UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA ISTITUTO DI STORIA FILOSOFIA DEL DIRITTO E DIRITTO ECCLESIASTICO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN TEORIE DEL DIRITTO E DELLA POLITICA CICLO XXIII I DIRITTI SOCIALI IN GEORGES GURVITCH TUTOR Chiar.mo Prof. Carlo Menghi DOTTORANDO Dott. Emanuele Tesei COORDINATORE Chiar.mo Prof. Carlo Menghi ANNO 2011 PREMESSA Questa ricerca cercherà di analizzare nell’opera di Georges Gurvitch la teoria del diritto sociale partendo dalle tecniche che fondano la pluralità e il conseguente pluralismo sociale per poi definire il concetto stesso di controllo al fine di determinare la portata critica della dichiarazione dei diritti sociali. Si cercherà di non tralasciare i risvolti concreti sottesi allo studio di Gurvitch, atttraverso le categorie del produttore, del consumatore-utente, del cittadino e le relative interazioni. Si cercherà di chiarire, altresì, l’interconnessione costante tra filosofia del diritto sociologia giuridica, al fine di mostrare l’intuizione fondamentale di Gurvitch e la sua contemporaneità. Per quanto detto, nel presente lavoro si è reso necessario affrontare anche le tematiche della sociologia del diritto, tematiche che anche cronologicamente, all’interno della costruzione giuridico-filosofica dell’autore, si pongono in posizione intermedia tra un primo periodo caratterizzato da una riflessione incentrata prettamente sulla filosofia del diritto ed un secondo periodo in cui l’autore si interesserà della filosofia sociale. 1 Dalla complessità degli argomenti esposti, risulta evidente l’importanza degli scritti chiarificatori dei tanti autori che nel corso degli anni hanno affrontato la problematica senza i quali si sarebbe corso il rischio di perdersi all’interno del vasto pensiero di Gurvitch. La costante attualità delle tematiche affrontate da questo grande autore, appaga dell’impegno dello studio svolto proprio perché l’attualità dei concetti e dei pensieri rendono sostenibile il lavoro di ricerca. 2 CAPITOLO I LA TECNICA PLURALISTA, IL PLURALISMO SOCIALE E LA DEMOCRAZIA PLURALISTA L’opera scientifica di Gurvitch può essere suddivisa in due periodi: il primo anteriore alla prima guerra mondiale e caratterizzato dall’interesse prevalente per i problemi del diritto o meglio della filosofia del diritto; il secondo, posteriore alla guerra e caratterizzato dall’interesse prevalente per i problemi della sociologia e della filosofia sociale. La sociologia del diritto occupa una posizione intermedia tra i due periodi suddetti, costituendo però più la conclusione del primo periodo che l’introduzione al secondo1. Se Gurvitch, come filosofo del diritto abbraccia i principi del pluralismo giuridico e del diritto sociale, nella sociologia del diritto come cultore di questa materia, presenta il pluralismo giuridico e il diritto sociale come espressione della materia stessa, ovvero fa coincidere sostanzialmente la sociologia del diritto con il pluralismo giuridico e con l’idea di diritto sociale. Gurvitch afferma che la sociologia del diritto2 è incompatibile con il positivismo giuridico e con tutte quelle concezioni che fanno dipendere 1 2 Cfr. R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, Milano, 1957, p. XI. Cfr. G. GURVITCH, introduzione agli Elements de sociologie juridique, Paris, 1940. 3 la positività del diritto dalla volontà dello Stato affermando che lo Stato è l’unica fonte del diritto. La sociologia del diritto, al contrario, secondo il filosofo russo è l’espressione delle concezioni pluralistiche che ricollegano il diritto alla vivente realtà sociale. Significativa è la definizione della sociologia del diritto, ossia di “quella parte della sociologia dello spirito umano che studia nella sua completezza la realtà sociale del diritto che tiene conto della varietà quasi infinita delle esperienze di tutte le società e di tutti i gruppi […..] rivelando pienamente la realtà del diritto che gli schemi ed i simboli più che esprimere celano”3. Dunque, il punto di vista di Gurvitch, o meglio la sua costruzione di pensiero, fa coincidere la sociologia del diritto con i principi del pluralismo giuridico, e questa coincidenza viene maggiormente delineata nel primo capitolo degli Elementes in cui l’autore presenta come precursori della sociologia del diritto quegli stessi autori che nelle opere precedenti aveva presentato come sostenitori dei suddetti principi, nello specifico Pruodhon, Duguit, Ehrilch. Tuttavia le dottrine degli autori citati non appartengono, secondo Gurvitch, alla sociologia del diritto propriamente intesa ma ad un suo 3 G. GURVITCH, Sociologia del diritto, Milano, 1957, p. 53. 4 settore che definisce “teoria sociologica del diritto”4 considerato parte della scienza giuridica. In numerosi passaggi della sociologia del diritto, Gurvitch in nome del pluralismo e del diritto sociale, prende posizione contro lo statalismo criticando tutti coloro che fanno risiedere il centro unificatore di ogni regolamentazione giuridica “non tanto in un gruppo particolare quanto nella società globale spesso erroneamente identificata, senza alcun particolare motivo, con lo Stato”5. Allo stesso modo critica anche coloro che parlano di una distinzione tra diritto pubblico e privato senza rendersi conto che tale classificazione è applicabile solo al diritto dello Stato “e non è applicabile invece all’immensa marea del diritto non soggetto allo Stato”6. Nella medesima opera l’autore rileva l’impossibilità di stabilire a priori una gerarchia tra l’ordinamento giuridico e l’ordinamento economico, osservando che “la tendenza ad attribuire allo Stato sia la sovranità politica che quella giuridica, competenza delle competenze, è semplicemente il risultato di una illusione ottica dovuta alla simultaneità storica dell’estensione delle competenze dello Stato, nonché dal fatto 4 Ivi, p. 57. Ivi, p. 173. 6 Ibidem. 5 5 accidentale della superiorità relativa del diritto politico in una data epoca”7. Ancora di più che in queste osservazioni contrarie allo statalismo e implicitamente favorevoli ai principi del pluralismo giuridico e del diritto sociale, la fedeltà dell’autore a questi concetti risulta evidente dal modello di sociologia del diritto che lo stesso costruisce. Secondo questo modello la sociologia del diritto dovrebbe dividersi in tre settori, ovvero la microsociologia giuridica alla quale l’autore attribuisce due compiti, il compito di “studiare orizzontalmente le specie di diritto in funzione delle diverse forme di società”8 e di conseguenza non solo il diritto delle società organizzate fornito di sanzioni e costrizioni dall’esterno, ma anche quello delle società spontanee che “agisce attraverso semplici pressioni della coscienza dei singoli e nella vita collettiva”9. Altro compito della microsociologia giuridica dovrebbe essere quello di studiare le specie di diritto verticalmente in funzione di sei diversi strati di profondità “individuabili in ogni forma di società in quanto fatto normativo”10. La seconda parte della sociologia del diritto dovrebbe essere formata dalla sociologia differenziale del diritto che studia “le manifestazioni del 7 Ivi, p. 220. R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit., p. XVII. 9 Ibidem. 10 Ibidem. 8 6 diritto in quanto funzioni di reali unità collettive”11, che si divide anche essa in due parti, la tipologia giuridica dei gruppi particolari attivi capaci di creare sovrastrutture organizzate come, a titolo esemplificativo, i gruppi territoriali e quelli professionali e la tipologia giuridica delle società globali classificate dall’autore in sette categorie. In ultimo, la sociologia del diritto dovrebbe essere costituita dalla sociologia genetica del diritto che studia da un lato, come definite dal Gurvitch, <<le regolarità tendenziali di mutamento>> nell’ambito di ogni tipo di sistema giuridico e dall’altro i fattori che determinano quelle stesse regolarità di mutamento come, ad esempio il fattore economico ed il fattore religioso. Quanto detto spiega da un lato come il modello della sociologia del diritto di Gurvitch sia stato costruito sui presupposti del pluralismo giuridico e del diritto sociale, dall’altro come la sua dottrina sia rivolta prevalentemente alla determinazione e alla classificazione dei diversi settori di ricerca, dei diversi tipi di società, delle diverse specie di diritto. Di questa determinazione e classificazione, l’autore fornisce nella sua opera Sociologia del diritto una minuziosa esemplificazione, affermando che le specie di diritto spontaneo dovrebbero essere non meno di ventisette non indicandole tuttavia specificatamente, fino ad affermare nel proseguo della trattazione che “i tipi di diritto che cozzano e si 11 G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 57. 7 equilibrano tra loro”12 dovrebbero essere almeno centosettantadue, numero che si ottiene moltiplicando i sei strati di diritto individuati dalla microsociologia verticale con le ventisette specie di diritto individuate dalla microsociologia orizzontale (la cui trattazione sarà sviluppata nel capitolo dedicato ai diritti sociali). In ultimo, per comprendere l’interazione tra le due scienze analizzate dall’autore, significative sono le riflessioni conclusive a cui arriva l’autore stesso nel capitolo conclusivo della Sociologia del diritto. Secondo Gurvitch, quando la sociologia del diritto e la filosofia del diritto si occupano della medesima sfera dello spirituale, ovvero dei valori e delle idee che ispirano il diritto, le due scienze trattano la stessa materia da due punti di vista distinti, nello specifico: la sociologia del diritto in funzione della realtà sociale e la filosofia in relazione ad altri settori dello spirito umano, considerato nella sua validità oggettiva. Tale distinzione però non implica una separazione totale o indipendenza assoluta, ma al contrario, una indispensabile collaborazione, poiché se la filosofia del diritto fosse completamente isolata dalla sociologia giuridica sarebbe “una specie di razionalismo dogmatico, da molto tempo sorpassato”13. 12 13 Ivi, p. 200. Ivi, p. 264. 8 Viceversa una sociologia del diritto priva di qualsiasi contatto con la filosofia sarebbe deficitaria delle basi necessarie per individuare il suo oggetto specifico, ovvero la realtà sociale del diritto. Filosofia del diritto e sociologia del diritto trovano nella “teoria dell’esperienza giuridica immediata”14, la sola capace di cogliere la realtà del diritto infinitamente variabile nei suoi contenuti spirituali e sensibili, una base comune. Le due discipline, quindi, indagano a posteriori sulla medesima esperienza che secondo Gurvitch è sottostante ad entrambe e di cui entrambe utilizzano i “dati immediati per una ulteriore elaborazione, ognuna alla sua maniera e sotto prospettive diverse”15. La filosofia del diritto, che si occupa dello studio dei valori giuridici spirituali allo scopo di verificarne l’oggettività “integrandoli in un sistema aperto di cui cerca di ricostruire l’immagine”16, è interessata all’operato della sociologia del diritto che esplica nella puntualità delle sue analisi, poiché più variazioni delle regole, dei comportamenti e dei simboli, la sociologia constata e descrive, più ricca diverrà l’immagine della giustizia che la filosofia si propone di ricostruire. I compiti di una filosofia del diritto cosi concepita, secondo Gurvitch, consistono in primo luogo “nel ricondurre dall’esperienza giuridica 14 Ivi, p. 265. Ibidem. 16 Ivi, p. 267. 15 9 riflessa e simbolica all’esperienza giuridica immediata nei suoi diversi piani”17, in secondo luogo “quello di porre in luce la specificità dell’esperienza giuridica nei confronti di altri generi di esperienza integrale: morale, religiosa, intellettuale”18 ed infine il compito “nel discriminare, nell’ambito dei valori giuridici effettivamente afferrati o incarnati, le illusioni - proiezioni soggettive della mentalità collettiva - e le strutture ideali oggettivamente valide”19. L’autore ritiene che la filosofia per assolvere ai primi suoi due compiti si debba trovare in contatto continuo e reciproco con la sociologia cosa che non deve avvenire per assolvere al terzo compito in cui di contro vi deve essere assoluta indipendenza tra le due scienze. La filosofia così intesa, non pronuncia giudizi di valore ma solo giudizi teorici sui valori effettivamente “afferrati o incarnati di cui verifica solo la realtà oggettiva definendone la natura specifica”20. Tuttavia, secondo Gurvitch ciò non è da impedimento al fatto che i risultati della filosofia del diritto combinati con quelli della sociologia giuridica vengano utilizzati per stabilire, considerando una data epoca o un dato tipo di società , una tecnica di perfezionamento del diritto che il filosofo definisce “politica giuridica”21. 17 Ibidem. Ibidem. 19 Ibidem. 20 Ivi, p. 268. 21 Ibidem. 18 10 Scrive Treves che in fondo Gurvitch può considerarsi “sostanzialmente un filosofo del diritto che, pur avendo scritto opere specifiche di sociologia del diritto, per la propria mentalità e per i propri interessi, ha finito con il trovarsi molto lontano dai più recenti sviluppi di questa materia, forse più lontano non sono altri filosofi del diritto, che non si sono occupati di studi filosofici, ma che hanno soltanto cercato di definire la sociologia del diritto e di studiarla dal punto di vista metodologico”22. Quindi, dopo aver analizzato la costante interazione tra le due scienze che caratterizza l’opera dell’autore e volendo tonare ai suoi studi prettamente filosofici, si può iniziare dal periodo della sua produzione collocabile temporalmente agli albori del secondo conflitto mondiale in cui egli con i suoi scritti di filosofia del diritto appare come uno dei più combattivi ed autorevoli sostenitori del pluralismo giuridico e dell’idea di diritto sociale. L’idea che il diritto possa svilupparsi anche fuori dallo Stato si deve alle teorie antiformalistiche di fine Ottocento inizio Novecento che rappresentano il primo momento del riconoscimento degli enti intermedi 22 R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit, pp. XXII – XXIII. Anche Tommaso Sorgi sottolinea che “Gurvitch fosse passato alla sociologia senza essersi mai completamente distaccato dalla filosofia”(T. Sorgi, “Le classi sociali in Gurvitch”, Introduzione a Le classi sociali, Roma, 1971, p. 74). 11 tra cittadini e Stato, non solo come centri di socialità, ma anche di giuridicità23. Secondo Bobbio24, lo Stato moderno, che nasce dalla grandi monarchie in seguito alla dissoluzione della società medioevale si basa sulla sovranità, quel potere che non riconosce nessuno a lui superiore. Come conseguenza della sovranità si ha che tutto il diritto è diritto dello Stato e ciò porta alla consequenziale scomparsa di ordinamenti giuridici a lui superiori ed inferiori oltre all’eliminazione di ogni altra fonte normativa poiché il diritto è emanazione esclusivamente della volontà del sovrano. “Con una formula si può parlare […] di monopolizzazione del diritto da parte dello Stato e di 25 monopolizzazione del diritto statuale da parte della legge. Attraverso questi due processi di reductio ad unum, lo Stato acquista una struttura unitaria (<<non esiste altro diritto che il diritto dello Stato>>) e un unico fondamento (<<non esiste altro diritto statuale che la legge o la volontà del sovrano>>)”26. Bobbio ritiene che di questa fase di sviluppo dello Stato moderno il teorico più lungimirante sia Hobbes, per il quale l’unico diritto possibile 23 Cfr. M .CORSALE, “Pluralismo giuridico” in Enciclopedia del diritto, vol. XXXIII, pp.1003-26. Cfr. N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, Milano, 1949, p.13. 25 Corsivo mio. 26 Ivi, p. 14. 24 12 è il diritto positivo emanato dello Stato stesso, con la consequenziale perdita di rilevanza delle altre fonti normative27. Contro questa concezione dello Stato si sono mosse varie teorie giuridico-filosofiche al fine di confutare la teoria di Hobbes, nello specifico la dottrina liberale, il costituzionalismo, le dottrine democratiche ed il socialismo scientifico. Per la dottrina liberale, di chiara matrice giusnaturalista, ciò che rileva sono i diritti naturali degli individui come antecedenti allo Stato e dettati dalla natura perciò invalicabili da qualsiasi autorità politica; nel costituzionalismo, di contro, la sovranità deve essere scomposta internamente attraverso la disgregazione del suo potere unitario e non attraverso limiti posti dall’esterno; le dottrine democratiche, invece, esaltano la sovranità che è dei tutti e non dell’uno per addivenire ad una partecipazione di tutti al potere statale; ed infine il socialismo scientifico considerando lo Stato uno strumento di dominazione della classe dominante ritiene che nella società socialista vadano abolite le classi per arrivare all’estinzione dello Stato stesso e quindi pervenire all’autogoverno della società stessa. Il pluralismo giuridico persegue lo stesso scopo ideale, ma discostandosi da tutte le precedenti teorie poiché “non limita lo Stato dall’esterno come 27 Cfr.T. HOBBES, Leviatano. Ed infatti il diritto naturale nel momento in cui viene in esistenza lo Stato è destinato a scomparire; ugualmente il diritto internazionale non rileva poiché gli Stati, essendo sovrani si trovano in una costante guerra tra loro; non il diritto della chiesa poiché viene assorbito e quindi scompare con quello dello Stato e non gli ordinamenti inferiori che hanno una potestà soltanto mediata. 13 la dottrina liberale, non lo divide dall’interno come il costituzionalismo, non lo distribuisce a tutti come la democrazia”28 e non lo elimina completamente come il marxismo. Il pluralismo infatti, muove le mosse dalle origini stesse dello Stato, al suo processo di formazione e ne fissa l’essenza. Poiché la caratteristica dello Stato moderno è il monopolio del potere giuridico, la dottrina pluralista ritiene che l’unico modo di combattere questo potere sia quello di privare lo Stato del medesimo. La detta dottrina ritiene che lo Stato non sia che un possibile ordinamento giuridico in cui l’uomo svolge la sua vita sociale e nello specifico l’ordinamento giuridico della società politica, infatti l’uomo per sua natura non è solo politico “ma anche economico, religioso, ecc.; non è soltanto consumatore, ma produttore; non è solo membro di una determinata nazione, ma anche della umanità”29. Le attività sociali elencate, non essendo politiche, si dovrebbero esplicitare in associazioni diverse dallo Stato, associazioni che essendo un insieme di atti umani preordinati ad un fine necessitano di norme per regolare la loro struttura e gli atti ed i comportamenti che pongono in essere, “in una parola ogni società ha il suo diritto”30. 28 N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 15. Ivi, p. 17. 30 Ibidem. 29 14 Con il concetto di pluralismo giuridico viene quindi definita quella corrente di pensiero che si oppone al concetto stesso di statalismo, corrente questa che pone le sue fondamenta sull’idea di uno Stato monopolizzatore del potere politico, produttore egli stesso del diritto ed unica fonte di questo, mettendo in secondo piano altre forme di produzione normativa come la consuetudine, il diritto formato in via giudiziaria e la dottrina. Il pluralismo giuridico si basa sull’opposto, ossia che il diritto non è accentrato solamente nello Stato ma risiede in entità diverse da esso. Per Gurvitch l’assolutismo statalista e l’individualismo borghese non sono così antitetici come solitamente appaiono nelle normali classificazioni della scienza politica. Nei suoi scritti si radicalizza l’idea che la sovranità moderna, specialmente quella post-rivoluzionaria, è un amalgama di dominio e di potere che stabilizza e regolarizza in maniera funzionale un ordinamento che prima di essere giuridico era di natura sociale. Cercare una definizione ed una valutazione della democrazia, ed anche della qualità della vita politica, si dimostra una via impraticabile se viene esperita in maniera scientifica. Secondo Rapone infatti ciò si rivela fallace “perché la società capitalistica vive una ridefinizione radicale della dimensione politica, per 15 cui di democrazia è necessario parlare solo nell’ambito di una intersezione tra le aree politico-statuale, sociale ed economica” 31. Per Gurvitch non ci sono forme di creazione normativa e di autogoverno all’esterno della sfera nella quale interagisce la politica e lo Stato. Tale incapacità è riscontrabile nello stato totalitario, in quello assolutistico ed anche in quello etico. Seguendo questa linea di interpretazione vi è, sia nell’ideologia totalitaristica sia in quella liberale, “una radicale reductio ad unum della complessità della vita sociale, incarnando il desiderio di negare, in nome di una risoluzione monista, quella che per Gurvitch è la costitutiva antinomicità dell’esperienza, individuale e collettiva”32. All’uopo occorre evidenziare quanto esposto da Matteucci per il quale: “Il vero avversario della sovranità è la teoria pluralistica, proprio perché la prima sottolinea al massimo il momento dell’unità e del monismo, mentre le concezioni pluralistiche – sia quelle descrittive, dirette a cogliere il reale processo di formazione della volontà politica, sia quelle prescrittive che vogliono massimizzare le libertà in una società democratica per mezzo di una poliarchia – mostrano come non esista l’unità dello Stato, che abbia il monopolio di autonome decisioni, perché, 31 32 V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, Torino, 2007, p. 83. Ibidem.. 16 di fatto, l’individuo vive in associazioni e gruppi diversi, capaci di imporre le proprie scelte”33. Quello che emerge è che il singolo pur vivendo nel plurimo si perde in esso in quella che è una non naturale appartenenza allo statale e al politico, induzione creata dalla simulazione cittadino-democrazia poiché tutti i cittadini, essendo membri della collettività, sono considerati, oltre come singoli, come appartenenti a vari gruppi che alla società economica. Quindi il molteplice, ossia l’individuo, è inglobato in un totale ed unico che è lo Stato, rendendo affini in questo unire l’individualismo e lo statalismo, l’unificazione del tutto composto da parti: “entità quali i soggetti individuali, le classi sociali, i partiti, i sindacati, le associazioni operaie, le corporazioni e gli stessi consigli di fabbrica, se si predisporranno ad una risoluzione monista costituendosi nella sfera dell’Uno, se saranno riconosciuti come soggetti giuridici, e quindi come Stati in piccolo, ne raddoppieranno la logica, e, immessi nella dinamica politico-statuale, rischieranno costantemente di smarrire ogni specificità, o, nel linguaggio di Gurvitch, si pervertiranno in associazioni di dominio”34. 33 34 N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Bologna, 1993, p. 90. V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale,cit, pp. 84-5. 17 Il nostro autore in relazione allo Stato evidenzia che “Di quest’ultimo, Hegel, dice, fin dall’Introduzione che esso è lo “spirito che produce l’unificazione inaudita (ungeheure Vereinigung) della indipendenza individuale e della sostanzialità generale. Tutta la filosofia del diritto di Hegel non è che un’impalcatura artificiale innalzata a gloria dello Stato che incarna non solo la sintesi estatica della famiglia e della società civile, e più esattamente del diritto e della moralità, ma anche la sintesi dell’idea e della realtà sociale, della ragione e della storia, del destino mistico collettivo e del movimento del tempo”35. Elemento significativo in questo pensatore è che ogni istituzione debba disporre, su base normativa, l’esistenza di gruppi che però non rinneghino il loro essere uno. Da ciò deriva che: “Lo Stato, ove non pensato come <<associazione di integrazione>>, ma nella forma di uno, accentratore ed esclusivista, garantito nel suo essere monopolista dall’uso legittimo della forza o di quello della decisione politica, correrebbe il rischio di trasformarsi in istituzione “per-versa”, autoreferenziale, chiusa alla dimensione dell’alterità, luogo dell’esercizio di un potere tautologico, che non è relazione”36. 