2. La società come soggetto - Una grande lezione: il Collegio di

Immaginario sociale
22/11/2006
2. La società come soggetto - Una grande lezione: il Collegio di
sociologia
di Attilio Mangano
1. La sociologia sacra
Il Collegio di Sociologia, fondato da Georges Bataille e Roger Caillois
nel 1937, svolse per quasi due anni una attività di conferenze e dibattiti(che
si tenevano ogni due settimane in una libreria del Quartiere Latino) con la
presenza di alcuni fra i più significativi esponenti della intelligentia
parigina, fra cui Klossowski, Kojève, Leiris, Paulhan, de Rougemont, Wahl.
Se da un lato nei suoi confronti permane un fondo quasi leggendario di
rievocazioni e richiami (che comprende la zona "misteriosa" di rapporti da
società segreta - come quella che sembra essere stata promossa con
"Acephale" nel corso del 1937 da Bataille stesso) dall'altro la pubblicazione
dei suoi materiali consente di andare al di là delle leggende e di misurarsi
con testi, modelli teorici, appunti e di individuare le linee direttive di quella
stessa sociologia sacra che il Collegio voleva promuovere.
"Essa si propone così di stabilire i punti di coincidenza tra le tendenze
ossessive fondamentali della psicologia individuale e le strutture direttive
che presiedono all'organizzazione sociale e ne determinano le rivoluzioni”
si legge nella Dichiarazione relativa alla fondazione del Collegio.
E subito emerge la volontà di un confronto fra l'analisi " delle strutture
delle società dette primitive" e le società moderne. Nella Introduzione
(firmata R.C.,Roger Caillois) c'é un capoverso finale: “L'uomo valorizza
all'estremo certi istanti rari, fuggitivi e violenti, della sua esperienza intima.
Il Collegio di Sociologia parte da questo dato di fatto e si sforza di rivelare
pratiche equivalenti proprio in seno all'esistenza sociale, tanto nei fenomeni
elementari di attrazione e repulsione che la determinano, quanto nelle sue
composizioni più significative e di maggiore spicco, quali le Chiese, gli
eserciti, le confraternite, le società segrete. Tre problemi principali
dominano questo studio: quello del potere, quello del sacro, quello dei miti.
La loro soluzione non é solo questione di informazione e di esegesi: é anche
necessario che abbracci l'attività totale dell'essere. “
2.Un crocevia di saperi
Per sociologia sacra si può dunque intendere una ricerca sul rapporto
individuo-società in termini che oltrepassino l'oggettivismo e il
funzionalismo della scienza sociale ,una ricerca del doppio legame
(attrazione - repulsione) che ricompone e rescinde il bisogno di comunità,
dell' "essere in comune".
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Fra società primitiva e società moderna permarrebbe dunque un tipo di
continuità (che può essere colta riconoscendo le "costanti" psichiche che
collegano esperienza intima ed esperienza sociale) che va individuata nelle
forme con cui il sociale si rappresenta, si organizza, si istituisce.
I miti (e i riti) compaiono in questa ipotesi di ricerca non più e non solo
come credenze religiose, comportamenti, rappresentazioni di un mondo
passato ma come punto di incontro permanente di una società, suo vero e
proprio fondo.
E' fin troppo evidente in questa proposta il richiamo a un sapere
trasversale e molteplice, che colleghi storia delle religioni ed antropologia
culturale, sociologia delle istituzioni e sociologia dei gruppi, quotidianità e
istituzione, micro e macro. Al tempo stesso siamo in presenza di un
contesto storico-culturale specifico, non solo per gli avvenimenti di "crisi"
(crisi di Monaco, nuove tendenze alla guerra, crisi delle democrazie,
consolidamento e trionfo di fascismo e nazismo) e per la ricerca (esplicita in
Bataille e negli ambienti del Collegio) di una " terza posizione " (né destra
né sinistra; per dirla con Sternhell) che proclama la sua stessa "ambiguità"
come un fattore costitutivo, ma anche per l'irripetibilità stessa di quella
stagione e di quegli incontri, caratterizzati dalle convergenze tra
nietzcheanesimo (richiamo al paganesimo, attenzione per il dionisiaco, per
la "volontà di potenza"), sociologia "positivista" (tradizione durkheimiana,
che comporta però il riconoscimento di fondo dell'effervescenza sociale),
antropologia del "dono" (secondo le suggestioni di Mauss) e concezione
appunto della società come fatto totale, storia delle religioni (influenza di
Dumezìl, attenzioni per i "riti").
