studio delle propriet`a ottiche di un nuovo prototipo di luminometro

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ALMA MATER STUDIORUM
Università di Bologna
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea in Fisica
Tesi specialistica - Interazioni fondamentali
STUDIO DELLE PROPRIETÀ
OTTICHE DI UN NUOVO
PROTOTIPO DI LUMINOMETRO
PER L’ESPERIMENTO ATLAS
Tesi di:
Alberto Mengarelli
Relatore:
Chiar.mo Prof.
Nicola Semprini Cesari
Sessione III
Anno Accademico 2006-2007
A mio padre, mia madre
e mia sorella.
Qualsiasi via è solo una via, e non c’è nessun affronto,
a se stessi o agli altri, nell’abbandonarla,
se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare...
Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione.
Provala tutte le volte che lo ritieni necessario.
Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda...
Questa via ha un cuore? Se lo ha, la via è buona.
Se non lo ha, non serve a niente.
(Carlos Castaneda, The Teachings of don Juan)
Indice
Introduzione
1
1 L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
1.1 L’acceleratore LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 L’esperimento ATLAS . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Il programma sperimentale . . . . . . . . . .
1.2.2 Magneti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Inner Detector . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.4 Calorimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.5 Spettrometro muonico . . . . . . . . . . . .
1.2.6 Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ)
1.2.7 Sistema di calcolo . . . . . . . . . . . . . . .
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2 La misura della luminosità ad ATLAS
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Metodi di misura della luminosità . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Roman Pot e Alfa: misura della luminosità attraverso processi
di diffusione elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 ZDC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 LUCID . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.1 Struttura del rivelatore LUCID . . . . . . . . . . . .
2.5.2 Il codice di simulazione di LUCID . . . . . . . . . . .
2.5.3 I test-beam effettuati su LUCID . . . . . . . . . . . .
2.5.4 La resistenza alla radiazione di LUCID . . . . . . . .
3 Verso un nuovo progetto di luminometro
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 L’ambiente del luminometro . . . . . . . .
3.2.1 Simulazioni Monte Carlo . . . . . .
3.3 Lo schema generale del nuovo luminometro
3.3.1 L’effetto Cherenkov . . . . . . . . .
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3.4
3.5
3.3.2 Le bacchette di quarzo . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.3 Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo . . . .
La resistenza alla radiazione dei materiali . . . . . . . . . . .
3.4.1 La facility d’irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 Il banco ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.3 La misura dell’indice di rifrazione del quarzo . . . . .
3.4.4 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.5 La misura del coefficiente di trasmissione del quarzo .
3.4.6 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.7 Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11 . .
3.4.8 Considerazioni conclusive sulla resistenza alla radiazione dei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prove su fascio di un primo prototipo . . . . . . . . . . . . .
3.5.1 Descrizione del prototipo . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5.2 Le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5.3 I risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Conclusioni
101
A La caustica
105
B Relazioni di Fresnel
109
Bibliografia
115
Ringraziamenti
125
Introduzione
All’interno dell’apparato ATLAS (A T oroidal LHC ApparatuS ), uno dei
quattro grandi rivelatori attualmente in costruzione lungo il collisionatore
LHC, verrà installato il LUCID (Luminosity M easurement U sing C herenkov
I ntegrating Detector), un rivelatore dedicato alla misura della luminosità di
LHC in entrambe le fasi di operatività previste dal collisionatore.
Il LUCID è un ”detector” che stima la luminosità rivelando le particelle primarie provenienti dal punto di interazione (IP) tramite la misura della luce
Cherenkov emessa in tubi di alluminio riempiti di gas. Per la prima installazione sono previsti due ”vessel” posizionati a circa 17 m prima e dopo l’IP
contenenti 20 tubi dei quali 16 direttamente accoppiati a PMT a singolo anodo (LUCID fase 1), mentre i restanti 4 sono letti da fibre ottiche che portano
il segnale a fotomoltiplicatori a multi anodo MAPMT (LUCID fase 2).
La prima configurazione risulta, dai test-beam effettuati, molto più performante rispetto a quella di fase 2 che è però imposta dalla elevata dose di
radiazione prevista ad alte luminosità nella zona del LUCID.
In base a queste considerazioni, il lavoro di questa tesi è stato quello di anticipare lo studio di una nuova possibile configurazione del LUCID fase 2
proponendo lo schema generale di un nuovo luminometro più compatto e
maneggevole.
Nel tentativo di amplificare il segnale, si è pensato infatti di sostituire i tubi
di alluminio ed il mezzo radiativo gassoso con delle bacchette di quarzo che
garantiscono un numero maggiore di fotoni prodotti per effetto Cherenkov.
La resistenza alla radiazione del quarzo, va però accertata con cura non essendo un materiale sostituibile durante gli anni di presa dati ad LHC.
1
2
In questa tesi si sono quindi studiati i parametri ottici di interesse (indice
di rifrazione e coefficiente di trasmissione) del quarzo e la loro eventuale alterazione, sottoponendoli all’irraggiamento con un flusso di neutroni veloci
pari a quello previsto in prossimità di LUCID in un anno di LHC ad alta
luminosità.
Il capitolo 1 di questo lavoro è dedicato all’inquadramento del ruolo dell’esperimento ATLAS, descritto in tutte le sue componenti, all’interno del progetto
LHC. Nel secondo capitolo vengono invece descritti i metodi di misura della
luminosità, focalizzando l’attenzione sui rivelatori che svolgono questo ruolo internamente al programma di ATLAS. Il capitolo 3 costituisce la parte
sperimentale principale della tesi dove vengono presentati lo schema generale
del nuovo luminometro ed i risultati delle misure di resistenza alla radiazione
effettuate sulle sue componenti. Nell’ultimo paragrafo vengono infine brevemente riportati i risultati preliminari ottenuti testando su fascio un primo
prototipo del luminometro in quarzo.
Capitolo 1
L’acceleratore LHC e
l’esperimento ATLAS
1.1
L’acceleratore LHC
LHC, acronimo di ”Large H adron C ollider”, è un acceleratore di particelle e collisionatore situato al CERN, vicino a Ginevra, e contenuto in un anello
sotterraneo di circa 27 Km di circonferenza ad una profondità variabile da 50
a 175 m. La macchina, attualmente in costruzione, dovrebbe essere operativa
a partire da ottobre 2008 ed a regime sarà in grado di accelerare protoni fino
alla energia di 7 TeV con una energia totale nel centro di massa pari a 14
TeV. Dopo un anno di esercizio alla luminosità di 2 × 1033 cm−2 s−1 , la macchina dovrebbe raggiungere la luminosità di progetto pari a 2.3 × 1034 cm−2
s−1 . Ciascun fascio di protoni sarà composto da 3564 pacchetti, dei quali
solamente 2808 pieni, ed ogni pacchetto conterrà al momento dell’iniezione
1.15×1011 protoni. Ciascun pacchetto sarà lungo 7.55 cm ed avrà dimensioni
trasversali dell’ordine del millimetro ridotte a 16 µm nei punti di interazione.
La ”sopravvivenza” dei fasci è stimata essere dell’ordine delle 13 ore, con
collisioni ogni 25 ns, come determinato dalla distanza spaziale dei pacchetti
all’interno dell’anello. L’acceleratore è stato progettato per potere accelerare
oltre ai protoni anche nuclei pesanti (piombo) completamente ionizzati fino
ad un’energia nel centro di massa pari a 2.76 TeV ed una luminosità di 1027
cm−2 s−1 .
I fasci di particelle circoleranno in due tubi separati e saranno
3
4
Figura 1.1: Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle sale
sperimentali e delle strutture di accesso.
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
5
fatti collidere in quattro punti di interazione, in corrispondenza dei rivelatori
attualmente in costruzione (Fig. 1.1).
L’energia finale delle particelle che circoleranno negli anelli di LHC sarà raggiunta attraverso una complessa successione di accelerazioni e trasferimenti
nella rete di accelerazioni del CERN. I protoni ad esempio, dopo essere stati
prodotti ed accelerati all’interno del LINAC fino ad una energia di 50 MeV,
verranno trasferiti al PS Booster ed accelerati fino alla energia di 1.4 GeV,
nuovamente trasferiti al PS ed accelerati fino ad una energia di 26 GeV, poi
all’SPS fino a 450 GeV e nuovamente trasferiti negli anelli di LHC dove saranno accelerati alla energia finale di 7 TeV e fatti collidere al centro delle
sale sperimentali dove sono installati i rivelatori degli esperimenti.
La necessità di raggiungere le più alte energie compatibili con la preesistente
struttura del tunnel ha in qualche modo imposto di accelerare protoni che
rispetto agli elettroni sono affetti da una minore emissione di luce di sincrotrone. Da un punto di vista costruttivo sarebbe stato più semplice impiegare
protoni ed antiprotoni che attraverso tecniche ben collaudate possono essere
contenuti ed accelerati all’interno dello stesso anello. Tuttavia, per evitare i
tempi morti associati all’accumulazione degli antiprotoni, si è preferito operare solo con protoni pagando però il prezzo della realizzazione di due distinti
anelli di accelerazione.
Parametro
Valore
Energia
Numero di particelle per pacchetto
Numero di pacchetti
Luminosità iniziale
Luminosità finale
σ(sezione d’urto pp)
L ×σ
7 TeV
1.67 × 1011
' 2808
2 × 1033 cm2 s−1
1034 cm2 s−1
100 mb = 10−25 cm2
109 Hz (1)
Tabella 1.1: Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisioni
pp alla luminosità di progetto.
Tenendo conto della relazione che lega l’impulso p delle particelle che orbitano all’interno di un acceleratore circolare al campo magnetico medio fornito
6
dai suoi magneti dipolari ed al suo raggio:
p = 0.3BR
(1.1)
ci si rende conto facilmente che l’energia di 7 Tev per fascio dei protoni è
la massima raggiungibile con le attuali tecnologie di produzione del campo
magnetico. Ponendo infatti p = 7000 Gev/c ed R = 4240 m dall’equazione
(1.1) otteniamo un campo magnetico medio sull’orbita di 5.5 T. Dato che non
è possibile disporre magneti dipolari per la curvatura della traiettoria su tutta
la circonferenza, ma solo su una frazione di questa (una parte di questa deve
essere riservata alle cavità risonanti per gli stadi di accelerazione), risulta
che per produrre un tale campo magnetico medio è necessario disporre di
magneti dipolari da 8.33 T realizzabili oggi con tecniche superconduttive
piuttosto spinte.
Più in dettaglio il progetto prevede 1232 dipoli magnetici superconduttori
per la curvatura della traiettoria dei protoni (Fig. 1.2) e 392 quadrupoli
magnetici per la loro focalizzazione. Ciascuno dei dipoli magnetici ha una
Figura 1.2: Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore con
indicate le componenti costitutive.
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
7
lunghezza di 14.3 m ed una massa di 23.8 tonnellate, ed è in grado di fornire
un campo magnetico di 8.33 T operando attraverso cavi superconduttori
mantenuti dall’elio alla temperatura di 1.9◦ K. Ogni quadrupolo ha una
massa di 6.5 tonnellate ed una lunghezza di 3.10 m e produce un campo
magnetico di 6.86 T operando, come i dipoli, alla temperatura di 1.9◦ K.
1.2
L’esperimento ATLAS
L’esperimento ATLAS (A Toroidal Lhc ApparatuS) [1] [2], sarà situato
in una delle quattro grandi cavità sotterranee (punto 1 di Fig. 1.1) disposte lungo il tunnel di LHC ad una profondità di circa 100 m. L’insieme dei
rivelatori che lo costituiscono è tipico di un esperimento multi-purpose progettato per operare con una grande varietà di ”trigger” e di configurazioni di
particelle prodotte nel corso delle collisioni.
Dei quattro grandi esperimenti previsti ad LHC l’apparato dell’esperimento
ATLAS è quello con dimensioni maggiori pari a circa 45 m di lunghezza e 12
m di raggio.
1.2.1
Il programma sperimentale
Il principale obiettivo del programma scientifico dell’esperimento ATLAS
è costituito dalla ricerca del bosone di Higgs sul quale il modello standard
(SM) fonda la propria spiegazione del meccanismo di generazione delle masse
dei leptoni e dei mediatori della interazione elettrodebole. Tale meccanismo,
indicato con il nome di rottura spontanea della simmetria (SSB) di gauge
della interazione elettrodebole, prevede l’esistenza di un solo bosone di Higgs
(H), oppure, nella cosiddetta estensione minimale supersimmetrica (MSSM),
di una famiglia (H ± , h, H ed A) di bosoni di Higgs.
Per quanto riguarda il primo scenario il canale più favorevole accessibile ad
LHC è costituito dal decadimento: H −→ ZZ −→ 4` in grado di coprire
l’intervallo di massa 180 < mH < 800 GeV.
Più complessa è invece la situazione nel secondo scenario dove sono attesi i
segnali corrispondenti a cinque bosoni di Higgs con differenti possibilità dei
8
Figura 1.3: A sinistra: sono mostrati sul piano (mA , tanβ) tutti i segna-
li del bosone di Higgs ad una luminosità integrata di 10 fb−1 per esperimento
(ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della MSSM osservabili ad
LHC da ATLAS ad una luminosità di 300 fb−1
valori delle loro masse. Il modo in cui gli esperimenti di LHC si collocheranno
in questo scenario è riassunto nella Figura 1.3 dove si assumono come parametri liberi del modello la massa del bosone pseudoscalare mA ed il rapporto
dei valori d’aspettazione nel vuoto delle componenti neutre dei due campi di
Higgs (tanβ).
Un secondo importante capitolo del programma scientifico di ATLAS è costituito dallo studio dei sistemi con quark pesanti b e t.
L’elevata ”rate” di produzione di questi ”quark”, attesa già alla luminosità
prevista per la fase iniziale, rende ATLAS un esperimento di grandi potenzialità nello studio dettagliato di questo settore. Saranno infatti possibili misure
precise della massa mt del quark top e l’osservazione di canali di decadimento
rari come t−→b H+ oppure t−→Z c.
Per quanto riguarda la fisica del B invece, l’enfasi maggiore sarà data alle
misure precise di violazione di CP nel sistema B0d e nella determinazione degli
angoli nel triangolo di Cabibbo-Cobayashi-Maskawa.
Ad ATLAS verrà esplorata anche la fisica oltre il modello standard (SM).
L’estensione supersimmetrica (SUSY) del SM prevede un ampio spettro di
nuove particelle, dette sparticelle, partner supersimmetriche di quelle esi-
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
9
stenti, che seguono l’opposta statistica. In questo scenario ad ogni fermione
corrisponderebbe un bosone supersimmetrico e ad ogni bosone un fermione
supersimmetrico, il cui nome viene convenzionalmente costruito aggiungendo
una s davanti al nome del fermione e il suffisso ino al nome del bosone (ad
esempio all’elettrone dovrebbe corrispondere un bosone chiamato selettrone,
ai quark corrispondono gli squark, ai gluoni corrispondono i gluini e cosı̀ via).
Tra le particelle ipotizzate da questa teoria riveste particolare importanza il
partner supersimmetrico del neutrino, detto neutralino, che essendo la particella supersimmetrica più leggera dovrebbe essere stabile, e come tale al
pari di tutte le altre particelle stabili osservabili, tuttora presente nel cosmo
costituendo una possibile candidata come materia oscura. Oltre a questa,
se effettivamente la supersimmetria esiste ed opera alla scala della energia
elettrodebole, è attesa la produzione di squarks e gluini. Anche in questo
caso, considerando il limite cinematico raggiungibile ad LHC, l’esperimento
ATLAS è potenzialmente in grado di compiere misure precise su tutto questo
settore della fisica delle particelle.
Nell’ambito di possibili estensioni del modello standard (Technicolor ed alcune versioni delle teorie di grand’unificazione, GUT) è prevista anche la ricerca di particelle dotate sia di numero leptonico che barionico. Tali particelle,
dette leptoquark (LQ), potrebbero manifestarsi in processi quali qg −→ lLQ
dove l è sia un elettrone che un neutrino, e gg entrambi accessibili ad ATLAS.
Sempre nell’ambito di alcune estensioni del modello standard si colloca pure
la ricerca di nuovi bosoni vettori di gauge come Z 0 neutro e W 0 neutro. Questi
sono presenti sia in modelli di minima estensione dello SM sia in modelli che
prevedono una struttura interna dei quark e dei leptoni oggi ritenuti fondamentali. ATLAS sarà particolarmente sensibile al canale Z 0 −→ ee, mentre
gli altri canali di decadimento forniranno importanti informazioni sull’accoppiamento della Z 0 per comprendere l’origine di queste nuove risonanze.
Un programma scientifico cosı̀ vasto ed articolato richiede necessariamente
un apparato sperimentale versatile ma al tempo stesso capace di prestazioni
elevate. L’esperimento ATLAS infatti dispone di:
• calorimetri elettromagnetici di alta precisione per la rivelazione di elet-
10
Figura 1.4:
ATLAS.
Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimento
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
11
troni e fotoni accompagnati da calorimetri adronici per misure su jet
ed energia trasversa mancante (Emiss
);
T
• spettrometro per muoni di altissima precisione che copre tutta la regione esterna dell’esperimento cui si aggiunge eventualmente il sistema
di tracciamento interno;
• efficiente tracciamento dei leptoni ad alto impulso trasverso (pT ) nel
regime di alta luminosità, identificazione di elettroni, fotoni, τ ed altre particelle a ”sapore pesante”, ricostruzione completa degli eventi a
bassa luminosità;
• grande accettanza in pseudorapidità (η) e copertura azimutale (φ) quasi
completa ovunque;
• capacità di trigger e possibilità di misurare particelle per soglie di
pT basso, in modo da fornire alta efficienza per la maggior parte dei
fenomeni fisici di interesse ad ATLAS.
L’esperimento ATLAS mostrato in Figura 1.4 è costituito da una serie di apparati concentrici a simmetria cilindrica che circondano il punto di interazione
dove i due fasci di protoni provenienti da LHC collideranno. Riconosciamo
in esso quattro sezioni principali: l’Inner Detector (rivelatore interno, ID),
i calorimetri elettromagnetico (EM) ed adronico (Tile Cal ), lo spettrometro
per i muoni e le componenti (solenoide centrale (CS), toroidi del barrel (BT)
e degli end-cap (ECT)) del sistema magnetico.
La descrizione dell’apparato risulta più conveniente se si utilizza un sistema
di coordinate avente l’asse z coincidente con l’asse dei fasci, come origine il
punto di collisione e come ulteriori coordinate, l’angolo azimutale φ, misurato
sul piano ortogonale a z e la variabile η =-ln tan(θ/2) (pseudo-rapidità), al
posto dell’angolo polare θ.
Nelle sezioni che seguono vengono descritte più in dettaglio le caratteristiche
dei rivelatori che compongono l’apparato sperimentale ATLAS.
12
Figura 1.5: Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT).
1.2.2
Magneti
La struttura del campo magnetico dell’esperimento ATLAS è piuttosto
complessa ed è essenzialmente distinta in due differenti regioni: una interna,
con un campo uniforme parallelo all’asse del fascio che si estende su tutto il
volume del sistema di tracciamento interno (ID) con una intensità di circa
2T; ed una esterna di grandi dimensioni con un campo toroidale che si estende su tutto il volume dei rivelatori di muoni con una intensità di circa 4T.
