Le competenze filosofiche nella formazione Competenze distintive per le professioni che si confrontano con sistemi umani complessi Stefania Contesini1 Riassunto L’articolo si propone di evidenziare le ragioni, il senso e l’importanza di adottare un approccio filosofico nella formazione e nella consulenza organizzativa. Via maestra per aprire la strada a praticare la filosofia nei contesti formativi è ripensare al concetto di razionalità, al suo significato e al suo statuto. Significa liberare tale categoria dalla gabbia che l’ha imprigionata negli stretti confini di una razionalità strumentale e calcolistica così da poterla vedere all’opera in tutti gli ambiti in cui è in gioco la relazione, la comunicazione, il potere, l’etica, la definizione dei problemi, la necessità di fare delle scelte. Il discorso filosofico, quel metodo che si dà come discorso razionale rivolto al vero, al bene e al giusto, è portatore di competenze distintive che si rivelano sempre più indispensabili per leggere, interpretare e governare quei sistemi complessi di azione e scambio comunicativo che contraddistinguono il nostro tempo. In questo la filosofia mostra di possedere non solo una valenza teorica e conoscitiva ma anche una vera e propria “efficacia pratica” e trasformativa. Parole chiave: razionalità, filosofia, competenze, formazione, pratica, complessità Parlare di filosofia e formazione in una sezione dedicata a metodi e strumenti è già partire con il piede giusto. La questione del metodo, meglio ancora dei metodi, è una questione filosofica per eccellenza e non solo a partire dalla nascita della scienza moderna ma fin dagli albori della filosofia quando essa si è costituita come una particolare forma di discorso, come un Stefania Contesini, formatrice e filosofa 1 metodo peculiare per acquisire il sapere, continuamente ripreso e rielaborato nel corso della sua tradizione millenaria. Il termine “metodo”, in greco méthodos, significa “via”, “cammino”, “strada” da percorrere: un metodo si dà come un particolare punto di vista, un modo di pensare che guida e informa la natura della conoscenza che andrà ad acquisire; non è uno strumento neutro ma esprime una opzione determinata. L’opzione del metodo filosofico nel momento in cui ha preso forma distinguendosi dal quello mitico-simbolico è quello del discorso razionale, di un sapere guidato dal retto giudizio e dalla corretta argomentazione. L’espressione “discorso razionale” da alcuni anni a questa parte sembra però non godere di un’ottima fama nel contesto della formazione organizzativa, nei casi in cui l’obiettivo sia sviluppare competenze trasversali e manageriali. Non di rado esso viene assimilato a qualcosa di statico, procedurale, impersonale, burocratico e comunque sempre ricondotto alla tradizionale lezione ex cathedra. E’ evidente che l’alone di formalismo che accompagna il discorso razionale non favorisce l’introduzione di un approccio filosofico nel mondo della formazione, o almeno non nel senso che qui cercherò di presentare, e anzi rinforza l’atavico pregiudizio per cui fare filosofia significa solo occuparsi di cose astratte ed è quindi poco adatta a penetrare in contesti concreti come le organizzazioni dove la parola magica è performare. Accanto a questo modo di concepire la razionalità si è andato sviluppando nei decenni scorsi, ed è ancora oggi ampiamente praticato (nonostante stia perdendo un po’ del proprio smalto anche per l’inflazione delle proposte non sempre di qualità) un approccio formativo prevalentemente fondato sulla scoperta, l’interpretazione e l’utilizzo delle emozioni. Tale modalità “espressivo-partecipativa” (anch’essa a tutti gli effetti un metodo nel senso considerato sopra e cioè una “via” retta da determinate opzioni teoriche impossibile eliminare del tutto la teoria, sebbene oggi sembri essere più funzionale ridurla all’osso avendo cura soprattutto di mantenerla tacita) si è proposta come occasione privilegiata di espressione per le menti e i corpi degli individui, in risposta ad un bisogno diffuso proveniente da diverse istanze sociali, di