Questo crocevia di saperi e di ricerche, di linguaggi e di metodi, che
vuole coniugare insieme il sacro istituzionale e il sacro che nasce per così
dire "dal basso", nell'istituente stesso, raggruppando vari tipi di
aggregazione sociale (dalle confraternite alla coppia, dalle Chiese ai rituali
esoterici) ha con sé una nozione di sacro che é sicuramente datata, carica di
troppe possibili attribuzioni di significato da un lato e “ingenua“o comunque
pur sempre schematica rispetto a un cinquantennio ulteriore di teorie del
sacro, della modernità e della post-modernità.
Eppure una semplice prima lettura dei vari testi finisce con l'incantare,
introducendo in un labirinto di codici e di simboli, di tradizioni e di
suggestioni che fanno di questa sociologia sacra un momento "classico" del
dibattito novecentesco. E aiuta a capire il senso di questo invito a studiare il
batailliano Collegio di sociologia come oggetto teorico e storico, crocevia di
saperi che si apre alla ricerca dell’immaginario in quanto campo generale
delle rappresentazioni del sociale.
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3. Il caso Bataille: un classico ma anche altro
E' gioco-forza, se ci si occupa del Collegio di Sociologia, occuparsi di
Bataille, vero e proprio mostro sacro del XX secolo, una sorta di grande
"maestro maledetto" che ognuno tira dalla sua parte, evoca, richiama.
In generale é destino di un pensiero che diviene "classico" produrre
insieme una sua retorica interpretativa, un richiamo obbligato, una
ritualizzazione (con il suo "luogo comune") e un sempre nuovo e possibile
sfondamento del confine, una rilettura o riscoperta che ne intravede altri
segnali. Ciò che sconsiglia di porre al centro della nostra ricerca il pensiero
di Bataille é dunque questo eccesso di ridondanza che neutralizza, ciò che
suggerisce di occuparcene egualmente é pur sempre un tipo di sapere ,per
frammenti e per metafore, che allude ad altro e che rende possibile rileggere
la sua opera. Ma, appunto, a condizione di non diventare in senso ossessivo
e pedantesco dei batailliani, esegeti del suo pensiero, glossatori delle sue
glosse. Perché se é vero che occuparsi di Bataille significa occuparsi di
Nietzsche e di Heidegger, dell'essere-per-la morte, del dionisiaco, della
trasgressione, della "parte maledetta", del rapporto storia-antropologia, del
rapporto marxismo-nietzscheanesimo, della teoria del fascismo, della teoria
della sovranità e via discorrendo, cioé occuparsi di una catena di
connessioni critiche e di problemi teorici che investono proprio tutto, si
tratta di ricondurre questo tutto all'interrogativo prima ricordato, alla
possibilità di stabilire i punti di coincidenza tra le tendenze ossessive
fondamentali della psicologia individuale e le strutture direttive che
presiedono all'organizzazione sociale e ne determinano le rivoluzioni.
Quel che forse interessa di più é proprio il Bataille "politico" della prima
metà degli anni trenta e il Bataille immediatamente post-politico o
"ambiguo" della fine degli anni trenta, l'inizio di una ricerca sulle strutture
psicologiche del fascismo e quindi sul rapporto fra psicologia e politica, la
messa in campo della coppia omogeneo-eterogeneo (di derivazione
durkheimiana , ma con nuove suggestioni), fino all'antropologia storica della
parte maledetta come proposta "globale". Ma tutto ciò interessa certo
contestualizzando e storicizzando la sua stessa lezione, in rapporto alla
configurazione del rapporto masse-potere (Elias Canetti) come forma
centrale della politica (e del "sacro"', sia pure tutto da ridefinire) nella prima
metà del XX secolo.
