Sociologi o tuttologi? Un ruolo da ritrovare per "leggere" la crisi

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Sociologi o tuttologi?
Un ruolo da ritrovare
per "leggere" la crisi
Scienziati sociali da tutta Italia a confronto in aula Kessler
il preside Dallago: ora più che mai l'Italia ha bisogno di loro
di Paolo Morando
è stato un tempo in
cui i sociologi godevano di altissima visibili tà mediatica, seconda metà anni'80 o giù di lì. Quando Francesco Alberoni "bucava" il piccolo schermo Rai con "Orfeo: i
sentimenti umani", ennesima
riproposizione delle sue tesi su
amore e dintorni già in circolazione da quasi un decennio.
Mentre le allora reti Fininvest
gli contrapponevano un altro
scienziato sociale di estrazione
trentina, Giampaolo Fabris,
con il compito di illustrare a telespettatori in piena sbornia acquisitiva dove collocarsi: se tra
Arcaici, Puritani, Cipputi, Conservatori, Integrati, Affluenti,
Emergenti o Progressisti. Appunto le "Otto Italie", diverse e
sempre più divaricate tra loro,
dal titolo della sua ricerca più
fortunata. Anche e soprattutto
in termini di applicazione al
marketing e alla pubblicità. E
allo scadere di ogni anno, puntuali, le immaginifiche visioni
di Giuseppe De Rita contenute
nei Rapporti Censis diventavano chiavi di lettura obbligate
dell'Italia e dei suoi mutamenti. Ma che ne è oggi di tanta popolarità? Quanto è pronta la sociologia italiana proprio in un
momento in cui ce ne sarebbe
tanto bisogno? Detta più chiaramente: non è che la crisi, assieme a tante certezze, sta spazzando via i sociologi, rimpiazzati da economisti in nome
dell'ormai ineluttabile supremazia delle leggi del mercato?
Tutto questo sarà al centro
del convegno che l'Associazione italiana di sociologia (Ais)
terrà domani e sabato proprio
qui a Trento, approfittando della ricorrenza del 50° della nascita della facoltà. "Sociologia,
professioni e mondo del lavoro" il tema delle due giornate di
lavori, che vedranno la partecipazione di sociologi da tutta
Italia, non solo accademici ma
anche professionali, attivi cioè
nel privato. Coordinatrice
dell'iniziativa è Annamaria Perino, che fa parte del direttivo
nazionale Ais e che a Trento insegna Metodi e tecniche del
servizio sociale. «Quella del sociologo continua a nari costituire un'identità professionale
specifica - spiegala ricercatrice
- e chi si laurea lamenta spesso
di non trovare sbocchi occupazionali inadeguati: l'obiettivo
del convegno è proprio quello
di verificare, dati alla mano, la
spendibilità del sapere sociologico, confrontandosi con il
mondo del lavoro, anche per
capire se sia necessario modificare la formazione universitaria». E circa i pro e i contro di un
percorso di studi in Sociologia,
ecco la risposta: «Il vantaggio è
dato dall'apertura mentale,
che si crea con l'apprendimento di competenze trasversali,
però può anche trasformarsi in
un handicap: sapere un po' di
tutto può significare non saper
fare nulla di specifico». E in effetti è così: in via Verdi (e nelle
altre facoltà italiane) si studiano sociologia, storia, economia, psicologia, antropologia,
diritto, matematica, statistica e
così via, perché la società è fatta di tutto questo. Ma l'interdi-
sciplinarietà, una volta approdati nel mondo del lavoro, premia meno rispetto a chi invece,
dopo studi specifici, è più attrezzato nei singoli campi.
Tornando invece alla domanda iniziale, i sociologi e la
crisi, Bruno Dallago è la persona più adatta per rispondere.
Perché al tempo stesso economista e preside di Sociologia,
dove insegna Politica economica: un'esperienza anche complessa («non lo nascondo»), ma
ricca di opportunità. La sua
analisi è però drastica: «Il mondo non ha mai avuto tanto bisogno dei sociologi come ora, perché non abbiamo mai assistito
a uno sviluppo delle tecnologie
come quello attuale. Il punto è
proprio relativo al loro utilizzo,
come dotarcene, come adattar-
le al contesto sociale». Il che è
appunto materia da sociologi.
