VI Organizzazione
Federico Butera
Sommario: 1. Premessa – 2. Che cosa è un’organizzazione – 2.1. L’analisi e la progettazione di una singola unità organizzativa – 2.2. La rete organizzativa – 3. I modelli o paradigmi organizzativi – 4. La sociologia
dell’organizzazione – 5. Alcuni fra i temi di sociologia dell’organizzazione – 5.1. Tecnologia e organizzazione – 5.2. Organizzazioni “regionali” – 5.3. Le reti organizzative – 5.4. Cultura ed organizzazione –
6. Tre compiti per la sociologia dell’organizzazione in Italia.
1. Premessa
Si afferma che le scienze giuridiche siano le uniche scienze sociali esatte poiché le norme – che sono
un’invenzione sociale ed un artefatto sociale – possono essere emanate, interpretate, cambiate e studiate a
partire dall’atto positivo di un atto di volizione umana e prescindere dalla complessità dei fenomeni sociali
che esse tendono a regolare.
Le scienze dell’organizzazione studiano anch’esse un artefatto sociale ossia un sistema complesso di
regolazione per “condurre elementi dispersi a unità e in vista di un fine”. Le scienze organizzative hanno
avuto nel tempo un orientamento prevalentemente normativo e progettuale con una forte tensione a
circoscrivere il proprio oggetto entro i confini che gli architetti, i progettisti, i gestori delle organizzazioni
avevano fissato. Le scienze dell’organizzazione come vedremo includono un gran numero di discipline fra
cui quelle più orientate a strutturare i sistemi di regolazione formali come diritto, economia, ingegneria,
scienze dell’informazione (principalmente le Gesellschaften nei termini di Tönnies1), ma anche quelle
orientate a comprendere e far evolvere i sistemi di regolazione sociali (le Gemeinschaften) come la
sociologia, la psicologia, la medicina, la pedagogia, le scienze della comunicazione ed altro. Non sorprende
quindi che il primo gruppo di discipline sia divenuto dominante rispetto alle seconde, relegate spesso a
studiare “gli effetti sociali dell’organizzazione”.
In realtà sono materia elettiva della sociologia, ed in particolare della sociologia dell’organizzazione,
non solo studio, progettazione e gestione dell’ “artefatto sociale – organizzazione” visti con categorie
diverse dalle altre discipline, ma anche i processi sociali dei sistemi formali e non formali della
regolazione, il sistema degli interessi, di potere e di dominanza, che si attivano nelle organizzazioni,
le relazioni fra organizzazioni, istituzioni e movimenti. Soprattutto oggetto primario della sociologia
dell’organizzazione è l’indagine sulla natura ed i paradigmi dell’organizzazione e sulla condivisione e
cambiamento dei sistemi di regolazione .
In questo contributo si sostiene che la sociologia dell’organizzazione ha il compito non solo di
studiare e comprendere le organizzazioni ma anche e soprattutto quella di contribuire a progettarle e
cambiarle.
1. Tönnies F., Gemeinschaft und Gesellschaft. Abhandlung des Communismus und des Socialismus als empirischer Culturformen,
O. R. Reisland, Leipzig, 1887; 2a ed., Fues’s Verlag, Leipzig, 1912; 8a ed. ampl., Buske, Leipzig, 1935 (tr. it., Comunità e Società,
Edizioni di Comunità, Milano, 1963).
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2. Che cosa è un’organizzazione
Un’organizzazione è un’entità collettiva dotata di qualche formalizzazione costituita per raggiungere fini.
Un’organizzazione si distingue per questo dalle istituzioni, dal mercato, dai gruppi primari, dai movimenti,
dalle comunità, anche se in ogni organizzazione vi è una componente di ciascuna di esse ed anche se
l’organizzazione vive in una continua interazione con esse.
Per Gallino2, tre sono le accezioni attribuite al termine organizzazione: un soggetto, un’attività, una
struttura.
La nostra società è costituita da un gran numero di organizzazioni ossia da soggetti collettivi riconoscibili
dotati di una personalità giuridica, economica e sociale: alcuni sono soggetti legalmente riconosciuti come
imprese, amministrazioni pubbliche, scuole, associazioni, fondazioni, partiti. Altri sono soggetti legittimi, ma
non legalmente costituiti come gruppi culturali, sportivi, religiosi, morali. Alcuni sono soggetti spesso ben
organizzati e potenti ma illegali, come una cosca mafiosa. Vi è un gran numero di tipologie organizzative
che distinguono le organizzazioni in base ai fini (come imprese private, enti pubblici, enti non profit); al
settore (agricoltura, industria, servizi); all’area merceologica (ad esempio imprese metalmeccaniche,
chimiche, elettroniche); alla dimensione (ad esempio imprese grandi, medie e piccole); all’estensione
geografica (organizzazioni locali, organizzazioni multinazionali). Vi sono organizzazioni semplici (una
bottega artigiana, un piccolo laboratorio, un negozio, una piccola impresa, ecc.); organizzazioni complesse
(un esercito, una grande impresa, una grande burocrazia pubblica, ecc.); organizzazioni a rete (la lega
Anseatica, un distretto industriale); sistemi (il sistema della ricerca scientifica, ecc.): piattaforme produttive
( la produzione informatica, il sistema moda).
Il termine organizzazione fa anche riferimento all’attività organizzatrice, ossia come ordinare le
attività nel tempo, nello spazio e nell’impiego delle risorse (Weick3). L’agire organizzativo riguarda la
ricerca dei modi più adatti – nei diversi contesti e nelle diverse circostanze – per cooperare, condividere
le conoscenze, coordinare, generare senso e comunità fra le persone (Butera4). L’attività organizzatrice
è quindi un insieme di prassi per la regolazione dei comportamenti e delle azioni che può derivare
da leggi, procedure, sistemi tecnologici, prescrizioni gerarchiche, ma in gran parte è il frutto delle
conoscenze esperte e tacite, delle competenze, delle esperienze, delle memorie, delle intuizioni, delle
pratiche individuali e di gruppo e soprattutto della coscienza del fine da raggiungere. L’organizzare
tende a condurre un sistema da uno stato di relativo disordine ad uno di maggior ordine, ossia tende a
comprendere, guidare, controllare una serie di eventi per conseguire un risultato o per evitare un danno.
In questo senso, ordine ed organizzazione sembrano sinonimi. Il disordine però non è sempre un male:
una crisi, una scoperta casuale, il rifiuto per ciò che è consolidato, la rottura di un paradigma, talvolta
possono infatti portare a riorganizzare in modo migliore l’esistente o organizzare il futuro. Il passaggio
da un modello di organizzazione ad uno diverso è spesso il risultato di un movimento come mostra
Alberoni5 in questo volume.
