Introduzione alla sociologia economica 1. Che cosa si può intendere per economia?1 Nella storia delle scienze sociali degli ultimi due secoli ci sono stati, prevalentemente, due modi di guardare all’economia. Un primo modo vede l’economia come costituita da quell’insieme di attività volte a consentire la riproduzione materiale di un dato gruppo sociale. Secondo questa prospettiva i modi per soddisfare i bisogni connessi alla riproduzione sociale2 hanno sicuramente a che fare con l’organizzazione complessiva delle vita collettiva e della società. L’economia non si caratterizza come un luogo dell’agire ma rappresenta una funzione, per così dire, di una data comunità. Non esiste, quindi, un minimo vitale in materia di bisogni riproduttivi. Esso è determinato, caso per caso, da quel particolare modo che quella particolare comunità adotta per garantire la propria riproduzione sociale/sopravvivenza. La stessa antropologia ha sostanziato questa posizione evidenziando come, per gran parte della storia dell’umanità, l’organizzazione dell’economia non sia stata legata al mercato ma ad una rete complessa di scambi e apparati istituzionali [Geertz, 1987]. Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione (1974), ricostruendo l’evoluzione dell’organizzazione sociale dell’economia, identifica tre diverse forme di scambio che consentono - ed è questa un’opzione strategica ai fini della descrizione di analogie e differenze tra i vari modi di intendere l’economia - di separare nettamente la nozione di 1 Molte delle cose scritte rappresentano suggerimenti diretti e indiretti tratti dallo studio dei seguenti testi. In prevalenza Borghi V. e Magatti M. (2002), Mercato e Società, Roma, Carocci; Trigilia C. (2002), Sociologia Economica. II Temi e percorsi contemporanei, Bologna il Mulino. Più in generale Mutti A. (2002), Sociologia economica. Il lavoro dentro e fuori l’impresa, Bologna, il Mulino; Swedberg R. (1994), Economia e Sociologia, Roma, Donzelli; Mingione E. (1997), Sociologia della vita economica, Roma, NIS; Martinelli A. e Smelser N. (a cura di) (1995), Sociologia Economica, Bologna, il Mulino. 2 Per riproduzione sociale si intendono le relazioni che permettono agli esseri umani di realizzare la propria sopravvivenza e la conservazione della specie nelle condizioni ritenuti le migliori possibili in differenti ambienti sociali. La questione della riproduzione sociale si è posta solo con l’avvento delle società industriali che ha portato alla sistematica separazione tra attività e contesti di vita che riguardano la produzione e la distribuzione delle risorse economiche e attività e contesti di vita che riguardano la produzione e distribuzione di risorse economiche e attività e contesti di riproduzione sociale, consumo, vita privata, strategie sociodemografiche, attività di cura con la persona. [Mingione, 1997, 83]. Un'altra definizione più allargata [Gallino, 1993, 555] descrive la riproduzione sociale come l’insieme dei processi di breve, medio e lungo periodo tramite i quali una società riproduce gli elementi della propria cultura, i modelli di rapporto e di relazione sociale, le strutture di personalità caratteristici del suo ordine sociale e necessari ala mantenimento di questo ad un dato stadio di sviluppo economico, politico e tecnologico, ovvero ad un dato livello di civiltà. 2 economia da quella di mercato, di concorrenza, di razionalità e di immaginare che il mercato stesso non sia da considerarsi come una condizione naturale dell’economia nel suo complesso. Come, anzi, egli sostiene “i rapporti interpersonali basati sul dare e sul ricevere sono incorporati in una vasta rete di impegni sociali e politici che non consentono agli individui di massimizzare i vantaggi economici ottenuti in queste relazioni. L’economia umana è secondo Polanyi “quindi inserita e coinvolta [embedded n.d.a.] in istituzioni di natura economica e non economica. La presenza di istituzioni non economiche è di importanza decisiva. La religione e il governo possono essere non meno importanti delle istituzioni monetarie o della stessa disponibilità di strumenti e macchine, che allevino la fatica del lavoro, per la struttura e il funzionamento dell’economia”. [Polanyi, 1974, 305] Egli individua, pertanto, tre forme di scambio: • il mercato caratterizzato da scambi impersonali regolati da un equivalenza numerica determinata dalla moneta; • la reciprocità che dà luogo ad uno scambio non mediato dalla moneta tra partner che non sono legati necessariamente da vincoli economici; • la redistribuzione generata quando un centro politico è in grado di raccogliere risorse e distribuirle secondo criteri definiti tra tutti i membri della società. Se questa è, in estrema sintesi, la visione dei problemi che caratterizza un approccio per così dire sostanzialista [Magatti, 2002] un secondo modo, definibile genericamente formalista, vede l’economia legata strettamente al problema della scarsità dei mezzi disponibili rispetto all’insieme delle scelte possibili (bisogni individuali) in termini di allocazione. L’agire economico procura la possibilità di sfruttare al meglio (massimizzazione) le risorse di cui si dispone per raggiungere determinati fini. Questa tradizione di pensiero si afferma alla fine del XIX secolo e va sotto il nome di teoria neoclassica. Essa esalta la posizione dell’attore individuale che, dotato di uno specifico sistema di preferenze, definisce gli obiettivi da perseguire. In questo senso l’economia non si presenta come un settore più o meno definito della società ma come un vero e proprio modo di agire. Questa posizione, in ultima analisi, è stata fatta propria anche da Weber quando sostiene che “Chiamiamo economico un agire in quanto orientato a ottenere prestazioni d’utilità desiderate o possibilità di disporre di esse […] l’agire economico è condizionato costantemente dalla scarsità dei mezzi ed è orientato ad essa: per poter soddisfare il desiderio con prestazioni di utilità, i mezzi presenti 3 in quantità limitata debbono essere economizzati. Da qui la tendenza alla razionalizzazione dell’agire economico”. [Weber, 1993, 3-4]. Secondo questa visione, in sintesi, l’economia è quella disciplina che si occupa dell’allocazione (efficiente) di mezzi scarsi. Tra i due modi di vedere l’economia appena descritti esiste certamente un conflitto profondo che procura un ampio e vivace dibattito ancora oggi aperto. Però, per sgombrare il campo da ogni possibile fraintendimento, come d’altra parte ci suggerisce una prospettiva storica, non è il caso di fare a meno di nessuno di essi. Il primo ha il pregio di problematizzare il rapporto tra i mezzi, i fini e le modalità attraverso le quali l’agire economico li mette in relazione in maniera non automatica. Il secondo consente, comunque, di muoversi agevolmente nello studio e nella spiegazione delle trasformazioni dell’economia - cosiddetta moderna, quella di mercato - così come si è venuta a costituire negli ultimi secoli. Se oggi una concezione allargata dell’homo oeconomicus la fa “da padrona” non si può dire che sia stato così in altre epoche, ma quel che è ancora più importante, è che in una moderna economia di mercato continuino a convivere e a prosperare forme di scambio molteplici quali quelle preliminarmente individuate da Polanyi3. Resta, pertanto, valido un approccio che, pur non rinunciando a definire differenze e caratterizzazioni, ci