Vol. 5 - Anno 2013 - Numero 1 - Fogli Campostrini

 Vol. 5 - Anno 2013 - Numero 1
ISSN: 2240-7863
Verona, 30/09/2013
Mario Micheletti
Il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio”
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy IL CONCETTO DI “PREGHIERA” E IL CONCETTO DI “DIO” Mario Micheletti C’è un chiaro legame tra il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio”. Non a caso, nel
volume che è all’origine di gran parte delle discussioni recenti, The Concept of Prayer
(1965), D.Z. Phillips denuncia come superstiziose tutte quelle forme di preghiera di
petizione che presuppongono un concetto naturalistico di Dio, o una concezione
antropomorfica di Dio: Dio concepito come un esistente fra esistenti, agente fra agenti, un
Dio che si lascia strumentalmente influenzare, modificare dalla preghiera1. Non è casuale
del resto che molte delle critiche rivolte a Phillips riguardino a loro volta principalmente la
grammatica di “Dio” che è sottesa al suo discorso, che sembra negare l’antropomorfismo
a patto di rendere evanescente la realtà divina, Dio essendo “reale” solo nella pratica
linguistica (io non sono completamente d’accordo con questo tipo di lettura dell’opera di
Phillips, ma certamente l’ambiguità del suo linguaggio favorisce questo tipo di critiche2).
In un saggio importante per la filosofia della preghiera, William Alston del resto afferma
persuasivamente che le condizioni di possibilità del dialogo fra uomo e Dio, che è una
componente essenziale della vita spirituale cristiana più sviluppata, pongono vincoli
significativi alla nostra concezione di Dio, e si propone conseguentemente di indagare
come dev’essere Dio se il dialogo fra Dio e l’uomo dev’essere possibile, soprattutto
considerando l’onniscienza di Dio e la sua intemporalità3. Anche le posizioni che insistono
sulla circostanza che l’efficacia della preghiera consiste nella differenza che stabilisce nella
persona che prega o in una sorta di terapia spirituale, se non hanno presupposizioni
ateistiche, suppongono un concetto di “Dio”, in base al quale non ha senso oppure è una
forma di antropomorfismo o di superstizione attribuire a Dio la capacità di rispondere in
qualche modo alle richieste umane o modificare uno stato di cose a causa della preghiera.
1
Cfr. D.Z. Phillips, The Concept of Prayer, Routledge & Kegan Paul, London 1965, pp. 37, 45 sgg., 58, 83, 9495, 112, 158-159.
2
Cfr. M. Micheletti, Filosofia analitica della religione. Un’introduzione storica, Morcelliana, Brescia 2002, pp.
79-91, 115-124.
3
Cfr. W.P. Alston, “Divine-Human Dialogue and the Nature of God”, Faith and Philosophy, 2, 1985, pp. 5-21;
ristampato in W.P. Alston, Divine Nature and Human Language. Essays in Philosophical Theology, Cornell
University Press, Ithaca-London 1989, pp. 144-161 (in particolare pp. 147 sgg.)
95 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini D’altra parte il senso della preghiera di impetrazione consiste appunto, secondo Harriet
Harris, nell’ottenere con la preghiera quelle cose che Dio concede a causa della preghiera
e che sembrano comportare un reale cambiamento in Dio4; un cambiamento sulla cui
natura si è molto discusso a partire dalla nota distinzione di Peter Geach fra un
cambiamento reale e un Cambridge-change, e che, stando a certe letture della semplicità
divina, come vedremo, non è necessariamente richiesto, almeno nel senso di un
cambiamento nel tempo, dalla capacità divina di risposta alla preghiera5. Non è casuale
neppure che i problemi filosofici che sono stati sollevati nella recente filosofia della
religione circa la preghiera riguardino in modo specifico la preghiera di petizione, e non
riguardino, se non in misura minore, le forme per così dire più contemplative di preghiera,
la preghiera come ascensione a Dio, la preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento,
perché l’efficacia della preghiera, nella forma di petizione e di impetrazione, è legata a un
concetto di “Dio”, che implica che Dio risponda alla preghiera, che intervenga o agisca nel
mondo in virtù della preghiera: i problemi che nascono sono quelli inerenti alla coerenza o
incoerenza della preghiera e delle sue implicazioni con la natura stessa di Dio, con gli
attributi divini, in particolare con la perfetta bontà di Dio, la Sua onniscienza e
onnipotenza (questo è il punto di partenza del famoso contributo di Eleonore Stump sulla
preghiera di petizione6), ma anche, più radicalmente, con la Sua semplicità ed eternità
(specialmente ove queste implichino gli attributi divini della immutabilità e impassibilità).
