Vol. 5 - Anno 2013 - Numero 1 ISSN: 2240-7863 Verona, 30/09/2013 Mario Micheletti Il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio” Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy IL CONCETTO DI “PREGHIERA” E IL CONCETTO DI “DIO” Mario Micheletti C’è un chiaro legame tra il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio”. Non a caso, nel volume che è all’origine di gran parte delle discussioni recenti, The Concept of Prayer (1965), D.Z. Phillips denuncia come superstiziose tutte quelle forme di preghiera di petizione che presuppongono un concetto naturalistico di Dio, o una concezione antropomorfica di Dio: Dio concepito come un esistente fra esistenti, agente fra agenti, un Dio che si lascia strumentalmente influenzare, modificare dalla preghiera1. Non è casuale del resto che molte delle critiche rivolte a Phillips riguardino a loro volta principalmente la grammatica di “Dio” che è sottesa al suo discorso, che sembra negare l’antropomorfismo a patto di rendere evanescente la realtà divina, Dio essendo “reale” solo nella pratica linguistica (io non sono completamente d’accordo con questo tipo di lettura dell’opera di Phillips, ma certamente l’ambiguità del suo linguaggio favorisce questo tipo di critiche2). In un saggio importante per la filosofia della preghiera, William Alston del resto afferma persuasivamente che le condizioni di possibilità del dialogo fra uomo e Dio, che è una componente essenziale della vita spirituale cristiana più sviluppata, pongono vincoli significativi alla nostra concezione di Dio, e si propone conseguentemente di indagare come dev’essere Dio se il dialogo fra Dio e l’uomo dev’essere possibile, soprattutto considerando l’onniscienza di Dio e la sua intemporalità3. Anche le posizioni che insistono sulla circostanza che l’efficacia della preghiera consiste nella differenza che stabilisce nella persona che prega o in una sorta di terapia spirituale, se non hanno presupposizioni ateistiche, suppongono un concetto di “Dio”, in base al quale non ha senso oppure è una forma di antropomorfismo o di superstizione attribuire a Dio la capacità di rispondere in qualche modo alle richieste umane o modificare uno stato di cose a causa della preghiera. 1 Cfr. D.Z. Phillips, The Concept of Prayer, Routledge & Kegan Paul, London 1965, pp. 37, 45 sgg., 58, 83, 9495, 112, 158-159. 2 Cfr. M. Micheletti, Filosofia analitica della religione. Un’introduzione storica, Morcelliana, Brescia 2002, pp. 79-91, 115-124. 3 Cfr. W.P. Alston, “Divine-Human Dialogue and the Nature of God”, Faith and Philosophy, 2, 1985, pp. 5-21; ristampato in W.P. Alston, Divine Nature and Human Language. Essays in Philosophical Theology, Cornell University Press, Ithaca-London 1989, pp. 144-161 (in particolare pp. 147 sgg.) 95 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini D’altra parte il senso della preghiera di impetrazione consiste appunto, secondo Harriet Harris, nell’ottenere con la preghiera quelle cose che Dio concede a causa della preghiera e che sembrano comportare un reale cambiamento in Dio4; un cambiamento sulla cui natura si è molto discusso a partire dalla nota distinzione di Peter Geach fra un cambiamento reale e un Cambridge-change, e che, stando a certe letture della semplicità divina, come vedremo, non è necessariamente richiesto, almeno nel senso di un cambiamento nel tempo, dalla capacità divina di risposta alla preghiera5. Non è casuale neppure che i problemi filosofici che sono stati sollevati nella recente filosofia della religione circa la preghiera riguardino in modo specifico la preghiera di petizione, e non riguardino, se non in misura minore, le forme per così dire più contemplative di preghiera, la preghiera come ascensione a Dio, la preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento, perché l’efficacia della preghiera, nella forma di petizione e di impetrazione, è legata a un concetto di “Dio”, che implica che Dio risponda alla preghiera, che intervenga o agisca nel mondo in virtù della preghiera: i problemi che nascono sono quelli inerenti alla coerenza o incoerenza della preghiera e delle sue implicazioni con la natura stessa di Dio, con gli attributi divini, in particolare con la perfetta bontà di Dio, la Sua onniscienza e onnipotenza (questo è il punto di partenza del famoso contributo di Eleonore Stump sulla preghiera di