Questa complessa configurazione di campo magnetico è realizzata nella regione interna attraverso un solenoide centrale (CS) di lunghezza 5.3 m, larghezza 2.3 m, spessore 45 mm e peso totale di 6 tonnellate; nella regione esterna
attraverso un grande solenoide toroidale (Fig. 1.5) costituito da 8 spire rettangolari lunghe 25 m e larghe 5 m (BT) unitamente a due solenoidi toroidali
più piccoli di 8 spire rettangolari di raggio 11 m e spessore 5 m (ECT)(Fig.
1.6). Gli elevati campi magnetici necessari per curvare le particelle cariche di
altissima energia prodotte al centro del rivelatore (da 2 a 6 Tm) richiedono
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
13
Figura 1.6: Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT).
l’uso di magneti superconduttori.
Particolari accorgimenti si sono resi necessari nel caso del CS che si trova nella regione interna dell’esperimento per il quale è stato necessario impiegare
la minima quantità di materiale in modo da non compromettere le capacità
di misura dei calorimetri. Ciascuno dei tre toroidi è composto da otto bobine assemblate radialmente e simmetricamente attorno all’asse del fascio.
Il sistema di bobine dell’ ECT è ruotato di 22.5◦ rispetto a quello del BT,
questo per fornire sovrapposizione radiale ed ottimizzare il potere curvante
nelle regioni di interfaccia dei due sistemi.
Il sistema magnetico nel suo complesso raggiunge una massa totale di 1400
tonnellate ed è raffreddato indirettamente da un flusso di elio liquido a 4.5
◦
K attraverso delle tubature saldate all’involucro degli avvolgimenti.
1.2.3
Inner Detector
Il sistema di tracciamento interno (Inner Detector, ID) occupa la cavità
cilindrica definita tra i tubi a vuoto dei fasci e il criostato del calorimetro
14
elettromagnetico estendendosi per 7 m in lunghezza e 115 cm in raggio. L’ID
(Fig.1.7), il cui compito è di fornire una buona risoluzione in momento ed
identificazione dei vertici di interazione, è interamente contenuto nel CS e
quindi soggetto ad un campo magnetico di 2 T.
Per fare fronte alla elevata densità di tracce attesa in questa regione, l’ID deve possedere una elevata risoluzione e granularità, ottenibili tramite l’utilizzo
di differenti tecnologie. Nella regione più prossima al punto di interazione,
si utilizzano i dispositivi a semiconduttore (SCT) e le micro-strips counters
(MSGC), rivelatori dotate di alta risoluzione spaziale. A distanze maggiori,
vengono invece impiegati i transition radiation tracker (TRT), che pur avendo una risoluzione intrinseca inferiore assicurano una elevata precisione sulla
traccia fornendo un elevato numero di punti (36 punti per traccia). Per i
rivelatori interni (SCT ed MSGC) si ha una risoluzione spaziale in z e φ di
circa 10÷15 µm, mentre per quelli più esterni (TRT) questa vale approssimativamente 170 µm.
L’ID è diviso in tre regioni: il ”barrel ”, che si estende fino a ±80 cm dal
punto di interazione, e due ”end-cap”, che chiudono le estremità della cavità
cilindrica. All’interno del barrel i rivelatori a pixel sono organizzati in tre
strati (layer ) cilindrici e concentrici alla direzione del fascio, mentre negli
end-cap vengono disposti su quattro dischi ortogonali a tale direzione. L’unità fondamentale dei rivelatori è il sensore a pixel, un wafer di silicio di
16.4 × 60.8 mm contenente 46080 pixel 50 × 400 µm.
Sui successivi quattro cilindri del barrel ed i nove dischi degli end-cap sono
disposti i rivelatori a strips. Le SCT forniscono otto misure di precisione per
traccia nella regione dei raggi intermedi, contribuendo alla misura dell’impulso, parametro d’impatto e posizione dei vertici di interazione. I moduli
sono montati su strutture in fibra di carbonio che ospitano anche il sistema
di raffreddamento.
A distanze ancora maggiori sono montati i TRT, disposti parallelamente alla
direzione del fascio nel barrel e perpendicolarmente negli end-caps. Questo
tipo di rivelatore, composto da tubi a deriva di 4 mm di diametro intervallati
con fogli di polipropilene dello spessore di 15 µm, che emettono raggi X al
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
15
Figura 1.7: Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS.
passaggio di particelle ultra-relativistiche, consente una misura della cinematica e della natura della particella cosı̀ veloce (tempo di deriva ∼ 38 ns), da
essere utilizzabile anche a livello di trigger. Nel regime di alta frequenza di
interazione (cioè alla luminosità per cui LHC è stato progettato), il TRT è
in grado di eseguire nel barrel misure ad un rate (in funzione del raggio) di
6 ÷ 18 MHz, e negli end-cap di 7 ÷ 19 MHz (in funzione di z).
1.2.4
Calorimetri
Esternamente all’ID è disposto il sistema calorimetrico dell’apparato sperimentale ATLAS (Fig. 1.8). Questo è progettato sia per la ricostruzione
dell’energia di elettroni, fotoni e jets adronici, sia per la misura dell’energia
trasversa mancante, e prevede due differenti sezioni: il calorimetro elettromagnetico ed il calorimetro adronico.
Questi calorimetri sono posizionati in modo da avere una copertura angolare
ermetica attorno al punto di interazione (IP). Entrambi cioè, sono suddivisi
in tre parti, una centrale a simmetria cilindrica (barrel ) e due end-cap che
chiudono davanti e dietro l’angolo di 4π attorno all’IP.
16
Figura 1.8: Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS.
Il calorimetro elettromagnetico (EM) ha il compito di identificare e ricostruire elettroni e fotoni in un vasto range di energia (100 MeV≤E≤1.5 TeV)
coprendo la regione |η| < 1.475 nel barrel e 1.375 < |η| < 3.2 negli end-caps.
Per la sua costruzione sono impiegate camere a ionizzazione, che usano come
mezzo attivo l’Argon liquido, intervallate da lastre in Pb come assorbitori;
la struttura ha una geometria a fisarmonica con una segmentazione in η e
φ pari a ∆η × ∆φ ' 0.025 × 0.025, su gran parte dell’intervallo di rapidità.
La geometria a fisarmonica consente di avere una buona simmetria assiale e
minimizza lo spazio non sensibile.
Lo spessore totale del calorimetro EM è di 24 lunghezze di radiazione (X0 ) nel
√ ⊕ 1%,
barrel e 26 negli end-cap ed offre una risoluzione in energia pari a 10%
E
p
ed una risoluzione angolare pari a ∼ 40 mrad/ E(Gev), quest’ultima ne-
cessaria per la ricostruzione delle masse invarianti degli stati neutri.
Il compito del calorimetro adronico è, invece, quello di identificare i jets
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
17
adronici, misurare l’energia trasversa mancante, ma anche di migliorare la
capacità di identificazione del calorimetro elettromagnatico.
Si divide in tre moduli diversi a seconda della posizione: (Barrel Hadronic
Tile) attorno alla linea di fascio, (Hadronic End Cap) e (Hadronic Forward )
nella zona anteriore e posteriore di chiusura.
Nella regione del barrel esso è costituito da assorbitori in ferro, intervallati
da piani di materiale scintillante letti da fibre ottiche. Questi piani, posti
perpendicolarmente alla direzione del fascio, hanno una segmentazione pari
a ∆η × ∆φ ' 0.1 × 0.1 offrendo una risoluzione in energia di
50%
√
E
⊕ 10%.
Nella regione degli end-caps, dove è necessaria una maggiore resistenza alle radiazioni, sarà di nuovo utilizzato dell’Argon liquido, ma con strati di
rame come assorbitori sia per gli Hadronic End Cap che per gli Hadronic
Forward. Questi ultimi inoltre sono costituiti, oltre che di rame, da due sezioni di tungsteno e sono integrati nei criostati degli end-cap a circa 4.7 m
dal punto di interazione. La segmentazione prevista per questa zona è pari
a ∆η × ∆φ ' 0.2 × 0.2 con una risoluzione di
100%
√
E
⊕ 10%.
Le dimensioni del calorimetro adronico sono fondamentali per il buon funzionamento dello spettrometro muonico, che costituisce lo strato più esterno
dell’apparato ATLAS. Pertanto, al fine di ridurre il fondo dovuto a quei
muoni prodotti da reazioni interne al calorimetro, lo spessore di quest’ultimo è stato fissato in 11 lunghezze di interazione per il barrel ed in 14 negli
end-caps.
1.2.5
Spettrometro muonico
Lo spettrometro dei µ è stato progettato per ottenere un’alta precisione
nella misura dell’impulso, senza dover ricorrere alle informazioni provenienti
dagli altri rivelatori. Lo spettrometro deve, quindi, avere una copertura omogenea fino a grandi rapidità (|η| = 3) ed essere efficiente nell’individuazione
dei muoni su un intervallo di pT che va da 5 GeV a 1 TeV.
Il principio di funzionamento è basato sulla deflessione delle tracce delle particelle cariche nei campi magnetici generati dai toroidi superconduttori. La
complessa configurazione dei magneti di ATLAS fornisce un campo che nella
18
Figura 1.9: Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimento
ATLAS.
maggior parte dei casi è ortogonale alla traiettoria delle particelle, in modo
tale da minimizzare lo scattering multiplo che causa una diminuzione della
risoluzione. Il trigger e gli algoritmi di ricostruzione sono ottimizzati per
far fronte alle difficili condizioni di lavoro dovute ai prodotti delle collisioni
primarie e alla elevata radiazione di background, (soprattutto neutroni e fotoni nel range del MeV), prodotti nelle interazioni secondarie con il materiale
circostante. La Figura 1.9 fornisce una visione completa dello spettrometro
muonico di ATLAS.
Le misure di precisione delle tracce muoniche vengono proiettate sul piano
Rz, in una direzione parallela alla curvatura del campo magnetico (Fig. 1.10);
la coordinata assiale (z ) è misurata nel barrel in camere disposte su tre strati
cilindrici (stazioni) attorno all’asse del fascio, mentre quella radiale (R) è
misurata in camere disposte verticalmente.
Per gran parte dell’intervallo in η, la misura delle tracce lungo la direzione
principale di curvatura del campo magnetico è fornita dai Monitored Drift
Tubes (MDT). In prossimità del punto di interazione, vengono invece utilizzate le Cathode Strip Chambers (CSC).
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
19
Figura 1.10: Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS.
Gli MDT sono rivelatori a deriva, costituiti da tubi di alluminio di 30 mm
di diametro contenenti un filo catodico centrale di 50 µm di diametro in lega
di tungstenio-renio e una miscela di gas non infiammabile alla pressione di
3 bar. Ogni tubo costituisce un singolo elemento di deriva per gli MDT che
offrono una risoluzione spaziale di 80 µm con un tempo di deriva massimo di
circa 700 ns.
Le CSC sono delle camere proporzionali a molti fili (MWPC) con catodo
segmentato, la cui misura di posizione è ottenuta valutando la carica indotta
sulle striscie catodiche dalla valanga generata sugli anodi. Con un tempo di
deriva di 30 ns ed una risoluzione temporale di 7 ns si riesce ad ottenere una
risoluzione spaziale di 60 µm.
Il sistema di trigger copre il range di pseudorapidità | η |≤ 2.4 ed ha come
requisito base l’identificazione del bunch-crossing, che richiede un tempo di
risoluzione migliore di 25 ns (bunch-spacing ad LHC). I rivelatori usati per
la sua costruzione sono gli RPC (Resistive plate chamber), nel barrel, e le
TGC (Thin gap chamber) negli end-cap.
Le RPC sono rivelatori gassosi in grado di fornire una risoluzione di 1cm×1ns
costituite da un sottile strato tra due piastre di bakelite, separate da un materiale isolante. La ionizzazione primaria viene moltiplicata in una valanga
da un campo elettrico uniforme molto elevato (4.5 KV/m), producendo im-
20
pulsi di circa 0.5 pC.
Le TGC sono MWPC con la differenza che la distanza tra i fili anodici (1.8
mm) è maggiore della distanza tra il piano anodico e quello catodico (1.4
mm), con conseguente riduzione dello spessore del gap.
I rivelatori utilizzati per il sistema di trigger, forniranno inoltre la seconda
coordinata nelle misure di traccia.
1.2.6
Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ)
Il programma di ricerca ad LHC comprende lo studio di processi fisici
molto rari (es: produzione dell’Higgs) i quali richiedono una luminosità molto elevata (dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ). A questa luminosità, i processi di
fondo con grande sezione d’urto produrrano interazioni con una frequenza attesa di circa 109 Hz pari ad un volume di dati complessivo di 4×104 Gbyte/s.
Dato che la frequenza massima di acquisizione si prevede che sia dell’ordine
di 100 Mbyte/s ciò significa che il sistema di trigger dovrà ridurre i segnali di
minimum bias di un fattore ∼ 106 mantenendo però un’eccellente efficienza
per i processi fisici rari (es: decadimento del bosone di Higgs) d’interesse ad
ATLAS.
Il sistema di trigger e di acquisizione dati di ATLAS (Fig. 1.11) è basato su
tre livelli di selezione on-line degli eventi. Ciascun livello di trigger raffina le
decisioni prese al livello precedente e, dove necessario, applica nuovi criteri
di selezione.
Il trigger di livello 1 (LVL1) ha il compito di individuare i bunch-crossing di
interesse prendendo una decisione iniziale di selezione sulla base delle informazioni provenienti dai rivelatori sottostanti. Per esempio, i muoni ad alto
pT sono identificati usando solamente le camere di trigger RPC (barrel) e le
TGC (end-cap) (Fig. 1.12), mentre particelle come elettroni e fotoni ad alto
pT , jet, τ che decadono in adroni, ETmiss vengono identificate dai calorimetri.
La latenza è definita come il tempo che intercorre tra le collisioni protoneprotone ed il momento in cui la decisione presa dal trigger (LVL1) è disponibile per l’elettronica di front-end. Per contenerne il valore al di sotto di 2.5
µs, l’informazione proveniente dai canali del rivelatore viene salvata in me-
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
21
Figura 1.11:
Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizione
dell’esperimento ATLAS.
morie pipeline poste fisicamente vicine ai sottorivelatori che lo compongono.
Gli eventi selezionati dal trigger LVL1 sono inviati dai read-out driver (ROD)
ai read-out buffer (ROB) dove vengono registrati e mantenuti in memoria solo nel caso in cui il trigger del livello successivo (LVL2) convalidi la misura.
In questo caso, inizia il processo di trasferimento dei dati dai ROB all’Event
Filter (EF) che provvede alla loro registrazione. L’EF analizza l’utilità del
dato e lo posiziona in un’unica area di memoria.
Il trigger di livello 2 (LVL2) riduce il rate da 75 KHz ad approssimativamente 1 KHz facendo uso delle informazioni fornite dall’LVL1 dette ”regioni di
interesse” (RoI). Le RoI possono includere la posizione in (η,φ), il pT , l’energia trasversa totale e mancante dei segnali di interesse (quali ad esempio
muoni ad alto pT , elettroni, adroni, e jet). Le RoI transitano dal LVL1 al
LVL2 tramite un percorso preferenziale (data path) che permette all’LVL2 di
accedere direttamente ai dati di interesse senza doverli trasferire tutti. Infatti, usualmente, solo dati provenienti da una regione ristretta del rivelatore
centrata sull’oggetto indicato dal LVL1 sono veramente necessari. La latenza
22
Figura 1.12: Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometro
muonico (LVL1 trigger).
dell’elettronica che gestisce il LVL2 trigger è variabile e stimata essere nell’intervallo compreso tra 1 e 10 ms.
L’ Event Filter (EF) è il terzo ed ultimo stadio del sistema di trigger on-line
e segue immediatamente l’LVL2. L’EF implementa algoritmi sviluppati offline sfruttando le informazioni provenienti dalla calibrazione degli strumenti
e dalla mappa del campo magnetico. Riduce, inoltre, il rate di informazioni provenienti dal LVL2 di un ordine di grandezza portandolo a ∼100-200
Hz corrispondente ad un flusso di dati di 100 MB/s se si registra l’evento
completo.
1.2.7
Sistema di calcolo
Una parte cruciale per la riuscita dell’esperimento ATLAS è costituita
dal sistema di calcolo che dovrà gestire in modo efficiente un volume di dati
dell’ordine di 1 PByte (1015 Bytes) all’anno che richiederà la definizione di
nuovi metodi di riduzione, selezione e di analisi. Lo schema proposto è quello
di archiviare i dati ”raw ” selezionati dall’ EF e processarli brevemente subito
dopo l’acquisizione valutando le quantità fisiche richieste dalla maggior parte
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS
23
Figura 1.13: Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid”
(LCG) .
delle analisi e classificando gli eventi in canali fisici.
Il sistema di calcolo sviluppato da ATLAS è basato sulla struttura ”LHC
Computing Grid” (LCG)[3] di architettura a multistrato (Fig. 1.13) ed ha
subito diversi test in attesa dell’inizio della presa dati prevista per il 2008.
Lo scopo del LCG è quello di fornire e mantenere un’infrastruttura per la
registrazione permanente dei dati e l’analisi di questi per gli esperimenti del
CERN. I dati ricevuti vengono distribuiti in tutto il mondo seguendo uno
schema a 4 strati di cui il primo detto Strato-0 è situato nel CERN stesso,
ed è costituito da un apparato di registrazione su nastro (backup primario)
dei dati grezzi (RAW data).
Questi dati, insieme ad una prima analisi, vengono inviati ai centri Strato1 che forniscono uno spazio per il riprocessamento, l’accesso alle differenti
versioni delle analisi e una programmazione organizzata nel tempo delle varie
attività richieste da gruppi diversi.
Ogni Strato-1 invia i dati disponibili agli Strato-2 tipicamente costituiti da
più centri computazionali minori in grado di registrare una quantità di dati
inferiore a quelli Strato-1 e che si occupano di analisi specifiche (simulazioni,
24
calibrazioni...).
Al livello più basso di questa gerarchia ci sono i centri Strato-3, cluster di
computer appartenenti per esempio ad un dipartimento universitario, dai
quali gli scienziati possono accedere ai dati.
Capitolo 2
La misura della luminosità ad
ATLAS
2.1
Introduzione
La luminosità L [2] [4] [5] mette in relazione la sezione d’urto σ di un
dato processo con la corrispondente frequenza R di eventi:
R=L×σ
(2.1)
e pertanto risulta essere una quantità completamente determinata dalle proprietà dei fasci collidenti ed indipendente dai processi fisici.
La luminosità di un collisionatore può essere espressa in funzione dei parametri del fascio attraverso la seguente relazione:
P
f i N1i N2i
L=F
,
4πσx∗ σy∗
(2.2)
dove F è un fattore dipendente dell’angolo di collisione dei fasci, f la frequenza di rivoluzione dei fasci, N1i ed N2i sono il numero di particelle dei fasci
collidenti e σx∗ e σy∗ sono le dimensioni trasverse del fascio (assunte essere le
stesse per ogni fascio) nel punto di interazione (IP).
Si può mostrare che la (2.2) può essere riespressa nel modo seguente:
L = ξF
f N kb γ
,
rp β ∗
25
(2.3)
26
Figura 2.1: Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone di
Higgs in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di misura della
luminosità (simboli vuoti 10%, pieni 5%).
dove ξ è il parametro di sintonizzazione, kb il numero di pacchetti, γ il fattore di Lorentz, rp il raggio classico del protone e β ∗ =0.5 m è il valore della
funzione d’ampiezza β nel IP.