Bataille inaugura in fondo una ricerca sulle forme del simbolico, tenta
un'analisi del campo delle rappresentazioni, non elabora una teoria
dell'immaginario ma in un certo senso la fonda, la presuppone, la mette in
moto. Per fare un esempio: la recente microsociologia del quotidiano
sviluppata da Maffesoli é visibilmente debitrice di questa lezione batailliana
(coniugata poi con le nuove ricerche di Durand sulle strutture
antropologiche dell'immaginario). In questo senso occuparsi di Bataille
significa andare oltre, ricollegare i suoi modelli teorici al dibattito
posteriore.
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4. Una elaborazione “estrema” della politica come simbolismo
Bataille costituisce dunque l’esempio più significativo e probabilmente
clamoroso di una elaborazione , per certi versi ‘estrema’, che già nel corso
degli anni trenta e quaranta del XX secolo mette a fuoco i temi del
simbolico e li connette alla effervescenza del sociale.
Nella sua opera é possibile individuare in un certo senso il precorrimento
degli interrogativi sulle funzioni di legittimazione del mito e sul ruolo del
simbolismo sociale e politico che sono emersi in tempi più recenti. Intendo
ricordare in primo luogo il Bataille politico, che negli anni trenta
frequentava il surrealismo da un lato e i settori della dissidenza comunista
antistaliniana e delle sinistre libertarie dall'altro; che nel novembre del 1933,
proprio quando Heidegger tiene il suo discorso inaugurale per il Fuhrer,
pubblica “La struttura psicologica del fascismo”, nell'ambizione di superare
i limiti del modello marxista (con la sua struttura economica e sovrastruttura
ideologica) e interessandosi alle forme social-psicologiche dei movimenti
politici nel loro esprimere correnti affettive e passioni collettive.
E' un tipo di ricerca che si differenzia a sua volta da quell'altra, pure
importante, di Horkkeimer e Adorno sullo studio delle personalità gregarie
di massa, ponendo al centro la ricchezza inesauribile delle forme della vita e
richiamandosi per altro alla lezione di Durkheim sul rapporto fra omogeneo
ed eterogeneo nella vita sociale e sulla presenza di una dialettica fra "sacro"
e "profano".
Parte da qui la fondazione stessa di quella nozione di spreco o di
dispendio che culminerà nell'opera “La parte maledetta”. Parte da qui, al
tempo stesso, quel tentativo che lo stesso Benjamin attribuisce al
surrealismo, di "acquisire per la rivoluzione le forze dell'ebbrezza” e che
Habermas definisce anche lui estetizzazione della politica. Tutta l'attività
dello stesso batailliano Collegio di Sociologia riprende e approfondisce
questa attrazione e repulsione, questa aspirazione di ricerca verso un sapere
sistematico dei movimenti sociali, che non é solo uno studio - diremmo oggi
- di psicologia sociale, ma rinvia ad una economia generale della vita in cui
l'attività umana non può essere ridotta completamente al processo di
produzione e riproduzione. Va rilevato come il tentativo di Bataille sia stato
un tentativo reale di riconoscimento della simbolizzazione operante nella
politica non solo nel senso della canalizzazione dall'alto da parte del potere
ma anche in quello delle dinamiche di autoidentificazione e di costituzione
d'identità dei movimenti. Eppure questo tentativo é stato poco riconosciuto
nelle sue implicazioni e Bataille stesso, in nome delle sue stesse
"ambiguità", ha continuato a essere accusato di misticismo, irrazionalismo
etc. La domanda é dunque lecita: non é proprio il fuoriuscire di Bataille
dalle categorie dello storicismo, il suo stesso interesse per Nietzsche - e
quindi anche la sua estraneità verso la concezione "lineare" del tempo- da un
lato e il suo rapporto con le teorie del dono di Mauss , ma anche quello con
Dumezil, dall'altro, a creare una serie di"'sospetti" e di pregiudizi nella
cultura progressista della sinistra?
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5. Quale ambiguità?