Vincent Brümmer si chiede quali differenze ci siano fra il chiedere delle cose a Dio e il
chiederle ad altre persone e quali implicazioni abbia questa differenza per il modo in cui
dobbiamo intendere l’onnipotenza, l’immutabilità e la perfetta bontà di Dio se non
vogliamo che l’affermazione di questi attributi divini renda priva di senso la preghiera di
petizione7. Le implicazioni di questa differenza rinviano ancora una volta alla connessione
tra il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio”.
Non posso qui evidentemente approfondire l’argomento né indagare su precedenti e fonti.
Suggerisco soltanto che sarebbe di grande importanza esaminare, in questo contesto, le
obiezioni di Kant alla preghiera di petizione come meramente strumentale, come
espressione inutile di un desiderio, o solo soggettivamente utile nella misura in cui l’orante
4
Cfr. H. Harris, “Prayer”, in The Cambridge Companion to Christian Philosophical Theology, a cura di C.
Taliaferro & C. Meister, Cambridge University Press, Cambridge 2010, pp. 216-237 (in particolare pp. 217219).
5
Cfr. P. Geach, God and the Soul, Routledge & Kegan Paul, London 1969, pp. 98-99; E. Stump, Aquinas,
Routledge, London-New York 2003, pp. 115 sgg.
6
Cfr. E. Stump, “Petitionary Prayer”, American Philosophical Quarterly, 17, 1979, pp. 81-91, ristampato in
Philosophy of Religion: The Big Questions, a cura di E. Stump & M.J. Murray, Blackwell, Oxford 1999, pp. 353365.
7
Cfr. V. Brümmer, What are we doing when we pray? On Prayer and the Nature of Faith, Ashgate, Aldershot
2008, p. ix.
96 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini cerca di agire su se stesso vivificando le sue intenzioni mediante l’idea di “Dio” piuttosto di
cercare con l’espressione verbale di influire su Dio, oppure come superstizione e feticismo,
nella pretesa che il culto abbia un’efficacia diretta su Dio, specialmente se la pretesa non
è accompagnata da impegno morale; sarebbe altresì importante analizzare la distinzione
kantiana fra preghiera e spirito di preghiera8.
Dando spazio ai problemi nella recente filosofia della religione sollevati a proposito della
preghiera di petizione, io suppongo che sullo sfondo vi siano sempre in qualche modo
problemi riguardanti il concetto di “Dio” stesso. Quali sono questi problemi? Peter Winch
contesta che si possa rendere conto della preghiera di petizione muovendo semplicemente
dalla funzione “fare richieste a x”, sostituendo “Dio” a “x” e chiedendosi poi che differenza
introduca la circostanza che Dio abbia caratteristiche diverse dagli altri x. “Fare richieste a
x” è davvero una funzione che conserva lo stesso senso sia che si sostituisca “Dio” a x sia
che si sostituisca un nome o una descrizione di un essere umano? In che senso è
presupposta l’esistenza di Dio? Cessare di vedere un senso qualsiasi nella preghiera è solo
un aspetto del cessare di credere in Dio o è una sua conseguenza? Per Winch c’è una
connessione interna fra cessare di credere nella realtà di Dio e cessare di vedere un
qualsiasi senso nella preghiera9. La posizione di Winch è vicina a quella di Phillips, per cui
il significato di “preghiera” deve trovarsi soltanto nel contesto religioso, nell’attività stessa
del pregare. È una descrizione concettualmente adeguata allora del fenomeno della
preghiera la sostanziale identificazione, che Phillips compie, «dell’unica possibile forma
non antropomorfica di preghiera di petizione con la preghiera di confessione in cui si
confessa a Dio la forza dei propri desideri e si chiede semplicemente a Dio di poter
continuare a vivere nell’accettazione della volontà divina, qualunque cosa accada»?10 La
posizione di Phillips è interpretata frequentemente nel senso di una concezione
riduzionistica o anti-realistica e non-cognitivistica della preghiera, come se l’efficacia della
preghiera si risolvesse tutta nella sua capacità di influire sulla vita spirituale dell’orante. Io
insisterei su talune ambiguità di Phillips, che giustificano questo tipo di interpretazione,
ma anche sulla facilità con cui gli interpreti scambiano per rifiuto del realismo tout court la
8
Cfr. I. Kant, Lezioni di Filosofia della religione, a cura di C. Esposito, Bibliopolis, Napoli 1988, pp. 264-265; I.