Abbiamo detto che organizzare è portare ad unità elementi dispersi in vista di fini. I sistemi di regolazione
per ottenere ciò sono molteplici: a) sistemi di fini e prestazioni economici e sociali; b) aggregati di risorse
utilizzate per raggiungere i risultati come risorse economiche, tecnologie, edifici e soprattutto persone; c)
componenti di una configurazione organizzativa come processi, compiti, ruoli, struttura formale, sistema
sociale, cultura, ecc. : l’insieme di essi costituisce la “struttura organizzativa”
2. Gallino L., Organizzazione, in Gallino L., Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1978, pp. 488-493; Gallino L., Personalità e
industrializzazione, Loescher, Torino, 1968.
3. Weick K.E., The Social Psychology of Organizing, Newbery Award Records, New York, 1969 (tr. it., Organizzare, UTET, Torino,
1993).
4. Butera F., Il cambiamento organizzativo, Laterza, Roma-Bari, 2009.
5. Alberoni F., Mutamento e movimenti , in questo volume.
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Tutte le organizzazioni hanno un modello o paradigma più o meno stabile dei componenti
dell’organizzazione e delle relazioni tra le persone e le cose per conseguire uno scopo. Tale modello è dato
dall’insieme di teorie, leggi e strumenti accettati universalmente (Kuhn6), è un’“unità stilistica”, una cultura,
un’ideologia riconoscibile e riproducibile data dall’insieme dei fini, delle risorse e della configurazione
organizzativa, che – per la nascita, sopravvivenza e sviluppo – devono essere internamente coerenti ed
appropriate all’ambiente esterno. In particolare coerente ed appropriata deve essere la configurazione
organizzativa ossia il modello delle relazioni normative, tecniche, procedurali, valoriali, comunicative
stabilite intenzionalmente da/fra gli uomini per agire in modo adeguato a raggiungere i fini del soggetto
organizzativo e dei suoi membri (Butera7).
Molte sono le metafore che sono state usate per rappresentare i modelli organizzativi: l’organizzazione
come macchina, l’organizzazione come organismo, l’organizzazione come sistema aperto e molte altre
(Morgan8).
Per ottenere coerenza e appropriatezza l’organizzazione si configura come un artefatto sociale,
ossia una costruzione umana che viene ideata, progettata, realizzata, gestita, vissuta, modificata con
una “personalità” diversa non solo fra tipi diversi di organizzazione, ma fra modelli o paradigmi di
diversa concezione. Questo spiega perché l’organizzazione associata ad una catena di montaggio
è diversa da quella associata alla gestione di un sincrotrone, perché i processi formalizzati di una
burocrazia pubblica possono essere attivati da strutture organizzative molto formalizzate e condotti
da persone con una preparazione e responsabilità professionale relativamente basse mentre i processi
di ricerca o di creazione artistica richiedono organizzazioni creative e persone ad alta qualificazione
professionale. Ma spiega anche che un reparto di produzione può essere organizzato secondo il
paradigma tayloristico della catena di montaggio di Charlie Chaplin oppure secondo il paradigma
socio-tecnico come le isole di produzione della Olivetti o della Ferrari. Non esiste una best way of
organizing, come invece aveva sostenuto il fondatore della cosiddetta organizzazione scientifica del
lavoro, Frederick W. Taylor9.
2.1. L’analisi e la progettazione di una singola unità organizzativa
A che cosa guardare quando si osserva o si vuole cambiare una unità organizzativa, ossia una singola
azienda o amministrazione, uno stabilimento, un negozio, un laboratorio, ecc.? Quali sono le dimensioni di
ciò che nel linguaggio corrente si indica come “struttura organizzativa”.
Occorre identificare i componenti dell’unità organizzativa visti in forte interazione reciproca ed in particolare i suoi obiettivi e prestazioni, le sue risorse finanziarie, tecnologiche e umane e la sua configurazione organizzativa: il tutto visto in relazione con il mondo esterno con cui il sistema entra in rapporto importando risorse ed esportando prodotti e servizi secondo una strategia (the internalized environment). La figura sintetizza questo modello.
6. Kuhn T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969 (ed. or., The Structure of Scientific Revolutions, University
of Chicago Press, Chicago, 1962).
7. 7 Butera F., L’orologio e l’organismo. Il cambiamento organizzativo nella grande impresa in Italia, FrancoAngeli, Milano, 1984.
8. Morgan G., Images. Le metafore dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1994 (ed. or., Images of Organizations, Sage,
London, 1997).
9. Taylor F.M., Principles of Scientific Management, Harper and Row, New York, 1911 (tr. it., L’organizzazione scientifica del lavoro,
Comunità, Milano, 1952).
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_ ' (% Figura 1 I componenti di un sistema organizzativo
L’ambiente esterno è dato dal contesto economico, istituzionale, fisico, sociale a cui l’organizzazione
deve adattarsi o che l’organizzazione vuole modificare: il modo con cui chi dirige l’organizzazione vuole
fare ciò si chiama strategia.
La strategia definisce e cerca di realizzare obiettivi e prestazioni sia tecnici che economici e sociali,
sempre contemporaneamente presenti in diverse proporzioni. Gli obiettivi tecnici hanno a che fare
con l’appropriatezza e qualità degli outputs specifici di un’organizzazione: prodotti, servizi, informazione,
immagine, ecc. Gli obiettivi economici riguardano i risultati economici dell’organizzazione (ricavi, costi,
patrimonio, margini, valore, ecc.). Ogni organizzazione inoltre ha obiettivi/risultati sociali: l’impatto
ambientale, gli effetti sulla comunità locale, la qualità della vita di lavoro, il valore sociale dei prodotti/servizi,
l’integrità economica. Un buon equilibrio di questi diversi obiettivi consente di sviluppare organizzazioni
integrali, ossia quelle che perseguono in modo integrato elevate performances economiche, tecniche e
sociali che operano concretamente per proteggere e sviluppare l’integrità degli stakeholders e dell’ambiente
fisico, economico e sociale (Butera10).
Le risorse del sistema organizzativo sono quelle che costituiscono il patrimonio tangibile ed intangibile
di un’organizzazione; le risorse finanziarie, le tecnologie, gli spazi e soprattutto le persone.
