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Riflessioni e discussione
Riflessioni e discussione
Giuseppe Vacca. Per evitare di riprendere la parola dopo il dibattito ringrazio tutti fin da ora e poi vedremo come valorizzare i lavori di questa giornata.
In apertura vorrei proporre una questione che credo possiamo discutere, sia
pur brevemente, facendo riferimento all’introduzione generale di Marcello
Mustè e alla relazione di Vittorio Possenti.
Non ho bisogno di spiegare perché condivido le loro interpretazioni e le
conseguenze sulla filosofia di Balbo che ne traggono; tuttavia, quali sono le
analitiche coniugabili con la sua filosofia dell’essere? Preciso meglio la domanda: posso condividere un concetto come quello usato da Possenti, che
rilevando la crescente distanza nella contemporaneità tra filosofia e cultura
ne suggerisce anche una periodizzazione. Ma come si determina il passaggio
da una fase storica all’altra? In un mondo che è sempre più contraddittoriamente unificato non so se la polarità filosofia-cultura/e non chieda ulteriori
specificazioni: quanto c’è di filosofie dentro le culture prevalenti, volutamente o inconsapevolmente afilosofiche, che invece sono pregne di narrazioni generali? Una volta condivisa la critica dello storicismo assoluto e del
rischio per ogni storicismo di pretendere all’assoluto, cosa ci si mette al posto
della domanda da cui nasce lo storicismo? È chiaro che sto parlando fondamentalmente di Hegel, di Marx e di Gramsci; meno di Croce, che pure vantava l’assolutezza del proprio storicismo. Mi sto interrogando sul momento
della genesi e del passaggio da un sistema egemonico a un altro, ovvero
sulle crisi dei sistemi egemonici e le difficoltà di produrne dei nuovi.
Questa domanda, che è all’origine del pensare storicamente, com’è riformulabile in modo da decidere le analitiche dei processi da combinare
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Giorgio Rivolta (a cura di)
con una filosofia dell’essere feconda come quella di Balbo? Potrei dire la
stessa cosa o fare la stessa domanda per quanto riguarda la relazione molto
bella sull’ultimo Balbo; vale a dire, qual è il fondamento etico e culturale
della critica alla deriva dal taylorismo alle relazioni umane? Come accade
tutto questo, quali sono gli attori di questo processo? Nella dimensione della
globalità che noi viviamo c’è una compulsività, apparentemente molto differenziata ma talmente forte che il proliferare di scelte e di azioni condivise
nel piccolo gruppo si iscrive in una egemonia neoconservatrice che ha fondamenti filosofici radicati.
Dunque: con quali analitiche dei processi si combina una filosofia dell’essere come quella di Felice Balbo?
Vittorio Possenti. La domanda è particolarmente importante. Provo a riflettere a voce alta, sebbene la questione dovrebbe essere molto più sviluppata. Chiedo scusa se parlo come filosofo: mi sembra che le analitiche debbano essere commisurate all’ampiezza del problema e l’ampiezza del problema
non era colta dallo storicismo per la presupposta soluzione di immanenza.
Dunque, se dobbiamo avere un’analisi dei processi storici, non possiamo
chiudere a priori la forma della sintesi…
Giuseppe Vacca. Chiedo scusa, evidentemente non mi sono spiegato bene:
il problema non è la risposta, ma le domande da cui parte lo storicismo. Le
domande a cui si può cercare di rispondere indagandone l’origine.
Vittorio Possenti. Ah, la domanda! Come si fa a instaurare una nuova forma
di egemonia dinanzi a una globalizzazione dilagante che produce molti
sconfitti, al liberismo e all’impiego indiscriminato delle biotecnologie? In
questo processo che aiuto può offrire la filosofia dell’essere? A me sembra
che oggi la prospettiva che può aiutare nella comprensione dei processi
storici più fondamentali e nella loro gestione sia l’analitica della persona.
Credo che il concetto centrale che sempre più emerge nella prospettiva della
storia, dei valori e dei diritti sia l’analitica della persona. Certo non mi nascondo che la persona dà luogo ormai da due secoli a due analitiche diverse
che, soprattutto negli ultimi quarant’anni, si sono divaricate.