Kant, Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 114-120; I. Kant, La religione entro i limiti della sola
ragione, Laterza, Roma-Bari 1980, pp. 217-219. Cfr. U. Regina, “La preghiera in Immanuel Kant”, in Preghiera
e filosofia della religione, a cura di A. Babolin, Benucci, Perugia 1978, pp. 321-358. Sulla preghiera in
Hermann Cohen come via alla moralità e fonte della veracità, cfr. P. De Vitiis, Filosofia e preghiera in Hermann
Cohen, in Ibid., pp. 109-140. Sulla legittimità e sulle difficoltà di una trattazione filosofica della preghiera, cfr.
F. Rossi, Il problema filosofico della preghiera in Emmanuel Lévinas, Franco Angeli, Milano 2007, p. 11: «Non
c’è dubbio che il tema della preghiera [...] fatta oggetto specifico di un’indagine rigorosamente razionale [...]
sia uno degli argomenti più difficili e imbarazzanti per il filosofo e per lo stesso filosofo della religione, al punto
da configurarsi ancora oggi, per essi, come una sorta di “terra incognita”».
9
Cfr. P. Winch, Meaning and Religious Language, in Reason and Religion, a cura di S.C. Brown, Cornell
University Press, Ithaca-London 1977, pp. 193-221.
10
The Concept of Prayer cit., pp. 121-122.
97 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini critica di talune forme filosofiche di realismo in favore di quello che Phillips chiama
«realismo ordinario»11. Giustamente si è osservato che Phillips ha ragione quando
contesta nella preghiera di petizione la riduzione di Dio a un mero strumento o mezzo per
fini ulteriori e d’altra parte si è rilevato che non ogni richiesta di intervento divino significa
riduzione di Dio a strumento o mezzo e che il concetto di “intervento divino” non ha
necessariamente implicazioni superstiziose12. In effetti, in The Concept of Prayer troviamo
anche un’osservazione come questa: «È essenziale per il credente asserire che parla a
qualcun altro diverso da sé quando prega. La convinzione di parlare a se stessi è la morte
della preghiera. La questione che solleva l’affermazione di stare parlando a qualcuno nella
preghiera è questa: in che modo il parlare a Dio differisce dal parlare a un altro essere
umano?»13. Per Phillips come per Winch non sarebbe corretto interpretare tale questione
come semplicemente relativa alla sostituzione di “Dio” invece che di un nome o
descrizione di un essere umano alla variabile x nella funzione “fare richieste a x”. Il
parlare a se stessi nella preghiera non è allora l’unica alternativa possibile alla presunta
concezione antropomorfica di Dio considerata sottesa alla preghiera di petizione, anche se
in Phillips l’individuazione di altre concezioni alternative all’antropomorfismo è ostacolata,
a mio avviso, da un’insufficiente riflessione sull’applicazione teologica del concetto di
“analogia”.
Problemi specifici riguardo alla preghiera di petizione sono stati formulati da Thomas P.
Flint. Per che cosa è appropriato pregare? Dovremmo pregare per beni specifici, o solo
per quei beni che Dio ritiene meglio concedere? Se è accettabile specificare i beni,
possiamo pregare per i beni esterni (materiali o secolari), come la salute e la ricchezza?
Se possiamo farlo, è appropriato pregare per tali beni sia per se stessi sia per gli altri? O
piuttosto la nostra preghiera dovrebbe essere diretta ai beni interni o spirituali, come lo
sviluppo delle virtù, il dono della grazia, la salvezza finale, e simili?14
Troviamo altre significative formulazioni dei problemi relativi alla preghiera di petizione nel
volume di Vincent Brümmer sulla preghiera e la natura della fede. Uno dei primi problemi
11
Cfr. D.Z. Phillips, Recovering Religious Concepts. Closing Epistemic Divides, Macmillan, HoundmillsBasingstoke-London 2000, p. 36.
12
Cfr. W. van Herck, “A Friend of Demea? The Meaning and Importance of Piety”, in D.Z. Phillips’
Contemplative Philosophy of Religion. Questions and Responses, a cura di A.F. Sanders, Ashgate, Aldershot
2007, pp. 125-138. Cfr. D.Z. Phillips, “Philosophy, Piety and Petitionary Prayer. A Reply to Walter van Herck”,
in Ibid., pp. 139-152.