petizione6), ma anche, più radicalmente, con la Sua semplicità ed eternità (specialmente ove queste implichino gli attributi divini della immutabilità e impassibilità). Vincent Brümmer si chiede quali differenze ci siano fra il chiedere delle cose a Dio e il chiederle ad altre persone e quali implicazioni abbia questa differenza per il modo in cui dobbiamo intendere l’onnipotenza, l’immutabilità e la perfetta bontà di Dio se non vogliamo che l’affermazione di questi attributi divini renda priva di senso la preghiera di petizione7. Le implicazioni di questa differenza rinviano ancora una volta alla connessione tra il concetto di “preghiera” e il concetto di “Dio”. Non posso qui evidentemente approfondire l’argomento né indagare su precedenti e fonti. Suggerisco soltanto che sarebbe di grande importanza esaminare, in questo contesto, le obiezioni di Kant alla preghiera di petizione come meramente strumentale, come espressione inutile di un desiderio, o solo soggettivamente utile nella misura in cui l’orante 4 Cfr. H. Harris, “Prayer”, in The Cambridge Companion to Christian Philosophical Theology, a cura di C. Taliaferro & C. Meister, Cambridge University Press, Cambridge 2010, pp. 216-237 (in particolare pp. 217219). 5 Cfr. P. Geach, God and the Soul, Routledge & Kegan Paul, London 1969, pp. 98-99; E. Stump, Aquinas, Routledge, London-New York 2003, pp. 115 sgg. 6 Cfr. E. Stump, “Petitionary Prayer”, American Philosophical Quarterly, 17, 1979, pp. 81-91, ristampato in Philosophy of Religion: The Big Questions, a cura di E. Stump & M.J. Murray, Blackwell, Oxford 1999, pp. 353365. 7 Cfr. V. Brümmer, What are we doing when we pray? On Prayer and the Nature of Faith, Ashgate, Aldershot 2008, p. ix. 96 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini cerca di agire su se stesso vivificando le sue intenzioni mediante l’idea di “Dio” piuttosto di cercare con l’espressione verbale di influire su Dio, oppure come superstizione e feticismo, nella pretesa che il culto abbia un’efficacia diretta su Dio, specialmente se la pretesa non è accompagnata da impegno morale; sarebbe altresì importante analizzare la distinzione kantiana fra preghiera e spirito di preghiera8. Dando spazio ai problemi nella recente filosofia della religione sollevati a proposito della preghiera di petizione, io suppongo che sullo sfondo vi siano sempre in qualche modo problemi riguardanti il concetto di “Dio” stesso. Quali sono questi problemi? Peter Winch contesta che si possa rendere conto della preghiera di petizione muovendo semplicemente dalla funzione “fare richieste a x”, sostituendo “Dio” a “x” e chiedendosi poi che differenza introduca la circostanza che Dio abbia caratteristiche diverse dagli altri x. “Fare richieste a x” è davvero una funzione che conserva lo stesso senso sia che si sostituisca “Dio” a x sia che si sostituisca un nome o una descrizione di un essere umano? In che senso è presupposta l’esistenza di Dio? Cessare di vedere un senso qualsiasi nella preghiera è solo un aspetto del cessare di credere in Dio o è una sua conseguenza? Per Winch c’è una connessione interna fra cessare di credere nella realtà di Dio e cessare di vedere un qualsiasi senso nella preghiera9. La posizione di Winch è vicina a quella di Phillips, per cui il significato di “preghiera” deve trovarsi soltanto nel contesto religioso, nell’attività stessa del pregare. È una descrizione concettualmente adeguata allora del fenomeno della preghiera la sostanziale identificazione, che Phillips compie, «dell’unica possibile forma non antropomorfica di preghiera di petizione con la preghiera di confessione in cui si confessa a Dio la forza dei propri desideri e si chiede semplicemente a Dio di poter continuare a vivere nell’accettazione della volontà divina, qualunque cosa accada»?10 La posizione di Phillips è interpretata frequentemente nel senso di una concezione riduzionistica o anti-realistica e non-cognitivistica della preghiera, come se l’efficacia della preghiera si risolvesse tutta nella sua capacità di influire sulla vita spirituale dell’orante. Io insisterei su talune ambiguità di Phillips, che giustificano questo tipo di interpretazione, ma anche sulla facilità con cui gli interpreti scambiano per rifiuto del realismo tout court la 8 Cfr. I. Kant, Lezioni di Filosofia della religione, a cura di C. Esposito, Bibliopolis, Napoli 