tonnellate, ed è in grado di fornire un campo magnetico di 8.33 T operando attraverso cavi superconduttori mantenuti dall’elio alla temperatura di 1.9◦ K. Ogni quadrupolo ha una massa di 6.5 tonnellate ed una lunghezza di 3.10 m e produce un campo magnetico di 6.86 T operando, come i dipoli, alla temperatura di 1.9◦ K. 1.2 L’esperimento ATLAS L’esperimento ATLAS (A Toroidal Lhc ApparatuS) [1] [2], sarà situato in una delle quattro grandi cavità sotterranee (punto 1 di Fig. 1.1) disposte lungo il tunnel di LHC ad una profondità di circa 100 m. L’insieme dei rivelatori che lo costituiscono è tipico di un esperimento multi-purpose progettato per operare con una grande varietà di ”trigger” e di configurazioni di particelle prodotte nel corso delle collisioni. Dei quattro grandi esperimenti previsti ad LHC l’apparato dell’esperimento ATLAS è quello con dimensioni maggiori pari a circa 45 m di lunghezza e 12 m di raggio. 1.2.1 Il programma sperimentale Il principale obiettivo del programma scientifico dell’esperimento ATLAS è costituito dalla ricerca del bosone di Higgs sul quale il modello standard (SM) fonda la propria spiegazione del meccanismo di generazione delle masse dei leptoni e dei mediatori della interazione elettrodebole. Tale meccanismo, indicato con il nome di rottura spontanea della simmetria (SSB) di gauge della interazione elettrodebole, prevede l’esistenza di un solo bosone di Higgs (H), oppure, nella cosiddetta estensione minimale supersimmetrica (MSSM), di una famiglia (H ± , h, H ed A) di bosoni di Higgs. Per quanto riguarda il primo scenario il canale più favorevole accessibile ad LHC è costituito dal decadimento: H −→ ZZ −→ 4` in grado di coprire l’intervallo di massa 180 < mH < 800 GeV. Più complessa è invece la situazione nel secondo scenario dove sono attesi i segnali corrispondenti a cinque bosoni di Higgs con differenti possibilità dei 8 Figura 1.3: A sinistra: sono mostrati sul piano (mA , tanβ) tutti i segna- li del bosone di Higgs ad una luminosità integrata di 10 fb−1 per esperimento (ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della MSSM osservabili ad LHC da ATLAS ad una luminosità di 300 fb−1 valori delle loro masse. Il modo in cui gli esperimenti di LHC si collocheranno in questo scenario è riassunto nella Figura 1.3 dove si assumono come parametri liberi del modello la massa del bosone pseudoscalare mA ed il rapporto dei valori d’aspettazione nel vuoto delle componenti neutre dei due campi di Higgs (tanβ). Un secondo importante capitolo del programma scientifico di ATLAS è costituito dallo studio dei sistemi con quark pesanti b e t. L’elevata ”rate” di produzione di questi ”quark”, attesa già alla luminosità prevista per la fase iniziale, rende ATLAS un esperimento di grandi potenzialità nello studio dettagliato di questo settore. Saranno infatti possibili misure precise della massa mt del quark top e l’osservazione di canali di decadimento rari come t−→b H+ oppure t−→Z c. Per quanto riguarda la fisica del B invece, l’enfasi maggiore sarà data alle misure precise di violazione di CP nel sistema B0d e nella determinazione degli angoli nel triangolo di Cabibbo-Cobayashi-Maskawa. Ad ATLAS verrà esplorata anche la fisica oltre il modello standard (SM). L’estensione supersimmetrica (SUSY) del SM prevede un ampio spettro di nuove particelle, dette sparticelle, partner supersimmetriche di quelle esi- Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 9 stenti, che seguono l’opposta statistica. In questo scenario ad ogni fermione corrisponderebbe un bosone supersimmetrico e ad ogni bosone un fermione supersimmetrico, il cui nome viene convenzionalmente costruito aggiungendo una s davanti al nome del fermione e il suffisso ino al nome del bosone (ad esempio all’elettrone dovrebbe corrispondere un bosone chiamato selettrone, ai quark corrispondono gli squark, ai gluoni corrispondono i gluini e cosı̀ via). Tra le particelle ipotizzate da questa teoria riveste particolare importanza il partner supersimmetrico del neutrino, detto neutralino, che essendo la particella supersimmetrica più leggera dovrebbe essere stabile, e come tale al pari di tutte le altre particelle stabili osservabili, tuttora presente nel cosmo costituendo una possibile candidata come materia oscura. Oltre a questa, se effettivamente la supersimmetria esiste ed opera alla scala della energia elettrodebole, è attesa la produzione di squarks e gluini. Anche in questo caso, considerando il limite cinematico raggiungibile ad LHC, l’esperimento ATLAS è potenzialmente in grado di compiere misure precise su tutto questo settore della fisica delle particelle. Nell’ambito di possibili estensioni del modello standard (Technicolor ed alcune versioni delle teorie di grand’unificazione, GUT) è prevista anche la ricerca di particelle dotate sia di numero leptonico che barionico. Tali particelle, dette leptoquark (LQ), potrebbero manifestarsi in processi quali qg −→ lLQ dove l è sia un elettrone che un neutrino, e gg entrambi accessibili ad ATLAS. Sempre nell’ambito di alcune estensioni del modello standard si colloca pure la ricerca di nuovi bosoni vettori di gauge come Z 0 neutro e W 0 neutro. Questi sono presenti sia in modelli di minima estensione dello SM sia in modelli che prevedono una struttura interna dei quark e dei leptoni oggi ritenuti fondamentali. ATLAS sarà particolarmente sensibile al canale Z 0 −→ ee, mentre gli altri canali di decadimento forniranno importanti informazioni sull’accoppiamento della Z 0 per comprendere l’origine di queste nuove risonanze. Un programma scientifico cosı̀ vasto ed articolato richiede necessariamente un apparato sperimentale versatile ma al tempo stesso capace di prestazioni elevate. L’esperimento ATLAS infatti dispone di: • calorimetri elettromagnetici di alta precisione per la rivelazione di elet- 10 Figura 1.4: ATLAS. Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimento Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 11 troni e fotoni accompagnati da calorimetri adronici per misure su jet ed energia trasversa mancante (Emiss ); T • spettrometro per muoni di altissima precisione che copre tutta la regione esterna dell’esperimento cui si aggiunge eventualmente il sistema di tracciamento interno; • efficiente tracciamento dei leptoni ad alto impulso trasverso (pT ) nel regime di alta luminosità, identificazione di elettroni, fotoni, τ ed altre particelle a ”sapore pesante”, ricostruzione completa degli eventi a bassa luminosità; • grande accettanza in pseudorapidità (η) e copertura azimutale (φ) quasi completa ovunque; • capacità di trigger e possibilità di misurare particelle per soglie di pT basso, in modo da fornire alta efficienza per la maggior parte dei fenomeni fisici di interesse ad ATLAS. L’esperimento ATLAS mostrato in Figura 1.4 è costituito da una serie di apparati concentrici a simmetria cilindrica che circondano il punto di interazione dove i due fasci di protoni provenienti da LHC collideranno. Riconosciamo in esso quattro sezioni principali: l’Inner Detector (rivelatore interno, ID), i calorimetri elettromagnetico (EM) ed adronico (Tile Cal ), lo spettrometro per i muoni e le componenti (solenoide centrale (CS), toroidi del barrel (BT) e degli end-cap (ECT)) del sistema magnetico. La descrizione dell’apparato risulta più conveniente se si utilizza un sistema di coordinate avente l’asse z coincidente con l’asse dei fasci, come origine il punto di collisione e come ulteriori coordinate, l’angolo azimutale φ, misurato sul piano ortogonale a z e la variabile η =-ln tan(θ/2) (pseudo-rapidità), al posto dell’angolo polare θ. Nelle sezioni che seguono vengono descritte più in dettaglio le caratteristiche dei rivelatori che compongono l’apparato sperimentale ATLAS. 12 Figura 1.5: Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT). 1.2.2 Magneti La struttura del campo magnetico dell’esperimento ATLAS è piuttosto complessa ed è essenzialmente distinta in due differenti regioni: una interna, con un campo uniforme parallelo all’asse del fascio che si estende su tutto il volume del sistema di tracciamento interno (ID) con una intensità di circa 2T; ed una esterna di grandi dimensioni con un campo toroidale che si estende su tutto il volume dei rivelatori di muoni con una intensità di circa 4T. Questa complessa configurazione di campo magnetico è realizzata nella regione interna attraverso un solenoide centrale (CS) di lunghezza 5.3 m, larghezza 2.3 m, spessore 45 mm e peso totale di 6 tonnellate; nella regione esterna attraverso un grande solenoide toroidale (Fig. 1.5) costituito da 8 spire rettangolari lunghe 25 m e larghe 5 m (BT) unitamente a due solenoidi toroidali più piccoli di 8 spire rettangolari di raggio 11 m e spessore 5 m (ECT)(Fig. 1.6). Gli elevati campi magnetici necessari per curvare le particelle cariche di altissima energia prodotte al centro del rivelatore (da 2 a 6 Tm) richiedono Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 13 Figura 1.6: Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT). l’uso di magneti superconduttori. Particolari accorgimenti si sono resi necessari nel caso del CS che si trova nella regione interna dell’esperimento per il quale è stato necessario impiegare la minima quantità di materiale in modo da non compromettere le capacità di misura dei calorimetri. Ciascuno dei tre toroidi è composto da otto bobine assemblate radialmente e simmetricamente attorno all’asse del fascio. Il sistema di bobine dell’ ECT è ruotato di 22.5◦ rispetto a quello del BT, questo per fornire sovrapposizione radiale ed ottimizzare il potere curvante nelle regioni di interfaccia dei due sistemi. Il sistema magnetico nel suo complesso raggiunge una massa totale di 1400 tonnellate ed è raffreddato indirettamente da un flusso di elio liquido a 4.5 ◦ K attraverso delle tubature saldate all’involucro degli avvolgimenti. 1.2.3 Inner Detector Il sistema di tracciamento interno (Inner Detector, ID) occupa la cavità cilindrica definita tra i tubi a vuoto dei fasci e il criostato del calorimetro 14 elettromagnetico estendendosi per 7 m in lunghezza e 115 cm in raggio. L’ID (Fig.1.7), il cui compito è di fornire una buona risoluzione in momento ed identificazione dei vertici di interazione, è interamente contenuto nel CS e quindi soggetto ad un campo magnetico di 2 T. Per fare fronte alla elevata densità di tracce attesa in questa regione, l’ID deve possedere una elevata risoluzione e granularità, ottenibili tramite l’utilizzo di differenti tecnologie. Nella regione più prossima al punto di interazione, si utilizzano i dispositivi a semiconduttore (SCT) e le micro-strips counters (MSGC), rivelatori dotate di alta risoluzione spaziale. A distanze maggiori, vengono invece impiegati i transition radiation tracker (TRT), che pur avendo una risoluzione intrinseca inferiore assicurano una elevata precisione sulla traccia fornendo un elevato numero di punti (36 punti per traccia). Per i rivelatori interni (SCT ed MSGC) si ha una risoluzione spaziale in z e φ di circa 10÷15 µm, mentre per quelli più esterni (TRT) questa vale approssimativamente 170 µm. L’ID è diviso in tre regioni: il ”barrel ”, che si estende fino a ±80 cm dal punto di interazione, e due ”end-cap”, che chiudono le estremità della cavità cilindrica. All’interno del barrel i rivelatori a pixel sono organizzati in tre strati (layer ) cilindrici e concentrici alla direzione del fascio, mentre negli end-cap vengono disposti su quattro dischi ortogonali a tale direzione. L’unità fondamentale dei rivelatori è il sensore a pixel, un wafer di silicio di 16.4 × 60.8 mm contenente 46080 pixel 50 × 400 µm. Sui successivi quattro cilindri del barrel ed i nove dischi degli end-cap sono disposti i rivelatori a strips. Le SCT forniscono otto misure di precisione per traccia nella regione dei raggi intermedi, contribuendo alla misura dell’impulso, parametro d’impatto e posizione dei vertici di interazione. I moduli sono montati su strutture in fibra di carbonio che ospitano anche il sistema di raffreddamento. A distanze ancora maggiori sono montati i TRT, disposti parallelamente alla direzione del fascio nel barrel e perpendicolarmente negli end-caps. Questo tipo di rivelatore, composto da tubi a deriva di 4 mm di diametro intervallati con fogli di polipropilene dello spessore di 15 µm, che emettono raggi X al Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 15 Figura 1.7: Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS. passaggio di particelle ultra-relativistiche, consente una misura della cinematica e della natura della particella cosı̀ veloce (tempo di deriva ∼ 38 ns), da essere utilizzabile anche a livello di trigger. Nel regime di alta frequenza di interazione (cioè alla luminosità per cui LHC è stato progettato), il TRT è in grado di eseguire nel barrel misure ad un rate (in funzione del raggio) di 6 ÷ 18 MHz, e negli end-cap di 7 ÷ 19 MHz (in funzione di z). 1.2.4 Calorimetri Esternamente all’ID è disposto il sistema calorimetrico dell’apparato sperimentale ATLAS (Fig. 1.8). Questo è progettato sia per la ricostruzione dell’energia di elettroni, fotoni e jets adronici, sia per la misura dell’energia trasversa mancante, e prevede due differenti sezioni: il calorimetro elettromagnetico ed il calorimetro adronico. Questi calorimetri sono posizionati in modo da avere una copertura angolare ermetica attorno al punto di interazione (IP). Entrambi cioè, sono suddivisi in tre parti, una centrale a simmetria cilindrica (barrel ) e due end-cap che chiudono davanti e dietro l’angolo di 4π attorno all’IP. 16 Figura 1.8: Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS. Il calorimetro elettromagnetico (EM) ha il compito di identificare e ricostruire elettroni e fotoni in un vasto range di energia (100 MeV≤E≤1.5 TeV) coprendo la regione |η| < 1.475 nel barrel e 1.375 < |η| < 3.2 negli end-caps. Per la sua costruzione sono impiegate camere a ionizzazione, che usano come mezzo attivo l’Argon liquido, intervallate da lastre in Pb come assorbitori; la struttura ha una geometria a fisarmonica con una segmentazione in η e φ pari a ∆η × ∆φ ' 0.025 × 0.025, su gran parte dell’intervallo di rapidità. La geometria a fisarmonica consente di avere una buona simmetria assiale e minimizza lo spazio non sensibile. Lo spessore totale del calorimetro EM è di 24 lunghezze di radiazione (X0 ) nel √ ⊕ 1%, barrel e 26 negli end-cap ed offre una risoluzione in energia pari a 10% E p ed una risoluzione angolare pari a ∼ 40 mrad/ E(Gev), quest’ultima ne- cessaria per la ricostruzione delle masse invarianti degli stati neutri. Il compito del calorimetro adronico è, invece, quello di identificare i jets Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 17 adronici, misurare l’energia trasversa mancante, ma anche di migliorare la capacità di identificazione del calorimetro elettromagnatico. Si divide in tre moduli diversi a seconda della posizione: (Barrel Hadronic Tile) attorno alla linea di fascio, (Hadronic End Cap) e (Hadronic Forward ) nella zona anteriore e posteriore di chiusura. Nella regione del barrel esso è costituito da assorbitori in ferro, intervallati da piani di materiale scintillante letti da fibre ottiche. Questi piani, posti perpendicolarmente alla direzione del fascio, hanno una segmentazione pari a ∆η × ∆φ ' 0.1 × 0.1 offrendo una risoluzione in energia di 50% √ E ⊕ 10%. Nella regione degli end-caps, dove è necessaria una maggiore resistenza alle radiazioni, sarà di nuovo utilizzato dell’Argon liquido, ma con strati di rame come assorbitori sia per gli Hadronic End Cap che per gli Hadronic Forward. Questi ultimi inoltre sono costituiti, oltre che di rame, da due sezioni di tungsteno e sono integrati nei criostati degli end-cap a circa 4.7 m dal punto di interazione. La segmentazione prevista per questa zona è pari a ∆η × ∆φ ' 0.2 × 0.2 con una risoluzione di 100% √ E ⊕ 10%. Le dimensioni del calorimetro adronico sono fondamentali per il buon funzionamento dello spettrometro muonico, che costituisce lo strato più esterno dell’apparato ATLAS. Pertanto, al fine di ridurre il fondo dovuto a quei muoni prodotti da reazioni interne al calorimetro, lo spessore di quest’ultimo è stato fissato in 11 lunghezze di interazione per il barrel ed in 14 negli end-caps. 1.2.5 Spettrometro muonico Lo spettrometro dei µ è stato progettato per ottenere un’alta precisione nella misura dell’impulso, senza dover ricorrere alle informazioni provenienti dagli altri rivelatori. Lo spettrometro deve, quindi, avere una copertura omogenea fino a grandi rapidità (|η| = 3) ed essere efficiente nell’individuazione dei muoni su un intervallo di pT che va da 5 GeV a 1 TeV. Il principio di funzionamento è basato sulla deflessione delle tracce delle particelle cariche nei campi magnetici generati dai toroidi superconduttori. La complessa configurazione dei magneti di ATLAS fornisce un campo che nella 18 Figura 1.9: Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimento ATLAS. maggior parte dei casi è ortogonale alla traiettoria delle particelle, in modo tale da minimizzare lo scattering multiplo che causa una diminuzione della risoluzione. Il trigger e gli algoritmi di ricostruzione sono ottimizzati per far fronte alle difficili condizioni di lavoro dovute ai prodotti delle collisioni primarie e alla elevata radiazione di background, (soprattutto neutroni e fotoni nel range del MeV), prodotti nelle interazioni secondarie con il materiale circostante. La Figura 1.9 fornisce una visione completa dello spettrometro muonico di ATLAS. Le misure di precisione delle tracce muoniche vengono proiettate sul piano Rz, in una direzione parallela alla curvatura del campo magnetico (Fig. 1.10); la coordinata assiale (z ) è misurata nel barrel in camere disposte su tre strati cilindrici (stazioni) attorno all’asse del fascio, mentre quella radiale (R) è misurata in camere disposte verticalmente. Per gran parte dell’intervallo in η, la misura delle tracce lungo la direzione principale di curvatura del campo magnetico è fornita dai Monitored Drift Tubes (MDT). In prossimità del punto di interazione, vengono invece utilizzate le Cathode Strip Chambers (CSC). Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 19 Figura 1.10: Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS. Gli MDT sono rivelatori a deriva, costituiti da tubi di alluminio di 30 mm di diametro contenenti un filo catodico centrale di 50 µm di diametro in lega di tungstenio-renio e una miscela di gas non infiammabile alla pressione di 3 bar. Ogni tubo costituisce un singolo elemento di deriva per gli MDT che offrono una risoluzione spaziale di 80 µm con un tempo di deriva massimo di circa 700 ns. Le CSC sono delle camere proporzionali a molti fili (MWPC) con catodo segmentato, la cui misura di posizione è ottenuta valutando la carica indotta sulle striscie catodiche dalla valanga generata sugli anodi. Con un tempo di deriva di 30 ns ed una risoluzione temporale di 7 ns si riesce ad ottenere una risoluzione spaziale di 60 µm. Il sistema di trigger copre il range di pseudorapidità | η |≤ 2.4 ed ha come requisito base l’identificazione del bunch-crossing, che richiede un tempo di risoluzione migliore di 25 ns (bunch-spacing ad LHC). I rivelatori usati per la sua costruzione sono gli RPC (Resistive plate chamber), nel barrel, e le TGC (Thin gap chamber) negli end-cap. Le RPC sono rivelatori gassosi in grado di fornire una risoluzione di 1cm×1ns costituite da un sottile strato tra due piastre di bakelite, separate da un materiale isolante. La ionizzazione primaria viene moltiplicata in una valanga da un campo elettrico uniforme molto elevato (4.5 KV/m), producendo im- 20 pulsi di circa 0.5 pC. Le TGC sono MWPC con la differenza che la distanza tra i fili anodici (1.8 mm) è maggiore della distanza tra il piano anodico e quello catodico (1.4 mm), con conseguente riduzione dello spessore del gap. I rivelatori utilizzati per il sistema di trigger, forniranno inoltre la seconda coordinata nelle misure di traccia. 1.2.6 Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ) Il programma di ricerca ad LHC comprende lo studio di processi fisici molto rari (es: produzione dell’Higgs) i quali richiedono una luminosità molto elevata (dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ). A questa luminosità, i processi di fondo con grande sezione d’urto produrrano interazioni con una frequenza attesa di circa 109 Hz pari ad un volume di dati complessivo di 4×104 Gbyte/s. Dato che la frequenza massima di acquisizione si prevede che sia dell’ordine di 100 Mbyte/s ciò significa che il sistema di trigger dovrà ridurre i segnali di minimum bias di un fattore ∼ 106 mantenendo però un’eccellente efficienza per i processi fisici rari (es: decadimento del bosone di Higgs) d’interesse ad ATLAS. Il sistema di trigger e di acquisizione dati di ATLAS (Fig. 1.11) è basato su tre livelli di selezione on-line degli eventi. Ciascun livello di trigger raffina le decisioni prese al livello precedente e, dove necessario, applica nuovi criteri di selezione. Il trigger di livello 1 (LVL1) ha il compito di individuare i bunch-crossing di interesse prendendo una decisione iniziale di selezione sulla base delle informazioni provenienti dai rivelatori sottostanti. Per esempio, i muoni ad alto pT sono identificati usando solamente le camere di trigger RPC (barrel) e le TGC (end-cap) (Fig. 1.12), mentre particelle come elettroni e fotoni ad alto pT , jet, τ che decadono in adroni, ETmiss vengono identificate dai calorimetri. La latenza è definita come il tempo che intercorre tra le collisioni protoneprotone ed il momento in cui la decisione presa dal trigger (LVL1) è disponibile per l’elettronica di front-end. Per contenerne il valore al di sotto di 2.5 µs, l’informazione proveniente dai canali del rivelatore viene salvata in me- Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 21 Figura 1.11: Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizione dell’esperimento ATLAS. morie pipeline poste fisicamente vicine ai sottorivelatori che lo compongono. Gli eventi selezionati dal trigger LVL1 sono inviati dai read-out driver (ROD) ai read-out buffer (ROB) dove vengono registrati e mantenuti in memoria solo nel caso in cui il trigger del livello successivo (LVL2) convalidi la misura. In questo caso, inizia il processo di trasferimento dei dati dai ROB all’Event Filter (EF) che provvede alla loro registrazione. L’EF analizza l’utilità del dato e lo posiziona in un’unica area di memoria. Il trigger di livello 2 (LVL2) riduce il rate da 75 KHz ad approssimativamente 1 KHz facendo uso delle informazioni fornite dall’LVL1 dette ”regioni di interesse” (RoI). Le RoI possono includere la posizione in (η,φ), il pT , l’energia trasversa totale e mancante dei segnali di interesse (quali ad esempio muoni ad alto pT , elettroni, adroni, e jet). Le RoI transitano dal LVL1 al LVL2 tramite un percorso preferenziale (data path) che permette all’LVL2 di accedere direttamente ai dati di interesse senza doverli trasferire tutti. Infatti, usualmente, solo dati provenienti da una regione ristretta del rivelatore centrata sull’oggetto indicato dal LVL1 sono veramente necessari. La latenza 22 Figura 1.12: Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometro muonico (LVL1 trigger). dell’elettronica che gestisce il LVL2 trigger è variabile e stimata essere nell’intervallo compreso tra 1 e 10 ms. L’ Event Filter (EF) è il terzo ed ultimo stadio del sistema di trigger on-line e segue immediatamente l’LVL2. L’EF implementa algoritmi sviluppati offline sfruttando le informazioni provenienti dalla calibrazione degli strumenti e dalla mappa del campo magnetico. Riduce, inoltre, il rate di informazioni provenienti dal LVL2 di un ordine di grandezza portandolo a ∼100-200 Hz corrispondente ad un flusso di dati di 100 MB/s se si registra l’evento completo. 1.2.7 Sistema di calcolo Una parte cruciale per la riuscita dell’esperimento ATLAS è costituita dal sistema di calcolo che dovrà gestire in modo efficiente un volume di dati dell’ordine di 1 PByte (1015 Bytes) all’anno che richiederà la definizione di nuovi metodi di riduzione, selezione e di analisi. Lo schema proposto è quello di archiviare i dati ”raw ” selezionati dall’ EF e processarli brevemente subito dopo l’acquisizione valutando le quantità fisiche richieste dalla maggior parte Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 23 Figura 1.13: Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid” (LCG) . delle analisi e classificando gli eventi in canali fisici. Il sistema di calcolo sviluppato da ATLAS è basato sulla struttura ”LHC Computing Grid” (LCG)[3] di architettura a multistrato (Fig. 1.13) ed ha subito diversi test in attesa dell’inizio della presa dati prevista per il 2008. Lo scopo del LCG è quello di fornire e mantenere un’infrastruttura per la registrazione permanente dei dati e l’analisi di questi per gli esperimenti del CERN. I dati ricevuti vengono distribuiti in tutto il mondo seguendo uno schema a 4 strati di cui il primo detto Strato-0 è situato nel CERN stesso, ed è costituito da un apparato di registrazione su nastro (backup primario) dei dati grezzi (RAW data). Questi dati, insieme ad una prima analisi, vengono inviati ai centri Strato1 che forniscono uno spazio per il riprocessamento, l’accesso alle differenti versioni delle analisi e una programmazione organizzata nel tempo delle varie attività richieste da gruppi diversi. Ogni Strato-1 invia i dati disponibili agli Strato-2 tipicamente costituiti da più centri computazionali minori in grado di registrare una quantità di dati inferiore a quelli Strato-1 e che si occupano di analisi specifiche (simulazioni, 24 calibrazioni...). Al livello più basso di questa gerarchia ci sono i centri Strato-3, cluster di computer appartenenti per esempio ad un dipartimento universitario, dai quali gli scienziati possono accedere ai dati. Capitolo 2 La misura della luminosità ad ATLAS 2.1 Introduzione La luminosità L [2] [4] [5] mette in relazione la sezione d’urto σ di un dato processo con la corrispondente frequenza R di eventi: R=L×σ (2.1) e pertanto risulta essere una quantità completamente determinata dalle proprietà dei fasci collidenti ed indipendente dai processi fisici. La luminosità di un collisionatore può essere espressa in funzione dei parametri del fascio attraverso la seguente relazione: P f i N1i N2i L=F , 4πσx∗ σy∗ (2.2) dove F è un fattore dipendente dell’angolo di collisione dei fasci, f la frequenza di rivoluzione dei fasci, N1i ed N2i sono il numero di particelle dei fasci collidenti e σx∗ e σy∗ sono le dimensioni trasverse del fascio (assunte essere le stesse per ogni fascio) nel punto di interazione (IP). Si può mostrare che la (2.2) può essere riespressa nel modo seguente: L = ξF f N kb γ , rp β ∗ 25 (2.3) 26 Figura 2.1: Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone di Higgs in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di misura della luminosità (simboli vuoti 10%, pieni 5%). dove ξ è il parametro di sintonizzazione, kb il numero di pacchetti, γ il fattore di Lorentz, rp il raggio classico del protone e β ∗ =0.5 m è il valore della funzione d’ampiezza β nel IP. Negli esperimenti di fisica delle particelle condotti su ”collider” la luminosità, sia istantanea che integrata, rappresenta un fondamentale parametro che deve essere conoscuito con sufficiente precisione. La luminosità istantanea, sopratutto se misurata per ogni pacchetto di particelle del fascio, rappresenta un importante ”monitor” del ”beam- tuning” ed in generale delle condizioni di lavoro della macchina. Per ottenere una maggiore precisione si preferisce spesso affidarsi a misure relative piuttosto che a misure assolute affette da una maggiore incertezza statistica. La luminosità integrata invece è necessaria per ottenere dalla misura del ”rate” il valore della sezione d’urto del processo di interesse (vedi Eq. 2.1). Evidentemente l’errore nella sua misura contribuisce a determinare la precisione con cui può essere misurata la sezione d’urto di un processo. A titolo di esempio riportiamo l’andamento con la massa, in diversi canali della pre- Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 27 cisione nella determinazione del ”rate” di produzione del bososne di Higgs nella ipotesi di due differenti errori di misura della luminosità (Fig. 2.1). È possibile mostrare [2] che ad una luminosità di 300 fb−1 l’errore nella determinazione della luminosità rappresenta la principale fonte di errore della misura del rapporto di decadimento. In base a quanto detto riguardo l’importanza di una corretta stima della luminosità, un apparato sperimentale complesso come ATLAS, dati gli obiettivi scientifici per cui è stato costruito, deve riuscire a controllare diversi aspetti della misura di L. In particolare deve: • fornire il valore della luminosità integrata finale per l’analisi ”off-line” dei dati. Sono richieste anche misure di luminosità media per intervalli brevi e per singolo incrocio dei pacchetti. • fornire un veloce monitoraggio ”on-line” della luminosità per poterla ottimizzare assieme alla direzionalità del fascio. A questo scopo è auspicabile una precisione statistica del 5%, ed incertezze sistematiche al di sotto del 20% circa. • controllare velocemente le condizioni di funzionamento della macchina e monitorare la struttura temporale dei fasci. L’esperimento ATLAS ha definito una strategia di misura che a regime richiederà una precisione nella determinazione della luminosità integrata del 2 − 3% nonché un monitoraggio praticamente istantaneo delle condizioni di lavoro della macchina. Poiché non esiste un’unica tecnica sperimentale, che possa soddisfare tutte le richieste sovracitate, risulta necessario affidarsi a tutta una serie di misure complementari che saranno descritte e commentate nei paragrafi successivi. 2.2 Metodi di misura della luminosità In generale si possono distinguere tre tipi di misure di luminosità [5]. Il primo consiste nel misurare accuratamente la frequenza di un processo con 28 una ben nota sezione d’urto ed applicare l’equazione (2.1). Questo metodo è usato con successo nei collisionatori e+ e− , attraverso la misura del processo di QED Bhabha scattering, mentre nei collisionatori per adroni, poiché i processi di QED hanno piccola sezione d’urto, non risulta particolarmente indicato per ottenere una stima della luminosità. Nel caso di ATLAS i processi fisici indicati sono quelli di QED che prevedono la produzione di coppie leptone-antileptone attraverso lo scambio di due fotoni. L’esempio migliore è quello con produzione di una coppia di muoni ad alto pT : pp −→ ppµ+ µ− . Questo processo ha però la limitazione di avere una sezione d’urto osservabile molto piccola a causa delle condizioni di trigger imposte ai muoni. Un altro processo candidato e studiato a fondo ad ATLAS è la produzione dei bosoni di gauge W e Z ed il loro decadimento W± −→ l± ν, Z −→ l+ l− . In particolare questo processo misura direttamente la luminosità dei partoni e richiede un buon controllo sulla PDF dei protoni. Anche in questo caso non è chiaro se la precisione sulla luminosità possa essere migliore del 5%. Un secondo metodo consiste nel misurare la luminosità tramite i parametri del fascio usando cioè la (2.2). Per questo, si ha bisogno di una misura precisa delle dimensioni dei fasci nel punto di interazione (IP), cosa tutt’altro che semplice dato che l’IP non è direttamente accessibile, e si rende dunque necessaria una estrapolazione da una eventuale misura esterna all’area sperimentale. La maggiore accuratezza è raggiunta tramite il metodo di Van der Meer basato sulla scansione trasversa del fascio in entrambe le direzioni e l’ausilio dei ”forward detector” che monitorano le interazioni p-p. Il valore dello spostamento del fascio richiesto per ridurre il ”rate” p-p, ad esempio del 50% del suo valore di picco, risulta una misura della forma del fascio nell’IP. Ovviamente l’efficienza del conteggio delle interazioni p-p non deve dipendere dallo spostamento del fascio. La precisione stimata nella misura finale di L non è ben nota, ma si prevede un’incertezza intorno al 10%. Inoltre, il metodo di Van der Meer non potrebbe essere applicato alle condizioni di luminosità e di parametri di fascio previste, e richiederebbe run dedicati a luminosità minori di 1030 cm−2 s−1 . Il terzo metodo utilizza il teorema ottico negli scattering di alta energia ed Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 29 è usato anche per calibrare la scala assoluta delle misure di luminosità. In quest’ultimo caso L è derivata dalla relazione: ¯ dRel ¯¯ 2 L = Rtot (1 + ρ2 )/(16π). ¯ dt r=0 (2.4) ¯ Refel (t) ¯¯ ρ≡ Imfel (t) ¯r=0 (2.5) con dove sono misurati Rtot , frequenza totale di interazioni pp, e dRel /dt(t=0), frequenza delle diffusioni elastiche in avanti, mentre ρ è il rapporto tra la parte reale ed immaginaria dell’ampiezza elastica in avanti. Anche in questo caso la precisione tipica è del 5 − 10%. Le misure di L effettuate con i metodi appena descritti ne forniscono una misura assoluta. Vale la pena comunque osservare che misure relative della luminosità potrebbero essere calibrate, con i metodi assoluti, a basse luminosità ed in condizioni favorevoli. Per quanto riguarda ATLAS, la prima stima della luminosità assoluta ovviamente deriverà dai parametri della macchina e verrà utilizzata, anche se piuttosto imprecisa, per una prima calibrazione del LUCID, un sottorivelatore dedicato (contatore Cerenkov) che sarà operativo sin dall’inizio. Nel prosieguo dell’esperimento sarà poi operativo un secondo rivelatore chiamato Alfa che dovrà essere calibrato con ”run” dedicati a bassa luminosità dell’ordine di 1027 cm−2 s−1 . La migliore stima di luminosità assoluta ottenuta sarà riutilizzata come calibrazione per il LUCID essendo quest’ultimo il più duttile dei sistemi presenti potendo operare in un ampio regime dinamico ed in differenti condizioni dell’ottica del fascio. Infine anche i processi fisici a sezione d’urto ben nota forniranno un controllo sulla misura di L. Riporto in seguito le diverse caratteristiche dei dispositivi citati sopra ed il principio di funzionamento per la stima di L. 30 2.3 Roman Pot e Alfa: misura della luminosità attraverso processi di diffusione elastica Come mostrato dalle espressioni (2.4) e (2.5) la luminosità può essere determinita misurando la frequenza delle interazioni totali e quella dei processi elastici dato che il parametro ρ è noto con sufficiente precisione e non contribuisce in maniera significativa all’errore sistematico. Questa costituisce la tecnica ”standard” nella misura della luminosità tuttavia richiede una precisa misura del ”rate” inelastico per un ampio intervallo di pseudorapidità η non accessibile ad ATLAS. Per questo si misura la diffusione elastica per piccoli valori di t in modo che la sezione d’urto diventi sensibile all’ampiezza elettromagnetica. Si ottiene cosı̀, introducendo il termine Coulombiano, una misura della luminosità e della sezione d’urto che non richiede la conoscenza del ”rate” inelastico. La misura nel regime d’interferenza coulumbiana nucleare (CNI) richiede un’ottica dedicata della macchina ed una meccanica abbastanza complessa per avvicinare il sistema di tracciamento al fascio. Questo sistema di tracciamento, che utilizza la diffusione elastica per la misura di L, è chiamato ALFA (Absolute Luminosity For ATLAS) ed è contenuto all’interno del meccanismo mobile Roman Pot. Le Roman Pot, sono dispositivi realizzati per avvicinare i rivelatori di tracciamento ai fasci circolanti ad una distanza di 10 σ e verranno collocati in entrambi i lati tra il sesto e settimo quadrupolo a circa 240 m dal punto di interazione del rivelatore ATLAS. Su ciascun lato saranno collocate due unità Roman Pot separate da una distanza di 4 m per cui il sistema prevede 4 diverse stazioni per un totale di 8 Roman Pot. All’interno di ogni Roman Pot, vi è un vuoto secondario in modo da rendere minima la deformazione indotta dal vuoto primario di LHC. Il rivelatore di tracciamento (ALFA) è racchiuso dalla pot che deve quindi essere compatibile con le restrizioni imposte dal perfetto funzionamento del rivelatore Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 31 Figura 2.2: Prospetto generale di una Roman Pot. stesso. Queste restrizioni riguardano in particolare lo spessore dei materiali che costituiscono la Roman Pot: 2 mm di spessore per le pareti e solo 150 µm per la finestra sottile che interfaccia il rivelatore al vuoto