metta in grado di accettare diversi punti di vista cercando di precisarne, semmai, la fertilità esplicativa nei differenti contesti d’uso. Max Weber nella sua Storia economica ci aiuta, ad esempio, a ragionare sull’evoluzione dell’economia distinguendo tra: • economia naturale nella quale il fabbisogno viene soddisfatto senza ricorrere allo scambio (es. feudatario o economia domestica chiusa); • economia naturale di scambio che conosce lo scambio ma non il denaro (es. il baratto); • economia monetaria che si radica quando diventa possibile separare produzione e allocazione allargando le opportunità di acquisizione dei beni. Corollari di grande importanza appaiono essere: o la separazione tra produzione e consumo; 3 A puro titolo di esempio e in maniera un po’ provocatoria in questo contesto d’uso, riportiamo la definizione di economia che ci viene offerta da Samuelson e Nordhaus due insigni economisti, definizione certamente meticcia che fa accenno alla redistribuzione in considerazione delle due posizioni enunciate in precedenza. L’economia è lo studio del modo in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e di come tali beni vengono distribuiti tra i vari soggetti. [Samuelson e Nordhaus, 2002]. 4 o l’estensione dell’orizzonte temporale (logica dell’accumulazione che lega il presente e il futuro); o l’individualizzazione dell’agire economico. Rispetto a questo modo di guardare all’economia, senz’altro basilare per i sociologi, appare, però, necessario fare alcune precisazioni che “spiegano” la complessità insita nel rapporto tra le discipline (economia e sociologia) e individuano nodi, ancora in parte, irrisolti. La diffusione del mercato come forma prioritaria dell’agire economico non comporta, infatti, necessariamente la condivisione dell’idea di homo oeconomicus. In altre parole, la peculiarità dell’agire economico risiede nelle forme che assume lo scambio e non necessariamente nell’intenzionalità dell’attore (agire razionale rispetto allo scopo). Di per sé l’esistenza del mercato (più o meno autoregolato) non spiega, (per i sociologi n.d.a.) il fatto che l’uomo agisca secondo scopi determinati e razionali. Inoltre, come abbiamo sostenuto, l’esistenza e/o la prevalenza della forma di scambio - chiamata mercato - non implica di per sé l’abolizione di altre forme di scambio che con essa coesistono e che sono in grado di spiegare comportamenti apparentemente irrazionali, cooperativi e/o centrati sulle gerarchie e sul potere. Non va, infatti, mai perso di vista il ruolo che è sotto gli occhi di tutti dello Stato che, al di là delle forme che essa può assumere e che come direbbe North (1994) è path dependance - svolge una funzione strategica di redistribuzione e, in parte, di gerarchizzazione [Magatti 1995]. La redistribuzione in senso moderno, peraltro, unisce modalità tipiche della produzione e della riproduzione attraverso specifici sistemi (il sistema di welfare è tra i principali): • il prelievo fiscale e il trasferimento monetario; • la fornitura di servizi. In sintesi, la caratteristica principale di una economia moderna non è, quindi, l’esistenza del mercato, ma la compresenza di diverse forme di scambio di cui quella di mercato appare, per ragioni diverse, la più pervasiva. Una delle questioni cruciali, dal nostro punto di vista resta, pertanto, quella di trovare modalità e livelli di armonizzazione tra differenti forme di transazione economica che contribuiscano a risolvere problemi e a rispondere ad esigenze complementari. Le implicazioni più rilevanti di questo modo di vedere le cose sono: o la questione dell’efficienza non è l’unica questione che pertiene alla sfera economica. Essa rappresenta una questione cruciale dell’agire economico. Non tutte le decisioni, però, come sappiamo, vengono prese a partire sempre da questo criterio; 5 o il rapporto tra mercato, redistribuzione e reciprocità è una questione aperta e non risolvibile una volta per tutte. 2. Il mercato La moderna concezione del mercato nasce nel XVIII secolo ad opera del filosofo morale scozzese Adam Smith. La sua idea di mano invisibile tende a spiegare come il mercato possa rendere possibile rapporti tra gli uomini non basati sull’affetto ma fondati, più semplicemente, sull’interesse reciproco. Ma c’è di più. Egli introduce un tema fondamentale della vita economica che è quello di regolazione laddove, a differenza di quanto accade in altri contesti, sostiene Smith, la ricerca del proprio vantaggio personale non conduce al caos, a livelli di ingiustizia macroscopici o al dominio (come vedremo entro certi limiti) di una cerchia ristretta di uomini, ma favorisce una crescita diffusa in grado di associare tutti al benessere collettivo. Si passa, quindi, da un’idea di mercato come luogo fisico ad una di mercato come rete di scambi. È solo dopo il lavoro di A. Smith che è stato possibile pervenire alla definizione di un ambiente all’interno del quale si assiste ad uno sviluppo senza precedenti dell’agire economico razionale rispetto allo scopo. Ma quali sono le condizioni necessarie alla nascita del mercato? In estrema sintesi esse possono essere individuate ne: o l’appropriazione di tutti i mezzi materiali a partire dalla terra e dai mezzi di produzione da parte di imprese private autonome; o la libertà di mercato e quindi l’abbattimento delle barriere imposte al traffico commerciale; o la diffusione della tecnica/tecnologia; o la nascita di un diritto che regola le stesse relazioni di mercato (transazioni); o la presenza di uno stato legale e una classe di funzionari dedicati al funzionamento e al riconoscimento; o la creazione di un mercato del lavoro; o la nascita e il consolidamento di un soggetto collettivo (l’impresa) istituzionalmente demandato a raggiungere in modo razionale obiettivi economici mediante specifiche modalità di organizzazione del lavoro; o la commercializzazione dell’economia (atti e diritti di proprietà commercializzabili – es Borsa); o la separazione tra economia interna ed esterna; o l’esistenza di un media (mediatore) e cioè il denaro. 6 Corollario strategico di queste pre-condizioni è la nascita di un sistema dei prezzi che rende l’agire economico meno soggettivo e più impersonale. Il mercato, all’interno di questa concettualizzazione può essere definito come quel particolare ambito dove grazie ad un sistema di prezzi è possibile calcolare le conseguenze economiche delle proprie azioni. Nulla di simile esiste in altri contesti della vita sociale. Il mercato è un ambiente unico che si caratterizza principalmente come il luogo della calcolabilità [Magatti, 2002, 17-21 ]. Conseguenza estrema di questo ragionamento/approccio è rappresentata dall’affermazione che l’economia moderna (in questo Polanyi e Marx hanno la stessa posizione) nasce solo dopo l’affermazione del lavoro salariato. Con il salario, cioè, tutto, anche il lavoro delle persone, può essere monetizzabile/calcolabile. L’economia di mercato si costituisce, allora, come ambito sociale relativamente distinto dal resto della società nel quale il contesto d’azione assume caratteristiche specifiche. A facilitare questa trasformazione presiedono i profondi cambiamenti procurati sulla vita sociale dalla diffusione dell’economia monetaria. Va a Simmel, un importante sociologo tedesco, il merito di averci aiutato a spiegare quella che è la vera essenza della moneta e, cioè, la sua scambiabilità. Grazie