allentamento dei legami, di spinta alla creatività individuale e di gruppo, di liberazione del desiderio. Diverse sono le ragioni culturali, epistemologiche e sociali responsabili di questo modo di intendere la razionalità e, come contraltare, dell’attenzione senza precedenti rivolta alla sfera emotiva, ragioni complesse che non è possibile qui ricostruire, ma che si concretizzano in una concezione tecnostrumentale del discorso razionale. Si tratta di una concezione della razionalità di tipo calcolistico fatta propria dalla teoria economica e vista come la capacità delle persone di anticipare 2 le conseguenze delle proprie azioni e distinguere ciò che è loro più conveniente. Una razionalità dunque limitata all'utilità ed efficacia dei mezzi al fine di realizzare un possibile tecnico, come ben rappresentato dalla “teoria della scelta razionale”, cui si rifà buona parte della letteratura organizzativa, per cui un comportamento razionale è quel comportamento che ha per obiettivo la realizzazione (e massimizzazione) dell’interesse personale. Secondo questa impostazione l’elemento razionale è efficace e pertinente quando siamo alle prese con la risoluzione di problematiche a carattere tecnico mentre per tutte le altre questioni, relazionali, valoriali e identitarie, sembra essere più appropriato, oltre che efficace, rivolgersi ad altri approcci e metodi. Si capisce allora meglio la direzione intrapresa dal mondo della formazione e delle organizzazioni che, credendo di operare per un ritorno ad una logica più “umanistica del discorso organizzativo”, hanno adottato come paradigma privilegiato quello emozionale. Una visione così limitata ha contribuito alla scarsa presenza di pratiche razionali e discorsive di tipo filosofico in quei contesti formativi finalizzati allo sviluppo del personale. Che questo atteggiamento rappresenti una perdita in quanto tralascia una fetta importante della potenzialità formativa, costituisce il senso profondo della tesi che qui si vuole proporre. Diventa indispensabile aprire i confini della categoria di razionalità alle diverse dimensioni dell’agire (non solo quindi a quelle orientate alla massimizzazione dell’efficacia) così da valorizzare tutte le risorse che la ragione offre per farsi carico delle differenti questioni che caratterizzano la vita professionale. Non si vuole con ciò screditare in alcun modo l’attenzione posta sulla sfera emotiva magari a vantaggio di una idea di razionalità che tutto ricopre e determina, neppure questo è l’atteggiamento della filosofia che da sempre ha dovuto fare i conti con l’universo delle passioni e del sentire (sentimenti, emozioni, affetti). D’altra parte non è sostenibile pensare a una ragione sganciata dal sentire, né lo sarebbe ridurre l’ambito dell’umano alla sola dimensione della coscienza. Se dunque rimane indiscutibile l’importanza della componente emotiva nell’apprendimento di capacità e risorse, la differenza consiste semmai nel modo di rapportarsi a questa dimensione da parte del discorso razionale (ecco che ritorna la questione del metodo: non è forse inutile ricordare che anche approcci fortemente “emotivisti” sono fondati a loro volta su premesse filosofico-metafisiche, riguardanti ad esempio la natura e il funzionamento dell’uomo e della psiche, le sue finalità, la natura dei sistemi sociali, sebbene non vengano esplicitati). Per inciso un confronto fra paradigmi diversi rispetto al tema delle emozioni e all’uso della ragione, il che implica uno sguardo metariflessivo tipico della 3 filosofia, è certamente utile per chi svolge il ruolo di formatore in quanto allena non solo ad accomodarsi dentro un sapere specifico ma anche a guardarlo da fuori e vederne le cornici di riferimento anche grazie il confronto con altri saperi e metodi. Ritengo pertanto, e siamo arrivati dopo una lunga premessa al cuore della proposta, che prendere in considerazione la possibilità di forti contaminazioni tra filosofia e formazione significhi ripensare al concetto e allo statuto della razionalità, allargarne i confini così da non relegarla al comportamento