35 36 G. GURVITCH, Dialettica e sociologia, Roma, 1968, p. 128 V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, cit., p. 86. 18 Ad uno Stato costituito in tal modo, che nega la pluralità normativa a favore del monopolismo, appare necessario contrapporre un dialogo plurale di gruppi di estrema rilevanza ai fini normativi, gruppi in contrapposizione con il monopolismo Statuale aventi la competenza per un dialogo rilevante. A questi gruppi è affidato il compito di evidenziare e di relazionare i valori del singolo e del gruppo con un’analisi sia antropologica che sociale che economica “mantenendo un accordo tra valori individuali e collettivi, che si situi in una linea intermedia tra individualismo e identificazione all’Assoluto, attestanti entrambi una perdita di specificità, una pericolosa risoluzione nella logica fagocitante dell’Uno. Da qui, il senso del termine transpersonalismo”37. Il transpersonalismo è finalizzato al superamento della caratteristica dello Stato di essere l’unico referente del diritto in tutta la sua complessità basandosi su una teoria del diritto la cui origine è di natura socialista e sociale. In pratica: ”Il transpersonalismo, teoria dell’equilibrio possibile di valori individuali e collettivi, è filosofia che riguarda l’essere dell’uomo come “animale sociale” e non unilateralmente politico. Siamo di fronte ad un approccio teorico che, in senso più ampio, concerne gli ambiti giusfilosofici, nonché quelli propriamente filosofici, tale da definire un 37 Ibidem. 19 posizionamento reciproco, non gerarchico, di aree tematiche quali la teoria generale, la sociologia e la filosofia del diritto, che sono, nella teoria tradizionale, irrelate”38. Da quanto detto deriva necessariamente che il transpersonalismo si ridurrà in una enumerazione giuridica la quale basa il diritto sociale del pensatore russo nel momento in cui “si costituisce come una soluzione non dialettica della falsa opposizione tra individualismo ed idealismo”39. Orbene è necessario notare che nei primi anni del ventesimo secolo venne riscoperta la teoria di Fichte che non lasciò indifferente il nostro autore. Ed infatti nel suo Il sistema fichtiano dell’etica concreta egli “fa valere un’originale linea interpretativa tesa ad evidenziare l’esistenza di una duplice modalità di intendere l’ideale”40. Esso deve essere inteso in modo duplice sia singolarmente “colto nella sua individualità <<insostituibile ed irreprensibile>>”41 sia in maniera generale. Nel primo senso però: “Questo […] tipo di ideale, nel suo movimento di immanentizzazione, non avrebbe quale referente teorico il soggetto inteso nella sua individualità ed astrattezza, bensì ancora un soggetto, ma “transpersonale”, fondamento dei singoli io empirici”42. 38 Ivi, p. 88. Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ivi, p. 89. 42 Ibidem. 39 20 Per Gurvitch: “Nella sua prima grande opera filosofica, La dottrina della scienza, 1794, - della quale hanno soprattutto tenuto conto gli altri postKantiani, sebbene essa sia tipica di un solo momento del suo pensiero, Fichte è principalmente preoccupato di rifiutare l’isolamento nel quale Kant segrega il finito e l’infinito, l’intelletto e la ragione. Sotto le apparenze di un idealismo soggettivo, dovute al termine poco appropriato di “Io teoretico”, “Io pratico”, “Io puro”, e “Io assoluto” (che non sono affatto degli individui e delle coscienze individuali, ma dei centri sopra-personali della coscienza e dell’azione), Fichte presenta già il realismo che si manifesta insieme nel Non-io e nell’Io assoluto”43. A questo proposito Rapone osserva che: “Gurvicth opera […] una distinzione tripartita dell’opera di Fichte, che sarebbe suddivisa in tre fasi: una prima in cui la dimensione logica domina su quella pratica, una seconda, antitetica alla precedente, in cui sarebbe predominante un moto di reazione irrazionalistica, centrato sulla dimensione della “fede”, una terza in cui, quasi in senso sintetico, si opera una sistematizzazione dei vari momenti in gioco”44. Anche per Masullo: “In quel suo fondamentale lavoro il Gurvitch considera il pensiero di Fichte come rivolto essenzialmente ad effettuare il passaggio, anche se tal passaggio non portò a compimento, dal 43 44 G. GURVITCH, Dialettica e sociologia, cit, p. 97. V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, cit., pp. 89-90. 21 <<formalismo etico>> ad un <<etica materiale>>, possibile solo a patto di assumere come tema fondamentale quello dei rapporti tra “persone” e “comunità””.45 A tal proposito Tanzi riconosce come solo Fichte ha concepito la totalità morale traspersonale nella sua specificità, come un ordine che esclude ogni subordinazione e gerarchia”46 ed infatti “è evidente che la interpretazione del Gurvitch tenta di dimostrare come le teorie di Fichte siano da considerare il presupposto inscindibile per una consapevole concezione antindividualistica e antistatalista della realtà sociale”47. Come chiarisce Bobbio: “Il Gurvitch […] si preoccupa di fissare l’essenza della società: la società è la totalità immanente, totalità nel senso che è irreducibile alla somma dei suoi membri […], immanente nel senso che non si oppone ad essi né come oggetto esteriore né come una personalità superiore (contro le teorie universalistiche che assorbono l’individuo nello stato, considerato come persona morale e giuridica). In tal modo da questo tutto, considerato transpersonale, in quanto irreducibile al concetto di personalità, che è essenzialmente coscienza, simbolizzato quindi nel <<noi>>, in quanto attività sopracosciente 45 A. MASULLO, La comunità come fondamento, Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, 1965, p. 209. Cfr. AA.VV., Saggio in ricordo di Aristide Tanzi, Molano, 2001, p. 9. 47 Ibidem. 46 22 immanente alle coscienze singole, la teorie del Gurvitch prende il nome di transpersonalismo”48. Gurvitch, che ha introdotto nella teoria del diritto francese il concetto di pluralismo giuridico, ponendosi sulla stessa corrente di pensiero di Erlich e Duguit analizza l’esistenza di un diritto al di fuori dello Stato e ciò che emerge è che le fonti giuridiche non sono solo riconducibili a quelle statali ma ve ne sono altre che sotto taluni aspetti possono superare quelle di produzione statale. Per Gurvitch tre sono le manifestazioni del diritto, nelle società industriali e socialmente complesse, la cui gerarchia varia in relazione al tipo di società. La prima è il diritto statale che pretende di monopolizzare la vita giuridica, la seconda è il diritto individuale o intergruppale che unisce gruppi ed individui, la terza il diritto sociale che deriva da una forma di socialità in cui più individui si uniscono per formare una entità collettiva49. Di conseguenza, poiché lo Stato è chiamato a mettere ordine negli scambi tra individui e gruppi lo sviluppo del diritto sociale dipende dal diritto prodotto nella società. Pertanto egli non attribuisce allo Stato la 48 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale (Renard e Gurvitch), Rivista internazionale di filosofia del diritto, Roma, Anno XVI, 1936, p. 400. 49 G. GURVITCH, L’ experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, Pedone, Paris, 1935, p. 52. 23 prerogativa di emanare regolamentazioni con validità ed efficacia superiore a quella prodotta dal tessuto sociale. La posizione dell’autore può essere ben riassunta da un pensiero di Ehrlich: “Solo una parte infima dell’ordine giuridico della società […] può essere interessata dalla legislazione dello Stato e la maggior parte del diritto si sviluppa indipendentemente dalle proposizioni giuridiche astratte”50. Gurvitch considera il diritto posto dallo Stato come qualcosa di totalmente diverso dal “diritto vivente” nei rapporti sociali in quanto caratterizzato dall’astrattezza e dalla separatezza. Far coincidere il centro che unifica e stabilizza la pluralità del diritto insito nella società con lo Stato è un grave equivoco, poiché la sintesi unificatrice può essere data solo dai vari gruppi o meglio dalle società globali le quali non si identificano necessariamente con lo Stato. Al riguardo scrive: “E’ indiscutibile che nella realtà della vita sociale il diritto abbia un effettivo potere regolatore soltanto quando è relativamente unificato in un ordinamento giuridico, o meglio ancora in un sistema giuridico. In questo senso la sintesi e gli equilibri costituiti dai gruppi e dalle società globali prevalgono nella vita sociale sulle forme di socialità”51. 50 51 E. EHRLICH, citato in G. Gurvitch, AA. VV. (a cura di G. Gurvitch)“ Trattato di sociologia”, Milano, p. 269. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 243. 24 La sintesi quindi, non appartiene esclusivamente allo Stato, e ciò è evidente nel momento in cui si analizzano le forme della costrizione che secondo l’autore sono connaturate, anche se non sempre operanti, nel concetto di diritto. L’autore ritiene infatti che il diritto concernente le forme sociali meno complesse sia la base di ogni altro potere giuridico, e di conseguenza che i vincoli giuridici originati dal diritto sociale siano più intensi e più rigidi di quelli originati dal diritto interindividuale “poiché la socialità per interpenetrazione è superiore alla società per interdipendenza (essendo il Noi, l’unione intuitiva, virtualmente presente dietro ogni comunicazione simbolica, dietro ogni rapporto con gli altri), il diritto sociale prevale sul diritto individuale, poiché costituisce la base per ogni regolamentazione giuridica delimitativa”52 . A tal proposito Gurvitch afferma: “Lo Stato non è altro che un piccolo lago profondo nell’immenso mare del diritto che lo circonda da ogni parte”53; il potere giuridico, la fonte principale del diritto ed il diritto stesso risiedono nei fatti normativi che “in un solo e medesimo atto generano il diritto e fondano la loro esistenza sul diritto […] creano il loro essere generando il diritto che serve loro di fondamento”54. 52 Ivi, p. 259. G. GURVITCH, L’idée du droit social, Paris, 1932, p. 152. 54 Ivi, p. 119. 53 25 Questo mare è quindi rappresentato da una molteplicità di fatti normativi generata da diverse forme associative, che si contrappongono al diritto dello Stato. Di conseguenza ogni forma di socialità può diventare fonte del diritto, di modo che “le forme di socialità svolgono accanto e nell’interno dei gruppi e delle società globali in cui sono integrate, la funzioni primarie del diritto, funzione assai decisiva ed importante, essendo impossibile capire la vita giuridica dei gruppi e delle società globali senza tener conto della vita giuridica delle forme di socialità”55. I fatti normativi così considerati per Gurvitch possono essere di due tipi: da una parte i fatti della “relazione con gli altri” e della socialità per delimitazione ed equazione, dall’altra i fatti della unione e della “socialità per comunione ed interpenetrazione”. Questi due tipi di fatti normativi si relazionano rispettivamente a due tipi di valori ossia quelli personali e quelli transpersonali così come si ricollegano due diversi tipi di diritto, ovvero uno individuale e uno sociale. Gurvitch nel suo pensiero privilegia il secondo tipo di fatti normativi, ossia “i fatti dell’unione e della socialità per comunione o 55 G.GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 174. 26 interpenetrazione”56 esaltando di conseguenza i valori traspersonali rispetto ai personali, del diritto sociale rispetto all’individuale. Poiché il principio pluralista contiene in sé vari significati Gurvitch stesso procede, nel suo lavoro La dichiarazione dei diritti sociali, ad una analisi dei medesimi, ovvero del pluralismo dal punto di vista sociologico, come ideale e come tecnica. Dal punto di vista sociologico, il pluralismo è un fatto osservabile in ogni società intesa come microcosmo di gruppi particolari che si limitano, si combattono, si combinano, si ordinano genericamente nell’insieme unitario, tale microcosmo consente le più varie combinazioni condizionate della situazioni storiche. Lo svolgersi della vita sociale è dunque caratterizzato da un pluralismo fondamentale di fatto, poiché la misura della molteplicità, la funzione e l’intensità dell’autonomia possono variare ma mai scomparire dato che la tensione tra i gruppi e i loro dinamici equilibri costituiscono “la sostanziale materia sociale”57. Per questo il pluralismo sociale di fatto secondo l’autore può “ servire al bene e al male”58 ovvero “alla democrazia o all’autocrazia, cosicchè nella società contemporanea questo si manifesta nel feudalesimo economico, nella lotta di classe, nello sviluppo del diritto operaio e nelle 56 R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit, p. XXIII. G.GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociale, Soveria Mannelli, 2004, p. 59. 58 Ibidem. 57 27 istituzioni dirette ad “equilibrare i diritti dei produttori e dei consumatori”59. Al pluralismo di fatto, ovvero dal punto di vista sociologico si contrappone il pluralismo come ideale. Il pluralismo come ideale è “un ideale morale e giuridico, che consiste in una armonia tra la molteplicità e l’unità che si generano reciprocamente, un equilibrio tra i valori personali ed i valori dei gruppi e degli insiemi, un’immanenza reciproca tra le parti ed il tutto”60. Nell’analizzare l’ideale democratico, omettendo le espressioni simboliche storiche, appare evidente che il fondamento della democrazia è insito nel “principio di equivalenza tra i valori personali ed i valori dei gruppi, che si realizzano per mezzo della varietà dell’unità, il che significa che l’ideale democratico ha la sua fonte nell’ideale pluralista”61. A tal proposito Gurvitch chiarisce che la sintesi di libertà e di uguaglianza sulla base della fratellanza, con la quale si esprime l’ideale democratico accentua il molteplice grazie alla libertà, l’unità grazie alla fratellanza, e la sintesi tra le due grazie all’uguaglianza delle persone e dei gruppi che partecipano alla comunità fraterna62. 59 Ivi, p. 60, è la “sociografia dei gruppi e delle forme di socialità, che si occupa nella sociologia moderna dello studio descrittivo del pluralismo di fatto. Cfr. in G. GURVITCH, Essais de Sociologie, Paris, 1938, pp.1-112 e in Elèments de Sociologie juridique, Paris, 1940, pp. 6-202. 60 Ibidem. 61 Cfr. Ibidem. 62 Ibidem.. 28 Ogni principio è quindi applicazione e presupposto degli altri, e di conseguenza nella costruzione di Gurvitch la libertà, come libertà collettiva, di gruppo ed individuale, presuppone sia l’equivalenza dei gruppi autonomi che di persone libere in una unione integrante libera espressione della spontaneità creativa. Quindi “l’uguaglianza non è identità ma equivalenza tra individui e gruppi dissimili, cosi come equivalenza tra parti ed tutto; uguaglianza è dunque il principio costitutivo di una unità immanente e fraterna, di una comunità fondata sulla collaborazione,unione di un “Noi” che non si aliena in una totalità trascendete, e che non ammette la sua proiezione come oggetto esterno o soggetto superiore al di sopra della molteplicità dei suoi membri, dai quali lo separerebbe un abisso”63. Infine, l’autore considera il pluralismo come tecnica che deve essere distinto sia dal pluralismo di fatto che dal pluralismo come ideale poiché è un metodo speciale impiegato in circostanze particolari per la realizzazione della libertà umana e dei valori democratici. L’applicazione di un ideale pluralista ad un pluralismo di fatto non coincide in ogni caso ad un uso della tecnica pluralista, poiché questa deve servire a limitare lo Stato creando degli effettivi contrappesi tra una costituzione politica e una costituzione sociale, ovvero tra la democrazia politica e quella economica, tra la proprietà pubblica e quella privata, tra 63 Ivi, p. 61. 29 i produttori ed i consumatori, tra questi ultimi e l’insieme dei cittadini. Questa tecnica deve, quindi, diventare l’ispirazione principale di una nuova dichiarazione di diritti. Gurvitch ritiene che non può essere escluso che attraverso l’applicazione della tecnica pluralista determinati gruppi portatori di interessi egoistici, quali gli interessi che poggiano sull’assolutismo della proprietà privata e sul profitto, siano eliminati dalla varietà indispensabile dei gruppi poiché la tecnica pluralista essendo al servizio di un ideale compiere sempre una scelta nella varietà inesauribile dei gruppi, “portando all’eliminazione di alcuni di essi in favore di altri o realizzando combinazioni ed equilibri nuovi tra di essi, al fine di regolare l’equivalenza tra i gruppi più importanti per attuare l’ideale democratico e l’interesse generale nei suoi molteplici aspetti”64. La tecnica, così elaborata, non ha come effetto l’indebolimento dello Stato e della democrazia politica, ma la loro limitazione a quelle funzioni e competenze per le quali il potere politico e lo Stato sono realmente qualificati poichè “non si rafforza l’autorità di una organizzazione attribuendole funzioni che è incapace di esercitare al contrario questo è il modo migliore per diminuire questa autorità”65. 64 65 Ivi, p. 62. Ibidem. 30 Aristide Tanzi sintetizza il percorso teorico di Gurvitch, sottolineando che il pluralismo costituisce lo strumento per tentare “di risolvere all’interno dell’ordine sociale il problema del limite del potere statale, ampliando in particolare di diritto […]. Il pluralismo giuridico - in più non può essere separato dal pluralismo sociale dal rilievo dato alla componente economica che ne fa da supporto, dal richiamo cioè alla salvaguardia dei gruppi sociali e delle loro autonomie, privilegiando così il decentramento come momento correttivo e complementare di una economia pianificata e concentrata, elemento inscindibile per l’avvento di uno Stato sociale. Si aggiunga inoltre il fatto che il ‘pluralismo’, sia cronologicamente sia concettualmente appare come uno dei momenti attraverso cui Gurvitch è stato condotto a rinvenire, oltre lo stesso ambito giuridico, una sua visione della realtà delle istituzioni che ha poi trovato una sua qual compiutezza nella teoria delle “società globali”. Ha costituito cioè la fase nella quale, acquisita consapevolezza delle inadeguatezza dello Stato a rappresentare totalmente ed ad esprimere i bisogni e la dialettica della società civile, Gurvitch ha abbandonato l’angolazione tecnico-giuridica per giungere, anche a seguito di una rilettura delle opere marxiane ad una vera e propria critica della società”66. 66 A. TANZI, Georges Gurvitch. Il progetto della libertà, Pisa, 1980, p. 98. 31 La visione pluralistica della realtà sociale e la costruzione di una teoria sociologico-giuridica capace di assicurare la sostanziale limitazione del potere dello Stato favoriscono in Gurvitch una precisa presa di posizione nei confronti del potere politico, tanto che l’autore non tralascia il riscontro operativo delle scelte concettuali formulate che portano tutte al sostegno e alla valorizzazione della democrazia67. Questa scelta risulta chiara dalle conclusioni cui il filosofo perviene nel suo percorso di lavoro: “Se la sovrastruttura organizzata è tale da comportare tutte le possibili garanzie di penetrazione da parte della socialità spontanea, il diritto che deriva dalla sovrastruttura organizzata stessa, è radicato nel diritto organizzato, il che porta un diritto sociale organizzato di tendenza democratica, il quale crea organizzazioni di collaborazione”68. Gurvich continua sostenendo che “L’intensità delle costrizioni, che sanzionano tale diritto, è ridotta in questi casi al minimo, poiché la violenza delle costrizioni, trascurando ogni altro fattore è direttamente proporzionale alla misura del conflitto, tra diritto organizzato e diritto non organizzato”69. L’autore, come prima cosa rileva che il diritto di integrazione lascia spazio all’espansione della violenza nel momento in cui si verifica il 67 Cfr. su questo aspetto lo studio critico di A. TANZI, G. Gurvich. Il progetto della libertà, cit, 1980. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 194. 69 Ivi, p. 195. 68 32 passaggio tra il diritto organizzato ed il diritto spontaneo con la conseguente affermazione di un potere basato su fattori mistici e non giuridici. Quando si accerta questa transizione si instaura il diritto di subordinazione che produce rapporti sociali in cui la dominazione è di massimo livello. Tale effetto negativo giustifica nell’autore il giudizio di fondo espresso nei confronti dei regimi totalitari e delle teocrazie orientali, portandolo verso la valorizzazione ed il sostegno della democrazia, pur mantenendo una critica nella forma tramandataci dalla modernità in quanto incentrata su una impostazione individualistica di stampo monistico. Per quanto detto Gurvitch avverte la necessità di prodigarsi per l’attuazione di una democrazia pluralista, capace di consentire il pieno dispiegamento delle molteplici sfaccettature e di dare consistenza alle differenti componenti di autonomia operanti al suo interno. Quasi anticipando il dibattito contemporaneo sull’essenza della democrazia l’autore analizza in chiave problematica l’idea stessa di democrazia come metodo e le connesse formule generiche, che riducono la nozione del termine e che sono state sostenute nel corso del tempo dagli studiosi70. 70 Cfr. Per un ulteriore approfondimento A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, in Trigor: rivista di scienze della comunicazione – A. III (2011) n.1( gennaio-giugno), pag. 45-53. 33 Particolare attenzione viene dedicata all’opera di Rousseau, al quale l’autore riconosce il merito di aver sintetizzato i caratteri fondamentali dell’anima democratica mediante la teorizzazione del principio della volontà generale, concepita come l’idea di una sostanza razionale presente in tutti gli individui e resa operativa dal suffragio universale. Tuttavia, Gurvitch non manca di evidenziare i limiti strutturali del potere democratico inteso da Rousseau, che derivano dalla sostanziale coincidenza tra volontà generale e volontà di tutti e portano a considerare solo l’aspetto operativo della vita democratica, con l’esaltazione del valore del consenso in termini di calcolo numerico. Infatti la stessa idea di libertà individuale impallidisce davanti all’esito delle deliberazioni, soprattutto perché la singola scelta non appare più come il risultato della volontà dell’individuo, ma come la ma infestazione di una volontà superiore, detentrice della misura delle cose71. Per il filosofo la visione della sovranità popolare appare non come un dato acquisito ma come oggetto di ricerca da porre a sostegno delle istituzioni statali, modificazione in senso qualitativo dell’uguaglianza concepita in senso sostanziale e non solo formale con la conseguente attribuzione al principio di libertà di maggior concretezza. 71 Cfr. Ibidem. 34 Tutto ciò determina una nuova prospettiva dell’ideologia democratica, che rende inaccettabile le teorie di formazione atomistica ed impone una revisione del fondamento tradizionalmente assunto. Partendo da una attenta analisi dei principi costitutivi dell’ideale democratico per l’autore la premessa filosofica non si trova in una matrice individualistica, ma in una prospettiva che sintetizza individualismo e universalismo, secondo la quale le parti si compongono con il tutto in un rapporto di interpenetrazione dell’unità e della molteplicità, in cui si prospetta l’equivalenza tra i valori personali e transpersonali. Sono queste le premesse che Gurvitch pone a base della sua teoria del diritto con la conseguenza che la filosofia giuridica elaborata dal pensatore diviene una scelta politica di tipo democratico, in cui il concetto di democrazia che ne deriva è profondamente connesso con l’idea di diritto sviluppata secondo il modello transpersonalistico72. Il principio dell’unità nella varietà applicabile alla dottrina giuridica pluralista costituisce il fondamento anche della teoria politica democratica, poiché da un lato impedisce di identificare il diritto con la forza, dall’altro di pensare allo Stato come strumento per la realizzazione di un ordine coercitivo incondizionato destinato al controllo sociale. 