13
The Concept of Prayer cit., p. 41. Su questo punto, cfr. What are we doing when we pray? cit., p. 28.
14
Cfr. T.P. Flint, “Praying for Things to Have Happened”, Midwest Studies in Philosophy, Vol. XXI: Philosophy
of Religion, a cura di P.A. French, T.E. Uehlin, Jr. & H.K. Wettstein, University of Notre Dame Press, Notre
Dame, Indiana 1997, pp. 61-82 (in particolare pp. 61-62). Il tema principale del saggio di Flint, tuttavia, è
quello indicato dal titolo. Cfr. anche God and the Soul cit., pp. 89-90; K. Timpe, “Prayers for the Past”,
Religious Studies, 41, 2005, pp. 305-322.
98 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini che Brümmer individua è il seguente: come decidere se un evento naturale o un’azione
umana può contare come una risposta alla preghiera?15 Vorrei notare che questa è
sostanzialmente la stessa questione che Scott Davison considera fondamentale riguardo
alla preghiera di petizione: in quali circostanze potrebbe essere vero dire che Dio ha
risposto a una preghiera? Che cosa significa “perché” quando diciamo che Dio ha prodotto
un evento almeno in parte perché la persona lo ha richiesto nella preghiera, considerando
che le creature non possono avere un impatto causale diretto su Dio senza mettere in
discussione la libertà divina e che in virtù della sua suprema bontà Dio ha di per sé ragioni
sufficienti per produrre e concedere cose buone indipendentemente dalla preghiera? Il
problema scettico mina o no alla radice, come vuole Davison, i tentativi di dare una
giustificazione razionale alla pratica della preghiera di petizione?16 Altre questioni che
Brümmer solleva sono le seguenti: in che senso la preghiera di petizione può essere
intesa come un modo di stabilire una relazione personale con Dio? In che senso la
preghiera agisce sulla persona che prega? Può la preghiera adeguatamente e senza
difficoltà essere concepita come una sorta di attività terapeutica? Se la preghiera è
efficace, la sua efficacia è limitata agli effetti psicologici che ha su chi prega? È accettabile
l’interpretazione della preghiera come un modo di persuadere Dio a produrre stati di cose
che non avrebbe prodotto senza la preghiera di petizione? Le preghiere sono petizioni che
avvengano certe cose, o questa concezione presuppone un modo troppo antropomorfico
di concepire Dio e il suo modo di rispondere alle nostre preghiere? Che luce può venire
dal confronto della preghiera di petizione con le preghiere di penitenza, ringraziamento e
lode circa la natura della petizione e il dilemma secondo cui la petizione dev’essere o un
modo di influenzare Dio o di modificare la persona stessa che prega? In che modo la
visione della preghiera come esercizio della fede, coram Deo, connette la preghiera alla
moralità e alla vita cristiana?17
In una prospettiva più direttamente connessa con la teologia razionale e la metafisica del
teismo, una difficoltà è costituita dalla nozione di “risposta divina alla preghiera” in
relazione all’eternità di Dio. Una risposta alla preghiera sembra presupporre una
successione temporale, un coinvolgimento di Dio nel tempo: la risposta deve venire dopo
la preghiera, in quanto si suppone che qualunque cosa si faccia a causa della preghiera si
può farla solo dopo la preghiera stessa. L’efficacia della preghiera di petizione sembra
incompatibile inoltre con l’immutabilità divina. Difficoltà per la preghiera di petizione
nascono anche dal concetto di semplicità divina: si obietta che un Dio metafisicamente
privo di composizione può rispondere a una preghiera solo se ciò che compie dipende
15
Cfr. What are we doing when we pray? cit., p. ix.
Cfr. S.A. Davison, “Petitionary Prayer”, in The Oxford Handbook of Philosophical Theology, a cura di T. Flint
& M.C. Rea, Oxford University Press, Oxford 2009, pp. 286-305.
17
Cfr. What are we doing when we pray? cit., pp. ix, 12-15.
16
99 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini almeno in parte da ciò che fanno le creature, ma, se Dio non ha potenzialità, sembra che
nulla in Dio possa dipendere da qualcosa che riguardi le creature18.