strategico e calcolistico o alla sola capacità di riconoscere e accogliere norme e obblighi, ma riuscire a vederla all’opera in tutti gli ambiti in cui è in gioco la relazione, la comunicazione, il potere, l’etica, la definizione dei problemi, la necessità di fare delle scelte. In una parola occorre dire sì ad un concetto di razionalità estesa, indispensabile per leggere, interpretare e governare quei sistemi complessi di azione e scambio comunicativo che contraddistinguono il nostro tempo. Solo se facciamo nostra l’idea che accanto a una razionalità strumentale esiste una razionalità riflessiva centrata sul giudizio che ricerca le buone ragioni per agire, una razionalità pratica che discrimina i valori e cerca di dare giustificazione delle proprie scelte, una razionalità come dialogo tra persone che articolano e chiariscono le proprie posizioni e al tempo stesso comprendono e riconoscono quelle dei propri interlocutori, una razionalità incarnata nelle pratiche quotidiane di vita e di lavoro che può e deve essere ricostruita per comprendere come agiamo, pensiamo e persino parliamo, allora possiamo riconosciamo un ruolo rilevante alla filosofia. Si tratta di una razionalità che non si limita a dispiegare il suo potere nella facoltà conoscitiva, nelle sue forme classiche dell’analisi e della comprensione dei problemi, ma anche in una funzione trasformativa del sé e dei suoi rapporti con la realtà. In una parola una razionalità che a differenza di quella intesa in senso strumentale, aiuti gli individui e le organizzazioni non solo a ottenere ciò che vogliono ma anche a chiarire meglio quel che vogliono, quel che è giusto, utile, sostenibile, volere. Le competenze filosofiche per la formazione Da diversi anni si parla di pratiche filosofiche nella consulenza e nella formazione agli individui, ai gruppi e alle organizzazioni e su questo tema esiste ormai un’ampia letteratura italiana e straniera. Si tratta di saggi, articoli, testimonianze, inventari sull’uso della filosofia fuori dagli usuali steccati accademici e con finalità che vanno oltre quelle classiche della ricerca e dell’insegnamento. Esiste un fiorire di iniziative in tante parti di 4 Italia e all’esterno, nei contesti più diversi: dal sociale al sanitario, dall’educativo, al mondo delle organizzazioni pubbliche e private. Per una maggiore comprensione del fenomeno rimando ad alcuni titoli riportati in bibliografia. Se è vero che all’ampia diffusione del dibatto sull’uso pratico della filosofia non corrisponde ancora una domanda forte in grado di dar prova della bontà ed efficacia di queste proposte, ritengo ci siano già validi motivi per vedere nella filosofia, nelle sue distintive competenze di riflessione, ragionamento, dialogo e approfondimento critico, la possibilità di incontrare e soddisfare alcuni bisogni fondamentali che caratterizzano questo nostro terzo millennio e di cui la formazione non può non farsi carico. Difficile spiegare in poche righe la specificità di uno uso della filosofia nella formazione e nella consulenza e dar conto di esperienze e interventi concreti, cercherò comunque di offrire qualche spunto a partire da una delimitazione del campo. Non si tratta tanto di offrire occasioni di approfondimento culturale alle organizzazioni tramite la realizzazione di convegni e seminari su temi di valenza generale come ad esempio “La questione dell’identità nell’epoca post-moderna” oppure “La fiducia come elemento vitale di coesione sociale e stabilità dei mercati” (strada che in realtà alcune grandi organizzazioni particolarmente illuminate stanno già percorrendo e che ha una propria dignità e utilità in quanto offre interessanti spunti di riflessione per leggere il quotidiano con altri occhi). Neppure è il caso di impegnare i corsisti nell’esegesi di complicati testi filosofici, piuttosto, come spero si sia almeno in parte colto da questa breve presentazione, di avvalersi della via aperta dalla filosofia scegliendo fra i suoi metodi e strumenti quelli più adatti per allenare e attrezzare i singoli e le organizzazioni alle sfide del presente e