72 Cfr. A. OLGIATI, Il traspersonalismo di Gurvich , in Il concetto di giuridicità nella scuola moderna di diritto, Milano, 1943. 35 Da quanto detto, si comprende come la scelta democratica di Gurvitch sia legata al problema giuridico e soprattutto al bisogno di recuperare un’intima connessione tra il diritto e l’organizzazione sociale, secondo l’autore “la democrazia è la via indispensabile, la sola possibile, verso la realizzazione del diritto all’interno di una organizzazione sociale”73. L’assunto ha una valenza bidirezionale inerente il diritto e la politica, in quanto non è soltanto l’organizzazione di governo democratica a garantire la configurazione di un ordine giuridico radicato nella società, ma al contrario è anche il diritto a definire l’identità del potere e ad assicurare una condizione politica caratterizzata dalla subordinazione del potere al diritto. Per Gurvitch, l’antidemocraticità è il caratterizzante di ogni teoria che antepone il potere al diritto, poiché anche se involontariamente o indirettamente, pone le premesse per l’instaurazione di un regime fondato sull’autolegittimazione del potere, sulla mancanza di controlli efficaci e sulla tendenziale arbitrarietà dei comportamenti. Per questa ragione il processo di realizzazione della democrazia è inseparabile dall’idea del diritto, in quanto è proprio di un regime “autenticamente democratico l’affermazione di un reale potere del 73 Traduzione mia, G. GURVITCH, “L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit”, cit, p. 252. 36 diritto”74 con la conseguenza che tutti gli atti del potere esecutivo sono soggetti al controllo di legalità da parte degli organi della giurisdizione; “a forza di essere pervase di diritto, le relazioni di organizzazione si trovano subordinate ad un genere particolare di diritto, il diritto sociale”75. Quanto espresso nelle righe che precedono può essere considerato, la sintesi del complesso percorso intellettuale di Gurvitch, poiché coniuga i fondamenti dell’impianto filosofico, le risultanze dell’analisi sociologica, i risvolti della dottrina giuridica e le applicazioni della scienza politica in un quadro unitario che mostra come la problematizzazione dell’esperienza giuridica permette di scoprire la forma di diritto più rappresentativa della natura sociale dell’uomo, e di conseguenza più rispondente alle esigenze e alle aspettative della realtà e quindi ad indirizzare verso la definizione delle regole di funzionamento del potere politico. Gurvitch, dunque, trasforma la questione da specificatamente politica in giuridica focalizzando altresì che il problema della democrazia deve caricarsi anche di una valenza economica, al fine di trovare soluzioni 74 75 A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 50. Traduzione mia, G. GURVITCH, “L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit”, cit, p. 254. 37 adatte alla formazione di una forma organizzativa tendenzialmente “unitaria” e “completa”76. Il sistema democratico, esprime con la massima chiarezza il significato e la realtà, di una concezione pluralista e come l’autore stesso sottolinea “l’avvenire della democrazia è nell’universalità e molteplicità delle sue forme, nel suo carattere poliedrico, nella sua estensione continua a nuove regioni dei rapporti umani, nel fatto che queste regioni danno dei limiti esclusivi all’organizzazione politica stessa”77 e che rappresenta il metodo più vantaggioso per arrivare ad una condizione “della libertà individuale nella sua accezione più concreta con l’idea di uguaglianza”78. Da quanto detto l’autore fa derivare che la democrazia politica ha bisogno del sostegno della democrazia economica, dato che solo con questo metodo è possibile attenuare le discriminazioni sociali, impedire un esercizio arbitrario del potere capitalista ed assicurare la convivenza tra le classi. Gurvitch è proteso quindi verso una strada “riformista”, per allargare gli spazi di democraticità e per valorizzare il ruolo dei gruppi che partecipano attivamente alla vita economica. 76 Cfr. A. SCERBO, introduzione a G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit.. Traduzione mia, G. GURVITCH, Le principe dèmocratique et la démocratie future, in Revue de Métaphisique et de Morale, 1929, p. 422. Saggio poi inserito nel volume L’experience juridique et la pholosophie pluraliste du droit, cit., 1936. 78 Ibidem. Per una riflessione sul punto cfr. N. ABBAGNANO, La sociologia della libertà di Gurvitch, in quaderni di sociologia, 1955, n. XVIII. 77 38 Tutto ciò si realizza per il tramite del diritto sociale, infatti la democrazia acquista così il valore di forma di stato ideale, poiché espressiva ed attuativa del diritto delle comunità, cristallizzando il fatto che “ogni totalità sociale si afferma come la sorgente di un nuovo diritto obiettivo e partecipe direttamente alle relazioni giuridiche interne alle quali danno un limite”79. Il preciso riferimento giuridico richiama il contrapposto diritto individuale, ed è utilizzato da Gurvitch per chiarire che la distinzione prospettata non rievoca quella tradizionale tra diritto oggettivo e diritto soggettivo, né la classificazione del diritto in pubblico e privato, in quanto tanto il diritto sociale che il diritto individuale contengono sia elementi oggettivi che soggettivi e poiché sia il diritto individuale che quello sociale partecipano del diritto privato quanto del diritto pubblico. A tal proposito viene constatato dall’autore che la ripartizione tra pubblico e privato rappresenta un prodotto convenzionale dello Stato e nonostante il fatto che alcuni autori hanno rilevato la presenza di esempi di diritto sociale all’interno del diritto privato, un processo simile non è stato avviato per il diritto pubblico dove al contrario, ritiene Gurvitch, si possono riscontrare concrete espressioni di diritto individuale. 79 Traduzione mia, G. GURVITCH, L’experience juridique et la pholosophie pluraliste du droit, cit., p. 261. 39 E’ proprio questa coesistenza nel diritto pubblico a determinare la struttura moderna dell’organizzazione del potere poiché evidenzia la matrice individualistica della concezione dello Stato ed in questo modo rende più agevole l’esercizio arbitrario dell’attività di governo intaccando l’essenza stessa della democrazia politica. Secondo l’autore quindi vi è la necessità di depurare dal diritto pubblico l’ordine del diritto individuale, poiché la vera democrazia politica comporta “la riduzione del diritto pubblico al solo diritto sociale”80. A queste condizioni, la democrazia si prospetta come “l’istituzione della sovranità del diritto sociale all’interno di una organizzazione, poiché si propone espressamente lo scopo di strutturare l’organizzazione sovrapposta alla totalità puramente oggettiva della comunione che in definitiva costituisce il fondamento di ogni organizzazione”81. Pertanto “il diritto sociale è l’essenza stessa della democrazia, egli simbolizza giuridicamente ed incarna in sé l’idea dell’autogoverno collettivo basato sull’uguaglianza e la libertà; per questo la democrazia è il diritto sociale organizzato, la sovranità del diritto sociale è la democrazia”82. Secondo l’autore il medesimo meccanismo può essere applicato alla democrazia economica, chiamata ad ispirare l’organizzazione industriale 80 Ivi, p. 263. A.SCERBO, Rivista di scienze della comunicazione – A.III (2011), n. 1. 82 Traduzione mia, G. GURVITCH, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit, p. 263. 81 40 secondo i principi del diritto sociale, espressione l’essenza della comunità oggettiva sottostante. In Gurvitch quindi la democrazia sotto l’aspetto economico manifesta “La ribellione del diritto sociale all’interno di quanto intrapreso contro il suo assoggettamento anomalo all’ordine eterogeneo del diritto individuale”83. Quanto detto dimostra la necessità di una azione pubblica diretta a modificare l’assetto della società capitalista, la quale è sostanzialmente protesa al perseguimento e alla difesa degli interessi dei titolari delle attività produttive, con il conseguente predominio di un ordine giuridico ispirato al diritto individuale. Il rinnovamento deve necessariamente basarsi sull’instaurazione di rapporti di potere che si fondano sul diritto sociale dei gruppi, i quali minano alle fondamenta il potere detenuto da un gruppo al fine di elidere la problematica che scaturisce dalla soggezione e dall’influenza che viene esercitata. In questo modo l’autore manifesta un particolare favore per l’indirizzo socialista, probabilmente anche a causa dell’esperienza vissuta in patria, seguendo però un processo di rivisitazione che da un lato ribadisce il rifiuto dell’individualismo capitalistico e dall’altro critica l’impianto 83 Traduzione mia, ivi, p. 264. 41 collettivistico definito dallo stesso autore di matrice statalista e a struttura dirigista. L’intento perseguito da Gurvitch è l’annullamento dell’esercizio del potere dell’uomo sull’uomo, per sconfiggere l’idea della supremazia dello Stato e per abbattere ogni forma di individualismo, aspirando in definitiva alla sostituzione dell’interesse comune all’interesse particolare in un campo come quello economico che è caratterizzato per antonomasia dagli egoismi delle singole componenti. Date queste condizioni e questi obiettivi si può parlare di una prospettiva socialista di Gurvitch in campo economico, anche favorita dall’introduzione nell’assetto economico generale del diritto sociale con il fine specifico di eliminare, o almeno attenuare, ogni influenza derivante dal diritto individuale, tanto che il nostro autore arriva a sostenere “la formula del socialismo è quindi perfettamente identica alla formula della democrazia, e cioè la sovranità del diritto sociale. Democrazia e socialismo nella loro vera accezione non hanno bisogno di essere conciliati poiché rappresentano una sola e medesima cosa. Il socialismo è l’aspetto economico della democrazia, e la democrazia non potrà esplicare la sua vera essenza e le sue molteplici forze potenziali finché rimarrà schiava dell’individualismo”84. 84 G.GURVITCH, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit., pp. 264-65. 42 Ritiene dunque l’autore che nella realtà sociale presa a riferimento, per la realizzazione di valori democratici ci sia bisogno di tecniche nuove, tecniche legate al principio pluralista le quali tengano conto della libertà, della dignità e dell’autonomia delle comunità, dei gruppi, degli insiemi e degli individui. “Nell’attimo atopico come puro In-stante scompare il nesso incongruo tra individuo, società, Stato. Si appalesa innanzi tutto l’insensatezza di quel plesso che articolava, classicamente coniugava, il presupposto originario (individuo), la realtà collaborativa (società), la rappresentazione riassuntiva (Stato)”85. 85 C. B. MENGHI, Logica del diritto sociale, Torino, 2006, p. 9. 43 CAPITOLO II IL DIRITTO SOCIALE Nel periodo tra le due guerre mondiali, le aspettative nei confronti di uno Stato che non si limiti alla garanzia dei diritti individuali, ma al contrario intervenga sull’economia e sulla società per correggere gli squilibri, si “nutrono di nuove interpretazioni complessive del diritto”86. In particolare con l’elaborazione della nuova categoria del diritto sociale, l’ordinamento giuridico è chiamato a tutelare non tanto e non solo la sfera individuale, quanto l’armonia e la tenuta dell’ambiente sociale nella sua pluralità87. Il diritto sociale non è prerogativa della socialdemocrazia anche se la riflessione teorica che lo sorregge, pur manifestandosi anche al di fuori delle sue fila, è nelle impostazioni del socialismo gradualista che palesa maggiormente le sue influenze88. Fra i propugnatori del diritto sociale alcuni, come Laskj89, ne considerano soprattutto i risvolti politici, altri, come Gurvitch, sono “impegnati a porne il fondamento in ambito filosofico e giuridico”90. Scrive Laskj: “Lo Stato mantiene le sue leggi non per le leggi in se stesse, ma per l’azione che esse esercitano nei riguardi della vita dei 86 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, Firenze, p. 141. Cfr. Ibidem. 88 Cfr. Ibidem. 89 Cfr. H.J. LASKJ, Le origini del Liberalismo Europeo, Firenze, 1962. Sul complesso del suo pensiero si veda C. PALAZZOLO, La libertà alla prova. Stato e società in Laskj, Pisa, 1979. 90 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 142. 87 44 singoli cittadini. Ciascun cittadino cerca di raggiungere la felicità; ha quindi bisogno di creare le condizioni senza le quali questo fine è irraggiungibile. Egli giudica perciò lo Stato dalla sua capacità di creare condizioni”91. L’elenco dei diritti esposto dall’autore inglese comincia dalla sicurezza, dal diritto al lavoro, dal diritto ad un salario ragionevole, dal diritto all’educazione come mezzo di formazione della personalità, per continuare in una commistione tra diritti liberali e democratici tra i quali annovera il diritto di opinione, di voto e di partecipazione alla vita politica92. Il diritto sociale è per Laskj lo strumento per superare la concezione dello Stato moderno considerato il principale garante dell’individuo nella sua qualità di detentore di beni materiali, e per fare dello Stato stesso “un soggetto che sappia estendere di fatto i diritti fin qui privilegio delle minoranze ricche”93. Infatti Laskj ritiene che una teoria moderna dello Stato “non può essere che una continua ricerca di socializzazione della legge”94. Gurvitch conferisce alla nuova categoria una veste teorica più compiuta nell’intento di porre le fondamenta di un diritto sociale che non consideri 91 H.J. LASKJ, Introduzione alla politica, Torino, 2002, p. 21. Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 144. 93 Ibidem. 94 H.J. LASKJ, Introduzione alla politica, cit., p. 36. 92 45 solo le garanzie individuali, “ma concepisca l’essenza vitale della comunità”95. L’autore, nell’indagine storica che correda la sua opera L’idèe du droit social, espone quali debbano essere considerate le sue principali fonti di ispirazione, tra le quali annovera la filosofia del diritto di due grandi giuristi del primo novecento, Duguit e Hauriou. In particolare Duguit aveva orientato la sua ricerca verso una regola di diritto anteriore e superiore allo Stato in base alla quale giudicare l’operato della legge positiva, e aveva identificato tale regola nell’ideale <<dell’interdipendenza sociale>>. Secondo Duguit la società, considerata come cooperazione nella quale ognuno cerca di soddisfare i propri specifici bisogni assumendosi in cambio il dovere della solidarietà, deve essere osservata come il limite ed al contempo il fondamento del diritto. Soggetti dell’azione sociale, nella visone dell’autore, non sono quindi tanto gli individui quanto i gruppi, tanto che “sindacati operai, sindacati padronali, associazioni delle varie categorie di funzionari, federazione dei lavoratori intellettuali, associazioni agricole […] tutti questi raggruppamenti si formano attualmente forze in modo disordinato, ma tutti tendono allo stesso fine di integrazione sociale”96. In questa costruzione, lo Stato non è considerato l’unico 95 96 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 144. L. DUGUIT, Traité de droit costitutionnel, Vol.1, Paris, 1921, p. 501. 46 depositario del potere di legiferare, “ma come un’istituzione di raccordo fra una pluralità di soggetti giuridici dotati di autonomia normativa”97. Secondo Hauriou invece, il problema fondamentale della legge è la <<trasformazione>> dello stato di fatto in stato di diritto98 ed il suo principio dinamico è la ricerca di integrazione fra lo Stato e la società che richiede un equilibrio tra elementi spesso contraddittori come da un lato le pulsioni individuali ed i bisogni della collettività dall’altro. La norma è idea che diviene continuamente fatto sociale e si incarna in quelle che Hauriou chiama <<istituzioni>> ovvero gruppi o corpi sociali dotati del potere di disciplinare attraverso regole i rapporti interni e di impegnarsi, attraverso ulteriori fatti normativi, con altri corpi sociali. Un’istituzione nasce quando un determinato numero di soggetti valuta di condividere un’idea di rilevanza sociale, sorge quindi, per volontà di detti soggetti, ma non attraverso un rapporto contrattuale tra i singoli ed il tutto. L’Istituzione, in definitiva, è la ragione fondante del tutto, l’idea del gruppo che prevale sulle inclinazioni soggettive, tanto che se alcune volontà individuali si scoprissero successivamente in disaccordo con gli orientamenti dell’Istituzione, potranno recedere dalla partecipazione ad essa ma mai modificare gli scopi del gruppo. 97 98 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145. Cfr. M. HAURIOU, Précis de droit costitutionnel, Paris,1923. 47 Per Hauriou accanto alla continuità dell’istituzione e rispetto alle sue premesse iniziali che ne determinano la stabilità e la durata, operano le trasformazioni storico-sociali e “l’aspirazione al perfezionamento della traduzione nella pratica dell’idea fondante”99 che conferiscono all’Istituzione un continuo movimento innovatore. In questa costruzione il diritto sociale si muove verso più direzioni, ovvero “all’interno dell’Istituzione persegue solidarietà ed intimità di vedute fra i membri”100, nella dinamica storica vigila che i miglioramenti giuridici apportati dall’istituzione siano efficaci per avvicinarla alla perfezione della sua idea fondante, ed infine, nell’ambiente sociale in cui la nuova categoria serve a far si che gli scopi e le azione delle varie Istituzioni si armonizzino verso il fine dello sviluppo della società nella sua interezza. Scrive Gurvitch: “Hauriou riuscì sostanzialmente a conciliare la sociologia del diritto con la filosofia del diritto senza confonderle tra loro. Il punto di congiunzione tra di esse è, a suo avviso, l’istituzione, alla quale l’Hauriou rivolge principalmente la sua attenzione. Dal punto di vista filosofico è nell’istituzione che dobbiamo ricercare i valori e le idee giuridiche oggettive, in particolare le molteplici manifestazioni delle 99 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145. Ibidem. 100 48 idee di giustizia e di ordine, che costituiscono l’elemento ideale di ogni diritto”101. Se Duguit affidava la ricerca dell’armonia sociale soprattutto all’azione autonoma dei gruppi, Hauriou riserva su questo piano un ruolo più forte per lo Stato, considerato “l’Istituzione in grado di dar seguito concreto all’idea di società in generale”102. Ne deriva “l’aspirazione ad una specie di socialismo corporativo in cui le associazioni sorgono e si sviluppano per forza propria, ma l’obbedienza allo Stato le trasforma ciascuna in erogatrice di un servizio pubblico”103. Gurvitch definisce la nuova categoria come un diritto di integrazione distinto dai rapporti giuridici, che pur permangono nei sistemi politici che adottano il diritto sociale, derivanti dalla tutela della sfera individuale o dalla subordinazione di tutti all’ordine superiore dello Stato. La sua funzione generale è “l’integrazione oggettiva di una totalità attraverso la sistemazione della comunione tra membri”104. La dottrina del Gurvitch105 nasce con un obiettivo preciso chiarito nella sua opera L’idèe du droit social ovvero superare l’individualismo 101 G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 170. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145. 103 Ivi, p. 146. 104 G. GURVITCH, L’idèe du droit social , Paris, 1932, p. 16. 105 Per l’esposizione critica della dottrina i due volumi di G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit. e Le temps présent et l’idèe du droit social, Paris, 1932, dei quali il primo, oltre contenere l’esposizione critica del sistema rifà la storia del diritto sociale dal sec XVI ai giorni nostri, il secondo applica la teoria del diritto sociale ai tre problemi più urgenti della odierna scienza giuridica: il problema del diritto internazionale, quello del diritto del lavoro e quello delle fonti del diritto. Per la giustificazione filosofica della dottrina, il volume, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, Paris, 1935. 102 49 giuridico cosi come “i suoi due antipodi naturali, l’universalismo tradizionalista e il collettivismo meccanicista, entrambi ostili all’idea stessa di diritto, i quali altro non sono che una forma di superindividualismo”106. Nella sua costruzione l’autore si pone in forte contrasto con il principio autoritativo del diritto, contro <<l’autorità personificata e soggettivata>> che trasforma il diritto sociale in diritto subordinativo, ma non contro <<l’autorità oggettivamente>>107 considerata poiché Gurvitch riconosce che il diritto trae la sua forza obbligatoria108 dall’autorità, a condizione però questa sia “oggettiva e impersonificabile”109. Nel trattato del 1932 Gurvitch affronta quindi il problema delle relazioni tra il diritto sociale e la potestà coercitiva dello Stato distinguendo in proposito tra quattro tipi di diritto sociale. Il primo tipo è costituito dagli ambiti di diritto sociale puro ed indipendente, superiore o almeno equivalente per importanza al diritto dello Stato. L’autore esemplifica queste forme di diritto sociale facendo riferimento al diritto internazionale, al diritto non organizzato della Nazione in quanto comunità, che dobbiamo sempre considerare prevalente rispetto alla volontà dello Stato in quanto apparato; il diritto canonico legittimato 106 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 9. Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), in <<Riv. Int. di Filosofia del Diritto>>, 1936, p. 412. 108 Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 19. 109 Ivi, p. 108. 107 50 dalle modalità della separazione tra lo Stato e la Chiesa, e quello che Gurvitch definisce il diritto economico. Questo ultimo, è il potere che i grandi soggetti economici, come gruppi e non come individui, hanno di dare una autonoma veste giuridica ai rapporti economici, a volte anche dopo confronti improntati alla lotta, come ad esempio nel caso dei contratti collettivi di lavoro. Un secondo genere è quello del diritto sociale puro, ovvero il diritto dotato di una sfera di autonomia giuridica al di fuori del volere statale, ma non del tutto indipendente, poiché sottomesso in alcune parti alla tutela della legge in generale. In questa tipologia Gurvitch inserisce tutte le azioni che lo Stato pone in essere per integrare i gruppi fra loro ed il diritto che contrassegna e caratterizza le forme <<della proprietà federalista>>, citando a tal proposito le società per azioni, le cooperative, in cui lo Stato può assumere il compito di regolamentare alcuni rapporti fra gli aderenti e l’istituzione, ad esempio tutelare il diritto di recesso dei singoli. Il terzo tipo di diritto sociale è annesso all’ordinamento statale ma con autonomia giuridica riconosciuta ai gruppi, è il caso dell’autogoverno locale, delle corporazioni di mestieri aventi carattere obbligatorio sancito dallo Stato, le associazioni sindacali quando sono soggetti di diritto pubblico, i sevizi pubblici decentrati, gli ordini professionali e le minoranze etniche. 