LEZIONE: “CONFORMISMO E DEVIANZA” PROF.SSA SIMONA IANNACCONE Conformismo e devianza Indice 1 Il Conformismo ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Il Concetto Di Devianza ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5 3 Devianza E Criminalità ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7 4 Le Teorie Sulla Devianza------------------------------------------------------------------------------------------------------ 9 5 Le Malattie Mentali ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14 Riferimenti Bibliografici ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 16 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 16 Conformismo e devianza 1 Il conformismo La società possiede ordine in senso lato, poiché generalmente i suoi membri si attengono in maniera sufficiente alle norme di comportamento dettate dalle istituzioni, e queste ultime tendono a formare un qualcosa di interdipendente e duraturo. Già nei livelli più elementari di interazione sociale sono presenti regole, norme, leggi implicite o esplicite che regolano il comportamento degli individui. La società umana non potrebbe infatti sussistere se non esistessero dei canoni di comportamento che disciplinano l’azione dei soggetti. La sopravvivenza di una società, dunque, richiede che siano messe in atto strategie che consentano l’assimilazione delle norme proprie di quel contesto sociale e garantiscano l’adeguamento a esse da parte dei suoi membri. Di fronte alla miriade di norme che regolano la nostra vita sociale, la maggior parte delle persone tende a conformarsi, ad adattare cioè il proprio comportamento a quanto richiesto dall’interazione comunitaria. Questo adattamento alla norma avviene per lo più in modo “naturale”, in particolare grazie ai processi di socializzazione, mediante i quali l’individuo assimila e interiorizza le norme del contesto sociale. In tal modo, le regole non vengono percepite come qualcosa di imposto, ma come comportamenti normali. Attraverso la socializzazione, infatti, i bambini diventano in buona parte adulti il cui comportamento segue “naturalmente” le regole della società, senza che questa debba continuamente esercitare una pressione esterna. Benché estremamente rilevante, tuttavia la socializzazione non è mai un processo perfetto. Ciò significa che all’interno di una pluralità di individui esisteranno sempre alcuni soggetti su cui il processo di razionalizzazione non è risultato efficace e che pertanto tenderanno a trasgredire le norme comuni. La conformità, dal punto di vista sociologico, costituisce più un fattore sociale di comportamento che un’attitudine psicologica. La conformità è semplicemente un comportamento che obbedisce o rientra nella norma sociale; può rispondere a tali attitudini psicologiche, o può avere altre cause, come la costrizione o l’aspettativa di una ricompensa; in ogni caso, dipende dal comportamento. Nella relazione che si crea tra società e individuo assume grande importanza il consenso sociale, cioè il grado di conformità che il soggetto riesce a mantenere rispetto alle norme vigenti. Nel comportamento reale il consenso può essere di tre tipi: Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 16 Conformismo e devianza — consenso attivo, se il comportamento è il riflesso di un’interiorizzazione della norma da parte dell’attore sociale; — consenso accordo, se l’adesione alla norma è la risultante di uno scambio di prestazioni di tipo economico; — consenso conformità, se il comportamento è il risultato della pressione del gruppo sul singolo il quale agisce, rispettando la norma, solo perché intimorito. La consapevolezza della necessità di norme comuni e insieme dell’“imperfezione” della socializzazione fa si che ogni gruppo sociale metta in atto dei meccanismi, delle strategie di autoconservazione, tendenti a preservare l’integrità della società. Queste strategie sono costituite dai sistemi di controllo sociale che, in misura diretta o indiretta, si manifestano sugli individui attraverso una pressione sociale affinché si mantenga la conformità1 al sistema e sia garantito l’ordine. Questi sistemi possono essere di tre tipi: — interni diretti, che si manifestano come senso di colpa, vergogna e imbarazzo da parte di chi viola una norma; — interni indiretti, quali l’affetto e in generale l’attaccamento emotivo agli altri e il desiderio di non perdere la loro considerazione; — esterni, comprendenti i diversi tipi di sorveglianza esercitati da individui a ciò preposti per scoraggiare la trasgressione delle norme comuni (si pensi all’azione di polizia e carabinieri, ai controlli stradali ecc.). Secondo Talcott Parsons2 tre sono i modelli essenziali di controllo sociale: l’isolamento, l’allontanamento e la riabilitazione. L’isolamento implica l’allontanamento del deviante dal gruppo senza che ciò preveda alcuna forma di riabilitazione. L’allontanamento, invece, limita i contatti tra il deviante e la società, ma per un periodo di tempo limitato, consentendo un eventuale reinserimento del soggetto all’interno del tessuto sociale. La riabilitazione, infine, è un processo tendente a reintrodurre l’individuo deviante all’interno del contesto sociale a condizione che egli accetti il ruolo e le norme di comportamento assegnatigli (un caso di riabilitazione è la psicoterapia). 