La configurazione organizzativa è data in primo luogo dai processi, ossia dalla sequenza di eventi
adeguatamente concepiti e concretamente realizzati che trasformano gli inputs in outputs attraverso
l’impiego di lavoro e tecnologia: processi di produzione di merci e di servizi, di ricerca e sviluppo, di vendita,
di amministrazione e così via. Per le persone, i processi o le loro porzioni diventano attività lavorative, che
richiedono conoscenze e competenze, abilità sensorio-motorie, sudore, tempo e che vengono svolte il più
delle volte con altri ed in rapporto con il sistema tecnologico (interfacce uomo-macchina). Mentre nel
caso dell’artigiano l’attività è un flusso complesso e completo sotto il controllo umano, il paradigma e le
metodologie di industrial engineering di Taylor11 avevano parcellizzato all’estremo il lavoro togliendone il
10. Butera F., L’‘impresa integrale’: teoria e metodi, in Sviluppo e organizzazione, 235, 2009, pp. 18-39.
11. Taylor F.M., op. cit.
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controllo al lavoratore. Le microstrutture sono unità organizzative minuscole costituite da insiemi di attività,
macchine e uomini che realizzano effettivamente i processi (progettare, produrre, vendere, distribuire):
reparti, uffici, negozi, team, comunità professionali. Il lavoro si individualizza e diventa insieme sistema
produttivo, istituzione sociale e possesso delle persone quando diventa ruolo o professione, che può
essere rappresentato, remunerato, formato, sviluppato. Ruolo è ciò che ciascuno fa in vista di un risultato
funzionale, nelle sue relazioni con gli altri, all’interno di un determinato contesto tecnico-organizzativo. Esso
è costituito perciò non solo dalle attività, ma anche da qualche responsabilità sui risultati e dalle relazioni
con il contesto organizzativo. Perché le organizzazioni funzionino è necessario che venga svolta un’attività
di pianificazione e di sincronizzazione di attività che si svolgono in tempi diversi. I sistemi di direzione
possono essere basati sui programmi, sulla gerarchia o sull’adattamento reciproco e, nelle organizzazioni
moderne, sono sempre sostenuti da sistemi informativi. Le macrostrutture sono unità organizzative estese
che fissano i confini delle risorse e dell’allocazione del potere e dell’autorità in un’organizzazione: esse si
manifestano attraverso disposizioni organizzative, organigrammi, funzionigrammi ed in esse è visibile la
gerarchia dell’organizzazione. La gestione delle persone è il carburante di ogni organizzazione: i diversi modelli
di selezione, retribuzione, inquadramento, formazione, carriera, uscita, relazioni industriali caratterizzano i
diversi tipi di organizzazione e ne assicurano il funzionamento.
Infine una componente importantissima della configurazione organizzativa è costituita dai sistemi
di regolazione o strutture latenti: culture organizzative (valori, artefatti, credenze), comunità di pratica e
professionali, interazione fra organizzazione e sistema sociale esterno alle organizzazioni, sistemi di senso
(sense making, Weick 12) ed altro.
2.2 La rete organizzativa
Le unità organizzative operano in relazione, in rete con altre organizzazioni della stessa o di diversa
natura.
L’organizzazione a rete è un modello stabile di transazioni cooperative tra attori individuali o collettivi
che costituisce un nuovo attore collettivo (Butera13). Le organizzazioni a rete dispongono di elementi
costitutivi stabili e riconoscibili che consentono l’analisi e la progettazione/sviluppo:
a) i processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali che attraversano imprese ed unità organizzative diverse;
b) la valorizzazione lungo una doppia catena del valore: il valore economico ed il valore sociale e di visibilità;
c) “nodi” capaci tendenzialmente di sopravvivere e prosperare autonomamente: “nodi produttivi” (imprese, unità organizzative, ruoli professionali) e “nodi istituzionali” (enti pubblici, comuni, scuole, gruppi sociali) che operano nella stessa “arena decisionale”;
d) legami deboli e forti che connettono tali nodi (scambi economici, procedure, informazioni, comunicazioni, relazioni sociali, rapporti di potere, ecc.);
e) strutture multiple che devono essere fra loro coerenti ed adatte alle strategie ed alle sfide (gerarchia,
mercato, sistema informativo, sistema telematico, sistema di knowledge management, strutture sociali,
strutture politiche, ecc.);
f) proprietà operative peculiari: come i sistemi decisionali, le modalità di regolazione dei conflitti, ecc. Il più
importante dei sistemi operativi è però il sistema di governo (governance system).
12. Weick K.E., op. cit.
13. Butera F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1991.
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3. I modelli o paradigmi organizzativi
Il principale contributo della sociologia dell’organizzazione è stato quello di analizzare e predire il
cambiamento dei paradigmi dell’organizzazione classica. 14.
Le nuove organizzazioni negli ultimi quaranta anni hanno cambiato il paradigma e le idee ereditate dalla
burocrazia weberiana e dall’organizzazione scientifica del lavoro, che qui non descriviamo Esse erano basate
su una divisione del lavoro spinta e sul coordinamento e controllo basato principalmente sulla gerarchia. In
quelle organizzazioni prevalevano gli obiettivi tecnici ed economici mentre poca attenzione era destinata
a quelli sociali. Grande attenzione veniva destinata alle risorse finanziarie, tecnologiche e logistiche mentre
le persone venivano per lo più considerate parti di ricambio. La configurazione organizzativa era precisa
e rigida: processi altamente prescritti, attività parcellizzate, coordinamento per programmi e gerarchia,
microstrutture come partizioni delle macrostrutture a cui erano affidate le risorse ed il potere. La gestione
delle persone si limitava alla retribuzione ed alle relazioni industriali. Le strutture di regolazione sociale
latenti erano celate dietro il concetto squinternato dell’organizzazione informale (Gouldner15).
Le moderne organizzazioni si sono in gran parte evolute verso nuovi modelli: da orologi ad organismi,
da castelli a reti per adottare delle metafore (Butera16) sotto la spinta di globalizzazione dei mercati, delle
conoscenze e talenti, della tecnologia, delle esigenze di qualità della vita di lavoro, ecc. La sociologia
dell’organizzazione ha studiato e descritto queste evoluzioni contribuendo a comprenderne la portata
e le implicazioni ed a favorirne l’applicazione e la diffusione. Alcune delle forme organizzative che hanno
preannunciato un cambiamento di paradigma sono sinteticamente indicate di seguito.
Si sono sviluppate ‒ in produzione e nei servizi ‒ unità di processo di concezione nuova chiamate
process centred organizations ossia unità centrate sui processi come group technology, isole di produzione,
CHIM (Computer Human Integrate Manufacturing Units), UTE (Unità Tecnologiche Elementari) e molte altre.
Una grande varietà di gruppi di lavoro o teams costituisce ora la spina dorsale di organizzazioni di servizio
(teams face-to-face e teams remoti, teams permanenti e teams ad hoc).
Nell’industria e nei servizi, sempre più importanti sono diventate le strutture per il governo e
l’innovazione dei processi: process owners, teams di progetto, teams per il miglioramento continuo, teams
di qualità ed altri. Diversissime le forme e le applicazioni ai diversi contesti, ma con un carattere comune:
il combinare contemporaneamente un sistema di produzione flessibile con piccole comunità di lavoro.
Nella ricerca, nel lavoro artistico, nell’ingegneria, si sono diffuse task forces, excellence teams, che
si costituiscono e si dissolvono in funzione dell’avanzamento del lavoro e del processo di creazione.
Queste organizzazioni temporanee in realtà generano e gestiscono processi intermittenti di innovazione,
miglioramento, soluzione di problemi, processi di cambiamento.