1988, pp. 264-265; I. Kant, Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 114-120; I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Roma-Bari 1980, pp. 217-219. Cfr. U. Regina, “La preghiera in Immanuel Kant”, in Preghiera e filosofia della religione, a cura di A. Babolin, Benucci, Perugia 1978, pp. 321-358. Sulla preghiera in Hermann Cohen come via alla moralità e fonte della veracità, cfr. P. De Vitiis, Filosofia e preghiera in Hermann Cohen, in Ibid., pp. 109-140. Sulla legittimità e sulle difficoltà di una trattazione filosofica della preghiera, cfr. F. Rossi, Il problema filosofico della preghiera in Emmanuel Lévinas, Franco Angeli, Milano 2007, p. 11: «Non c’è dubbio che il tema della preghiera [...] fatta oggetto specifico di un’indagine rigorosamente razionale [...] sia uno degli argomenti più difficili e imbarazzanti per il filosofo e per lo stesso filosofo della religione, al punto da configurarsi ancora oggi, per essi, come una sorta di “terra incognita”». 9 Cfr. P. Winch, Meaning and Religious Language, in Reason and Religion, a cura di S.C. Brown, Cornell University Press, Ithaca-London 1977, pp. 193-221. 10 The Concept of Prayer cit., pp. 121-122. 97 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini critica di talune forme filosofiche di realismo in favore di quello che Phillips chiama «realismo ordinario»11. Giustamente si è osservato che Phillips ha ragione quando contesta nella preghiera di petizione la riduzione di Dio a un mero strumento o mezzo per fini ulteriori e d’altra parte si è rilevato che non ogni richiesta di intervento divino significa riduzione di Dio a strumento o mezzo e che il concetto di “intervento divino” non ha necessariamente implicazioni superstiziose12. In effetti, in The Concept of Prayer troviamo anche un’osservazione come questa: «È essenziale per il credente asserire che parla a qualcun altro diverso da sé quando prega. La convinzione di parlare a se stessi è la morte della preghiera. La questione che solleva l’affermazione di stare parlando a qualcuno nella preghiera è questa: in che modo il parlare a Dio differisce dal parlare a un altro essere umano?»13. Per Phillips come per Winch non sarebbe corretto interpretare tale questione come semplicemente relativa alla sostituzione di “Dio” invece che di un nome o descrizione di un essere umano alla variabile x nella funzione “fare richieste a x”. Il parlare a se stessi nella preghiera non è allora l’unica alternativa possibile alla presunta concezione antropomorfica di Dio considerata sottesa alla preghiera di petizione, anche se in Phillips l’individuazione di altre concezioni alternative all’antropomorfismo è ostacolata, a mio avviso, da un’insufficiente riflessione sull’applicazione teologica del concetto di “analogia”. Problemi specifici riguardo alla preghiera di petizione sono stati formulati da Thomas P. Flint. Per che cosa è appropriato pregare? Dovremmo pregare per beni specifici, o solo per quei beni che Dio ritiene meglio concedere? Se è accettabile specificare i beni, possiamo pregare per i beni esterni (materiali o secolari), come la salute e la ricchezza? Se possiamo farlo, è appropriato pregare per tali beni sia per se stessi sia per gli altri? O piuttosto la nostra preghiera dovrebbe essere diretta ai beni interni o spirituali, come lo sviluppo delle virtù, il dono della grazia, la salvezza finale, e simili?14 Troviamo altre significative formulazioni dei problemi relativi alla preghiera di petizione nel volume di Vincent Brümmer sulla preghiera e la natura della fede. Uno dei primi problemi 11 Cfr. D.Z. Phillips, Recovering Religious Concepts. Closing Epistemic Divides, Macmillan, HoundmillsBasingstoke-London 2000, p. 36. 12 Cfr. W. van Herck, “A Friend of Demea? The Meaning and Importance of Piety”, in D.Z. Phillips’ Contemplative Philosophy of Religion. Questions and Responses, a cura di A.F. Sanders, Ashgate, Aldershot 2007, pp. 125-138. Cfr. D.Z. Phillips, “Philosophy, Piety and Petitionary Prayer. A Reply to Walter van Herck”, in Ibid., pp. 139-152. 13 The Concept of Prayer cit., p. 41. Su questo punto, cfr. What are we doing when we pray? cit., p. 28. 