Negli esperimenti di fisica delle particelle condotti su ”collider” la luminosità, sia istantanea che integrata, rappresenta un fondamentale parametro che
deve essere conoscuito con sufficiente precisione. La luminosità istantanea,
sopratutto se misurata per ogni pacchetto di particelle del fascio, rappresenta
un importante ”monitor” del ”beam- tuning” ed in generale delle condizioni
di lavoro della macchina. Per ottenere una maggiore precisione si preferisce
spesso affidarsi a misure relative piuttosto che a misure assolute affette da
una maggiore incertezza statistica.
La luminosità integrata invece è necessaria per ottenere dalla misura del ”rate” il valore della sezione d’urto del processo di interesse (vedi Eq. 2.1).
Evidentemente l’errore nella sua misura contribuisce a determinare la precisione con cui può essere misurata la sezione d’urto di un processo. A titolo
di esempio riportiamo l’andamento con la massa, in diversi canali della pre-
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
27
cisione nella determinazione del ”rate” di produzione del bososne di Higgs
nella ipotesi di due differenti errori di misura della luminosità (Fig. 2.1).
È possibile mostrare [2] che ad una luminosità di 300 fb−1 l’errore nella determinazione della luminosità rappresenta la principale fonte di errore della
misura del rapporto di decadimento.
In base a quanto detto riguardo l’importanza di una corretta stima della luminosità, un apparato sperimentale complesso come ATLAS, dati gli obiettivi
scientifici per cui è stato costruito, deve riuscire a controllare diversi aspetti
della misura di L. In particolare deve:
• fornire il valore della luminosità integrata finale per l’analisi ”off-line”
dei dati. Sono richieste anche misure di luminosità media per intervalli
brevi e per singolo incrocio dei pacchetti.
• fornire un veloce monitoraggio ”on-line” della luminosità per poterla
ottimizzare assieme alla direzionalità del fascio. A questo scopo è auspicabile una precisione statistica del 5%, ed incertezze sistematiche al
di sotto del 20% circa.
• controllare velocemente le condizioni di funzionamento della macchina
e monitorare la struttura temporale dei fasci.
L’esperimento ATLAS ha definito una strategia di misura che a regime richiederà una precisione nella determinazione della luminosità integrata del
2 − 3% nonché un monitoraggio praticamente istantaneo delle condizioni di
lavoro della macchina.
Poiché non esiste un’unica tecnica sperimentale, che possa soddisfare tutte
le richieste sovracitate, risulta necessario affidarsi a tutta una serie di misure
complementari che saranno descritte e commentate nei paragrafi successivi.
2.2
Metodi di misura della luminosità
In generale si possono distinguere tre tipi di misure di luminosità [5].
Il primo consiste nel misurare accuratamente la frequenza di un processo con
28
una ben nota sezione d’urto ed applicare l’equazione (2.1). Questo metodo
è usato con successo nei collisionatori e+ e− , attraverso la misura del processo di QED Bhabha scattering, mentre nei collisionatori per adroni, poiché
i processi di QED hanno piccola sezione d’urto, non risulta particolarmente
indicato per ottenere una stima della luminosità. Nel caso di ATLAS i processi fisici indicati sono quelli di QED che prevedono la produzione di coppie
leptone-antileptone attraverso lo scambio di due fotoni. L’esempio migliore
è quello con produzione di una coppia di muoni ad alto pT : pp −→ ppµ+ µ− .
Questo processo ha però la limitazione di avere una sezione d’urto osservabile
molto piccola a causa delle condizioni di trigger imposte ai muoni.
Un altro processo candidato e studiato a fondo ad ATLAS è la produzione
dei bosoni di gauge W e Z ed il loro decadimento W± −→ l± ν, Z −→ l+ l− .
In particolare questo processo misura direttamente la luminosità dei partoni
e richiede un buon controllo sulla PDF dei protoni. Anche in questo caso
non è chiaro se la precisione sulla luminosità possa essere migliore del 5%.
Un secondo metodo consiste nel misurare la luminosità tramite i parametri
del fascio usando cioè la (2.2). Per questo, si ha bisogno di una misura precisa delle dimensioni dei fasci nel punto di interazione (IP), cosa tutt’altro
che semplice dato che l’IP non è direttamente accessibile, e si rende dunque
necessaria una estrapolazione da una eventuale misura esterna all’area sperimentale. La maggiore accuratezza è raggiunta tramite il metodo di Van
der Meer basato sulla scansione trasversa del fascio in entrambe le direzioni
e l’ausilio dei ”forward detector” che monitorano le interazioni p-p. Il valore
dello spostamento del fascio richiesto per ridurre il ”rate” p-p, ad esempio del
50% del suo valore di picco, risulta una misura della forma del fascio nell’IP.
Ovviamente l’efficienza del conteggio delle interazioni p-p non deve dipendere dallo spostamento del fascio. La precisione stimata nella misura finale
di L non è ben nota, ma si prevede un’incertezza intorno al 10%. Inoltre,
il metodo di Van der Meer non potrebbe essere applicato alle condizioni di
luminosità e di parametri di fascio previste, e richiederebbe run dedicati a
luminosità minori di 1030 cm−2 s−1 .
Il terzo metodo utilizza il teorema ottico negli scattering di alta energia ed
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
29
è usato anche per calibrare la scala assoluta delle misure di luminosità. In
quest’ultimo caso L è derivata dalla relazione:
¯
dRel ¯¯
2
L
= Rtot
(1 + ρ2 )/(16π).
¯
dt r=0
(2.4)
¯
Refel (t) ¯¯
ρ≡
Imfel (t) ¯r=0
(2.5)
con
dove sono misurati Rtot , frequenza totale di interazioni pp, e dRel /dt(t=0),
frequenza delle diffusioni elastiche in avanti, mentre ρ è il rapporto tra la
parte reale ed immaginaria dell’ampiezza elastica in avanti. Anche in questo
caso la precisione tipica è del 5 − 10%.
Le misure di L effettuate con i metodi appena descritti ne forniscono una
misura assoluta. Vale la pena comunque osservare che misure relative della
luminosità potrebbero essere calibrate, con i metodi assoluti, a basse luminosità ed in condizioni favorevoli.
Per quanto riguarda ATLAS, la prima stima della luminosità assoluta ovviamente deriverà dai parametri della macchina e verrà utilizzata, anche se
piuttosto imprecisa, per una prima calibrazione del LUCID, un sottorivelatore dedicato (contatore Cerenkov) che sarà operativo sin dall’inizio. Nel
prosieguo dell’esperimento sarà poi operativo un secondo rivelatore chiamato
Alfa che dovrà essere calibrato con ”run” dedicati a bassa luminosità dell’ordine di 1027 cm−2 s−1 .
La migliore stima di luminosità assoluta ottenuta sarà riutilizzata come calibrazione per il LUCID essendo quest’ultimo il più duttile dei sistemi presenti
potendo operare in un ampio regime dinamico ed in differenti condizioni dell’ottica del fascio. Infine anche i processi fisici a sezione d’urto ben nota
forniranno un controllo sulla misura di L.
Riporto in seguito le diverse caratteristiche dei dispositivi citati sopra ed il
principio di funzionamento per la stima di L.
30
2.3
Roman Pot e Alfa: misura della luminosità attraverso processi di diffusione elastica
Come mostrato dalle espressioni (2.4) e (2.5) la luminosità può essere determinita misurando la frequenza delle interazioni totali e quella dei processi
elastici dato che il parametro ρ è noto con sufficiente precisione e non contribuisce in maniera significativa all’errore sistematico. Questa costituisce la
tecnica ”standard” nella misura della luminosità tuttavia richiede una precisa misura del ”rate” inelastico per un ampio intervallo di pseudorapidità η
non accessibile ad ATLAS.
Per questo si misura la diffusione elastica per piccoli valori di t in modo che
la sezione d’urto diventi sensibile all’ampiezza elettromagnetica. Si ottiene
cosı̀, introducendo il termine Coulombiano, una misura della luminosità e
della sezione d’urto che non richiede la conoscenza del ”rate” inelastico.
La misura nel regime d’interferenza coulumbiana nucleare (CNI) richiede
un’ottica dedicata della macchina ed una meccanica abbastanza complessa
per avvicinare il sistema di tracciamento al fascio.
Questo sistema di tracciamento, che utilizza la diffusione elastica per la misura di L, è chiamato ALFA (Absolute Luminosity For ATLAS) ed è contenuto
all’interno del meccanismo mobile Roman Pot.
Le Roman Pot, sono dispositivi realizzati per avvicinare i rivelatori di tracciamento ai fasci circolanti ad una distanza di 10 σ e verranno collocati in
entrambi i lati tra il sesto e settimo quadrupolo a circa 240 m dal punto di
interazione del rivelatore ATLAS.
Su ciascun lato saranno collocate due unità Roman Pot separate da una distanza di 4 m per cui il sistema prevede 4 diverse stazioni per un totale di 8
Roman Pot.
All’interno di ogni Roman Pot, vi è un vuoto secondario in modo da rendere minima la deformazione indotta dal vuoto primario di LHC. Il rivelatore
di tracciamento (ALFA) è racchiuso dalla pot che deve quindi essere compatibile con le restrizioni imposte dal perfetto funzionamento del rivelatore
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
31
Figura 2.2: Prospetto generale di una Roman Pot.
stesso. Queste restrizioni riguardano in particolare lo spessore dei materiali
che costituiscono la Roman Pot: 2 mm di spessore per le pareti e solo 150
µm per la finestra sottile che interfaccia il rivelatore al vuoto della macchina
dove circola il fascio (Fig. 2.2).
ALFA (Fig. 2.3) [7] è un rivelatore a tracciamento basato su fibre scintillanti
che sono sensibili al passaggio di particelle e che non richiedendo un sistema
di raffreddamento rendono più semplice la loro integrazione nel sistema Roman Pot.
Il rivelatore è costituito da dieci piani distanti 70.7 µm, ciascuno dei quali è
formato da due livelli U e V fissati ad uno strato di ceramica spesso 170 µm.
Ciascun livello, orientato a ±45◦ , è connesso a sessantaquattro fibre plastiche
di sezione quadrata (0.5 × 0.5 mm2 ).
Ogni volta che una particella attraversa il rivelatore, ciascun piano fornisce
una coordinata spaziale e la luce prodotta dalle fibre è letta da fotomoltiplicatori a multianodo (MAPMT). All’interno delle Roman Pot, oltre alle fibre
di tracciamento, vi sono anche fibre per l’allineamento reciproco tra la Pot
superiore e quella inferiore.
Il principio di funzionamento del dispositivo consiste nella misura dello spet-
32
Figura 2.3: Prospetto generale del rivelatore di luminosità ALFA.
tro dei valori del momento trasferito t dei protoni diffusi elasticamente ad
angoli piccoli (micro radianti) nella regione CNI (Fig. 2.4).
In questa regione la sezione d’urto differenziale della diffusione elastica si
scrive:
¯
¯2
¯ 2α σtot
¯
dRel
2
−b|t|/2
¯
= Lπ|fC + fN | ≈ Lπ ¯¯ −
+
(i + ρ)e
¯
dt
|t|
4π
(2.6)
t = −(p · sinθ)2
dove il primo termine (fC ) corrisponde all’ampiezza Coulombiana ed il secondo (fN ) all’interazione forte. Una volta misurata la
dRel
,
dt
la luminosità verrà
ricavata fittando l’espressione precedente (2.6).
Il raggiungimento delle condizioni sperimentali per operare nella CNI richiede per prima cosa un valore elevato del parametro ottico β ∗ ottenibile solo
con divergenza intrinseca minore dell’angolo di diffusione più piccolo che deve essere misurato (β ∗ = 2625 m, L' 1027 cm−2 s−1 ).
Inoltre la misura del momento trasferito |t| deve essere indipendente dal
punto di interazione reale. Un avanzamento di fase di 90◦ della funzione di
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
Figura 2.4: Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA.
33
34
Figura 2.5: Distribuzione e fit della luminosità del parametro t: (sinistra)
rappresentazione lineare e (destra) logaritmica.
betatrone tra l’IP ed il piano verticale produce una focalizzazione ”parallelto-point”, cioè una relazione lineare tra il punto spaziale d’impatto nel piano
trasverso del rivelatore e l’angolo verticale di diffusione nell’IP.
Parallelamente allo sviluppo e alla costruzione del rivelatore, la misura della
diffusione elastica è stata adeguatamente simulata. In Figura 2.5 è mostrata la ricostruzione della distribuzione di t dalla simulazione delle misure di
ALFA. La misura della luminosità si presume sia stimata con una precisione
del 3%.
2.4
ZDC
Un altro sistema che fa parte dei ”forward detector” del rivelatore ATLAS
è lo ZDC (Zero Degree Calorimeter) [8] che verrà inserito nell’apertura trasversale dell’assorbitore di particelle neutre (TAN), a circa 140 m dal punto
di interazione. ZDC avrà un ruolo centrale nel programma di ATLAS quando LHC sarà dedicato allo studio delle collisioni tra ioni pesanti (HI) dove
verrà usato per misurarne la centralità e la luminosità oltre che per fornire
il trigger.
Lo ZDC (Fig. 2.6) sarà costituito da sei moduli in tungsteno/quarzo, dove
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
35
Figura 2.6: Prospetto generale del calorimetro ZDC.
la luce trasportata dalle fibre al quarzo è letta da fotomoltiplicatori. Inoltre
lo ZDC sarà equipaggiato con sbarre orizzontali al quarzo, parallele al fascio,
in modo da determinare la posizione delle cascate nel piano perpendicolare
al fascio.
Nella fase (HI) il compito principale di ZDC sarà quello di misurare i neutroni spettatori (resti delle collisioni) che forniscono informazioni sul valore
e la direzione del parametro d’impatto. In aggiunta tramite la ben nota sezione d’urto delle particelle neutre ad angolo nullo la luminosità potrà essere
stimata con una precisione superiore al 5%.
Nella fase di collisioni p-p, ZDC sarà principalmente utilizzato per lo studio
delle particelle prodotte in avanti. Sarà un dispositivo molto utile per regolare
i parametri di LHC nei primi giorni di funzionamento dell’acceleratore.
36
2.5
LUCID
Il LUCID (LUminosity measurement using a Cerenkov Integrating Detector) [4] è il principale monitor di luminosità ad ATLAS. Il suo scopo primario
è quello di misurare la diffusione inelastica p-p in avanti, per stimare sia la
luminosità integrata sia quella istantanea e per monitorare le condizioni dei
fasci.
La misura effettuata dal rivelatore è basata sul fatto che la frequenza degli eventi di diffusione inelastica vista dal LUCID (Rpp ) è proporzionale alla
luminosità tramite la relazione:
Rpp = µLU CID · fBC = σpp · ²LU CID · L.
(2.7)
Il numero medio di interazioni inelastiche, viste dal LUCID, per ogni incrocio
dei pacchetti µLU CID , è collegato alla luminosità L tramite la sezione d’urto
inelastica σpp e l’efficienza di rivelazione ²LU CID . Il termine fBC rappresenta
la frequenza di incrocio dei pacchetti (25 ns).
Vi sono diversi modi in cui il LUCID potrebbe operare per misurare la grandezza µLU CID . In condizioni di bassa luminosità, tramite lo ”Zero counting”
che
³ consiste
´ nel contare gli incroci dei pacchetti con nessuna interazione
NzeroBX
, il valore di µLU CID deriverebbe immediatamente considerando
NtotalBX
la statistica Poissoniana:
e−µ µn
n!
e considerando il caso in cui il numero n sia nullo:
µ
¶
NzeroBX
P (0, µ) =
= e−µ
NtotalBX
¶
µ
NzeroBX
µ = −ln
NtotalBX
P (n, µ) =
(2.8)
Il secondo metodo ”Hit counting” consiste nel contare il numero di tubi con
un segnale per cui:
µLU CID =
hNhits/BX i
hNhits/pp i
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
37
L’ultimo infine detto ”Particle counting” consiste nel contare il numero di
particelle nel LUCID facendo diversi tagli sull’ampiezza del segnale:
µLU CID =
hNparticles/BX i
hNparticles/pp i
Gli ultimi due metodi sono coincidenti finché si verifica la condizione in cui
il segnale in ogni singolo tubo è dovuto al passaggio di una sola particella.
Ciò accade fino alla luminosità dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 mentre allo stadio finale di luminosità prevista per LHC (dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ), si
verifica sovrapposizione di segnale dovuto al passaggio contemporaneo di più
di una particella nello stesso tubo.
Quale delle strategie verrà adottata è ancora sotto esame tramite accurate simulazioni (vedi Par.2.5.2) della risposta lineare del LUCID alle diverse
luminosità ed espressa dall’equazione:
L=
fBX
µLU CID
σpp · ²LU CID
(2.9)
Ultimo aspetto di fondamentale importanza riguarda la fase di calibrazione
del rivelatore. Sono infatti previsti ”run” dedicati di calibrazione in parallelo
al rivelatore Alfa alla luminosità nominale di 1027 cm−2 s−1 che misurando
in maniera assoluta L permetterà la stima della costante di calibrazione σpp ·
²LU CID .
Una volta calibrato sarà compito del LUCID estendere la sua operatività di 7
ordini di grandezza allo scopo di stimare L con una precisione inferiore al 5%
necessaria agli obbiettivi che l’intero apparato ATLAS intende raggiungere.
2.5.1
Struttura del rivelatore LUCID
Il LUCID coprirà l’intervallo di pseudorapidità |5.4 −→ 6.0| e verrà posizionato nello spazio tra la linea del fascio e la sua struttura di supporto, a
circa 17 m dal punto di interazione (IP) di ATLAS, come mostrato in Figura
2.7.
38
Figura 2.7: Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS.
Sono previsti due moduli LUCID simmetrici rispetto al IP costituiti ciascuno
di 168 tubi Cherenkov, lunghi 1.5 m e del diametro di 1.5 cm che puntano
verso il punto d’interazione. Questi tubi sono di alluminio e disposti a gruppi
di 42 in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio. Al loro interno vi è
del gas C4 F10 che funziona da radiatore Cherenkov la cui scelta è motivata
dal suo elevato indice di rifrazione (1.00137) e dal fatto che alla pressione di
utilizzo ha una buona trasparenza nella regione ultravioletta dove la maggior
parte della luce è emessa. La radiazione Cherenkov è emessa con un angolo
di circa 3◦ e viene riflesso mediamente 3 volte all’interno dei tubi prima di
arrivare nella zona di raccolta dove è letta da fotorivelatori. In Figura 2.8
viene mostrato il prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID.
Le particelle che vengono dall’IP (primarie) attraversano l’intera lunghezza
del contatore e generano il segnale d’ampiezza massima nel fotorivelatore.
Quelle secondarie, invece, originate dall’interazione dei primari con il materiale del rivelatore e con il tubo del fascio, sono meno energetiche ed attraversano i tubi del LUCID con angoli d’incidenza maggiori e per tratti più
brevi. Dunque la radiazione Cherenkov da loro emessa subirà un maggior
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
39
Figura 2.8: Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID.
numero di riflessioni con conseguente segnale molto più debole e distinguibile da quello dei prmari usando semplicemente un’opportuna soglia di segnale
(vedi Par.2.5.2). La soglia del momento per l’emissione della luce è di 10
Mev/c per gli elettroni e 2.8 Gev/c per i pioni. Dato che non vi sono fluttuazioni di Landau, la distribuzione delle ampiezze di ogni contatore ha picchi
separati per ogni ”hit” e permette di contare il numero di particelle primarie
che colpiscono il LUCID.