Le organizzazioni ed i professionisti che operano in postazioni fra loro remote sono connesse via
web e condividendo processi e culture, come quelle dei progettisti dispersi in varie parti del mondo
nel travolgente fenomeno dell’open innovation ossia un processo di condivisione e cooperazione
nell’innovazione tecnologica. Forme non-gerarchiche di strutture organizzative si sono diffuse ed
hanno modificato la configurazione degli organigrammi e le modalità di esercizio della leadership e del
coordinamento/controllo: organizzazioni snelle, organizzazioni piatte, organizzazioni con leaderships
multiple, organizzazioni a matrice, sono termini che testimoniano una tendenza a semplificare e ridurre
il carattere gerarchico e verticale delle burocrazie. Organizzazioni ad alta affidabilità sono essenziali nelle
condizioni di alto rischio o forte imprevedibilità17
14. Butera F., I frantumi ricomposti. Ideologia e struttura nel declino del taylorismo in America, Marsilio, Padova, 1972.
15. Gouldner A., Patterns of Industrial Bureaucracy, The Free Press, New York, 1954 (tr. it., Modelli di burocrazia industriale, Etas
Kompass, Milano, 1970).
16. Butera F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1990.
17. Catino M., Da Chernobyl a Linate, Mondadori, Milano, 2006.
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Sono aumentati i lavoratori qualificati, “lavoratori della conoscenza”, che rappresentando nei paesi
avanzati fra il 40 e il 55% della popolazione lavorativa (Butera, Bagnara, Cesaria, Di Guardo18). Essi includono
ovviamente gli scienziati, ma in proporzioni maggiori i managers, professionals, tecnici. Al di là dei nomi c’è
un punto rilevante: molte di queste figure sono esse stesse piccole unità organizzative che godono gradi
elevati di autonomia, costituendo forme organizzative non burocratiche di expert dependent organizations,
come ospedali, università, giornali, ma anche reparti di Ricerca e Sviluppo delle aziende.
La riconfigurazione delle relazioni fra le organizzazioni, le alleanze, lo sviluppo di relazioni collaborative
con i fornitori, il ridisegno della logistica di produzione e della logistica distributiva e soprattutto le
tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno modificato i confini delle organizzazioni: esse
conducono allo sviluppo od al potenziamento di “imprese rete” e di “reti di impresa”.
Nell’ambito delle economie regionali, si è intensificata la formazione di reti d’impresa (distretti, filiere,
costellazioni, clusters) quando imprese indipendenti producono sia prodotti simili sia parti dello stesso
prodotto oppure quando operano nello stesso business e condividono risorse, “atmosfera industriale”,
missioni di fondo. I loro meccanismi di regolazione sono basati su competizione e cooperazione.
L’organizzazione a rete ( impresa rete e reti di imprese) costituisce sia una nuova forma di organizzazione
(oltre l’organizzazione gerarchica) sia di società ( impresa e territori in rete) .
In sintesi nuovi modelli o paradigmi organizzativi emergono e si affermano e molti altri emergeranno.
4. La sociologia dell’organizzazione
I miei colleghi ed io che abbiamo coltivato la sociologia dell’organizzazione a livello internazionale ed
in Italia nella ricerca, nella formazione, nella progettazione organizzativa, abbiamo affrontato questioni di
identità e qualificazione della disciplina, che brevemente illustriamo di seguito.
1. Sull’identità. La teoria classica dell’organizzazione aveva avuto la pretesa di descrivere ed interpretare
in modo universale i fenomeni in ogni tipo di concreta unità organizzativa e di generare leggi scientifiche
e norme di azione per ogni tipo di organizzazione. La sociologia dell’organizzazione ha dato un contributo
decisivo a mostrare che la teoria classica dell’organizzazione aveva un carattere normativo, proponeva solo
uno dei possibili paradigmi per analizzare e progettare le organizzazioni e veniva in parte superata da nuovi
paradigmi: dall’orologio all’organismo, dal castello alla rete (Butera19).
La sociologia dell’organizzazione aveva svelato la profondità e la dinamica dei fenomeni sociali che
fanno nascere, evolvere e morire le organizzazioni (Stinchcombe20) e aveva revocato ogni dubbio sulla
possibilità che possano considerarsi fondate una teoria ed una metodologia unica (best way of
organizing) per analizzare e progettare tipi di organizzazioni diverse ed in contesti diversi: scuole, aziende,
ospedali, negozi, circhi equestri, produzioni cinematografiche, centri di ricerche, ecc. Pietre miliari di tale
processo furono – tra gli altri – la critica all’organizzazione informale e la scoperta della pluralità dei sistemi
di regolazione all’interno della stessa organizzazione (Gouldner21), la teoria delle contingenze organizzative
18. Butera F., Bagnara S., Cesaria R., Di Guardo S., Knowledge Working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza, Mondadori
Università, Milano, 2008.
19. Butera F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1991.
20. Stinchcombe A.L., Social Structure and Organizations, in March J. G. (ed.), Handbook of Organizations, Rand McNally,
Chicago, 1965.
21. Gouldner A.W., op. cit.
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(Perrow22 , Lawrence e Lorsh23), lo studio dei rapporti fra organizzazione e tecnologia (Touraine24,
Woodward25, Meissner26 insieme a Trist, Emery27 ed altri), l’approfondimento del rapporto fra istituzioni ed
organizzazioni (Granovetter28, Powell e Di Maggio29), l’ecologia delle popolazioni organizzative (Aldrich30),
lo svelamento del sense making (Weick31), la successione dei paradigmi e delle metafore ed altri importanti
contributi.
La sociologia dell’organizzazione nasce insieme con l’idea del ciclo di vita dell’organizzazione e con
l’idea della reciproca interdipendenza fra organizzazione e società. Capire e progettare l’organizzazione
come sistema in continua transazione con altri sistemi richiede di comprendere e regolare i rapporti
fra le organizzazioni e le istituzioni, i movimenti sociali, i processi politici, i fenomeni culturali: sia quelli
internalizzati nelle singole organizzazioni che quelli della società allargata. Dove finisce il confine della
competenza della disciplina rispetto ad altre branche della sociologia e soprattutto ad altre discipline è
un problema sempre aperto a cui non si può rispondere fissando steccati, ma asserendo che la sociologia
dell’organizzazione è una scienza a base sociologica tendenzialmente multidisciplinare oppure che è una
disciplina at the crossroad.
La linea di pensiero di chi scrive è stata quella per cui la sociologia dell’organizzazione non ha solo
la missione di capire e spiegare, ma anche quella di contribuire alla progettazione: progettare sistemi di
regolazione; progettare strutture e funzionamenti di organizzazioni complesse; definire sistemi di ruoli.
Per far ciò non può chiudersi nei confini delle scienze sociologiche, ma in molti casi deve mantenere
anche rapporti di stretta collaborazione con altre discipline (economia, diritto, scienze politiche,
tecnologia, psicologia ed altro) e con pratiche professionali ad esse connesse (ad esempio la legislazione,
l’amministrazione pubblica, la progettazione tecnologica, la formazione degli adulti, la consulenza di
direzione, ecc.). Da qui l’idea della ricerca-intervento sull’organizzazione (Kurt Lewin32, Emery e Trist33,
Herbst34), da cui è nato in Inghilterra negli anni ’60 il Tavistock Institute ed in Italia nel 1974 l’Istituto IRSO
(Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi) .