51 L’ultimo genere è quello del <<diritto sociale che si condensa in ordine del diritto statale>>110 il che avviene “quando la tradizionale interpenetrazione individualistica del diritto costituzionale democratico viene rivista nel confronto con l’idea di diritto sociale”111 . E’ quanto accade ogni volta che il principio della sovranità popolare, come somma delle volontà individuali dei cittadini, viene integrata con quella della volontà collettiva della Nazione. Quest’ultima “non è una questione di tecnica della rappresentanza”112, ma di apertura permanente delle istituzioni politiche alla partecipazione dal basso, “un modo di riconsiderare i diritti come diritti di partecipazione al tutto di ricostruzione dei rapporti politici in senso federale”113. Bobbio nell’illustrare i generi citati sostiene che Gurvitch procede alla seguente specificazione: diritto sociale puro e diritto sociale condensato nell’ordinamento giuridico di uno Stato, distinzione fondata sull’assunto che il diritto sociale puro è sanzionato da <<una coazione condizionata>> che ammette la possibilità giuridica di sottrarvisi mediante l’uscita dalla totalità sociale e diritto sociale condensato 110 La tesi secondo cui il diritto statuale democratico non è un diritto subordinativo o d’imperio, ma un diritto sociale condensato (diritto organizzato sovrapposto ad un diritto non organizzato), serve secondo l’autore, a risolvere quattro tradizionali difficoltà della teoria dello Stato: il principio della sovranità del popolo, il problema della personalità morale degli organi dello stato, il problema dei diritti pubblici soggettivi, il problema dello Stato federale. Cfr. G. Gurvitch, L’idèe du droit social, cit.. 111 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 148. 112 Ibidem. 113 Ibidem. 52 nell’ordinamento giuridico dello Stato caratterizzato da <<una coazione incondizionata>>, che non ammette la possibilità giuridica di sottrarvisi114. Altrettanto interessante è l’opinione di Renard. Sul significato di autorità, scrive: “L’autorità non viene dagli uomini. Non dal basso: la legge del numero. Non dall’alto: il diritto divino dei legisti. L’autorità non è una qualità speciale per cui la volontà di questo o di quello si dimostri superiore alla volontà del tale e del tal’altro: la volontà del principe o della maggioranza superiore alla volontà dei soggetti o della minoranza: l’autorità ha il suo fondamento immediato nelle esigenze della vita sociale, quali si rilevano all’esame della ragione”115. “L’autorità e quindi la forza obbligatoria della regola giuridica trovano quindi il fondamento in Gurvitch, come per Renard, nel fatto sociale”116. Il concetto di diritto si pone di conseguenza come concetto indivisibile dall’idea di società; “il diritto è diritto sociale per eccellenza, quello individuale […] è un fatto secondario rispetto al diritto sociale”117. Analizzando la nuova categoria così come concepita bisogna rilevare che per diritto sociale, in opposizione a diritto individuale, Gurvitch intende il diritto di integrazione di una comunità distinto tanto dal diritto di coordinazione che ha i suoi presupposti teorici nella dottrina 114 Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch),cit., p. 412. G. RENARD, La Théorie de l’istitution, Parigi, 1930, p. 618. 116 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 412. 117 Ibidem. 115 53 dell’individualismo contrattualistico, quanto dal diritto di subordinazione che rappresenta non tanto una categoria giuridica a se stante, quanto piuttosto una forma degenerativa del diritto sociale data dal suo asservimento al diritto individuale. Per questo la posizione del diritto sociale si determina due direzioni tipiche: “Come superamento dell’individualismo dominante nella scienza e nella tecnica giuridica, superamento già in atto nella realtà sociale soprattutto per il progressivo formarsi delle associazioni economiche e della società internazionale, e in potenza nelle più notevoli ed autorevoli elaborazioni scientifiche degli ultimi anni da un lato, come opposizione allo statalismo giuridico di tipo gerarchico monistico e universalistico, in relazione ai principi della democrazia sociale dall’altro”118. Per attuare questo superamento, l’autore propone la categoria di <<transpersonalismo>>, considerato come “una concezione etica del tutto particolare”119, che sintetizza la contrapposizione tra individualismo e universalismo nell’idea di <<flusso supercosciente di creazione pura>> (Spirito), “la cui sostanza è formata da un’infinità di coscienze personali indissolubili che partecipano all’atto creativo”120. Gurvitch fonda sulla categoria del transpersonalismo la sua concezione di diritto sociale inteso come diritto di comunione affermando che: “Il 118 Ivi, p. 400. L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, Roma, 2004, p. 156. 120 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 10. 119 54 diritto sociale è un diritto autonomo di comunione che integra in modo oggettivo ogni <<tutto>> attivo reale che incarna un valore positivo fuori dal tempo. Questo diritto prende origine direttamente dal tutto, per regolare la sua vita interiore, indipendentemente dal fatto che questo tutto sia organizzato oppure no. Il diritto di comunione rende partecipi al tutto in modo immediato, nella relazione giuridica che da lui emana, senza separare questo tutto in un soggetto separato dai propri membri”121. Gurvitch definisce cosi il diritto sociale come un diritto di integrazione in contrapposizione sia con il diritto di separazione delimitativa sia con il diritto di subordinazione o di dominio. Il diritto sociale come diritto di integrazione “è prodotto da ogni fusione parziale, da ogni interpenetrazione del <<Noi>> che è alla base normale della vita di ogni gruppo. Perché questo noi non si aliena e resta fedele a se stesso […] ogni gruppo attivo, nel realizzare valori positivi, crea il proprio diritto di integrazione, un sistema di diritto sociale”122. Gurvitch evidenzia quindi come il diritto sociale renda i soggetti ai quali si rivolge direttamente partecipi di un tutto, che a sua volta partecipa direttamente ai rapporti giuridici dei suoi membri e per questa ragione secondo l’autore il diritto sociale è fondato “sulla fiducia, sullo sforzo 121 122 Ivi, p. 15. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 71. 55 comune, sulla solidarietà, quanto il diritto di separazione e di coordinazione delimitativa è basato sulla differenza e i conflitti”123. Esso è un diritto autonomo di comunione riguardante totalità attive, volto a disciplinare la vita della totalità stessa e a impegnarne i membri per la parte della loro esistenza che riguarda il compito comune da compiere quello che la comunità si è assunta. Infatti la comunione del <<tutto>> che Gurvitch chiama anche <<totalità immanente>> produce la sintesi tra l’uno e il multiplo, tra l’individuale e l’universale, che si generano reciprocamente in un movimento continuo di mutua partecipazione. Perché si realizzi questa comunione però c’è bisogno <<dell’ideale morale>>, cioè lo <<spirito>>, “inteso come flusso creatore supercosciente, alla cui attività creatrice concorrono un’infinità di persone, considerate insostituibili, come valori in sé”124. Questo <<spirito transpersonale>> costituisce anche l’incarnazione del sociale alla massima purezza, e si può affermare che il tutto sociale porta in se l’impronta dello spirituale. Nello specifico, accanto ad <<un essere sociale ideale>>, l’autore colloca <<un essere sociale empirico o reale>>, pieno di conflitti e di deformazioni, separato come da un abisso dall’essere sociale ideale che non riesce mai a raggiungere. L’essere sociale empirico non può, per Gurvitch, considerarsi <<sociale>> se non 123 124 Ivi, p. 72. L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, cit., p. 157. 56 nella misura in cui presenta una forma di relazione con lo spirito, ovvero nella misura in cui si tratta di una realtà spiritualizzata. Lo spirito però non può agire se non manifestandosi nella realtà sociale empirica, e quindi la <<totalità immanente>> non è solo un ideale morale, ma anche <<una tensione essenziale>>125 di ogni essere sociale empirico verso l’essere sociale ideale, indipendentemente dalla distanza che lo separa da questo. “In questa tensione dell’empirico verso l’ideale che il diritto diventa il sostegno più efficace nel processo di avvicinamento, poiché si pone come intermediario tra la socialità ideale e quella empirica”126. Nella costruzione dell’autore di fondamentale importanza è il nesso che intercorre tra la transpersonalità della società e la funzione integratrice del diritto sociale. Il tutto sociale considerato come totalità immanente, è sintesi dinamica dell’individuale e dell’universale, dei molti e dell’uno, è un sistema di equilibri fondato sulla fusione delle prospettive reciproche. Questa sintesi è quindi il prodotto dell’integrazione dei membri nel suo seno: “La società è <<un tutto integrantesi>> per l’integrazione dei suoi stessi membri, posto che per ordinazione si intenda[…] la in-ordinazione 125 126 Ibidem. Ivi, p. 158. 57 di un membro nel tutto”127, ovvero l’introduzione in un ordine che si attua in una comunione o collaborazione reciproca dei membri, e non in una opposizione dei singoli, come avviene nell’ individualismo contrattualistico, né in una sottomissione ad un tutto superiore come nello statalismo gerarchico. Ogni gruppo sociale è una <<totalità immanente molteplice>>, non univoca, perché riunisce soggetti liberi e non costretti alla subordinazione, ma nemmeno separata dai suoi membri, poiché è dotata di “una ragione di esistenza e di azione che va al di là delle singole volontà che la compongono”128. Infatti sostiene l’autore che: “Integrare un membro in un <<tutto>> significa farlo partecipe a questo <<tutto>> come un elemento di generazione della sua totalità e secondo i principi della sua unità, senza tuttavia sottomette l’elemento integrato a un comando unilaterale”129. La totalità può quindi darsi una organizzazione interna e presentarsi all’esterno come una persona collettiva complessa, “ma le sovrastrutture dirigenziali, agiscono rettamente solo se rispettano le ragioni della società non organizzata sottostante, in genere motivata da istanze egualitarie e non verticistiche”130. 127 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 401. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 147. 129 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 18. 130 Ibidem. 128 58 Osserva Gurvitch che non si entra in una organizzazione in virtù della semplice ricerca131 di tutela dei diritti individuali, infatti la fusione parziale che il diritto sociale richiede è una cosa diversa dalla semplice disciplina delle relazioni tra soggetti distinti, dalla sociabilità ridotta a una ricerca dell’equilibrio pacifico fra individui in posizione reciproca. Poiché l’insieme formato dai soggetti del diritto sociale si crea per un dinamico compito comune e non per una statica tutela delle differenze tra membri cambia secondo l’autore la natura132 stessa dell’idea di diritto. Il diritto passa da quella che per Gurvitch può definirsi una concezione negativa o limitativa, ad una funzione che “[…] è anche un ordine di collaborazione positiva, di sostegno, di aiuto, di conformazione. Bisogna abituarsi a vedere nel diritto un ordine di pace, di unione, di lavoro comune, di servizio sociale, oltre che un ordine di guerra, di separazione disgiuntiva, di riparazione. Bisogna imparare a distinguere il diritto dalla morale senza staccarlo da essa completamente, come avviene invece nel procedimento individualista che oppone a torto la sfera esteriore che il diritto deve rappresentare, dalla sfera unicamente interiore che la morale deve incarnare”133. Il diritto sociale proprio perché è strumento di integrazione in una totalità, è anche esso dotato di una forma obbligante, specificatamente 131 Cfr. C.DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., pp. 147-50 Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 147. 133 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 19. 132 59 diretta verso i suoi membri dato che il suo compito è la regolamentazione interna, e circoscritta agli scopi dell’organizzazione e non a tutti i rapporti sociali dei membri stessi. “La relazione giuridica che si instaura in una istituzione è data dalla mutua compenetrazione delle aspettative e dei doveri dei singoli nella vita e negli scopi del gruppo”134, quindi posto che il diritto sociale ha una sua funzione primaria nella disciplina interna, esso produce anche un potere sociale esterno del gruppo nei confronti di coloro che non partecipano all’organizzazione. Tuttavia i gruppi portatori di diritto sociale non sono tutti in condizione paritaria all’interno del grande raggruppamento sociale costituito dalla nazione, che Gurvitch definisce come la società sottostante all’istituzione avente poteri generali, vale a dire lo Stato. Infatti, il diritto sociale può essere particolare, come avviene per gli interessi difesi da un sindacato, o comune, se riguarda un interesse nazionale: in caso di conflitto, esiste una scala gerarchica ideale, in base alla quale possiamo appellarci alla prevalenza dell’interesse comune nei confronti di quello particolare. Ritiene Bobbio che per comprendere il significato del diritto in funzione dell’integrazione 134 sociale, bisogna “spogliarsi dei pregiudizi C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 148. 60 individualistici e universalistici intorno alla nozione di diritto”135 e farlo derivare non dalla norma generale o dalla volontà, ma dall’unione o comunione associativa, processo a cui Gurvitch da il nome di <<fatto normativo>>. Nella dottrina del fatto normativo sta, secondo Bobbio, “la novità di visuale della concezione giuridica dell’autore”136. Si è detto nella prima parte del presente scritto che la differenza fra diritto sociale e diritto individuale diventa evidente quando si considera che i fatti normativi da cui trae forza obbligatoria il diritto individuale, sono completamente diversi da quelli da cui trae forza obbligatoria il diritto sociale. I primi sono i fatti della relazione con gli altri, della sociabilità per opposizione reciproca, i secondi sono “i fatti della unione e della sociabilità per fusione parziale”137, i primi danno origine ad una società per delimitazione ed equazione, i secondi ad una società per comunione ed interpenetrazione. Il diritto sociale è quindi fondato sul fatto, in quanto trae la sua caratteristica dal semplice fatto della comunione di persone, fatto che come detto genera il diritto, e di conseguenza è definito normativo138. 135 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 401. Ibidem. 137 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 20. 138 GURVITCH ripropone in tutti e tre i libri, ovvero L’idèe du droit social, cit., pp. 132-153; Le temps présent et l’idèe du droit social, cit., pp. 213-295; L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit., pp. 138-152, il problema delle fonti del diritto e afferma che per fonte del diritto si deve intendere “il fondamento della forza obbligatoria del diritto in vigore; questa fonte, o fonte primaria o fonte reale del diritto, è costituita dai fatti normativi 136 61 Di notevole interesse è quanto sostenuto da Bobbio, secondo il quale la teoria del fatto normativo inaugura un nuovo metodo nello studio del diritto che può essere definito <<ideal-realista>>139 che supera i due precedenti, tradizionalmente antagonistici, del sociologismo e del normativismo, poiché cerca di non separare l’elemento ideale o normativo dall’elemento reale o sociologico del diritto, ma di coglierli entrambi in una visione unitaria. La funzione sociale non è qualcosa di estraneo alla struttura giuridica, ma anzi vi è immanente, di conseguenza la teoria del diritto deve essere insieme “descrizione sociologica”140 e “determinazione normativa”141 del fenomeno giuridico essenziale che è appunto il fatto normativo. Il concetto di diritto sociale, quindi, commesso ai valori transpersonali, opposto a quello individuale che esprime valori personali, si lega alle differenti forme della socialità, da cui discendono le diverse forme di estrinsecazione dei fatti normativi. Nello specifico la socialità spontanea si presenta sotto due forme distinte, ovvero la socialità spontanea per interpenetrazione, la fusione parziale […] quelle che si dicono comunemente fonti del diritto, la legge e la consuetudine, sono le fonti secondarie o fonti formali e non sono altro che i procedimenti tecnici per la constatazione delle fonti primarie”. 139 Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 403. 140 Ibidem. 141 Ibidem. 62 del noi, e la socialità spontanea per interdipendenza, la mera instaurazione dei rapporti con gli altri142. Da questa bipartizione derivano diversi gradi d’intensità della socialità spontanea, infatti se considera il grado della fusione parziale si individua una integrazione superficiale che si esprime nella massa, una integrazione più intima che si realizza nella comunità ed in ultimo una forma di integrazione profonda al massimo grado rappresentata dalla comunione. All’interno di queste tre forme di socialità “l’intensità di fusione e la forza di pressione non corrispondono affatto”143 poiché si instaura secondo Gurvitch una relazione inversamente proporzionale tra intensità ed espansione tanto che all’espansione di una corrisponde il restringimento dell’altra, e ciò evidenzia come il maggiore equilibrio si realizzi nell’ambito della forma intermedia dello stato di comunità e che tale stato per questa ragione si rivela la forma più stabile e più sicura di socialità. Dal lato della socialità per interdipendenza, il differente grado di intensità produce tre tipi di relazioni e nello specifico relazioni di avvicinamento, di allontanamento e miste. 142 143 Cfr. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 177. Ivi, p. 179. 63 I rapporti con gli altri, quindi, esprimendosi in processi di unione o separazione tra i gruppi e tra gli individui non si istaurerebbero senza una preesistente fase di interpenetrazione, “poiché l’interdipendenza presuppone sempre l’operatività di simboli comunicativi che possono favorire l’unità delle coscienze solo in dipendenza di una precedente unione intuitiva”144. Secondo Gurvitch, il risvolto giuridico di tali connotazioni è dato dalla caratterizzazione sociale ed individuale del diritto, infatti la differenza tra le due forme di socialità esaminate, che come illustrato riflette i suoi effetti sulle diverse modalità di estrinsecazione dei fatti normativi, conduce direttamente alla concettualizzazione dl diritto sociale “inteso come diritto di integrazione, di comunione e di collaborazione in una totale antigerarchia”145. Infatti, strettamente connesso ai risvolti transpersonali, poiché espressione della socialità per interpenetrazione fondata sull’unione intuitiva, il diritto sociale si differenzia dal diritto individuale, che esprime valori personali, poiché manifestazione della socialità per interdipendenza costituta sulla comunicazione simbolica. Il diritto sociale è: “Diritto di pace, di aiuto scambievole, di lavoro in comune, mentre il diritto individuale è diritto di guerra, di conflitto, di 144 A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, in Trigor: rivista di scienze della comunicazione – A. III (2011) n.1( gennaio-giugno), p. 46. 145 G. GURVUTCH, Le temps present, et l’idée du droit social, cit., p. 7. 64 separazione”146. Di qui, la conclusione che ogni potere giuridico “è funzione del diritto sociale […] sempre impersonale, oggettivo, immanente, non costituisce mai una dominazione e non è proiettato al di fuori della molteplicità dei membri che costituiscono un <<Noi>>. Al contrario il diritto individuale, come diritto di separazione e di equazione per eccellenza, non costituisce mai di per se stesso un potere”147. Da queste premesse, si comprendono le ragioni poste a fondamento del favore148 dimostrato dal Gurvitch per il diritto sociale, che non discende mai da atti impositivi provenienti dall’esterno, perché è sempre un diritto autonomo inerente ad ogni <<Noi>> particolare149, e poiché non posto dall’esterno favorevole all’autonomia giuridica delle parti interessate. Nell’approfondire il rapporto tra diritto e potere, La Torre osserva che in Gurvitch il potere politico, anche “ là dove assume le forme estreme della dominazione”150 si basa sempre su un qualche tipo di socialità, in genere <<per interpenetrazione>>, talvolta, nei casi di <<dominazione>> sulla socialità <<per interdipendenza>>, di modo che si può ritenere che “il potere politico è saldamente vincolato al fenomeno giuridico”151. Parallelamente con i diversi gradi della socialità per interpenetrazione Gurvitch opera una suddivisione del diritto sociale: “come la socialità 146 G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 184. Ivi, p. 185. 148 Cfr. A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 46. 149 Cfr. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 184. 150 A. SCERBO, introduzione, la Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 9. 151 M. LA TORRE, Norme,istituzioni, valori. Per una teoria istituzionalistica del diritto , Roma-Bari, 1999, p. 180. 147 65 per interpenetrazione si distingue secondo il suo grado di intensità in massa, comunità e comunione cosi il diritto sociale ad essa corrispondente può suddividersi in diritto sociale della massa, diritto sociale della comunità e diritto sociale della comunione”152. Il livello più superficiale d’integrazione è quindi realizzato dal diritto sociale della massa in cui alla esclusività del diritto oggettivo segue la negazione dei diritti soggettivi, ovvero Gurvitch sostiene che “il diritto sociale della massa è caratterizzato dall’esclusività del <<diritto oggettivo>> (prescrizioni) e dalla negazione quasi totale dei <<diritti soggettivi>>”153, e per questo motivo da origine ad una specie di diritto molto vicina al diritto subordinativo di dominazione. Al contrario, il diritto sociale della comunità realizza il maggior equilibrio tra “diritto sociale <<oggettivo>> e diritti sociali <<soggettivi>>”154, poiché la comunità costituisce da un lato l’espressione di socialità più stabile ed efficace, dall’altro la fonte del diritto più sicura, considerata la capacità di far emergere la distanza tra le caratteristiche essenziali delle credenze giuridiche e tutte le altre. Infine, il diritto sociale della comunione, “dovrebbe in teoria essere il più intenso quanto a validità e il meno intenso quanto a violenza”155, tuttavia l’autore sostiene che la comunione favorisce un diritto sociale con una 152 G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 185. Ivi, p. 186. 154 Ivi, p. 187. 155 Ibidem. 153 66 validità più attenuata poiché la stessa è in genere fugace ed instabile e legata all’influenza di fattori mistici e morali. È interessante notare anche quale connotazione assume il diritto individuale in rapporto ai vari tipi di rapporti connessi con la socialità per interdipendenza, in particolare l’autore individua <<un diritto interindividuale di allontanamento>> che si origina dal conflitto e si manifesta nel diritto di guerra e nel diritto della proprietà alienabile; <<un diritto individuale di avvicinamento>> che si manifesta in istituti come la donazione e la concessione ed infine <<un diritto individuale misto>> la cui manifestazione classica è il diritto contrattuale156. Nell’analisi della costruzione và però inserito un ulteriore tassello in merito ai piani di profondità delle diverse specie del diritto. Sotto questo aspetto rileva il conflitto tra diritto organizzato e diritto non organizzato, infatti Gurvitch precisa che: “Ogni diritto organizzato è sempre sovrapposto ad un diritto non organizzato ed ogni diritto non organizzato ha sempre la tendenza di coprirsi con una crosta più stabile e più fredda di diritto organizzato”157. 156 157 Cfr. Ivi, pp. 189-192. Ivi, p. 193. 