Lo scopo del LUCID è quello di contare il numero di particelle che incidono
sul rivelatore, provenienti dalla zona dell’interazione primaria e usare questa
informazione per una misura di luminosità (applicando l’equazione (2.8)); ed
il progetto di tale strumento è strettamente legato al valore di luminosità nominale che si deve misurare. La strategia di sviluppo del rivelatore prevede
infatti due fasi distinte in coincidenza dei periodi di bassa ed alta luminosità
previsti dal collisionatore LHC.
La fase 1 (bassa luminosità dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 con una media di 2
interazioni per collisione fra fasci) prevede la costruzione di due rivelatori
con 20 tubi di alluminio ad effetto Cherenkov ciascuno disposti su due cerchi
40
Figura 2.9: Configurazioni possibili delle unità del rivelatore LUCID. In alto:
accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso: accoppiamento diretto
tubo, PMT.
concentrici attorno alla beam-pipe e orientati verso il punto dei interazione.
16 di questi sono collegati all’estremità finale a fotomoltiplicatori singoli (disegno in basso Fig. 2.9), mentre 4 sono collegati ad un fotomoltiplicatore
multianodo attraverso delle fibre ottiche (disegno in alto Fig. 2.9). Questa
scelta è dettata dalla necessità di testare un sistema come il multianodo previsto per la fase 2.
La fase 2 (alta luminosità dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 corrispondente a circa
25 interazioni per collisione fra fasci) consiste nel realizzare la proposta originale di 168 tubi disposti in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio
come mostraro in Figura 2.10. A differenza della fase 1, in questa seconda
fase la luce proveniente da ogni tubo, prima di arrivare al fotomoltiplicatore,
è raccolta da un collettore di alluminio detto Winston Cone, la cui lunghezza
varia da 80 mm per l’anello interno di tubi Cherenkov a 130 mm per l’anello
esterno, spessi 0.5 mm, ideati per aumentare l’efficienza di raccolta. A sua
volta la luce dal Winston Cone è raccolta da un fascio di fibre di 1 mm di
diametro con ”core” al quarzo. La scelta di questo materiale per le fibre è
stata fatta in base alla sua resistenza alle radiazioni. Nel disegno in alto di
Figura 2.9 si può vedere lo schema di accoppiamento fra il tubo Cherenkov,
il Winston Cone, la fibra e il fotomoltiplicatore finale; si nota che in questa
configurazione si ha la maggiore raccolta di luce possibile.
Sia in fase 1 che in fase 2 i tubi Cherenkov sono racchiusi da una struttura cilindrica di supporto (detta ”vessel”) di alluminio a tenuta di pressione
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
41
Figura 2.10: Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2.
riempito con un gas radiatore. Nominalmente la pressione a cui il LUCID
lavorerà sarà di poco superiore a quella atmosferica; in ogni caso il vessel è
stato disegnato per funzionare fino a pressioni di 2-3 atmosfere. Questo permette di aumentare la pressione del gas radiatore nel caso in cui si richieda
una maggiore quantità di luce. Infine in entrambe le fasi di funzionameno,
sul rivelatore LUCID verrà anche montato un sistema di LED all’ingresso dei
tubi Cherenkov che permetterà la calibrazione dell’intero apparato tramite il
controllo della risposta del sistema quando viene illuminato con un segnale
luminoso noto.
2.5.2
Il codice di simulazione di LUCID
Il rivelatore LUCID è stato adeguatamente simulato per riprodurre correttamente la condizioni sperimentali a cui sarà sottoposto una volta installato
in ATLAS.
La simulazione si compone di 3 blocchi principali. Innanzitutto, bisogna simulare le interazioni p − p e selezionare in particolare quelle che rientrano
nell’intervallo di accettanza in |η| del LUCID. Poi l’intero ATLAS deve essere
42
Figura 2.11: Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID.
simulato in modo da tracciare le particelle secondarie prodotte dall’interazione dei primari con gli elementi del rivelatore (magneti, calorimetri, linea
di fascio...). I primari sono principalmente π ± , mentre i secondari sono e±
e γ delle cascate elettromagnetiche (Fig. 2.11). Terza fase della simulazione
riguarda la costruzione del LUCID in tutte le sue specifiche componenti nel
volume che occuperà dopo installato.
Le coordinate dei punti d’impatto e i quadrivettori di tutte le particelle che
colpiscono il rivelatore sono usati per tracciare con GEANT4 la propagazione
all’interno del volume. Qui, i γ prodotti per effetto Cerenkov arrivano, dopo
riflessioni multiple sulle pareti, nella zona di raccolta dove si trovano i PMT.
Fondamentale risulta la stima della soglia dei fotorivelatori che permette di
ridurre il contributo al segnale di particelle secondarie e primarie che colpiscono di lato il LUCID (Fig. 2.12). Come mostrato in Figura 2.12, al
di sopra della soglia di 50 fotoelettroni il segnale è costituito da particelle
che colpiscono il rivelatore frontalmente attraversando il LUCID per tutta la
sua lunghezza e producendo fotoni Cherenkov sia nel gas sia sulla finestra di
quarzo dei PMT.
La stima della soglia sarà determinante anche per la scelta del metodo di
operatività del LUCID. Come mostrato in Figura 2.13, una volta calibrato
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
43
Figura 2.12: Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delle
particelle (primarie o secondarie).
Figura 2.13: Andamento della luminosità in funzione del numero di interazioni
per evento.
il rivelatore alla luminosità di 1027 cm−2 s−1 , la simulazione di estensione a
valori di L superiori mostra un comportamento lineare fino a valori dell’ordine di ∼ 1033 cm−2 s−1 .
44
Figura 2.14: Parziale perdità della linearità della risposta del LUCID ad alte
luminosità.
La cosa si fa più delicata nel passaggio alla luminosità finale di progetto di
LHC (dell’ordine di ∼ 1034 cm−2 s−1 corrispondente ad un numero di 20-30 interazioni per incrocio di pacchetto) dove le simulazioni (Fig. 2.14) mostrano
una parziale deviazione dalla linearità al variare della soglia fissata.
2.5.3
I test-beam effettuati su LUCID
Per testare il funzionemento del LUCID sono stati effettuati due testbeam [12] (agosto e dicembre 2006) all’acceleratore di particelle DESY di
Amburgo. Il set-up sperimentale (Fig. 2.15) era costituito dal fascio di e−
da 6 Gev del DESY e dal ”vessel” contenente 6 tubi riempiti di gas a pressione
Figura 2.15: Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del testbeam.
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
45
Figura 2.16: Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra)
e 0 bar (destra).
variabile da 0 a 2 bar. Vi erano inoltre tre scintillatori (S1, S2, S3) per il
trigger e 3 telescopi (T1, T2, T3) per controllare la forma e la posizione del
fascio.
Il programma del test-beam, prevedeva le seguenti serie di misure:
• un set di run di LED, per effettuare la calibrazione.
• un set di run di fascio nelle condizioni di lavoro previste per il LUCID:
1 atm di pressione per il gas e i tubi Cherenkov allineati rispetto al
fascio.
• uno scan in pressione, cambiando la presssione del gas isobutano nell’intervallo [0,2] atm, allo scopo di testare la risposta di pruduzione dei
fotoni per differenti indici di rifrazione del gas.
• uno scan angolare, ruotando il vessel attorno all’asse y, cambiando
l’angolo θ tra l’asse del vessel e la direzione z nell’intervallo [-3.0◦ ,
+3.0◦ ]. Lo scan angolare permette di testare la capacità di puntamento
del rivelatore.
I risultati ottenuti per i run di fascio nelle condizioni di lavoro per il LUCID,
mostrano (Fig. 2.16 a sinistra) tre picchi differenti del segnale (P0 ,P1 ,P2 ).
Questi picchi corrispondono rispettivamente al segnale causato dagli elettroni
46
Figura 2.17: Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno del
tubo del LUCID.
che ”triggerano” il sistema ma non entrano nel tubo (P0 ), al segnale Cherenkov nel gas (P1 ) ed al segnale Cherenkov nel gas e nella finestra di quarzo
del PMT (P2 ) (Fig. 2.17). Nel caso in cui le misure vengano effettuate alla
pressione di 0 bar (Fig. 2.16 a destra) si vede, come era prevedibile, la scomparsa del picco (P1 ) corrispondente alla luce Cherenkov emessa nel gas.
Il passo finale riguarda l’analisi dati ed il passaggio dai canali ADC al numero
di fotoelettroni (Fig. 2.18) ed il confronto dei dati con le simulazioni Montecarlo (MC). Questo è stato effettuato sia per tubi letti da fotomoltiplicatori
a singolo anodo (LUCID fase 1) sia per tubi letti da MAPMT (LUCID fase
2) con rispettivamente i seguenti risultati:
< Npe > = (117.4 ± 0.8) ± 10%
< Npe > = (9.5 ± 0.3)
Questi risultati sono forniti alla pressione nominale di 1 atm e l’errore del
10% viene dalle incertezze di calibrazione nel caso dei PMT, mentre per i
MAPMT è stato già inserito nell’errore totale.
Il sistema adottato per il LUCID di fase 2 e che fa uso di fibre ottiche, mostra
una produzione di fotoni 10 volte minore di quello adottato per la fase 1. La
spiegazione di questa violenta riduzione sta nella perdita di fotoni dovuta al
trasporto nelle fibre ed all’accoppiamento di queste con il tubo Cherenkov ed
il MAPMT.
In generale, comunque, i dati del test-beam mostrano un buon comportamento del dispositivo LUCID e le simulazioni MC forniscono una realistica
descrizione di tutti gli effetti fino ai PMT.
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
47
Figura 2.18: Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angolo
θ = 0 rispetto alla direzione del fascio.
2.5.4
La resistenza alla radiazione di LUCID
Durante il funzionamento, le componenti del LUCID saranno sottoposte ad una dose di radiazione molto elevata come previsto dalla simulazione
di Figura 2.19 relativa al flusso dei gamma ad ATLAS [13] nel periodo di
alta luminosità. Questo comporta che, sia in fase 1 che in fase 2, le parti
più sensibili del rivelatore siano altamente resistenti alla radiazione. Nella
struttura di progetto del LUCID l’alluminio che costituisce i tubi ed il gas
C4 F10 non si rivelano materiale soggetto ad alterazioni in ambiente radioattivo. Un’accurata verifica deve invece essere effettuata sui dispositivi attivi
quali i PMT, le cui caratteristiche sono state misurate prime e dopo irraggiamento da gamma [17]. Sui fotomoltiplicatori (Hamamatsu R762) previsti
per il LUCID sono state controllate le seguenti caratteristiche: ”dark current”, risposta spettrale e guadagno. L’irraggiamento con γ è avvenuto al
”National Physical Laboratory” (UK) con γ provenienti da
60
Co con dosi da
0.004 a 1 MRad/ora, per un totale di 20 MRad che corrisponde a 3 anni in
ambiente LHC alla massima luminosità e 30 anni alla luminosità di fase 1
del LUCID.
Le Figure 2.20 e 2.21 mostrano il confronto tra il PMT 1 e 2 prima e dopo
48
Figura 2.19: Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosità in un quadrante
dell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il riquadro in rosso evidenzia il
punto dove verrà installato il LUCID.
Figura 2.20: Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di dark
current in funzione del voltaggio dei PMT.
Capitolo 2. La misura della luminosità ad ATLAS
49
Figura 2.21: Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamento
da γ.
l’irraggiamento del PMT1 per quanto concerne ”dark current” e guadagno.
In definitiva queste misure mostrano una buona resistenza alla radiazione
da γ dei PMT testati, fatta eccezione per un aumento del valore di ”dark
current” (Fig. 2.20) che non pregiudica il corretto funzionamento dell’intero
apparato.
50
Capitolo 3
Verso un nuovo progetto di
luminometro
3.1
Introduzione
Come discusso nel Capitolo 2.5.3 i risultati dei test-beam indicano chiaramente che il rivelatore nella configurazione tubo-PMT lavora in modo soddisfacente nella fase 1 a bassa luminosità (L dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 ), mentre
la configurazione tubo-Winston cone-MAPMT risulta piuttosto inefficiente
nella fase 2 ad elevata luminosità (L dell’ordine di 1034 cm−2 s−1 ).
In particolare, in questa seconda fase il limite dell’attuale progetto è costituito dalla perdita di una frazione rilevante di fotoni Cherenkov nel Winston
cone e nella fibra con un conseguente minor numero di fotoelettroni prodotti
dal segnale (circa dieci volte inferiore rispetto a quello di fase 1).
Allo scopo di superare questa limitazione è stato necessario modificare in più
parti il progetto esistente. Si è pervenuti in questo modo alla definizione di
un nuovo progetto che sarà esposto dettagliatamente nei paragrafi seguenti.
In successione, il Paragrafo 3.2 è dedicato allo studio della radiazione esistente nella zona del rivelatore, necessario per definire le caratteristiche di
resistenza dei materiali utilizzati. La struttura complessiva del nuovo rivelatore è invece descritta nel Paragrafo 3.3. La definizione delle grandezze fisiche
da misurare nonché le misure di resistenza alla radiazione dei materiali che
costituiscono il nuovo rivelatore sono riportate nel Paragrafo 3.4 assieme alle
51
52
Figura 3.1: Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS.
(Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radiale
dall’asse del fascio).
cosiderazioni conclusive. L’ultimo Paragrafo 3.5 presanta in breve, i risultati
ottenuti testando su fascio un primo prototipo del rivelatore studiato.
3.2
L’ambiente del luminometro
Il luminometro è posizionato immediatamente a ridosso della linea di fascio in posizione simmetrica rispetto alla zona d’interazione ad una distanza
di circa 16.80 m. Se da un lato tale posizione ne migliora le prestazioni dall’altro espone il rivelatore ad una più elevata dose di radiazione.
Secondo le stime fornite dal Monte Carlo LUCID sarà esposto ad una dose
di circa 0.5-0.7 MRad/y nella fase iniziale (fase 1) e 5-7 MRad/y nella fase
finale a piena luminosità.
La stima Monte Carlo del flusso totale dei neutroni in un quadrante dell’esperimento ATLAS [13] è mostrato in Figura 3.1 mentre i flussi dei differenti
tipi di particelle nella regione occupata da LUCID sono riportati nella Tabella 3.1.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
Particella
e±
γ
n
p
π±
53
Flusso
18 MHz/cm2
93 MHz/cm2
50 MHz/cm2
0.3 MHz/cm2
1.5 MHz/cm2
Tabella 3.1: Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regine
occupata da LUCID.
Particella
e±
γ
n
p
π±
Energia depositata
0.80 MeV
0.15 MeV
0.87 MeV
0.88 MeV
0.72 MeV
Tabella 3.2: Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessore
di 2 mm di quarzo.
Si nota che nella regione di LUCID il contributo maggiore al flusso di particelle è di tipo elettromagnetico (γ e± ) costituendo circa il 68% del totale.
Dai flussi di particelle è possibile poi ottenere l’energia depositata nei diversi
meteriali che compongono il rivelatore. Dato che uno dei progetti prevede
il posizionamento di fotomoltiplicatori in coda ai tubi Cherenkov e dunque
nello stesso volume del rivelatore può essere utile riportare l’energia depositata su di uno spessore di quarzo di 2 mm (Tab. 3.2). Si osserva allora che
in termini di energia depositata i diversi tipi di particelle tendono a contribuire allo stesso modo con l’eccezione dei fotoni cui compete un contributo
5-6 volte inferiore. Tra queste particelle particolare attenzione deve essere
riservata ai neutroni.
3.2.1
Simulazioni Monte Carlo
Dato che i neutroni forniscono il principale contributo al bilancio della
energia depositata nella regione di LUCID è importante studiarne la distri-
Entries / 0.001 GeV
54
Neutron spectrum in the proximity of LUCID
105
Entries
546045
Mean
0.002451
RMS
0.02336
Underflow
0
Overflow
416
104
3
10
102
10
1
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
Neutron energy [GeV]
Figura 3.2: Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico dei
neutroni attesi nella zona del LUCID.
buzione in energia.
Il risultato della simulazione Monte Carlo è mostrato in Figura 3.2. Si nota che l’energia media dei neutroni che investono la regione del LUCID è
dell’ordine del MeV.
3.3
Lo schema generale del nuovo luminometro
Come discusso in precedenza (Par.2.5), l’elevata luminosità e dunque l’elevata radiazione attesa nella zona di LUCID nella fase 2 richiede alcune
sostanziali modifiche del progetto (raccolta di luce Cherenkov prodotta attraverso il sistema Winston cone-fibre anziché direttamente col fotomoltiplicatore) che determinano un peggioramento delle prestazioni.
Per questo motivo si è cercato di definire un progetto alternativo, specifico
per la fase di alta luminostà, costituito essenzialmente da sottili cilindri di
quarzo (bacchette) accoppiati a fibre ottiche attraverso un materiale diffusore
di luce (wave lenght shifter, WLS).
Da un punto di vista meccanico questa soluzione semplifica la struttura ge-
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
55
Figura 3.3: Schema grafico del cono di emissione Cherenkov.
nerale del rivelatore riducendone le dimensioni ed evitando l’utilizzo del gas
che richiede un complesso sistema di flussaggio (utilizzato per il ricambio del
C4 F10 degradato) e di mantenimento della pressione interna.
3.3.1
L’effetto Cherenkov
Come noto, l’effetto Cherenkov (Fig. 3.3) consiste nell’emissione di fotoni
da parte di particelle cariche che attraversano un materiale con una velocità
superiore a quella della luce nello stesso mezzo. L’emissione di radiazione
Cherenkov può essere interpretata attraverso la formazione di un’onda d’urto
a fronte conico con angolo di apertura, rispetto alla direzione di moto della
particella, dato dalla formula:
cosθC =
1 c
1
=
n(λ) v
n(λ)β
(3.1)
dove n è l’indice di rifrazione del mezzo, c la velocità della luce nel vuoto e
v la velocità della particella carica nel mezzo.
Un parametro essenziale nella progettazione di rivelatori di luce Cherenkov
è il numero di fotoni emessi per unità di cammino percorso e per unità di
lunghezza d’onda:
d 2 Nγ
2πz 2 α
=
dλdx
λ2
µ
1
1− 2 2
β n (λ)
¶
(3.2)
56
dove z è la carica della particella ed α è la costante di struttura fine. L’equazione (3.2) integrata su di un intervallo definito di lunghezze d’onda (che dovrà coincidere con l’intervallo di rivelazione del fotomoltiplicatore adottato)
e su di un percorso di lunghezza L fornisce il seguente risultato:
Nγ ≈ LN0 · sin2 θC
µ
¶
1
= LN0 · 1 − 2 2
β n
(3.3)
il quale mostra che il numero di fotoni emesso (Nγ ) è sostanzialmente proporzionale alla lunghezza del cammino (L) nel mezzo ed al quadrato del seno
dell’angolo di emissione (θc ).
Nell’ultima forma l’espressione chiarisce che il numero di fotoni Cherenkov
emessi da una particella carica aumenta sostanzialmente con l’aumentare del
valore di n del mezzo materiale che attraversa.
3.3.2
Le bacchette di quarzo
Dalle formule esposte nel paragrafo precedente risulta che l’unico modo
per elevare il numero di fotoni Cherenkov è quello di utilizzare un radiatore
otticamente denso. Dati i requisiti di facile reperibilità, facile lavorazione e
relativa economia un candidato ideale è il quarzo lavorato in sottili cilindri
che assicura un indice di rifrazione n = 1.46 invece del valore n = 1.00137
corrispondente al gas C4 F10 .
Un ulteriore vantaggio nell’utilizzo di bacchette di quarzo risiede nel fatto che
il salto di indice di rifrazione assicura il contenimento della luce Cherenkov
praticamente senza perdite.