alla sua uniformità che deriva da un processo di istituzionalizzazione4 che si sviluppa con grande rapidità per una serie di caratteristiche insite nello scambio economico basato sulla moneta si arriva rapidamente, ed è questo quello che Simmel ci descrive con grande lucidità, al processo di oggettivazione che il denaro introduce e diffonde nella vita sociale. Grazie alla sua diffusione si diffonde parimenti il processo di individualizzazione dell’agire economico che si associa naturalmente, nell’economia neoclassica, al concetto di agire razionale rispetto alla scopo. In questo senso il denaro arriva a rivestire un’importanza fondamentale per la libertà individuale dell’uomo moderno: esso produce, da una parte, le condizioni per l’impersonalità dei rapporti economici e dall’altra si caratterizza come un potente fattore di solitudine e di isolamento (rimozione dell’obbligo a perseguire congiuntamente ad altri specifiche finalità economiche). Per Simmel il processo di individualizzazione della vita economica presuppone che [Moscovici, 1991, 438]: • lo scambio sia una forma sui generis di società nella quale i valori assumono una esistenza autonoma e oggettiva; • lo scambio diventi economico per il fatto che gli individui lo accettino; 4 Sui processi di istituzionalizzazione in economia e sociologia si veda più avanti. 7 • • • • • • • • il danaro rappresenti i valori e li reifichi (li trasformi cioè in oggetti) permettendo così una loro comparazione; il passaggio dall’economia chiusa all’economia aperta si compia attraverso un percorso di intellettualizzazione del denaro; intellettualizzandosi il denaro si distanzi dalle persone; assicuri la superiorità dei mezzi di scambio e comunicazione dei valori sui fini ed esso stesso si trasformi da mezzo in fine; il denaro realizzi la tendenza della vita sociale a unificare la diversità riducendo la qualità in quantità; il denaro renda possibile lo scambio prendendo la forma di un codice; la diffusione dell’economia basata sulla moneta (monetaria) porti all’autonomia del mondo degli scambi e gli conferisca una forma astratta e universale; il denaro orienti la cultura verso la preminenza dell’intelletto sugli affetti. Queste osservazioni di Simmel ci aiutano a comprendere come l’economia moderna nasca nel momento in cui sono disponibili un insieme di condizioni/prerequisiti e si affermino alcuni fondamentali modi pensare e di vedere l’agire economico. Si arriva, pertanto, solo attraverso un lungo e non scontato percorso di costruzione e decostruzione di valori (istituzionalizzazione e deistituzionalizzazione), all’idea che l’economia di mercato possa essere percepita e studiata come un ambito sociale specifico e relativamente distinto dal resto della società, nel quale le condizioni dell’azione sono assolutamente peculiari. Tale specificità viene sottovalutata o addirittura annullata in tutti quei tentativi, nei quali l’intera vita sociale viene pensata come un grande mercato. In certi casi, alcuni dei quali molto autorevoli (cfr. Coleman, Becker e i sociologi della scelta razionale), si tenta con più o meno successo, di utilizzare le categorie tipiche dell’economia neoclassica allo scopo di interpretare l’intero agire sociale5. La sociologia economica a partire, quindi, dalle premesse di Polanyi, di Weber di Simmel si pone il compito di tematizzare le specificità di questo ambito di azione per chiedersi se e quanto i processi e i meccanismi sociali, che sono rintracciabili in altri ambiti della vita 5 Secondo Coleman l’utilità muove gli attori. L’azione (…sociale) dipende dall’utilità e dalla sua massimizzazione. Il principio dell’azione sta nel fatto che l’attore si comporta in modo tale da realizzare al meglio il proprio interesse. Ciò equivale a dire che massimizza la sua utilità, ma preferisco pensare a ciò in termini di interesse, perché credo che questo termine sia più vicino al modo naturale di intendere gli orientamenti soggettivi [Swedberg, 1994, 58]. 8 collettiva, siano operanti (e come) in quel particolare contesto istituzionale che abbiamo chiamato mercato. Il mercato si configura, pertanto, come un ambito dove le azioni e le relazioni si svolgono in un modo, come dicevamo, del tutto specifico. Ma questo non ci porta a dire che, all’interno o all’esterno di esso, l’azione economica sia destinata a perdere qualsiasi connotazione sociale. L’azione economica, l’agire economico rimangono azione e agire di tipo sociale anche se è il contesto istituzionale (e di significato) che incide in maniera decisiva sul modo in cui essi si producono e sulla forma delle interazioni che ne conseguono. Riconoscere, quindi, la specificità del mercato come ambito di analisi non significa arrivare alla conclusione che al suo interno non vi sia traccia di socialità: è vero, semmai, che la specifica configurazione del mercato rende più instabili quel tipo di rapporti sociali che tendono sempre a ricostituirsi. Da questa angolazione il mercato si presenta come una istituzione sociale nella quale sono in opera comportamenti determinati dal sistema delle preferenze individuali, dai contesti istituzionali di riferimento, dai valori condivisi, dalle culture di riferimento degli attori [Solow, 1994]. Adottando entrambe le prospettive prima delineate per una definizione dell’economia, proviamo ad individuare sinteticamente pregi e difetti del mercato che equivalgono alla definizione di vere e proprie piste di ricerca per la sociologia economica. Per ragionare Le virtù del mercato o Il mercato è un meccanismo istituzionale che, mediante la concorrenza, è in grado di spingere le unità produttive verso la ricerca di una maggiore efficienza (non c’è solo l’efficienza ma l’innovazione e la crescita economica6); o il mercato contribuisce (autoregolazione e regolazione) alla “civilizzazione“ del comportamento umano in condizioni di complessità sociale; o il mercato salvaguarda l’esistenza di spazi di libertà individuale; o il mercato crea interdipendenza per cui, in ultima analisi, nessuno può fare a meno della altro. I difetti del mercato o l’efficienza non equivale a giustizia ed equità; 6 Ci riferiamo qui alle posizioni di Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia 9 o il rovesciamento dei mezzi con i fini (mercificazione della vita privata, e colonizzazione della vita da parte della razionalità economica); o l’azione moralizzatrice del mercato (nel senso descritto da Smith) tende ad indebolirsi nel tempo in mancanza di interventi regolativi e/o correttivi efficaci; o gli effetti della razionalità appaiono spesso irrazionali (es. sviluppo della tecnologia e esaurimento delle fonti energetiche – sviluppo dei mezzi di trasporto privati e danni ambientali). 