Come ricorda nella sua bella introduzione al libro sul Collegio la stessa
Denis Hollier, la sinistra politica e antropologica ha guardato a lungo con
sospetto alla ricerca di Bataille. Il caso più esplicito di polemica é quello
avviato da Carlo Ginzburg e dai suoi spunti critici espliciti circa
l'equivoco progetto di una "sociologia sacra" delle realtà contemporanee.
Nella sua introduzione Hollier fa dell'equivoco e dell'ambiguità un punto
di forza e di specificità, non più o non solo un punto di debolezza., un
merito o comunque una strada diversa che si apre per la sua stessa
metodologia e le sue implicazioni. Al tempo stesso l'oggetto del contendere
teorico e politico, allora come oggi, é chiaro:
“Sostituendo il primato del simbolico ( o del mito alla Sorel) al primato
dell'economico, la sociologia del Collegio, come quella degli estremisti del
" né destra né sinistra", si contrappone al marxismo. +ell'un caso come
nell'altro la denuncia della decomposizione sociale, dell'atomizzazione
democratica si ispira a una visione spesso estetizzante e organicista della
società e della politica (ridare un'anima a un corpo, rianimare un mondo
senz'anima). (...)
Bataille aveva descritto il comunismo e il fascismo come " due
rivoluzioni ostili insieme l'una all'altra e all'ordine costituito". Esasperate
le differenze fino alla contraddizione, diventa possibile relegare in secondo
piano ciò che le distingue e identificare gli opposti, se non nel loro
contenuto concreto, positivo, che é ora accessorio, quanto meno nel loro
comune estremismo. (...) Poiché l'estremismo si situa per definizione al di
là di ogni posizione ( al di là del nazionalismo, del marxismo ecc.) gli
estremisti possono comunicare ( o pensare di comunicare) al di là di ciò che
li distingue, cioè per l'appunto al di là della limitatezza del principio di
identità”.
Occuparsi di Bataille e del Collegio di Sociologia significa pertanto
confrontare il percorso stesso del rapporto fra il materiale e l'immaginario
(per parafrasare un celebre libro di testo scolastico) o fra la struttura e la
sovrastruttura nel paradigma delle scienze umane e ripercorrerne le valenze
interpretative anche in chiave di storia delle culture politiche. Da un lato
ciò dovrebbe o potrebbe comportare un'angolazione specifica di tipo
storico-culturale, l'esame cioè delle connessioni fra teoria del simbolico e
cultura politica ( teoria della rivoluzione, teoria del politico, teoria del
consenso, teoria della trasformazione sociale) nel ventesimo secolo, nello
scontro comunismo-fascismo etc. Che rapporto c'é fra estetizzazione della
politica (Benjamin) , mito della "comunità" e sua nostalgia , concezione
della modernità , nelle ideologie politiche, nella "destra'" e nella "sinistra", e
come tutto ciò sia appunto lo sfondo, l'orizzonte ( a volte non dichiarato ma
pur sempre sotteso) della lotta politica di questo secolo.
Occuparsi del rapporto fra "primato del simbolico" e/o primasto
dell'economico può e deve significare al tempo stesso attraversare altri
momenti di ricerca contemporanei al Collegio ( si pensi alle Annales, per
fare il caso più famoso, ma anche appunto a Mauss; si pensi a quella che é
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stata chiamata la " linea" Mauss-Polany-Malinowski già ricordata nelle
pagine precedenti).
6. (ostalgia della comunità?
C'é nostalgia della "comunità" in Bataille e nel Collegio di Sociologia? E
cosa comporta nel confronto tra passato e presente e per la nostra storia il
riaprirsi del dibattito su comunità e società alla luce delle polemiche sul
populismo (mito della comunità contadina e operaia, tema della comunità
"organica") della sinistra - compresa quella "operaista" che pure ha pensato
di misurarsi con la modernizzazione ( razionalità/razionalizzazione
capitalistica) ?