Infatti quando la luce, viaggiando in un mezzo con indice di rifrazione n1 ,
incide su di una interfaccia con un mezzo di indice di rifrazione n2 (con
n1 > n2 ) con un angolo superiore all’angolo limite:
µ ¶
n2
θlimite = asin
n1
si ha il fenomeno della riflessione totale.
(3.4)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
57
Figura 3.4: Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta per
una particella incidente in un punto generico della sezione.
Considerando il caso mostrato in Figura 3.4 di una bacchetta di quarzo posta
nel vuoto, l’angolo di incidenza θigenerico per un fotone emesso in un punto
qualsiasi della bacchetta verifica:
θigenerico > θiestremo =
π
− θC ;
2
dunque:
sinθigenerico > sin
³π
´
1
1 n2
− θC = cosθC =
=
2
βn1
βn2 n1
che tramite la (3.4) diventa:
sinθigenerico >
1
sinθilimite
βn2
(3.5)
e da cui si ricava la condizione:
βn2 < 1
(3.6)
sempre soddisfatta assumendo il vuoto all’esterno della bacchetta.
La condizione (3.6) garantisce che, in condizioni ideali, tutta la luce Cherenkov emessa nella bacchetta sia riflessa internamente poiché l’angolo di
Entries / 200 p.e.
58
All particles
105
γ
Ch.
from Quartz Rod and PMT
Primaries (FRONT)
h4
Entries
Mean
RMS
Underflow
Overflow
4
57142
341
1.03e+03
0
33
Secondaries (FRONT)
10
Secondaries (SIDE)
3
10
102
10
0
5
10
×103
15
20
Number of p.e./Tube/Event
Figura 3.5: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nella bacchetta di quarzo.
incidenza dei fotoni sulle pareti della bacchetta risulta sempre maggiore di
quello limite.
La stessa situazione non si verifica utilizzando i tubi di alluminio che necessitano una lavorazione accurata delle superfici raggiungendo una riflettività
limite dell’ordine dell’80-90% con conseguente perdita di luce Cherenkov ad
ogni riflessione interna.
Dalle considerazioni precedenti emerge quindi che le bacchette di quarzo costituiscono, rispetto al sistema tubo + gas, una alternativa complessivamente
più efficiente per quanto riguarda il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal
passaggio di una particella carica.
La conferma di questa affermazione arriva anche dalle simulazioni Monte
Carlo. Analizzando un arrangiamento nel quale il fotomoltiplicatore (la cui
efficienza quantica è stata assunta costante e pari al 20% indipendentemente dallo spettro di lunghezze d’onda dei fotoni che incidono sul fotocatodo)
è accoppiato direttamente al rivelatore e quest’ultimo è irraggiato da una
radiazione di particelle cariche corrispondente sia a segnale che a fondo si
ottengono le seguenti distribuzioni del numero di fotoelettroni prodotti nel
Enrties / 1 p.e.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
105
γ
Ch.
from Gas and PMT
59
All particles
Primaries (FRONT)
104
Secondaries (FRONT)
Secondaries (SIDE)
103
102
10
0
50
100
150
200
Number of p.e./tube/event
Figura 3.6: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nel sistema tubo + gas.
caso di una bacchetta di lunghezza 30 cm (Fig. 3.5) e di un tubo riempito di
gas (C4 F10 ) (Fig. 3.6) di lunghezza 1.5 m. Si osserva immediatamente che
le bacchette sono in grado di isolare meglio gli eventi di segnale (Primaries
FRONT) fornendo un picco meglio definito. Inoltre assai più elevato risulta
il numero di fotoelettroni prodotti che è di circa 6000 contro i 65 del sistema
tubo + gas.
Sempre sul picco corrispondente alle bacchette si osserva un minor contributo di fotoelettroni provenienti da radiazione secondaria (secondaries FRONT
e SIDE) che indica una maggiore sensibilità alla direzione della radiazione
incidente da parte delle bacchette.
3.3.3
Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo
I fotoni prodotti per effetto Cherenkov all’interno del mezzo radiativo,
vengono trasportati sul fotocatodo dei fotomoltiplicatori (PMT) dove ha luogo la conversione in fotoelettroni di segnale.
I PMT, nella fase di alta luminosità prevista ad LHC, non garantistcono un
corretto funzionamento se posti in prossimità del rivelatore LUCID a causa
60
della elevata dose di radiazione (5-7 MRad/y) a cui sarebbero esposti.
Una possibile soluzione consiste nel collocare i fotomoltiplicatori in una zona
di sicurezza, lontano dalla linea del fascio. Il trasporto di fotoni sul fotocatodo dei PMT può essere effettuato per mezzo di un fascio di fibre ottiche
che fungono da guide d’onda della luce Cherenkov.
Le fibre ottiche sono caratterizzate da un parametro chiamato apertura numerica (N.A.) legato all’angolo massimo di incidenza dei fotoni propagabili
lungo la fibra:
N.A. = nsin(θmax )
(3.7)
Nella configurazione attualmente prevista per il LUCID (fase 2), i fotoni
vengono raccolti da fasci di fibre ottiche poste parallelamente all’asse del tubo. Per adattare la sezione circolare del tubo alle fibre viene interposto un
Winston-cone (vedi Par.2.5.1) che permette di focalizzare la luce prodotta
mantenendo elevata l’efficienza di raccolta. In questa geometria, l’ angolo di
emissione nel gas C4 F10 (≈ 3◦ ) coincide approssimativamente con l’angolo di
incidenza dei fotoni sulle fibre ed è minore dell’angolo di accettanza massimo
tipico di una fibra (≈ 20◦ ).
Nel caso del rivelatore a bacchette, un semplice sistema di lettura costituito
da un fascio di fibre accoppiato direttamente alle bacchette non consentirebbe l’estrazione del segnale. La luce prodotta dal passaggio di una particella
carica viene emessa nel quarzo ad un angolo di circa 45◦ (Eq. 3.1) che, essendo prossimo all’angolo limite, produce una condizione di riflessione interna
totale oppure trasmissione esterna radente alla superficie di separazione di
accoppiamento bacchetta-fibre. Di conseguenza, la luce Cherenkov non può
essere propagata attraverso le fibre (θmax < 45◦ ). Il problema della lettura di
luce Cherenkov emessa in radiatori al quarzo viene comunemente affrontato
nel campo della fisica delle alte energie ricorrendo a mezzi diffondenti del
tipo ”wave lenght shifter” (WLS) che avendo una bassa efficienza di rivelazione intrinseca (dell’ordine del percento) vengono tipicamente impiegati
nelle lettura di segnali intensi. I WLS sono materiali che assorbono luce in
una caratteristica banda di lunghezze d’onda e la riemettono per fluorescenza a lunghezze d’onda superiori (”shifting”) in maniera isotropa. Sfruttando
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
61
Figura 3.7: Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta.
questa proprietà si è pensato di estrarre i fotoni inserendo nella parte finale
dalla bacchetta un materiale di tipo WLS (Fig. 3.7) che permette di rivelare la frazione di fotoni emessi entro l’angolo solido di accettanza delle fibre
direttamante accoppiate allo scintillatore.
Il numero totale di fotoni rivelati (NDet ) può essere fattorizzato nei seguenti
termini:
LS
W LS
NDet = NCh ⊗ ²W
abs ⊗ ²emis ⊗ ²P M T × ²geo
(3.8)
dove NCh è il numero di fotoni Cherenkov emmessi in funzione della lunghezLS
LS
za d’onda (∝ ad 1/λ2 ), ²W
è l’efficienza di assorbimento del WLS, ²W
emis
abs
l’efficienza di riemissione del WLS, ²P M T è l’efficienza quantica (Q.E.) del
fotomoltiplicatore (percentuale di fotoni incidenti sul fotocatodo che vengono effettivamente convertiti in segnale), e ²geo è la frazione di fotoni diffusi
dal WLS e propagati dalle fibre ottiche. Le efficienze, tranne ²geo , dipendono
dalla lunghezza d’onda dei fotoni.
In Figura 3.8 vengono mostrati in funzione della lunghezza d’onda ed in scala
logaritmica di unità arbitrarie: lo spettro di emissione Cherenkov, lo spettro di assorbimento ed emissione del WLS KURARAY Y11 e l’andamento
dell’efficienza quantica del PMT HAMAMATSU R762 fornito dalla casa costruttrice.
La scelta dei fotomoltiplicatori R762 - già utilizzati per il LUCID - non risponde ad un criterio di ottimizzazione ma è stata effettuata per minimizzare
i tempi di realizzazione di un prototipo.
a. u.
62
Cherenkov emission function 1/ λ 2
WLS Kuraray Y11 absorption spectrum
102
WLS Kuraray Y11 emission spectrum
10
PMT Hamamatsu R762 Q.E.
1
10-1
10-2
10-3
200
300
400
500
600
700
Wave Length (nm)
Figura 3.8: Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle proprietà ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT Hamamatsu R762)
per il nuovo progetto di luminometro.
L’utilizzo del KURARAY Y11 è suggerito dalla sua elevata resistenza alla
radiazione come sarà esposto nel seguito del capitolo (vedi Par.3.4.7) anche
se la forma del suo spettro di emissione caratteristico (valore massimo per
λ = 475 nm) non è interamente contenuto nell’intervallo (300-500 nm) dove
il PMT raggiunge la massima efficienza quantica (20-25%).
Le proprietà dei materiali considerati e la geometria del sistema conducono
ad un numero medio di fotoelettroni rivelati pari a:
NDet = 30000 × 0.068 × 0.85 × 0.18 × 0.03 ≈ 10p.e.
(3.9)
LS
Il valore di ²W
(0.068) rappresenta la frazione di fotoni assorbiti dal WLS
abs
rispetto allo spettro Cherenkov emesso tra λ = 160 nm a λ = 700 (intervallo
LS
di sensibilità del PMT), ²W
emis = 0.85 è il valore tipico di efficienza di conver-
sione dei WLS, mentre ²P M T è il valore medio della Q.E. del PMT.
La stima di ²geo è stata effettuata in prima approssimazione come rapporto tra la superficie individuata dall’angolo solido di accettanza delle fibre
(≈ 20◦ ) e la superficie della sfera di raggio unitario. Si ottiene in questo
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
63
modo un valore di ²geo dell’ordine del 3%.
Il numero di fotoelettroni prodotti nel quarzo (NCh ) è stato ricavato dalla
simulazione Monte Carlo descritta al Paragrafo 3.3.3. Il segnale mostrato in Figura 3.5 corrisponde a 6000 fotoelettroni rivelati e quindi a 30000
(6000/< Q.E. >) fotoni generati (NCh ) in 30 cm di quarzo.
La relazione (3.9) mostra come le principali perdite di efficienza siano dovute
al taglio dello spettro Cherenkov effettuato dal WLS e alla limitata accettanza geometrica delle fibre ottiche.
Tuttavia, senza alcuna procedura di ottimizzazione, risulta già apprezzabile
che il numero di fotoelettroni atteso sia paragonabile a quello ottenuto dal
LUCID in fase 2.
La valutazione dei fattori di efficienza è stata completata tramite lo studio dell’effetto della radiazione presente in ambiente ATLAS sulle proprietà
ottiche dei materiali che compongono il nuovo luminometro.
3.4
La resistenza alla radiazione dei materiali
L’elevata radiazione attesa nella regione occupata dal luminometro (vedi
Par.3.2) soprattutto nella fase 2 di attività del collisionatore LHC rende lo
studio della resistenza alla radiazione dei materiali una parte cruciale dell’intero progetto.
Questo aspetto assume ancora maggiore rilevanza se si pensa che non sarà
possibile intervenire sui rivelatori dopo averne effettuata l’installazione, per
cui il deterioramento di una sua parte potrebbe pregiudicarne le prestazioni
su tutto l’arco della presa dati. Il progetto del luminometro che si sta discutendo prevede che i materiali esposti alla radiazione saranno essenzialmente
due:
• le bacchette di quarzo
• il ”wave lenght shifter” (WLS)
Di questi materiali è necessario studiare i parametri fisici che sono direttamente correlati alla funzione che svolgono all’interno del rivelatore.
64
Figura 3.9: Foto del campione sperimentale irraggiato.
In particolare nel caso delle bacchette si dovranno valutare l’indice di rifrazione ed il coefficiente di trasmissione che evidentemente regolano la propagazione della luce Cherenkov e dunque l’ottica dell’intero sistema mentre
nel caso del WLS si dovrà soprattutto valutare la frazione di luce emessa in
funzione di quella assorbita.
Per quanto riguarda il WLS è stato possibile affidarsi ad uno studio precedente condotto all’interno del progetto del ”Tile calorimeter” dell’esperimento
ATLAS che viene qui riportato (vedi Par.3.4.7) [22], mentre lo studio della
radiazione sull’indice di rifrazione e sul coefficiente di trasmissione è stato
ideato e realizzato all’interno del presente progetto e costituisce la parte centrale della tesi.
In generale, gli studi di resistenza alla radiazione dei materiali, si basano
sui test di irraggiamento con γ dai quali vengono poi ricavati risultati sui
neutroni tramite la conversione flusso-dose assorbita. Nel caso di materiali
ottici, e per il quarzo in particolare, sono presenti numerosi studi degli effetti
sulle proprietà ottiche dovuti all’irraggiamento da γ [14]. Si è quindi data la
priorità allo studio degli effetti sul quarzo dovuti alla componente adronica
(tra cui la parte dominante è rappresentata dai neutroni come mostrato in
Tab. 3.1) della radiazione presente in ambiente ATLAS in prossimità del
luminometro LUCID.
Per ottenere dati che possono essere direttamente correlati al rivelatore si è
deciso di sottoporre ad irraggiamento segmenti delle stesse bacchette di quarzo che saranno utilizzate nella sua costruzione (cilindri di 6 mm di diametro
e 9 cm di lunghezza come mostrato in Fig. 3.9).
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
65
Inoltre, dato che sono reperibili in commercio differenti tipi di quarzo si è
deciso di sottoporre ad irraggiamento almeno due di queste varietà identificate nel prosieguo con il nome della ditta costruttrice: Hera da Heraeus
ed Ital da Italquarz. Entrambe le ditte sono in grado di lavorare il quarzo
in forma di sottili cilindri, estraendolo da sabbie miste tramite processi di
fusione elettrica allo scopo di ottenere un elevato grado finale di purezza di
SiO2 riducendo al massimo la presenza di ioni OH che causano degrado del
materiale e una perdita di efficienza nella trasmissione della luce.
Le schede tecniche delle due ditte costruttrici hanno permesso di valutare
con cura il materiale più idoneo per lo studio effettuato in questa tesi; infatti necessitando la massima trasmissione nella regione visibile dello spettro
elettromagnetico, un elevato valore dell’indice di rifrazione e di purezza del
materiale sono stati acquistati campioni di quarzo SUPRASIL 1 dalla ditta
Heraeus [15] ed NH1-1100 dalla ditta Italquarz [16], in quanto corrispondenti
a tali esigenze. Vale la pena sottolineare che le ditte costruttrici garantiscono inoltre una resistenza alla radiazione da γ per una dose totale di 6 MRad
(pari ad un anno in ambiente LUCID nella fase 2 di LHC).
Le misure, come verrà commentato in maggior dettaglio nel seguito, sono
basate sul confronto diretto di due bacchette identiche ricavate tagliando i
segmenti di quarzo da un unico campione sperimentale prodotto da ciascuna
ditta.
Definendo A e B due campioni identici di materiale (due segmenti di bacchetta di quarzo ad esempio) l’idea è quella di misurare prima dell’irraggiamento
il valore di un certo parametro di riferimento (ad esempio l’indice di rifrazione) per entrambi i campioni ottenendo i valori PA e PB .
Una volta sottoposto ad irraggiamento uno solo dei campioni (il campione B
ad esempio) si deve poi ripetere la misura dello stesso parametro ottenendo i
valori P’A e P’B . Il confronto tra PB con P’B e PA con P’A fornisce una stima
quantitativa dell’effetto dell’irraggiamento indipendente da effetti sistematici
dovuti a misure effettuate in tempi diversi.
66
Figura 3.10: Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra)
ed in scala logaritmica (a destra).
3.4.1
La facility d’irraggiamento
Sulla base delle stime dei flussi di neutroni attesi nel volume occupato
dal LUCID e delle simulazioni Monte Carlo (Par.3.2), si è scelto di utilizzare
il reattore nucleare TAPIRO dei laboratori ENEA presso Casaccia (RM)
il quale fornisce neutroni veloci con una distribuzione in energia piccata al
valore del MeV che simula correttamente le condizioni di lavoro di LUCID
in ambiante ATLAS.
Il nocciolo del reattore di forma cilindrica di 12 cm di diametro e 15 cm
di altezza, è costituito da 22 kg di U 235 in grado di fornire un flusso di
neutroni dell’ordine di 9 × 1011 n·cm−2 s−1 a 2 cm di distanza. In Figura 3.10
è mostrato lo spettro energetico del reattore Tapiro dell’Enea di Casaccia
nella scala lineare (a sinistra) e logaritmica (a destra). Si nota che lo spettro
è di tipo esponenziale.
Il materiale è stato irraggiato per una durata complessiva di 1.5 h, sottoposto
cioè ad un flusso totale di 5 × 1014 n·cm−2 , corrispondonte a quello che si
avrebbe in prossimità di LUCID per 1 anno di funzionamento di LHC a
piena luminosità.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
67
Figura 3.11: Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS del
laboratorio di Bologna.
3.4.2
Il banco ottico
Le misure sull’alterazione delle proprietà ottiche dei materiali irradiati
con neutroni che saranno presentate nel seguito sono state tutte eseguite nel
laboratorio del gruppo AtlasLumi presso la sezione di Bologna dell’INFN attrezzato di recente con un banco ottico.
Il banco (Fig. 3.11) è costituito da binari in alluminio disposti in piano che
possono essere montati in diverse configurazioni e sui quali è possibile a sua
volta disporre in vario modo la strumentazione ottica.
Oltre a Laser di bassa potenza (5 mW) a stato solido (λ=405 nm, λ=635
nm) ed ad elio-neon (λ=543 nm) è disponibile anche una lampada allo Xenon
da 180 W che attraverso un monocromatore può fornire luce incoerente di
bassa intensità da λ=200 nm a λ=800 nm.
La strumentazione è convenzionale e consiste in fenditure regolabili, diaframmi, lenti, vetri assorbitori, prismi, specchi e divisori. Oltre a questa vi è una
meccanica per il montaggio su banco dell’ottica completa anche di movimentazioni micrometriche.
È stata inoltre prevista la possibilità di studiare su banco anche le fibre ot-
68
tiche per questo l’attrezzatura è completata con meccanica di supporto ed
ottica adatta alla immissione di luce laser nelle fibre ottiche.
Infine è disponibile un misuratore di intensità luminosa con fotodiodo al silicio di 10 mm di diametro in grado di misurare luce nell’intervallo di lunghezza
d’onda λ=400-1100 nm con una sensibilità di un nW ed una macchina fotografica digitale CANON da 8.1 MegaPixel che unitamente ad un programma
di elaborazione delle immagini permette di compiere misure di ottica geometrica di elevata precisione.
I setup sperimentali realizzati per le misure di resistenza alla radiazione sono
descritti in dettaglio in seguito nelle relative sezioni.
3.4.3
La misura dell’indice di rifrazione del quarzo
Come illustrato in precedenza, l’indice di rifrazione è il parametro ottico
che determina il numero di fotoni emessi per effetto Cherenkov e governa la
propagazione della luce all’interno della bacchetta, per cui lo studio della sua
eventuale alterazione, in seguito alla radiazione assorbita deve essere considerato di primaria importanza per valutare la stabilità nel tempo del nuovo
luminometro.