della macchina dove circola il fascio (Fig. 2.2). ALFA (Fig. 2.3) [7] è un rivelatore a tracciamento basato su fibre scintillanti che sono sensibili al passaggio di particelle e che non richiedendo un sistema di raffreddamento rendono più semplice la loro integrazione nel sistema Roman Pot. Il rivelatore è costituito da dieci piani distanti 70.7 µm, ciascuno dei quali è formato da due livelli U e V fissati ad uno strato di ceramica spesso 170 µm. Ciascun livello, orientato a ±45◦ , è connesso a sessantaquattro fibre plastiche di sezione quadrata (0.5 × 0.5 mm2 ). Ogni volta che una particella attraversa il rivelatore, ciascun piano fornisce una coordinata spaziale e la luce prodotta dalle fibre è letta da fotomoltiplicatori a multianodo (MAPMT). All’interno delle Roman Pot, oltre alle fibre di tracciamento, vi sono anche fibre per l’allineamento reciproco tra la Pot superiore e quella inferiore. Il principio di funzionamento del dispositivo consiste nella misura dello spet- 32 Figura 2.3: Prospetto generale del rivelatore di luminosità ALFA. tro dei valori del momento trasferito t dei protoni diffusi elasticamente ad angoli piccoli (micro radianti) nella regione CNI (Fig. 2.4). In questa regione la sezione d’urto differenziale della diffusione elastica si scrive: ¯ ¯2 ¯ 2α σtot ¯ dRel 2 −b|t|/2 ¯ = Lπ|fC + fN | ≈ Lπ ¯¯ − + (i + ρ)e ¯ dt |t| 4π (2.6) t = −(p · sinθ)2 dove il primo termine (fC ) corrisponde all’ampiezza Coulombiana ed il secondo (fN ) all’interazione forte. Una volta misurata la dRel , dt la luminosità verrà ricavata fittando l’espressione precedente (2.6). Il raggiungimento delle condizioni sperimentali per operare nella CNI richiede per prima cosa un valore elevato del parametro ottico β ∗ ottenibile solo con divergenza intrinseca minore dell’angolo di diffusione più piccolo che deve essere misurato (β ∗ = 2625 m, L' 1027 cm−2 s−1 ). Inoltre la misura del momento trasferito |t| deve essere indipendente dal punto di interazione reale. Un avanzamento di fase di 90◦ della funzione di Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS Figura 2.4: Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA. 33 34 Figura 2.5: Distribuzione e fit della luminosità del parametro t: (sinistra) rappresentazione lineare e (destra) logaritmica. betatrone tra l’IP ed il piano verticale produce una focalizzazione ”parallelto-point”, cioè una relazione lineare tra il punto spaziale d’impatto nel piano trasverso del rivelatore e l’angolo verticale di diffusione nell’IP. Parallelamente allo sviluppo e alla costruzione del rivelatore, la misura della diffusione elastica è stata adeguatamente simulata. In Figura 2.5 è mostrata la ricostruzione della distribuzione di t dalla simulazione delle misure di ALFA. La misura della luminosità si presume sia stimata con una precisione del 3%. 2.4 ZDC Un altro sistema che fa parte dei ”forward detector” del rivelatore ATLAS è lo ZDC (Zero Degree Calorimeter) [8] che verrà inserito nell’apertura trasversale dell’assorbitore di particelle neutre (TAN), a circa 140 m dal punto di interazione. ZDC avrà un ruolo centrale nel programma di ATLAS quando LHC sarà dedicato allo studio delle collisioni tra ioni pesanti (HI) dove verrà usato per misurarne la centralità e la luminosità oltre che per fornire il trigger. Lo ZDC (Fig. 2.6) sarà costituito da sei moduli in tungsteno/quarzo, dove Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 35 Figura 2.6: Prospetto generale del calorimetro ZDC. la luce trasportata dalle fibre al quarzo è letta da fotomoltiplicatori. Inoltre lo ZDC sarà equipaggiato con sbarre orizzontali al quarzo, parallele al fascio, in modo da determinare la posizione delle cascate nel piano perpendicolare al fascio. Nella fase (HI) il compito principale di ZDC sarà quello di misurare i neutroni spettatori (resti delle collisioni) che forniscono informazioni sul valore e la direzione del parametro d’impatto. In aggiunta tramite la ben nota sezione d’urto delle particelle neutre ad angolo nullo la luminosità potrà essere stimata con una precisione superiore al 5%. Nella fase di collisioni p-p, ZDC sarà principalmente utilizzato per lo studio delle particelle prodotte in avanti. Sarà un dispositivo molto utile per regolare i parametri di LHC nei primi giorni di funzionamento dell’acceleratore. 36 2.5 LUCID Il LUCID (LUminosity measurement using a Cerenkov Integrating Detector) [4] è il principale monitor di luminosità ad ATLAS. Il suo scopo primario è quello di misurare la diffusione inelastica p-p in avanti, per stimare sia la luminosità integrata sia quella istantanea e per monitorare le condizioni dei fasci. La misura effettuata dal rivelatore è basata sul fatto che la frequenza degli eventi di diffusione inelastica vista dal LUCID (Rpp ) è proporzionale alla luminosità tramite la relazione: Rpp = µLU CID · fBC = σpp · ²LU CID · L. (2.7) Il numero medio di interazioni inelastiche, viste dal LUCID, per ogni incrocio dei pacchetti µLU CID , è collegato alla luminosità L tramite la sezione d’urto inelastica σpp e l’efficienza di rivelazione ²LU CID . Il termine fBC rappresenta la frequenza di incrocio dei pacchetti (25 ns). Vi sono diversi modi in cui il LUCID potrebbe operare per misurare la grandezza µLU CID . In condizioni di bassa luminosità, tramite lo ”Zero counting” che ³ consiste ´ nel contare gli incroci dei pacchetti con nessuna interazione NzeroBX , il valore di µLU CID deriverebbe immediatamente considerando NtotalBX la statistica Poissoniana: e−µ µn n! e considerando il caso in cui il numero n sia nullo: µ ¶ NzeroBX P (0, µ) = = e−µ NtotalBX ¶ µ NzeroBX µ = −ln NtotalBX P (n, µ) = (2.8) Il secondo metodo ”Hit counting” consiste nel contare il numero di tubi con un segnale per cui: µLU CID = hNhits/BX i hNhits/pp i Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 37 L’ultimo infine detto ”Particle counting” consiste nel contare il numero di particelle nel LUCID facendo diversi tagli sull’ampiezza del segnale: µLU CID = hNparticles/BX i hNparticles/pp i Gli ultimi due metodi sono coincidenti finché si verifica la condizione in cui il segnale in ogni singolo tubo è dovuto al passaggio di una sola particella. Ciò accade fino alla luminosità dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 mentre allo stadio finale di luminosità prevista per LHC (dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ), si verifica sovrapposizione di segnale dovuto al passaggio contemporaneo di più di una particella nello stesso tubo. Quale delle strategie verrà adottata è ancora sotto esame tramite accurate simulazioni (vedi Par.2.5.2) della risposta lineare del LUCID alle diverse luminosità ed espressa dall’equazione: L= fBX µLU CID σpp · ²LU CID (2.9) Ultimo aspetto di fondamentale importanza riguarda la fase di calibrazione del rivelatore. Sono infatti previsti ”run” dedicati di calibrazione in parallelo al rivelatore Alfa alla luminosità nominale di 1027 cm−2 s−1 che misurando in maniera assoluta L permetterà la stima della costante di calibrazione σpp · ²LU CID . Una volta calibrato sarà compito del LUCID estendere la sua operatività di 7 ordini di grandezza allo scopo di stimare L con una precisione inferiore al 5% necessaria agli obbiettivi che l’intero apparato ATLAS intende raggiungere. 2.5.1 Struttura del rivelatore LUCID Il LUCID coprirà l’intervallo di pseudorapidità |5.4 −→ 6.0| e verrà posizionato nello spazio tra la linea del fascio e la sua struttura di supporto, a circa 17 m dal punto di interazione (IP) di ATLAS, come mostrato in Figura 2.7. 38 Figura 2.7: Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS. Sono previsti due moduli LUCID simmetrici rispetto al IP costituiti ciascuno di 168 tubi Cherenkov, lunghi 1.5 m e del diametro di 1.5 cm che puntano verso il punto d’interazione. Questi tubi sono di alluminio e disposti a gruppi di 42 in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio. Al loro interno vi è del gas C4 F10 che funziona da radiatore Cherenkov la cui scelta è motivata dal suo elevato indice di rifrazione (1.00137) e dal fatto che alla pressione di utilizzo ha una buona trasparenza nella regione ultravioletta dove la maggior parte della luce è emessa. La radiazione Cherenkov è emessa con un angolo di circa 3◦ e viene riflesso mediamente 3 volte all’interno dei tubi prima di arrivare nella zona di raccolta dove è letta da fotorivelatori. In Figura 2.8 viene mostrato il prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID. Le particelle che vengono dall’IP (primarie) attraversano l’intera lunghezza del contatore e generano il segnale d’ampiezza massima nel fotorivelatore. Quelle secondarie, invece, originate dall’interazione dei primari con il materiale del rivelatore e con il tubo del fascio, sono meno energetiche ed attraversano i tubi del LUCID con angoli d’incidenza maggiori e per tratti più brevi. Dunque la radiazione Cherenkov da loro emessa subirà un maggior Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 39 Figura 2.8: Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID. numero di riflessioni con conseguente segnale molto più debole e distinguibile da quello dei prmari usando semplicemente un’opportuna soglia di segnale (vedi Par.2.5.2). La soglia del momento per l’emissione della luce è di 10 Mev/c per gli elettroni e 2.8 Gev/c per i pioni. Dato che non vi sono fluttuazioni di Landau, la distribuzione delle ampiezze di ogni contatore ha picchi separati per ogni ”hit” e permette di contare il numero di particelle primarie che colpiscono il LUCID. Lo scopo del LUCID è quello di contare il numero di particelle che incidono sul rivelatore, provenienti dalla zona dell’interazione primaria e usare questa informazione per una misura di luminosità (applicando l’equazione (2.8)); ed il progetto di tale strumento è strettamente legato al valore di luminosità nominale che si deve misurare. La strategia di sviluppo del rivelatore prevede infatti due fasi distinte in coincidenza dei periodi di bassa ed alta luminosità previsti dal collisionatore LHC. La fase 1 (bassa luminosità dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 con una media di 2 interazioni per collisione fra fasci) prevede la costruzione di due rivelatori con 20 tubi di alluminio ad effetto Cherenkov ciascuno disposti su due cerchi 40 Figura 2.9: Configurazioni possibili delle unità del rivelatore LUCID. In alto: accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso: accoppiamento diretto tubo, PMT. concentrici attorno alla beam-pipe e orientati verso il punto dei interazione. 16 di questi sono collegati all’estremità finale a fotomoltiplicatori singoli (disegno in basso Fig. 2.9), mentre 4 sono collegati ad un fotomoltiplicatore multianodo attraverso delle fibre ottiche (disegno in alto Fig. 2.9). Questa scelta è dettata dalla necessità di testare un sistema come il multianodo previsto per la fase 2. La fase 2 (alta luminosità dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 corrispondente a circa 25 interazioni per collisione fra fasci) consiste nel realizzare la proposta originale di 168 tubi disposti in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio come mostraro in Figura 2.10. A differenza della fase 1, in questa seconda fase la luce proveniente da ogni tubo, prima di arrivare al fotomoltiplicatore, è raccolta da un collettore di alluminio detto Winston Cone, la cui lunghezza varia da 80 mm per l’anello interno di tubi Cherenkov a 130 mm per l’anello esterno, spessi 0.5 mm, ideati per aumentare l’efficienza di raccolta. A sua volta la luce dal Winston Cone è raccolta da un fascio di fibre di 1 mm di diametro con ”core” al quarzo. La scelta di questo materiale per le fibre è stata fatta in base alla sua resistenza alle radiazioni. Nel disegno in alto di Figura 2.9 si può vedere lo schema di accoppiamento fra il tubo Cherenkov, il Winston Cone, la fibra e il fotomoltiplicatore finale; si nota che in questa configurazione si ha la maggiore raccolta di luce possibile. Sia in fase 1 che in fase 2 i tubi Cherenkov sono racchiusi da una struttura cilindrica di supporto (detta ”vessel”) di alluminio a tenuta di pressione Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 41 Figura 2.10: Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2. riempito con un gas radiatore. Nominalmente la pressione a cui il LUCID lavorerà sarà di poco superiore a quella atmosferica; in ogni caso il vessel è stato disegnato per funzionare fino a pressioni di 2-3 atmosfere. Questo permette di aumentare la pressione del gas radiatore nel caso in cui si richieda una maggiore quantità di luce. Infine in entrambe le fasi di funzionameno, sul rivelatore LUCID verrà anche montato un sistema di LED all’ingresso dei tubi Cherenkov che permetterà la calibrazione dell’intero apparato tramite il controllo della risposta del sistema quando viene illuminato con un segnale luminoso noto. 2.5.2 Il codice di simulazione di LUCID Il rivelatore LUCID è stato adeguatamente simulato per riprodurre correttamente la condizioni sperimentali a cui sarà sottoposto una volta installato in ATLAS. La simulazione si compone di 3 blocchi principali. Innanzitutto, bisogna simulare le interazioni p − p e selezionare in particolare quelle che rientrano nell’intervallo di accettanza in |η| del LUCID. Poi l’intero ATLAS deve essere 42 Figura 2.11: Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID. simulato in modo da tracciare le particelle secondarie prodotte dall’interazione dei primari con gli elementi del rivelatore (magneti, calorimetri, linea di fascio...). I primari sono principalmente π ± , mentre i secondari sono e± e γ delle cascate elettromagnetiche (Fig. 2.11). Terza fase della simulazione riguarda la costruzione del LUCID in tutte le sue specifiche componenti nel volume che occuperà dopo installato. Le coordinate dei punti d’impatto e i quadrivettori di tutte le particelle che colpiscono il rivelatore sono usati per tracciare con GEANT4 la propagazione all’interno del volume. Qui, i γ prodotti per effetto Cerenkov arrivano, dopo riflessioni multiple sulle pareti, nella zona di raccolta dove si trovano i PMT. Fondamentale risulta la stima della soglia dei fotorivelatori che permette di ridurre il contributo al segnale di particelle secondarie e primarie che colpiscono di lato il LUCID (Fig. 2.12). Come mostrato in Figura 2.12, al di sopra della soglia di 50 fotoelettroni il segnale è costituito da particelle che colpiscono il rivelatore frontalmente attraversando il LUCID per tutta la sua lunghezza e producendo fotoni Cherenkov sia nel gas sia sulla finestra di quarzo dei PMT. La stima della soglia sarà determinante anche per la scelta del metodo di operatività del LUCID. Come mostrato in Figura 2.13, una volta calibrato Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 43 Figura 2.12: Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delle particelle (primarie o secondarie). Figura 2.13: Andamento della luminosità in funzione del numero di interazioni per evento. il rivelatore alla luminosità di 1027 cm−2 s−1 , la simulazione di estensione a valori di L superiori mostra un comportamento lineare fino a valori dell’ordine di ∼ 1033 cm−2 s−1 . 44 Figura 2.14: Parziale perdità della linearità della risposta del LUCID ad alte luminosità. La cosa si fa più delicata nel passaggio alla luminosità finale di progetto di LHC (dell’ordine di ∼ 1034 cm−2 s−1 corrispondente ad un numero di 20-30 interazioni per incrocio di pacchetto) dove le simulazioni (Fig. 2.14) mostrano una parziale deviazione dalla linearità al variare della soglia fissata. 2.5.3 I test-beam effettuati su LUCID Per testare il funzionemento del LUCID sono stati effettuati due testbeam [12] (agosto e dicembre 2006) all’acceleratore di particelle DESY di Amburgo. Il set-up sperimentale (Fig. 2.15) era costituito dal fascio di e− da 6 Gev del DESY e dal ”vessel” contenente 6 tubi riempiti di gas a pressione Figura 2.15: Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del testbeam. Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 45 Figura 2.16: Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra) e 0 bar (destra). variabile da 0 a 2 bar. Vi erano inoltre tre scintillatori (S1, S2, S3) per il trigger e 3 telescopi (T1, T2, T3) per controllare la forma e la posizione del fascio. Il programma del test-beam, prevedeva le seguenti serie di misure: • un set di run di LED, per effettuare la calibrazione. • un set di run di fascio nelle condizioni di lavoro previste per il LUCID: 1 atm di pressione per il gas e i tubi Cherenkov allineati rispetto al fascio. • uno scan in pressione, cambiando la presssione del gas isobutano nell’intervallo [0,2] atm, allo scopo di testare la risposta di pruduzione dei fotoni per differenti indici di rifrazione del gas. • uno scan angolare, ruotando il vessel attorno all’asse y, cambiando l’angolo θ tra l’asse del vessel e la direzione z nell’intervallo [-3.0◦ , +3.0◦ ]. Lo scan angolare permette di testare la capacità di puntamento del rivelatore. I risultati ottenuti per i run di fascio nelle condizioni di lavoro per il LUCID, mostrano (Fig. 2.16 a sinistra) tre picchi differenti del segnale (P0 ,P1 ,P2 ). Questi picchi corrispondono rispettivamente al segnale causato dagli elettroni 46 Figura 2.17: Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno del tubo del LUCID. che ”triggerano” il sistema ma non entrano nel tubo (P0 ), al segnale Cherenkov nel gas (P1 ) ed al segnale Cherenkov nel gas e nella finestra di quarzo del PMT (P2 ) (Fig. 2.17). Nel caso in cui le misure vengano effettuate alla pressione di 0 bar (Fig. 2.16 a destra) si vede, come era prevedibile, la scomparsa del picco (P1 ) corrispondente alla luce Cherenkov emessa nel gas. Il passo finale riguarda l’analisi dati ed il passaggio dai canali ADC al numero di fotoelettroni (Fig. 2.18) ed il confronto dei dati con le simulazioni Montecarlo (MC). Questo è stato effettuato sia per tubi letti da fotomoltiplicatori a singolo anodo (LUCID fase 1) sia per tubi letti da MAPMT (LUCID fase 2) con rispettivamente i seguenti risultati: < Npe > = (117.4 ± 0.8) ± 10% < Npe > = (9.5 ± 0.3) Questi risultati sono forniti alla pressione nominale di 1 atm e l’errore del 10% viene dalle incertezze di calibrazione nel caso dei PMT, mentre per i MAPMT è stato già inserito nell’errore totale. Il sistema adottato per il LUCID di fase 2 e che fa uso di fibre ottiche, mostra una produzione di fotoni 10 volte minore di quello adottato per la fase 1. La spiegazione di questa violenta riduzione sta nella perdita di fotoni dovuta al trasporto nelle fibre ed all’accoppiamento di queste con il tubo Cherenkov ed il MAPMT. In generale, comunque, i dati del test-beam mostrano un buon comportamento del dispositivo LUCID e le simulazioni MC forniscono una realistica descrizione di tutti gli effetti fino ai PMT. Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 47 Figura 2.18: Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angolo θ = 0 rispetto alla direzione del fascio. 2.5.4 La resistenza alla radiazione di LUCID Durante il funzionamento, le componenti del LUCID saranno sottoposte ad una dose di radiazione molto elevata come previsto dalla simulazione di Figura 2.19 relativa al flusso dei gamma ad ATLAS [13] nel periodo di alta luminosità. Questo comporta che, sia in fase 1 che in fase 2, le parti più sensibili del rivelatore siano altamente resistenti alla radiazione. Nella struttura di progetto del LUCID l’alluminio che costituisce i tubi ed il gas C4 F10 non si rivelano materiale soggetto ad alterazioni in ambiente radioattivo. Un’accurata verifica deve invece essere effettuata sui dispositivi attivi quali i PMT, le cui caratteristiche sono state misurate prime e dopo irraggiamento da gamma [17]. Sui fotomoltiplicatori (Hamamatsu R762) previsti per il LUCID sono state controllate le seguenti caratteristiche: ”dark current”, risposta spettrale e guadagno. L’irraggiamento con γ è avvenuto al ”National Physical Laboratory” (UK) con γ provenienti da 60 Co con dosi da 0.004 a 1 MRad/ora, per un totale di 20 MRad che corrisponde a 3 anni in ambiente LHC alla massima luminosità e 30 anni alla luminosità di fase 1 del LUCID. Le Figure 2.20 e 2.21 mostrano il confronto tra il PMT 1 e 2 prima e dopo 48 Figura 2.19: Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosità in un quadrante dell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il riquadro in rosso evidenzia il punto dove verrà installato il LUCID. Figura 2.20: Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di dark current in funzione del voltaggio dei PMT. Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS 49 Figura 2.21: Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamento da γ. l’irraggiamento del PMT1 per quanto concerne ”dark current” e guadagno. In definitiva queste misure mostrano una buona resistenza alla radiazione da γ dei PMT testati, fatta eccezione per un aumento del valore di ”dark current” (Fig. 2.20) che non pregiudica il corretto funzionamento dell’intero apparato. 50 Capitolo 3 Verso un nuovo progetto di luminometro 3.1 Introduzione Come discusso nel Capitolo 2.5.3 i risultati dei test-beam indicano chiaramente che il rivelatore nella configurazione tubo-PMT lavora in modo soddisfacente nella fase 1 a bassa luminosità (L dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 ), mentre la configurazione tubo-Winston cone-MAPMT risulta piuttosto inefficiente nella fase 2 ad elevata luminosità (L dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ). In particolare, in questa seconda fase il limite dell’attuale progetto è costituito dalla perdita di una frazione rilevante di fotoni Cherenkov nel Winston cone e nella fibra con un conseguente minor numero di fotoelettroni prodotti dal segnale (circa dieci volte inferiore rispetto a quello di fase 1). Allo scopo di superare questa limitazione è stato necessario modificare in più parti il progetto esistente. Si è pervenuti in questo modo alla definizione di un nuovo progetto che sarà esposto dettagliatamente nei paragrafi seguenti. In successione, il Paragrafo 3.2 è dedicato allo studio della radiazione esistente nella zona del rivelatore, necessario per definire le caratteristiche di resistenza dei materiali utilizzati. La struttura complessiva del nuovo rivelatore è invece descritta nel Paragrafo 3.3. La definizione delle grandezze fisiche da misurare nonché le misure di resistenza alla radiazione dei materiali che costituiscono il nuovo rivelatore sono riportate nel Paragrafo 3.4 assieme alle 51 52 Figura 3.1: Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS. (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). cosiderazioni conclusive. L’ultimo Paragrafo 3.5 presanta in breve, i risultati ottenuti testando su fascio un primo prototipo del rivelatore studiato. 3.2 L’ambiente del luminometro Il luminometro è posizionato immediatamente a ridosso della linea di fascio in posizione simmetrica rispetto alla zona d’interazione ad una distanza di circa 16.80 m. Se da un lato tale posizione ne migliora le prestazioni dall’altro espone il rivelatore ad una più elevata dose di radiazione. Secondo le stime fornite dal Monte Carlo LUCID sarà esposto ad una dose di circa 0.5-0.7 MRad/y nella fase iniziale (fase 1) e 5-7 MRad/y nella fase finale a piena luminosità. La stima Monte Carlo del flusso totale dei neutroni in un quadrante dell’esperimento ATLAS [13] è mostrato in Figura 3.1 mentre i flussi dei differenti tipi di particelle nella regione occupata da LUCID sono riportati nella Tabella 3.1. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro Particella e± γ n p π± 53 Flusso 18 MHz/cm2 93 MHz/cm2 50 MHz/cm2 0.3 MHz/cm2 1.5 MHz/cm2 Tabella 3.1: Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regine occupata da LUCID. Particella e± γ n p π± Energia depositata 0.80 MeV 0.15 MeV 0.87 MeV 0.88 MeV 0.72 MeV Tabella 3.2: Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessore di 2 mm di quarzo. Si nota che nella regione di LUCID il contributo maggiore al flusso di particelle è di tipo elettromagnetico (γ e± ) costituendo circa il 68% del totale. Dai flussi di particelle è possibile poi ottenere l’energia depositata nei diversi meteriali che compongono il rivelatore. Dato che uno dei progetti prevede il posizionamento di fotomoltiplicatori in coda ai tubi Cherenkov e dunque nello stesso volume del rivelatore può essere utile riportare l’energia depositata su di uno spessore di quarzo di 2 mm (Tab. 3.2). Si osserva allora che in termini di energia depositata i diversi tipi di particelle tendono a contribuire allo stesso modo con l’eccezione dei fotoni cui compete un contributo 5-6 volte inferiore. Tra queste particelle particolare attenzione deve essere riservata ai neutroni. 3.2.1 Simulazioni Monte Carlo Dato che i neutroni forniscono il principale contributo al bilancio della energia depositata nella regione di LUCID è importante studiarne la distri- Entries / 0.001 GeV 54 Neutron spectrum in the proximity of LUCID 105 Entries 546045 Mean 0.002451 RMS 0.02336 Underflow 0 Overflow 416 104 3 10 102 10 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 Neutron energy [GeV] Figura 3.2: Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico dei neutroni attesi nella zona del LUCID. buzione in energia. Il risultato della simulazione Monte Carlo è mostrato in Figura 3.2. Si nota che l’energia media dei neutroni che investono la regione del LUCID è dell’ordine del MeV. 3.3 Lo schema generale del nuovo luminometro Come discusso in precedenza (Par.2.5), l’elevata luminosità e dunque l’elevata radiazione attesa nella zona di LUCID nella fase 2 richiede alcune sostanziali modifiche del progetto (raccolta di luce Cherenkov prodotta attraverso il sistema Winston cone-fibre anziché direttamente col fotomoltiplicatore) che determinano un peggioramento delle prestazioni. Per questo motivo si è cercato di definire un progetto alternativo, specifico per la fase di alta luminostà, costituito essenzialmente da sottili cilindri di quarzo (bacchette) accoppiati a fibre ottiche attraverso un materiale diffusore di luce (wave lenght shifter, WLS). Da un punto di vista meccanico questa soluzione semplifica la struttura ge- Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 55 Figura 3.3: Schema grafico del cono di emissione Cherenkov. nerale del rivelatore riducendone le dimensioni ed evitando l’utilizzo del gas che richiede un complesso sistema di flussaggio (utilizzato per il ricambio del C4 F10 degradato) e di mantenimento della pressione interna. 3.3.1 L’effetto Cherenkov Come noto, l’effetto Cherenkov (Fig. 3.3) consiste nell’emissione di fotoni da parte di particelle cariche che attraversano un materiale con una velocità superiore a quella della luce nello stesso mezzo. L’emissione di radiazione Cherenkov può essere interpretata attraverso la formazione di un’onda d’urto a fronte conico con angolo di apertura, rispetto alla direzione di moto della particella, dato dalla formula: cosθC = 1 c 1 = n(λ) v n(λ)β (3.1) dove n è l’indice di rifrazione del mezzo, c la velocità della luce nel vuoto e v la velocità della particella carica nel mezzo. Un parametro essenziale nella progettazione di rivelatori di luce Cherenkov è il numero di fotoni emessi per unità di cammino percorso e per unità di lunghezza d’onda: d 2 Nγ 2πz 2 α = dλdx λ2 µ 1 1− 2 2 β n (λ) ¶ (3.2) 56 dove z è la carica della particella ed α è la costante di struttura fine. L’equazione (3.2) integrata su di un intervallo definito di lunghezze d’onda (che dovrà coincidere con l’intervallo di rivelazione del fotomoltiplicatore adottato) e su di un percorso di lunghezza L fornisce il seguente risultato: Nγ ≈ LN0 · sin2 θC µ ¶ 1 = LN0 · 1 − 2 2 β n (3.3) il quale mostra che il numero di fotoni emesso (Nγ ) è sostanzialmente proporzionale alla lunghezza del cammino (L) nel mezzo ed al quadrato del seno dell’angolo di emissione (θc ). Nell’ultima forma l’espressione chiarisce che il numero di fotoni Cherenkov emessi da una particella carica aumenta sostanzialmente con l’aumentare del valore di n del mezzo materiale che attraversa. 3.3.2 Le bacchette di quarzo Dalle formule esposte nel paragrafo precedente risulta che l’unico modo per elevare il numero di fotoni Cherenkov è quello di utilizzare un radiatore otticamente denso. Dati i requisiti di facile reperibilità, facile lavorazione e relativa economia un candidato ideale è il quarzo lavorato in sottili cilindri che assicura un indice di rifrazione n = 1.46 invece del valore n = 1.00137 corrispondente al gas C4 F10 . Un ulteriore vantaggio nell’utilizzo di bacchette di quarzo risiede nel fatto che il salto di indice di rifrazione assicura il contenimento della luce Cherenkov praticamente senza perdite. Infatti quando la luce, viaggiando in un mezzo con indice di rifrazione n1 , incide su di una interfaccia con un mezzo di indice di rifrazione n2 (con n1 > n2 ) con un angolo superiore all’angolo limite: µ ¶ n2 θlimite = asin n1 si ha il fenomeno della riflessione totale. (3.4) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 57 Figura 3.4: Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta per una particella incidente in un punto generico della sezione. Considerando il caso mostrato in Figura 3.4 di una bacchetta di quarzo posta nel vuoto, l’angolo di incidenza θigenerico per un fotone emesso in un punto qualsiasi della bacchetta verifica: θigenerico > θiestremo = π − θC ; 2 dunque: sinθigenerico > sin ³π ´ 1 1 n2 − θC = cosθC = = 2 βn1 βn2 n1 che tramite la (3.4) diventa: sinθigenerico > 1 sinθilimite βn2 (3.5) e da cui si ricava la condizione: βn2 < 1 (3.6) sempre soddisfatta assumendo il vuoto all’esterno della bacchetta. La condizione (3.6) garantisce che, in condizioni ideali, tutta la luce Cherenkov emessa nella bacchetta sia riflessa internamente poiché l’angolo di Entries / 200 p.e. 58 All particles 105 γ Ch. from Quartz Rod and PMT Primaries (FRONT) h4 Entries Mean RMS Underflow Overflow 4 57142 341 1.03e+03 0 33 Secondaries (FRONT) 10 Secondaries (SIDE) 3 10 102 10 0 5 10 ×103 15 20 Number of p.e./Tube/Event Figura 3.5: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti nella bacchetta di quarzo. incidenza dei fotoni sulle pareti della bacchetta risulta sempre maggiore di quello limite. La stessa situazione non si verifica utilizzando i tubi di alluminio che necessitano una lavorazione accurata delle superfici raggiungendo una riflettività limite dell’ordine dell’80-90% con conseguente perdita di luce Cherenkov ad ogni riflessione interna. Dalle considerazioni precedenti emerge quindi che le bacchette di quarzo costituiscono, rispetto al sistema tubo + gas, una alternativa complessivamente più efficiente per quanto riguarda il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal passaggio di una particella carica. La conferma di questa affermazione arriva anche dalle simulazioni Monte Carlo. Analizzando un arrangiamento nel quale il fotomoltiplicatore (la cui efficienza quantica è stata assunta costante e pari al 20% indipendentemente dallo spettro di lunghezze d’onda dei fotoni che incidono sul fotocatodo) è accoppiato direttamente al rivelatore e quest’ultimo è irraggiato da una radiazione di particelle cariche corrispondente sia a segnale che a fondo si ottengono le seguenti distribuzioni del numero di fotoelettroni prodotti nel Enrties / 1 p.e. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 105 γ Ch. from Gas and PMT 59 All particles Primaries (FRONT) 104 Secondaries (FRONT) Secondaries (SIDE) 103 102 10 0 50 100 150 200 Number of p.e./tube/event Figura 3.6: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti nel sistema tubo + gas. caso di una bacchetta di lunghezza 30 cm (Fig. 3.5) e di un tubo riempito di gas (C4 F10 ) (Fig. 3.6) di lunghezza 1.5 m. Si osserva immediatamente che le bacchette sono in grado di isolare meglio gli eventi di segnale (Primaries FRONT) fornendo un picco meglio definito. Inoltre assai più elevato risulta il numero di fotoelettroni prodotti che è di circa 6000 contro i 65 del sistema tubo + gas. Sempre sul picco corrispondente alle bacchette si osserva un minor contributo di fotoelettroni provenienti da radiazione secondaria (secondaries FRONT e SIDE) che indica una maggiore sensibilità alla direzione della radiazione incidente da parte delle bacchette. 3.3.3 Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo I fotoni prodotti per effetto Cherenkov all’interno del mezzo radiativo, vengono trasportati sul fotocatodo dei fotomoltiplicatori (PMT) dove ha luogo la conversione in fotoelettroni di segnale. I PMT, nella fase di alta luminosità prevista ad LHC, non garantistcono un corretto funzionamento se posti in prossimità del rivelatore LUCID a causa 60 della elevata dose di radiazione (5-7 MRad/y) a cui sarebbero esposti. Una possibile soluzione consiste nel collocare i fotomoltiplicatori in una zona di sicurezza, lontano dalla linea del fascio. Il trasporto di fotoni sul fotocatodo dei PMT può essere effettuato per mezzo di un fascio di fibre ottiche che fungono da guide d’onda della luce Cherenkov. Le fibre ottiche sono caratterizzate da un parametro chiamato apertura numerica (N.A.) legato all’angolo massimo di incidenza dei fotoni propagabili lungo la fibra: N.A. = nsin(θmax ) (3.7) Nella configurazione attualmente prevista per il LUCID (fase 2), i fotoni vengono raccolti da fasci di fibre ottiche poste parallelamente all’asse del tubo. Per adattare la sezione circolare del tubo alle fibre viene interposto un Winston-cone (vedi Par.2.5.1) che permette di focalizzare la luce prodotta mantenendo elevata l’efficienza di raccolta. In questa geometria, l’ angolo di emissione nel gas C4 F10 (≈ 3◦ ) coincide approssimativamente con l’angolo di incidenza dei fotoni sulle fibre ed è minore dell’angolo di accettanza massimo tipico di una fibra (≈ 20◦ ). Nel caso del rivelatore a bacchette, un semplice sistema di lettura costituito da un fascio di fibre accoppiato direttamente alle bacchette non consentirebbe l’estrazione del segnale. La luce prodotta dal passaggio di una particella carica viene emessa nel quarzo ad un angolo di circa 45◦ (Eq. 3.1) che, essendo prossimo all’angolo limite, produce una condizione di riflessione interna totale oppure trasmissione esterna radente alla superficie di separazione di accoppiamento bacchetta-fibre. Di conseguenza, la luce Cherenkov non può essere propagata attraverso le fibre (θmax < 45◦ ). Il problema della lettura di luce Cherenkov emessa in radiatori al quarzo viene comunemente affrontato nel campo della fisica delle alte energie ricorrendo a mezzi diffondenti del tipo ”wave lenght shifter” (WLS) che avendo una bassa efficienza di rivelazione intrinseca (dell’ordine del percento) vengono tipicamente impiegati nelle lettura di segnali intensi. I WLS sono materiali che assorbono luce in una caratteristica banda di lunghezze d’onda e la riemettono per fluorescenza a lunghezze d’onda superiori (”shifting”) in maniera isotropa. Sfruttando Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 61 Figura 3.7: Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta. questa proprietà si è pensato di estrarre i fotoni inserendo nella parte finale dalla bacchetta un materiale di tipo WLS (Fig. 3.7) che permette di rivelare la frazione di fotoni emessi entro l’angolo solido di accettanza delle fibre direttamante accoppiate allo scintillatore. Il numero totale di fotoni rivelati (NDet ) può essere fattorizzato nei seguenti termini: LS W LS NDet = NCh ⊗ ²W abs ⊗ ²emis ⊗ ²P M T × ²geo (3.8) dove NCh è il numero di fotoni Cherenkov emmessi in funzione della lunghezLS LS za d’onda (∝ ad 1/λ2 ), ²W è l’efficienza di assorbimento del WLS, ²W emis abs l’efficienza di riemissione del WLS, ²P M T è l’efficienza quantica (Q.E.) del fotomoltiplicatore (percentuale di fotoni incidenti sul fotocatodo che vengono effettivamente convertiti in segnale), e ²geo è la frazione di fotoni diffusi dal WLS e propagati dalle fibre ottiche. Le efficienze, tranne ²geo , dipendono dalla lunghezza d’onda dei fotoni. In Figura 3.8 vengono mostrati in funzione della lunghezza d’onda ed in scala logaritmica di unità arbitrarie: lo spettro di emissione Cherenkov, lo spettro di assorbimento ed emissione del WLS KURARAY Y11 e l’andamento dell’efficienza quantica del PMT HAMAMATSU R762 fornito dalla casa costruttrice. La scelta dei fotomoltiplicatori R762 - già utilizzati per il LUCID - non risponde ad un criterio di ottimizzazione ma è stata effettuata per minimizzare i tempi di realizzazione di un prototipo. a. u. 62 Cherenkov emission function 1/ λ 2 WLS Kuraray Y11 absorption spectrum 102 WLS Kuraray Y11 emission spectrum 10 PMT Hamamatsu R762 Q.E. 1 10-1 10-2 10-3 200 300 400 500 600 700 Wave Length (nm) Figura 3.8: Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle proprietà ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT Hamamatsu R762) per il nuovo progetto di luminometro. L’utilizzo del KURARAY Y11 è suggerito dalla sua elevata resistenza alla radiazione come sarà esposto nel seguito del capitolo (vedi Par.3.4.7) anche se la forma del suo spettro di emissione caratteristico (valore massimo per λ = 475 nm) non è interamente contenuto nell’intervallo (300-500 nm) dove il PMT raggiunge la massima efficienza quantica (20-25%). Le proprietà dei materiali considerati e la geometria del sistema conducono ad un numero medio di fotoelettroni rivelati pari a: NDet = 30000 × 0.068 × 0.85 × 0.18 × 0.03 ≈ 10p.e. (3.9) LS Il valore di ²W (0.068) rappresenta la frazione di fotoni assorbiti dal WLS abs rispetto allo spettro Cherenkov emesso tra λ = 160 nm a λ = 700 (intervallo LS di sensibilità del PMT), ²W emis = 0.85 è il valore tipico di efficienza di conver- sione dei WLS, mentre ²P M T è il valore medio della Q.E. del PMT. La stima di ²geo è stata effettuata in prima approssimazione come rapporto tra la superficie individuata dall’angolo solido di accettanza delle fibre (≈ 20◦ ) e la superficie della sfera di raggio unitario. Si ottiene in questo Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 63 modo un valore di ²geo dell’ordine del 3%. Il numero di fotoelettroni prodotti nel quarzo (NCh ) è stato ricavato dalla simulazione Monte Carlo descritta al Paragrafo 3.3.3. Il segnale mostrato in Figura 3.5 corrisponde a 6000 fotoelettroni rivelati e quindi a 30000 (6000/< Q.E. >) fotoni generati (NCh ) in 30 cm di quarzo. La relazione (3.9) mostra come le principali perdite di efficienza siano dovute al taglio dello spettro Cherenkov effettuato dal WLS e alla limitata accettanza geometrica delle fibre ottiche. Tuttavia, senza alcuna procedura di ottimizzazione, risulta già apprezzabile che il numero di fotoelettroni atteso sia paragonabile a quello ottenuto dal LUCID in fase 2. La valutazione dei fattori di efficienza è stata completata tramite lo studio dell’effetto della radiazione presente in ambiente ATLAS sulle proprietà ottiche dei materiali che compongono il nuovo luminometro. 