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Se considero la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che costituisce tuttora uno strumento di primissimo piano nel governo dei grandi
fenomeni, devo riscontrare che mentre erano presenti già nella stessa due
rappresentazioni del concetto di persona umana, più personalistica l’una e
più individualistica l’altra, che avevano trovato nella dichiarazione una forma
di conciliazione, esse si sono appunto divaricate negli ultimi quarant’anni
in maniera forte con la prevalenza, della linea illuministico-individualistica
dell’individuo autocentrato, dell’individuo-isola che non ha ponti. A ciò si
collega una sottovalutazione del governo politico, un puntare sui meccanismi
di mercato, la leva impazzita della finanza e il crescente biopower tecnologico. Avendo fatto parte per circa quindici anni del Comitato Nazionale di
Bioetica, ho maturato insieme ad altri fattori la consapevolezza che l’egemonia non viene più dalla politica, come in qualche modo pensava lo storicismo: l’egemonia ormai proviene dall’accoppiata scienza-tecnica e dalla
combinazione mercato-finanza. Le due grandi rivoluzioni moderne sono state
la rivoluzione politica, che ha portato alla democrazia, e la rivoluzione
scientifico-tecnologica. Mentre la prima ha avuto un parziale successo, la
seconda ha avuto un successo straordinario; forse al momento non siamo
più in grado di governarla.
Noi ci troviamo dinnanzi a una serie di problemi che lo storicismo, con i
nomi che Vacca giustamente citava, non poteva nemmeno lontanamente
immaginare e neanche Felice Balbo negli anni finali della sua vita. Tali
problemi sono insorti col “mettere le mani sulle radici della vita”, con tutto
quello che ciò significa per quanto riguarda la manipolazione genetica, la
selezione pre-impianto, l’eugenetica, e infine il grande problema, che mi sta
particolarmente a cuore e sul quale ho impegnato molte energie, dello statuto
personale dell’embrione umano. In merito ho trovato una via solutiva nelle
categorie fondamentali della filosofia dell’essere, come ho cercato di spiegare in Il Nuovo Principio Persona.
Su questi aspetti che riguardano la nozione di persona, di responsabilità,
della determinazione dell’altro da rispettare e l’uso che ne viene fatto in alte
istanze quali la Corte europea dei diritti umani e la nostra Corte Costituzionale, avrei molte cose da dire (in particolare per quest’ultima in merito
alla fragilissima sentenza sulla fecondazione eterologa). Ora, sul tema della
persona si gioca certamente il nostro futuro ben di più che sulle questioni
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Giorgio Rivolta (a cura di)
amministrative, finanziarie, lavorative, perché è in gioco il senso stesso dell’essere umano. A mio parere la prospettiva della persona, sommariamente
indicata, rimane oggi fondamentale. Essa era presente in maniera subliminale
in Croce, mentre era sostanzialmente assente in Gentile: se uno legge Genesi
e struttura della società, scritto nel luglio-settembre del 1943, con quello
che stava capitando nel mondo, si rimane esterrefatti che una persona di alto
ingegno come Gentile riproponga lo Stato etico e lo scontro a morte delle
sovranità, e quindi la guerra, come fenomeno permanente.
La prevalenza attuale dello schema liberale-libertario su quello personalistico comporta serie conseguenze nella formulazione di sempre nuovi diritti
(veri o presunti) e l’emarginazione dei doveri, in specie del forte e dell’adulto, sul debole e sul non nato.
Giorgio Rivolta. Vado anch’io abbastanza veloce per suggestioni e intuizioni che poi andrebbero ulteriormente svolte. L’interrogativo di Vacca sulle
analitiche migliori coniugabili con la filosofia dell’essere è quello della rimotivazione, della possibilità di pensare e vivere in un altro mondo, di darsi
nuove prerogative, quindi di rendere egemonica un’alterità che non è iscritta
nelle attuali logiche imperanti?
Giuseppe Vacca. No, il mio interrogativo è un altro: è perché non è iscritta
e come ci siamo arrivati? Se non abbiamo una narrazione su questo siamo
implicitamente subalterni alle narrazioni dominanti. Come ci siamo arrivati?
Giorgio Rivolta. Quindi dal punto di vista diagnostico?