del futuro. Di seguito qualche esempio di alcune “competenze filosofiche” e di come esse incontrino e corrispondano alle attuali esigenze delle persone e delle organizzazioni. Alla filosofia viene riconosciuta da sempre la facoltà di porsi come collettore di saperi, esigenza quanto mai fondamentale e strategica in un momento in cui la frammentazione e la parcellizzazione delle conoscenze sta raggiungendo livelli impensati fino a un secolo fa, creando intralci nella comprensione e nella comunicazione, difficoltà di orientamento nelle persone e disuguaglianze rispetto ai saperi. Come ci ricorda Gianluca Bocchi, filosofo della scienza ma anche formatore nelle organizzazioni: ‹‹Questa necessità [di connessione dei saperi] aumenta ancora di più se ci si riferisce ai mondi professionali della tecnologia, dell’architettura, della 5 salute o della medicina, dove il senso e le connessioni non sono date in modo evidente e immediato, e dove la ricerca di narrazioni e quadri di riferimento costituisce una esigenza sempre più sentita2›› (p. XII). Si avverte la necessità di un’area di traduzione, di una sfera in cui concetti specializzati possono essere letti e compresi alla luce di un sapere che utilizzi categorie più universali e in questo la filosofia, con la sua capacità di fare connessioni, di interagire fungendo da interfaccia tra mondi, linguaggi e significati differenti, è in grado di dare un contributo decisivo. Altrettanto strategica è quella razionalità riflessiva che si indirizza ai modi di agire e abitare le proprie identità professionali, identità dai confini spesso mutevoli, incerti e sempre più in discussione. In un’epoca in cui i processi di individualizzazione pongono in primo piano un’esigenza crescente di autonomia e responsabilizzazione da parte dei singoli, sottoposti all’imperativo di costruirsi un “progetto di vita”, con il suo correlato di incertezza e disorientamento, la filosofia grazie alla sua prerogativa di chiarificazione, comprensione e orientamento, non può che essere chiama in causa. E ancora, la facoltà di argomentare, costruire discorsi in grado di persuadere e scambiare ragioni (altra cosa dal più comune public speaking), di nuovo competenze distintive della filosofia, diventa sempre più importante oggi dove la valenza comunicativa intesa come scambio di simboli e padroneggiamento della interazione linguistica assume grande importanza nell’esercizio delle professioni a tutti i livelli. Un argomentare in grado di persuadere con valide ragioni della bontà dei propri obiettivi, capace di individuare forme improprie di ragionamento, di mescolare la buona retorica con l’attenzione al vero e al giusto, sono competenze fondamentali per concorrere, come recitano i parametri posti come obiettivo dalla Comunità Europea, alla costituzione di una società della conoscenza e della sostenibilità. E ancora, sapere collocare una situazione e un problema in una cornice di riferimento più ampia, saper ricondurre le posizioni in gioco ai diversi inquadramenti valoriali che le sostengono, prendere decisioni attraverso un corretto uso della facoltà di giudizio là dove non sia possibile, cosa sempre più frequente, affidarsi al mero calcolo (e cioè in quei casi in cui la posta in gioco non è nell’ordine del “più o meno” ma piuttosto di “questo è più importante di quello”), è una competenza molto raffinata, ma non di meno utile e necessaria nell’agire quotidiano, che la filosofia esercita da sempre anche attraverso la branca dell’etica. 