14 Cfr. T.P. Flint, “Praying for Things to Have Happened”, Midwest Studies in Philosophy, Vol. XXI: Philosophy of Religion, a cura di P.A. French, T.E. Uehlin, Jr. & H.K. Wettstein, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana 1997, pp. 61-82 (in particolare pp. 61-62). Il tema principale del saggio di Flint, tuttavia, è quello indicato dal titolo. Cfr. anche God and the Soul cit., pp. 89-90; K. Timpe, “Prayers for the Past”, Religious Studies, 41, 2005, pp. 305-322. 98 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini che Brümmer individua è il seguente: come decidere se un evento naturale o un’azione umana può contare come una risposta alla preghiera?15 Vorrei notare che questa è sostanzialmente la stessa questione che Scott Davison considera fondamentale riguardo alla preghiera di petizione: in quali circostanze potrebbe essere vero dire che Dio ha risposto a una preghiera? Che cosa significa “perché” quando diciamo che Dio ha prodotto un evento almeno in parte perché la persona lo ha richiesto nella preghiera, considerando che le creature non possono avere un impatto causale diretto su Dio senza mettere in discussione la libertà divina e che in virtù della sua suprema bontà Dio ha di per sé ragioni sufficienti per produrre e concedere cose buone indipendentemente dalla preghiera? Il problema scettico mina o no alla radice, come vuole Davison, i tentativi di dare una giustificazione razionale alla pratica della preghiera di petizione?16 Altre questioni che Brümmer solleva sono le seguenti: in che senso la preghiera di petizione può essere intesa come un modo di stabilire una relazione personale con Dio? In che senso la preghiera agisce sulla persona che prega? Può la preghiera adeguatamente e senza difficoltà essere concepita come una sorta di attività terapeutica? Se la preghiera è efficace, la sua efficacia è limitata agli effetti psicologici che ha su chi prega? È accettabile l’interpretazione della preghiera come un modo di persuadere Dio a produrre stati di cose che non avrebbe prodotto senza la preghiera di petizione? Le preghiere sono petizioni che avvengano certe cose, o questa concezione presuppone un modo troppo antropomorfico di concepire Dio e il suo modo di rispondere alle nostre preghiere? Che luce può venire dal confronto della preghiera di petizione con le preghiere di penitenza, ringraziamento e lode circa la natura della petizione e il dilemma secondo cui la petizione dev’essere o un modo di influenzare Dio o di modificare la persona stessa che prega? In che modo la visione della preghiera come esercizio della fede, coram Deo, connette la preghiera alla moralità e alla vita cristiana?17 In una prospettiva più direttamente connessa con la teologia razionale e la metafisica del teismo, una difficoltà è costituita dalla nozione di “risposta divina alla preghiera” in relazione all’eternità di Dio. Una risposta alla preghiera sembra presupporre una successione temporale, un coinvolgimento di Dio nel tempo: la risposta deve venire dopo la preghiera, in quanto si suppone che qualunque cosa si faccia a causa della preghiera si può farla solo dopo la preghiera stessa. L’efficacia della preghiera di petizione sembra incompatibile inoltre con l’immutabilità divina. Difficoltà per la preghiera di petizione nascono anche dal concetto di semplicità divina: si obietta che un Dio metafisicamente privo di composizione può rispondere a una preghiera solo se ciò che compie dipende 15 Cfr. What are we doing when we pray? cit., p. ix. Cfr. S.A. Davison, “Petitionary Prayer”, in The Oxford Handbook of Philosophical Theology, a cura di T. Flint & M.C. Rea, Oxford University Press, Oxford 2009, pp. 286-305. 17 Cfr. What are we doing when we pray? cit., pp. ix, 12-15. 16 99 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini almeno in parte da ciò che fanno le creature, ma, se Dio non ha potenzialità, sembra che nulla in Dio possa dipendere da qualcosa che riguardi le creature18. A me interessa in questo contesto mettere l’accento sui problemi piuttosto che sulle soluzioni, sulle difficoltà che nascono, come ho suggerito sopra, principalmente dal rapporto fra il modo di concepire la preghiera di petizione e la nostra concezione di Dio. Non vorrei dare tuttavia un’impressione sbagliata, come se nella letteratura filosofica recente non siano state date risposte a tali problemi. Presento qui le proposte filosofiche più significative circa la rilevanza e l’adeguatezza della preghiera di petizione. Una caratteristica comune a queste proposte, mi sembra, è