2. Rilevanza socio economica. La sociologia dell’organizzazione si occupa di problemi rilevanti.
L’organizzazione non è un’isola di razionalità (sia pur limitata) nel disordine dei processi di movimenti
sociali e nella complessità dei fenomeni economici. L’organizzazione non è il luogo protetto dove ci si
22. Perrow C., Organizational Analysis: a Sociological View, Tavistock Publications, London, 1969.
23. Lawrence P.R., Lorsch J.W., Organization and Environment, Harvard University Press, Cambridge, 1967.
24. Touraine A., Critica della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993 (ed. or., Critique de la modernité, Fayard, Paris, 1992).
25. Woodward J., Organizzazione industriale. Teoria e pratica, Rosenberg & Sellier, Torino, 1975 (ed. or., Industrial Organization:
Theory and Practice, Oxford University Press, Oxford, 1965).
26. Meissner M., Technology and the Worker. Technical Demands and Social Processes in Industry, Chandler Pub. Co., San
Francisco (CA), 1969.
27. Emery F., Trist E., in Trist E., Murray H., The Social Engagement of Social Science, vol. II, University of Pennsylvania Press,
Philadelphia, 1993.
28. Granovetter M., Economic Action and Social Structure: the Problem of Embeddedness, in American Journal of Sociology,
91, 1985, pp. 481-510.
29. Powell E., Di Maggio P., The New Institutionalism in Organizational Analysis, University of Chicago, Chicago, 1991.
30
Aldrich H., Organizations and environments, Stanford University Press, Palo Alto (CA), 2008.
31
Weick K. E., op. cit.
30.
31.
32. Lewin K., La teoria, la ricerca, l’intervento, a cura di Colucci P., il Mulino, Bologna, 2005 (ed. or., Field Theory in Social Science.
Selected Theoretical Papers, Harper & Row, New York, 1951).
33. Emery F., Trist E., op. cit.
34. Herbst P., Sociotechnical System Design, Tavistock Publications, London, 1974.
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limita a studi e progetti sulle scorte e giacenze di magazzino, sui cicli di lavoro, sui sistemi informativi, sui
processi decisionali, sulla leadership, sulla motivazione, così via. Da decenni la sociologia dell’organizzazione
al contrario studia come vengono internalizzati nell’organizzazione o esternalizzati dalla organizzazione
i grandi fenomeni della società in generale e quella italiana in particolare. Lo illustriamo nel successivo
paragrafo 5.
5. Alcuni fra i temi di sociologia dell’organizzazione
Oltre la principale fra le funzioni della sociologia dell’organizzazione che abbiamo illustrato nel
paragrafo 3 (la successione dei paradigmi organizzativi), toccheremo ora quattro tematiche su cui la
sociologia dell’organizzazione internazionale ed italiana si è misurata, intervenendo su problematiche di
acuta e concreta rilevanza sociale. Vi sono altri temi ma i limiti di questo contributo non consentono una
rassegna esaustiva.
5.1. Tecnologia e organizzazione
È questa una delle aree su cui è nata e si è sviluppata la sociologia dell’organizzazione. In essa si sono
sviluppati due filoni: quello dell’analisi comparativa e quello della scuola socio-tecnica.
Nel primo filone – che include Touraine35, Burns e Stalker36, Woodward37, Perrow38, Pugh39 e la scuola di
Aston, Blauner40, Meissner41, ecc. – troviamo uno dei più impegnativi programmi di ricerca delle discipline
sociologiche: quello teso in primo luogo ad identificare gli effetti del progresso tecnico sull’organizzazione
produttiva e sociale e sul lavoro; in secondo luogo a definire se la tecnologia determini o no le strutture
dell’organizzazione e del lavoro (il cosiddetto dibattito sul determinismo tecnologico). Ma in verità questo
programma avvia un’insuperata analisi e definizione dei componenti del fenomeno organizzativo e del
lavoro, per identificare infine le sfere di autonomia del sistema sociale rispetto al trionfante sviluppo
tecnologico ed i “margini di manovra” della progettazione di sistemi tecnico-organizzativi. In tale
filone di ricerca le aree disciplinari contigue alla sociologia dell’organizzazione sono state molte: l’analisi
della tecnologia (Crossman42), l’economia (Galbraith43), le scienze manageriali (da Bright a Galbraith),
l’informatica, le scienze politiche (Braverman44), la storia della tecnologia (Rosenberg45, Utterback46) ed
ovviamente le discipline ingegneristiche.
35. Touraine A., op. cit.
36. Burnst T., Stalker G.M., The Management of Innovation, Tavistock Publications, London, 1961 (tr. it., Direzione aziendale e
innovazione, FrancoAngeli, Milano, 1974).
37. Woodward J., op. cit.
38. Perrow C., op. cit.
39. Pugh D.S., Hickson D.J., Hining C.R., Organizational Structure in Its Context: the Aston Programme, Gower Press, London, 1976.
40. Blauner R., Alienazione e libertà: una ricerca sulle condizioni del lavoro operaio, FrancoAngeli, Milano, 1971, 1983 (ed. or.,
Alienation and Freedom, University of Chicago Press, Chicago, 1964).
41. Meissner M., op. cit.
42. Crossman E.R., Taxonomy of Automation, OECD, Paris, 1966.
43. Galbraith J., Designing Organizations, Jossey-Bass Publishers, San Francisco (CA), 1995.
44. Braverman H., Lavoro e capitale monopolistico, Einaudi, Torino, 1978 (ed. or., Labor and Monopoly Capital, Monthly Review
Press, New York, 1974).
45. Rosenbers N., Perspective on Technology, Cambridge University Press, Cambridge, 1976 (tr. it., Le vie della tecnologia,
Rosenberg & Sellier, Torino, 1987).
46. Utterback J., Mastering the Dynamics of Innovations, Harvard Business Review, Boston (Mass.), 1994.
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L’altro filone è quello socio-tecnico orientato ad analizzare gli effetti reciproci fra tecnologia ed
organizzazione ed a progettarle congiuntamente: pensiamo ai contributi di Emery e Trist47, Davis48. Il
determinismo tecnologico qui non è neanche assunto come ipotesi. Le metodologie sono qualitative.
Vengono assunti – sia pur senza integrarli – tre paradigmi: quello sistemico, quello dei gruppi autonomi
come sistemi autopoietici (che “contengono” l’attore o l’osservatore), e quello della ricerca intervento come
metodo di partecipazione e di interazione scienza/azione, analisi/trasformazione.