67 Infatti “in ogni tutto sociale è possibile distinguere la sottostruttura della comunità oggettiva non organizzata e la soprastruttura dell’organizzazione sovrapposta”158. L’organizzazione sociale non è elemento essenziale alla nozione di diritto sociale, vi è infatti un diritto sociale non organizzato come vi è quello organizzato e tra questi due piani fondamentali della realtà giuridica sussiste una perpetua tensione derivante dal fatto che il diritto organizzato non riesce “nel suo schematismo riflesso”159, ad esprimere a pieno il diritto non organizzato più dinamico e più ricco di contenuto. Importante è cogliere il rapporto tra i due, “il diritto sociale non organizzato ha non solo geneticamente ma anche necessariamente priorità sul secondo ed il secondo, il diritto sociale organizzato, deve mantenersi strettamente aderente al primo”160. Attraverso questa costruzione Gurvitch “rompe la necessaria concatenazione tra diritto ed organizzazione, rottura che sembra essere il passaggio essenziale e necessario per innalzansi dalla dimensione dinamica della socialità a quella certa della giuridicità”161. Di conseguenza “apre la strada ad una modalità di confronto più articolata”162, secondo la quale esiste vero diritto di integrazione quando 158 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 29. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 194. 160 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 404. 161 A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 47. 162 Ibidem. 159 68 è fondato sul diritto non organizzato prodotto dalla comunità sottostante, quindi si assisterà all’espansione del diritto di subordinazione quando si realizza il distacco tra diritto organizzato e diritto spontaneo e l’organizzazione che ne deriva acquista il carattere di una associazione di dominazione163. Il campo della sovranità giuridica non organizzata costituisce il fondamento del riconoscimento e della previsione di una pluralistica diffusione degli ordinamenti giuridici, che tra l’altro “si preannuncia senza una precisa disposizione giuridica poiché questa è data dai mutamenti a dalle variazioni dettate dalla storia”164. Tale organizzazione ricostruisce intermini non formali il rapporto tra società e diritto tanto che anche il soggetto politico più rappresentativo, lo Stato, non solo non ha più il ruolo esclusivo nella produzione del diritto, “ma è anche chiamato a confrontarsi, proprio sotto l’aspetto giuridico”165, con le altre diverse realtà sociali. Tuttavia, nella costruzione dell’autore, non tutte le forme di socialità sono in grado di produrre diritto, infatti per svolgere questa funzione 163 Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 30 “quando il diritto sociale organizzato si rende indipendente dal diritto sociale della comunità non organizzata, esso perde il suo carattere di diritto di integrazione e si trasforma in un diritto subordinativo, sostituendo all’associazione di collaborazione l’associazione di dominio”. 164 A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 49. 165 Ibidem. 69 “esse devono incarnare con la loro esistenza valori positivi e condivisi, realizzanti per i consociati l’idea di giustizia”166. Non è possibile concepire un diritto slegato dall’idea di giustizia, il diritto in quanto tale rappresenta sempre e comunque uno sforzo per raggiungerla, e la costruzione teorica dell’autore si caratterizza per il rapporto tra questa e l’idea morale. Infatti Gurvitch partendo dalla discordanza irrimediabile tra l’armonia dell’idea morale e la disarmonia della realtà sociale concepisce la giustizia come strumento essenziale per l’attuazione della morale, come momento indefettibile anteriore, distinto da questa ed al contempo indispensabile per il raggiungimento della morale stessa167. La giustizia di per sé non è un ideale morale, ma “la razionalizzazione dell’idea morale, l’idea morale in un ordine di stabilità e sicurezza”168. Ogni diritto, invero, è il tentativo di realizzare uno dei molteplici aspetti della giustizia in eterogenei ambiti sociali, a condizione che siano capaci di garantire con la loro esistenza e la loro attività un minimo di validità alle regole cosi statuite169. Quindi ogni sistema coercitivo ed ogni poter per essere legittimati devono fondarsi su un diritto preesistente nella realtà sociale che li organizza. 166 A. R. FAVRETTO, Dal pluralismo dei rapporti sociali al pluralismo della normatività. Individui e diritto in Tönnies e Gurvitch, in Riv. di Sociologia del diritto n. 3, 1992, p. 67. 167 Cfr. L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, cit., pp. 157-60. 168 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 402. 169 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 70. 70 Secondo Gurvitch il diritto sociale come ogni diritto è fondato su una corrispondenza ed una interdipendenza, tra pretese e doveri, secondo una struttura imperativa-attributiva, è un sistema di diritto oggettivo ma anche un sistema di diritti soggettivi, non disciplina solamente ma attribuisce ai gruppi e agli individui interessati competenze e rivendicazioni giuridiche autonome. La giustizia, quindi, “non è più commutativa o distributiva, ma commutativa e distributiva ad un tempo”170. Il diritto, come tentativo di realizzare la giustizia171, viene determinato dal Gurvitch attraverso cinque punti che distinguono la regola giuridica dal quella morale172, ovvero la regola giuridica è: rigidamente determinata; multilaterale, quindi di carattere imperativoattributivo e non solo imperativo; il diritto è ordine; in quanto trae la sua forza dal fatto normativo è sempre diritto positivo173; la coazione non è elemento essenziale del diritto, di conseguenza il diritto positivo ha piena validità anche senza coazione. La sintesi dei concetti illustrati è espressa dall’autore nella Dichiarazione dei diritti sociali, opera che, volendo esse soprattutto un manifesto rivendicativo, non risponda ad esigenze dottrinarie per cui “Gurvitch a 170 G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 101. Cfr. A. R. Favretto, Dal pluralismo dei rapporti sociali al pluralismo della normatività. Individui e diritto in Tönnies e Gurvitch, cit., p. 69, che “mette in piena luce l’idea di giustizia come armonizzatrice di antinomie”. 172 N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 402. 173 Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 107 “la nozione di diritto naturale è una nozione contraddittoria, al massimo si può distinguere un diritto positivo formale, constato cioè con procedimenti teorici formali, da un diritto positivo intuitivo, constatato con una visione diretta ed immediata del fatto normativo […] e molte teorie del diritto naturale confondono questa seconda specie di diritto positivo con il diritto naturale”, traduzione mia. 171 71 differenza dei suoi testi più teorici, sente qui la necessità di esplicitare qui diritti al plurale”174, come rivendicazioni specifiche “che possono essere intese come continuità del principio del diritto sociale”175, nel tentativo di affiancare ai diritti del cittadino i diritti specifici del produttore, del consumatore e dell’uomo in uno spirito di fratellanza tra gli individui ed i gruppi. 174 175 C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 150. Ibidem. 72 CAPITOLO III LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI SOCIALI 3.1 Premessa alla dichiarazione dei diritti sociali Nel 1940 Wells pubblicò un pamphlet, intitolato I Diritti dell’Uomo176 sostenendo l’assunto che, nel mondo contemporaneo, i diritti dell’uomo erano in realtà completamente annullati dall’azione dei governi, non solo nei paesi totalitari e avevano bisogno di essere riaffermati sia a livello intellettuale sia a livello politico. Nel 1944, Gurvitch delinea la conclusione di 15 anni di ricerche nel campo della filosofia della legge in una Dichiarazione dei Diritti Sociali che dedica specificamente al futuro della Francia, ma i cui principi fondamentali sono evidentemente validi per la ricostruzione della società in genere. Il progetto di Dichiarazione dei diritti sociali è stato tradotto in Italia solo nel 1949177 ed appartiene alla letteratura del tempo di guerra, ovvero a quella letteratura programmatica che durante lo stesso conflitto ha preparato il terreno 176 177 per la ricostruzione morale ed istituzionale che Cfr. H.G. WELLES, On the Rights of Man, London, 1940. Cfr. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit.. 73 avrebbe dovuto investire i vari Stati appena fosse stata riconquistata la pace. Il lavoro di Gurvitch non ha perduto il suo interesse anche se sono venute meno le circostante contingenti in cui fu scritto, infatti conserva la sua importanza considerato il contributo recato all’approfondimento teoretico del problema ed alla sua concreta interpretazione istituzionale. L’autore è mosso dalla convinzione che non sia più possibile una reale e stabile democrazia politica se questa non viene integrata da un’analoga democrazia economica, e di conseguenza coglie la necessità di analizzare i mezzi idonei per garantire alla democrazia sociale ed economica un contenuto quanto più concreto possibile. Come sostenuto da Bobbio, il progetto dell’autore si distingue da ogni altro tentativo compiuto dalla dottrina precedente poiché interpreta la crisi dello Stato moderno, l’interna inadeguatezza del regime democratico analizzata alla luce dei principi del pluralismo giuridico definito “come uno degli aspetti più interessanti in cui si presenta nella cultura contemporanea la polemica contro lo Stato moderno […] di questo movimento di idee Georges Gurvitch, filosofo sociologo e giurista, è oggi il teorico più agguerrito e il più autorevole portavoce”178. Infatti, nella polemica dell’autore contro il monopolio giuridico dello Stato, ed in senso ancora più ampio contro la concezione monistica della 178 N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p.13. 74 società, concepita solo come società politica, il progetto di dichiarazione e gli accompagnamenti teoretici che l’accompagnano acquistano grande efficacia. I principali motivi della costruzione progettata si possono richiamare sinteticamente seguendo la traccia della prefazione fornita da Bobbio: “In sede sostanziale, partendo dalla visione pluralistica dell’uomo, la dichiarazione distingue nettamente tre sfere di diritti sociali, quelli del produttore (diritti al lavoro, diritti del lavoro, diritto di libertà sindacale), quelli del consumatore (diritti alla sussistenza, alla distribuzione della ricchezza, alla sicurezza economica, alla gestione dei servizi, ecc) e quelli del cittadino (diritti alla vita, all’educazione, alla libertà di associazione e di professione)”179. In sede formale, e per Bobbio questo è l’aspetto più interessante, la Dichiarazione intende fondare la garanzia dei diritti sociali non più sui principi dello Stato liberale poiché ritenuti insufficienti, quali la legalità, la divisione dei poteri e la sovranità popolare, ma sul principio ispiratore della società pluralista della limitazione reciproca e dell’equilibrio dei gruppi, o, in concreto, dello sviluppo parallelo dell’organizzazione politica (Stato) e dell’organizzazione economica, e all’interno di questa, dell’ordinamento dei produttori e di quello dei consumatori180. 179 180 Ivi, pp. 26-7. Ibidem. 75 Nella Dichiarazione dei Diritti Sociali, Gurvitch esplicita i legami tra la dottrina del diritto sociale e le riforme legate ad un più fattivo intervento dello Stato nelle questioni sociali181. Nel capitolo intitolato I precedenti l’autore parte dalle posizioni assunte nel periodo di guerra dal presidente statunitense considerando il discorso di Roosvelt del 1941182 sulle <<quattro libertà fondamentali>>, ovvero la libertà di parola ed espressione, la libertà di religione, la libertà dal bisogno e quella dalla paura, alle quali il presidente aggiunge “il diritto alle pari opportunità economiche, il diritto al lavoro, il diritto alle assicurazioni, il diritto di beneficiare dei risultati del progresso scientifico e del costante miglioramento del livello di vita”183. Cita inoltre, quanto ipotizzato, senza seguito concreto, nel disegno di una Nuova Dichiarazione dei Diritti184 avanzata nel gennaio del ‘43 dall’Istituto Statunitense di Pianificazione delle Risorse Nazionali ed un analogo programma proposto a Filadelphia l’anno successivo dalla Conferenza Internazionale del lavoro. Obiettivi di questi ultimi progetti erano la piena occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita, l’istruzione e la qualificazione 181 Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 141. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 31. 183 Ivi, p. 32. 184 Cfr. National Resources Development, Report for 1943, Part.I. Post War Plan and Program, National Resources planning Board, Washington, D.C., pp. 2-19. 182 76 professionale, il riconoscimento di un salario minimo vitale, la sicurezza sociale e sanitaria, la difesa dell’infanzia e della maternità. In ultimo Gurvitch cita i testi costituzionali degli ultimi decenni prima della seconda guerra mondiale che contengono esplicitamente o implicitamente dichiarazioni dei diritti sociali tra i quali include le tre Dichiarazioni dei Diritti proclamate in Russia nel 1918, nel 1924-1925 e la Costituzione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.) del 1936. Gurvitch osserva come queste corrispondano esattamente ai tre periodi della rivoluzione sociale russa, ovvero “l’epoca della rivolta, della lotta e delle guerre civili, l’epoca della vittoria contro gli avversari, l’epoca della stabilizzazione e cristallizzazione dei risultati della Rivoluzione”185. Passa poi ad analizzare la dichiarazione contenuta nel capitolo X della Costituzione del 1936, in cui i diritti sociali si riducono, nella maggior parte dei casi alle prerogative, ai doveri e ai compiti dello Stato Socialista definito “parente prossimo dello Stato Borghese servitore, protettore e signore, ma ancora più onnipotente e assoluto”186. Tuttavia allo Stato Socialista è riconosciuto il merito di avere “l’ispirazione indiscutibilmente migliore”187 poiché è sostenuto dal tentativo di liberare il lavoro dell’uomo dal potere del denaro e del profitto privato, anche se neppure in questa forma di stato gli individui e 185 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 42. Ibidem. 187 Ibidem. 186 77 i gruppi sono riconosciuti come centri attivi di tutela dei propri diritti poiché non sono chiamati a controllare il potere dal basso e non ricevono alcuna garanzia di autonomia e di libertà. “Restano fino a nuovo ordine esclusivamente beneficiari della liberazione ottenuta per essi dallo Stato Sovietico”188. Gurvitch, pur riconoscendo che i precedenti tentativi possano essere considerati ricchi di insegnamenti non nasconde “un certo sentimento di inquietudine e di apprensione”189 unito ad un sentimento di delusione. Ii testi in questione non sarebbero vere dichiarazioni dei diritti ma programmi e promesse di legislazione sociale dello Stato, in cui gli interessati apparrebbero come beneficiari più o meno passivi e non come “centri attivi di creazione e di difesa dei propri diritti sociali”190. Al riguardo “Se il diritto sociale viene correttamente indentificato, con i due aspetti paralleli della pressione dei gruppi sullo Stato e l’intervento dello Stato per regolare l’azione dei gruppi, crea contraddizioni politiche ed economiche che logicamente possono portare solo a un’organizzazione sociale ed economica imposta dallo Stato, al corporativismo e al totalitarismo, un vicolo cieco nel quale si trova ora la maggior parte dei socialisti e dei liberali”191. Ciò sarebbe causato dal fatto che nei precedenti citati mancherebbero totalmente i mezzi con i quali gli interessati potrebbero lottare per l’attuazione e la tutela dei propri diritti, 188 Ibidem. Ivi, p. 44. 190 Ibidem. 191 Cfr. N. CHIAROMONTE, Politics, Vol. II, n. 1, 1945. 189 78 “l’effettiva garanzia del legame indissolubile tra i diritti sociali e le istituzioni e procedure democratiche è inesistente”192. Infatti, le precedenti dichiarazioni non rafforzano la democrazia eludendo il problema di raggiunge “un ulteriore grado di liberazione”193 necessario per realizzare e difendere ogni vero diritto sociale, ovvero che ogni individuo ed ogni gruppo diventino da “comparsa nella vita giuridica a creatore e protagonista attivo”194, lasciando quindi irrisolta la questione relativa alla capacità di uno Stato autoritario di soddisfare i diritti sociali, o almeno la maggior parte di questi. Per Gurvitch affinché una dichiarazione dei diritti sociali possa produrre una vera liberazione, non può e non deve prescindere dalla tutela della libertà umana in tutte le sue forme, pertanto malgrado i vari progetti ed i testi costituzionali citati “abbiamo ritenuto di dover intraprendere questo lavoro e ci siamo decisi a proporre un nostro progetto di Dichiarazione dei Diritti Sociali”195. Prima di illustrare il suo progetto, Gurvitch tuttavia si ferma ad analizzare i motivi per i quali le precedenti dichiarazioni sono rimaste prive di validità e di forza e hanno avuto un effetto meramente declamatorio osservando che il problema dell’efficacia dei diritti e fortemente legato alle tecniche ed alle procedure previste per la loro 192 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 44. Ibidem. 194 Ibidem. 195 Ivi, p. 45. 193 79 tutela. Infatti, chiarisce l’autore, che molti giuristi del XIX secolo hanno considerato i diritti sanciti nella dichiarazioni solo come dei principi morali privi di valore giuridico, ed avevano precisato che le dichiarazioni dei diritti avevano un significato per coloro che credevano nell’esistenza di un diritto naturale come diritto imprescrivibile, immutabile, superiore nella sua validità al diritto positivo, ma cosi facendo “man mano che perdeva consistenza questa dottrina, essi non trovavano più alcuna giustificazione alle dichiarazioni di diritti”196. Per Gurvitch questo tipo di argomentazione non sarebbe condivisibile poiché non terrebbe conto di diversi aspetti fondamentali del problema tra cui si individua il fatto di ignorare che la vita giuridica non si sviluppi tutta sullo stesso piano, ma in piani di diversa profondità, ovvero <<piani di diritto>>197 ed in merito a questo aspetto cita Deguit: “Al vertice la legge suprema, superiore a tutte le altre, la Dichiarazione dei Diritti. Al di sotto di essa, le leggi costituzionali, che le sono subordinate, ma che sono superiori alle leggi ordinarie. Infine queste ultime che non possono contenere alcuna disposizione contraria alle leggi costituzionali o alla dichiarazione. Il sistema costituisce una forte tutela […] contro l’arbitrio legislativo”198. 196 Ivi, p. 48. G. GURVITCH, Eléments de Sociologie Juridique, cit., p. 167 e s.s. e Sociologia del diritto , cit, p. 221 e ss.. 198 L. DUGUIT, Traité de Droit Costitutionel, vol. V.III, Paris, p. 644. 197 80 Il diritto formulato nella dichiarazioni non ha bisogno di essere un diritto naturale per dimostrarsi indipendente e superiore al diritto dello Stato, poiché esso esprime il diritto spontaneo della Nazione come diritto dotato di un’immensa forza dinamica e che non può essere espresso in nessuna organizzazione particolare manifestandosi pienamente “nel loro insieme variegato, al quale è superiore”199. Le dichiarazioni rappresentano l’elemento più dinamico del diritto scritto, poiché esprimono pienamente il diritto spontaneo e vivente della Nazione trasmettendo questo dinamismo spontaneo all’intero ordinamento giuridico e spingendo quest’ultimo verso trasformazioni continue ed immanenti, “i diritti proclamati nelle dichiarazioni sono infatti i più vicini ai valori ed alle idee giuridiche che costituiscono un elemento essenziale ed indispensabile della vita di ogni diritto”200. In Gurvitch questi valori e queste idee, adattandosi alle strutture sociali e alle condizioni storiche concrete nelle quali devono trovare attuazione, ricevono nei regimi democratici un simbolico riconoscimento nelle dichiarazioni di diritti, e al pari di tutti i simboli diventano strumenti di mediazione tra l’ideale ed il reale modificandosi al mutamento della realtà sociale. “Non si può dunque201 fare a meno delle dichiarazioni dei diritti nei regimi democratici come in generale dei simboli nella vita 199 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 49. Ivi, pg51. 201 Corsivo mio. 200 81 sociale”202; ciò comporta che: "Nella cornice di una società universale, là esistono, per ciascuno di noi, tante società particolari quanti sono gli interessi particolari […]. Questa è la chiave per tutti problemi che possono essere sollevati dal conflitto tra diversi tipi di doveri sociali”203. Secondo Gurvitch: “Il fine della Società è la fratellanza degli uomini e dei gruppi, che si realizza mediante la molteplicità nell’unità, ovvero una pluralità di associazioni di collaborazione paritaria, integrate nella comunità nazionale e dirette alla protezione della libertà e della dignità umana di ogni partecipante”204 ed ancora “il pluralismo dei gruppi e degli insiemi autonomi ed equivalenti, che fungono da reciproci contrappesi, costituisce una delle garanzie fondamentali della libertà umana e dei diritti sociali dell’uomo”205. I diritti dell’uomo, di conseguenza, diventano i diritti sociali dell’uomo, ma l’individuo non viene assorbito dalla società e tanto meno dallo Stato ma, al contrario, solo nella società pluralistica la difesa dei diritti dell’individuo viene riconosciuta come uno degli interessi fondamentali del gruppo. Questo è il motivo per cui l’autore distingue nettamente la sua Dichiarazione sia dalle citate proposte di legislazione sociale sia dalla stesura di una nuova Costituzione. Legislazioni sociali e costituzioni non esprimono giustizia 202 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 52. Cfr. G. GURVITCH, L’idée du droit social, cit., pp. 347-06. 204 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 79. 205 Ivi, p. 99. 203 82 ma, al più, “un compromesso profondamente instabile fra società e Stato, forza e giustizia”206. Gurvitch precisa che il progetto di Dichiarazione dei diritti sociali è fondato su una interpretazione particolare del concetto di diritto sociale poiché il termine diritto sociale è stato spesso usato nel senso di un diritto legato <<alla politica sociale dello Stato>>, nello specifico a quella parte della legislazione di uno Stato riguardante la questione sociale, ovvero quel complesso delle regole giuridiche, delle leggi statali poste a protezione dei soggetti più deboli della società e dirette a disciplinare l’intervento dello Stato in campo economico. Egli ritiene che questa accezione non possa essere condivisa, poiché non tiene conto del fenomeno del pluralismo giuridico nella vita reale del diritto, ovvero del fatto che ogni insieme o gruppo possiede la capacità di produrre il proprio ordine giuridico autonomo capace di regolare la propria vita interna, pluralismo giuridico che l’autore definisce una conseguenza diretta del pluralismo di fatto nella realtà sociale. Come già sostenuto, alcune dichiarazioni dei diritti sociali si limitano a formulare dei programmi di azione dello Stato e a parlare dei suoi doveri e dei suoi diritti, ma non attribuiscono agli interessati, siano essi gruppi o individui, alcun diritto sociale proprio, nessuna autonomia giuridica e nessuna garanzia circa la propria libertà positiva ed il proprio ruolo 206 Cfr. N. CHIAROMONTE, Politics, cit.. 83 attivo, in una prospettiva che non attribuisce nessuna facoltà di autogoverno o di difesa dei propri diritti. A ben vedere quindi, se il diritto sociale è solo regolamentazione statale delle misure di aiuto e di distribuzione di benefici materiali, si dovrebbe ritenere che anche i regimi autoritari e totalitari sarebbero capaci in linea teorica, come le democrazie, “di realizzare un uguale diritto sociale preoccupandosi del benessere materiale dei produttori e dei consumatori resi però schiavi”207. Quindi, completare la Dichiarazione dei diritti politici con una Dichiarazione dei diritti sociali, considerando le due dichiarazioni necessariamente complementari, significa “proclamare i diritti dei produttori, dei consumatori e dell’uomo, garantendo un’effettiva partecipazione a tutti gli aspetti della vita, del lavoro, della sicurezza, del benessere, dell’educazione, dell’attività culturale”208 e a tutte le possibili manifestazioni dell’autonomia giuridica e del controllo democratico da parte degli stessi interessati. Gurvitch ricorda che Proudhon aveva sostenuto la necessità di completare ed equilibrare la <<Costituzione Politica>> attraverso una <<Costituzione Sociale>> indipendente di cui il primo pilastro dovrebbe essere costituito dalla dichiarazione dei diritti economici dei gruppi e 207 208 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 71. Ivi, p. 74. 