3. Ancora su economia e sociologia. La nascita della sociologia economica e le premesse per nuovi sviluppi. Proviamo a tornare un attimo indietro, cioè alla storia e all’evoluzione del pensiero sociologico in campo economico. L’economizzare come scelta di allocazione più efficiente di risorse scarse è il cuore dell’indagine economica. Secondo un orientamento analitico deduttivo si postulano determinati obiettivi da parte degli agenti (massimizzazione di utilità) e condizioni che ne vincolano l’azione (mercato di concorrenza perfetta) e se ne deducono determinati risultati (equilibro economico). Se si introducono variabili istituzionali, non è possibile mantenere quel livello di regolarità e prevedibilità a priori nel comportamento degli attori compatibile con la determinazione dei prezzi di equilibrio e con la dimostrazione dell’equilibrio economico generale. Per affrontare problemi di questo tipo è, infatti, necessario supporre un comportamento stabile ed uniforme degli attori orientato alla massimizzazione dell’utilità individuale, in un contesto di mercato concorrenziale. Ciò consente un ragionamento deduttivo sulle conseguenze economiche che ne discendono. Per contro la valutazione dell’influenza di fattori sociali – nella loro varietà e variabilità – sul comportamento economico dei singoli soggetti richiede un’ottica induttiva che parta dall’esperienza (come si comportano gli attori) per formulare generalizzazioni empiriche e relazioni causali limitate tra i fenomeni studiati. In questo modo si introduce, però, inevitabilmente una maggiore variabilità nei comportamenti ed è proprio quello che gli economisti, di solito, non gradiscono. Analisi economica e analisi dell’influenza delle istituzioni sull’economia tendono a separarsi prevalentemente su questo versante. È cosi che prende forma la nuova prospettiva analitica e disciplinare della sociologia economica. Essa si sviluppa, innanzitutto, in Germania con Sombart e Weber come sociologia storica del capitalismo. Al suo centro troviamo l’indagine sulle modalità attraverso le quali le istituzioni – viste nei 10 loro aspetti sociali, culturali, politici, giuridici - ne influenzano le origini. Si è, pertanto interessati al funzionamento e alle trasformazioni di questo specifico sistema economico (sistema capitalistico). Questa tradizione di studi viene rinverdita e sviluppata, soprattutto attraverso gli studi sul capitalismo, da autori come Schumpeter e Polanyi ma si tratta di casi piuttosto isolati ai quali occorrerebbe anche aggiungere la sociologia economica francese influenzata da Durkheim e l’istituzionalismo americano (Veblen e Commons). Se, dunque, gli economisti non sono spinti a porsi un problema di influenza delle istituzioni sull’economia una tendenza analoga è pure presente tra i sociologi. Non è un caso che gli ultimi grandi contributi di sociologia economica che si pongono il problema di analisi istituzionali del capitalismo siano degli anni ‘40. Si tratta dei lavori, anche in questo caso, di Schumpeter e Polanyi. La stabilizzazione dei rapporti tra economia e società porta i sociologi a non interessarsi più al tema dello sviluppo dei Paesi avanzati, che appare ora un problema più tecnico saldamente in mano ai nuovi economisti keynesiani. L’analisi istituzionale dell’economia tende così a emigrare e si concentra sul problema della sviluppo dei Paesi arretrati assumendo le sembianze della sociologia della modernizzazione. Per quel che riguarda i Paesi sviluppati la sociologia economica si specializza e si frammenta: trova un suo spazio come sociologia dell’organizzazione, del lavoro e delle relazioni industriali. Se la risposta a domande relative alle diverse performance dei Paesi industrializzati non può essere rinvenuta nel paradigma economico tradizionale l’analisi economica si rivolge alla spiegazione del comportamento degli attori istituzionali, politici e amministrativi. Questo filone di ricerca denominato political economy, ad esempio, cerca di mettere in evidenza attraverso l’analisi comparata come il sistema di rappresentanza degli interessi, la composizione politica dei governi, l’assetto amministrativo dello Stato influenzino le politiche economiche e sociali e condizionino i diversi meccanismi di aggiustamento dell’economia. Si tratta, insomma, di valutare come variabili sociali e politiche influenzino le scelte economiche. Al centro di questo filone vi è, inoltre, il dibattito sul neocorporativismo e la concertazione, cioè, sui sistemi di controllo e di accordo tra i diversi interessi “corporativi” che insistono sulle logiche e le strategie delle politiche economiche nazionali. Da parte loro gli economisti classici come Smith, Ricardo e Marx7 erano, in realtà, interessati non solo agli aspetti più direttamente 7 Il problema più spinoso è costituito dal fatto che, all’interno della teorizzazione marxista le leggi dell’accumulazione del capitale assumono un elevato valore esplicativo rispetto ai processi e alle relazioni socio-organizzative. Si consolida, quindi, una visione di un processo 11 connessi con l’efficienza ma anche all’organizzazione della vita economica nel suo insieme e, in particolare, ai suoi rapporti con le dimensioni politiche istituzionali e culturali. È stato solo con l’affermazione della teoria neoclassica che le cose, in effetti, sono cambiate radicalmente. È solo dopo l’affermazione della scuola, altrimenti detta marginalista, che lo studio dell’economia tende a coincidere con quello del mercato e l’analisi economica viene realizzata con l’ausilio di un modello formale e semplificato costruito sulla base di alcune ipotesi restrittive che dovrebbero apparirci ormai note: • gli attori hanno un sistema di preferenze, di solito, espresse mediante una funzione di utilità, dotata di caratteristiche restrittive. Esse cioè sono atomistiche, egoistiche, date e costanti, complete, coerenti e archimedee; • le conoscenze sono certe o comunque riferibili a distribuzioni di probabilità oggettive o soggettive circa le conseguenze dei diversi corsi di azione; • la definizione del contesto è tale da rendere possibile la circolazione delle informazioni indispensabili per l’azione individuale. Poiché tali informazioni non dipendono dalle azioni del soggetto, il contesto è definito parametrico; • gli attori sono razionali e tendono a massimizzare la loro funzione di utilità. A sancire la divisione dei compiti del lavoro scientifico tra sociologia ed economia8 interviene il cosiddetto approccio analitico proposto, di espansione del capitalismo basata sulla concentrazione del capitale e sulla mercificazione al cui interno risulta trascurato il gioco dei diversi ambiti di reciprocità sia rispetto all’azione individuale competitiva (primo tipo) sia rispetto ai parametri organizzativi fissati dai contesti associativi (secondo tipo). Esempi di questioni del primo tipo (influenza della reciprocità sull’azione competitiva) che risultano oscurate sono la diversità dell’imprenditorialità familiare oppure la maggiore o minore, ma mai azzerata, forma comunitaria che assume l’organizzazione aziendale; esempi di questioni trascurate del secondo tipo (influenza della reciprocità sui sistemi associativi emergenti) sono le differenze tra, da una parte gli interessi di classe e dall’altra le esigenze, le forme di solidarietà, i bisogni e gli usi tradizionali che legano gli individui alla famiglia, ai sistemi parentali, gli amici e così via. 8 Nell’ambito della vertenza tra utilitarismo e socializzazione, ci si potrebbe chiedere se non sia possibile una divisione del lavoro tra economisti e sociologi dove i primi insistano su una visione senz’altro in parte vera fondata sulla preminenza dell’utilità individuale che permette di mettere in luce tendenze generali e convergenti, mentre i secondi, lavorando sulle complessità prodotte dalla diversità dei processi di socializzazione, mettano in luce le specificità socio-culturali dei contesti. La divisione del lavoro tra economia e sociologia può avere una sua utilità solo se è condizionata da entrambe le parti, da una capacità, quanto meno abbozzata, di tenere conto dell’altra faccia della medaglia. Gli economisti non possono capire fino in fondo l’impatto variato delle leggi economiche che continuano a rivoluzionare le società contemporanee se non hanno un’idea dei procedimenti di ricostruzione della socialità da parte delle istituzioni sociali (embeddedment), così come i sociologi non possono spiegare le condizioni di costruzione delle regole della vita economica se prescindono dall’impatto destrutturate del diffondersi dei comportamenti individualistici e competitivi. 