Sono labili i confini degli studi socio-tecnici con quelli dell’ergonomia, con gli studi di man/machine
task allocation (Chapanis49), con gli studi man machine interfaces (Rasmussen50), con gli studi di intelligenza
artificiale (Winograd51) nonché con le metodologie della progettazione (Davis) e con i movimenti di
umanizzazione del lavoro e di quality of working life.
In Italia vi è una tradizione robusta di studi sul rapporto fra tecnologia ed organizzazione inaugurata
da Ferrarotti 52, Gallino53, da Bonazzi54, da Anfossi55 negli anni sessanta. Con vivaci polemiche e con una
forte presenza nel dibattito politico-sociale sono stati attivi molti sociologi italiani negli anni ’80 e ’90
come De Masi56, Pichierri57, Butera58, Reyneri59, Cella60, La Rosa61, Lanzara62, Bianco, Luciano63, Negrelli 64 ecc.
Questi sociologi si sono trovati a concordare, confondersi, dissentire fra loro e con ingegneri come De
Maio65, Ciborra, con economisti come Antonelli, Frey, Dall’Aringa, con psicologi come Novara, Bagnara, con
informatici come Degli Antoni, De Michelis66, ecc.
I problemi che oggi sottendono a quest’area sono tuttavia gravi e drammatici. Quanto e quale lavoro
vi sarà nella rivoluzione tecnologica in atto? È questa rivoluzione governabile e da chi? Come progettare
47. Emery F., Trist E., op. cit.
48. Davis L.E., Cherns A.B., The Quality of Working Life, The Free Press, New York, 1975.
49. Chapanis A., On the Allocation of Functions between Men and Machines, in Schultz D. P. (ed.), Psychology and Industry,
Macmillan, London, 1965, 1970, 1971.
50. Rasmussen J., Information Processing and Human-Machine Interaction, An Approach to Cognitive Engineering, North–
Holland, New York, 1986.
51. Winograd T., Flores C.F., Understanding Computers and Cognition – a New Foundation for Design, Ablex Publishing
Corporation, Norwood, 1986.
52. Ferrarotti F. Macchine e uomo nella società industriale, ERI, Torino, 1963
53. Gallino L. Progresso tecnologico e evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1946-1959, Giuffrè Milano , 1960
54. Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano, 1995.
55. Anfossi A. Prospettive sociologiche sull’organizzazione aziendale, Franco Angeli, Milano, 1988
56. De Masi D. (con Bonzanini A.), Trattato di sociologia del lavoro e dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1984
57. Pichierri A., Introduzione alla sociologia dell’organizzazione, il Mulino, Bologna, 2005.
58. Butera F., Il castello e la rete: Impresa, Organizzazione e Professioni nell’Europa degli anni ’90, FrancoAngeli, Milano, 1991.
59. Reyneri E., Sociologia del mercato del lavoro, il Mulino, Bologna, 1996.
60. Cella G., Trasformazioni sociali e nuove forme di regolazione. Lavoro, organizzazione, relazioni industriali e sviluppo,
FrancoAngeli, Milano, 1986.
61. La Rosa M., Sociologia del lavoro, Jaca Book, Milano, 1997.
62. Lanzara G.F., Capacità negativa: competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, il Mulino, Bologna,
1993.
63. Luciano A., Arti maggiori. Comunità professionali nel terziario avanzato, Nuova Italia Scientifica, Firenze, 1987.
64. Negrelli S., La società dentro l’impresa, Franco Angeli Milano, 1991
65. De Maio A., Bartezzaghi E., Brivio O., Zanarini G., Informatica e processi decisionali, FrancoAngeli, Milano,
1982.
66. De Michelis G., A che gioco giochiamo? Linguaggio, organizzazione, informatica, Guerini e Associati, Milano,
1995.
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nuovi ruoli sociali come quelli degli scienziati ricercatori progettisti ed in genere nuovi professionisti? Come
ridisegnare il lavoro?
5.2. Organizzazioni “regionali”
È il filone di studi sull’organizzazione economica e sociale di territori definiti (una città, un distretto, una
regione, ecc.) che – adoperando metodologie sia sincroniche che diacroniche – hanno esplorato in primo
luogo i processi di nascita e morte delle singole organizzazioni di un territorio. Tali studi hanno identificato
profili e tendenze di strutture economico-sociali non visibili “ad occhio nudo” composte da pluralità di
soggetti collettivi, economici ed istituzionali e di soggetti individuali che condividono lo stesso territorio
geografico, le stesse risorse infrastrutturali, la stessa cultura, lo stesso sistema di relazioni politico-sociali.
Questo filone ha avuto contributi importanti da Selznick67 di TVA and the grass roots, da Stinchcombe68,
da Aiken e Hage69, da Aldrich. Esso è stato curato in Italia da autori che si sono interrogati su acute
questioni in merito allo sviluppo ed al declino di intere aree del nostro paese: per citare solo alcuni nomi,
che chiariscono forse meglio delle definizioni di che cosa stiamo parlando, pensiamo a Pizzorno70, Paci71,
Bagnasco72, Pichierri73, Trigilia74, Perulli75.
Il confine con il lavoro degli economisti (Fuà, Beccattini, Brusco76, Lorenzoni, Varaldo per citare solo
qualche nome), degli antropologi e degli scienziati politici è stato spesso attraversato in molte direzioni.
5.3. Le reti organizzative
Williamson77 innova la prospettiva di analisi delle strutture organizzative e del mercato riunificando
teoria dell’impresa e teoria dell’organizzazione. Ouchi78 completa il suo modello aggiungendo alla gerarchia
ed al mercato anche il “clan”. Mentre si sviluppano imprese reti, imprese no-manufacturing, “aziende cave”,
“costellazioni di imprese”, “sistemi solari di imprese”, a livello internazionale si apre un violento scontro
fra questa nuova prospettiva di organizational economics e sociologi come Perrow79 e Granovetter80. Ma
un nuovo programma di ricerca è ormai iniziato con allo sfondo il radicale mutamento della struttura
dell’impresa.
67. Selznick P., Leadership in Administration: A Sociological Interpretation, Peterson Row, Evanston, 1957.
68. Stinchcombe A.L., op. cit.
69. Aiken M., Hage I., Organizational Interdependence and Intra-organizational Structure, in American Sociological Review, 32,
1967, pp. 46-53.
70. Pizzorno A., Crouch C. (a cura di), Conflitti in Europa. Lotte di classe, sindacati e stato dopo il ’68, Etas Libri, Milano, 1977.
71. Paci M., Mercato del lavoro e classi sociali, Il Mulino, Bologna, 1972.
72. Bagnasco A., Tre Italie, il Mulino, Bologna, 1977.
73. Pichierri A., Organizzazioni rete, reti di organizzazioni: dal caso anseatico alle organizzazioni contemporanee, in Studi
Organizzativi, 3, 1999, pp. 19-41.