Giuseppe Vacca. Eh, certo! Possenti ha ragione, ma come si fa a rimettere
al centro l’analitica della persona?
Giorgio Rivolta. Allora la domanda potrebbe essere: “Perché ha perso la
persona e ha vinto l’individuo?”.
Giuseppe Vacca. Cioè: come ci siamo arrivati? Chi? Contro chi? Insieme a
chi? Quando? È questa la domanda che richiede un’analitica adeguata alla
filosofia dell’uomo di Balbo; cioè, quale teoria della storia?
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Giorgio Rivolta. Non vorrei dare una risposta affrettata, perché la domanda
interroga e stando nell’interrogazione non ci sono risposte immediate, però
una linea di analisi potrebbe essere questa: l’abbandono della filosofia dell’essere. Questa potrebbe essere una linea interpretativa e già ce n’era cenno
nella relazione di Possenti. Aver abbandonato le potenzialità della filosofia
dell’essere, aver realizzato il capovolgimento cartesiano della fondazione del
pensiero su se stesso, il cosiddetto rovesciamento, è lì, probabilmente, che
troviamo una delle motivazioni forti in grado di spiegare la nostra storia.
Giuseppe Vacca. Trecento anni fa. Arriviamo agli ultimi sessant’anni.
Giorgio Rivolta. Se è vero che la modernità ha cominciato a produrre i suoi
esiti nefasti già nel suo momento genetico, avendo cioè fondato il pensiero
su se stesso e non sull’essere, ciò già spiega, almeno in parte, quanto è avvenuto in seguito.
Giuseppe Vacca. Questa va bene come risposta, ma non è la filosofia dell’essere di Balbo illustrata da Mustè e da Possenti.
Giorgio Rivolta. Vorrei assumere sempre lo stile che Balbo ci proponeva,
cioè uno stile interrogativo nel momento della diagnosi, certamente replicativo nel tentativo di risposta ma sempre improntato al dialogo. A me sembra
che in Balbo ci sia la ripresa forte della filosofia dell’essere non in termini
neoscolastici ma come possibilità per l’uomo di ripensare e declinare l’ordine dei fini per i nuovi tempi. Il tema dei fini oggi ha assunto un’importanza
fondamentale in quanto milioni di uomini e donne acquistano sempre più
consapevolezza della progressiva fungibilità della persona; si rendono conto
che siamo dentro un sistema che ti usa come numero, pedina, come realtà
che è stata ridotta a puro mezzo.
Vorrei anche mettere l’accento sul vantaggio intrinseco della filosofiariflessione dell’essere: essa non si lascia mai tradurre, quindi tradire, in una
ideologia perché l’essere è inesauribile e a partire dalla sua inesauribilità,
tema caro anche a Luigi Pareyson, è possibile condividere un’ermeneutica
dell’essere nella storia e quindi una declinazione delle sue possibili realizzazioni senza avere la pretesa di darci l’un l’altro i comandi e gli ordini su
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Giorgio Rivolta (a cura di)
che cosa si deve fare. Credo che questo seminario sia un’occasione notevole
per riflettere sul rapporto fini-mezzi nel momento in cui un nuovo imperialismo culturale, o se vogliamo l’ideologia dei mezzi, ha trasformato i
mezzi tradizionali in fini, e ciò a partire dal denaro, dall’informazione, dal
consenso. Nell’attuale logica politica i partiti ragionano più per il consenso
che potranno ottenere che per i contenuti – veri, buoni, accettabili o giusti –
che si possono elaborare. Invito tutti, quindi, a riflettere su quanto un recupero della filosofia dell’essere possa davvero offrirci nella ridefinizione dei
rapporti tra fini e mezzi e quindi nella formulazione di un’analitica della storia
che sappia riprendere e utilizzare i cinque punti che Balbo aveva intuito.
In Idee per una filosofia dello sviluppo umano c’è un interessante nota
in cui Balbo distingue tra fini, scopi e obiettivi: i fini esprimono la dimensione più ampia dell’essere, che trova una sua prima specificazione attraverso l’ideazione negli scopi e un’ulteriore articolazione negli obiettivi con
l’azione politica. Questi tre gradi, così potremmo chiamarli, di un armonico
sviluppo umano potrebbero costituire una base per una ricerca comune, magari per scrivere insieme una nuova narrazione. Questo, almeno, è il mio invito.