12 peraltro, proprio dal più insigne sociologo del XX secolo, Talcott Parsons. Secondo questo autore lo studio della società avrebbe dovuto essere organizzato mediante lo sviluppo armonico di scienze complementari: la politologia chiamata ad occuparsi dei fatti politici; la teoria economica interessata allo studio dell’economia e la sociologia a quello più generale del cosiddetto mondo sociale. Secondo questa prospettiva le tre scienze analitiche, che si occupano di sistemi di azione organizzati, fanno riferimento ad altrettanti distinti campi di indagine. In questo modo Parsons sancisce la non pertinenza dell’analisi sociologica sulla realtà economica che deve essere oggetto di studio da parte di una scienza autonoma e cioè l’economia9. La risposta più incisiva allo struttural-funzionalismo di Parsons arriva dopo molti anni (circa un ventennio nelle sue conseguenze dirette sulla disciplina) non dal versante macro ma, al contrario e inaspettatamente, da quello micro-sociologico. L’aspetto centrale di questa svolta che ha tra i suoi promotori Blumer, Berger e Luckmann, Goffman è l’identificazione e la descrizione di un differente livello nel quale cercare l’ordine sociale. Si tratta di un livello profondo, quello della cosiddetta interazione che costituisce ora l’oggetto di studio specifico della sociologia. Da qui la perdita di interesse verso le grandi questioni e le grandi istituzioni per concentrarsi sulle modalità di costruzione della realtà sociale intesa come mondo relazionale. La resistenza che la sociologia economica (tradizionale) oppone alla affermazione di questo nuovo quadro teorico andrebbe ricercata in questi elementi ormai consolidati nell’approccio scientifico utilizzato dai classici: a) la sfera economica è una struttura istituzionale peculiare e in essa le interazioni assumono profili, modalità e significati del tutto specifici e poco consoni con le questioni poste dagli approcci micro; 9 La costruzione teorica di Parsons è sorprendente perché rompe la tradizione dei padri fondatori della sociologia dove comunque si rivendicava, in modalità diverse, l’importanza intrinseca dei contenuti sociali nella vita economica. Parsons mira a ritagliare una divisione del lavoro tra economia, scienza politica e sociologia, come scienze analitiche a valle della quale saltano le connessioni e le tensioni che i classici avevano proposto nell’intreccio tra comportamenti economici competitivi atomizzati e utilitaristici e forme di organizzazione sociale. Il taglio del cordone ombelicale tra ordine sociale e sviluppo economico operato da Parsons inventa una modalità ipersocializzata di subordinazione al paradigma del mercato che favorisca la collaborazione tra sociologi ed economisti dal punto di vista di specializzazioni separate, favorendo, anche in campo sociologico, un’elevata distorsione deterministica della realtà. 13 b) la sociologia economica si è dovuta misurare con la concorrenza fortissima e organizzata degli economisti rendendo complessa l’accettazione di posizioni non interessate agli aspetti istituzionale e quantitativi della realtà; c) in questo ambito disciplinare hanno contato di più approcci macro differenti da quella funzionalistica in particolare quello marxista e, in generale conflittualista. il cui potere esplicativo è stato meno intaccato dai mutamenti sociali intervenuti negli anni sessanta e settanta. La pista che si è cominciata a battere è quella che era stata già tentata, pur con accenti diversi dalla scuola francese, che faceva capo a Durkheim. All’ambito economico non si riconosce uno statuto specifico né gli si attribuisce alcuna centralità nella spiegazione della società. L’economia è semplicemente una sfera sociale dove l’interazione ha luogo; l’economico non serve a spiegare la società né è possibile per il sociologo trascurare l’analisi dei fatti economici e sono le categorie dell’analisi sociale che possono contribuire a spiegare l’economico. L’approdo di questo percorso di ricerca è l’idea secondo la quale l’azione economica può essere analizzata come un’azione sociale. Di conseguenza le forme concrete all’interno delle quali le relazioni di mercato hanno luogo sono rilevanti per la spiegazione dell’economia. L’illustrazione più chiara di questa posizione è espressa da uno dei termini che hanno avuto più fortuna in questi anni, cioè il concetto di embeddedness10 Il manifesto di questa nuova corrente di pensiero è l’articolo pubblicato nel 1985 Mark Granovetter (1985) nel quale l’autore si schiera a favore di una posizione a metà strada tra le concezione ipersocializzata (Parsons) e iposocializzata (neoclassici) dell’attore. L’opzione teorica adottata dall’autore americano è molto precisa: per migliorare la comprensione della realtà economica sia quella presenti nelle posizioni olistiche (tradizionalmente sociologiche) sia quella rintracciabile nelle posizioni individualistiche (tradizionalmente economiche) occorre seguire una via intermedia capace di tenere al 10 Embeddedness (letteralmente radicamento) cioè la costruzione sociale della vita economica attraverso la complicata interazione tra le opportunità offerte dalla competizione e due logiche diverse di cooperazione: quella che deriva dal fatto di appartenere ad un piccolo gruppo solidale come la famiglia o una rete di amici e quella che deriva dal fatto di condividere gli stessi interessi economici come avviene nelle associazioni e nei sindacati. Il mercato funziona bene solo se è accompagnato da processi e istituzioni che compensino le disuguaglianze di partenza, ridistribuiscano opportunità sufficienti anche a chi non le ha, alimentino forme di solidarietà sociale nei confronti di chi è svantaggiato. Ma processi e istituzioni redistributive, da un lato, sono indispensabili per garantire un minimo di equità e cooperazione, dall’altro, limitano e soffocano l’operatività della libera competizione economica. 