74. Trigilia C., Sviluppo senza autonomia, il Mulino, Bologna, 1992.
75. Perulli P., Atlante metropolitano, il Mulino, Bologna, 1992.
76. Brusco S., Piccole imprese e distretti industriali, Rosenberg & Sellier, Torino, 1989.
77. Williamson O.E., Market and Hierarchies. Analysis and Antitrust Implications: A Study in the Economics of Internal
Organization, Free Press, New York, 1975; Williamson O.E., The Economic Institutions of Capitalism, The Free Press, New York,
1986 (tr. it., Le istituzioni economiche del capitalismo, FrancoAngeli, Milano 1987).
78. Ouchi W.G., Markets, Bureaucracies, and Clans, in Administrative Science Quarterly, 25, 1, 1980, pp. 129-141.
79. Perrow C., op. cit.
80. Granovetter M., op. cit.
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Mentre storici come Chandler81 ed economisti come Piore e Sabel82 annunciano l’avvento dell’economy
of scope (l’economia della flessibilità che succede all’economia di scala), Williamson83 sviluppa il suo
programma di ricerca sui costi di transazione, Flores e Winograd84 rifondano i modelli per la comunicazione,
Evan85, White86 ed altri mettono le basi per la network analysis, l’analisi interorganizzativa.
I casi di Benetton, di Prato, delle costellazioni d’impresa, dell’economia sociale dell’Emilia-Romagna,
dei nuovi parchi tecnologici, della coesistenza tra concentrazioni finanziarie e decentramento della
produzione e del terziario, fanno del tema dell’“impresa rete” uno dei temi più controversi e dibattuti
del passaggio ad una società neo-industriale o post-industriale (Workshop “L’impresa rete”, Istituto IRSO,
198887). Non vi è, inoltre, chi non veda chiaramente che tutto questo processo non può essere né spiegato
né orientato senza l’impiego di categorie di sociologia dell’organizzazione: modelli organizzativi, culture
organizzative, modelli e tipi di professioni, processi di presa della decisione e di gestione del potere entro
ambiti territoriali, modelli di comunicazione, modelli di partecipazione/negoziazione/gioco/progettazione,
sono categorie fondamentali per analizzare gli aspetti organizzativi del mercato e le nuove dimensioni
transazionali dell’organizzazione.
Infatti anche su questo tema la sociologia dell’organizzazione in Italia ha fornito contributi di rilievo:
Bagnasco88, Paci89, Butera90, De Masi91, Perulli92, Pichierri93 per fare solo qualche nome di studiosi che si sono
occupati delle trasformazioni del lavoro e dell’impresa rete e delle reti di impresa.
I programmi di ricerca sono condotti con studiosi di altre discipline sugli stessi temi: Momigliano, Vaccà,
Antonelli, Rullani, Dosi fra gli economisti; Rugiadini, Naccamulli fra gli studiosi di management; Dioguardi
fra gli ingegneri.
5.4. Cultura ed organizzazione
Lo studio dei valori, delle credenze, dei linguaggi, dei simboli, delle identità si è sviluppato nella
sociologia dell’organizzazione lungo due filoni paralleli e spesso confluenti: le culture, come attributi e
“proprietà operative delle organizzazioni” (Bales, Cyert e March94, Hofstede95, Bittner, ecc.); oppure la
cultura come fattore “fondativo” o quanto meno connotativo delle organizzazioni, le culture non come
81. Chandler A.D., Strategy and Structure, MIT Press, Cambridge, 1966 (tr. it., Strategia e Struttura, FrancoAngeli, Milano, 1976).
82. Piore M.J., Sabel C.F., The Second Industrial Divide, Basic Books, New York, 1984 (tr. it., Le due vie allo sviluppo industriale,
Isedi, Torino, 1987).
83. Williamson O.E., op. cit.
84. Winograd T., Flores C.F., op. cit.
85. Evan W.M., The Organization-set: toward a Theory of Interorganizational Relations, in Thompson J.D. (ed.), Approaches to
Organizational Design, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, 1966.
86. White H.C., Boorman A., Breiger R.L., Social Structure from Multiple Networks: Blockmodels of Roles and Positions, in
American Journal of Sociology, 81, 1976, pp. 730-780.
87. Butera F., Dioguardi G., L’impresa Rete e le Reti di Imprese. La nascita di un nuovo paradigma organizzativo: una Storia e
un futuro da innovare. Il workshop dell’Istituto IRSO a Camogli nel 1988, in Quaderni Fondazione Gianfranco Dioguardi, 2014.
88. Bagnasco A., op. cit.
89. Paci M., op. cit.
90. Butera F., I frantumi ricomposti: struttura e ideologia nel declino nel taylorismo in America, Marsilio, Padova, 1972.
91. De Masi D. (a cura di), L’emozione e la regola, Laterza, Roma-Bari, 1989.
92. Perulli P., La città delle reti, Bollati Boringhieri, Torino, 2000
93. Pichierri A., op. cit.
94. Cyert R.M., March J.C., Teoria del comportamento dell’impresa, FrancoAngeli, Milano, 1970 (ed. or., A Behavioral Theory of
the Firm, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ, 1963).
95. Hofstede G., Cultures and Organizations, McGraw–Hill, London, 1991.
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qualcosa che le organizzazioni hanno ma come ciò che le organizzazioni sono (Parsons, Merton96,
Gouldner, e recentemente Morgan97). È questa l’area in cui i confini della sociologia dell’organizzazione con
le altre discipline sono inesistenti: con l’antropologia (Lvi-Strauss, Mauss, Turner, Geertz), con la linguistica
(Barthes), con la cibernetica (Stafford Beer, Ashby), con la psicologia clinica (Goffman), con la psicologia
sociale (Brown, Katz e Kahn, Shein), con gli storici (Sapelli), ecc.
In Italia la sociologia dell’organizzazione e del lavoro ha offerto contributi di livello internazionale sui
temi della cultura per esempio con le opere di Gallino98, Bonazzi 99 , Accornero 100, De Masi ed altri. Dopo
la popolarizzazione della problematica ad opera di Gagliardi, è emerso un filone di studi sulle comunità di
pratica e la “conoscenza situata”, di cui Gherardi101 è stata la principale rappresentante.
I problemi che questa area tematica evoca sono assai rilevanti e discussi: la cultura d’impresa, la cultura
del lavoro, il management delle “risorse simboliche”, l’ideologia organizzativa, ecc.
6. Tre compiti per la sociologia dell’organizzazione in Italia
Alcune delle emergenze nazionali a metà del 2014 (crisi e fallimenti delle imprese, disoccupazione,
competenze per cambiare lavoro, semplificazione e riduzione dei costi della burocrazia, corruzione, lentezza
della giustizia, costi e qualità della sanità, degrado dei beni ambientali, mancata difesa e valorizzazione dei
beni culturali, inadeguatezza delle scuole e delle università, difesa sociale, e molte altre) hanno la loro
causa originaria nelle inadeguatezze delle organizzazioni che avrebbero la responsabilità di affrontare tali
emergenze e nella loro scarsa capacità di cambiamento ed innovazione. In Italia parlare dell’organizzazione
di singole imprese grandi, di sistemi territoriali di imprese, della scuola, della pubblica amministrazione,
di criminalità vuol dire evocare grandi problemi della società: il problema Nord/Sud; la stratificazione;
l’eguaglianza e la disoccupazione; la creazione e distinzione di attività economiche; la struttura istituzionale;
il conflitto e la cooperazione; il potere; il mercato del lavoro; la criminalità organizzata. Questo delinea la
missione delle scienze organizzative.