A me interessa in questo contesto mettere l’accento sui problemi piuttosto che sulle
soluzioni, sulle difficoltà che nascono, come ho suggerito sopra, principalmente dal
rapporto fra il modo di concepire la preghiera di petizione e la nostra concezione di Dio.
Non vorrei dare tuttavia un’impressione sbagliata, come se nella letteratura filosofica
recente non siano state date risposte a tali problemi. Presento qui le proposte filosofiche
più significative circa la rilevanza e l’adeguatezza della preghiera di petizione. Una
caratteristica comune a queste proposte, mi sembra, è che la preghiera di petizione non è
in contrasto col concetto di “Dio” che pone in evidenza in Dio la sua suprema bontà,
perché ci sono dei beni che Dio può assicurare solo con la petizione. Non si può escludere
che alcuni beni, anche fondamentali, siano realizzati attraverso la petizione, grazie alla
petizione19. Nella mia relazione, quindi, dovendo circoscrivere l’argomento, senza
trascurare del tutto il problema filosofico relativo al rapporto della preghiera di petizione
con l’eternità divina, do rilievo al problema della compatibilità della preghiera con la
perfetta bontà di Dio. Ritengo meno importante in particolare il problema della
compatibilità con l’onniscienza divina. Il fatto che Dio conosca meglio di noi le nostre
necessità non esclude che la preghiera di petizione, ove sia appropriata, costituisca un
valore a sé nella relazione personale con Dio, aggiunga un bene significativo che è
ragionevole pensare la perfetta bontà di Dio intenda promuovere. Riassumerei così le
principali proposte filosofiche sull’argomento in questione:
1) Per superare il dilemma, per il quale o Dio non è perfettamente buono o la preghiera è
vana e senza senso, si è suggerito che Dio deve operare attraverso la mediazione della
preghiera invece di agire esclusivamente di sua iniziativa, per amore dell’uomo, perché
senza la preghiera di petizione non si potrebbe attuare quella vera amicizia che Dio vuole
instaurare con gli uomini. La preghiera non è irrilevante. Senza la preghiera la persona
umana non avrebbe alcun ruolo, sarebbe schiacciata dalla sovrana bontà e potenza di Dio
oppure sarebbe indotta a strumentalizzare servilmente quella fonte di potere. D’altra parte
questo tipo di analisi della preghiera di petizione non richiede che Dio accondiscenda a
ogni preghiera; chiedere a Dio qualcosa non è una ragione sufficiente di per sé perché Dio
faccia ciò che è richiesto. Se gli uomini non sempre pregano per tutti i beni per cui
potrebbero e dovrebbero pregare, allora in taluni casi Dio non realizzerà certi beni o lo
farà ma a spese del bene specifico operato e preservato con la preghiera di petizione
(Stump)20. Una variante di questa tesi è quella che mette in evidenza il valore della
preghiera di petizione in quanto implica il bene della collaborazione umana, della
18
Cfr. Aquinas cit., pp. 116, 150, 154.
Cfr. C. Taliaferro, “Prayer”, in The Routledge Companion to Philosophy of Religion, a cura di C. Meister & P.
Copan, Routledge, London-New York 2007, pp. 617-625, in particolare p. 620.
20
Cfr. “Petitionary Prayer cit.”, pp. 359 sgg.
19
100 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini partecipazione, in quanto senza un’implicita promessa di collaborazione, di impegno
personale nella relazione con Dio, la preghiera di petizione sarebbe una mera richiesta a
Dio di porsi al nostro servizio piuttosto che una richiesta di assistenza in un’attività
implicante il coinvolgimento personale dell’orante (Smith-Yip)21.