Vittorio Possenti. Aggiungo una parola, stimolato dagli interventi che mi
hanno preceduto. Ritornando alla questione della persona, noi ci troviamo
di fronte a due tradizioni, che hanno una un radicamento metafisico esplicito
e l’altra implicito. Mentre la tradizione del personalismo ontologico si rifà
alle determinazioni di Boezio, Tommaso, Rosmini e Maritain, la tradizione
di individuo, che è prevalente nel pensiero anglosassone, si rifà a una determinazione funzionalistica. Essendo stata congedata la metafisica, in alcune
opere della linea funzionalistica – pensiamo soprattutto a quella di Parfit
(Ragioni e persone) – il soggetto viene ricondotto alla determinazione di John
Locke, cioè la continuità del soggetto è data non dalla sostanzialità del suo
atto di esistere, ma soltanto dalla continuità della memoria. In questa maniera
il funzionalismo, cioè la concezione della persona secondo le funzioni fondamentali che può esplicare, è una porta aperta per ogni tipo di arbitrio. E qui
potrei richiamare le esemplificazioni addotte sopra in campo biotecnologico.
Infine accenno a un elemento di grande rilievo da cui potrebbero uscire
prospettive per quell’analisi della situazione storico-politica richiesta da
Vacca. Si tratta purtroppo di una considerazione alquanto deprimente, che
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concerne il collasso delle culture politiche da cui è nata l’Italia repubblicana:
socialista, democratico-cristiana, comunista, liberale, azionista, conservatrice
di destra etc. Questa crisi non è di oggi: ha alle spalle circa un quarto di
secolo e ha colpito in profondità la società italiana, più indifesa di un tempo
dinanzi al populismo.
Giovanni Turbanti. Non sono un filosofo e quindi non vorrei entrare in
questa discussione che lascerei a chi è più competente. Per quanto riguarda
Balbo penso che un problema molto importante sia quello del suo rapporto
con la modernità, un problema che coinvolge tutto il gruppo dei cattolici
comunisti che, come si sa, sono stati antimodernisti. Però io credo che non
si possa semplicemente dire che Balbo fosse un antimoderno, contrario alla
modernità, bisogna fare delle distinzioni; anche sul recupero della filosofia
dell’essere che torna a Tommaso non è, mi sembra, semplicemente una
condanna della modernità, ma un tentativo di recuperare dei percorsi che
erano stati interrotti e quindi sarebbe interessante capire qual è il tomismo
di Balbo. Infatti, nel secolo scorso il tomismo ha voluto dire tantissime cose;
oggi non si è parlato di un personaggio chiave per la formazione di Balbo,
padre Ceslao Pera, che è stato il suo maestro di tomismo.
Bisogna anche distinguere il personalismo di Balbo – perché indubbiamente la sua filosofia ha nella persona un punto di riferimento imprescindibile – da quello di Maritain. Possenti si chiedeva se Balbo avesse mai incontrato Maritain quando era Ambasciatore presso la Santa Sede a Roma
negli anni Cinquanta. Non risulta. So che invece ha conosciuto e incontrato
Mounier; allora forse è opportuno cercare di fare anche qui delle distinzioni, e per quanto riguarda la modernità indubbiamente lui si accorse che
alcuni aspetti della modernità hanno fatto fallimento, sono stati portati avanti
dall’ideologia; però non mi sembra che possa essere, il suo, un ritorno indietro che ignora la Rivoluzione Francese…
Giorgio Rivolta. Lo dice lui stesso, non è così…
Giovanni Turbanti. Appunto, quindi mi sembra opportuno fare queste distinzioni: nel tomismo di Balbo, lo diceva anche oggi Mustè, mi sembra ci
sia un passaggio importante, quello relativo alla dinamicità dell’essere, che
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Giorgio Rivolta (a cura di)
lui inserisce. Quindi, non a caso, poi c’è la riflessione sul progresso, che non
è certo la modernità, ma con essa fa dei conti non negativi, non esclusivi.