Vi sono in particolare tre cruciali aree di studio e progettazione per la sociologia dell’organizzazione
nell’Italia del 2014 e sono la riforma dell’impresa e della Pubblica Amministrazione e la riforma del lavoro.
La prima parte dalla antica questione della responsabilità sociale dell’impresa: se le organizzazioni
complesse che producono beni o servizi in un mondo globalizzato possono essere democratizzate, e
rese efficienti, possono perseguire in modo equilibrato e sostenibile obiettivi economici e sociali, possono
essere governate da poteri decentrati. Alternative di un’economia democratizzata sono state indicate
dalla letteratura internazionale: reti basate su relazioni indipendenti di lungo termine tra imprese grandi e
medie e fornitori costituiti da piccole e medie imprese (Perrow102, Butera103, Nohria e Eccles104, Castells, Di
96. Merton R.K., Social Theory and Social Structure, Free Press, Glencoe (NY), 1949 (tr. it., Teoria e struttura sociale, I, II, III, il
Mulino, Bologna, 1959, 1966, 1971).
97. Morgan F., Images of Organization, Sage Publications, Beverly Hills (CA), 1986 (tr. it., Le metafore dell’organizzazione,
FrancoAngeli, Milano, 1989).
98. Gallino L., Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino, 1968.
99. Bonazzi G., Colpa e potere: sull’uso politico del capro espiatorio, il Mulino, Bologna, 1983.
100. Accornero A., Il lavoro come ideologia, il Mulino, Bologna, 1980.
101. Gherardi S., Dalla comunità di pratica alle pratiche di comunità: breve storia di un concetto in viaggio, in Studi
Organizzativi, 10, n°1, 2008 (pp 49-72)
102. Perrow C., op. cit.
103. Butera F., op. cit.
104. Eccles R., Nohria N., Networks and Organizations, Harvard University Press, Cambridge, 1992.
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Maggio) totalmente o parzialmente indipendenti in un mutevole equilibrio di potere tra cooperazione e
concorrenza nei processi di produzione e di conoscenza globale. Inoltre il motto “impresa con un’anima” è
stato sostenuto da imprenditori illuminati come Adriano Olivetti e studiosi come J. K. Galbraith, Bartlett e
Goshal, Amartya Sen ed in Italia Gianfranco Dioguardi105, Giulio Sapelli106. L’idea di impresa integrale è stata
sviluppata da Butera107 (1999).
La seconda è la riforma delle Pubbliche amministrazioni. Nell’attuale congiuntura economica in Italia
vi sono alcune “missioni eroiche”, ossia impegni difficili che istituzioni e Pubbliche Amministrazioni
devono affrontare. In primo luogo occorre liberare le pubbliche amministrazioni di elementi che risultano
inadeguati, inappropriati, negativi: ossia lo “svuotare” l’amministrazione di zavorra ed incrostazioni, di ciò
che è vecchio e non serve più ed eliminare norme, regolamenti, procedure, posizioni di lavoro inutili,
processi ed aree di attività inefficienti. In secondo luogo occorre costruire elementi di vera novità nei servizi,
nei processi, nelle strutture, nell’organizzazione, nella gestione, nelle tecnologie. Infine occorre ricostruire o
costruire legalità, trasparenza e nuove “identità delle amministrazioni”, potenziando le istituzioni, facendo
emergere i propri valori positivi, aumentare il prestigio, sfatare la contrapposizione fra un privato efficiente
ed un pubblico burocratico, inefficiente, pieno di fannulloni.
La terza questione è la riforma del lavoro: è possibile reinventare il lavoro su larga scala, contro la
disoccupazione e la polarizzazione del mercato del lavoro fatta di alcuni specialisti super-qualificati ben
pagati e di una grande maggioranza di non qualificati e lavoratori precari?
Sta emergendo e può essere diffuso un modello di lavoro, quello costituito dalle professioni dei
servizi nelle organizzazioni (service professions) svolte all’interno di imprese grandi, medie e piccole; reti
organizzative; organizzazioni non profit; studi professionali; pubbliche amministrazioni ed altre forme di
lavoro organizzato (Butera108).
Le professioni dei servizi nelle organizzazioni includono sia il lavoro della conoscenza in tutte le sue
accezioni (il sapere perché, il sapere che cosa, il sapere come, il sapere per chi, il sapere usare le routines, il
sapere usare le mani, ecc.) sia soprattutto il lavoro di relazione con il cliente esterno od interno.
Lo sviluppo di queste professioni è oggi una delle principali armi contro la disoccupazione. Esse sono
la componente chiave della crescita e competitività dei servizi: del terziario totale (ricerca, salute, scuola,
telecomunicazioni, previdenza, banche ed assicurazioni, commercio, turismo e tutela dei beni culturali,
ecc.) e del terziario per il sistema produttivo (le attività interne alle imprese industriali relative a ricerca e
sviluppo ovvero R&S, pianificazione, organizzazione, vendite, management, assistenza alla clientela, ecc.),
ossia la stragrande maggioranza degli occupati.
Le “professioni dei servizi” raccolgono l’eredità e superano sia i caratteri di razionalità delle occupazioni
industriali che hanno potenziato nel XX secolo la produttività del lavoro (aggiungendo oggi ad esse
autonomia e responsabilità), sia il lavoro artigiano vecchio e nuovo che assicura qualità e bellezza
(aggiungendo ad esso capacità di fornire servizi di alto valore insieme con tutta l’organizzazione), sia
la formazione, giurisdizione e responsabilità delle libere professioni e delle professioni scientifiche
(aggiungendo ad esse la cooperazione all’interno delle organizzazioni: ossia concepire e rafforzare un
“futuro professionale”.
Riforma dell’impresa e della Pubblica Amministrazione e riforma dei ruoli e delle professioni sono la
sfida più importante di fronte ai sociologi italiani ed in particolare ai sociologi dell’organizzazione.
105. Dioguardi G., L’impresa nella società del terzo millennio, Laterza, Roma-Bari, 1996.
106. Sapelli G., Per una cultura dell’impresa. Strategia e sapere del management moderno, FrancoAngeli, Milano, 1989.
107. Butera F., La media impresa costruita per durare, FrancoAngeli, Milano, 1999.
108. Butera F., Service professions. Le professioni dei servizi nelle organizzazioni come fattore chiave per la competitività e contro
la disoccupazione, in Studi Organizzativi, 2, 2013, pp. 91-136.
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