2) Per dimostrare che la preghiera è rilevante e Dio risponde alla preghiera bisogna
sostenere che ci sono dei beni che Dio vuole assicurare, come l’incremento delle relazioni
comunitarie, la liberazione dall’idolatria, la crescita dell’amicizia personale con Dio, beni
che può assicurare però solo facendo dipendere la concessione di certi altri beni dal fatto
che sono richiesti. Ci sono in effetti beni di questo genere e ci sono beni differenti che si
possono assicurare con differenti tipi di preghiera, dei quali i più comuni sono le preghiere
autodirette (richiesta di beni per se stessi) ed eterodirette (richieste di beni per altri). Il
bene eccedente che deriva dalle preghiere eterodirette è relativo in particolare alla
coltivazione dell’interdipendenza all’interno della comunità e all’incentivo per il credente a
condividere con gli altri le necessità che si manifestano nella comunità stessa. Dalle
preghiere autodirette derivano beni eccedenti come la liberazione dall’idolatria, una
maggiore comprensione della natura e degli scopi di Dio, e la promozione dell’amicizia fra
Dio e la creatura umana (in quanto siamo costretti a riconoscere che Dio è la fonte ultima
di tutti i beni di cui godiamo, ad ammettere che siamo bisognosi e dipendiamo da Dio per
il soddisfacimento delle nostre necessità, e, se la preghiera è accolta, siamo disposti a
manifestare la nostra gratitudine a Dio per la sua grazia). Ciò contribuisce a impedire
quelle forme di orgoglio e di autoappagamento che potrebbero manifestarsi se Dio ci
concedesse quei beni senza la preghiera di petizione. Anche in questa prospettiva, la
petizione non è una condizione sufficiente, e neppure una condizione necessaria per
ricevere qualsiasi tipo di beni; ci sono tuttavia delle ragioni, principalmente il tenere
lontane le persone dall’idolatria e addestrarle nella conoscenza della volontà divina, per
cui Dio in certi casi fa dipendere la concessione di beni dalla petizione. All’obiezione che
Dio non può negare beni essenziali anche se non richiesti si può rispondere che non è
necessario sostenere che la concessione di beni essenziali dipenda sempre e in ogni caso
dalla petizione (Murray)22.
21
Cfr. N.D. Smith & A.C. Yip, “Partnership with God: a Partial Solution to the Problem of Petitionay Prayer”,
Religious Studies, 46, 2010, pp. 395-410.
22
Cfr. M.J. Murray, “God Responds to Prayer”, in Contemporary Debates in Philosophy of Religion, a cura di
M.L. Peterson & R. VanArragon, Blackwell, Malden-Oxford 2004, pp. 242-255; M.J. Murray & K. Meyers, “Ask
and It Will Be Given To You”, Religious Studies, 30, 1994, pp. 311-330. David Basinger obietta a Murray &
Meyers che il credente deve avere basi antecedenti per credere che le sue richieste sono in accordo con la
volontà di Dio, con la natura e i valori di Dio, e non apprende ciò dalle risposte alle preghiere, e inoltre che
non è ragionevole che un Dio perfettamente buono neghi la concessione di beni fondamentali, senza la
preghiera di petizione, solo o primariamente per tenere lontana l’idolatria (Cfr. D. Basinger, “Petitionary
Prayer: A Response to Murray and Meyers”, Religious Studies, 31, 1995, pp. 475-484). Cfr. il tentativo di
soluzione del cosiddetto puzzle of serious petitionary prayer in Daniel & Frances Howard-Snyder, “The Puzzle
101 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini 3) Ciò che è in discussione è l’efficacia della pratica della preghiera di petizione. Non ha
senso accusare di egoismo la preghiera di petizione, perché una preghiera “egoistica”
sarebbe teisticamente incoerente, essendo appropriata solo quella preghiera in cui si
implora Dio di far sì che il bene richiesto sia compreso nel bene inclusivo che Dio intende
realizzare nel mondo. Un problema che nasce in questo contesto è se abbia senso dire
che la relazione con Dio, quando è una relazione personale buona, autentica, crei un
obbligo in Dio: è evidente, comunque, che obblighi di questo genere, deboli o forti che
siano, possono essere sovrastati in Dio da altre considerazioni, da altre ragioni. Non
rientra nella pratica della preghiera credere che ogni preghiera, ogni richiesta sia accolta.
La preghiera non è una forma di magia (Gellman)23.
4) Come osserva Eleonore Stump, se la simultaneità fra l’azione eterna e l’azione
temporale è una condizione sufficiente per la possibilità di una connessione causale nel
caso in cui Dio porti all’esistenza un’entità temporale, essa è parimenti sufficiente per la
possibilità del suo agire a causa di una preghiera formulata in un tempo particolare. Un
conto è agire in modo tale che l’azione stessa possa essere collocata nel tempo, un conto
agire in modo tale che l’effetto dell’azione possa essere collocato nel tempo. Anche se le
azioni divine non possono essere collocate nel tempo, Dio può produrre effetti nel tempo,
a meno che il farlo sia per lui logicamente impossibile. È vero poi che la semplicità divina
esclude che Dio possa cambiare nel tempo, ma, almeno nella posizione di Tommaso
d’Aquino, ciò non significa escludere che Dio possa rispondere alla preghiera, perché per
questa possibilità non si richiede un mutamento di Dio nel tempo né che Dio agisca dopo
la preghiera, richiedendo soltanto che Dio agisca a causa di ciò che fa la creatura (se la
creatura avesse fatto qualcosa di diverso, anche Dio avrebbe potuto agire diversamente).