1 E. Aronson, Conformità, in Elementi di psicologia sociale, Franco Angeli, Milano 1977 Sociologo statunitense (1902-1979), esponente dell’indirizzo sociologico dello struttural-funzionalismo, a cui fornisce l’apporto di una complessa teoria generale dell’azione. Tra le opere principali: La struttura dell’azione sociale (1937) 2 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 16 Conformismo e devianza 2 Il concetto di devianza Il consenso assoluto è impossibile, poiché la società si trova in continua tensione tra forze coesive e forze centrifughe che derivano dai suoi processi interni di tensione e di adattamento insufficiente o precario all’ambiente, sia naturale che sociale. Gli individui e i gruppi, in presenza di pressioni molteplici e difformi, perdono spesso i loro legami consensuali con il sistema dominante passando all’azione difforme e deviando dalle norme socialmente riconosciute come valide dalla comunità: da quelle caratterizzanti il sistema politico, a quelle legate al sistema religioso, da quelle culturali a quelle economico-istituzionali. Pertanto, la devianza, si riferisce sempre ad una condotta, un qualsiasi comportamento che rappresenta una violazione delle norme stabilite da una data società o da un dato gruppo e che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione3. Si definisce sanzione una reazione degli altri al comportamento di un individuo o di un gruppo, reazione che abbia lo scopo di assicurare il rispetto di una data norma. In altre parole, il concetto di devianza implica una diversità morale; esso si riferisce al rifiuto o forse all’incapacità di un individuo o di un gruppo di attenersi alle norme morali predominanti nel contesto sociale a cui è interessato. Se consideriamo le situazioni abituali, quotidiane, potremmo capire meglio che cosa significa tutto ciò per la reale esperienza sociale della gente. Ogni situazione in cui le persone interagiscono a livello sociale è costituita da aspettative predeterminate cui si da per scontato che gli altri reagiranno in modo anch’esso pre-determinato. Il deviante annuncia la sua presenza nel momento in cui non reagisce come ci si aspetta da lui. Pertanto, possiamo precisare che non tutti coloro che infrangono una qualsiasi regola possono essere considerati “devianti”, ma solo coloro che non rispettano norme e aspettative sociali (che a loro volta mutano e si modificano sulla base del divenire storico e sociale) importanti e che in conseguenza di ciò divengono oggetto di valutazione negativa da parte di un gran numero di persone. Da ciò discende che, proprio perché relativa al concetto di norma e in particolare di quanto viene ritenuto “norma importante”, la devianza non può essere considerata come qualcosa di “oggettivo”, ma è sempre tale solo all’interno di un contesto normativo e di conseguenza relativamente a un determinato sistema socioculturale. Così non solo i comportamenti considerati devianti in un paese possono essere accettati o addirittura considerati molto positivamente in un 3 Cfr., A. Giddens, Sociologia, Il Mulino, Bologna 1991; p. 125 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 16 Conformismo e devianza altro, ma anche all’interno della medesima società lo stesso comportamento può essere giudicato deviante in una determinata epoca e non esserlo in un’altra. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 16 Conformismo e devianza 3 Devianza e criminalità Molto spesso la sociologia della devianza si è occupata dei fenomeni criminali, generando in molti l’idea erronea di un’identificazione tra criminalità e devianza. In realtà, se è vero che la criminalità fa parte della devianza, i due fenomeni tuttavia non coincidono. Il termine “criminale” o delinquente viene in genere applicato a individui che si rendono protagonisti di gravi reati contro la persona o il patrimonio (quali i genocidi, gli omicidi, gli stupri, i furti ecc.), ma non sono infrequenti i casi di chi considera come criminali o delinquenti gli autori di comportamenti sociali meno gravi dei precedenti, applicando indifferentemente questa etichetta a un automobilista che non rispetta il codice della strada, a un gruppo di tifosi di una squadra di calcio che si rende protagonista di atti di vandalismo, a quanti esprimono stili di vita che infrangono le convenzioni sociali e i valori morali prevalenti nelle società e così via. Tutti gli esempi qui riportati sono accomunati dal fatto di rappresentare una violazione di norme prevalenti in una collettività; ma essi sono espressione di diversi livelli di devianza, in rapporto sia al tipo di norma sociale infranta, sia alle conseguenze sociali che detta violazione produce (e alla pericolosità sociale ad essa attribuita). Per alcuni di essi ha senso parlare di crimini o reati, mentre per altri l’uso di questi termini appare del tutto improprio. La criminalità, tuttavia, si riferisce a quei comportamenti che non rispettano le norme legali (i codici scritti) vigenti in una determinata collettività. Si tratta di azioni che infrangono una norma giuridica, lesive di interessi protetti dal codice penale, e che quindi risultano socialmente perseguibili e punibili sulla base di specifiche sanzioni formali. Il termine devianza è invece più ampio e comprensivo non solo di fenomeni criminali, ma anche di altri comportamenti, quali l’uso di droghe, alcol, malattia mentale ecc. Le idee di crimine e di devianza richiamano immediatamente quelle di una norma o di una regola sociale o morale che viene violata, di un comportamento che risulta oggetto di disapprovazione sociale. Ogni società si fonda su un sistema di norme e di leggi che regolano i rapporti sociali, che garantiscono la stabilità di quella collettività. Per ogni individuo l’adesione ad una serie di norme sociali e legali fa parte della sua identità pubblica, del fatto stesso di considerarsi appartenente ad una determinata collettività. In questo quadro, il fatto di compiere un atto criminale o un atto deviante indica l’orientamento di un soggetto a sottrarsi alla giurisdizione delle regole di una società, a mettere in Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 16 Conformismo e devianza discussione la validità delle regole ( morali o legali) su cui si registra il consenso nella società e che si ritiene debbano essere difese dall’autorità costituita. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 16 Conformismo e devianza 4 Le teorie sulla devianza Teorie biologiche Ma perché si verifica la devianza? E quale strada hanno preso i sociologi nella spiegazione e nella interpretazione di tale fenomeno? I primi tentativi di indagine attribuivano il comportamento deviante a cause biologiche. Paul Broca, un pioniere dell’antropologia francese, sosteneva di poter riconoscere nel cranio dei criminali certe particolarità che li distinguevano da quanti invece osservavano la legge. Nella storia della criminologia (che, ai suoi inizi, era considerata una branca della medicina) un eminente rappresentante di questo approccio fu, tuttavia, Cesare Lombroso, medico italiano del XIX secolo. Egli elaborò una complessa descrizione di quello che chiamava il «criminale per nascita» che, secondo lui, poteva essere identificato dalla forma del cranio. Più tardi queste idee furono del tutto screditate, ma la tesi secondo cui la criminalità sarebbe stata influenzata dalla costituzione biologica è stata ripetutamente sostenuta in varie forme4. Numerose ricerche si sono concentrate sull’analisi dell’albero genealogico di famosi criminali al fine di rintracciare elementi che consentissero di individuare l’ereditarietà del fenomeno; tuttavia, in questi studi non si riesce a mostrare l’incidenza che i fattori ambientali hanno avuto nella formazione della personalità degli individui in questione: bambini cresciuti in ambienti degradati e con modelli di comportamento che stimolavano il furto non avevano certo le stesse probabilità di integrazione di chi fosse vissuto in un ambiente agiato, con modelli tradizionali. Più recentemente, alcuni ricercatori hanno cercato di collegare le tendenze criminali a un particolare gruppo di cromosomi presente nel patrimonio genetico. Sembrava infatti che da indagini condotte tra i prigionieri nelle carceri di massima sicurezza si registrasse un’alta percentuale di individui nel cui patrimonio genetico risultava un cromosoma Y in più rispetto a quanto non si verifichi normalmente. Questi dati non sono però stati confermati da ulteriori ricerche effettuate nella stessa direzione. Rimane possibile che i fattori biologici abbiano qualche remota influenza su certi tipi di criminalità. Alcuni individui, ad