L’indice di rifrazione n è una proprietà caratteristica di ogni mezzo materiale definita come il rapporto tra la velocità di propagazione dell’onda
elettromagnetica nel vuoto c e quella nel mezzo v:
c
n= .
v
(3.10)
I metodi per la misura dell’indice di rifrazione dipendono in modo critico dalla forma geometrica del campione a disposizione (film sottili: rifrattometro
di Abbe; film molto sottili: metodi interferometrici).
Nel nostro caso nel quale i campioni hanno una geometria cilindrica (Fig.
3.9) la tecnica di misura è suggerita dalla possibilità di amplificare gli effetti della legge di Snell sfruttando la sezione circolare del campione che una
volta investito da un fronte d’onda sufficientemente esteso ed energicamente
uniforme da luogo ad un fenomeno ottico di particolare intersse noto con il
nome di caustica.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
69
Principio della misura
La caustica [18] [19], è definita come il luogo dei punti in cui l’intensità
dei raggi luminosi riflessi o rifratti da una superficie curva è massima.
Figura 3.12: Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curva
per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R.
Lo studio fisico della formazione della caustica può essere affrontato in modo
del tutto generale dal punto di vista dell’ottica ondulatoria tuttavia nel nostro caso risulta appropriata anche una trattazione basata sulla sola ottica
geometrica.
In Figura 3.12 è mostrato schematicamente il processo di formazione della
caustica per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto
h/R. Già qualitativamente ci si rende conto che la luce emergente risulta addensata a certi angoli anche se il fronte incidente risulta essere perfettamente
omogeneo.
Il calcolo, riportato dettagliatamente in Appendice A, mostra che l’angolo
θout a cui emerge la prima caustica dipende solamente dal rapporto tra l’indice di rifrazione del mezzo (n2 ) e quello dell’aria (n1 ). Pertanto la misura
di θout permette di ricavare l’indice di rifrazione del mezzo relativamente a
quello dell’aria.
θout(degrees)
70
Caustic Angle Function
60
θout(n2/n1)
50
40
30
20
1.2
1.25
1.3
1.35
1.4
1.45
1.5
1.55
1.6
n2/n1
Figura 3.13: Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2 /n1 tra gli
indici di rifrazione.
La formula cercata risulta essere (Fig. 3.13):



s
µ ¶2
n2 
n1 1
12 − 3
θout = 4arcsin 
n2 3
n1
 s

µ ¶2
1
n2  360
− 2arcsin 
12 − 3
3
n1
2π
(3.11)
ed una volta invertita attraverso una opportuna tabulazione può essere utilizzata per ottenere il rapporto degli indici di rifrazione a partire dal valore
misurato dell’angolo θout di emergenza della caustica.
Setup sperimentale e tecnica di misura
Le misure dell’indice di rifrazione sono state effettuate su banco ottico
tramite l’utilizzo di una lampada allo Xenon che permette di variare la lunghezza d’onda della luce incidente in maniera continua nell’intervallo da 300
a 660 nm nel quale sono stati considerati 14 diversi valori distanziati di circa
25 nm.
Oltre alla lampada allo Xenon, il setup sperimentale comprendeva due diaframmi con foro di 4 mm di diametro posti alla distanza di 32 cm seguiti da
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
71
Figura 3.14: Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure di
indice di rifrazione.
una lente di 75 cm di focale per minimizzare la divergenza dei raggi luminosi.
Il parallelismo del fascio incidente con l’asse ottico è stato sempre controllato
per mezzo di diaframmi con foro di 1 mm di diametro posti alla stessa altezza
e distanziati 150 cm.
Una volta disposta trasversalmente al fascio luminoso la bacchetta genera una
caustica che può essere proiettata e fotografata su di uno schermo orizzontale appoggiato sul binario ottico (Fig. 3.14). Per poter applicare l’equazione
(3.11) si deve misurare con la massima precisione la quota del centro della
bacchetta ripsetto al piano dello schermo e la distanza del piede della perpendicolare allo schermo condotta dal centro della bacchetta dal massimo di
intensità della caustica, ricavando poi θout per via trigonometrica.
L’uso di diaframmi e lenti focalizzanti necessari per assicurare una precisa
direzione della luce incidente, ne abbatte notevolmente l’intensità ed impone
che le misure vengano effettuate al buio fotografando la caustica con lunghi
tempi di esposizione (Fig. 3.15).
Dalla fotografia è possibile ricavare l’esatta posizione del massimo utilizzando il programma ImageJ di elaborazione delle immagini che, selezionando
72
Figura 3.15: Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra),
543 nm foto (destra).
un’area della foto, è in grado di fornire il valore dell’intensità luminosa integrata raccolta da ogni singolo pixel della superficie sensibile della macchina
fotografica.
La distanza in pixel del massimo di intensità luminosa della caustica può
essere poi convertita in millimetri attraverso il confronto con la distanza fissa
misurata con calibro di opportuni segni sullo schermo presenti in ogni fotografia e corrispondenti a due minimi di intensità.
In Figura 3.16 è mostrato il plot fornito dal programma ImageJ dove sono
visibili il massimo di intensità corrispondente alla caustica ed i minimi che
permettono la conversione della distanza da pixel a millimetri.
Per la misura finale si procede quindi in due passi successivi. Viene indicato
un valore di off-set L1 corrispondente alla distanza tra la proiezione del centro
della bacchetta sul piano ottico ed il minimo di intensità plottato programma ImageJ e fissato per la conversione in mm. A questo valore va sommato
quello di L2 (vedi Figura 3.14) fornito dal programma corrispondente alla
posizione del massimo di intensità che individua la caustica. Si ottiene cosı̀
L1 + L2 = Ltot che permette di ricavare θout trigonometricamente tramite la
relazione:
θout = arctg(h/Ltot ).
(3.12)
Il valore di θout si traduce nella misura di n2 /n1 utilizzando la tabulazione
dell’inversa della relazione (3.11).
Intensity (a.u.)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
50
73
Maximum and Minimums of Luminosity Intensity
40
30
20
10
0
500
1000
1500
2000
2500
Pixel Number
Figura 3.16: Plot dei valori di intensità integrata per pixel. Sono evidenti il
massimo relativo alla caustica ed i minimi di intensità fissati per la conversione in
cm.
In realtà la distanza Ltot deve essere corretta stimando un errore sistematico
associato al fatto che i raggi luminosi escono dalla bacchetta in un punto che
non coincide con l’estremo inferiore del diametro verticale (Fig. 3.17).
Questo spostamento L3 dipende dalla lunghezza d’onda della luce incidente e
va sottratto agli altri due valori L1 ed L2 . Perciò il valore corretto da inserire
nell’equazione (3.12) ha la forma seguente:
Ltot = L1 + L2 − L3 .
(3.13)
Il sistematico L3 viene calcolato andando a considerare gli angoli interni di
Figura 3.18 ricavando il valore di θsist ed applicando la relazione trigonometrica:
L3 = Rcos(θsist ),
(3.14)
dove R è il valore del raggio della bacchetta (0.3 cm) e
θsist = 2π − (θi + 2(π − 2θr ))
(3.15)
Analizzando invece il sistematico su h (Fig. 3.17), quest’ultimo risulta tra-
74
Figura 3.17:
Schema grafico degli errori sistematici associati alla misura
dell’indice di rifrazione.
Figura 3.18: Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3 .
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
75
scurabile in quanto introduce variazioni dh che non superano il valore di 0.15
mm e che portano ad una variazione dell’ordine di 10−3 gradi sull’angolo θout .
Questa variazione è di gran lunga minore dell’errore sperimentale associato
alla misura.
L’errore sperimentale è principalmente dovuto al non parallelismo dei raggi
luminosi provenienti dalla lampada allo Xenon e lo si è stimato valutando la
dimensione dello spot in due punti diversi del banco ottico a distanza nota.
Nelle misure effettuate, il diametro dello spot passava da d1 =6.84 mm a
d2 =11.18 mm lungo una distanza D=1171 mm che per mezzo dell’equazione:
¶
µ
180
d2 − d1
∆θout =
arctg
= 10−1
(3.16)
π
2D
fornisce l’angolo (in gradi) di disallineamento verticale del fascio. Questo
angolo si traduce direttamente nell’errore associabile alla misura di θout .
Utilizzando la tabulazione del valore di n2 /n1 in funzione di θout si ottiene
che a 10−1 gradi equivale un errore in ∆n pari a 10−3 sulla misura dell’indice
di rifrazione. Il valore ∆n = 10−3 è stato assunto come incertezza associata
alla misura di n2 /n1 .
3.4.4
Risultati sperimentali
In questa sezione vengono confrontati risultati dell’andamento di n2 /n1
del quarzo prima e dopo l’irraggiamento con neutroni veloci. In quel che
segue vengono indicati con la sigla Ital3 ed Hera3 i campioni sottoposti ad
irraggiamento, e con Ital1 ed Hera1 i campioni non irraggiati.
Una prima misura sulle bacchette, a verifica della validità del metodo di misura, consiste nel confronto (Fig. 3.19 e 3.20) dei valori dell’indice di rifrazione
ottenuti in laboratorio con quelli forniti dalle ditte costruttrici (∆n = 10−5 ).
Mentre per le bacchette Ital1/Ital3 le misure risultano compatibili entro gli
errori sperimentali (Fig. 3.19), si osservano invece deviazioni nel caso delle
bacchette Hera1/Hera3 (Fig. 3.20).
Un esame del campione mostra che tale deviazione è probabilmente dovuta
alla non perfetta circolarità della sua sezione. Un effetto sistematico dovuto alla geometria non ha alcuna influenza sulle misure qualora si abbia
n2/n1
76
1.49
ITAL1
1.485
ITAL3
ITAL Technical Schedule
1.48
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.19: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza
d’onda della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori della scheda
tecnica forniti dalla ditta costruttrice.
l’accortezza di orientare i campioni cilindrici nello stesso modo ogni volta si
effettuino le misure.
L’effetto riscontrato non vanifica, quindi anche nel caso delle bacchette Hera1/Hera3, lo scopo di poter individuare variazioni sostanziali dovute all’irraggiamento, in quanto le misure risultano perfettamente riproducibili a
parità di condizioni sperimentali e se la geometria del campione rimane inalterata.
Le condizioni di riproducibilità delle misure sono confermate dal confronto
dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette di controllo Ital1 e
Hera1 (Figg. 3.21 e 3.22) non irraggiate. I vaolori di n2 /n1 , nei due diversi
setup sperimentali allestiti per le misure prima e dopo irraggiamento risultano infatti perfattamente compatibili.
Di seguito, le Figure 3.23 e 3.24 mostrano rispettivamente il confronto dei
valori dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette Ital3 ed Hera3
prima e dopo il loro irraggiamento.
Infine, i grafici in Figura 3.25 e Figura 3.26 riportano, per ogni coppia di
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
77
campione sperimentale delle due ditte costruttrici (Ital3 ed Ital1) (Hera3 ed
Hera1), i valori dei rapporti tra le misure effettuate nei due setup sperimentali allestiti.
I grafici riportati mostrano come sulle bacchette di quarzo non si osservano
variazioni sostanziali del valore dell’indice di rifrazione, che entro gli errori
sperimentali non risulta essere un parametro sensibile all’irraggiamento da
n2/n1
neutroni.
1.485
HERA1
1.48
HERA3
HERA Technical Schedule
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.20: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza
d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori della
scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice.
n2/n1
78
1.49
ITAL1 first setup
1.485
ITAL1 second setup
1.48
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.21: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
n2/n1
Ital1 non irraggiata nei due setup sperimentali.
1.485
HERA1 first setup
1.48
HERA1 second setup
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.22: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
Hera1 non irraggiata nei due setup sperimentali.
n2/n1
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
79
1.49
ITAL3
1.485
ITAL3 IRRADIATED
1.48
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.23: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza
n2/n1
d’onda della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irraggiamento
con neutroni.
1.485
HERA3
1.48
HERA3 IRRADIATED
1.475
1.47
1.465
1.46
1.455
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.24: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza
d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’irraggiamento
con neutroni.
Refractive Index Ratio
80
Refractive Index Ratio for Irradiated Ital3 and not Irradiated Ital1
1.002
1
0.998
ITAL3
0.996
ITAL1
0.994
0.992
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.25: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
Refractive Index Ratio
sperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Ital1
di controllo.
Refractive Index Ratio for Irradiated Hera3 and not Irradiated Hera1
1.002
1
0.998
0.996
HERA3
HERA1
0.994
0.992
250
300
350
400
450
500
550
600
650
700
Wave length (nm)
Figura 3.26: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
sperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta
Hera1 di controllo.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
3.4.5
81
La misura del coefficiente di trasmissione del quarzo
Il secondo parametro ottico che richiede un accurato controllo per valutare l’efficienza del nuovo luminometro è il coefficiente di trasmissione delle
bacchette di quarzo. Questo non deve subire alterazioni dall’irraggiamento
e mantenersi il più elevato possibile, in modo da garantire che i fotoni prodotti per effetto Cherenkov non vengano riassorbiti dal mezzo stesso prima
di raggiungere il sistema di estrazione e di rivelazione.
Da un punto di vista teorico, la trasmissione (T ) e la riflessione (R) sulle interfacce di due mezzi sono regolate dalle relazioni di Fresnel, esposte
in dettaglio in Appendice B. Queste stabiliscono la percentuale di energia
che viene ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa di un’onda
elettromagnetica che incide sulla superficie di separezione tra due mezzi di
diverso indice di rifrazione. La sola misura di T in laboratorio risulta complessa in quanto richiderebbe un taglio sottile del campione e sarebbe poco
utile agli scopi prefissi poiché trascurerebbe l’attenuazione della luce dovuta
al mezzo stesso, quando è proprio l’effetto dell’irraggiamento sull’assorbimento del quarzo che si vuole controllare.
Una stima diretta dell’assorbimento delle baccette non è però possibile, poiché richiede che la luce trasmessa venga misurata all’interno del campione
sperimentale (valori P1 e P2 di Fig. 3.27).
Quello che si è quindi misurato è la potenza incidente (P1m ) normalmente
Figura 3.27:
Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente di
trasmissione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa P2m .
82
sulla prima faccia e quella trasmessa esternamente alla seconda (P2m ) dall’altra parte della bacchetta (Fig. 3.27).
Il valore di P2m misurato corrisponde alla potenza incidente P1m trasmessa
dalle due interfacce ed attenuata dal mezzo secondo la legge:
d
P (d) = P0 e− λ
(3.17)
dove (P0 ) è la potenza iniziale d la distanza percorsa nel mezzo e λ il coefficiente di attenuazione tipico del materiale.
Bisogna inoltre considerare in linea teorica anche il contributo dovuto alle
infinite riflessioni interne alla bacchetta, dunque l’espressione finale di P2m
all’ordine N risulta:
d
d
d
d
P2m = P1m T1 e− λ T2 + P1m T1 e− λ (R2 e− λ R1 e− λ )T2 +
d
d
d
... +P1m T1 e− λ (R2 e− λ R1 e− λ )N T2
d
≈ P1m T1 e− λ T2
(3.18)
dove l’ultimo passaggio si scrive in quanto il contributo del termine di secondo ordine risulta di un fattore 10−3 rispetto al primo. I pedici 1 e 2 sono
relativi alle due superfici di separazione.
Il rapporto P2m /P1m fornisce l’effettiva trasmissione della luce all’interno delle bacchette di quarzo includendone il comportamento sulle interfacce e la
propagazione nel mezzo ed è stato questo rapporto il parametro controllato
prima e dopo l’irraggiamento delle bacchette.
Per ottenere indicazioni immediate sulla lavorazione delle superfici dei campioni disponibili, è possibile confrontare la misura diretta del coefficiente
di riflessione delle bacchette con i valori teorici previsti dalla relazione di
Fresnel. Per angoli di incidenza piccoli (minori di circa 20◦ ) il valore di R
tende a quello per incidenza normale come mostrato in Figura B.5 esposta in
Appendice B. In questa situazione, il calcolo del valore teorico risulta semplice in quanto funzione del solo indice di rifrazione dei mezzi come espresso
dall’equazione:
R=
(n1 − n2 )2
(n1 + n2 )2
(3.19)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
83
Figura 3.28:
Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente di
trasmissione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti.
con nel caso specifico n1 indice di rifrazione dell’aria e n2 quello del quarzo. Il
controllo sulle superfici è stato effettuato con misure in riflessione ad angolo
θ = 12◦ .
Setup sperimentale
Le misure in trasmissione e riflessione sono state effettuate su banco ottico investendo la sezione circolare delle bacchette di quarzo con un fascio
uniforme.
Il setup sperimentale mostrato in Figura 3.28 comprendeva l’utilizzo di tre
laser che fornivano luce alle lunghezze d’onda di 635 nm, 543 nm e 405 nm
in modo da esplorare tre punti dello spettro visibile.
Lo spot puntiforme veniva esteso e reso uniforme utilizzando due lenti consecutive di lunghezze focali 25 mm e 500 mm poste alla distanza di 525 mm
pari alla somma dei fuochi. Infine il fascio veniva diaframmato per regolare la
sezione incidente a quella della bacchetta (diametro = 6 mm). Il parallelismo
del fascio all’asse ottico è stato sempre controllato tramite traguardi forati
del diametro di 1 mm posti alla distanza di 1.5 m.
Le misure della potenza del fascio laser sono state effettuate tramite il misu-
84
ratore THORLABS PM100 con sensibilità dell’ordine del nw. Questo strumento è interfacciato graficamente con un pc ed è dotato di un programma
che fornisce i valori della media e della deviazione standard dalla media per
un numero N di misure in un intervallo di tempo ∆t settati a piacimento.
Tutti i valori delle misure riportate e graficate relative a questa sezione sono
state effettuate mediando 10 misure consecutive con un intervallo di 0.5 s
l’una dall’altra. Questo sistema di acquisizione permette di minimizzare gli
errori sperimentali dovuti alle oscillazioni di potenza a cui sono soggetti i
laser.
Una ulteriore possibile fonte di errori sulle misure è dovuta al fondo di luce
presente nell’ambiente sperimentale. Per ovviare a questo problema il laboratorio di misura è stato perfettamente oscurato tramite pannelli assorbenti,
verificando inoltre ad ogni acquisizione che il fondo fosse nullo ovvero che in
assenza di luce incidente il misuratore segnasse il valore di 0 nW.
3.4.6
Risultati sperimentali
In questa sezione vengono riportati i valori delle misure effettuate in riflessione e trasmissione commentando i risultati ottenuti.
In ogni plot sono presenti due valori per ogni misura alle diverse lunghezze
d’onda dei tre laser per un totale di sei punti sperimentali. Ciascun valore
corrisponde ad una delle due facce (1 e 2) di ogni bacchetta scelta in modo
alterno come sezione incidente.
Si ricorda inoltre l’indicizzazione assunta in precedenza: Ital3 ed Hera3 sono
i campioni irraggiati; Ital1 ed Hera1 sono i campioni di controllo dei setup
sperimentali.
