Family day: Dalla società civile un nuovo protagonismo

Family day: Dalla società civile un nuovo protagonismo
(Pier Luigi Fornari intervista Pier Paolo Donati in Avvenire, 15 maggio 2007)
Un vero protagonismo della società civile. dà la sua lettura di sociologo di quel
milione e più di persone radunate sabato in Piazza San Giovanni: «ll nucleo vitale della
società civile italiana si è sentito chiamato in causa per testimoniare i valori autentici
dell'esistenza familiare vissuti quotidianamente: l'amore tra coniugi, tra i genitori e i
figli. Ha sentito l'urgenza di alzare la voce per difendere la famiglia, perché
altrimenti la società italiana va alla deriva. È l'autenticità del buon senso, del senso
comune che è scesa in piazza. A muovere tutte quelle famiglie è stata la
consapevolezza che sono in gioco valori pubblici, che devono orientare l'insieme della
società».
Professore questa lettura non coincide con quella data da molti media...
Purtroppo il clima culturale italiano è terribilmente politicizzato, per cui ogni
istanza, ogni evento viene letto in chiave politico-partitica. È stato impressionante
come in televisione ogni intervento è stato ricondotto, specie da parte dei politici, alla
loro visione di parte. È una deformazione che impedisce di affrontare i problemi nel
loro aspetto sostanziale, che riguarda l'esperienza vitale delle persone.
Torniamo al protagonismo dalle società civile...
Dalla mie ricerche risulta che esiste un 30-35% delle famiglie italiane, che non
ragiona in termini di destra-sinistra, di sistema politico, che non politicizza in maniera
ideologica i problemi. Ritiene che i valori più autentici della vita quotidiana non possono
essere oggetto di una divisione politica. È questa società che è andata in piazza,
perché vede messa in forse la semplicità, l'originalità della propria esistenza, che
potrebbe essere modificata da un sistema politico che prende delle decisioni che sono
lontane dalla vita quotidiana.
Eppure qualcuno ha sfoderato, per leggere l'evento, il vecchio stereotipo
"familismo amorale", cioè un atteggiamento di chiusura, un attaccamento alla famiglia,
c he contrasterebbe con il senso civico.
La manifestazione di Roma è stato l'esatto contrario di questa mentalità. Le
famiglie che sono scese in piazza a Roma si sono mobilitate perché hanno detto: "come
famiglie ci interessa che nella sfera pubblica, nel senso civico, siano presenti dei valori
autentici che corrispondono al bene comune".
Quali valori?
Il valore della famiglia, come esempio di generosità, di solidarietà tra le
generazioni, di aiuto ai più deboli, ai bambini, agli anziani... È l'esatto contrario del
"familismo", che appartiene sociologicamente parlando a quelle coppie che sostengono
che la famiglia deve restare nella sfera privata, in cui ciascuno fa quello che vuole, ma
si tratta di minoranze elitarie.
I Dico rientrano in questa mentalità?
Infatti sono espressione di una borghesia liberale, che intende la famiglia come
una privatezza, in cui ciascuno deve poter fare quello che vuole.
Per decenni i cattolici sono stati rimproverati di mentalità familista...
A Torto. Il Family day è la dimostrazione che si sono rovesciate le parti. Le
famiglie che sono scese in piazza sabato sono proprio quelle dotate di senso civico. Del
resto quella cultura non è mai appartenuta al cattolicesimo. E lo stesso Edward
Banfield, che ha forgiato il concetto, non l'ha mai detto. Quella è una cultura
precristiana.
La fotografia del Family day non è anche quella di famiglie animate da un grande
spirito associativo, che caratterizza anche i movimenti e le realtà ecclesiali?
Si, ma anche di reti non confessionali. Si sono contate circa 450 sigle
associative. Esistono reti per la maggior parte informali, che i grandi media non sono
capaci di vedere. Nelle nostre ricerche sociologiche rileviamo la presenza di un
tessuto microassociativo. Queste realtà si sono passate la voce per scendere in
piazza.
Qualcuno ha parlato di una mobilitazione dettata dall'alto...
Chi pensasse che quelle famiglie si sono mosse perché lo ha detto il presidente
della Cei, sbaglierebbe di grosso. Sono andate perché motivate dalla loro esperienza di
vita quotidiana di reti di solidarietà attive su problemi concreti delle famiglie.
Nessuno, anche chi appartiene a movimenti od organizzazioni, si è mosso perché è
stato precettato, ma perché con grande libertà ha capito il segnale che veniva dal
Family day.
C'è stata l'iniziativa del Forum delle famiglie...
Esprime la parte consapevole, attiva, visibile di queste reti delle famiglie. E con
il Family day le ha aiutate ad acquisire consapevolezza della rilevanza pubblica del
servizio che prestano nella vita quotidiana: un vero capitale sociale.
Adesso come interpretare correttamente il segnale che viene da piazza san
Giovanni?
Tutti continuano a riconoscere che la famiglia è la cellula fondamentale della
società. Anche chi non è andato alla manifestazione o l'ha contrastata, non direbbe
mai che la famiglia non è essenziale. Ma il problema è rendere effettivo il programma
delle politiche familiari, da tanti anni annunciato, ma mai realizzato.
Pezzotta ha detto che aver figli non deve comportare una drastica riduzione del
tenore di vita...
Questo deve valere al livello fiscale, e in qualsiasi altro ambito: diritto
all'istruzione, ai servizi sanitari, ai servizi di ogni tipo, nelle opportunità di vita, di
lavoro delle donne, ecc. Bisogna rispettare, poi, il carattere interclassista della
manifestazione: abbiamo viste affiancate famiglie di diverse situazioni sociali. È stata
veramente una manifestazione popolare.
Questo cosa implica?
Significa che occorre una redistribuzione orizzontale tra chi vuole fare famiglia
e chi non la vuole fare, anche nello stesso strato sociale: una politica non condizionata
al reddito, o alla situazione sociale. In Italia le politiche sono state, e in gran parte
sono ancora, politiche contro la povertà. Anche questo è importante, ma il problema è
avere attenzione alla famiglia in quanto tale.