esempio, possono avere una costituzione genetica che li rende inclini all’irritabilità e all’aggressività. Ciò potrebbe tradursi, in alcuni casi, nei reati di 4 Eysenk, 1977 e ancor più recentemente dai lavoratori di Mednick e collaboratori, 1987 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 16 Conformismo e devianza aggressione fisica. Non esiste tuttavia nessuna prova conclusiva relativamente al rapporto diretto tra ereditarietà e azione criminale. Teorie psicologiche Come le interpretazioni biologiche, anche le teorie psicologiche della criminalità associano la delinquenza a un particolare tipo di personalità. Tali teorie spiegano la devianza in base a questa o a quella disfunzione o alterazione psicologica, e hanno in comune con le teorie biologiche il fatto che vedono la devianza come una malattia che deve essere considerata da un punto di vista essenzialmente medico. La differenza tra le due teorie sta, almeno in parte, nella diversa possibilità di cura. Da quando è stata è stata introdotta la psicoanalisi, si ritiene in genere che quasi tutti i disturbi psicologici possano essere curati. Riprendendo vari concetti del pensiero di Freud, diversi autori hanno cercato di spiegare i fenomeni criminali in termini di “psicopatia”, “degenerazione” e in generale come elementi legati a problemi di ordine psichico. Spesso questi studiosi hanno cercato di rintracciare la causa della devianza in situazioni familiari patogene relative all’infanzia del soggetto (rapporto sbagliato tra genitori e figli). In considerazione di ciò, il comportamento delinquenziale non sarebbe altro che l’espressione sintomatica delle tensioni provocate da situazioni familiari pregresse e mai superate dal soggetto. Nonostante la pluralità dei modelli interpretativi, la maggioranza delle indagini condotte in questo campo tende a ricondurre le radici della devianza a conflitti non risolti, a processi di identificazione psicologica, a meccanismi relativi ecc. accaduti in particolari situazioni dell’infanzia e dell’adolescenza del soggetto. Albert Cohen, uno dei più noti esperti della sociologia della delinquenza giovanile, ha tentato di combinare l’approccio psicologico con delle analisi sociologiche di forma convenzionale5. Discutendo le cause della delinquenza giovanile, Cohen ha evidenziato che un fattore determinante nella personalità individuale sarebbe da ricercare nel rapporto effettivo istituito dal soggetto con individui, bande e gruppi. Pertanto, la devianza tenderebbe a diffondersi in quelle società in cui sono presenti diverse subculture. In questo caso, infatti, diversamente, da quando accade nelle piccole comunità, la disomogeneità culturale provocherebbe delle difficoltà nella trasmissione dei comportamenti approvati dalla società. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 16 Conformismo e devianza La teoria della subcultura Molti studiosi hanno affermato che di per sé il contrasto fra la struttura sociale e quella culturale non basta a spiegare perché alcune persone violino le norme e hanno sostenuto che per comprendere i fenomeni devianti è necessario esaminare i fattori culturali e i valori ai quali il deviante fa riferimento; anche la devianza, come la conformità, si apprende dall’ambiente in cui si vive. Se una persona commette un reato è perché si è formato in una subcultura criminale, che ha valori e norme diverse da quelle della società generale e che vengono trasmesse da una generazione all’altra. A bere alcool, a fare uso di droga, a rubare e a rapinare, si impara dagli altri, da coloro che si incontrano tutti i giorni e che sono disposti a farlo e lo sanno fare. Da essi, oltre alla competenza tecnica, si imparano i valori, gli atteggiamenti, le razionalizzazioni favorevoli a queste azioni. I primi studi intrapresi in questa direzione furono quelli di Clifford Shaw e Henry Mc Kay, che nel 1929 effettuarono un’imponente ricerca sul tasso di delinquenza nella città di Chicago. Dopo aver suddiviso la città in cinque zone concentriche, Shaw e Mc Kay calcolarono il rapporto tra il numero di coloro che avevano commesso reati e la popolazione totale della zona considerata. Dalla ricerca emergeva che il tasso di delinquenza così ottenuto diminuiva quanto più ci si allontanava dal centro cittadino. Qui risiedevano in prevalenza immigrati di diverse provenienze, mentre nelle aree semiperiferiche risiedevano gli operai specializzati e, in quelle ancora più esterne, i ceti medi. I ricercatori scoprirono inoltre che i tassi di delinquenza erano assai simili a quelli registrati a partire dal 1900, nonostante gli abitanti delle diverse zone e la stessa composizione etnica si fossero modificati nel corso degli anni. Secondo i due sociologi la spiegazione andava ricercata nei diversi contesti valoriali presenti nelle aree. In alcuni quartieri erano infatti presenti norme e valori favorevoli certe forme di devianza, che venivano di volta in volta trasmessi ai nuovi membri del gruppo. Riprendendo questo tipo di analisi, Edwin Sutherland ha elaborato la teoria “dell’associazione differenziale”. In una società che contiene molte subculture diverse, alcuni ambienti sociali tendono a incoraggiare la criminalità, altri no. Gli individui diventano delinquenti o criminali associandosi ad altri che sono portatori di norme criminali. 