2 Bocchi G., Prefazione in Contesini S., Frega R., Ruffini C., Tomelleri S., (2005) Fare cose con la filosofia, Milano, Apogeo 6 Allo stesso modo saper maneggiare i concetti, soprattutto quelli complessi, sfaccettati, non immediatamente evidenti nel loro significato, quelli che più risentono del mutare dei tempi, fortemente sensibili ai contesti e alle diversità delle teorie che li esprimono. Questa facoltà, fondamentale se non si vuole essere unicamente parlati dal nostro linguaggio ma mantenere su di esso una certa padronanza per governare la sua traduzione in azioni e comportamenti, fa del sapere filosofico il sapere più vocato a partire dalla famosa domanda socratica che sollecitava i propri interlocutori interrogandoli su ‘il che cosa è’ delle cose. La necessità di convivere con le differenze, di trovare vie di integrazione con il diverso richiede inoltre di essere in grado di comprendere, riconoscere, mediare con i presupposti impliciti che governano le nostre credenze e opinioni, di nuovo un tratto tipico della filosofia che per suo costume indaga e porta ad emersione le conoscenze tacite che stanno dietro ai nostri discorsi e comportamenti. Mantenere un atteggiamento di ricerca, di apertura al nuovo, come testimonia l’abito filosofico da Socrate a Dewey, è essenziale per un’epoca che fa della innovazione e della creatività valori sacri per crescere e competere in un mondo sempre più globale. Così come incentivare nelle persone l’attitudine a fare domande, a porsi in modo critico rispetto alle situazioni e ai saperi, valorizzando i dubbi più delle certezze, non dando mai per scontate le proprie ‘verità’, costituiscono atteggiamenti indispensabili per farsi lavoratori e professionisti capaci e consapevoli dei propri diritti e doveri ma soprattutto attivi cittadini del nostro tempo. L’elenco potrebbe continuare ma spero di aver mostrato con questi brevi accenni che parlare di filosofia e formazione o di filosofia nella formazione significa rendere i destinatari di un momento formativo sensibili e partecipi di un metodo, contribuire a innalzare il loro livello di attenzione rispetto a determinate problematiche e ad alcuni concetti fondamentali, trasmettergli una particolare attitudine nel ragionare, analizzare e comprendere, nel vivere le relazioni nel rispetto dialogico dell’altro, nel fare scelte consapevoli, e ancora renderli partecipi di una naturale diffidenza rispetto alle frasi fatte e ai luoghi comuni impugnati come verità, e non da ultimo cercare di trasmettere loro la bellezza che si sprigiona da un “pensiero saputo”. Si tratta di attitudini, abiti di comportamento ma soprattutto, di “unità complesse di competenze” il cui esercizio è fondamentale per essere attori e non solo spettatori del nostro tempo, per far fronte, come direbbe Urlich Beck, a ‹‹gli imperativi delle ‘libertà rischiose’ con il suo correlato di opportunità ma anche di disagio, incertezza e disorientamento in cui si 7 imbatte la vita con l’avanzare della modernità.3›› (p.12); è per questo che, come ci ricordano le parole di Giacomo Marramao: ‹‹E tuttavia vale forse la pena, oggi più di ieri, di puntare sulla filosofia come su una pratica relazionale che si serve del medium del linguaggio per porre in esercizio uno sguardo spiazzante, deangolante, sulle nostre realtà quotidiane. Una pratica dialogica di confronto-conflitto che – operando in uno spazio a geometrie variabili e in un multiverso di dissonanze – ci aiuti a vedere altrimenti quello che tutti abbiamo davanti agli occhi ma che non abbiamo la capacità di osservare secondo una diversa angolazione prospettica4.›› (p.48) Certamente una simile contaminazione tra filosofia e formazione orienta lo statuto e il significato stesso della pratica formativa e la qualifica come un processo culturale e sociale che ha come fine la fioritura delle persone e sia in grado di offrire loro il massimo sostegno affinché si adoperino per costruire condizioni di maggior benessere lavorativo e organizzativo. Bibliografia Beck U., (2000). I rischi della libertà, Bologna, Il Mulino. Cervari P., Pollastri N., (2010). Il filosofo in azienda, Milano, Apogeo. Contesini S., Frega R., Ruffini C., Tomelleri S., (2005). Fare cose con la filosofia, Milano, Apogeo. Contesini S., Zamarchi E., (2009). Sensibilità filosofica, Milano, Apogeo. Marramao G., (2008). La passione del presente. Breve lessico della modernità-mondo, Torino, Bollati Boringhieri. Vegleris E., (2006). Manager con la Filosofia, Milano, Apogeo. 3 Beck U., (2000) I rischi della libertà, Bologna, Il Mulino. Marramao G., (2008) La passione del presente. Breve lessico della modernità-mondo, Torino, Bollati Boringhieri. 4 8