Pier Paolo Balbo. Spero che questo discorso lasci delle tracce: mi piacerebbe che questa giornata sia, come dire, qualcosa di incompiuto, di aperto;
per me è stata anche un nuovo inizio, una capacità di rileggere cose che
avevo più annusato che capito…
Giuseppe Vacca. È una domanda circolare…
Pier Paolo Balbo. Sì, è una domanda circolare; nella speranza di raccogliere
questi materiali io proporrei di mantenere i tuoi interrogativi aperti come
domanda a tutti i partecipanti e quant’altri, di lasciare ancora qualche traccia
che possa aprire ipotesi di futuro guardando al passato, per poter capire un
futuro motivabile.
Giuseppe Vacca. Quindi occorre capire da dove siamo partiti per arrivare
qua; è ineludibile, soprattutto per chi come Balbo, appunto, non è un antimoderno. È questo che manca. Mi viene da fare questa considerazione: lasciamo stare la Corte di Giustizia, ma la Corte Costituzionale… una cosa è
la Costituzione, una cosa sono i giudici costituzionali che cambiano, a seconda di come va il mondo, con gli interessi, la testa, i cuori, il modo di
vivere… Allora noi stiamo vivendo l’esplosione di quella modernità “funzionalistica”. Da dove vogliamo ricominciare per vedere se le cose che diciamo possono incontrare menti e gambe?
Le analitiche filosofiche vanno bene, ma abbiamo bisogno di un’analitica
della storia. Se non capisci da dove abbiamo cominciato e perché siamo arrivati qui non riparti; dove vai a finire non dipende da te, cioè tu non conti
niente. La tecnica, quale tecnica? La rivoluzione informatica. Di che parliamo? Chi? Quando? Con chi? Contro chi? Dobbiamo arrivare a chiarire
questo, sennò non capiamo perché il mondo funziona così mentre potrebbe
funzionare diversamente.
Giulia Boringhieri. Contrariamente a quanto avete detto finora non credo
che sia la filosofia dell’essere la voce più moderna e attuale di Felice Balbo.
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Riflessioni e discussione
Non credo che sia possibile incontrare l’attualità del suo pensiero nella
metafisica, in quanto appunto filosofia dell’essere, da cui si ricava un’essenza
rispetto alla quale ci può essere una corruzione o una purificazione. Non lo
credo anche perché, come diceva Giuseppe Vacca, la prima cosa da cui
partire per rispettare Balbo dovrebbe essere la determinazione dell’epoca
storica in cui viviamo, e noi oggi viviamo in un momento in cui dobbiamo
dare una risposta ai fondamentalismi di ogni tipo. Non penso che un altro
fondamentalismo, attinto da un filosofo che viveva nel suo tempo, ci possa
essere utile. Mi piacerebbe sentire in proposito l’opinione del professor
Mustè, che ha presentato Balbo proprio a partire dal concetto di laicismo.
Giuseppe Vacca. Appunto, laicità, quella è la chiave…
Marcello Mustè. Sono d’accordo con quanto è stato detto, ma ritengo che
bisogna andare cauti quando, a proposito di Balbo, si parla di una filosofia
dell’essere. Quali sono, in definitiva, i caratteri fondamentali di questa filosofia dell’essere?
Il primo aspetto è la laicità, un senso fortissimo che Balbo ha sempre
avuto dall’inizio alla fine, da L’uomo senza miti fino agli ultimi Frammenti,
della distinzione tra religione e politica. Il secondo tema è quello della
modernità. Insisterei sul fatto che Balbo non è Del Noce, che ci sono differenze essenziali tra questi due autori; anzi, quando elabora la filosofia dell’essere Balbo si propone, forse ancora più di Rodano, come un avversario
di Del Noce, in quanto gli oppone l’idea di fondo del valore della modernità.
La riscoperta della linea tomistica rispetto a quella platonico-agostiniana
rivela anche il desiderio di fare, dirò così, il “controcanto” rispetto agli sviluppi della riflessione di Del Noce. Non a caso quella di Balbo è una filosofia
dell’essere che assume come principale obiettivo polemico Parmenide, e
che mira alla sintesi tra l’essere e il progresso, tra l’essere e il divenire. Di
qui la complessità del suo confronto con Hegel, con Marx, con Croce, e in
generale della critica della dialettica e dello storicismo.