che la preghiera di petizione non è in contrasto col concetto di “Dio” che pone in evidenza in Dio la sua suprema bontà, perché ci sono dei beni che Dio può assicurare solo con la petizione. Non si può escludere che alcuni beni, anche fondamentali, siano realizzati attraverso la petizione, grazie alla petizione19. Nella mia relazione, quindi, dovendo circoscrivere l’argomento, senza trascurare del tutto il problema filosofico relativo al rapporto della preghiera di petizione con l’eternità divina, do rilievo al problema della compatibilità della preghiera con la perfetta bontà di Dio. Ritengo meno importante in particolare il problema della compatibilità con l’onniscienza divina. Il fatto che Dio conosca meglio di noi le nostre necessità non esclude che la preghiera di petizione, ove sia appropriata, costituisca un valore a sé nella relazione personale con Dio, aggiunga un bene significativo che è ragionevole pensare la perfetta bontà di Dio intenda promuovere. Riassumerei così le principali proposte filosofiche sull’argomento in questione: 1) Per superare il dilemma, per il quale o Dio non è perfettamente buono o la preghiera è vana e senza senso, si è suggerito che Dio deve operare attraverso la mediazione della preghiera invece di agire esclusivamente di sua iniziativa, per amore dell’uomo, perché senza la preghiera di petizione non si potrebbe attuare quella vera amicizia che Dio vuole instaurare con gli uomini. La preghiera non è irrilevante. Senza la preghiera la persona umana non avrebbe alcun ruolo, sarebbe schiacciata dalla sovrana bontà e potenza di Dio oppure sarebbe indotta a strumentalizzare servilmente quella fonte di potere. D’altra parte questo tipo di analisi della preghiera di petizione non richiede che Dio accondiscenda a ogni preghiera; chiedere a Dio qualcosa non è una ragione sufficiente di per sé perché Dio faccia ciò che è richiesto. Se gli uomini non sempre pregano per tutti i beni per cui potrebbero e dovrebbero pregare, allora in taluni casi Dio non realizzerà certi beni o lo farà ma a spese del bene specifico operato e preservato con la preghiera di petizione (Stump)20. Una variante di questa tesi è quella che mette in evidenza il valore della preghiera di petizione in quanto implica il bene della collaborazione umana, della 18 Cfr. Aquinas cit., pp. 116, 150, 154. Cfr. C. Taliaferro, “Prayer”, in The Routledge Companion to Philosophy of Religion, a cura di C. Meister & P. Copan, Routledge, London-New York 2007, pp. 617-625, in particolare p. 620. 20 Cfr. “Petitionary Prayer cit.”, pp. 359 sgg. 19 100 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini partecipazione, in quanto senza un’implicita promessa di collaborazione, di impegno personale nella relazione con Dio, la preghiera di petizione sarebbe una mera richiesta a Dio di porsi al nostro servizio piuttosto che una richiesta di assistenza in un’attività implicante il coinvolgimento personale dell’orante (Smith-Yip)21. 2) Per dimostrare che la preghiera è rilevante e Dio risponde alla preghiera bisogna sostenere che ci sono dei beni che Dio vuole assicurare, come l’incremento delle relazioni comunitarie, la liberazione dall’idolatria, la crescita dell’amicizia personale con Dio, beni che può assicurare però solo facendo dipendere la concessione di certi altri beni dal fatto che sono richiesti. Ci sono in effetti beni di questo genere e ci sono beni differenti che si possono assicurare con differenti tipi di preghiera, dei quali i più comuni sono le preghiere autodirette (richiesta di beni per se stessi) ed eterodirette (richieste di beni per altri). Il bene eccedente che deriva dalle preghiere eterodirette è relativo in particolare alla coltivazione dell’interdipendenza all’interno della comunità e all’incentivo per il credente a condividere con gli altri le necessità che si manifestano nella comunità stessa. Dalle preghiere autodirette derivano beni eccedenti come la liberazione dall’idolatria, una maggiore comprensione della natura e degli scopi di Dio, e la promozione dell’amicizia fra Dio e la creatura umana (in quanto siamo costretti a riconoscere che Dio è la fonte ultima di tutti i beni di cui godiamo, ad ammettere che siamo bisognosi e dipendiamo da Dio per il soddisfacimento delle nostre necessità, e, se la preghiera è accolta, siamo disposti a manifestare la nostra gratitudine