Ma qui arriva il problema: «L'attuale esplosione delle diseguagli anze nelle società occidentali è duplice: nella distribuzione
del reddito e delle opportunità
- afferma Dallago - stiamo ricreando classi sociali a compartimenti stagni, attraverso l'irrigidimento del sistema educativo,
e il caso italiano del diritto allo
studio è impietoso». Vale a dire
crescita delle tasse universitarie non bilanciata da un adeguato sistema di sostegno (cioè
borse di studio) a favore di giovani provenienti da ambienti
sociali a reddito più basso.
«Che non sono necessariamente i più stupidi, anzi». Risultato:
minore mobilità sociale, da
sempre indicata nella dottrina
economica come fattore di sviluppo economico.
Sulla crisi, le sue ragioni e le
sue conseguenze, l'analisi è
brutale: «La spiego con la retrocessione delle società occidentali verso modelli che sembravano superati, caratterizzati da
forti disparità economiche e sociali, che hanno l'effetto di sfasciare le classi medie. Che sono
poi quelle che, con il proprio
consenso, supportano l'attività
di tutti i governi. Di qui politiche economiche avventuriste,
il debito pubblico come leva di
tutto. Se non capiamo questo,
e non rimettiamo mano ai fondamenti della vita sociale, dalla
crisi non usciremo mai. E mai
più raggiungeremo società più
dinamiche
come
quelle
dell'Asia orientale: cioè proprio
quelle in cui la mobilità sociale
è il cardine dello sviluppo». Ecco perché Dallago fatica a vedere prospettive possibili per un
ruolo forte, in un futuro non
troppo lontano, della professione sociologica. Che consiste
nel dovere di porre domande e
problemi al potere, per suggerirne le possibili soluzioni:
«Non mi sembra però che a livello nazionale ci sia la volontà
di porsi questi problemi». Ma
anche sul piano locale. E il riferimento è al recente Atto d'indirizzo affidato dalla Provincia
all'Università, «dove i terni sociali ci sono, ma come Cenerentola rispetto al resto: prevale
una visione tecnologica che,
paradossalmente, è superiore
anche a quella degli stessi colleghi di ateneo che si occupano
di scienze naturali». Quando si
dice essere più realisti del re.
O RI PRODUZI ONE RISERVATA
Il programma delle due giornate dell'Ais
Domani in aula Kessler il via alle 9.30, coni saluti del rettore Davide
Bassi, dei presidente della Provincia Lorenzo Dellai , dei preside Bruno
Dallago e di Alberto Gianera, rappresentante degli studenti. Alle 10.15
la prima sessione con Antonio Schizzerotto ("Trento e la Sociologia
italiana), Giovanni Battista Sgritta ("La sociologia pubblica "), Adriana
Luciano ("Trasformazioni sociali, competenze e mondo del lavoro") ed
EnricaAmaturo ("Formazione e professioni sociologiche"). Nel
pomeriggio Carlo Barone ("L'occupabilità dei laureati in Sociologia"),
Barbara Mazza ("Gli sbocchi occupazionali dei Sociologi della
comunicazione"), Davide Borrelli e Mihaela Gavri la ("La comunicazione
pubblica della Sociologia "), Patrizia Magnante ("Sociologhe e sociologi
fra identità e pratica professionale"), Enrico Vaccaro ("Lespecificità
professionali dei dirigente sociologo nel Servizio sanitario nazionale"),
Leonardo Benvenuti ("La spend ibil ità della sociologia tra attività di
prevenzioneecura ") e Fabrizio Ferrari ("La laurea in Sociologia dalle
origini ad oggi "). Sabato, dalle 9 e per l'intera giornata, sette laboratori
tematici (Ricerca, Comunicazione, industriae terziario, Terzo settore,
Sanità e salute, Servizio sociale, Territorio e ambiente) con una
quindicina di relazioni di professionisti provenienti dai diversi settori.
Saperi e competenze
"trasversali"
che però oggi nel mondo
del lavoro vengono
sempre meno riconosciuti
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