5 Cfr. A. Cohen, Delinquent Boys, New York, Free Press, 1955, trad. it. Ragazzi delinquenti, Milano, Feltrinelli, 1963 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 16 Conformismo e devianza Le origini della devianza andrebbero pertanto ricercate nei processi di socializzazione che normalmente si verificano all’interno di piccoli gruppi e dei quali l’individuo finisce per accogliere norme e valori. Teoria dell’anomia Sulla base della rielaborazione del concetto durkheimiano di anomia, ovvero la situazione che si verifica quando non ci sono valori ben definiti a guidare il comportamento in una dato ambito della vita sociale (in queste circostanze, gli individui sentendosi disorientati erano disposti al suicidio), Robert Merton 6 ha sviluppato una teoria che considera la devianza come un prodotto delle situazioni anomiche, che a loro volta derivano dalla contraddizione, da lui riscontrata nella società americana, tra mete culturali e mezzi sociali istituzionalizzati. Egli ipotizza che tutte le forme di comportamento deviante siano dovute alla disparità di accesso con mezzi legittimi alle varie mete che rappresentano il successo in una società. In altre parole, viviamo in società che proclamano la ricchezza e il successo economico come mete supreme, ma che al contempo offrono i mezzi legali per raggiungere tali mete solo a un’esigua minoranza. La spinta al successo e al benessere economico viene smentita dunque come necessità sociale, ma per gli individui esclusi dai mezzi socialmente approvati una tale meta risulta irraggiungibile. Il furto e la truffa si presentano allora come espedienti per ottenere quanto è reso costantemente desiderabile da parte della società. Analizzando il processo di socializzazione degli americani, Merton rileva come questo si fondi sul valore del successo e sulla denigrazione (mediante la definizione di “ fallito”) di quanti non lo raggiungono. A livello individuale, tuttavia, il perseguimento del successo non viene accompagnato dalla capacità di accettare come unici strumenti possibili quelli ammessi dalla società, per cui quando tali strumenti risultano inaccessibili nel soggetto si viene a creare una situazione di profondo disagio (anomia). La teoria dell’etichettamento (“Labeling theory”) 6 Sociologo statunitense (1910-2003), si è formato alla scuola dello struttural-funzionalismo, di cui interpreta criticamente l’analisi del sistema sociale, differenziandosi dall’eccessivo formalismo del modello di T. Parsons. Merton ha cercato di spiegare tutto il comportamento deviante in base alla struttura sociale. Tra le opere: Teoria sociale e struttura sociale (1949) Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 16 Conformismo e devianza Tutte le teorie finora ricordate hanno concentrato la loro attenzione su fattori biologici e psichici del deviante, oppure sul contesto socioculturale in cui il deviante vive. Secondo un’impostazione che risale a Howard Becker, la devianza è un’etichetta attribuita a certe persone o azioni in conseguenza di certi processi sociali: da qui, naturalmente, deriva il nome della teoria. In sé, sostiene Becker, nessun comportamento è deviante, ma lo diviene nel momento in cui esso viene definito tale. L’etichettamento è dovuto principalmente a coloro che rappresentano le forze della legge e dell’ordine o che sono in grado di imporre agli altri una definizione convenzionale di moralità. Le etichette che definiscono le varie categorie della devianza esprimono pertanto la struttura di potere della società. È infatti chi detiene il potere reale a imporre la propria definizione di norma, etichettando chi non vi si attiene come outsider. Secondo i sostenitori della devianza, fra coloro che commettono atti devianti e gli altri non vi sono differenze profonde né dal punto di vista dei bisogni né da quello dei valori. Ne è prova il fatto che, nella nostra società, ad un altissimo numero di persone succede, almeno una volta nella vita di violare una norma in