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Il conflitto tra vita e morte
Anche Vittorino Andreoli inciampa sul tema della morte. Il teologo Sante Ambrosi è partito proprio dall'ultimo capitolo
del più recente libro del noto e stimato psicoterapeuta, per esprimere le proprie osservazioni, compreso il disappunto
verso una questione mai affrontata con la dovuta e necessaria profondità
Sante Ambrosi
La gioia di vivere è un libro che Vittorino Andreoli ha recentemente pubblicato per Rizzoli. Un libro certamente
interessante che si propone di liberare l’uomo contemporaneo dai falsi miti che lo condizionano pesantemente nella vita.
L’uomo moderno crede di essere più libero dei suoi antenati, ma, invece, molto spesso si trova dentro un vortice che lo
rende schiavo di una weltanschauung da cui è necessario ed urgente liberarsi perché è una visione della vita e del mondo
che ci imprigiona dentro miti che non possono offrire la gioia di vivere.
Ci sono i miti del
corpo, del benessere
a tutti i costi, il mito
del potere e via
elencando. La gioia
del vivere non può
venire, secondo
Andreoli, da qualche
Dio esterno, ma da
quelle scelte
personali, che sono
a prima vista difficili,
perché ognuno di noi
è condizionato
potentemente, ma la
libertà e la possibilità
della gioia di vivere è
nelle nostre mani.
Occorre costruirla
giorno dopo giorno,
come dice nell’ultimo
capitolo con frasi
chiare e belle: "La
gioia la si fa, non la
si conquista o
acquista. La si
costruisce su misura
di ciascun uomo e di
ciascuna
esistenza”…
Ritrovando e
costruendo la gioia
di vivere ritroviamo
la bellezza di tutto
quello che
possediamo: la
bellezza del corpo,
dell’eros, del mondo
e delle cose tutte.
Tutto è chiaro
nell’esposizione di
Andreoli, meno una
cosa. Proprio alla
fine di questo libro
veramente
convincente in tutto il
suo ragionare, c’è un
punto sul quale
Andreoli non riesce a
trovare una
spiegazione, è il discorso della morte. Su questo punto il nostro ci sembra balbettare un qualcosa che contraddice con il
tema della gioia di vivere. Fissiamo solo una affermazione che ci sembra illuminante per quello che voglio dire:
”Se la visione del mondo vaga incompresa la morte, non è possibile la gioia. E non serve la retorica, la maledetta morte o
la sorella morte di Francesco d’Assisi, che la introduce nel Cantico dei cantici solo nell’ultima versione, poco prima di
morire.
Occorre vivere senza morte, poiché la vita con la morte attaccata addosso è un dramma. Non dimenticare che quando
arriverà, non la si potrà conoscere, Vivere la morte è un’espressione paradossale, un ossimoro.
La morte è un’ombra che l’uomo vede come immagine della propria paura. Semmai serve la consapevolezza che la vita è
breve. Seneca nel De brevitate vitae, conclude che, non dovendo raggiungere una durata necessaria, è possibile
togliersela.”
Da queste poche, ma lapidarie affermazioni bisogna dire che il tema della morte contrasta con il tema della gioia di vivere
e Andreoli pensa di cavarsela ricorrendo ad alcune citazioni proprie della cultura stoica, ma in modo un po’ maldestro
perché la citazione di Seneca fatta così come l’abbiamo trovata nella pagina finale del suo pur interessante libro non è
veramente corretta. Ma su questo dovremo ritornarci con più cura quando affronteremo il pensiero di questo grande
autore della cultura latina.
Per ora ci basti a sottolineare che impostare il tema della gioia del vivere lasciando fuori l’ultimo capitolo della vita, resta
un discorso che non funziona da un punto di vista logico e meno ancora da un punto di vista psicologico. E questo i
grandi filosofi dell’antichità lo avevano ben chiaro, da Platone ad Aristotele.
Come sappiamo tutta la filosofia di Platone poggia sulla convinzione che l’esistenza umana deve vivere in funzione
dell’altra realtà, che nel suo pensiero è quella che veramente conta Ma non voglio soffermarmi su questo aspetto del
problema filosofico. Piuttosto vorrei sottolineare come dopo lo stesso Platone e la sua filosofia e nonostante la sua chiara
posizione sorgono due correnti di pensiero alle quali le risposte del grande filosofo greco non convincono. Sono
l’Epicureismo e lo Stoicismo. Ma non voglio approfondire la questione e il motivo di una contrapposizione molto viva
nell’antichità classica.
C’è, però, una cosa che vorrei fissare del pensiero di Epicuro e di quell’appassionato suo discepolo, quale fu Lucrezio.
Egli, infatti ha costruito una grande opera epica per lodare la figura di Epicuro che, a suo dire, ha liberato l’uomo
soprattutto dalla paura della morte. Che ci sia riuscito o no, questo poco importa per il nostro discorso. Resta
fondamentale la sua intuizione che ribadisce in modo veramente chiaro, con accenti struggenti e che saranno ripresi
anche da autori di altro orientamento filosofico. E il ragionamento potrebbe essere molto meglio articolato, ma alcune frasi
le voglio riportare perché sottolineano una cosa che soprattutto la nuova psicoanalisi ha raccolto, e cioè questo: liberarsi
dalla morte non è facile, ma necessario, perché la paura di questa realtà non risolta pesa nell’animo umano come un
macino che provoca distorsioni di ogni genere. Ma ascoltiamo almeno queste poche e illuminanti frasi:
“Bisogna scacciare e rovesciare e quel timore dell’Acheronte che , penetrando sino al fondo dell’uomo, getta la
preoccupazione nella sua vita, la colora interamente del nero della morte e non lascia che alcun piacere possa sussistere
puro e senza ombre… Gli uomini, sotto la costrizione del vano terrore, vogliono fuggire lontano da questi mali e scuoterli
di dosso: versano allora il sangue dei concittadini per gonfiare le proprie ricchezze, raddoppiano la fortuna con avidità,
accumulando delitto su delitto, e la stessa tavola dei consanguinei è per essi oggetto di odio e di spavento. Spesso
questo medesimo timore fa nascere nel cuore degli uomini l’invidia…
Spesso il timore della morte penetra gli umani di un tale odio per la vita e per la vista della luce che si danno
volontariamente la morte nell’eccesso della disperazione, dimenticando che la fonte delle loro pene è quello stesso timore
che perseguita la virtù, rompe i legami dell’amicizia, distrugge la pietà con i suoi consigli (Lucrezio, De Rerum Natura, c.
ii)
Da queste poche frasi di Lucrezio comprendiamo come il tema della morte sia strettamente legato con la visione della
vita. Scindere i due corni di un’unica realtà, significa inceppare ogni valido discorso sulla vita, cosa che mi sembra non
comprendere il grande psicoterapeuta Andreoli. Naturalmente non è il solo, soprattutto nella cultura contemporanea sulla
quale avremmo abbondanti elementi e documenti da offrire.
La foto di apertura, di Luigi Caricato, ritrae un particolare del volto di san Paterniano, vescovo e patrono di Fano
Sante Ambrosi - 01-07-2016 - Tutti i diritti riservati
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