84 degli individui, dichiarazione che servirebbe da fondamento per l’instaurazione della democrazia economica209. Una dichiarazione dei diritti politici completata da una dichiarazione dei diritti sociali significa da un lato proclamare sul piano giuridico la negazione di ogni sfruttamento, di ogni dominio, di ogni arbitrio e di ogni forma di diseguaglianza, significa negare ogni ingiustificata limitazione della libertà dei gruppi e degli individui; dall’altro significa proclamare il diritto degli individui e dei gruppi ad una organizzazione pluralista della società, la sola capace di garantire la libertà umana. Gurvitch analizza anche le resistenze che la realizzazione dei valori giuridici simboleggiati dalla dichiarazione trova in un determinata struttura sociale, poiché ogni dichiarazione dei diritti è inizialmente diretta contro qualche cosa, contro quelli che l’autore definisce “gli ostacoli che le dichiarazioni devono superare”210. Egli sostiene inoltre che nel XVIII secolo, le dichiarazioni dei diritti sociali hanno dovuto superare ostacoli relativamente semplici come eliminare le vestigia delle antiche servitù feudali, ovvero i privilegi di nascita, l’autocrazia politica e l’intolleranza religiosa. In esse, continua l’autore, lo Stato è posto come unico difensore della libertà umana identificata esclusivamente con la libertà individuale. 209 210 G. GURVITCH, L’idée du droit social, cit., 1932, pp. 360-66. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 53. 85 Di contro nel XX secolo, gli ostacoli che l’autore si propone di superare con la sua dichiarazione dei diritti sociali, sono definiti dall’autore stesso “molto più pericolosi per i valori democratici”211, infatti Gurvitch osserva come il nuovo <<feudalesimo economico>> quello determinato dal cambiamento del capitalismo, da prima fondato sulla libera concorrenza ed ora capitalismo organizzato, ha portato nella vita politica ed in quella economica alla supremazia delle grandi società per azioni, dei trust, dei cartelli e delle istituzioni bancarie e di conseguenza al sorgere di vaste organizzazioni di dominio autoritario che sfugge ad ogni tipo di controllo democratico. Il <<feudalesimo economico>> “non si accontenta più di asservire milioni di uomini ad un potere arbitrario nella sfera economica; esso forma un governo privato, che intervenendo continuamente nel normale funzionamento della democrazia politica, provoca lo smembramento dell’autorità dello Stato ed impedisce con il muro di denaro ogni indispensabile riforma”212. Al contempo, egli ritiene che i principi democratici non siano riconosciuti nella vita quotidiana, che si svolge per la maggior parte degli uomini nelle officine, nelle fabbriche o negli uffici e che sia scemata la fede 211 212 nel valore di questi principi ed in coloro che li difendono. Ibidem. Ivi, p. 54. 86 “Viviamo nell’epoca dei Leviatani e se non impariamo ad adoperarli come contrappesi gli uni contro gli altri per difendere la libertà umana diventeremo loro schiavi”213 e sarebbe quanto le dichiarazioni dei diritti dovrebbero impedire. L’azione accresciuta e rafforzata dello Stato democratico potrebbe essere diretta contro se stesso in quella che l’autore definisce ”dialettica dell’intervento dello Stato”214 capace di abbattere gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo delle forze autonome dei gruppi e degli individui chiamati a limitare lo Stato ed a fungere da contrappeso in una nuova organizzazione economica215. Quanto più numerosi sono gli ostacoli che la realtà sociale pone, tanto più le dichiarazioni dei diritti e le nuove tecniche di difesa della libertà umana devono essere originali, combattive ed efficaci, infatti “le nuove dichiarazioni dei diritti, fondate su simboli nuovi, devono essere formulate per trionfare a seguito di lotte eroiche con avversari terribili, per superare immensi pericoli e per sfruttare le più grandi difficoltà al fine di servirsene per la piena attuazione dell’ideale democratico”216. Ultimo dei problemi affrontati è quello della Proclamazione, infatti Gurvitch si interroga su chi dovrebbe approvare la Dichiarazione: se 213 Cfr. G.D.H. COLE, Europe, Russia, and the Future, London-New York, 1940, p. 87. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 57. 215 Per una descrizione sociologica dei nuovi ostacoli alla realizzazione dei valori democratici cfr. G. GURVITCH, Democracy as a Sociological Problem, in <<Journal of Legal Sociology>>, V.I, n. 1-2, 1942, pp. 46-71. 216 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 58. 214 87 questa dovrebbe essere approvata solo dall’Assemblea Costituente politica, quale rappresentante dei cittadini, o anche dai produttori e consumatori-utenti riuniti in un Consiglio economico Costituente Nazionale. La risposta più logica ed auspicabile dovrebbe corrispondere alla seconda ipotesi poiché quest’ultima deve essere considerata anche quella più conforme alla tecnica pluralista ispiratrice della Dichiarazione stessa. La nuova Dichiarazione dei diritti sociali dovrebbe essere approvata tanto dai cittadini quanto dai produttori e dai consumatori, per diventare cosi una sorta di nuovo patto o di nuovo <<Contratto Sociale>> concluso tra lo Stato e l’Organizzazione Economica Nazionale, capace di obbligare e sottomettere alla dichiarazione stessa nelle loro relazioni, nei loro conflitti e nella loro collaborazione e a difenderla congiuntamente217. 3.2 Il produttore, il consumatore, il cittadino, l’uomo Per continuare l’analisi della Dichiarazione dei diritti sociali appare necessario soffermarsi sull’analisi di alcuni fondamentali articoli. Tra essi spiccano l’art. II secondo cui: “Ogni uomo, ogni cittadino, ogni produttore ed ogni consumatore, i gruppi come gli individui, sono 217 Ivi, p. 103. 88 riconosciuti liberi ed uguali tra di loro e nelle rispettive sfere della loro attività”218 e l’art. IX per il quale: “La libertà individuale e collettiva garantita dai diritti sociali è limitata soltanto dall’uguale libertà di tutti gli altri individui e gruppi, come anche dalla loro fratellanza e dagli interessi generali: politici, economici e culturali della Nazione”219. Il progetto di dichiarazione di Gurvitch è suddiviso in: i diritti sociali dei produttori, i diritti sociali dei consumatori ed i diritti sociali dell’uomo che si equilibrano e completano reciprocamente completando ed equilibrando i diritti politici dei cittadini. Partendo dalla definizione del Zoon polikon Gurvitch osserva come da un lato si debbano distinguere più aspetti dell’essere umano, infatti quest’ultimo oltre ad essere un ente è un produttore, è un consumatore è un cittadino e dall’altro come le categorie citate non esauriscono il suo essere: “Sotto il produttore, il consumatore ed il cittadino alberga l’uomo indipendentemente dalla sua qualità”220. Infatti, ogni essere umano è al contempo produttore, consumatore e cittadino e questo non impedisce che i rispettivi interessi di gruppo siano diversi, al contrario vi sono alcune antinomie che si presentano sia all’interno di ogni essere umano sia nella vita sociale e da qui deriva l’esigenza di equilibrare tali interessi servendosi di tecniche speciali. 218 Ivi, p. 79. Ivi, p. 81. 220 Ibidem. 219 89 Gurvitch sostiene che queste antinomie nella vita sociale spesso sono nascoste da conflitti più visibili, cita ad esempio la lotta di classe in cui produttori e consumatori fanno il più delle volte causa comune, ma dopo aver eliminato o fortemente ridimensionato l’avversario comune, l’antinomia indissolubile tra di essi torna il primo piano. Per Gurvitch è produttore ogni uomo valido che si trova nella condizione di età favorevole per svolgere un’attività continuativa, desidera ricevere la massima retribuzione per il suo lavoro e desidera lavorare nelle migliori condizioni. Tuttavia, ogni essere umano, indipendentemente dal fatto che sia un produttore, è per tutta la vita un consumatore, ossia avverte dei bisogni che possono essere soddisfatti per mezzo di determinate attività. All’interno della categoria dei consumatori, vi è un insieme più ristretto che è dato dagli utenti, coloro che hanno interessi speciali in settori particolari dell’industria come “ad esempio dell’imprese che producono abbigliamento nei confronti delle manifatture di tessuti”221 o nei riguardi di uno specifico servizio come ad esempio “il caso dei genitori degli scolari che hanno un interesse particolare al buon funzionamento di una scuola”222. 221 222 Ivi, p. 66. Ibidem. 90 Per capire le antinomie tra queste categorie, l’autore sostiene che basti considerare che il produttore ha interesse a mantenere i prezzi elevati dei prodotti del settore industriale in cui lavora e rivendica il rispetto e la dignità del lavoro, al contrario il consumatore è interessato ai prezzi bassi in qualsiasi campo produttivo e reclama l’abbondanza, l’utente, infine, è interessato ai prezzi bassi nel settore il cui è cliente. Secondo Gurvitch, “il socialismo marxista credeva in maniera utopica, che i conflitti tra i gruppi sarebbero scomparsi dopo l’eliminazione della lotta di classe”223, al contrario “il sindacalismo il più delle volte ha tutelato solo i diritti dei produttori sacrificando quelli dei consumatoriutenti e le cooperative hanno fatto l’errore inverso”224. Il progetto di Dichiarazione dei diritti, invece, applicando la tecnica pluralista, contrappone i diritti sociali dei produttori a quelli dei consumatori e ricercando il loro equilibrio nell’organizzazione economica nazionale, fondata sull’uguaglianza tra i due gruppi che devono essere riconosciuti come equivalenti in una <<democrazia economica>>. L’autore analizza infine la categoria dei cittadini, questi non hanno gli stessi interessi dei produttori e dei consumatori, infatti come individui e come gruppi hanno interessi legati al territorio, alla tranquillità e 223 224 Ibidem. Ibidem. 91 all’ordine, al buon funzionamento dei servizi pubblici e di conseguenza a tutte le limitazioni necessarie a questo scopo. Questi interessi si pongono su un piano differente, quello dei diritti politici, da quello in cui si affermano gli interessi dei produttori e dei consumatori, quello dei diritti sociali, e possono entrare in conflitto tra di essi, per questo i diritti politici dei cittadini che si affermano in una sfera differente da quella dei diritti sociali dei produttori e dei consumatori, devono essere delimitati ed al contempo equilibrati dei diritti di questi ultimi. L’uomo indipendentemente dalla sua qualità di produttore, consumatore o cittadino ha degli interessi e dei diritti sociali che non possono essere mai negati, primo tra tutti l’interesse dell’uomo di potersi muovere liberamente tra i gruppi, entrando ed uscendo da essi senza costrizioni, in quello che Gurvitch definisce il desiderio-diritto dell’uomo di essere rispettato e di agire indipendentemente dalla sua partecipazione a gruppi. Nello specifico gli articoli che vanno dal VIII al X del progetto di dichiarazione prevedono che l’interessato ha diritto di chiedere la protezione di un gruppo o di un insieme contro un altro gruppo o insieme quando vede minacciata la propria libertà. Un uomo, infatti, potrebbe essere come produttore membro della comunità di operai della fabbrica in cui lavora, come consumatore membro di una cooperativa, come utente far parte di una associazione di utenti, come cittadino membro di un Comune ed infine come uomo 92 partecipare ad associazioni culturali o scientifiche. Secondo Gurvich, nessuno di questi gruppi e nessuno dei loro insiemi deve avere la possibilità di assorbire interamente l’uomo, altrimenti ciò equivarrebbe ad asservirlo. Se l’individuo avverte che il gruppo o l’insieme dei gruppi nei quali si è integrato, diventa troppo esigente imponendogli obblighi che gli impedirebbero di compire i propri doveri nei riguardi degli altri gruppi ai quali partecipa ugualmente, deve avere i mezzi necessari per difendere la sua libertà. Egli ritiene inoltre che il primo rimedio sia l’attribuzione all’interessato del diritto di far agire per suo conto e per la propria tutela gli altri gruppi ed insiemi, nei quali è integrato e che risultano lesi dalle pretese esorbitanti del gruppo troppo esigente. Quindi se la comunità dei lavoratori della fabbrica nella quale l’operaio è assunto, la cui maggioranza appartiene ad un sindacato professionale, si arroga il diritto di imporre a questo operaio l’obbligo di aderire al citato sindacato, impedendogli l’adesione ad un sindacato concorrente. Dovrebbe essere inoltre riconosciuto il diritto, all’operaio interessato, un intervento, per difendere la propria libertà di scelta tra i sindacati, quello al quale appartiene o vorrebbe appartenere. Questo sistema di appello, che l’autore ipotizza utilizzabile anche contro lo Stato quando questo mette in pericolo la libertà di un individuo, non può funzionare senza frizione se non si provvede ad organizzare un sistema speciale di tribunali paritari tra i gruppi ed i loro insiemi. L’ultima istanza di questa 93 possibile catena-serie di appelli dovrebbe essere affidata alla Corte suprema paritaria composta da ugual numero di giudici eletti dal Parlamento politico dello Stato e dal Consiglio Economico Nazionale ed operante sulla base del diritto spontaneo e vivente dall’intera comunità nazionale. Nella costruzione dell’autore rilevante è l’articolo X225; partendo dall’assunto che tale articolo, nel progetto della Dichiarazione, fonda i limiti della libertà dei gruppi e degli individui sui principi di fratellanza e di interesse generale al cui interno vanno distinti, necessariamente, l’aspetto politico, economico e culturale, al fine del chiarire il concetto stesso di interesse generale. Si “è abusato molto del principio dell’interesse generale”226, da un lato per secoli si è attribuito il monopolio della rappresentanza e della tutela dell’interesse generale dello Stato considerato al vertice della gerarchia dei gruppi, dall’altro questo, “specialmente dopo Ruosseau, è stato concepito come interesse uguale per tutti”227 il che necessitava di una diversa giustificazione per la 225 Cfr. Ivi, p. 81. “Ogni abuso della libertà individuale collettiva, che la pone in conflitto con i principi di uguaglianza e di fratellanza e con i differenti aspetti dell’interesse generale, fondati sull’equilibrio degli interessi contrari,sarà represso. Questa repressione è attribuita ad ogni organizzazione in quanto rappresenta un aspetto dell’interesse generale. Se l’azione separata di una di queste organizzazioni è insufficiente, è prevista la loro azione comune. Nell’ipotesi di conflitti tra queste organizzazioni, gli abusi saranno repressi dai tribunali paritari di diverse categorie e, in ultima istanza, da una Corte Suprema Paritaria, che agisce in nome della Comunità Nazionale”. 226 Ivi, p. 107. 227 Ivi, p. 108. 94 tutela statalista visto che “l’interesse identico in tutti richiedeva una organizzazione unica per la tutela”228. Tuttavia, quanto sostenuto in merito alle varie configurazioni dell’interesse generale è per l’autore una serie di dogmi incapaci di superare una analisi obiettiva, infatti il monopolio dell’interesse generale è stato attribuito allo Stato considerato come l’unico gruppo <<soprafunzionale>>, ovvero depositario della totalità indissolubile delle competenze, e conseguentemente si è sostenuto che l’interesse generale potesse essere rappresentato esclusivamente da un gruppo dotato di competenza universale, ma in queste argomentazioni è stato commesso un triplice errore. Per Gurvitch il primo di questi risiede nel fatto che lo Stato come insieme di raggruppamenti territoriali è un <<gruppo funzionale>> e non <<soprafunzionale>>229. Infatti durante i periodi storici vi sono mutamenti di funzioni e di competenze dello Stato, mutamenti favoriti dal fatto che non esiste una gerarchia stabile di raggruppamenti e che nei differenti tipi di società tale gerarchia ha conosciuto vari capovolgimenti poiché lo Stato si è trovato al vertice solo 228 Ibidem. Cfr. Ibidem, “è funzionale poiché vi è una comunità politica soggiacente ed in quanto organizzazione sovrapposta, dal momento che ogni organizzazione sovrapposta poiché vincolata a scopi precisi e limitati, è per la sua stessa struttura necessariamente funzionale”. 229 95 in determinate epoche e solo in alcuni tipi di società e conseguentemente perso tale posizione in altre o il altre società230. Il secondo errore risiederebbe nel fatto che solo la comunità nazionale e la società sovrannazionale sono soprafunzionali e proprio per questa ragione possono esprimersi in modo adeguato solo nella pluralità delle comunità funzionali e delle organizzazioni sovrapposte e secondo Gurvich è il diritto spontaneo, per sua natura variabile, “di queste due comunità soprafunzionali a decidere la gerarchia dei gruppi in una data società”231. In ultimo argomentando il terzo errore l’autore sostiene che se la possibilità di perseguire l’interesse generale fosse legata alla capacità di rappresentare “l’insieme indissolubile degli aspetti dell’interesse generale”232, solo la comunità nazionale, ovvero la Nazione, e la comunità internazionale dovrebbero avere il monopolio di questa funzione e non lo Stato. Al contrario di quanto sostenuto dalle teorie suddette non esistono interessi identici, nemmeno all’interno dello stesso gruppo o in rapporto allo stesso individuo, poiché vi è sempre un perenne conflitto tra interessi contrari ed equivalenti. “L’interesse generale consiste in un equilibrio mutevole di interessi contrari, ed esistono tanti aspetti molteplici ed equivalenti dell’interesse 230 Cfr. sulla variazione della gerarchia dei gruppi e la costante inversione del loro ordine, G. GURVITCH, Eléments de Sociologie Juridique, cit., pp. 179-242. 231 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 108. 232 Ivi, p. 109. 96 generale, quante sono le possibilità di equilibrare gli interessi generali”233; l’interesse generale, quindi, non è un genere astratto, ma un universale concreto in cui trovano un loro posto tutti gli interessi opposti. Da questa concezione di interesse come bilanciamento, equilibrio di interessi tra loro opposti, deriva per l’autore, una pluralità di aspetti equivalenti dell’interesse generale e ognuno di questi aspetti può essere rappresentato da differenti comunità funzionali ed organizzazioni sovrapposte. In questo modo, il comune interesse politico nel quale si bilanciano gli interessi opposti, delle differenti regioni e dei differenti gruppi locali deve essere rappresentato “dal Comune, dal Dipartimento, dallo Stato e dalla Società delle Nazioni”234 come l’interesse comune dei produttori, dei consumatori-utenti e delle differenti professioni ed industrie deve essere rappresentato “dall’Organizzazione Economica Regionale, Nazionale ed Internazionale”235. In conclusione, Gurvich arriva a sostenere che questi differenti aspetti dell’interesse generale devono essere sottomessi <<all’interesse generale globale>> che risiede solo nella comunità soprafunzionale della Nazione e della Società Internazionale e che è capace di riunire la totalità degli aspetti236. Gli interessi dello stesso uomo come cittadino, come produttore e come consumatore non coincidono di conseguenza, 233 Ibidem. Ivi, pp 109-10. 235 Ibidem. 236 Cfr. Ibidem, e per l’analisi dell’interesse generale in Gurvitch cfr. G. Gurvitch, L’idée du Droit Social, cit, p. 39 ss.. 234 97 dovrebbero essere riconosciuti come entità separate e godere di diritti specifici. Naturalmente, la libertà di creare tanti gruppi quanti sono i diversi interessi e campi di attività sarebbe illimitata. Ma, nella sfera economica, la giustizia sarebbe garantita essenzialmente permettendo ai consumatori e ai produttori di controllare reciprocamente i rispettivi diritti. La libertà politica consisterebbe nel garantire la libera competizione e la interazione fra i gruppi, e diventerebbe un concreto interesse comune invece di un diritto astratto. A loro volta, i gruppi stessi sarebbero controllati dal diritto assoluto dell’individuo di entrarci o di uscirne a seconda della propria libera volontà. 3.3 I doveri e i diritti sociali derivanti dalla proprietà Trattando il problema della proprietà, Gurvitch propone l’ammissione di tre tipi di proprietà, individuale, pubblica e sociale, da applicarsi in campi diversi, e tutti basati sulla nozione che la proprietà deve essere considerata una funzione pubblica, ma è soltanto nelle ultime pagine del libro che l’autore chiarisce: "ciò che importa veramente è dare un ruolo preponderante, e una speciale protezione legale, alla proprietà sociale e federalista”, cioè alla proprietà comune dei mezzi di produzione, che nella sua impostazione è la questione fondamentale. 98 Gli articoli del progetto di dichiarazione dedicati alla proprietà, ovvero l’art. VI della sezione generale e l’artt. XLIII – XLVIII della IV sezione sono ispirati ad una concezione del problema della proprietà che necessita qualche delucidazione. L’autore ritiene che nella sfera economica non si possa far prevalere la libertà umana senza annullare il potere dell’uomo sull’uomo, da considerarsi un effetto del potere dell’uomo sulle cose, di conseguenza la lotta contro la degenerazione del poter fondato sulla proprietà, ovvero un potere che si esprime in domino sui gruppi e sui singoli, deve essere lo scopo essenziale perseguito da ogni dichiarazione dei diritti sociali. Il diritto di subordinazione e di dominio, al quale come visto secondo l’autore si oppone il diritto sociale, è una degenerazione di quest’ultimo che deriva dall’assoggettamento del diritto sociale stesso al diritto individuale dei proprietari. “Proclamare dei Diritti Sociali significa rendere impossibile questo assoggettamento”237. Gurvitch sostiene che per evitare questo assoggettamento non basti trasferire la proprietà dei mezzi di produzione dai soggetti individuali ad un soggetto collettivo, come lo Stato, poiché il semplice cambiamento di soggetti non è sufficiente per sfuggire al pericolo di sfruttamento e di dominio, inoltre “non si è considerato che la proprietà attribuita a soggetti collettivi, e 237 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 133. 99 specialmente allo Stato, poteva conservare la sua natura assoluta consentendo ogni possibile abuso”238. Secondo l’autore quindi, la consapevolezza che cambiare i soggetti titolari della proprietà industriale non comporta necessariamente il cambiamento della sua natura, ha indotto all’eccesso contrario. Infatti Gurvitch sostiene che alcuni giuristi, tra i quali cita Duguit239, hanno creduto che per risolvere “il problema fosse sufficiente proclamare che ogni proprietà è una funzione sociale, soggetta a limitazioni fondamentali attraverso una serie di obbligazioni positive a carico dei proprietari che potrebbe restringere la proprietà dentro una rete sempre più stretta di garanzie e limitazioni”240 e partendo da questa considerazione, hanno tratto la conclusione che il mutamento dei soggetti della proprietà avesse una importanza secondaria dato che la proprietà stessa tendeva <<all’oggettivazione>>, ovvero <<a forme di proprietà senza proprietari>>241. L’autore riconosce da un lato che questa concezione contiene una idea giusta, ovvero la proprietà a prescindere dall’appartenenza, deve essere assoggettata a restrizioni, controllata sotto il profilo dei possibili abusi e trasformata in una <<funzione sociale>>, ma dall’altro ritiene che sia 238 Ivi, p. 134. Cfr. Sulla teoria pruodiana della proprietà G. Gurvitch Idèe du Droit Socia, cit., pp 392-402. 