14 suo centro l’azione, che per Granovetter, rimane un punto di riferimento irrinunciabile dell’analisi. Un’analisi efficace dell’azione umana – sostiene Granovetter richiede di evitare l’atomizzazione implicita negli estremi teorici delle concezioni iper e ipo socializzate. Gli attori non si comportano e non decidono come atomi al di fuori di un contesto sociale né aderiscono passivamente ad un copione scritto per loro da una particolare intersezione di categorie sociali a cui capita loro di appartenere. I loro tentativi di compiere azioni intenzionali sono invece radicati in sistemi di relazioni sociali concreti e attivi. In questo modo la strada proposta da Granovetter per la sociologia economica è convergente con la proposta di complicare l’economia lanciata sin dagli anni sessanta da alcuni economisti eterodossi come Herbert Simon (1979) con il suo concetto di razionalità limitata (bounded rationality). La provocazione di Granovetter aveva un obiettivo di fondo e, cioè, affermare che tutti i processi di mercato sono analizzabili sociologicamente e che tale analisi è in grado di rilevare aspetti centrali e per nulla marginali. L’intento dell’autore americano era, infatti, quello di superare le rigide ripartizioni disciplinari introdotte dalla concezione analitica delle scienze sociali con la ripresa di un confronto a tutto campo tra le due discipline. La critica epistemologica al paradigma del mercato11 prende corpo con la riformulazione da parte di Mark Granovetter [Granovetter 1985, 1991, 1993] della teoria dell’embeddedment di Polanyi. Per il sociologo americano il diffondersi di individualismo e comportamenti competitivi di mercato produce tensioni di disorganizzazione sociale ma non necessariamente capacità organizzative, nemmeno in forme indirette, come aveva sostenuto invece Polanyi. L’impostazione modifica in maniera sostanziale l’interpretazione della vita economica perché pone l’accento sul processo discontinuo e diversificato di ricostruzione dei contesti di socialità. Le cosiddette tensioni disorganizzative spingono verso orizzonti di omogeneizzazione tipici della modernità come sottolinea l’analisi degli economisti, ma la diversità e la discontinuità dei processi di ricostruzione delle attitudini cooperative innesta nella vita economica differenze che si rinnovano in continuazione e spiegano la varietà dei modelli di sviluppo12. 11 Si assume che le società industriali siano organizzate dai rapporti di scambio in una competizione individualistica e atomizzata, rapporti che non sono condizionati da fattori esogeni, culturali o sociali. 12 Il comportamento atomizzato di mercato appare come un modello astratto senza regole. Nella realtà il comportamento di mercato avviene secondo regole fissate non dal mercato 15 La critica al paradigma del mercato permette di ridimensionare l’importanza di tecnologia e crescita economica come elementi predominanti della costruzione interpretativa, cioè di superare il determinismo tecnologico o economicistico ma non fornisce di per sé parametri alternativi. A venti anni di distanza si può dire che quel tentativo ha avuto successo nella misura in cui è vero che oggi si discute sia di come l’analisi economica possa essere utile per spiegare la realtà sociale nel suo insieme sia di come l’approccio sociologico possa illuminare aspetti della vita economica rimasti a lungo trascurati. In realtà il successo dell’articolo di Granovetter più che alla precisione analitica della nozione di embededdness è dovuto al tempismo con cui esso si è presentato nel dibattito internazionale in concomitanza con alcuni importanti mutamenti storico sociali che hanno dato vita ad altrettanto importanti piste di ricerca. Ci riferiamo all’interesse suscitato in Italia dall’esperienza dei distretti industriali [Beccattini 2000, Bagnasco 1987, Paci 1992, Provasi 2002], esperienza non spiegabile attraverso il ricorso alle forme/categorie tradizionali dell’analisi economica. La ricerca sui distretti industriali ha mostrato in maniera molto evidente che in queste aree l’economia è davvero un fatto sociale: l’organizzazione del lavoro, le forme del consumo, la mobilitazione delle risorse, il funzionamento delle istituzioni, il ruolo delle associazioni di rappresentanza sono tutti aspetti non/extra economici che concorrono a spiegare le performance economiche. Mentre in Italia ci si concentrava sulla piccola dimensione negli USA l’attenzione [Chandler 1994] era calamitata dalla grande impresa. I concetti di gerarchia di clan, di mano invisibile che si sono diffusi all’interno di questo filone di studio hanno ben presto reso evidente come fosse difficile isolare l’analisi della vita economica dalle altre variabili di tipo sociologico. Un altro interessante filone di ricerca, nato in quegli anni, è rappresentato dallo studio di nuove formazioni capitalistiche, come il Giappone, che si affacciavano sulla scena internazionale. A livello macro gli studi sugli assetti neocorporativi (vedi pagina 12) hanno sollevato importanti questioni sul modo in cui l’economia nel suo insieme possa venire regolata. Ciò che risalta da queste ricerche è che la società, attraverso l’organizzazione degli interessi, cerchi continuamente di modificare il funzionamento del mercato adeguandolo alla istanze provenienti dalla società stessa. Le forme di questa negoziazione possono essere molto diverse tra loro, ma quello stesso ma dai contesti socio-regolativi. L’azione concreta, quindi, individualistica/atomizzata ma condizionata, appunto, da fattori socio-regolativi. 16 non è che è difficile immaginare è un’economia che si autoregoli a prescindere dalle reazioni che si producono nella società attraverso il sistema associativo istituzionale mediante il quale vengono veicolati tali interessi. In Italia emerge, altresì, in quegli anni il tema dell’economia irregolare che si ramifica attraverso importanti studi sull’economia informale e sulle economie etniche. Ultimo ma non certo il meno importante è il filone di ricerca sul mercato del lavoro; la sua segmentazione, la relativa autonomia dell’offerta, la rilevanza dei fattori locali, il persistere di imperfezioni nei meccanismi di aggiustamento, il ruolo degli interessi organizzati, sono tutti aspetti di un unico problema : il mercato del lavoro è una costruzione sociale [Solow, 1994; Reyneri 1997- 2005] e il suo funzionamento risente del fatto che in questo particolare mercato si scambia una particolarissima merce che è il lavoro. 4. Istituzioni e istituzionalizzazione processi centrali dell’azione economica come azione sociale Lo snodo teorico attorno al quale la sociologia economica si è ripensata è il concetto di istituzione Seguendo in prima istanza il ragionamento di Weber (quello di Economia e Società) una delle prime questioni da affrontare consiste nel delimitare il concetto di azione sociale che si definisce in ragione della capacità dell’attore di circoscrivere gli obiettivi verso cui orienta la propria azione e per il fatto di tener conto del modo in cui essa viene recepita dagli attori circostanti. Qualunque relazione sociale per poter superare la pura occasionalità ha bisogno di consolidarsi in termini normativi e ordinamenti regolativi che la legittimino e ne consentano la riproducibilità. Questo processo va sotto il nome di istituzionalizzazione. L’azione non può essere pensata al di fuori di un quadro di riferimento che tende a dar vita a relazioni stabilizzate, prevedibili e consolidate/consolidabili. Il concetto weberiano di istituzionalizzazione è stato ripreso da Berger e Luckmann (1967) che lo hanno posto a fondamento dell’intera vita sociale. La realtà stessa è una costruzione sociale che si produce mediante la formazione di routines (cognitive) che si costituiscono come attualità autoevidenti e non più discutibili (date per scontate/taken for granted), che contribuiscono alla costruzione di nuove istituzioni sociali. Questo approccio analitico evolutivo della visione weberiana impiega il termine istituzione in senso strettamente sociologico, come tipizzazione di comportamenti, elaborazione e codificazione di regole, 17 sedimentazione di rappresentazioni e atteggiamenti collettivi sulla base di usi e/o consuetudini, stabilizzazione di reti di relazioni reciproche, che non necessariamente sfociano nella cristallizzazione giuridica la