a Dio per la sua grazia). Ciò contribuisce a impedire quelle forme di orgoglio e di autoappagamento che potrebbero manifestarsi se Dio ci concedesse quei beni senza la preghiera di petizione. Anche in questa prospettiva, la petizione non è una condizione sufficiente, e neppure una condizione necessaria per ricevere qualsiasi tipo di beni; ci sono tuttavia delle ragioni, principalmente il tenere lontane le persone dall’idolatria e addestrarle nella conoscenza della volontà divina, per cui Dio in certi casi fa dipendere la concessione di beni dalla petizione. All’obiezione che Dio non può negare beni essenziali anche se non richiesti si può rispondere che non è necessario sostenere che la concessione di beni essenziali dipenda sempre e in ogni caso dalla petizione (Murray)22. 21 Cfr. N.D. Smith & A.C. Yip, “Partnership with God: a Partial Solution to the Problem of Petitionay Prayer”, Religious Studies, 46, 2010, pp. 395-410. 22 Cfr. M.J. Murray, “God Responds to Prayer”, in Contemporary Debates in Philosophy of Religion, a cura di M.L. Peterson & R. VanArragon, Blackwell, Malden-Oxford 2004, pp. 242-255; M.J. Murray & K. Meyers, “Ask and It Will Be Given To You”, Religious Studies, 30, 1994, pp. 311-330. David Basinger obietta a Murray & Meyers che il credente deve avere basi antecedenti per credere che le sue richieste sono in accordo con la volontà di Dio, con la natura e i valori di Dio, e non apprende ciò dalle risposte alle preghiere, e inoltre che non è ragionevole che un Dio perfettamente buono neghi la concessione di beni fondamentali, senza la preghiera di petizione, solo o primariamente per tenere lontana l’idolatria (Cfr. D. Basinger, “Petitionary Prayer: A Response to Murray and Meyers”, Religious Studies, 31, 1995, pp. 475-484). Cfr. il tentativo di soluzione del cosiddetto puzzle of serious petitionary prayer in Daniel & Frances Howard-Snyder, “The Puzzle 101 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini 3) Ciò che è in discussione è l’efficacia della pratica della preghiera di petizione. Non ha senso accusare di egoismo la preghiera di petizione, perché una preghiera “egoistica” sarebbe teisticamente incoerente, essendo appropriata solo quella preghiera in cui si implora Dio di far sì che il bene richiesto sia compreso nel bene inclusivo che Dio intende realizzare nel mondo. Un problema che nasce in questo contesto è se abbia senso dire che la relazione con Dio, quando è una relazione personale buona, autentica, crei un obbligo in Dio: è evidente, comunque, che obblighi di questo genere, deboli o forti che siano, possono essere sovrastati in Dio da altre considerazioni, da altre ragioni. Non rientra nella pratica della preghiera credere che ogni preghiera, ogni richiesta sia accolta. La preghiera non è una forma di magia (Gellman)23. 4) Come osserva Eleonore Stump, se la simultaneità fra l’azione eterna e l’azione temporale è una condizione sufficiente per la possibilità di una connessione causale nel caso in cui Dio porti all’esistenza un’entità temporale, essa è parimenti sufficiente per la possibilità del suo agire a causa di una preghiera formulata in un tempo particolare. Un conto è agire in modo tale che l’azione stessa possa essere collocata nel tempo, un conto agire in modo tale che l’effetto dell’azione possa essere collocato nel tempo. Anche se le azioni divine non possono essere collocate nel tempo, Dio può produrre effetti nel tempo, a meno che il farlo sia per lui logicamente impossibile. È vero poi che la semplicità divina esclude che Dio possa cambiare nel tempo, ma, almeno nella posizione di Tommaso d’Aquino, ciò non significa escludere che Dio possa rispondere alla preghiera, perché per questa possibilità non si richiede un mutamento di Dio nel tempo né che Dio agisca dopo la preghiera, richiedendo soltanto che Dio agisca a causa di ciò che fa la creatura (se la creatura avesse fatto qualcosa di diverso, anche Dio avrebbe potuto agire diversamente). Eleonore Stump esemplifica questo punto rilevando che, fra i mondi simili, negli aspetti rilevanti, a quello in cui Dio concede misericordia al pubblicano della parabola che gliela chiede, ma nei quali il pubblicano esiste senza però chiedere misericordia, ci deve esserne almeno uno in cui Dio non concede al pubblicano misericordia, e in cui il motivo per cui Dio non la concede include il fatto