240 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 134. 241 Cfr. per la critica alla dottrina <<della proprietà oggettivizzata>>, G.Gurvitch, Socialisme e Proprieté, in Experience Juridique et Philosophie Pluraliste du Droit, Paris, 1935, pp. 266-96. 239 100 completamente errata la conclusione che il mutamento dei soggetti abbia poca o nessuna importanza. Infatti, secondo Gurvitch se non considera il cambiamento dei soggetti si elude la questione, poiché senza di questo <<trasformare la natura intrinseca della proprietà>>242 significherebbe limitare la proprietà solo attraverso la legislazione e l’intervento dello Stato. Soluzione che, per Gurvitch, è inammissibile poiché non è in grado di fornire nessuna garanzia, né nella lotta contro il dominio dei monopoli industriali e finanziari, né dal punto di vista della concentrazione diretta o indiretta del diritto proprietà nelle mani dello Stato, e che si pone come alternativa al corporativismo paternalistico o allo statalismo puro e semplice anch’essi ugualmente inammissibili. Di conseguenza, per risolvere la questione è necessario legare il cambiamento dei soggetti della proprietà industriale con la trasformazione della natura intrinseca della proprietà, il trasferimento del diritto di proprietà dei mezzi di produzione da un lato non deve rafforzare il potere coercitivo dello Stato, ma al contrario limitarlo in favore della libertà dei gruppi e degli individui, dall’altro deve determinare un cambiamento effettivo nella struttura della proprietà stessa “rendendola intrinsecamente vincolata, limitata, umanizzata, 242 Cfr. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 135. 101 pervasa internamente dal diritto sociale e da garanzie efficaci contro ogni possibile abuso”243. Per Gurvitch la soluzione risiede quindi nell’attribuire i mezzi di produzione ad un <<soggetto collettivo complesso e multiplo>> posto al di fuori dello Stato, in cui i singoli partecipanti diventino <<comproprietari indivisi>> dei mezzi di produzione stessi in quella forma di proprietà, equilibrio tra molteplicità e l’unicità che si limitano reciprocamente, che l’autore definisce <<la proprietà federalista>>. “La proprietà federalista diventa una proprietà sociale allorché è universalizzata ed integrata in un insieme posto al servizio dell’interesse economico generale, quando è fondata su quote che non sono trasmissibili, né accumulabili al di fuori del lavoro effettivamente prestato, quando infine è gestita effettivamente da tutti i comproprietari, gruppi ed individui su un piano di uguaglianza”244. In sintesi, la proprietà federalista, come forma di proprietà in cui non è possibile la divisione dei beni ma solo il rimborso delle quote ai gruppi ed agli individui uscenti, diversa e distinta dalla semplice comproprietà, diventa una proprietà sociale solo quando è attribuita ad una organizzazione economica245 indipendente dallo Stato e fondata sulla 243 Ibidem. Ivi, p. 136. 245 che il Gurvitch individua nell’Organizzazione Economica Nazionale. 244 102 democrazia industriale e sulla parità tra i produttori ed i consumatoriutenti246. L’autore osserva come ogni proprietà federalista sia “una proprietà potenzialmente ristretta e limitata”247 poiché la decisione in merito alla destinazione dei beni che la costituiscono dipende da una molteplicità di fattori e le relazioni tra i soggetti che con i beni stessi sono regolate dal diritto sociale che riguarda la comunità e di conseguenza il legame interno della proprietà federalista diventa da potenziale ad attuale attraverso le disposizioni concrete del diritto sociale creato dalla comunità dei comproprietari ed espresso nella loro organizzazione. Definire e precisare la portata ed il valore della proprietà federalista come proprietà sociale serve, secondo Gurvitch, a comprendere le disposizioni particolari sulla proprietà contenute nel progetto di dichiarazione sono fondate sulla netta distinzione tra proprietà sociale, proprietà pubblica e proprietà individuale. Queste tre forme devono necessariamente equilibrarsi tra loro all’interno dell’economia nazionale, ma tale equilibrio si deve adeguare alle mutevoli e variabili circostanze. Assumono rilievo anche delle forme miste di proprietà la cui rilevanza sarà nelle fasi intermedie. “Queste forme miste della proprietà possono 246 Cfr. Ivi, p. 93, “Poiché tutta la richezza del paese è subordinata al Diritto della Nazione ed ogni proprietà deve essere considerata come una funzione sociale, ogni forma di proprietà legittima, cioè che non nuoce ai diritti della Nazione, né ai diritti dell’Organizzazione Economica nazionale, né ai diritti dei produttori e consumatori, né ai diritti di proprietà di altre persone o gruppi, è pienamente tutelata dalla legge e dai tribunali, sia essa individuale o collettiva”. 247 Ivi, p. 136. 103 essere semi-pubbliche e semi-individuali, semi-sociali e semi- individuali, o infine, anche, semi-pubbliche, semi-sociali, semiindividuali. Esse sorgeranno ogni volta che lo Stato […], l’Organizzazione Economica Nazionale […], o, infine, un accordo tra i due formeranno delle regies di diverso tipo”248. Queste regies rappresentano l’integrazione nell’economia collettiva delle imprese private, controllate collettivamente attraverso delle concessioni. Gurvitch conclude asserendo: “Ciò che importa veramente è di attribuire a una forma particolare, quella della proprietà sociale federalista – la migliore per la difesa della libertà dei gruppi e degli individui e per l’umanizzazione e la limitazione intrinseca della proprietà – il ruolo preminente nella vita industriale ed una speciale tutela giuridica. D’altronde, solamente in questo modo le altre forme di proprietà […] possono, anch’esse, essere effettivamente limitate e trasformate in funzioni sociali”249. 248 249 Ivi, p. 137. Ivi, p. 138. 104 CAPITOLO IV IL CONTROLLO SOCIALE Il controllo sociale può essere definito come un insieme di saperi, poteri, strategie e istituzioni attraverso cui le élite di potere preservano un particolare ordine sociale, collocato in un preciso momento storico che dona specificità al concetto di normalità e di patologia. Il secolo XX si caratterizza per lo studio del controllo sociale come ramo particolare della sociologia anche se si può riscontrare che le definizioni date nel secolo precedente abbiano influito, e non sempre in modo ottimale, su analisi e definizioni di questo concetto portando a difficoltà interpretative. Infatti: “La sociologia del XIX secolo tendeva ad identificare la sociologia con una filosofia della storia o con una teoria dell’evoluzione; a contrapporre e conciliare <<l’ordine>> e il <<progresso>>; ad accentuare i conflitti tra <<società>> e <<individuo>> per difendere sia l’uno che l’altra; ad ignorare la struttura pluralista fondamentale di ogni società globale e a parlare della <<<Società>> con la maiuscola, come se fosse possibile caratterizzare un tipo di società globale senza prendere in considerazione le variazioni nella gerarchia dei gruppi particolari; e, infine, a vedere nei valori, nelle idee, negli ideali collettivi e nelle loro espressioni simboliche, sia dei semplici prodotti della realtà sociale, sia, 105 al contrario, dei produttori indipendenti, e, a volte, trascendenti, di questa realtà”250. Quanto detto sembrava essere stato superato nell’evoluzione che la sociologia aveva compiuto nel secolo XX ma a ben guardare questo non risponde esattamente alla realtà poiché quella concezione riappare in maniera celata in molti autori che trattano <<il controllo sociale>>. Per Émile Durkheim251 la normalità, associata alla morale comune, è la media dei comportamenti: il normale è riferito ad un tipo sociale determinato, in un dato momento e in un determinato luogo,quello realizzato e definito dai fatti del passato. Al contrario ciò che mette in discussione l'ordine sociale e i valori dominanti della media della popolazione è considerato patologico per quella società in quel momento, in relazione al grado di sviluppo raggiunto. Si deduce così che il normale e il patologico sono concetti relativi, connessi al tempo e all'evoluzione di una particolare società. I mutamenti sociali implicano un cambiamento dei valori dominanti, anche all'interno della stessa élite, che modificano le condizioni dell'esistenza collettiva e di conseguenza ciò che oggi è patologico per l'ordine sociale può essere necessario per l'evoluzione successiva dello stesso ordine sociale. 250 251 G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, Roma, 1997, p. 61. Cfr. Per un approfondimento É. DURKHEIM, Le regole del metodo sociologico, Milano, 1963. 106 Analizzare il controllo significa anche proporlo come fatto sociale e come tale spiegarlo, utilizzando altri fatti sociali, senza ricorrere a tautologie. Per Durkheim i fatti sociali sono fenomeni collettivi ed esistono indipendentemente dall'uso che l'individuo né fa, esistevano prima di lui ed esistono al di fuori di lui, esistono al di fuori delle coscienze individuali, devono essere dotati di potere coercitivo e imperativo in virtù dei quali s'impongono all'individuo con o senza il suo consenso, anche se sono percepiti con "naturalità". Quando ci si conforma la coercizione non si fa sentire ma essa si afferma nel momento stesso in cui si cerca di resisterle. I fatti sociali si presentano sia in forme cristallizzate sia sottoforma di correnti sociali. Il controllo sociale non è quindi un'entità trascendente ma è un fatto sociale; è anche il risultato dell'interazione, aperta a qualunque contrattazione, tra gli individui e di come essi definiscono la realtà collettiva. Edward Alsworth Ross definisce il controllo sociale come un meccanismo intenzionale mosso dalla collettività verso l’individuo perché esso si conformi ai valori che formano l’ordine sociale. Cerca di dimostrare che l’ordine sociale si fondi sul controllo sociale, definendo le forme di controllo come strumenti e ponendo il diritto come la forma principe su cui s’instaura il controllo nella struttura della società. Il 107 termine controllo sociale è stato, quindi, usato con diverse accezioni. Queste definizioni risultano in molti casi divergenti e ricomprendono sia problemi eterogenei sia una molteplicità di espressione concernenti concezioni di vari pensatori. Per Alberto Giasanti “E’ così possibile comprendere nello stesso concetto realtà distanti tra loro come, ad esempio, i processi di socializzazione e lo Stato contemporaneo. Possono rientrare nella stessa accezione di controllo il sistema sanitario come quello scolastico, il tempo libero come l’assistenza sociale, cosicché tutto diventa controllo e tutti diventano controllori”.252 Per questo autore sono tre i significati che possono attribuirsi al termine/concetto controllo sociale. Il primo: “intende per controllo tutti fenomeni e i processi che regolano le condotte umane per scopi collettivi”253. Il secondo: “fa riferimento al controllo come alla modalità attraverso la quale individui e collettività vengono influenzati”254. Il terzo: “vede il concetto di controllo messo in connessione con quello di devianza nel senso che i mezzi e gli strumenti del controllo tendono a ridurre le tendenze devianti”255. 252 A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 9. Ibidem. 254 Ibidem. 255 Ibidem. 253 108 Tra i principali fautori della prima interpretazione spiccano Ross256 il quale è il primo a creare un lavoro sistematico sul controllo sociale, Cooley257 il quale sviluppa il tema del controllo sociale all’interno della teoria generale del processo sociale, Sumner258 il quale sostiene che i costumi controllano i modi di pensare riguardo a tutte le esigenze ed anche La Piere259 per il quale il controllo sociale deve essere considerato come la totalità dei processi e delle interazioni sociali che contribuiscono a mantenere l’ordine sociale. Nella società post-tradizionale il controllo sociale, secondo Ross, è il principale tra i meccanismi destinati a provocare la conformità dell’individuo a un comportamento che consegue dall’interiore concordanza con i valori della collettività. Quando si tratta di condizionamenti spontanei e non intenzionali, Ross usa la denominazione <<influsso sociale>> distinto dal controllo sociale come controllo intenzionale della collettività sull’individuo, “ dominio sociale che si propone di adempiere, e adempie, una funzione nella vita della società”260. 256 Cfr. E. A. ROSS, Social control. A Survey of the Order, Cliveland and London, 1969 (1° ed.1901). Cfr. C.H. COOLEY, Social Process, New York, 1964 (1° ed.1918). 258 Cfr .W.G. SUMNER, Costumi di gruppo, trad. it. A.M.Cirese, Milano, 1962 (1°ed.1906). 259 Cfr. R.T. LA PIERE, A Theory of Social Control, New York, 1954. 260 Cfr. E.A. ROSS, Social control. A Survey of the Order, cit, 1901, p. VIII. 257 109 La seconda interpretazione è avvallata da K. Mannheim261 secondo il quale il controllo sociale non è altro che la manipolazione delle situazioni attraverso un influsso da attuarsi sulle masse e sulla collettività. La terza è avvallata da molti autori tra i quali spicca Parson262 “per il quale il controllo sociale è inteso come teoria a medio raggio nella teoria generale del sistema sociale. Per Parson i meccanismi fondamentali di controllo sociale sono da ricercarsi nei normali processi di interazione in un sistema sociale integrato istituzionalmente dove la forma più generale di controllo è rappresentata dal diritto”263. Per Giasanti lo scritto del Gurvitch sul controllo sociale si può posizionare tra le prime due definizioni poiché riprende elementi ed analisi sia dell’una che dell’altra. Il presupposto è di considerare la sociologia europea orientata allo studio degli apparati normativi, mentre quella americana sarebbe orientata allo studio del controllo sociale diffuso. Gurvitch infatti, dopo una ricostruzione su base storica del controllo sociale, che parte dall’Europa, approda nella cultura americana per creare la base del suo sistema, per poi ritornare all’Europa divenendo egli stesso teorico della struttura del sistema sociale. A Gurvitch va il merito quindi 261 Cfr. K. MANNHEIM, Uomo e società in un’età di ricostruzione. Studi sulla struttura sociale moderna, trad. it. M. Negri, Roma, 1972 (1°ed.1940). 262 Cfr. T. PARSON, Il sistema sociale, trad.it. di L. Gallino, Milano, 1965 (1°ed. 1951). 263 A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 20. 110 di aver unificato gli studi europei e americani “nel senso che la teoria del controllo sociale viene acquisita accanto alle varie sociologie speciali che studiano il diritto, la politica, la religione e, in genere, gli apparati normativi”264. Da sempre qualsiasi aggregazione sociale si è dotata di uno strumento per poter dare coerenza e uniformità a tutti coloro che facevano parte di quella aggregazione, questo strumento è <<il controllo sociale>>. Ogni gruppo umano infatti creerà delle forme di controllo sociale in relazione alle sue caratteristiche e al momento storico in cui si trova. Possiamo dire che, secondo l’autore, due sono i principali significati del termine controllo a seconda che la traduzione sia effettuata nel mondo anglosassone oppure nel continente europeo. Chiarisce Gurvitch: “Se in inglese il senso corrente del termine <<controllo>> è quello di potere, potenza, dominio, autorità, in tutte le altre lingue europee <<controllo>> significa sorveglianza, ispezione, accertamento, cioè unicamente l’attività del controllare”265. Queste interpretazioni portano necessariamente a divergenze e problematiche che devono essere affrontate e risolte per superare la problematica espressa. 264 265 V. TOMEO, Controllo sociale e analisi sociologica in <<devianza ed emarginazione>>, 10, 1986, p. 89. G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p. 30. 111 Per Tomeo: “Con il termine <<controllo>>, entrato nell’uso e nel lessico della sociologia e delle scienze sociali da alcuni decenni, si definisce quell’insieme di processi e di istituzioni sociali con i quali il sistema sociale e i gruppi che ne fanno parte influenzano o costringono la condotta dei soggetti individuali o collettivi verso la conformità alle norme o alle regole dominanti della collettività”266. Notevole rilievo pratico assume, alla luce di quanto detto, la definizione fornita da Gurvitch stesso sul controllo sociale “come l’insieme sia dei modelli culturali, di simboli sociali, di significati collettivi, di valori, di idee e di ideali, sia di atti e di processi che li prendono e li applicano e attraverso i quali ogni società globale, ogni gruppo particolare, ogni forma di società e ogni membro (individuo) partecipante supera delle autonomie, delle tensioni e dei conflitti che sono loro propri, attraverso equilibri temporanei e instabili, trovando così dei punti di riferimento per dei nuovi sforzi di creazione collettiva”267. Rilevanti sono anche gli avvenimenti storici che hanno portato alle riflessioni e alla genesi del concetto del controllo sociale, principalmente la rivoluzione d’ottobre da lui stesso vissuta. Formazione, deduzione e riflessione da quell’accadimento che porta il controllo sociale ad essere creato dal basso, indipendente e svincolato 266 267 V. TOMEO, voce <<controllo>>, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, Torino, 1985, pp. 150-1. G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p. 73. 112 dall’ordinamento giuridico e dallo Stato che lo crea, e fondato “sulla dialettica tra gli strati profondi della società, sulle manifestazioni micro (i fenomeni elementari) e macro (le classi) della società sulle possibilità di una pianificazione collettivistica autogestita”268. Per Gurvitch solo la dialettica permette quel dinamismo necessario per affrontare lo studio della molteplice realtà sociale per cui “la sociologia è una scienza che studia i fenomeni sociali totali nell’insieme dei loro aspetti e dei loro movimenti, captandoli nei tipi dialettizzati, micro sociali, di gruppo e globali, che si fanno e si disfanno”269. Ma vi è di più poiché la dialettica è utilizzabile anche per ”sdogmatizzare la sociologia, sdogmatizzare le scienze sociali particolari per costringerle tutte a collaborare insieme effettivamente”270. Emerge quindi che tutto l’apparato sociologico non si basa su un piano unico ma su una serie di piani che possono essere sia verticali che orizzontali. Per quanto concerne il piano verticale, ossia la sociologia in profondità, esso analizza il dinamismi, il movimento con le sue logiche tensioni e contraddizioni ed antinomia. 268 A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 12. G. GURVITCH, La vocation actuelle de la sociologie, Paris, 1950 (La vocazione attuale della sociologia, introd. e trad. it. di S. CERNUSCHI, Bologna, 1965, p. 6. 270 G. GURVITCH, Dialectique et sociologie, Paris, 1962 (Dialettica e sociologia, introd. di G. Marchesi, Roma, 1968, p. 240. 269 113 Vi sono dieci piani: la superficie morfologica ed ecologica, le organizzazioni sociali, i modelli sociali, le condotte collettive relativamente regolate, l’interconnessione tra i ruoli sociali, le attività collettive, i simboli sociali, le condotte collettive nuove e creatrici, le idee e i valori collettivi, gli stati mentali e gli atti psichici collettivi. Questi piani vicendevolmente si combinano tra loro e creano il fenomeno sociale globale. Nel piano orizzontale, ossia della sociologia differenziale, vengono studiati dei gruppi attivi, denominati raggruppamenti, che sono ben osservabili nel loro agire ed interagire e che cercano una certa univocità nelle condotte, un equilibrio e una collocazione all’interno dei vari gruppi che li compongono. I raggruppamenti tipologici sono di tre tipi: gli infinitamente piccoli, i corpi intermedi, le società globali. Tutti questi tre raggruppamenti sono studiati in maniera separata ma dialetticamente sono uniti in quanto gli uni si relazionano costantemente con gli altri ed anche perché per avere una comprensione dell’uno bisogna comprendere gli altri. Altra distinzione di rilievo che deve essere considerata per poter comprendere pienamente i risvolti che sottendono questi piani è tra realtà microsociologiche e macrosociologiche. Nelle prime i fatti sociali sono generalizzati e astratti al massimo grado facendo sì che si possano osservare attentamente i legami tra società e individuo. 114 Per Giansanti: “Al livello microsociologico esistono una pluralità graduata di <<noi>> che comporta almeno tre gradi: la massa, la comunità, la comunione. Questi tre gradi si differenziano al variare dell’intensità delle fusioni: debole per la massa, forte per la comunità, al massimo di calore per la comunione”271. Chiarisce Gurvitch: “In breve se c’è un noi, si afferma sempre come un focolare di intimità, di calore, ma a gradi estremamente variabili che possono essere così pochi da ridurre il noi allo stato di pura virtualità e la partecipazione dei membri alla passività quasi completa”272. Nelle realtà macrosociologiche vengono invece studiate le classi sociali come corpo che si colloca in una posizione intermedia tra i fatti elementari e le società globali. “La classe sociale è dunque un’unità collettiva reale dotata delle seguenti caratteristiche: sovra-funzionale riguardo al contenuto, estesa riguardo all’ampiezza, permanente per durata, a distanza con riferimento alla misura di dispersione, di fatto per base di formazione, aperta per il modo di accesso, strutturata ma non organizzata, di divisione come orientamento, refrattaria rispetto alla penetrazione della società globale, 271 272 A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 14. G. GURVITH, La vocation actuelle de la sociologie, cit., p. 113. 115 incompatibile rispetto ai raggruppamenti tra loro, dotata di costrizione condizionata”273. La classe è quindi dinamica con una molteplicità di funzioni, all’interno della quale si trovano vari gruppi e che creano valori, simboli, ideologie e modelli. Per comprendere meglio il pensiero di Gurvitch, oltre i concetti illustrati, è necessario soffermarsi sui determinismi sociali e i tempi sociali. I primi concernono la possibilità che i fatti studiati si possano inserire in una realtà dotata di coerenza e quindi con un certo determinismo. “Bisogna però pensare ad una serie mutevole differenziata di determinismi che, inseriti nei processi reali dell’esperienza, si presentano con caratteri propri relativi e variabili, contingenti e discontinui, proprio come lo sono le società globali, i gruppi sociali e le forme di società. Il tutto dipende […] dal fatto che non esiste elemento costitutivo della realtà sociale che non sia inserito in un continuo atto di creazione e di trasformazione che implichi un rovesciamento delle situazioni”274. Vi è in pratica una uguaglianza dei centri del determinismo sociale e delle libertà individuali, poiché la libertà umana, collettiva e individuale, 273 274 A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch, Il Controllo Sociale, cit., p. 14. Ivi, p. 16. 116 produce i suoi specifici determinismi, combattendoli, limitandoli e dominandoli attraverso la libertà che si sprigiona nel suo stesso sforzo275. Per quanto concerne i tempi sociali essi sono plurimi, coordinano e spostano i fenomeni sociali totali come produttori e prodotto del tempo sociale, facendolo nascere e muovere. Giansanti sostiene che, “Non si può analizzare alcun fenomeno o quadro sociale concreto senza collocarlo nel tempo in cui vive e senza considerare la molteplicità dei modi di prendere coscienza del tempo nei differenti quadri sociali, nonché la molteplicità dei tempi reali in cui i quadri sociali stessi si muovono”276. Altro concetto rilevante è quello di struttura inteso come “un equilibrio precario, fra le gerarchie e le scale multiple, nel quale può esprimersi un gruppo particolare e di cui nessuna società globale può fare a meno”277. Il concetto di struttura, nella sua vocazione, mette in rilievo l’insieme sociale che precede virtualmente e attualmente ogni equilibrio, gerarchia, scala278. La società come afferma Braudel279, effervescente, innovatrice, discontinua, rivoluzionaria è quella che Gurvitch cerca come più significativa, più ricca di conseguenze e di prospettive, contribuendo cosi 275 Cfr. G. GURVITCH, Determinismi sociali e libertà umane, Città Nuova, Roma, 1969, p. 3. Cfr. A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 16. 