quale costituisce solo l’ultimo e più avanzato stadio del processo di istituzionalizzazione. In termini concreti, quindi, questo processo che può assumere forme tra loro molto differenziate, si caratterizza come un irrigidimento una routinizzazione di qualunque tipo di relazione sociale e le conseguenze che provoca ricadono sulla natura stessa della relazione e della capacità di azione dei soggetti. Nella prospettiva fenomenologica, quella delineata sinteticamente nell’espressione costruzione sociale della realtà il processo di istituzionalizzazione attenua non poco il carattere autonomo dell’azione individuale. La vita sociale non si produce mediante l’agire intenzionale dell’attore ma grazie alla riproduzione di pratiche routinarie scarsamente riflesse. Appare qui necessaria una precisazione. Per quanto riguarda la vita economica dobbiamo fare riferimento a due tipi di significati definiti dai termini istituzione e istituzionalizzazione. Quando si parla (Weber) di istituzioni della vita economica ci si riferisce ai processi di formazione del mercato inteso come quell’insieme di regole, vincoli, condizioni – di tipo politico, sociale e culturale, - che rendono possibile l’agire economico razionale. Come si è visto si è trattato di un processo graduale, che progressivamente si è esteso costruendo, ad oggi, le condizioni per la diffusione di una economia di mercato di tipo globale. Con l’idea di istituzionalizzazione intendiamo, invece, un processo ampio ma del tutto diverso di stabilizzazione delle relazioni sociali come effetto dell’azione dei soggetti. La fenomenologia ha fatto anche di più ponendo, come si diceva, l’istituzionalizzazione come processo chiave per l’interpretazione della realtà stessa come costruzione sociale. Queste due concettualizzazioni, come vedremo, sono separabili solo analiticamente ma sono, di fatto, ampiamente sovrapposte e intrecciate. La domanda decisiva è: nel mondo dell’economia di mercato (calcolabilità, agire razionale, etc.) la tendenza all’istituzionalizzazione tipica della vita sociale agisce? Esiste cioè una costruzione sociale che riguarda specificamente la vita economica? In altre parole quali sono le istituzioni e i processi di istituzionalizzazione che investo la vita economica? Questo passaggio è decisivo perché ammettere l’istituzionalizzazione della vita economica significa riconoscere la possibilità di 18 rintracciare in essa tutti quei meccanismi che presiedono all’istituzionalizzazione della vita sociale più in generale. Gran parte del lavoro disciplinare della sociologia economica si svolge all’interno del tentativo più o meno articolato e connotato di dare risposta a questi interrogativi. I filoni di riflessione e di ricerca che si sono sviluppati a partire da essi possono essere così riassunti: • • • • gli scambi di mercato non sono avulsi dai processi sociali l’agire di mercato non è il luogo della asocialità proprio perchè al suo interno possono essere rintracciati i caratteri dell’agire sociale. Da una parte il mercato crea legami sociali dall’altra utilizza le relazioni che si costruiscono in sfere extraeconomiche; le dimensioni valoriali e cognitive – tipiche dei processi di istituzionalizzazione sono fondamentali anche nella spiegazione della vita economica; oltre al mercato esistono altre forme di scambio che contribuiscono a determinare l’ordine sociale ed economico; la realtà economica è profondamente radicata nella dimensione istituzionale e politica della vita sociale dalla quale non si può prescindere e verso la quale gli attori assumono atteggiamenti proattivi. Le convinzioni comuni che sono scaturite da questi filoni di riflessione e di ricerca possono essere, a loro volta, così sintetizzati: o l’azione economica è una azione sociale che si svolge in un contesto istituzionale del tutto particolare che ne modifica parzialmente le logiche; tali logiche appaiono dotate di vita propria e assumono forme e modalità del tutto particolari e/o autonome; o la vita economica nonchè più fluida di altri contesti sociali mette all’opera la tendenza interna ad ogni tipo di relazione sociale a dar vita ad assetti variabili, relativamente stabili, obbligazioni, legami, appartenenze sociali da cui derivano risorse e vincoli per l’azione stessa. Questi fenomeni sono sociologicamente rilevanti e analizzabili; o tali assetti sono modificabili soltanto a costi molto elevati ed è per questo che l’azione economica seppur orientata al profitto è fortemente influenzata dalle condizioni nelle quali essa ha luogo; o la dimensione del potere è fondamentale per la spiegazione sociologica dell’agire economico e ristruttura in forme 19 variabili. Il potere nella vita economica si riproduce sia dall’interno mediante i processi di istituzionalizzazione, sia dall’esterno attraverso i rapporti che si vengono a creare tra i vari ambiti istituzionali. Fondamentale è lo studio dei rapporti tra il potere interno e li potere esterno al mercato; o l’organizzazione della vita economica condiziona ed è condizionata dai contesti sociali nei quali è immersa; La presunzione della sociologia economica di poter essere pertinente in materia di vita economica e agire economico è data dalla pervasività dei meccanismi sociali che presiedono all’azione individuale. I risultati principali raggiunti dalla sociologia economica, anche grazie alla svolta veicolata dall’affermazione della microsociologia 13in questo ambito, appaiono essere: o al centro dello studio dei sociologi appaiono temi, strumenti, apparati concettuali del tutto nuovi quali la costruzione sociale del mercato, la varietà delle forme di istituzionalizzazione dell’economia, le forme di solidarietà e di fiducia, il rapporto tra le organizzazioni economiche e il loro ambiente, le diverse forme dello scambio, le logiche del consumo; o viene dato un significativo impulso al superamento della contrapposizione tra una visione del mercato come somma di comportamenti atomistici e una visione del mercato ancorata al potere che non lascia spazio né all’azione né all’articolazione della vita sociale ed economica. Questo superamento si sostanzia nella preferenza accordata ad una visione che rompe con un’ idea monolitica del mercato “ben pochi sono i mercati 13 Per microsociologia s'intende uno dei rami della sociologia (in contrasto agli approcci detti macro e meso) che si occupa dell'interazione umana su scala ridotta. Spesso si fonda sull'osservazione diretta, piú che su dati statistici. Oggetto di studio della disciplina sono i piccoli gruppi (come la famiglia, la coppia, le compagnie) e le strutture alla base dei comportamenti nelle relazioni. Si osserva come dall'interazione nascono i rapporti sociali, come da elementi comportamentali anche minimi si sviluppino i ruoli rispettivi, e come la stessa crei le premesse per ulteriori forme del rapporto. Le teorie microsociologiche si occupano del rapporto fra agente (detto impropriamente attore) e società a livello individuale. Le più note sono le teorie comportamentali (il comportamentismo), dei ruoli, dell'interazione e della comunicazione, del conflitto, dello sviluppo dell'identità sociale, dei processi decisionali (la rational choice theory/teoria della scelta razionale). Contributi importanti vengono dall'etnometodologia, dall'interazionalismo simbolico e da certi spunti del costruttivismo http://it.wikipedia.org/wiki/Microsociologia 20 simili