Balbo non è certo un pensatore dialettico, ma è pur sempre un pensatore
che cerca di innestare il divenire dell’essere, di elaborare una filosofia dell’essere che abbia un rapporto intrinseco con la storia. Può darsi che non vi
riesca del tutto ed è probabile che, se avesse avuto il tempo di farlo, avrebbe
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lui stesso corretto molte cose che si leggono nei frammenti postumi; ma è
importante sottolineare che la sua filosofia non si configura mai come una
negazione della modernità, né come una negazione semplice della storicismo,
ma semmai come l’indicazione dell’esigenza di una certa normatività, sul
piano etico e ontologico. Nella visione di Balbo, insomma, lo storicismo non
tiene se non c’è una norma che lo sostenga.
Giorgio Rivolta. Posso solo porre una domanda per dare poi continuità a
questa discussione che mi sembra cruciale? Una domanda che è al contempo
uno spunto di riflessione. Se è vero che occorre entrare con molta attenzione
nel tomismo di Balbo, proviamo a chiederci cosa vuol dire quando utilizza
la coppia actus essendi et essentia, perché è lì che si gioca tutta la comprensione della sua filosofia dell’essere. La parola essere è talmente potente da
evocare in noi significati molto diversi: parmenidismo, aristotelismo, tomismo, scolastica ecc. Cosa vuol dirci Balbo quando capisce che la distinzione
tra atto d’essere ed essenza gli offre la chiave per operare la sintesi, come
ha appena detto Mustè, tra essere e divenire, tra verità e storia, tra desiderio
e realtà, tra idea e azione?
Giuseppe Vacca. Ti vengo incontro: nell’ultima edizione dell’Enciclopedia
filosofica sovietica la voce “materialismo dialettico” cominciava dall’essere tomistico.
Giorgio Rivolta. Va bene. Io percorro questa linea di riflessione seguendo
le tracce balbiane, in particolare le ultime due opere (Idee per una filosofia
dello svilupo umano ed Essere e progresso) nelle quali lui maggiormente
lavora su questi aspetti che, tra l’altro, gli consentono di approdare alla più
autentica laicità, soprattutto nel difficile rapporto tra eternità e tempo.
Marcello Mustè. C’è un punto, per altro molto complesso, che forse è opportuno richiamare. In Balbo l’uomo è definito, alla maniera tomistica, come
ens partecipatum non in quanto partecipa, in maniera immediata, dell’Ente
come Ipsum Esse, cioè di Dio, ma in quanto partecipa della propria essenza
peculiare. Nella sua tensione etica, l’uomo tende perciò a realizzare se stesso,
le proprie potenzialità, a intensificare il proprio essere, non a obbedire a una
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norma trascendente. Questo è un punto fondamentale, anche se non facile,
perché segna veramente il confine di laicità del suo pensiero.
Si ricordi poi il compito assegnato alla Chiesa: che rimane un compito
“negativo”, nel senso che la Chiesa (come si legge ne Il laboratorio dell’uomo) deve solo “indicare agli uomini che essi non possono credere di
avere quello che non hanno”. “Credere di avere quello che non si ha”,
significa la “rapina dell’assoluto” di paolina memoria: questa è, per Balbo,
la definizione stessa del peccato, nel senso più forte. Per questo insisto nel
dire che il difetto di laicità tante volte rimproverato a Balbo non ha un vero
fondamento nella struttura del suo pensiero.
Michele Vacca. È stato del tutto ignorato come qualcosa di negativo, anzi
non è stato nemmeno nominato il nominalismo come alternativa al realismo
delle categorie tomistiche e all’idealismo, che poi in buona parte sono, rispetto al nominalismo, tra di loro assimilabili. Il nominalismo è stato esautorato da questa dialettica tra realismo e idealismo e uno dei motivi per cui
forse oggi si è subalterni rispetto a certi aspetti negativi della modernità è
perché si è deposto il lato positivo del nominalismo, che non è così utilitaristico. Nietzsche nella Gaia scienza faceva un discorso anti-utilitaristico ma
assolutamente nominalistico dal punto di vista filosofico e metafisico.
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