Risultati delle misure del coefficiente di riflessione
Nelle Figure 3.29 e 3.30 vengono presentati i valori del coefficiente di riflessione indicato in ordinata come il rapporto P.rif /P.inc, tra la potenza
riflessa e quella incidente, misurati sulle bacchette Ital3 ed Hera3 prima che
venissero irraggiate. I risultati vengono confrontati con i valori di Fresnel teorici calcolati applicando la relazione (3.19) dove n1 = 1 è assunto come valore
P.rif/P.inc (%)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
4
85
Ital3 Reflected Power
3.5
3
2.5
2
1.5
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
1
Fresnel coefficients
0.5
Incident Face 1 & 2
Figura 3.29: Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i valori di Fresnel
teorici.
costante per l’aria mentre per il quarzo il valore di n2 è quello corrispondente
alle tre lunghezze d’onda misurate e fornito dalla casa costruttrice. Come si
nota dai due plot, la bacchetta Ital3 (Fig. 3.29) mostra un comportamento
in buon accordo con le relazioni di Fresnel mentre si hanno forti deviazioni
dai valori teorici per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.30). Queste deviazioni sono
dovute alla luce diffusa ad angoli grandi che non rientra nell’accettanza del
misuratore e sono un indice della lavorazione delle superfici da parte delle
ditte produttrici.
In base ai risultati ottenuti per il valore di R ci si attende una maggiore
percentuale di luce trasmessa delle bacchette Ital, poiché anche il coefficiente
T risente della lavorazione sulle superfici di transizione.
Risultati delle misure del coefficiente di trasmissione
Nei plot seguenti vengono presentate le misure del rapporto P.tras/P.inc
dove P.inc è la potenza incidente sulla prima sezione della bacchetta e P.tras
è quella trasmessa esternamente alla seconda. La misura è stata effettuata
P.rif/P.inc (%)
86
4
Hera3 Reflected Power
3.5
3
2.5
2
1.5
1
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Fresnel coefficients
0.5
Incident Face 1&2
Figura 3.30: Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo incidente di 12◦ ed i valori
di Fresnel teorici.
sui campioni Ital3 ed Hera3 sottoposti ad irraggiamento e sulle bacchette
Ital1 ed Hera1 di controllo non irraggiate.
Contrariamente a quanto precedentemente visto per l’indice di rifrazione, le
Figure 3.31 e 3.32 mostrano un effetto notevole dovuto all’irraggiamento da
neutroni in entrambe le bacchette irraggiate.
In particolare alla lunghezza d’onda di 405 nm per la bacchetta Ital3 (Fig.
3.31) la potenza trasmessa scende da circa il 92% a circa il 70% in seguito
all’iirraggiamento. Stessa cosa accade per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.32) dove si ha una diminuzione di trasmissione ancora maggiore, in cui dall’85-90
% si passa a valori compresi tra il 55-60% post irraggiamento.
L’effetto non si osserva invece sulle bacchette di controllo Ital1 (Fig. 3.33)
ed Hera1 (Fig. 3.34) i cui valori misurati nei due setup sperimentali sono sostanzialmente gli stessi entro qualche percento. Questo permette di accertare
che la variazione osservata nei campioni irraggiati è dovuta esclusivamente
all’effetto del flusso di neutroni a cui sono stati sottoposti e non a differenti
condizioni sperimentali di misura prima e dopo l’irraggiamento.
P.tras/P.inc (%)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
100
87
Ital3 Transmicted Power before irradiation
95
90
85
80
75
70
red laser 635 nm
green laser 543 nm
65
blue laser 405 nm
60
55
P.tras/P.inc (%)
Incident Face 1 & 2
100
Ital3 Transmicted Power after irradiation
95
90
85
80
75
70
65
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
60
55
Incident Face 1 & 2
Figura 3.31: Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchetta
Ital3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento.
P.tras/P.inc (%)
88
100
Hera3 Transmicted Power before irradiation
95
90
85
80
75
70
65
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
60
55
P.tras/P.inc (%)
Incident Face 1 & 2
100
Hera3 Transmicted Power after irradiation
95
90
85
80
75
70
red laser 635 nm
green laser 543 nm
65
blue laser 405 nm
60
55
Incident Face 1 & 2
Figura 3.32: Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchetta
Hera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento.
P.tras/P.inc (%)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
100
89
Ital1 Transmicted Power first setup
95
90
85
80
75
70
red laser 635 nm
green laser 543 nm
65
blue laser 405 nm
60
55
P.tras/P.inc (%)
Incident Face 1 & 2
100
Ital1 Transmicted Power second setup
95
90
85
80
75
70
red laser 635 nm
green laser 543 nm
65
blue laser 405 nm
60
55
Incident Face 1 & 2
Figura 3.33: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Ital1 nei due setup sperimentali.
P.tras/P.inc (%)
90
100
Hera1 Transmicted Power first setup
95
90
85
80
75
70
red laser 635 nm
green laser 543 nm
65
blue laser 405 nm
60
55
P.tras/P.inc (%)
Incident Face 1 & 2
100
Hera1 Transmicted Power second setup
95
90
85
80
75
70
65
60
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
55
Incident Face 1 & 2
Figura 3.34: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Hera1 nei due setup sperimentali.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
3.4.7
91
Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11
Nel progetto proposto per il nuovo luminometro, il processo di estrazione
dei fotoni dalla bacchetta di quarzo è reso possibile grazie all’utilizzo di un
mezzo di tipo wave lenght shifter (WLS) (Par.3.3.3). La scelta di materiali
idonei a svolgere questo compito deve essere valutata con cura e, coerentemente a quanto già misurato direttamente sul quarzo, la resistenza alla
radiazione del WLS risulta cruciale per garantire una efficienza prolungata
nel tempo dell’intero dispositivo.
Gli studi qui riportati sul comportamento di differenti WLS sono stati effettuati per i test di resistenza alla radiazione del ”Tile Calorimeter” dell’esperimento ATLAS [22] dove vengono mostrati i valori della frazione di luce
emessa per quanto riguarda diversi tipi di fibre WLS (tra cui il KURARAY
Y11) testate prima e dopo l’irraggiamento con γ da
60
Co e con γ + neutroni
forniti da un reattore nucleare.
Irraggiamento con sorgenti di
60
Co
La procedura di irraggiamento prevedeva tre differenti zone, ottenute tramite schermaggio con piombo, con i seguenti tassi di radiazione forniti dalla
facility:
• A con una dose oraria pari a 40 Gy/h;
• B con una dose oraria pari a 11 Gy/h;
• C con una dose oraria pari a 5.5 Gy/h;
Le fibre testate, di lunghezza totale pari a 2 m, sono state irraggiate con una
dose trascurabile nei primi 50 cm (quelli in prossimità del fotorivelatore) ed
una dose media totale di 1.4 KGy nei restanti 150 cm per tutte e tre le rispettive dosi orarie (A, B e C). Prima e dopo l’irraggiamento è stata misurata la
frazione di luce emessa alle divrse distanze percorse all’interno del WLS.
In Tabella 3.3 viene riportata in maniera riassuntiva la frazione di luce emessa a 180 cm R(180) misurata in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento
(4 h, 60-90 giorni) in modo da valutare l’effetto immediato e permanente
92
Tipo di WLS
BCF91-A
KUR.Y11
S048-100-4
A,4h
0.84
0.82
0.39
A,90gg
0.81
0.90
0.57
B,4h
0.76
0.83
—
A,60gg
0.83
0.93
—
C,4h C,60gg
0.79
0.74
0.86
0.89
0.54
0.62
Rc(180)
0.79
0.91
0.66
Tabella 3.3: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differenti
dosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza di 180 cm ed in
tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h, 60-90 giorni). L’ultima colonna
Rc(180) è la stessa frazione di luce calcolata usando le lunghezze di attenuazione
misurate prima e dopo l’irraggiamento.
della radiazione sulle fibre.
I risultati ottenuti per i tre tipi di WLS riportati evidenziano come in generale il KURARAY Y11 sia il meno sensibile all’irraggiamento da γ in quanto
la perdita di luce sia immediata (misurata dopo 4h dall’irraggiamento) sia
permanente risulti compresa tra il 7 % e l’11 % alla distanza di 180 cm. Inoltre di particolare interesse è il dato riportato in ultima colonna (Rc(180)) che
rappresenta la frazione di luce emessa alla distanza di 180 cm, ma calcolata
con le lunghezze di attenuazione dei WLS misurate prima e dopo l’irraggiamento.
Il confronto di R(180) con Rc(180) permette di stabilire che il danno maggiore
subito da queste fibre viene dal degrado della lunghezza di attenuazione.
Irraggiamento in un reattore nucleare
Nel reattore portoghese per la ricerca nucleare (RPI) sono state irraggiate
in un campo misto (80 % γ + 20 % neutroni) fibre WLS di lunghezza 150
cm. La dose oraria di circa 15 KGy/h era applicata tra 100 e 150 cm per
una dose totale non uniforme massima di 10 KGy.
In questo caso, per le due fibre WLS BCF91-A e KURARAY Y11 che hanno
evidenziato migliore resistenza alla radiazione da γ, viene riportata in Tabella 3.4 la frazione di luce emessa (prima e dopo l’irraggiamento nel reattore)
ad una distanza di 130 cm R(130) per diversi tempi di ricovero dalla fine
dell’irraggiamento (1h, 2h, 20h, 6gg, 20gg).
I valori risultanti mostrano danni molto elevati (70-80 %) subito dopo l’ir-
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
Tipo di WLS
BCF91-A
KUR.Y11
1h
0.26
0.20
3h
0.30
0.22
20h 6gg
— 0.76
0.60 0.70
93
20gg
0.79
0.72
Tabella 3.4: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campo
misto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza di 130 cm ed
in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h, 3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni).
raggiamento mentre i danni permaneneti sono minori e comuni ad entrambe
le fibre testate che evidenziano un tempo di ricovero di sei giorni. Per il
KURARAY Y11 i danni in termini di luce persa sono dell’ordine del 28 %.
Anche in questo caso il danno permanente da irraggiamento è principalmente
dovuto ad un degrado della lunghezza di attenuazione delle fibre testate.
3.4.8
Considerazioni conclusive sulla resistenza alla radiazione dei materiali
Nell’analisi della resistenza alla radiazione dei materiali previsti per il
nuovo luminometro, le misure riportate sul WLS Kuraray Y11 ed in genere
anche sugli altri wave lenght shifter irraggiati sia con γ da
60
Co sia con un
campo misto di γ + neutroni fornito da un reattore nucleare, mostrano come
i danni da radiazione su questi tipi di fibre siano principalmente dovuti ad
un degrado della lunghezza di attenuazione.
Per quanto riguarda i campioni (bacchette) misurati direttamente in questo
lavoro, la stbilità del numero di fotoni Cherenkov prodotti nel quarzo è garantito dalle misure effettuate sul parametro ottico indice di rifrazione che
non risulta sensibile all’irraggiamento da neutroni.
Diversamente accade per la percentuale di luce trasmessa alle diverse lunghezze d’onda misurate (635 nm, 543 nm, 405 nm) dove viene a verificarsi
un calo consistente pari al 25 − 30% della trasmissione alla lunghezza d’onda
di 405 nm.
L’efficienza nel tempo in ambiente ATLAS del sistema bacchetta + WLS
sembra essere inevitabilmente dimunuita dai risultati ottenuti in quanto la
lunghezza d’onda di 405 nm rientra nel ”range” di lavoro del Kuraray Y11
94
(ed in genere dei comuni WLS) proposto nel sistema di estrazione dei fotoni
Cherenkov prodotti nel quarzo.
3.5
Prove su fascio di un primo prototipo
In seguito alle misure di resistenza alla radiazione effettuate sulle bacchette di quarzo, si è potuto realizzare in tempo breve, vista la semplicità
meccanica del dispositivo, un prototipo di luminometro secondo lo schema
generale presentato al Paragrafo 3.3.
Anche in assenza di una simulazione Monte Carlo dettagliata che sarà sviluppata successivamente si è pensato di testare su fascio il prototipo in modo
da avere una prima indicazione sulla risposta dello strumento a particelle
cariche di alta energia.
Il test è stato effettuato nel mese di ottobre 2007 ed ha avuto luogo presso l’area test (H-8) del CERN (Ginevra) riservata ad ATLAS situata a Prevessin,
lungo l’SPS (Super-Proto-Sincrotrone).
3.5.1
Descrizione del prototipo
Il prototipo testato era costituito da un cilindro di PVC nero a tenuta di
luce contenente una bacchetta di quarzo lunga 30 cm sezionata a 45◦ rispetto
al proprio asse (Fig. 3.35). La parte terminale della bacchetta è stata forata
centralmente per una lunghezza pari a 10 mm ed un diametro pari a 2 mm
per inserirvi il materiale plastico scintillante (WLS KURURAY Y 11). Il
WLS è stato poi accoppiato otticamente ad un fascio di 7 fibre ottiche del
diametro di 1 mm ciascuna connessa a loro volta alla finestra di un PMT a
singolo anodo del tipo HAMAMATSU R762. Inoltre, sul cilindro contenitore
della bacchetta era presente un foro per inserire una singola fibra, accoppiata
al taglio a 45◦ della bacchetta, che serviva a fornire il segnale di LED per la
calibrazione del sistema.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
95
Figura 3.35: Vista generale delle singole componenti del prototipo.
3.5.2
Le misure
Il fascio incidente era costituito da pioni di 180 GeV di energia ed il prototipo era stato accuratamente disposto lungo la linea di fascio dai ”surveyors”
del CERN.
Il programma delle misure effettuate sul prototipo era cosı̀ composto:
• run di led per la calibrazione del sistema;
• run di segnale con il prototipo allineato al fascio (angolo = 0◦ );
• run di segnale con il prototipo inclinato a 45◦ e 90◦ per valutare l’ampiezza del segnale delle particelle che provengono di lato;
Per ciauscuno dei run elencato sopra è stata effettuata l’acquisizione di 20000
eventi.
Dato il carattere preliminare delle misure non è obbiettivo di questo lavoro
presentare in dettaglio il setup sperimentale, l’elettronica ed il sistema di
acquisizione.
Procedendo per ordine secondo il programma elencato si è per prima cosa
96
effettuata la calibrazione del sistema ricavando il numero di canali ADC
corrispondenti al segnale di singolo fotoelettrone con l’obbiettivo di ottenere
il numero di fotoelettroni corrispondenti al segnale registrato su fascio.
3.5.3
I risultati
In questa sezione vengono presentati i risultati ottenuti durante il testbeam secondo il programma precedentemente elencato.
Calibrazione
La calibrazione del prototipo consiste nell’illuminare debolmente il sistema in modo che si verifichi la condizione di segnale di singolo fotoelettrone.
Questa particolare situazione si realizza quando la luce incidente sulla finestra del fotocatodo del PMT produce l’emissione di un singolo elettrone per
effetto fotoelettrico.
Il segnale di singolo fotoelettrone è stato ottenuto impulsando un LED con
una ampiezza di 3 V alla frequenza di 50 MHz (durata 20 ns). L’impulso
di LED veniva trasportato alla bacchetta tramite una fibra ottica singola
incidente normalmente sulla sezione a 45◦ della bachetta.
Questa configurazione assicura che i fotoni trasportati dalla fibra viaggino
all’interno della bacchetta con lo stesso angolo, rispetto all’asse, di fotoni
Cherenkov prodotti dalle particelle cariche che interessano (angolo di emissione Cherenkov ≈ 45◦ ).
Come mostrato in Figura 3.36 la distribuzione del segnale di singolo fotoelettrone presenta un picco corrispondente al piedistallo con un ecceso di eventi
di segnale a canali di ADC immaditamente superiori.
Lo spettro ADC è fittato con una funzione Gaussiana per il piedistallo ed
una convoluzione di Gaussiane per il segnale:
S(x) = G(Q0 , σ0 ) +
+∞ −µ
X
e
n=0
n!
µn ∗ G(Qn , σn ).
(3.20)
dove la sommatoria rappresenta una funzione poissoniana che descrive la
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
97
Figura 3.36: Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato.
probabilità di avere n fotoelettroni se la media attesa è µ, pesata per la
distribuzione di carica per eventi con n fotoelettroni G(Qn , σn ).
Elencati a lato in Figura 3.36 sono presentati i parametri liberi della funzione
di fit:
1. Q0 , posizione del piedistallo.
2. σ0 , deviazione standard del piedistallo.
3. Q1 , carica media in unità ADC prodotta da un fotoelettrone alla fine
del sistema di amplificazione.
4. σ1 /(σ1 )P oisson è il rapporto tra la deviazione standard della distribuzione di singolo fotoelettrone ed il suo valore ottenuto assumendo un
statistica pefettamente poissoniana.
5. < Npe > è µ, la media dei fotoelettroni attesi per lo spettro considerato.
Il parametro di interesse è Q1 detto anche costante di calibrazione che rappresenta la distanza espressa in bin di ADC tra il picco di piedistallo e quello
di singolo fotoelettrone.
98
Figura 3.37: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 45◦ (in rosso).
Il valore della costante di calibrazione che si estrae applicando la procedura
di fit allo spettro ottenuto risulta:
Qprototipo
= 11.6 ± 0.1
1
(3.21)
espresso in unità ADC con una incertezza sul parametro dell’ordine del 1 %.
Segnale
Una volta calibrato, il prototipo è stato posizionato sul fascio in tre diverse configurazioni: 0◦ , 45◦ e 90◦ (angolo tra l’asse della bacchetta e la linea
di fascio).
Nelle Figure 3.37 e 3.38 sono mostrati gli spettri ADC del segnale registrato
a 0◦ sovrapposto a quello registrato a 45◦ e 90◦ .
Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta è allineata è costituito essenzialmente da un picco, corrispondente al piedistallo dell’ADC posizionato
attorno al canale 190 (circa 0 fotoelettroni), e da una distribuzione di eventi poco strutturata che si estende fino al canale 900 (circa 60 fotoelettroni)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro
99
Figura 3.38: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 90◦ (in verde).
(Figg. 3.37 e 3.38).
Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta forma un angolo di 45◦ (Fig.
3.37) e 90◦ (Fig. 3.37) invece risulta compreso in pochi bin attorno al piedistallo.
Si ottiene pertanto l’indicazione positiva che il prototipo possiede una forte sensibilità alla direzione delle particelle incidenti e che agendo con una
semplice soglia è possibile separare in modo efficiente il segnale proveniente
da particelle che attraversano la bacchetta parallelamente all’asse da quello
delle particelle che l’attraversano trasversalmente.
Emerge anche l’indicazione che il prototipo, quando viene investito da particelle cariche dirette parallelamente all’asse della bacchetta tende a rispondere
in modo assai differenziato con segnali da 0 fino a 60 fotoelettroni. Per comprendere adeguatamente questo comportamento che dipende sia dalla distribuzione dei parametri d’urto delle tracce cariche nel fascio che dai dettagli
della geometria del prototipo è necessario disporre di un Monte Carlo, che
attualmente è in fase di scrittura, e che consentirà anche di ottimizzare il
100
sistema di trasferimento della luce dalla bacchetta alle fibre ottiche.
Conclusioni
Nella presente tesi si è iniziato lo studio di un prototipo di luminometro
basato sull’effetto Cherenkov (LUCID) da utilizzare nella fase 2 di funzionamento del collisionatore LHC quando la luminosità raggiungerà il valore di
1034 cm−2 s−1 . Le simulazioni Monte Carlo mostrano infatti che nella regione
occupata dal luminometro la dose di radiazione salirà dal valore di 0.5-0.7
MRad/y previsto per la fase iniziale al valore di 5-7 MRad/y. In queste condizioni la tenuta nel tempo dell’attuale progetto, anch’esso basato sull’effetto
Cherenkov ma che prevede fotomoltiplicatori posizionati in coda al rivelatore
e dunque nella stessa regione di elevata radiazione, non è garantita.