Eleonore Stump esemplifica questo punto rilevando che, fra i mondi simili, negli aspetti
rilevanti, a quello in cui Dio concede misericordia al pubblicano della parabola che gliela
chiede, ma nei quali il pubblicano esiste senza però chiedere misericordia, ci deve esserne
almeno uno in cui Dio non concede al pubblicano misericordia, e in cui il motivo per cui
Dio non la concede include il fatto che il pubblicano non la chiede24.
Per tornare al punto di partenza, che ne è allora delle tesi di Phillips? In una concezione
appropriata di Dio, non si può intendere certamente la preghiera di petizione alla stregua
of Petitionary Prayer”, European Journal for Philosophy of Religion, 2, 2010, pp. 43-68; a p. 66, l’argomento
contestato è formulato così:
1.
Either providing a basic good is the best God can do or it is not.
2.
If it is, your asking won’t make any difference to whether he does it.
3.
If it is not, your asking won’t make any difference to whether he does it.
4.
So, your asking won’t make any difference to whether God provides it.
23
Cfr. J.I. Gellman, “In Defense of Petitionary Prayer”, in Midwest Studies in Philosophy, Vol. XXI: Philosophy
of Religion cit., pp. 83-97.
24
Cfr. Aquinas cit., pp. 116-117, 136 sgg., 149-154.
102 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini di una richiesta rivolta a una persona umana, tanto meno come il tentativo di servirsi
strumentalmente del potere divino. La conformità alla volontà di Dio, il criterio invocato da
Phillips come l’unico adeguato al rapporto con Dio, non è del resto contraddetta dalla
richiesta dell’intervento divino, se la concessione del bene richiesto non è rapportata
all’influenza o all’impatto causale esercitato dall’orante, ma a criteri per i quali la richiesta
non è condizione né necessaria né sufficiente della concessione e non è pensabile che
essa sia accolta ove richieda qualcosa che sia in contrasto con il volere divino. D’altra
parte la petizione può essere conforme al concetto di Dio come supremamente buono se i
beni costituiti dalla liberazione dall’idolatria, dall’incremento della comunione con Dio e
dalla promessa di partecipazione e coinvolgimento che la preghiera di petizione implica
rientrano essi stessi nel bene inclusivo voluto da Dio e, d’altra parte, quei beni non
sarebbero possibili senza la richiesta a Dio. Non c’è ragione, infine, di negare i vantaggi
spirituali che derivano a chi prega dalla pratica stessa della preghiera, anche se non c’è
ragione di ridurre il senso della preghiera di petizione a quei vantaggi (come se la
preghiera si risolvesse interamente in una sorta di terapia spirituale). In un suo intervento
più recente, del resto, lo stesso Phillips ha notato che non necessariamente la preghiera di
petizione è da interpretarsi come un tentativo di influenzare la volontà di Dio, perché può
essere intesa come un tentativo piuttosto di partecipare alla volontà di Dio25. Si tratta
tuttavia ancora una volta di un linguaggio ambiguo, se tale partecipazione non è intesa
nel senso di un possibile rapporto, quale può darsi all’interno di una relazione che è, di
certo, assolutamente sui generis, perché metafisicamente asimmetrica e connessa, come
si è visto, con la possibile compatibilità fra semplicità divina e capacità divina di risposta
alla preghiera e con la coerenza fra tale risposta e la concezione dell’eternità di Dio. Qui
consiste, credo, il nodo centrale della questione, al quale rinviano il richiamo di Alston al
dialogo, della Stump e di Murray alla vera amicizia salvaguardata dalla preghiera anche in
un rapporto di dignitosa dipendenza per la creatura umana, di Gellman a una relazione
buona e autentica, di Smith e Yip alla collaborazione e al coinvolgimento.
25
Cfr. Philosophy, Piety and Petitionary Prayer cit., p. 149.
103 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini Il presente saggio è tratto dal vol. 5 - dell’anno 2013 - numero 1 della Rivista Online – Fogli Campostrini, edita
dalla Fondazione Centro Studi Campostrini, Via S. Maria in Organo, 4 – 37129 Verona, P. IVA 03497960231
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