3.4 La resistenza alla radiazione dei materiali L’elevata radiazione attesa nella regione occupata dal luminometro (vedi Par.3.2) soprattutto nella fase 2 di attività del collisionatore LHC rende lo studio della resistenza alla radiazione dei materiali una parte cruciale dell’intero progetto. Questo aspetto assume ancora maggiore rilevanza se si pensa che non sarà possibile intervenire sui rivelatori dopo averne effettuata l’installazione, per cui il deterioramento di una sua parte potrebbe pregiudicarne le prestazioni su tutto l’arco della presa dati. Il progetto del luminometro che si sta discutendo prevede che i materiali esposti alla radiazione saranno essenzialmente due: • le bacchette di quarzo • il ”wave lenght shifter” (WLS) Di questi materiali è necessario studiare i parametri fisici che sono direttamente correlati alla funzione che svolgono all’interno del rivelatore. 64 Figura 3.9: Foto del campione sperimentale irraggiato. In particolare nel caso delle bacchette si dovranno valutare l’indice di rifrazione ed il coefficiente di trasmissione che evidentemente regolano la propagazione della luce Cherenkov e dunque l’ottica dell’intero sistema mentre nel caso del WLS si dovrà soprattutto valutare la frazione di luce emessa in funzione di quella assorbita. Per quanto riguarda il WLS è stato possibile affidarsi ad uno studio precedente condotto all’interno del progetto del ”Tile calorimeter” dell’esperimento ATLAS che viene qui riportato (vedi Par.3.4.7) [22], mentre lo studio della radiazione sull’indice di rifrazione e sul coefficiente di trasmissione è stato ideato e realizzato all’interno del presente progetto e costituisce la parte centrale della tesi. In generale, gli studi di resistenza alla radiazione dei materiali, si basano sui test di irraggiamento con γ dai quali vengono poi ricavati risultati sui neutroni tramite la conversione flusso-dose assorbita. Nel caso di materiali ottici, e per il quarzo in particolare, sono presenti numerosi studi degli effetti sulle proprietà ottiche dovuti all’irraggiamento da γ [14]. Si è quindi data la priorità allo studio degli effetti sul quarzo dovuti alla componente adronica (tra cui la parte dominante è rappresentata dai neutroni come mostrato in Tab. 3.1) della radiazione presente in ambiente ATLAS in prossimità del luminometro LUCID. Per ottenere dati che possono essere direttamente correlati al rivelatore si è deciso di sottoporre ad irraggiamento segmenti delle stesse bacchette di quarzo che saranno utilizzate nella sua costruzione (cilindri di 6 mm di diametro e 9 cm di lunghezza come mostrato in Fig. 3.9). Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 65 Inoltre, dato che sono reperibili in commercio differenti tipi di quarzo si è deciso di sottoporre ad irraggiamento almeno due di queste varietà identificate nel prosieguo con il nome della ditta costruttrice: Hera da Heraeus ed Ital da Italquarz. Entrambe le ditte sono in grado di lavorare il quarzo in forma di sottili cilindri, estraendolo da sabbie miste tramite processi di fusione elettrica allo scopo di ottenere un elevato grado finale di purezza di SiO2 riducendo al massimo la presenza di ioni OH che causano degrado del materiale e una perdita di efficienza nella trasmissione della luce. Le schede tecniche delle due ditte costruttrici hanno permesso di valutare con cura il materiale più idoneo per lo studio effettuato in questa tesi; infatti necessitando la massima trasmissione nella regione visibile dello spettro elettromagnetico, un elevato valore dell’indice di rifrazione e di purezza del materiale sono stati acquistati campioni di quarzo SUPRASIL 1 dalla ditta Heraeus [15] ed NH1-1100 dalla ditta Italquarz [16], in quanto corrispondenti a tali esigenze. Vale la pena sottolineare che le ditte costruttrici garantiscono inoltre una resistenza alla radiazione da γ per una dose totale di 6 MRad (pari ad un anno in ambiente LUCID nella fase 2 di LHC). Le misure, come verrà commentato in maggior dettaglio nel seguito, sono basate sul confronto diretto di due bacchette identiche ricavate tagliando i segmenti di quarzo da un unico campione sperimentale prodotto da ciascuna ditta. Definendo A e B due campioni identici di materiale (due segmenti di bacchetta di quarzo ad esempio) l’idea è quella di misurare prima dell’irraggiamento il valore di un certo parametro di riferimento (ad esempio l’indice di rifrazione) per entrambi i campioni ottenendo i valori PA e PB . Una volta sottoposto ad irraggiamento uno solo dei campioni (il campione B ad esempio) si deve poi ripetere la misura dello stesso parametro ottenendo i valori P’A e P’B . Il confronto tra PB con P’B e PA con P’A fornisce una stima quantitativa dell’effetto dell’irraggiamento indipendente da effetti sistematici dovuti a misure effettuate in tempi diversi. 66 Figura 3.10: Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra) ed in scala logaritmica (a destra). 3.4.1 La facility d’irraggiamento Sulla base delle stime dei flussi di neutroni attesi nel volume occupato dal LUCID e delle simulazioni Monte Carlo (Par.3.2), si è scelto di utilizzare il reattore nucleare TAPIRO dei laboratori ENEA presso Casaccia (RM) il quale fornisce neutroni veloci con una distribuzione in energia piccata al valore del MeV che simula correttamente le condizioni di lavoro di LUCID in ambiante ATLAS. Il nocciolo del reattore di forma cilindrica di 12 cm di diametro e 15 cm di altezza, è costituito da 22 kg di U 235 in grado di fornire un flusso di neutroni dell’ordine di 9 × 1011 n·cm−2 s−1 a 2 cm di distanza. In Figura 3.10 è mostrato lo spettro energetico del reattore Tapiro dell’Enea di Casaccia nella scala lineare (a sinistra) e logaritmica (a destra). Si nota che lo spettro è di tipo esponenziale. Il materiale è stato irraggiato per una durata complessiva di 1.5 h, sottoposto cioè ad un flusso totale di 5 × 1014 n·cm−2 , corrispondonte a quello che si avrebbe in prossimità di LUCID per 1 anno di funzionamento di LHC a piena luminosità. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 67 Figura 3.11: Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS del laboratorio di Bologna. 3.4.2 Il banco ottico Le misure sull’alterazione delle proprietà ottiche dei materiali irradiati con neutroni che saranno presentate nel seguito sono state tutte eseguite nel laboratorio del gruppo AtlasLumi presso la sezione di Bologna dell’INFN attrezzato di recente con un banco ottico. Il banco (Fig. 3.11) è costituito da binari in alluminio disposti in piano che possono essere montati in diverse configurazioni e sui quali è possibile a sua volta disporre in vario modo la strumentazione ottica. Oltre a Laser di bassa potenza (5 mW) a stato solido (λ=405 nm, λ=635 nm) ed ad elio-neon (λ=543 nm) è disponibile anche una lampada allo Xenon da 180 W che attraverso un monocromatore può fornire luce incoerente di bassa intensità da λ=200 nm a λ=800 nm. La strumentazione è convenzionale e consiste in fenditure regolabili, diaframmi, lenti, vetri assorbitori, prismi, specchi e divisori. Oltre a questa vi è una meccanica per il montaggio su banco dell’ottica completa anche di movimentazioni micrometriche. È stata inoltre prevista la possibilità di studiare su banco anche le fibre ot- 68 tiche per questo l’attrezzatura è completata con meccanica di supporto ed ottica adatta alla immissione di luce laser nelle fibre ottiche. Infine è disponibile un misuratore di intensità luminosa con fotodiodo al silicio di 10 mm di diametro in grado di misurare luce nell’intervallo di lunghezza d’onda λ=400-1100 nm con una sensibilità di un nW ed una macchina fotografica digitale CANON da 8.1 MegaPixel che unitamente ad un programma di elaborazione delle immagini permette di compiere misure di ottica geometrica di elevata precisione. I setup sperimentali realizzati per le misure di resistenza alla radiazione sono descritti in dettaglio in seguito nelle relative sezioni. 3.4.3 La misura dell’indice di rifrazione del quarzo Come illustrato in precedenza, l’indice di rifrazione è il parametro ottico che determina il numero di fotoni emessi per effetto Cherenkov e governa la propagazione della luce all’interno della bacchetta, per cui lo studio della sua eventuale alterazione, in seguito alla radiazione assorbita deve essere considerato di primaria importanza per valutare la stabilità nel tempo del nuovo luminometro. L’indice di rifrazione n è una proprietà caratteristica di ogni mezzo materiale definita come il rapporto tra la velocità di propagazione dell’onda elettromagnetica nel vuoto c e quella nel mezzo v: c n= . v (3.10) I metodi per la misura dell’indice di rifrazione dipendono in modo critico dalla forma geometrica del campione a disposizione (film sottili: rifrattometro di Abbe; film molto sottili: metodi interferometrici). Nel nostro caso nel quale i campioni hanno una geometria cilindrica (Fig. 3.9) la tecnica di misura è suggerita dalla possibilità di amplificare gli effetti della legge di Snell sfruttando la sezione circolare del campione che una volta investito da un fronte d’onda sufficientemente esteso ed energicamente uniforme da luogo ad un fenomeno ottico di particolare intersse noto con il nome di caustica. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 69 Principio della misura La caustica [18] [19], è definita come il luogo dei punti in cui l’intensità dei raggi luminosi riflessi o rifratti da una superficie curva è massima. Figura 3.12: Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curva per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R. Lo studio fisico della formazione della caustica può essere affrontato in modo del tutto generale dal punto di vista dell’ottica ondulatoria tuttavia nel nostro caso risulta appropriata anche una trattazione basata sulla sola ottica geometrica. In Figura 3.12 è mostrato schematicamente il processo di formazione della caustica per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R. Già qualitativamente ci si rende conto che la luce emergente risulta addensata a certi angoli anche se il fronte incidente risulta essere perfettamente omogeneo. Il calcolo, riportato dettagliatamente in Appendice A, mostra che l’angolo θout a cui emerge la prima caustica dipende solamente dal rapporto tra l’indice di rifrazione del mezzo (n2 ) e quello dell’aria (n1 ). Pertanto la misura di θout permette di ricavare l’indice di rifrazione del mezzo relativamente a quello dell’aria. θout(degrees) 70 Caustic Angle Function 60 θout(n2/n1) 50 40 30 20 1.2 1.25 1.3 1.35 1.4 1.45 1.5 1.55 1.6 n2/n1 Figura 3.13: Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2 /n1 tra gli indici di rifrazione. La formula cercata risulta essere (Fig. 3.13): s µ ¶2 n2 n1 1 12 − 3 θout = 4arcsin n2 3 n1 s µ ¶2 1 n2 360 − 2arcsin 12 − 3 3 n1 2π (3.11) ed una volta invertita attraverso una opportuna tabulazione può essere utilizzata per ottenere il rapporto degli indici di rifrazione a partire dal valore misurato dell’angolo θout di emergenza della caustica. Setup sperimentale e tecnica di misura Le misure dell’indice di rifrazione sono state effettuate su banco ottico tramite l’utilizzo di una lampada allo Xenon che permette di variare la lunghezza d’onda della luce incidente in maniera continua nell’intervallo da 300 a 660 nm nel quale sono stati considerati 14 diversi valori distanziati di circa 25 nm. Oltre alla lampada allo Xenon, il setup sperimentale comprendeva due diaframmi con foro di 4 mm di diametro posti alla distanza di 32 cm seguiti da Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 71 Figura 3.14: Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure di indice di rifrazione. una lente di 75 cm di focale per minimizzare la divergenza dei raggi luminosi. Il parallelismo del fascio incidente con l’asse ottico è stato sempre controllato per mezzo di diaframmi con foro di 1 mm di diametro posti alla stessa altezza e distanziati 150 cm. Una volta disposta trasversalmente al fascio luminoso la bacchetta genera una caustica che può essere proiettata e fotografata su di uno schermo orizzontale appoggiato sul binario ottico (Fig. 3.14). Per poter applicare l’equazione (3.11) si deve misurare con la massima precisione la quota del centro della bacchetta ripsetto al piano dello schermo e la distanza del piede della perpendicolare allo schermo condotta dal centro della bacchetta dal massimo di intensità della caustica, ricavando poi θout per via trigonometrica. L’uso di diaframmi e lenti focalizzanti necessari per assicurare una precisa direzione della luce incidente, ne abbatte notevolmente l’intensità ed impone che le misure vengano effettuate al buio fotografando la caustica con lunghi tempi di esposizione (Fig. 3.15). Dalla fotografia è possibile ricavare l’esatta posizione del massimo utilizzando il programma ImageJ di elaborazione delle immagini che, selezionando 72 Figura 3.15: Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra), 543 nm foto (destra). un’area della foto, è in grado di fornire il valore dell’intensità luminosa integrata raccolta da ogni singolo pixel della superficie sensibile della macchina fotografica. La distanza in pixel del massimo di intensità luminosa della caustica può essere poi convertita in millimetri attraverso il confronto con la distanza fissa misurata con calibro di opportuni segni sullo schermo presenti in ogni fotografia e corrispondenti a due minimi di intensità. In Figura 3.16 è mostrato il plot fornito dal programma ImageJ dove sono visibili il massimo di intensità corrispondente alla caustica ed i minimi che permettono la conversione della distanza da pixel a millimetri. Per la misura finale si procede quindi in due passi successivi. Viene indicato un valore di off-set L1 corrispondente alla distanza tra la proiezione del centro della bacchetta sul piano ottico ed il minimo di intensità plottato programma ImageJ e fissato per la conversione in mm. A questo valore va sommato quello di L2 (vedi Figura 3.14) fornito dal programma corrispondente alla posizione del massimo di intensità che individua la caustica. Si ottiene cosı̀ L1 + L2 = Ltot che permette di ricavare θout trigonometricamente tramite la relazione: θout = arctg(h/Ltot ). (3.12) Il valore di θout si traduce nella misura di n2 /n1 utilizzando la tabulazione dell’inversa della relazione (3.11). Intensity (a.u.) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 50 73 Maximum and Minimums of Luminosity Intensity 40 30 20 10 0 500 1000 1500 2000 2500 Pixel Number Figura 3.16: Plot dei valori di intensità integrata per pixel. Sono evidenti il massimo relativo alla caustica ed i minimi di intensità fissati per la conversione in cm. In realtà la distanza Ltot deve essere corretta stimando un errore sistematico associato al fatto che i raggi luminosi escono dalla bacchetta in un punto che non coincide con l’estremo inferiore del diametro verticale (Fig. 3.17). Questo spostamento L3 dipende dalla lunghezza d’onda della luce incidente e va sottratto agli altri due valori L1 ed L2 . Perciò il valore corretto da inserire nell’equazione (3.12) ha la forma seguente: Ltot = L1 + L2 − L3 . (3.13) Il sistematico L3 viene calcolato andando a considerare gli angoli interni di Figura 3.18 ricavando il valore di θsist ed applicando la relazione trigonometrica: L3 = Rcos(θsist ), (3.14) dove R è il valore del raggio della bacchetta (0.3 cm) e θsist = 2π − (θi + 2(π − 2θr )) (3.15) Analizzando invece il sistematico su h (Fig. 3.17), quest’ultimo risulta tra- 74 Figura 3.17: Schema grafico degli errori sistematici associati alla misura dell’indice di rifrazione. Figura 3.18: Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3 . Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 75 scurabile in quanto introduce variazioni dh che non superano il valore di 0.15 mm e che portano ad una variazione dell’ordine di 10−3 gradi sull’angolo θout . Questa variazione è di gran lunga minore dell’errore sperimentale associato alla misura. L’errore sperimentale è principalmente dovuto al non parallelismo dei raggi luminosi provenienti dalla lampada allo Xenon e lo si è stimato valutando la dimensione dello spot in due punti diversi del banco ottico a distanza nota. Nelle misure effettuate, il diametro dello spot passava da d1 =6.84 mm a d2 =11.18 mm lungo una distanza D=1171 mm che per mezzo dell’equazione: ¶ µ 180 d2 − d1 ∆θout = arctg = 10−1 (3.16) π 2D fornisce l’angolo (in gradi) di disallineamento verticale del fascio. Questo angolo si traduce direttamente nell’errore associabile alla misura di θout . Utilizzando la tabulazione del valore di n2 /n1 in funzione di θout si ottiene che a 10−1 gradi equivale un errore in ∆n pari a 10−3 sulla misura dell’indice di rifrazione. Il valore ∆n = 10−3 è stato assunto come incertezza associata alla misura di n2 /n1 . 3.4.4 Risultati sperimentali In questa sezione vengono confrontati risultati dell’andamento di n2 /n1 del quarzo prima e dopo l’irraggiamento con neutroni veloci. In quel che segue vengono indicati con la sigla Ital3 ed Hera3 i campioni sottoposti ad irraggiamento, e con Ital1 ed Hera1 i campioni non irraggiati. Una prima misura sulle bacchette, a verifica della validità del metodo di misura, consiste nel confronto (Fig. 3.19 e 3.20) dei valori dell’indice di rifrazione ottenuti in laboratorio con quelli forniti dalle ditte costruttrici (∆n = 10−5 ). Mentre per le bacchette Ital1/Ital3 le misure risultano compatibili entro gli errori sperimentali (Fig. 3.19), si osservano invece deviazioni nel caso delle bacchette Hera1/Hera3 (Fig. 3.20). Un esame del campione mostra che tale deviazione è probabilmente dovuta alla non perfetta circolarità della sua sezione. Un effetto sistematico dovuto alla geometria non ha alcuna influenza sulle misure qualora si abbia n2/n1 76 1.49 ITAL1 1.485 ITAL3 ITAL Technical Schedule 1.48 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.19: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. l’accortezza di orientare i campioni cilindrici nello stesso modo ogni volta si effettuino le misure. L’effetto riscontrato non vanifica, quindi anche nel caso delle bacchette Hera1/Hera3, lo scopo di poter individuare variazioni sostanziali dovute all’irraggiamento, in quanto le misure risultano perfettamente riproducibili a parità di condizioni sperimentali e se la geometria del campione rimane inalterata. Le condizioni di riproducibilità delle misure sono confermate dal confronto dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette di controllo Ital1 e Hera1 (Figg. 3.21 e 3.22) non irraggiate. I vaolori di n2 /n1 , nei due diversi setup sperimentali allestiti per le misure prima e dopo irraggiamento risultano infatti perfattamente compatibili. Di seguito, le Figure 3.23 e 3.24 mostrano rispettivamente il confronto dei valori dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette Ital3 ed Hera3 prima e dopo il loro irraggiamento. Infine, i grafici in Figura 3.25 e Figura 3.26 riportano, per ogni coppia di Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 77 campione sperimentale delle due ditte costruttrici (Ital3 ed Ital1) (Hera3 ed Hera1), i valori dei rapporti tra le misure effettuate nei due setup sperimentali allestiti. I grafici riportati mostrano come sulle bacchette di quarzo non si osservano variazioni sostanziali del valore dell’indice di rifrazione, che entro gli errori sperimentali non risulta essere un parametro sensibile all’irraggiamento da n2/n1 neutroni. 1.485 HERA1 1.48 HERA3 HERA Technical Schedule 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.20: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. n2/n1 78 1.49 ITAL1 first setup 1.485 ITAL1 second setup 1.48 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.21: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta n2/n1 Ital1 non irraggiata nei due setup sperimentali. 1.485 HERA1 first setup 1.48 HERA1 second setup 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.22: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta Hera1 non irraggiata nei due setup sperimentali. n2/n1 Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 79 1.49 ITAL3 1.485 ITAL3 IRRADIATED 1.48 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.23: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza n2/n1 d’onda della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. 1.485 HERA3 1.48 HERA3 IRRADIATED 1.475 1.47 1.465 1.46 1.455 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.24: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. Refractive Index Ratio 80 Refractive Index Ratio for Irradiated Ital3 and not Irradiated Ital1 1.002 1 0.998 ITAL3 0.996 ITAL1 0.994 0.992 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.25: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup Refractive Index Ratio sperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Ital1 di controllo. Refractive Index Ratio for Irradiated Hera3 and not Irradiated Hera1 1.002 1 0.998 0.996 HERA3 HERA1 0.994 0.992 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 Wave length (nm) Figura 3.26: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup sperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Hera1 di controllo. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 3.4.5 81 La misura del coefficiente di trasmissione del quarzo Il secondo parametro ottico che richiede un accurato controllo per valutare l’efficienza del nuovo luminometro è il coefficiente di trasmissione delle bacchette di quarzo. Questo non deve subire alterazioni dall’irraggiamento e mantenersi il più elevato possibile, in modo da garantire che i fotoni prodotti per effetto Cherenkov non vengano riassorbiti dal mezzo stesso prima di raggiungere il sistema di estrazione e di rivelazione. Da un punto di vista teorico, la trasmissione (T ) e la riflessione (R) sulle interfacce di due mezzi sono regolate dalle relazioni di Fresnel, esposte in dettaglio in Appendice B. Queste stabiliscono la percentuale di energia che viene ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa di un’onda elettromagnetica che incide sulla superficie di separezione tra due mezzi di diverso indice di rifrazione. La sola misura di T in laboratorio risulta complessa in quanto richiderebbe un taglio sottile del campione e sarebbe poco utile agli scopi prefissi poiché trascurerebbe l’attenuazione della luce dovuta al mezzo stesso, quando è proprio l’effetto dell’irraggiamento sull’assorbimento del quarzo che si vuole controllare. Una stima diretta dell’assorbimento delle baccette non è però possibile, poiché richiede che la luce trasmessa venga misurata all’interno del campione sperimentale (valori P1 e P2 di Fig. 3.27). Quello che si è quindi misurato è la potenza incidente (P1m ) normalmente Figura 3.27: Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente di trasmissione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa P2m . 82 sulla prima faccia e quella trasmessa esternamente alla seconda (P2m ) dall’altra parte della bacchetta (Fig. 3.27). Il valore di P2m misurato corrisponde alla potenza incidente P1m trasmessa dalle due interfacce ed attenuata dal mezzo secondo la legge: d P (d) = P0 e− λ (3.17) dove (P0 ) è la potenza iniziale d la distanza percorsa nel mezzo e λ il coefficiente di attenuazione tipico del materiale. Bisogna inoltre considerare in linea teorica anche il contributo dovuto alle infinite riflessioni interne alla bacchetta, dunque l’espressione finale di P2m all’ordine N risulta: d d d d P2m = P1m T1 e− λ T2 + P1m T1 e− λ (R2 e− λ R1 e− λ )T2 + d d d ... +P1m T1 e− λ (R2 e− λ R1 e− λ )N T2 d ≈ P1m T1 e− λ T2 (3.18) dove l’ultimo passaggio si scrive in quanto il contributo del termine di secondo ordine risulta di un fattore 10−3 rispetto al primo. I pedici 1 e 2 sono relativi alle due superfici di separazione. Il rapporto P2m /P1m fornisce l’effettiva trasmissione della luce all’interno delle bacchette di quarzo includendone il comportamento sulle interfacce e la propagazione nel mezzo ed è stato questo rapporto il parametro controllato prima e dopo l’irraggiamento delle bacchette. Per ottenere indicazioni immediate sulla lavorazione delle superfici dei campioni disponibili, è possibile confrontare la misura diretta del coefficiente di riflessione delle bacchette con i valori teorici previsti dalla relazione di Fresnel. Per angoli di incidenza piccoli (minori di circa 20◦ ) il valore di R tende a quello per incidenza normale come mostrato in Figura B.5 esposta in Appendice B. In questa situazione, il calcolo del valore teorico risulta semplice in quanto funzione del solo indice di rifrazione dei mezzi come espresso dall’equazione: R= (n1 − n2 )2 (n1 + n2 )2 (3.19) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 83 Figura 3.28: Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente di trasmissione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti. con nel caso specifico n1 indice di rifrazione dell’aria e n2 quello del quarzo. Il controllo sulle superfici è stato effettuato con misure in riflessione ad angolo θ = 12◦ . Setup sperimentale Le misure in trasmissione e riflessione sono state effettuate su banco ottico investendo la sezione circolare delle bacchette di quarzo con un fascio uniforme. Il setup sperimentale mostrato in Figura 3.28 comprendeva l’utilizzo di tre laser che fornivano luce alle lunghezze d’onda di 635 nm, 543 nm e 405 nm in modo da esplorare tre punti dello spettro visibile. Lo spot puntiforme veniva esteso e reso uniforme utilizzando due lenti consecutive di lunghezze focali 25 mm e 500 mm poste alla distanza di 525 mm pari alla somma dei fuochi. Infine il fascio veniva diaframmato per regolare la sezione incidente a quella della bacchetta (diametro = 6 mm). Il parallelismo del fascio all’asse ottico è stato sempre controllato tramite traguardi forati del diametro di 1 mm posti alla distanza di 1.5 m. Le misure della potenza del fascio laser sono state effettuate tramite il misu- 84 ratore THORLABS PM100 con sensibilità dell’ordine del nw. Questo strumento è interfacciato graficamente con un pc ed è dotato di un programma che fornisce i valori della media e della deviazione standard dalla media per un numero N di misure in un intervallo di tempo ∆t settati a piacimento. Tutti i valori delle misure riportate e graficate relative a questa sezione sono state effettuate mediando 10 misure consecutive con un intervallo di 0.5 s l’una dall’altra. Questo sistema di acquisizione permette di minimizzare gli errori sperimentali dovuti alle oscillazioni di potenza a cui sono soggetti i laser. Una ulteriore possibile fonte di errori sulle misure è dovuta al fondo di luce presente nell’ambiente sperimentale. Per ovviare a questo problema il laboratorio di misura è stato perfettamente oscurato tramite pannelli assorbenti, verificando inoltre ad ogni acquisizione che il fondo fosse nullo ovvero che in assenza di luce incidente il misuratore segnasse il valore di 0 nW. 3.4.6 Risultati sperimentali In questa sezione vengono riportati i valori delle misure effettuate in riflessione e trasmissione commentando i risultati ottenuti. In ogni plot sono presenti due valori per ogni misura alle diverse lunghezze d’onda dei tre laser per un totale di sei punti sperimentali. Ciascun valore corrisponde ad una delle due facce (1 e 2) di ogni bacchetta scelta in modo alterno come sezione incidente. Si ricorda inoltre l’indicizzazione assunta in precedenza: Ital3 ed Hera3 sono i campioni irraggiati; Ital1 ed Hera1 sono i campioni di controllo dei setup sperimentali. Risultati delle misure del coefficiente di riflessione Nelle Figure 3.29 e 3.30 vengono presentati i valori del coefficiente di riflessione indicato in ordinata come il rapporto P.rif /P.inc, tra la potenza riflessa e quella incidente, misurati sulle bacchette Ital3 ed Hera3 prima che venissero irraggiate. I risultati vengono confrontati con i valori di Fresnel teorici calcolati applicando la relazione (3.19) dove n1 = 1 è assunto come valore P.rif/P.inc (%) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 4 85 Ital3 Reflected Power 3.5 3 2.5 2 1.5 red laser 635 nm green laser 543 nm blue laser 405 nm 1 Fresnel coefficients 0.5 Incident Face 1 & 2 Figura 3.29: Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficiente di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i valori di Fresnel teorici. costante per l’aria mentre per il quarzo il valore di n2 è quello corrispondente alle tre lunghezze d’onda misurate e fornito dalla casa costruttrice. Come si nota dai due plot, la bacchetta Ital3 (Fig. 3.29) mostra un comportamento in buon accordo con le relazioni di Fresnel mentre si hanno forti deviazioni dai valori teorici per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.30). Queste deviazioni sono dovute alla luce diffusa ad angoli grandi che non rientra nell’accettanza del misuratore e sono un indice della lavorazione delle superfici da parte delle ditte produttrici. In base ai risultati ottenuti per il valore di R ci si attende una maggiore percentuale di luce trasmessa delle bacchette Ital, poiché anche il coefficiente T risente della lavorazione sulle superfici di transizione. Risultati delle misure del coefficiente di trasmissione Nei plot seguenti vengono presentate le misure del rapporto P.tras/P.inc dove P.inc è la potenza incidente sulla prima sezione della bacchetta e P.tras è quella trasmessa esternamente alla seconda. La misura è stata effettuata P.rif/P.inc (%) 86 4 Hera3 Reflected Power 3.5 3 2.5 2 1.5 1 red laser 635 nm green laser 543 nm blue laser 405 nm Fresnel coefficients 0.5 Incident Face 1&2 Figura 3.30: Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficiente di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo incidente di 12◦ ed i valori di Fresnel teorici. sui campioni Ital3 ed Hera3 sottoposti ad irraggiamento e sulle bacchette Ital1 ed Hera1 di controllo non irraggiate. Contrariamente a quanto precedentemente visto per l’indice di rifrazione, le Figure 3.31 e 3.32 mostrano un effetto notevole dovuto all’irraggiamento da neutroni in entrambe le bacchette irraggiate. In particolare alla lunghezza d’onda di 405 nm per la bacchetta Ital3 (Fig. 3.31) la potenza trasmessa scende da circa il 92% a circa il 70% in seguito all’iirraggiamento. Stessa cosa accade per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.32) dove si ha una diminuzione di trasmissione ancora maggiore, in cui dall’85-90 % si passa a valori compresi tra il 55-60% post irraggiamento. L’effetto non si osserva invece sulle bacchette di controllo Ital1 (Fig. 3.33) ed Hera1 (Fig. 3.34) i cui valori misurati nei due setup sperimentali sono sostanzialmente gli stessi entro qualche percento. Questo permette di accertare che la variazione osservata nei campioni irraggiati è dovuta esclusivamente all’effetto del flusso di neutroni a cui sono stati sottoposti e non a differenti condizioni sperimentali di misura prima e dopo l’irraggiamento. P.tras/P.inc (%) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 100 87 Ital3 Transmicted Power before irradiation 95 90 85 80 75 70 red laser 635 nm green laser 543 nm 65 blue laser 405 nm 60 55 P.tras/P.inc (%) Incident Face 1 & 2 100 Ital3 Transmicted Power after irradiation 95 90 85 80 75 70 65 red laser 635 nm green laser 543 nm blue laser 405 nm 60 55 Incident Face 1 & 2 Figura 3.31: Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchetta Ital3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. P.tras/P.inc (%) 88 100 Hera3 Transmicted Power before irradiation 95 90 85 80 75 70 65 red laser 635 nm green laser 543 nm blue laser 405 nm 60 55 P.tras/P.inc (%) Incident Face 1 & 2 100 Hera3 Transmicted Power after irradiation 95 90 85 80 75 70 red laser 635 nm green laser 543 nm 65 blue laser 405 nm 60 55 Incident Face 1 & 2 Figura 3.32: Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchetta Hera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. P.tras/P.inc (%) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 100 89 Ital1 Transmicted Power first setup 95 90 85 80 75 70 red laser 635 nm green laser 543 nm 65 blue laser 405 nm 60 55 P.tras/P.inc (%) Incident Face 1 & 2 100 Ital1 Transmicted Power second setup 95 90 85 80 75 70 red laser 635 nm green laser 543 nm 65 blue laser 405 nm 60 55 Incident Face 1 & 2 Figura 3.33: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta di controllo Ital1 nei due setup sperimentali. P.tras/P.inc (%) 90 100 Hera1 Transmicted Power first setup 95 90 85 80 75 70 red laser 635 nm green laser 543 nm 65 blue laser 405 nm 60 55 P.tras/P.inc (%) Incident Face 1 & 2 100 Hera1 Transmicted Power second setup 95 90 85 80 75 70 65 60 red laser 635 nm green laser 543 nm blue laser 405 nm 55 Incident Face 1 & 2 Figura 3.34: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta di controllo Hera1 nei due setup sperimentali. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 3.4.7 91 Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11 Nel progetto proposto per il nuovo luminometro, il processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo è reso possibile grazie all’utilizzo di un mezzo di tipo wave lenght shifter (WLS) (Par.3.3.3). La scelta di materiali idonei a svolgere questo compito deve essere valutata con cura e, coerentemente a quanto già misurato direttamente sul quarzo, la resistenza alla radiazione del WLS risulta cruciale per garantire una efficienza prolungata nel tempo dell’intero dispositivo. Gli studi qui riportati sul comportamento di differenti WLS sono stati effettuati per i test di resistenza alla radiazione del ”Tile Calorimeter” dell’esperimento ATLAS [22] dove vengono mostrati i valori della frazione di luce emessa per quanto riguarda diversi tipi di fibre WLS (tra cui il KURARAY Y11) testate prima e dopo l’irraggiamento con γ da 60 Co e con γ + neutroni forniti da un reattore nucleare. Irraggiamento con sorgenti di 60 Co La procedura di irraggiamento prevedeva tre differenti zone, ottenute tramite schermaggio con piombo, con i seguenti tassi di radiazione forniti dalla facility: • A con una dose oraria pari a 40 Gy/h; • B con una dose oraria pari a 11 Gy/h; • C con una dose oraria pari a 5.5 Gy/h; Le fibre testate, di lunghezza totale pari a 2 m, sono state irraggiate con una dose trascurabile nei primi 50 cm (quelli in prossimità del fotorivelatore) ed una dose media totale di 1.4 KGy nei restanti 150 cm per tutte e tre le rispettive dosi orarie (A, B e C). Prima e dopo l’irraggiamento è stata misurata la frazione di luce emessa alle divrse distanze percorse all’interno del WLS. In Tabella 3.3 viene riportata in maniera riassuntiva la frazione di luce emessa a 180 cm R(180) misurata in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h, 60-90 giorni) in modo da valutare l’effetto immediato e permanente 92 Tipo di WLS BCF91-A KUR.Y11 S048-100-4 A,4h 0.84 0.82 0.39 A,90gg 0.81 0.90 0.57 B,4h 0.76 0.83 — A,60gg 0.83 0.93 — C,4h C,60gg 0.79 0.74 0.86 0.89 0.54 0.62 Rc(180) 0.79 0.91 0.66 Tabella 3.3: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differenti dosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza di 180 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h, 60-90 giorni). L’ultima colonna Rc(180) è la stessa frazione di luce calcolata usando le lunghezze di attenuazione misurate prima e dopo l’irraggiamento. della radiazione sulle fibre. I risultati ottenuti per i tre tipi di WLS riportati evidenziano come in generale il KURARAY Y11 sia il meno sensibile all’irraggiamento da γ in quanto la perdita di luce sia immediata (misurata dopo 4h dall’irraggiamento) sia permanente risulti compresa tra il 7 % e l’11 % alla distanza di 180 cm. Inoltre di particolare interesse è il dato riportato in ultima colonna (Rc(180)) che rappresenta la frazione di luce emessa alla distanza di 180 cm, ma calcolata con le lunghezze di attenuazione dei WLS misurate prima e dopo l’irraggiamento. Il confronto di R(180) con Rc(180) permette di stabilire che il danno maggiore subito da queste fibre viene dal degrado della lunghezza di attenuazione. Irraggiamento in un reattore nucleare Nel reattore portoghese per la ricerca nucleare (RPI) sono state irraggiate in un campo misto (80 % γ + 20 % neutroni) fibre WLS di lunghezza 150 cm. La dose oraria di circa 15 KGy/h era applicata tra 100 e 150 cm per una dose totale non uniforme massima di 10 KGy. In questo caso, per le due fibre WLS BCF91-A e KURARAY Y11 che hanno evidenziato migliore resistenza alla radiazione da γ, viene riportata in Tabella 3.4 la frazione di luce emessa (prima e dopo l’irraggiamento nel reattore) ad una distanza di 130 cm R(130) per diversi tempi di ricovero dalla fine dell’irraggiamento (1h, 2h, 20h, 6gg, 20gg). I valori risultanti mostrano danni molto elevati (70-80 %) subito dopo l’ir- Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro Tipo di WLS BCF91-A KUR.Y11 1h 0.26 0.20 3h 0.30 0.22 20h 6gg — 0.76 0.60 0.70 93 20gg 0.79 0.72 Tabella 3.4: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campo misto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza di 130 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h, 3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni). raggiamento mentre i danni permaneneti sono minori e comuni ad entrambe le fibre testate che evidenziano un tempo di ricovero di sei giorni. Per il KURARAY Y11 i danni in termini di luce persa sono dell’ordine del 28 %. Anche in questo caso il danno permanente da irraggiamento è principalmente dovuto ad un degrado della lunghezza di attenuazione delle fibre testate. 3.4.8 Considerazioni conclusive sulla resistenza alla radiazione dei materiali Nell’analisi della resistenza alla radiazione dei materiali previsti per il nuovo luminometro, le misure riportate sul WLS Kuraray Y11 ed in genere anche sugli altri wave lenght shifter irraggiati sia con γ da 60 Co sia con un campo misto di γ + neutroni fornito da un reattore nucleare, mostrano come i danni da radiazione su questi tipi di fibre siano principalmente dovuti ad un degrado della lunghezza di attenuazione. Per quanto riguarda i campioni (bacchette) misurati direttamente in questo lavoro, la stbilità del numero di fotoni Cherenkov prodotti nel quarzo è garantito dalle misure effettuate sul parametro ottico indice di rifrazione che non risulta sensibile all’irraggiamento da neutroni. Diversamente accade per la percentuale di luce trasmessa alle diverse lunghezze d’onda misurate (635 nm, 543 nm, 405 nm) dove viene a verificarsi un calo consistente pari al 25 − 30% della trasmissione alla lunghezza d’onda di 405 nm. L’efficienza nel tempo in ambiente ATLAS del sistema bacchetta + WLS sembra essere inevitabilmente dimunuita dai risultati ottenuti in quanto la lunghezza d’onda di 405 nm rientra nel ”range” di lavoro del Kuraray Y11 94 (ed in genere dei comuni WLS) proposto nel sistema di estrazione dei fotoni Cherenkov prodotti nel quarzo. 3.5 Prove su fascio di un primo prototipo In seguito alle misure di resistenza alla radiazione effettuate sulle bacchette di quarzo, si è potuto realizzare in tempo breve, vista la semplicità meccanica del dispositivo, un prototipo di luminometro secondo lo schema generale presentato al Paragrafo 3.3. Anche in assenza di una simulazione Monte Carlo dettagliata che sarà sviluppata successivamente si è pensato di testare su fascio il prototipo in modo da avere una prima indicazione sulla risposta dello strumento a particelle cariche di alta energia. Il test è stato effettuato nel mese di ottobre 2007 ed ha avuto luogo presso l’area test (H-8) del CERN (Ginevra) riservata ad ATLAS situata a Prevessin, lungo l’SPS (Super-Proto-Sincrotrone). 3.5.1 Descrizione del prototipo Il prototipo testato era costituito da un cilindro di PVC nero a tenuta di luce contenente una bacchetta di quarzo lunga 30 cm sezionata a 45◦ rispetto al proprio asse (Fig. 3.35). La parte terminale della bacchetta è stata forata centralmente per una lunghezza pari a 10 mm ed un diametro pari a 2 mm per inserirvi il materiale plastico scintillante (WLS KURURAY Y 11). Il WLS è stato poi accoppiato otticamente ad un fascio di 7 fibre ottiche del diametro di 1 mm ciascuna connessa a loro volta alla finestra di un PMT a singolo anodo del tipo HAMAMATSU R762. Inoltre, sul cilindro contenitore della bacchetta era presente un foro per inserire una singola fibra, accoppiata al taglio a 45◦ della bacchetta, che serviva a fornire il segnale di LED per la calibrazione del sistema. Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 95 Figura 3.35: Vista generale delle singole componenti del prototipo. 3.5.2 Le misure Il fascio incidente era costituito da pioni di 180 GeV di energia ed il prototipo era stato accuratamente disposto lungo la linea di fascio dai ”surveyors” del CERN. Il programma delle misure effettuate sul prototipo era cosı̀ composto: • run di led per la calibrazione del sistema; • run di segnale con il prototipo allineato al fascio (angolo = 0◦ ); • run di segnale con il prototipo inclinato a 45◦ e 90◦ per valutare l’ampiezza del segnale delle particelle che provengono di lato; Per ciauscuno dei run elencato sopra è stata effettuata l’acquisizione di 20000 eventi. Dato il carattere preliminare delle misure non è obbiettivo di questo lavoro presentare in dettaglio il setup sperimentale, l’elettronica ed il sistema di acquisizione. Procedendo per ordine secondo il programma elencato si è per prima cosa 96 effettuata la calibrazione del sistema ricavando il numero di canali ADC corrispondenti al segnale di singolo fotoelettrone con l’obbiettivo di ottenere il numero di fotoelettroni corrispondenti al segnale registrato su fascio. 3.5.3 I risultati In questa sezione vengono presentati i risultati ottenuti durante il testbeam secondo il programma precedentemente elencato. Calibrazione La calibrazione del prototipo consiste nell’illuminare debolmente il sistema in modo che si verifichi la condizione di segnale di singolo fotoelettrone. Questa particolare situazione si realizza quando la luce incidente sulla finestra del fotocatodo del PMT produce l’emissione di un singolo elettrone per effetto fotoelettrico. Il segnale di singolo fotoelettrone è stato ottenuto impulsando un LED con una ampiezza di 3 V alla frequenza di 50 MHz (durata 20 ns). L’impulso di LED veniva trasportato alla bacchetta tramite una fibra ottica singola incidente normalmente sulla sezione a 45◦ della bachetta. Questa configurazione assicura che i fotoni trasportati dalla fibra viaggino all’interno della bacchetta con lo stesso angolo, rispetto all’asse, di fotoni Cherenkov prodotti dalle particelle cariche che interessano (angolo di emissione Cherenkov ≈ 45◦ ). Come mostrato in Figura 3.36 la distribuzione del segnale di singolo fotoelettrone presenta un picco corrispondente al piedistallo con un ecceso di eventi di segnale a canali di ADC immaditamente superiori. Lo spettro ADC è fittato con una funzione Gaussiana per il piedistallo ed una convoluzione di Gaussiane per il segnale: S(x) = G(Q0 , σ0 ) + +∞ −µ X e n=0 n! µn ∗ G(Qn , σn ). (3.20) dove la sommatoria rappresenta una funzione poissoniana che descrive la Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 97 Figura 3.36: Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato. probabilità di avere n fotoelettroni se la media attesa è µ, pesata per la distribuzione di carica per eventi con n fotoelettroni G(Qn , σn ). Elencati a lato in Figura 3.36 sono presentati i parametri liberi della funzione di fit: 1. Q0 , posizione del piedistallo. 2. σ0 , deviazione standard del piedistallo. 3. Q1 , carica media in unità ADC prodotta da un fotoelettrone alla fine del sistema di amplificazione. 4. σ1 /(σ1 )P oisson è il rapporto tra la deviazione standard della distribuzione di singolo fotoelettrone ed il suo valore ottenuto assumendo un statistica pefettamente poissoniana. 5. < Npe > è µ, la media dei fotoelettroni attesi per lo spettro considerato. Il parametro di interesse è Q1 detto anche costante di calibrazione che rappresenta la distanza espressa in bin di ADC tra il picco di piedistallo e quello di singolo fotoelettrone. 98 Figura 3.37: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero) e a 45◦ (in rosso). Il valore della costante di calibrazione che si estrae applicando la procedura di fit allo spettro ottenuto risulta: Qprototipo = 11.6 ± 0.1 1 (3.21) espresso in unità ADC con una incertezza sul parametro dell’ordine del 1 %. Segnale Una volta calibrato, il prototipo è stato posizionato sul fascio in tre diverse configurazioni: 0◦ , 45◦ e 90◦ (angolo tra l’asse della bacchetta e la linea di fascio). Nelle Figure 3.37 e 3.38 sono mostrati gli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ sovrapposto a quello registrato a 45◦ e 90◦ . Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta è allineata è costituito essenzialmente da un picco, corrispondente al piedistallo dell’ADC posizionato attorno al canale 190 (circa 0 fotoelettroni), e da una distribuzione di eventi poco strutturata che si estende fino al canale 900 (circa 60 fotoelettroni) Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 99 Figura 3.38: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero) e a 90◦ (in verde). (Figg. 3.37 e 3.38). Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta forma un angolo di 45◦ (Fig. 3.37) e 90◦ (Fig. 3.37) invece risulta compreso in pochi bin attorno al piedistallo. Si ottiene pertanto l’indicazione positiva che il prototipo possiede una forte sensibilità alla direzione delle particelle incidenti e che agendo con una semplice soglia è possibile separare in modo efficiente il segnale proveniente da particelle che attraversano la bacchetta parallelamente all’asse da quello delle particelle che l’attraversano trasversalmente. Emerge anche l’indicazione che il prototipo, quando viene investito da particelle cariche dirette parallelamente all’asse della bacchetta tende a rispondere in modo assai differenziato con segnali da 0 fino a 60 fotoelettroni. Per comprendere adeguatamente questo comportamento che dipende sia dalla distribuzione dei parametri d’urto delle tracce cariche nel fascio che dai dettagli della geometria del prototipo è necessario disporre di un Monte Carlo, che attualmente è in fase di scrittura, e che consentirà anche di ottimizzare il 100 sistema di trasferimento della luce dalla bacchetta alle fibre ottiche. Conclusioni Nella presente tesi si è iniziato lo studio di un prototipo di luminometro basato sull’effetto Cherenkov (LUCID) da utilizzare nella fase 2 di funzionamento del collisionatore LHC quando la luminosità raggiungerà il valore di 1034 cm−2 s−1 . Le simulazioni Monte Carlo mostrano infatti che nella regione occupata dal luminometro la dose di radiazione salirà dal valore di 0.5-0.7 MRad/y previsto per la fase iniziale al valore di 5-7 MRad/y. In queste condizioni la tenuta nel tempo dell’attuale progetto, anch’esso basato sull’effetto Cherenkov ma che prevede fotomoltiplicatori posizionati in coda al rivelatore e dunque nella stessa regione di elevata radiazione, non è garantita. Per questo si è iniziato lo studio di possibili soluzioni alternative che permettano di allontanare i fotomoltiplicatori dalla regione del rivelatore. In generale questo è possibile solo se si riesce ad aumentare corrispondentemente l’intensità del segnale ovvero il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal passaggio delle particelle cariche. Ci si è quindi orientati verso uno schema che prevede l’utilizzo di un mezzo radiativo di elevata densità ottica (n=1.46) quale il quarzo, che presenta evidenti vantaggi di economicità e facilità di lavorazione, sagomato in sottili cilindri per assicurare il trasporto della luce Cherenkov attraverso le riflessioni interne. Data questa scelta un primo problema da risolvere riguarda l’efficienza del trasferimento della radiazione Cherenkov dalla bacchetta di quarzo alle fibre ottiche che raggiungeranno il fotomoltiplicatore. Questo è un punto delicato in quanto l’elevato valore dell’indice di rifrazione (utile per aumentare il segnale) comporta anche un elevato angolo di emissione Cherenkov (circa 45◦ ) 101 102 e dunque una radiazione luminosa al di fuori della normale apertura numerica delle fibre ottiche (circa 20◦ ). Per questo motivo si è pensato di inserire, nella parte terminale della bacchetta, un segmento di ”wave lenght shifter” (WLS) in grado di diffondere la luce incidente in tutte le direzioni e quindi, in parte, anche all’interno della apertura numerica delle fibre. Premesso che la geometria del sistema non è stata ancora ottimizzata lo scopo principale di questa tesi è quello di verificare la resistenza alla radiazione dei materiali impiegati. Dato che la resistenza alla radiazione del WLS è già stata misurata all’interno della collaborazione ATLAS (i risultati mostrano che si ha un degrado della lunghezza di attenuazione del mezzo) si è proceduto allo studio dettagliato della resistenza alla radiazione del quarzo. Per questo si sono definiti i parametri ottici da misurare che nel caso in esame risultano essere l’indice di rifrazione (che governa l’aspetto geometrico della propagazione della luce) ed il coefficiente di trasmissione (che governa l’efficienza nella trasmissione della luce) e si sono sopratutto definite le tecniche di misura. Mentre per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione la tecnica di misura è quella standard basata sostanzialmente sulla misura della intensità della radiazione in ingresso ed in uscita dalla bacchetta, per l’indice di rifrazione si individuata un tecnica originale basata sulla misura dell’angolo di emergenza delle caustiche. Successivamente campioni delle bacchette di quarzo sono stati irraggiati con gli intensi flussi di neutroni forniti dal reattore TAPIRO presso i Laboratori della Casaccia dell’Enea (5 × 1014 n·cm−2 ) corrispondenti a circa un anno di permanenza nella regione di LUCID all’interno dell’esperimento ATLAS nella fase di massima luminosità del collisionatore LHC. Il confronto ripetuto di due campioni, uno solo dei quali irraggiato, ha permesso di effettuare una misura degli effetti indotti sia sull’indice di rifrazione che sul coefficiente di trasmissione. I risultati mostrano che l’indice di rifrazione del quarzo non subisce apprezzabili alterazioni in tutto l’intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 300 e 660 nm. Conclusioni 103 Per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione invece si registra un sensibile degrado verso la regione della lunghezze d’onda più corte. In particolare si osserva una diminuzione del coefficiente di trasmissione dell’ordine del 25% alla lunghezza d’onda λ=405 nm. Questo fatto indica che sarà necessario valutare con cura la diminuzione nella efficienza di trasferimento dei fotoni che è basata sulle proprietà del WLS che lavora proprio in questo intervallo di lunghezze d’onda. A completamento di questa fase di studio preliminare si è costruito un primo prototipo e lo si è collocato sul fascio di pioni da 180 GeV presso l’area H8 del CERN. I risultati ottenuti mostrano una notevole sensibilità alla direzione della radiazione carica incidente ed un numero di fotoelettroni su di un fotomoltiplicatore connesso al rivelatore attraverso un fascio di fibre ottiche sufficientemente elevato. Nel loro complesso i risultati ottenuti fino a questo punto mostrano che il rivelatore proposto è in grado di assicurare le prestazioni richieste per un tempo sufficientemente lungo anche nell’elevata radiazione ambientale esistente nella regione di LUCID. 