che il pubblicano non la chiede24. Per tornare al punto di partenza, che ne è allora delle tesi di Phillips? In una concezione appropriata di Dio, non si può intendere certamente la preghiera di petizione alla stregua of Petitionary Prayer”, European Journal for Philosophy of Religion, 2, 2010, pp. 43-68; a p. 66, l’argomento contestato è formulato così: 1. Either providing a basic good is the best God can do or it is not. 2. If it is, your asking won’t make any difference to whether he does it. 3. If it is not, your asking won’t make any difference to whether he does it. 4. So, your asking won’t make any difference to whether God provides it. 23 Cfr. J.I. Gellman, “In Defense of Petitionary Prayer”, in Midwest Studies in Philosophy, Vol. XXI: Philosophy of Religion cit., pp. 83-97. 24 Cfr. Aquinas cit., pp. 116-117, 136 sgg., 149-154. 102 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini di una richiesta rivolta a una persona umana, tanto meno come il tentativo di servirsi strumentalmente del potere divino. La conformità alla volontà di Dio, il criterio invocato da Phillips come l’unico adeguato al rapporto con Dio, non è del resto contraddetta dalla richiesta dell’intervento divino, se la concessione del bene richiesto non è rapportata all’influenza o all’impatto causale esercitato dall’orante, ma a criteri per i quali la richiesta non è condizione né necessaria né sufficiente della concessione e non è pensabile che essa sia accolta ove richieda qualcosa che sia in contrasto con il volere divino. D’altra parte la petizione può essere conforme al concetto di Dio come supremamente buono se i beni costituiti dalla liberazione dall’idolatria, dall’incremento della comunione con Dio e dalla promessa di partecipazione e coinvolgimento che la preghiera di petizione implica rientrano essi stessi nel bene inclusivo voluto da Dio e, d’altra parte, quei beni non sarebbero possibili senza la richiesta a Dio. Non c’è ragione, infine, di negare i vantaggi spirituali che derivano a chi prega dalla pratica stessa della preghiera, anche se non c’è ragione di ridurre il senso della preghiera di petizione a quei vantaggi (come se la preghiera si risolvesse interamente in una sorta di terapia spirituale). In un suo intervento più recente, del resto, lo stesso Phillips ha notato che non necessariamente la preghiera di petizione è da interpretarsi come un tentativo di influenzare la volontà di Dio, perché può essere intesa come un tentativo piuttosto di partecipare alla volontà di Dio25. Si tratta tuttavia ancora una volta di un linguaggio ambiguo, se tale partecipazione non è intesa nel senso di un possibile rapporto, quale può darsi all’interno di una relazione che è, di certo, assolutamente sui generis, perché metafisicamente asimmetrica e connessa, come si è visto, con la possibile compatibilità fra semplicità divina e capacità divina di risposta alla preghiera e con la coerenza fra tale risposta e la concezione dell’eternità di Dio. Qui consiste, credo, il nodo centrale della questione, al quale rinviano il richiamo di Alston al dialogo, della Stump e di Murray alla vera amicizia salvaguardata dalla preghiera anche in un rapporto di dignitosa dipendenza per la creatura umana, di Gellman a una relazione buona e autentica, di Smith e Yip alla collaborazione e al coinvolgimento. 25 Cfr. Philosophy, Piety and Petitionary Prayer cit., p. 149. 103 Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini ‐ Verona – Italy Vol. 5 – Anno 2013 – Numero 1 Pregare: riflessioni filosofiche su un’esperienza umana Fogli Campostrini Il presente saggio è tratto dal vol. 5 - dell’anno 2013 - numero 1 della Rivista Online – Fogli Campostrini, edita dalla Fondazione Centro Studi Campostrini, Via S. Maria in Organo, 4 – 37129 Verona, P. IVA 03497960231 Presidente della Fondazione Centro Studi Campostrini - Rosa Meri Palvarini Direttore responsabile e scientifico - Massimo Schiavi Fondazione Centro Studi Campostrini. Tutti i diritti riservati. 2012. ISSN: 2240-7863 Reg. Tribunale di Verona n. 925 del 12 maggio 2011. La proprietà letteraria dei saggi pubblicati è degli autori. Tutti i saggi sono liberamente riproducibili con qualsiasi mezzo con la sola condizione che non siano utilizzati a fini di lucro. L'autore e la fonte debbono sempre essere indicati. 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