modo più o meno grave. Ma un conto è commettere un atto deviante: mentire, rubare qualcosa, fare uso di droga ecc., un altro conto è suscitare per questo una reazione sociale, venire accusato di essere un deviante: un bugiardo, una ladro, un drogato. In questo secondo caso un individuo viene bollato con un marchio, un’etichetta, un ruolo. I suoi comportamenti passati vengono riesaminati e reinterpretati alla luce di quelli presenti e si comincia a pensare che egli si sia sempre comportato così. Di conseguenza lo si guarda e lo si tratta in modo diverso dagli altri, con sospetto, timore, ostilità. Cruciale da questo punto di vista la distinzione, introdotta da Edwin Lemert, fra devianza primaria e secondaria. La devianza primaria riguarda tutte quelle violazioni dalle norme che per colui che le compie hanno poca rilevanza e vengono presto dimenticate , nel senso che chi compie tali azioni non si considera un deviante né viene considerato tale dagli altri. Si ha invece devianza secondaria quando l’atto di una persona suscita una reazione di condanna da parte degli altri, che lo considerano un deviante e questa persona riorganizza la sua identità ed i suoi comportamenti sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 16 Conformismo e devianza 5 Le malattie mentali Un’altra faccia della devianza riguarda la malattia mentale, considerata un ambito di emarginazione per eccellenza. Solo da due secoli a questa parte si è acquisito il concetto di malattia in riferimento ai disturbi psichici, che venivano normalmente considerati come segni di possesso demoniaco e i degenerazione morale. La mutazione della considerazione del fenomeno ha generato tipologie diverse di intervento, che sono passate da forme di ghettizzazione coatta a tentativi di cura presso particolari strutture ospedaliere (gli ospedali psichiatrici). A proposito degli ospedali psichiatrici, a partire dagli anni ’70, si è venuto sviluppando un dibattito intorno all’efficacia di tali istituzioni e circa le modalità di intervento da essa adottate. Uno degli aspetti che colpiva i sociologi e gli psichiatri riformatori era il fatto che degli individui ospedalizzati (spesso in giovane età) solo una percentuale minima veniva dimessa. Oggi la maggior parte degli psichiatri ritiene che almeno alcune forme di malattia mentale abbiano cause fisiche. Gli psichiatri dividono i disturbi mentali in due categorie principali, psicosi e nevrosi. Delle due categorie, quella considerata più grave è la prima, poiché comporta un disturbo nel senso di realtà. La schizofrenia è la forma di psicosi più nota e coloro a cui è stata diagnosticata costituiscono una parte consistente dei pazienti degli ospedali psichiatrici. I sintomi della patologia riguardano allucinazioni visive e o acustiche, discorsi apparentemente illogici e sconnessi, le manie di grandezza o di persecuzione e la mancanza di reattività alle situazioni e agli avvenimenti dell’ambiente circostante. Nella maggior parte dei casi i disturbi nevrotici non impediscono agli individui lo svolgimento di un’esistenza normale. La principale caratteristica comportamentale classificata come nevrosi sono le ossessioni. Le critiche nei confronti di quelle che vengono definite “istituzioni totali”, sviluppatesi durante gli anni ’60, ebbero il merito di diffondere un atteggiamento critico nei confronti di strutture (quali ospedali psichiatrici e riformatori) del cui operato la maggior parte della gente era abituata a rimanere all’oscuro. Così, a partire dagli anni ‘70 nei principali paesi europei si è assistito a un profondo cambiamento nella concezione e nell’organizzazione degli istituti di custodia. Si è preso atto delle critiche secondo cui le case di rieducazione, così come le prigioni e gli ospedali psichiatrici, di fronte a individui dal comportamento deviante non ne favorivano il reinserimento, ma si limitavano a renderne manifesto il ruolo. Gli individui vissuti a lungo all’interno di istituzioni Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 16 Conformismo e devianza totali, secondo la definizione di Goffmann, luoghi di «residenza e di lavoro di gruppi di persone che, tagliate fuori dalla società…, si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato»7, divengono essi stessi istituzionalizzati, ossia incapaci di concepire un modo di vita difforme da quello dell’istituzione. Il risultato dell’istituzione, invece della cura e della rieducazione, sarebbe pertanto quello di approfondire la discriminazione e il baratro tra individuo deviante e società. 7 Cfr. Goffman, E., Asylums, Einaudi, Torino 1972 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 16 di 16