e […] nessuno è privo di strutture e di regolarità di comportamenti. Il mercato non esiste: non vi sono che mercati come sistemi di azione concreti [Friedberg, 1994, 194]. Se l’economia è una costruzione sociale non è pensabile, allora, che essa raggiunga necessariamente quelle condizioni di standard di efficienza di cui parlano gli economisti. La sociologia economica mette in luce, in questo discorso, la varietà istituzionale compatibile con la logica di mercato da cui discende anche un forte interesse per l’analisi comparata degli assetti delle moderne economie nei loro rapporti con le strutture sociali di riferimento. La scelta di applicare approcci micro ai temi del mercato e dell’economia ha permesso nuove e più ricche elaborazioni concettuali ampliando la cassetta degli attrezzi della sociologia. Oltre all’embeddedness termini come fiducia, capitale sociale, gerarchia, rete, reciprocità, regolazione sociale, nati dal lavoro dei sociologi economici sono entrati ampiamente nel lessico e negli interessi di studio relativi all’azione economica. Per ragionare a. Che cosa si intende per istituzionalizzazione La lenta erosione dei legami di fiducia avvenuta ad opera del processo di secolarizzazione, • lo sviluppo dei mercati, • il declino delle forme tradizionali di appartenenza, • la crisi del ciclo delle idee dell’individualismo metodologico rendono rilevante il ruolo delle istituzioni per creare o ricostruire questi legami attraverso una riduzione dell’incertezza Zucker, North attraverso l’analisi di modelli regolativi dotati di una certa prevedibilità Simon. Istituzionalizzazione è il processo attraverso il quale relazioni sociali e modelli di comportamento vengono: a) differenziati b) assumono valere intrinseco taken for granted c) si spersonalizzano Componente strutturale Gli individui passano e le istituzioni restano Questo avviene a) quanto più si sviluppano interessi alla auto conservazione b) quanto più l’istituzione coagula intorno a sé risorse materiali, valoriali e/o simboliche 21 c) quanto più queste risorse non sono di proprietà d) quanto più sono standardizzate e) quanto più il prodotto di queste interazioni vive di vita propria. Componente cognitiva Ci si muove verso il concetto di taken for granted Indicatori Sviluppo di espressioni linguistiche che: 9 connotano l’istituzione in modo sintetico senza esplicitare le caratteristiche 9 sono decifrabili da chi non fa parte dell’istituzione 9 presenza di issue che non sono oggetto di disputa 9 crescente omogeneità dei significati attribuiti Componente prescrittiva 9 Esistenza di obblighi di conformità a determinati requisiti 9 Diffusione di riti durante i quali viene riconosciuta pubblicamente la conformità di criteri e viene riaffermata la loro validità 9 Grado di formalizzazione 9 Credenze condivise sulla natura e la legittimità degli obiettivi che si stanno perseguendo Componente giuridico formale 9 quanto le relazioni tra gli attori sono regolate 9 quanto tale normativa conferisce autonomia all’istituzione 9 quanto questa normativa è rispettata L’Istituzionalizzazione può essere allora: 9 Completa 9 Incompleta elevato rispetto ad alcune componenti e non ad altre 9 Parziale quando allo stesso livello di analisi ci sono diversi gradi di istituzionalizzazione 9 Asimmetrica tra macro e micro Il successo o l’insuccesso di un’organizzazione non dipendono dall’efficacia o dall’efficienza delle sue prestazioni, ma proprio dalla sua maggior e o minore conformità a norme, regole conoscenze e prescrizioni istituzionalizzate. Le organizzazioni tenderanno, perciò, ad incorporare gli elementi istituzionali presenti nell’ambiente in cui operano; elementi che, a loro volta, sono stati prodotti e trasmessi da altre organizzazioni che hanno agito come a genti o imprenditori istituzionali. Le organizzazioni sono gli agenti principali attraverso i quali operano le istituzioni in quanto sviluppandosi degli interessi alla loro 22 riproduzione assicurano la persistenza dei principi, dei modelli di comportamento, delle politiche e delle pratiche istituzionalizzate che incorporano. Il capitalismo esiste in quanto esistono le imprese La burocrazia esiste in quanto esistono le Amministrazioni La democrazia in quanto esistono partiti, sindacati, parlamenti. Tutte queste istituzioni persistono nel tempo in quanto le organizzazioni ad esse corrispondenti tendono a conservarsi e ad autoriprodursi. b. Che cosa si intende per istituzione Rimandando alla lettura del Dizionario di sociologia di Luciano Gallino [Gallino 1988] sicuramente illuminante ed esaustiva si riportano qui di seguito due tra le principali modalità di utilizzo consigliabili ai fini del nostro ragionamento. Le due modalità si riferiscono ad un approccio cognitivo-relazionale del concetto di istituzione e l’altra ad una visione dell’istituzione come forma organizzativa. È evidente che i significati prescelti per la descrizione si limitano a dare un’idea di massima di una concettualizzazione ricca e complessa che sarebbe ridondante riportare per intero L’istituzione è un complesso di valori, norme, consuetudini che con varia efficacia definiscono e regolano durevolmente, in modo indipendente dall’identità delle singole persone e, di solito, al di là della durata della vita di queste: a) i rapporti sociali e i comportamenti reciproci di un determinato gruppo si soggetti la cui attività è volta a con seguire un fine socialmente rilevante o, a cui si attribuisce una funzione strategica per la struttura di una società o importanti settori di essa; b) i rapporti che un insieme non determinabile di altri soggetti hanno ed avranno a vario titolo con tale gruppo senza farne parte ed i loro comportamenti nei suoi confronti. In tal senso ad esempio un’istituzione come il matrimonio definisce e regola da una parte i rapporti e i comportamenti dei coniugi l’uno verso l’altro (es. obbligo di fedeltà e di assistenza), dall’altro i comportamenti che molti soggetti (es. funzionari, vicini di casa, assicuratori, etc.) devono tenere o, si ritiene giusto debbano tenere, rispetto a qualsiasi coppia unita in matrimonio. L’istituzione è, per altri versi un gruppo organizzato, un’organizzazione che svolge funzioni socialmente rilevanti e riconosciute/riconoscibili, ed è valutata positivamente da vari settori della società che le forniscono legittimazione, sostegno politico e 23 risorse economiche. Da un certo punto di vista le Istituzioni sono organizzazioni anche se va chiarito, ed è una questione che attiene alle funzioni effettivamente riconosciute e svolte da una determinata organizzazione, che non tutte le organizzazioni sono istituzioni se manca loro, appunto il requisito della funzione riconosciuta o del servizio socialmente rilevante (in ultima analisi se all’interesse dell’organizzazione e alla sua sopravvivenza non contribuiscono solo i suoi membri. Riferimenti bibliografici Bagnasco A. (1988), La costruzione sociale del mercato, Bologna, il Mulino Becattini G. (2000), Il Distretto industriale, Torino, Rosemberg&Sellier Berger e Luckmann (1967) , La costruzione sociale della realtà, Bologna, il Mulino Borghi V., Magatti M. (2002), Mercato e Società, Roma, Carocci Coleman J (1990), Foundations of Social Theory, Harvard University Press Durkheim E. (1996), Le regole del metodo sociologico, Milano, Edizioni di Comunità Id. 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