Per questo si è iniziato lo studio di possibili soluzioni alternative che permettano di allontanare i fotomoltiplicatori dalla regione del rivelatore. In
generale questo è possibile solo se si riesce ad aumentare corrispondentemente l’intensità del segnale ovvero il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal
passaggio delle particelle cariche.
Ci si è quindi orientati verso uno schema che prevede l’utilizzo di un mezzo radiativo di elevata densità ottica (n=1.46) quale il quarzo, che presenta
evidenti vantaggi di economicità e facilità di lavorazione, sagomato in sottili
cilindri per assicurare il trasporto della luce Cherenkov attraverso le riflessioni interne.
Data questa scelta un primo problema da risolvere riguarda l’efficienza del
trasferimento della radiazione Cherenkov dalla bacchetta di quarzo alle fibre
ottiche che raggiungeranno il fotomoltiplicatore. Questo è un punto delicato
in quanto l’elevato valore dell’indice di rifrazione (utile per aumentare il segnale) comporta anche un elevato angolo di emissione Cherenkov (circa 45◦ )
101
102
e dunque una radiazione luminosa al di fuori della normale apertura numerica delle fibre ottiche (circa 20◦ ). Per questo motivo si è pensato di inserire,
nella parte terminale della bacchetta, un segmento di ”wave lenght shifter”
(WLS) in grado di diffondere la luce incidente in tutte le direzioni e quindi,
in parte, anche all’interno della apertura numerica delle fibre.
Premesso che la geometria del sistema non è stata ancora ottimizzata lo scopo principale di questa tesi è quello di verificare la resistenza alla radiazione
dei materiali impiegati. Dato che la resistenza alla radiazione del WLS è già
stata misurata all’interno della collaborazione ATLAS (i risultati mostrano
che si ha un degrado della lunghezza di attenuazione del mezzo) si è proceduto allo studio dettagliato della resistenza alla radiazione del quarzo.
Per questo si sono definiti i parametri ottici da misurare che nel caso in esame
risultano essere l’indice di rifrazione (che governa l’aspetto geometrico della
propagazione della luce) ed il coefficiente di trasmissione (che governa l’efficienza nella trasmissione della luce) e si sono sopratutto definite le tecniche
di misura.
Mentre per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione la tecnica di misura è quella standard basata sostanzialmente sulla misura della intensità della
radiazione in ingresso ed in uscita dalla bacchetta, per l’indice di rifrazione si
individuata un tecnica originale basata sulla misura dell’angolo di emergenza
delle caustiche.
Successivamente campioni delle bacchette di quarzo sono stati irraggiati con
gli intensi flussi di neutroni forniti dal reattore TAPIRO presso i Laboratori della Casaccia dell’Enea (5 × 1014 n·cm−2 ) corrispondenti a circa un anno
di permanenza nella regione di LUCID all’interno dell’esperimento ATLAS
nella fase di massima luminosità del collisionatore LHC.
Il confronto ripetuto di due campioni, uno solo dei quali irraggiato, ha permesso di effettuare una misura degli effetti indotti sia sull’indice di rifrazione
che sul coefficiente di trasmissione.
I risultati mostrano che l’indice di rifrazione del quarzo non subisce apprezzabili alterazioni in tutto l’intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 300 e
660 nm.
Conclusioni
103
Per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione invece si registra un sensibile degrado verso la regione della lunghezze d’onda più corte. In particolare
si osserva una diminuzione del coefficiente di trasmissione dell’ordine del 25%
alla lunghezza d’onda λ=405 nm. Questo fatto indica che sarà necessario valutare con cura la diminuzione nella efficienza di trasferimento dei fotoni che
è basata sulle proprietà del WLS che lavora proprio in questo intervallo di
lunghezze d’onda.
A completamento di questa fase di studio preliminare si è costruito un primo
prototipo e lo si è collocato sul fascio di pioni da 180 GeV presso l’area H8
del CERN. I risultati ottenuti mostrano una notevole sensibilità alla direzione della radiazione carica incidente ed un numero di fotoelettroni su di un
fotomoltiplicatore connesso al rivelatore attraverso un fascio di fibre ottiche
sufficientemente elevato.
Nel loro complesso i risultati ottenuti fino a questo punto mostrano che il rivelatore proposto è in grado di assicurare le prestazioni richieste per un tempo sufficientemente lungo anche nell’elevata radiazione ambientale esistente
nella regione di LUCID.
104
Appendice A
La caustica
Al fine di ottenere la relazione che lega l’angolo a cui compare la prima
caustica θout al rapporto n2 /n1 tra l’indice di rifrazione del mezzo (n2 ) e
quello dell’aria (n1 ), esprimiamo innanzitutto θout in funzione degli angoli di
incidenza (θi ) e di rifrazione (θr ), e del numero N di riflessioni interne dei
raggi luminosi.
Le formule di seguito riportate fanno riferimento alla Figura A.1 dove è mostrata la geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso
incidente la sezione circolare della bacchetta.
θout = (θi − θr ) + N (2π − 2θr ) + (θi − θr )
(A.1)
= 2θi − 2θr (N + 1) + 2N π.
Ora utilizzando la legge di Snell:
n1 sinθi
=
n2 sinθr ;
h/R = sinθi ;
=⇒ θi = arcsin(h/R);
(A.2)
h
R
tra la distanza h del raggio
possiamo scrivere θout in funzione del rapporto
luminoso dal piano centrale della bacchetta ed il suo raggio R.
µ
θout = 2arcsin(h/R) − 2(N + 1)arcsin
105
n1 h
n2 R
¶
+ 2N π
(A.3)
106
Figura A.1: Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso.
Dobbiamo ora ricavarci la relazione che lega il rapporto
h
R
al valore n2 /n1 .
Per farlo imponiamo la condizione che realizza la caustica, massimizzando la
d²
dθout
dove d² è la densità di energia elettromagnetica:
d²
dh
= ²0 cE 2 L
−→ ∞,
dθout
dθout
(A.4)
questo si traduce, usando l’espressione (A.3), nella seguente condizione:
dθout
1/R
n1 /(n2 R)
= 2q
− 2(N + 1) r
³
´2 = 0,
¡
¢
dh
h 2
n
h
1− R
1− 1
(A.5)
n2 R
da cui si ricava:
n2
h
=
R
n1
r
(N + 1)2 (n1 /n2 )2 − 1
,
N 2 + 2N
(A.6)
che sostituita nella (A.3) per N = 1 fornisce la relazione tra l’indice di rifrazione del mezzo e la posizione angolare della prima caustica:
Appendice A. La caustica

107

s
µ
¶2

n2 
n1 1
θout = 4arcsin 
12 − 3
n2 3
n1
 s

µ ¶2
1
n2  360
− 2arcsin 
12 − 3
3
n1
2π
(A.7)
108
Appendice B
Relazioni di Fresnel
Il passaggio di un’onda elettromagnetica da un mezzo con indice di rifrazione n1 ad un altro con differente indice di rifrazione n2 è regolato dalla
legge di Snell per quanto riguarda la direzione di propagazione, mentre le
relazioni di Fresnel descrivono come l’intensità di un raggio luminoso viene
ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa.
Le relazioni di Fresnel permettono cioè di ricavare le espressioni per i coefficienti di riflessione e di trasmissione dell’ampiezza del campo elettrico oscillante dell’onda (le stesse relazioni valgono anche per l’ampiezza del campo
magnetico).
Si ragiona separatamente sulle ampiezze delle due componeneti Ep (parallela) ed Es (perpendicolare), ottenute rispettivamente proiettando il vettore E
Figura B.1:
Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico e
magnetico considerate nelle relazioni di Fresnel.
109
110
nel piano d’incidenza e sulla normale ad esso. In Figura B.1 sono illustrate
le componenti del campo elettrico e magnetico considerate.
Caso 1, componente di E nel piano di incidenza (p) Facendo riferimento alla Figura B.1 (schema di sinistra), e considerando la componente
dei campi polarizzata nel piano di incidenza, le relazioni di Fresnel per
le ampiezze del campo elettrico si scrivono:
rp =
tp =
0
E0ip
tg(θi − θr )
n2 cosθi − n1 cosθr
=
.
=
E0ip
tg(θi + θr )
n2 cosθi + n1 cosθr
E0rp
2sinθr cosθi
2n1 cosθi
=
=
.
E0ip
sin(θi + θr )cos(θi − θr )
n2 cosθi + n1 cosθr
(B.1)
(B.2)
Caso 2, componente di E normale al piano di incidenza (s) In questo caso riferendosi alla schema di destra della Figura B.1 si ottiene
per le componenti delle ampiezze del campo elettrico perpendicolare al
piano d’incidenza:
rs =
ts =
0
E0is
sin(θi − θr )
n1 cosθi − n2 cosθr
=−
=
.
E0is
sin(θi + θr )
n1 cosθi + n2 cosθr
(B.3)
E0rs
2sinθr cosθi
2n1 cosθi
=
=
.
E0is
sin(θi + θr )
n1 cosθi + n2 cosθr
(B.4)
Ciò che si misura in laboratorio è l’energia ottica trasportata dal raggio luminoso nell’unità di tempo, ossia la potenza luminosa P . L’intensità luminosa
è legata alla potenza luminosa e al campo elettrico dalla relazione:
P
E2
∝ 0,
S
2Z
(B.5)
dove S è la sezione del fascio luminoso e Z =
p
µ/ε è l’impedenza ottica del
I=
mezzo.
Appendice B. Relazioni di Fresnel
111
Figura B.2: Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapporto
tra la potenza trasmessa e quella incidente è diverso da quello delle corrispondenti
intensità.
Definiamo quindi il coefficiente di riflessione R come il rapporto tra la potenza
ottica riflessa Pi0 e quella incidente Pi :
0
E2
Pr
= 0i
,
R=
2
Pi
E0i
(B.6)
ed il coefficiente di trasmissione T come il rapporto tra la potenza ottica
trasmessa Pr e quella incidente Pi
T =
2
Pr
Ir Sr
n2 E0r
cosθr
=
=
,
2
Pi
Ii Si
n1 E0i cosθi
(B.7)
dove i coseni sono dovuti alla trasformazione della sezione del fascio luminoso
mostrata in figura B.2.
Sostituendo in queste equazioni le espressioni delle relazioni di Fresnel ricaviamo i valori dei coefficienti di riflessione e di trasmissione scritte per le
componenti parallele (p) e perpendicolari (s) al piano di incidenza:
0
2
E0ip
Rp = 2 =
E0ip
Tp =
µ
n2 cosθi − n1 cosθr
n2 cosθi + n1 cosθr
¶2
2
E0rp
4n1 n2 cosθi cosθr
=
.
2
E0ip
(n2 cosθi + n1 cosθr )2
.
(B.8)
(B.9)
112
Figura B.3: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza
θi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5.
0
2
E0is
Rs = 2 =
E0is
Ts =
µ
n1 cosθi − n2 cosθr
n1 cosθi + n2 cosθr
¶2
.
2
E0rs
4n1 n2 cosθi cosθr
=
.
2
E0is
(n1 cosθi + n2 cosθr )2
(B.10)
(B.11)
Le espressioni ottenute sono rappresentate in Figura B.3. Per ciascuna componente del campo, la somma dei due coefficienti vale sempre 1, garantendo
la conservazione dell’energia.
Nel caso in cui l’onda incide da un mezzo più rifrangente ad uno meno rifrangente valgono le stesse relazioni che portano ai grafici di Figura B.3, salvo
che bisogna tener conto della presenza dell’angolo limite come mostrato in
Figura B.4 nel caso n1 = 1.5 e n2 = 1.
Se la luce incidente non è polarizzata, si può ragionare come se essa in ogni
istante risultasse dalla combinazione di due componenti, una polarizzata p e
l’altra s, ciascuna di potenza ottica pari al 50% di quella totale. I coefficienti
di riflessione e di trasmissione sarebbero allora dati da:
R=
1
(Rs + Rp )
2
T =
1
(Ts + Tp )
2
con
R+T =1
Appendice B. Relazioni di Fresnel
113
Figura B.4: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza
θi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1.
Figura B.5: R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenza
θi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1 (destra).
ed avrebbero l’andamento illustrato in Figura B.5.
Infine l’ultima cosa da considerare riguarda la condizione in cui i raggi della
luce incidente siano perpendicolari alla superficie di separazione dei due mezzi
(incidenza normale). In questa situazione essendo θi ≈ θr ≈ 0 le espressioni
114
per R e T si semplificano notevolmente risultando:
R=
(n1 − n2 )2
(n1 + n2 )2
(B.12)
T =
4n1 n2
(n1 + n2 )2
(B.13)
sempre verificando la condizione R + T = 1.
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[23] ”Study of Quartz Fiber Radiation Hardness.” CMS TN-9.
Elenco delle figure
1.1
Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle sale sperimentali e delle strutture di accesso. . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2
Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore con
indicate le componenti costitutive.
1.3
4
. . . . . . . . . . . . . . . .
6
A sinistra: sono mostrati sul piano (mA , tanβ) tutti i segnali del
bosone di Higgs ad una luminosità integrata di 10 fb−1 per esperimento (ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della
MSSM osservabili ad LHC da ATLAS ad una luminosità di 300
fb−1
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.4
Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimento ATLAS. 10
1.5
Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT). 12
1.6
Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT). . . . . 13
1.7
Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . 15
1.8
Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS. . . . . 16
1.9
Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimento
ATLAS.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.10 Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS. . . . . . 19
1.11 Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizione dell’esperimento ATLAS.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.12 Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometro
muonico (LVL1 trigger). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.13 Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid”
(LCG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
117
118
2.1
Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone di Higgs
in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di
misura della luminosità (simboli vuoti 10%, pieni 5%).
. . . . . . 26
2.2
Prospetto generale di una Roman Pot. . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.3
Prospetto generale del rivelatore di luminosità ALFA. . . . . . . . 32
2.4
Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA. . . . . . . 33
2.5
Distribuzione e fit della luminosità del parametro t: (sinistra)
rappresentazione lineare e (destra) logaritmica. . . . . . . . . . . 34
2.6
Prospetto generale del calorimetro ZDC. . . . . . . . . . . . . . . 35
2.7
Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS. . . . . . . . . . . . . . 38
2.8
Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID. . . . 39
2.9
Configurazioni possibili delle unità del rivelatore LUCID. In alto: accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso:
accoppiamento diretto tubo, PMT. . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.10 Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2. . . 41
2.11 Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID. 42
2.12 Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delle
particelle (primarie o secondarie). . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.13 Andamento della luminosità in funzione del numero di interazioni
per evento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.14 Parziale perdità della linearità della risposta del LUCID ad alte
luminosità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2.15 Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del test-beam. 44
2.16 Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra)
e 0 bar (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.17 Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno del
tubo del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.18 Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angolo
θ = 0 rispetto alla direzione del fascio. . . . . . . . . . . . . . . . 47
ELENCO DELLE FIGURE
119
2.19 Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosità in un quadrante
dell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal
punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il
riquadro in rosso evidenzia il punto dove verrà installato il LUCID. 48
2.20 Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di dark
current in funzione del voltaggio dei PMT. . . . . . . . . . . . . . 48
2.21 Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamento
da γ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.1
Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS.
(Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R:
distanza radiale dall’asse del fascio). . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.2
Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico dei
neutroni attesi nella zona del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.3
Schema grafico del cono di emissione Cherenkov.
. . . . . . . . . 55
3.4
Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta
per una particella incidente in un punto generico della sezione. . . 57
3.5
Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nella bacchetta di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.6
Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nel sistema tubo + gas.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.7
Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta. 61
3.8
Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle proprietà ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT
Hamamatsu R762) per il nuovo progetto di luminometro. . . . . . 62
3.9
Foto del campione sperimentale irraggiato. . . . . . . . . . . . . . 64
3.10 Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra)
ed in scala logaritmica (a destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.11 Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS del laboratorio di Bologna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.12 Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curva per
raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R. 69
120
3.13 Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2 /n1 tra gli
indici di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
3.14 Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure di
indice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
3.15 Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra),
543 nm foto (destra).
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
3.16 Plot dei valori di intensità integrata per pixel. Sono evidenti il
massimo relativo alla caustica ed i minimi di intensità fissati per
la conversione in cm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
3.17 Schema grafico degli errori sistematici associati alla misura dell’indice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
3.18 Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3 . . . . . . . . 74
3.19 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori
della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice.
. . . . . . . . 76
3.20 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori
della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice.
. . . . . . . . 77
3.21 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
Ital1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78
3.22 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
Hera1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78
3.23 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3.24 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’onda della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’irraggiamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3.25 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
sperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per
la bacchetta Ital1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
ELENCO DELLE FIGURE
121
3.26 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
sperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per
la bacchetta Hera1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
3.27 Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente di trasmissione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa
P2m . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
3.28 Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente di trasmissione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti. . . . . . . . 83
3.29 Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i
valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
3.30 Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif /P.inc misurati ad un angolo incidente di
12◦ ed i valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
3.31 Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchetta
Ital3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento.
. . . . . . 87
3.32 Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchetta
Hera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. . . . . . . 88
3.33 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Ital1 nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . . . 89
3.34 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Hera1 nei due setup sperimentali.
. . . . . . . . . . 90
3.35 Vista generale delle singole componenti del prototipo. . . . . . . . 95
3.36 Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato. . . . . . . . 97
3.37 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 45◦ (in rosso).
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.38 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 90◦ (in verde). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
A.1 Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso. . 106
B.1 Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico e magnetico considerate nelle relazioni di Fresnel.
. . . . . . . . . . . 109
122
B.2 Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapporto tra
la potenza trasmessa e quella incidente è diverso da quello delle
corrispondenti intensità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
B.3 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5.
. . . . . . 112
B.4 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sinistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1. . . . . . . . 113
B.5 R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenza
θi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1
(destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Elenco delle tabelle
1.1
Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisioni
pp alla luminosità di progetto.
3.1
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regine
occupata da LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.2
Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessore
di 2 mm di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.3
Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differenti
dosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza
di 180 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h,
60-90 giorni). L’ultima colonna Rc(180) è la stessa frazione di luce
calcolata usando le lunghezze di attenuazione misurate prima e
dopo l’irraggiamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
3.4
Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campo
misto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza
di 130 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h,
3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
123
124
Ringraziamenti
Desidero ringraziare il prof. Nicola Semprini Cesari per il tempo dedicatomi in questo lavoro, e tutto il gruppo AtlasLumi di Bologna con cui ho
trascorso questo periodo. Un ringraziamento particolare va ad Antonello per
la disponibilità e le competenze informatiche condivise.
Ringrazio la mia famiglia, zii e zie, cugini e cugine per tutto il sostegno ricevuto in questi anni di università. Un ringraziamento profondo va ai miei
nonni per avermi insegnato l’amore per la Terra ed il valore delle cose semplici.
Ringrazio gli amici e le amiche: Ale, Dream ed Hutch compagni di una vita;
Teo ed Ivonne, Chiox e l’Ale, Betta Riccardo ed Emanuel recchia di gomma; i coinquilini/e: Ubi Ciocco e Moró, Annina Fede Osvaldo e Flaviuccia;
l’Hotel Filippone tutto, passato e presente, reale e virtuale: Filippó, Socio,
Capitano, Tank, Silva, Francesca, Mimmo, Cile, i cugini Spaccaforno, Vittorio, Laurinda, Ludovica, Nicoladancona, Marta, Angela.....; le Bolognesi Frà
e Chiara; Matilde da Roma e tutti/e coloro che porto nel cuore ma che non
riesco ad esprimere con le parole.
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