104 Appendice A La caustica Al fine di ottenere la relazione che lega l’angolo a cui compare la prima caustica θout al rapporto n2 /n1 tra l’indice di rifrazione del mezzo (n2 ) e quello dell’aria (n1 ), esprimiamo innanzitutto θout in funzione degli angoli di incidenza (θi ) e di rifrazione (θr ), e del numero N di riflessioni interne dei raggi luminosi. Le formule di seguito riportate fanno riferimento alla Figura A.1 dove è mostrata la geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso incidente la sezione circolare della bacchetta. θout = (θi − θr ) + N (2π − 2θr ) + (θi − θr ) (A.1) = 2θi − 2θr (N + 1) + 2N π. Ora utilizzando la legge di Snell: n1 sinθi = n2 sinθr ; h/R = sinθi ; =⇒ θi = arcsin(h/R); (A.2) h R tra la distanza h del raggio possiamo scrivere θout in funzione del rapporto luminoso dal piano centrale della bacchetta ed il suo raggio R. µ θout = 2arcsin(h/R) − 2(N + 1)arcsin 105 n1 h n2 R ¶ + 2N π (A.3) 106 Figura A.1: Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso. Dobbiamo ora ricavarci la relazione che lega il rapporto h R al valore n2 /n1 . Per farlo imponiamo la condizione che realizza la caustica, massimizzando la d² dθout dove d² è la densità di energia elettromagnetica: d² dh = ²0 cE 2 L −→ ∞, dθout dθout (A.4) questo si traduce, usando l’espressione (A.3), nella seguente condizione: dθout 1/R n1 /(n2 R) = 2q − 2(N + 1) r ³ ´2 = 0, ¡ ¢ dh h 2 n h 1− R 1− 1 (A.5) n2 R da cui si ricava: n2 h = R n1 r (N + 1)2 (n1 /n2 )2 − 1 , N 2 + 2N (A.6) che sostituita nella (A.3) per N = 1 fornisce la relazione tra l’indice di rifrazione del mezzo e la posizione angolare della prima caustica: Appendice A. La caustica 107 s µ ¶2 n2 n1 1 θout = 4arcsin 12 − 3 n2 3 n1 s µ ¶2 1 n2 360 − 2arcsin 12 − 3 3 n1 2π (A.7) 108 Appendice B Relazioni di Fresnel Il passaggio di un’onda elettromagnetica da un mezzo con indice di rifrazione n1 ad un altro con differente indice di rifrazione n2 è regolato dalla legge di Snell per quanto riguarda la direzione di propagazione, mentre le relazioni di Fresnel descrivono come l’intensità di un raggio luminoso viene ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa. Le relazioni di Fresnel permettono cioè di ricavare le espressioni per i coefficienti di riflessione e di trasmissione dell’ampiezza del campo elettrico oscillante dell’onda (le stesse relazioni valgono anche per l’ampiezza del campo magnetico). Si ragiona separatamente sulle ampiezze delle due componeneti Ep (parallela) ed Es (perpendicolare), ottenute rispettivamente proiettando il vettore E Figura B.1: Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico e magnetico considerate nelle relazioni di Fresnel. 109 110 nel piano d’incidenza e sulla normale ad esso. In Figura B.1 sono illustrate le componenti del campo elettrico e magnetico considerate. Caso 1, componente di E nel piano di incidenza (p) Facendo riferimento alla Figura B.1 (schema di sinistra), e considerando la componente dei campi polarizzata nel piano di incidenza, le relazioni di Fresnel per le ampiezze del campo elettrico si scrivono: rp = tp = 0 E0ip tg(θi − θr ) n2 cosθi − n1 cosθr = . = E0ip tg(θi + θr ) n2 cosθi + n1 cosθr E0rp 2sinθr cosθi 2n1 cosθi = = . E0ip sin(θi + θr )cos(θi − θr ) n2 cosθi + n1 cosθr (B.1) (B.2) Caso 2, componente di E normale al piano di incidenza (s) In questo caso riferendosi alla schema di destra della Figura B.1 si ottiene per le componenti delle ampiezze del campo elettrico perpendicolare al piano d’incidenza: rs = ts = 0 E0is sin(θi − θr ) n1 cosθi − n2 cosθr =− = . E0is sin(θi + θr ) n1 cosθi + n2 cosθr (B.3) E0rs 2sinθr cosθi 2n1 cosθi = = . E0is sin(θi + θr ) n1 cosθi + n2 cosθr (B.4) Ciò che si misura in laboratorio è l’energia ottica trasportata dal raggio luminoso nell’unità di tempo, ossia la potenza luminosa P . L’intensità luminosa è legata alla potenza luminosa e al campo elettrico dalla relazione: P E2 ∝ 0, S 2Z (B.5) dove S è la sezione del fascio luminoso e Z = p µ/ε è l’impedenza ottica del I= mezzo. Appendice B. Relazioni di Fresnel 111 Figura B.2: Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapporto tra la potenza trasmessa e quella incidente è diverso da quello delle corrispondenti intensità. Definiamo quindi il coefficiente di riflessione R come il rapporto tra la potenza ottica riflessa Pi0 e quella incidente Pi : 0 E2 Pr = 0i , R= 2 Pi E0i (B.6) ed il coefficiente di trasmissione T come il rapporto tra la potenza ottica trasmessa Pr e quella incidente Pi T = 2 Pr Ir Sr n2 E0r cosθr = = , 2 Pi Ii Si n1 E0i cosθi (B.7) dove i coseni sono dovuti alla trasformazione della sezione del fascio luminoso mostrata in figura B.2. Sostituendo in queste equazioni le espressioni delle relazioni di Fresnel ricaviamo i valori dei coefficienti di riflessione e di trasmissione scritte per le componenti parallele (p) e perpendicolari (s) al piano di incidenza: 0 2 E0ip Rp = 2 = E0ip Tp = µ n2 cosθi − n1 cosθr n2 cosθi + n1 cosθr ¶2 2 E0rp 4n1 n2 cosθi cosθr = . 2 E0ip (n2 cosθi + n1 cosθr )2 . (B.8) (B.9) 112 Figura B.3: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5. 0 2 E0is Rs = 2 = E0is Ts = µ n1 cosθi − n2 cosθr n1 cosθi + n2 cosθr ¶2 . 2 E0rs 4n1 n2 cosθi cosθr = . 2 E0is (n1 cosθi + n2 cosθr )2 (B.10) (B.11) Le espressioni ottenute sono rappresentate in Figura B.3. Per ciascuna componente del campo, la somma dei due coefficienti vale sempre 1, garantendo la conservazione dell’energia. Nel caso in cui l’onda incide da un mezzo più rifrangente ad uno meno rifrangente valgono le stesse relazioni che portano ai grafici di Figura B.3, salvo che bisogna tener conto della presenza dell’angolo limite come mostrato in Figura B.4 nel caso n1 = 1.5 e n2 = 1. Se la luce incidente non è polarizzata, si può ragionare come se essa in ogni istante risultasse dalla combinazione di due componenti, una polarizzata p e l’altra s, ciascuna di potenza ottica pari al 50% di quella totale. I coefficienti di riflessione e di trasmissione sarebbero allora dati da: R= 1 (Rs + Rp ) 2 T = 1 (Ts + Tp ) 2 con R+T =1 Appendice B. Relazioni di Fresnel 113 Figura B.4: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1. Figura B.5: R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1 (destra). ed avrebbero l’andamento illustrato in Figura B.5. Infine l’ultima cosa da considerare riguarda la condizione in cui i raggi della luce incidente siano perpendicolari alla superficie di separazione dei due mezzi (incidenza normale). In questa situazione essendo θi ≈ θr ≈ 0 le espressioni 114 per R e T si semplificano notevolmente risultando: R= (n1 − n2 )2 (n1 + n2 )2 (B.12) T = 4n1 n2 (n1 + n2 )2 (B.13) sempre verificando la condizione R + T = 1. Bibliografia [1] ATLAS Group. http://atlas.web.cern.ch/Atlas/internal/tdr.html. [2] ATLAS Group. ”Atlas detector and physics performance technical design report. Volume 1-2.” CERN (1999). [3] ATLAS Computing Group. ”Atlas computing technical design report.” CERN, 2005. [4] ATLAS Collaboration. ”ATLAS Forward Detector for Luminosity Measurement and Monitoring. Letter of Intent.” CERN (2004). 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[22] ATLAS/Tile Calorimeter collaboration ”Tile Calorimeter Tecnical Tesign Report.”. Cern (1996). [23] ”Study of Quartz Fiber Radiation Hardness.” CMS TN-9. Elenco delle figure 1.1 Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle sale sperimentali e delle strutture di accesso. . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore con indicate le componenti costitutive. 1.3 4 . . . . . . . . . . . . . . . . 6 A sinistra: sono mostrati sul piano (mA , tanβ) tutti i segnali del bosone di Higgs ad una luminosità integrata di 10 fb−1 per esperimento (ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della MSSM osservabili ad LHC da ATLAS ad una luminosità di 300 fb−1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1.4 Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimento ATLAS. 10 1.5 Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT). 12 1.6 Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT). . . . . 13 1.7 Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . 15 1.8 Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS. . . . . 16 1.9 Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimento ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.10 Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS. . . . . . 19 1.11 Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizione dell’esperimento ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.12 Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometro muonico (LVL1 trigger). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.13 Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid” (LCG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 117 118 2.1 Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone di Higgs in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di misura della luminosità (simboli vuoti 10%, pieni 5%). . . . . . . 26 2.2 Prospetto generale di una Roman Pot. . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.3 Prospetto generale del rivelatore di luminosità ALFA. . . . . . . . 32 2.4 Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA. . . . . . . 33 2.5 Distribuzione e fit della luminosità del parametro t: (sinistra) rappresentazione lineare e (destra) logaritmica. . . . . . . . . . . 34 2.6 Prospetto generale del calorimetro ZDC. . . . . . . . . . . . . . . 35 2.7 Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS. . . . . . . . . . . . . . 38 2.8 Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID. . . . 39 2.9 Configurazioni possibili delle unità del rivelatore LUCID. In alto: accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso: accoppiamento diretto tubo, PMT. . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 2.10 Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2. . . 41 2.11 Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID. 42 2.12 Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delle particelle (primarie o secondarie). . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2.13 Andamento della luminosità in funzione del numero di interazioni per evento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2.14 Parziale perdità della linearità della risposta del LUCID ad alte luminosità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 2.15 Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del test-beam. 44 2.16 Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra) e 0 bar (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2.17 Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno del tubo del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 2.18 Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angolo θ = 0 rispetto alla direzione del fascio. . . . . . . . . . . . . . . . 47 ELENCO DELLE FIGURE 119 2.19 Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosità in un quadrante dell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il riquadro in rosso evidenzia il punto dove verrà installato il LUCID. 48 2.20 Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di dark current in funzione del voltaggio dei PMT. . . . . . . . . . . . . . 48 2.21 Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamento da γ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.1 Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS. (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). . . . . . . . . . . . . . . . . 52 3.2 Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico dei neutroni attesi nella zona del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . 54 3.3 Schema grafico del cono di emissione Cherenkov. . . . . . . . . . 55 3.4 Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta per una particella incidente in un punto generico della sezione. . . 57 3.5 Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti nella bacchetta di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 3.6 Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti nel sistema tubo + gas. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 3.7 Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta. 61 3.8 Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle proprietà ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT Hamamatsu R762) per il nuovo progetto di luminometro. . . . . . 62 3.9 Foto del campione sperimentale irraggiato. . . . . . . . . . . . . . 64 3.10 Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra) ed in scala logaritmica (a destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 3.11 Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS del laboratorio di Bologna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.12 Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curva per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R. 69 120 3.13 Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2 /n1 tra gli indici di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 3.14 Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure di indice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.15 Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra), 543 nm foto (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3.16 Plot dei valori di intensità integrata per pixel. Sono evidenti il massimo relativo alla caustica ed i minimi di intensità fissati per la conversione in cm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 3.17 Schema grafico degli errori sistematici associati alla misura dell’indice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 3.18 Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3 . . . . . . . . 74 3.19 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. . . . . . . . . 76 3.20 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. . . . . . . . . 77 3.21 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta Ital1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78 3.22 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta Hera1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78 3.23 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3.24 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3.25 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup sperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Ital1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 ELENCO DELLE FIGURE 121 3.26 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup sperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Hera1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 3.27 Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente di trasmissione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa P2m . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 3.28 Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente di trasmissione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti. . . . . . . . 83 3.29 Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficiente di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 3.30 Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficiente di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo incidente di 12◦ ed i valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 3.31 Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchetta Ital3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. . . . . . . 87 3.32 Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchetta Hera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. . . . . . . 88 3.33 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta di controllo Ital1 nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . . . 89 3.34 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta di controllo Hera1 nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 90 3.35 Vista generale delle singole componenti del prototipo. . . . . . . . 95 3.36 Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato. . . . . . . . 97 3.37 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero) e a 45◦ (in rosso). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 3.38 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero) e a 90◦ (in verde). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 A.1 Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso. . 106 B.1 Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico e magnetico considerate nelle relazioni di Fresnel. . . . . . . . . . . . 109 122 B.2 Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapporto tra la potenza trasmessa e quella incidente è diverso da quello delle corrispondenti intensità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 B.3 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5. . . . . . . 112 B.4 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1. . . . . . . . 113 B.5 R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1 (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 Elenco delle tabelle 1.1 Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisioni pp alla luminosità di progetto. 3.1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regine occupata da LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 3.2 Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessore di 2 mm di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 3.3 Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differenti dosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza di 180 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h, 60-90 giorni). L’ultima colonna Rc(180) è la stessa frazione di luce calcolata usando le lunghezze di attenuazione misurate prima e dopo l’irraggiamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 3.4 Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campo misto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza di 130 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h, 3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 123 124 Ringraziamenti Desidero ringraziare il prof. Nicola Semprini Cesari per il tempo dedicatomi in questo lavoro, e tutto il gruppo AtlasLumi di Bologna con cui ho trascorso questo periodo. Un ringraziamento particolare va ad Antonello per la disponibilità e le competenze informatiche condivise. Ringrazio la mia famiglia, zii e zie, cugini e cugine per tutto il sostegno ricevuto in questi anni di università. Un ringraziamento profondo va ai miei nonni per avermi insegnato l’amore per la Terra ed il valore delle cose semplici. Ringrazio gli amici e le amiche: Ale, Dream ed Hutch compagni di una vita; Teo ed Ivonne, Chiox e l’Ale, Betta Riccardo ed Emanuel recchia di gomma; i coinquilini/e: Ubi Ciocco e Moró, Annina Fede Osvaldo e Flaviuccia; l’Hotel Filippone tutto, passato e presente, reale e virtuale: Filippó, Socio, Capitano, Tank, Silva, Francesca, Mimmo, Cile, i cugini Spaccaforno, Vittorio, Laurinda, Ludovica, Nicoladancona, Marta, Angela.....; le Bolognesi Frà e Chiara; Matilde da Roma e tutti/e coloro che porto nel cuore ma che non riesco ad esprimere con le parole. 125