D'altra parte ha senso oggi riprendere ancora una volta la coppia
comunità-società o essa é del tutto inadeguata e insufficiente? Come fa
notare il sociologo Aldo Bonomi nel suo studio Vita mixta (1994): “Le
nozioni classiche di comunità e società sono del tutto inadeguate per
comprendere il nostro tempo: esse descrivono un mondo passato che non
tornerà più. Infatti da un lato il sentire é divenuto una merce, non si chiede
più "dimmi a quale comunità appartieni e ti dirò chi sei, cosa senti e qual é
la tua lingua?" ma si chiede "dimmi a quale universo del pensare e del
sentire fai riferimento e ti dirò verso quale professione potrai indirizzarti,
qual é la tua sfera di diritti da rivendicare e comportamenti sociali a cui
fare riferimento e a cui adeguarti" Il sentire é divenuto barra di
orientamento nella moltitudine indistinta. D'altro canto, l'interesse ha
talmente ampliato il proprio ambito da comprendere il mondo simbolico ed
emozionale, relegato in passato o nella sfera privata o nella famiglia o nella
comunità”. (...)
"L'uomo contemporaneo é sempre a casa, alla ricerca della comunità ed
é sempre in cammino alla ricerca della società, ma non ha più una patria a
cui tornare o una terra da conquistare. In una tale situazione il vivere
sociale é come uno star per via e ciò che é importante é che sia comoda la
sosta e che l'imprevisto non ci colga del tutto impreparati.
Proprio nel momento in cui pare per il soggetto non esserci più comunità
e società di riferimento certo, ci si interroga su che cosa significa essere in
comune. Essere tanti in uno, ma quando é così, come dice Bataille: "se
l'insieme degli uomini- o più semplicemente la loro esistenza integrale - si
incarnasse in un solo essere evidentemente solitario e abbandonato quanto
l'insieme- la testa di questo incarnato sarebbe il luogo di un combattimento
implacabile ...Questo incarnato dovrebbe vedere Dio e ucciderlo nello
stesso momento, diventare Dio lui stesso, ma soltanto per precipitarsi
immediatamente nel nulla". L'individuo é solo quel che resta dell'esperienza
della dissoluzione della comunità. L'individuo si rivela come il risultato
astratto di una decomposizione. Per fare un mondo, per fare un agire
sociale, ci vuole un clinamen, ci vuole una inclinazione, una pendenza
dell'uno verso l'altro. Il tendere alla comunità é il clinamen dell'individuo
(...)
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7. Fine della politica e comunità possibile
La fine del 900 segna la fine della politica e dell'ideologia basata sul
rapporto massa -potere, ma é anche la trasformazione della categoria
massa in moltitudine. Da qui necessita ripartire per ricostruire una
comunità possibile, intendendosi con il termine comunità quel rapporto fra
filosofia e politica, tra pensare ed agire che stava nella terza parola
d'ordine della Rivoluzione, libertà, eguaglianza e fratellanza.
A partire dalla triade indicata dal collegio di Sociologia stesso, cioè dallo
studio del potere, del sacro e dei miti é possibile re-interrogarsi sul
significato di una sociologia del sacro oggi( oggi che, come ricorda
Perniola, lo stesso dibattito si é complessificato fino al punto di potere e
dover distinguere tra un " più che sacro" e un " più che profano")?
Ciò significa spostare oltre il collegio di Sociologia e il suo contesto le
problematiche stesse: verso una rilettura del rapporto fra simbolismo e
politico, verso una ridefinizione del paradigma del simbolico e
dell'immaginario, verso un riesame del rapporto rappresentazione-politica
nel XX secolo (dall'estetizzazione della politica al "situazionismo").
Ciò significa al tempo stesso contestualizzare e storicizzare la lezione
stessa del Collegio di Sociologia alla luce del dibattito sul "sacro'" degli anni
trenta, della crisi dell'intellettualità in quegli anni e della reinterpretazione
dello scontro interno al XX secolo, quello fra comunismo e fascismo, dentro
una storia delle forme del politico e del rapporto masse-potere.
Ciò significa infine ridiscutere di comunità e società, comunità possibile,
comunità "inconfessabile" (Blanchot), comunità "inoperosa" (Nancy),
comunità " che viene" ( Agamben) dentro la trasformazione attuale, in
termini che consentano di ridiscutere un secolo che chiude.
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