277 G. GURVITCH, Structure socials et sistèmes de connaissance, in <<La notion de structure et de la connaissance>>, Paris, 1957, p. 308. 278 Cfr. G. GURVITCH, La vocation actuelle de la sociologie, cit., p. 500. 279 Cfr. F. BRAUDEL, Testimonianza personale, in <<Inchiesta>>, XIV, 63-4, 1984, p. 46. 276 117 a dare “uno dei sistemi sociologici più originali e significativi del nostro tempo”280. Gurvitch dopo essersi affrancato dai concetti della sociologia del XIX secolo, che facevano affidamento sulle teorie dell’evoluzione, sull’idea di progresso, di ordine e sull’indagine dei conflitti tra società e individuo, sostiene che per studiare il controllo sociale bisogna necessariamente individuare e indagare i modelli culturali, i simboli sociali, gli ideali e i valori, nel loro insieme, ma anche come essi vengono attuati nella società con azioni e processi specifici che sono mirati a sconfiggere le tensioni e i conflitti dei gruppi sociali e degli individui, per raggiungere un equilibrio momentaneo e instabile e per dare nuova linfa alle motivazioni degli sforzi collettivi. Individua così cinque le condizioni per dare oggettività e scientifica al allo studio del controllo sociale. La prima concerne “l’abbandono del postulato gratuito secondo il quale <<il controllo sociale>> deriverebbe dal <<progresso>> o dall’<<evoluzione>> della società, come se esso non esistesse o fosse <<privo di elementi morali>> nelle società arcaiche”281. Infatti in qualsiasi società si riscontra il controllo sociale non solo in quella dell’epoca dell’autore ma anche in quelle classicamente definite 280 281 P.A. SOROKIN, Sociological Theory of Today, New York, 1966, p. 465. G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p.62. 118 <<magiche>> e <<religiose> con la conseguenza che “la gerarchia della specie e l’intensità del controllo sociale cambiano a contatto con ogni tipo di società globale, con congiuntura sociale concreta e con ogni forma particolare di raggruppamento sociale”282. La seconda “è quella di sganciare il problema del controllo sociale da ogni legame con l’antinomia tra <<ordine>> e <<progresso>> poiché sia l’uno che l’altro concetto sono fondati sulla confusione tra giudizi di valore e giudizi di realtà”283. Il controllo sociale è per l’autore russo una effettività che può essere verificata e di cui non si può discutere differentemente dell’<<ordine>> e del <<progresso>> che sono come dei miraggi anche al causa del fatto che il controllo sociale non è sostegno dell’ordine nè strumento del progresso. “Ciò che da un punto di vista sembra essere <<l’ordine>> appare come disordine da un altro punto di vista. D’altronde nella stessa società e negli stessi gruppi integrati ad essa si producono incessantemente delle modificazioni dei punti di vista. La realtà sociale è piena di tensioni di differenti forme (sovrastrutture organizzate e infrastrutture non organizzate; lotte tra i gruppi, comprese le classi sociali; concorrenza tra i simboli, i valori e le idee; competizione 282 283 Ivi, p. 63. Ibidem. 119 tra i loro diversi gradi <<d’effervescenza>> e di <<cristallizzazione>> ecc.) così come è piena d’equilibri variabili e instabili di diversa natura. Possiamo osservare esattamente la stessa situazione nell’ambito di quella realtà sociale che chiamiamo <<controllo sociale>>”284. La terza “è quella di rendersi conto che quest’ultimo non è legato in modo particolare ai cosiddetti conflitti tra <<la società>> e gli <<individui>>285. Da ciò deriva che il controllo sociale non può essere ridotto né ad un sistema che impone l’ordine sociale dall’esterno a dei singoli ne può essere utilizzato per creare una società da questi singoli individui né infine può essere ridotto ad una regolamentazione o creazione della società compiuta esclusivamente dalla stessa società. Gurvitch ritiene che sia la vita individuale che quella collettiva abbiano delle manifestazioni a vari livelli occorre quindi che le società e gli individui siano confrontati sui medesimi piani. In sintesi, ciò che viene manifestato a livello individuale nel mondo esterno deve essere confrontato con le manifestazioni della collettività dello stesso tipo, le pressioni che vi sono all’interno del singolo con le pressioni all’interno dei gruppi, le aspirazioni dell’individuo con quelle della collettività, i comportamenti reiterati del singolo con i costumi 284 285 Ibidem. Ivi, p. 64. 120 collettivi. “Opposizioni e conflitti, pressioni e rivolte si producono tra diversi piani di profondità della realtà sociale, cosi come si producono tra i diversi livelli <<all’interno>> degli individui”286. Spesso le contraddizioni che si manifestano tra i vari livelli di profondità sono in realtà conflitti paralleli tra il singolo e la società. “<<L’io>>, <<l’altro>> e il <<noi>> non rappresentano che tre poli nell’unità indissolubile della vita mentale cosciente. Comunemente si designa come coscienza individuale la direzione verso l’io; come <<processo intermentale>> la direzione verso la comunicazione tra <<l’io>> e <<gli altri>>, con la mediazione dei segni e dei simboli, e, infine, come <<mentalità sociale>> o come <<coscienza collettiva>> la direzione verso il <<noi>> che sono fondamento di questi segni e simboli. Tuttavia tra il <<noi><, l’<<io>>, e l’<<altro>> vi sono costantemente delle reciprocità e delle tensioni che costituiscono la vita psichica e la coscienza propriamente detta287. Il controllo sociale è quindi legato a situazioni di tensione, di conflitto e di rivolta che caratterizzano la vita sociale e quella individuale attraverso una lotta permanete tra diversi piani in profondità, gruppi, modelli, regole, valori, idee e ideali e non attraverso effettive opposizioni tra la società e gli individui. 286 287 Ibidem. Cfr. ivi, p. 65. 121 La quarta condizione per una ricerca scientifica sul controllo sociale è quella di partire dall’assunto che ogni tipo di società globale è un microcosmo di gruppi e che ogni gruppo particolare è un microcosmo di forme di socialità disposto in diversi modi a seconda dei tipi di società e di gruppi e a seconda delle congiunture storiche e sociali concrete. Il controllo sociale infatti sarebbe una questione che si pone non solo considerando i diversi tipi di società globali, ma anche in relazione al gruppo particolare ed anche, in alcuni casi, in rapporto alle forme di società. Vi è quindi un inscindibile pluralismo di fondo tra i vari <<centri>>, ovvero tra le forme di società, i gruppi e le società globali, ed ognuna di queste manifestazioni della realtà sociale deve creare eterogenee forme di controllo basate su un sistema gerarchico. Osserva Gurvitch come differenti tipologie di controllo sociale siano riscontrabili ad esempio nelle società feudali, capitalistiche e borghesi così come siano riscontrabili nei gruppi della chiesa, dei sindacati e delle scuole ed anche nella massa e nella comunità. A quanto detto l’autore aggiunge la considerazione che vi è una modifica del carattere dei gruppi non solo per quanto concerne i tipi “ma anche seconda delle loro integrazioni alle congiunture sociali particolari”288 il che aumenta notevolmente i vari sistemi utilizzati per il controllo. 288 Ivi, p. 66. 122 Ne sono un esempio la Chiesa, lo Stato, la famiglia nei quali loro sistemi di controllo sono mutevoli in relazione ai tipi di società globali nei quali sono integrati. Occorre dunque, per Gurvitch non cadere nelle generalizzazioni sul controllo sociale e sulle possibilità di sviluppo di questo concetto, poiché nella società vi sono sempre diversi sistemi di controllo che possono nella loro evoluzione svilupparsi in diverse direzioni, le quali in alcuni casi, possono essere opposte tra loro. Il maggior grado di confusione si crea nel momento in cui si riscontra una diversificazione netta che si riferisce alle forme di controllo e ai centri di controllo, infatti la classificazione in forme di controllo deriva dalla differenziazione di diversi modelli culturali, di simboli, idee e valori, mentre la classificazione in centri di controllo è legata alla varietà delle forme di socialità, dei gruppi e delle società globali. “Ogni centro o agenzia di controllo sociale può in linea di massima servire da centro attivo per realizzare le forme più diverse del controllo sociale; e nella loro combinazione particolare in un sistema o in un tutto di controllo (che corrisponde a un’unità sociale specifica e da essa applicata) che risiede il principale interesse sociologico del problema del controllo sociale”289. 289 Ivi, p. 67. 123 La quinta ed ultima condizione, per un’analisi scientifica del controllo sociale, riguarda la precisazione del ruolo dei valori, delle idee e degli ideali e delle forme simboliche in cui sono espressi nella realtà sociale e il loro utilizzo come parametri di differenziazione di forme di controllo. L’autore sostiene che bisogna superare sia il punto di vista idealista che quello positivista poiché i valori culturali, le idee e gli ideali non sono né determinati dalla realtà sociale né un qualcosa di trascendente da essa, infatti questi hanno “con la vita sociale un rapporto funzionale, reciproco e bilaterale”290 poiché sono distinti e peculiari nelle varie epoche storiche, ai tipi sociali e alle strutture sociali concrete attraverso le quali è possibile coglierne l’essenza, sperimentarli e metterli alla prova, apportando anche una modifica alla realtà sociale poiché da essa sono parzialmente creati. Per Gurvitch solo attraverso il superamento della contrapposizione fallace tra il relativismo e l’assolutismo è possibile comporre il controllo sociale e la differenziazione delle sue forme su criteri chiari, senza dissociare queste forme dalla realtà sociale di cui esse fanno parte e senza annullarle nelle tecniche e nei mezzi di controllo. Quello che l’autore ha voluto evitare è l’identificazione delle forme di controllo con i mezzi per attuare il controllo stesso, essi infatti possono da un lato realizzare varie forme di controllo, dall’altro essere diversi al 290 Ivi, p. 68. 124 fine di realizzare una sola di queste forme. “Solo questa concezione permette di descrivere esattamente il ruolo che i <<modelli>> e gli <<stereotipi>> svolgono nel controllo sociale e nelle sue diverse forme”291. I modelli, che non svolgono tutti un ruolo diretto nel controllo sociale, ovvero non possono essere considerati tutti espressione delle sue forme si suddividono in “tecnici” e “culturali”: i primi sono da considerarsi solo come strumenti per realizzare il controllo, come immagini stereotipate di comportamenti collettivi che si attuano nella routine; quelli culturali invece sono le principali forme di controllo sociale diretto, modelli culturali simbolici espressi dalle idee, i valori, gli ideali collettivi che si perpetuano nella società con l’azione della vita collettiva. Non è necessario però che gli ideali, le idee e i valori siano forzatamente standardizzati in modelli, perché possono agire come forme di controllo nell’azione libera, spontanea e indipendente, infatti “ la loro azione immediata, particolare, individualizzata e spontanea può essere incomparabilmente più efficace e la validità dei modelli simbolicoculturali, come forme di controllo sociale, dipende dall’intensità del loro legame con i valori, le idee, e gli ideali”292. 291 292 Ibidem. Ivi, p. 70. 125 Altra forma, non meno importante, sono gli atti collettivi che creano nuovi valori e idee e che spesso hanno una forza maggiore delle altre forme di controllo. Pertanto un’altra distinzione da fare e quella tra forme e specie di controllo, per completare il quadro di differenziazione con i centri di controllo e i mezzi di controllo. Ogni specie di controllo può essere suddivisa in tre forme: modelli simbolico-culturali; valori, idee, ideali collettivi; esperienze, aspirazioni, creazione di idee, valori e ideali nuovi. Queste forme di controllo rappresentano “tre piani in profondità in ogni specie di controllo; l’intensità di questi piani varia a seconda delle congiunture sociali, i tipi di società e i diversi gruppi”293. Questa distinzione appare più utile di quelle generalizzate che si riferiscono alle forme premeditate e non del controllo sociale, alle forme coscienti e non coscienti o a quelle formali o meno, infatti queste opposizioni creano delle separazioni che sono innaturali e rigide dove invece nella realtà “non vi sono che gradi diversi di intensità e transizioni continue”294, poichè la sola distinzione da mantenere, oltre alle tre citate, è quella tra forme autoritarie e democratiche. Occorre inoltre precisare ciò che Gurvitch ritiene essere il controllo sociale, le sue forme, e come esso si caratterizza ed estrinseca e rilevare 293 294 Ibidem. Ivi, p. 71. 126 che “si possono distinguere tante specie di controllo sociale quante sono le possibili e differenti scale di valori, di ideali e di sistemi di idee diverse, considerando come principali forme di controllo sociale la religione (e, nella società arcaica, la magia in con concorrenza con la religione), la morale, il diritto, l’arte, la conoscenza e l’educazione”295. Tutte queste forme di controllo si possono differenziare in una molteplicità di sottospecie o varietà, infatti la gerarchia interna di esse varia, anche in relazione al tipo di gruppo o società, così come varia all’interno di ciascuna varia la preponderanza delle sottospecie a cui corrispondono. Esemplificando, per quanto concerne la conoscenza, che corrisponde ai vari gruppi o società, si può avere sia una conoscenza filosofica sia una percettiva così come una politica oppure tecnica; la medesima cosa avviene in relazione al diritto in cui vi potrebbe essere una predominanza o di quello sociale così come quello intuitivo oppure organizzato o interindividuale. Dalla definizione di Gurvitch sul controllo sociale data in precedenza e la metodologia utilizzata per la differenziazione delle specie si può osservare che: “Il controllo sociale, in questa interpretazione, non è altro che un nome diverso per ciò che viene chiamata la <<sociologia culturale>> o la <<sociologia dello spirito umano>>. E’ solo un titolo 295 Ivi, p. 73. 127 comune attribuito alla sociologia religiosa, alla sociologia morale, alla sociologia del diritto […]”296. Tutti questi settori della sociologia analizzano sia i valori (collettivi) sia i simboli (sociali) sia i modelli culturali relazionandoli sempre con i gruppi e le società ma, altresì, storicizzandoli. Consegue necessariamente che il controllo sociale ha il medesimo oggetto di indagine della sociologia che studia lo spirito umano. Ciò invece che li differenzia sono le problematiche affrontate da questi due concetti che concernono sia il punto in cui vengono osservati sia il metodo. In primo luogo il campo di studio del controllo sociale interessa la varie correlazioni che si instaurano tra le specie e forme di controllo “in quanto elementi o parti integranti di un sistema o di un insieme di controlli”297. Il problema del controllo è presente anche nelle società arcaiche dove le varie specie di controllo non hanno ancora una differenziazione o, se la hanno, essa è insufficiente. “Si tratta qui della concorrenza e di equilibri variabili che si stabiliscono tra due sottospecie di controllo sociale sovrannaturale, la magia e la religione. Si arriva così a confrontare i 296 297 Ivi, p. 74. Ivi, p. 75. 128 diversi rami della sociologia dello spirito […], a collegarli tra loro, a integrare in un tutto, a far coagulare insieme i loro risultati”298. Il moltiplicarsi delle ricerche effettuate sul controllo sociale potrebbero concorrere a realizzare una modello, ovvero una introduzione generale adatta ad una molteplicità di branche della scienza sociologia, come quella del diritto, quella religiosa, dell’arte, per poter impedire un isolamento di queste discipline e per aumentare la loro importanza nelle varie società o gruppi. Nel secondo invece: “mentre si pone l’accento su diversi rami della sociologia dello spirito, sulle relazioni funzionali tra simboli, i valori e le idee da una parte e le congiunture e strutture sociali dall’altra, quando le si giudica come elementi di un insieme, come settori di un sistema di controllo sociale, ci si orienta sempre più allo studio della loro azione pratica su queste congiunture e queste strutture”299. Le varie specie del controllo sociale infatti, in relazione ad uno dei loro aspetti, riguardano le variazione delle molteplici gerarchie delle varie specie di controllo ed anche le oscillazioni dell’efficacia delle loro azioni sui vari gruppi o unioni particolari. In questo modo da un lato si affronta l’argomento sotto l’angolatura del controllo sociale evitando, allo stesso tempo, il pericolo di isolare le une 298 299 Ibidem. Ivi, p. 75-6. 129 dalle altre le manifestazioni culturali differenziate, dall’altro si valorizza la sociologia dello spirito con i problemi di strutturazione sociale. Per Gurvitch: “Bisogna contrapporre alle specie di controllo sociale le forme di controllo sociale che si possono caratterizzare come dei piani o livelli in profondità che si manifestano in seno ad ogni specie di controllo sociale così come in ogni sistema globale. Poiché le <<specie>> e le <<forme>> di controllo sociale si incrociano, il loro numero si moltiplica considerevolmente”300. Come analizzato in precedenza tra le varie forme di controllo di cui la prima studia le forme normali di controllo come gli usi, i simboli, i modelli; la seconda esamina le forme spontanee di controllo mediate dai valori, dagli ideali e dalle idee; la terza concerne le forme collettive dirette, aspirazioni e creazioni che erano la forma spontanea di controllo e che portava alla creazione di valori nuovi; assume, nella costruzione del Gurvitch, un’importanza fondamentale la prima di quelle elencate, considerata come ispirata dalle altre e fonda su queste, la cui rappresentazione esterna è un’organizzazione o soprastruttura organizzata. 300 Ibidem. 130 Per Gurvitch essa: “E’ una combinazione schematica di modelli più o meno rigidi e cristallizzati che centralizzano e pongono in gerarchia delle condotte collettive”301. Ma queste sovrastrutture, esercitando un potere, rischiano di allontanarsi dalle spontanee manifestazioni della vita sociale a causa anche dalla loro rigidità. Infatti il controllo sociale organizzato si pone in conflitto con un altro tipo di controllo, più flessibile, che si basa su valori idee e ideali, definito dall’autore il controllo sociale spontaneo. Questo tipo di controllo, nella sua forma più elevata si esterna con atti di creazione e di esperienza. Quando vi è una netta separazione tra questi due tipi di controllo sociale quello organizzato muta in controllo sociale automatico ma, di contro, se vi è una interazione tra i due tipi di controllo, ossia il controllo sociale organizzato e radicato nel in quello spontaneo, allora esso diviene un controllo sociale democratico. Per Gurvitch: “Bisogna distinguere non meno di quattro forme principali di controllo sociale che si incrociano con sei principali specie <<tipi>>: 1) Il controllo sociale organizzato (che può essere sia autocratico che democratico a seconda dei sui rapporti con le forme spontanee di controllo); 2) Il controllo sociale che si effettua con l’aiuto di pratiche e usi culturali come i simboli non codificati in sovrastrutture organizzate e 301 Ivi, p. 77. 131 che a livelli diversi sono più o meno flessibili […]; 3) Il controllo sociale spontaneo messo in atto dai valori, dalle idee e dagli ideali collettivi; 4) Il controllo sociale ancora più spontaneo messo in atto dalle esperienze collettive, dalle aspirazioni e dalle creazioni collettive comprese le rivolte e le rivoluzioni”302. Queste forme di controllo sono le più rilevanti all’interno di ogni società o di ogni gruppo poiché si pongono continuamente in relazione con le congiunture sociali concrete e “così non solo la gerarchia della specie (tipi) varia in un dato sistema di controllo sociale, ma cambia anche il ruolo o l’intensità delle diverse forme di controllo, tenendo conto delle specie (tipi) e dei sistemi particolari di controllo globale”303. E’ quindi necessario che si pongano in contrapposizione sia i centri del controllo sia le specie che le sue forme. I centri, ovvero gli organi o le agenzie del controllo sociale individuati dall’autore sono le società globali, i gruppi e le forme di socialità, ed ognuno di essi è in grado di originare e di applicare qualsiasi specie di controllo. Secondo Gurvitch però le osservazioni empiriche ci comprovano come diversi tipi di società globali, di gruppi e di forme di socialità sostengano forme e specie particolari di controllo e favoriscano una loro 302 303 Ivi, p. 78. Ibidem. 132 combinazione in insiemi specifici, mentre, osserva l’autore, diverse specie, forme e sistemi di controllo sociale esercitino influenze diversificate sui vari centri di controllo, e come l’analisi di queste relazioni funzionali specifiche sia il principale oggetto della ricerca sociologica concreta ed empirica in materia al controllo sociale. Oggetti dello studio delle specifiche relazioni funzionali è lo studio e la ricerca sociologica sul controllo sociale304. Lo studio del controllo a livello sociologico non può considerare oggetti del medesimo ne i mezzi ne le tecniche ne strumenti del controllo infatti “essendo immenso il numero dei controlli sociali, essendo anche infinito il numero di centri di controllo sociale, come quello delle congiunture sociali che ne derivano, i mezzi tecnici o strumenti del controllo mostrano una flessibilità, una tale propensione a variare e una tale relatività che non si possono fissare o descrivere senza cadere in generalizzazioni e dogmatizzazioni eccessive305. Vi è una indipendenza dei mezzi del controllo sociale dalle forme e dalle specie come dai centri di controllo poiché “diverse specie, forme e centri possono utilizzare mezzi identici di controllo, mentre le stesse specie, forme ed organi 304 305 Cfr. Ibidem. Ivi, p.79. 133 possono utilizzare per la realizzazione dei mezzi o strumenti del tutto diversi”306. Per Gurvitch quindi: “Lo studio sociologico del controllo sociale è solo al suo inizio e il suo sviluppo ulteriore, nella misura in cui raggiungerà una maggiore decisione, promette di servire alla <<sociologia dello spirito>> come un’introduzione molto importante ed indispensabile”307. 306 307 Ivi, p. 80. Ibidem. 134 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Saggi in ricordo di Aristide Tanzi, Milano, 2001 AA. VV., Per una economia di comunione, Roma 2004 AMERIO, P., Teorie in psicologia sociale, Bologna, 1982 ARENDT, H., Che cos’è la politica?, Milano, 1995 ARENDT, H., Verità e politica, Torino, 2004 ABBAGNANO, N., La sociologia della libertà di Gurvitch, in <<Quaderni di sociologia>>, n. 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PREMESSA 1 CAPITOLO I LA TECNICA PLURALISTA, IL PLURALISMO SOCIALE E LA DEMOCRAZIA PLURALISTA 3 CAPITOLO II IL DIRITTO SOCIALE 44 CAPITOLO III LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI SOCIALI 73 3.1 Premessa alla dichiarazione dei diritti sociali. 73 3.2 Il produttore, il consumatore, il cittadino, l’uomo. 88 3.3 I doveri e i diritti sociali derivanti dalla proprietà. 98 CAPITOLO IV IL CONTROLLO SOCIALE Bibliografia 105 135