Introduzione alla sociologia economica

Introduzione alla sociologia economica
1. Che cosa si può intendere per economia?1
Nella storia delle scienze sociali degli ultimi due secoli ci sono stati,
prevalentemente, due modi di guardare all’economia.
Un primo modo vede l’economia come costituita da quell’insieme di
attività volte a consentire la riproduzione materiale di un dato gruppo
sociale.
Secondo questa prospettiva i modi per soddisfare i bisogni connessi
alla riproduzione sociale2 hanno sicuramente a che fare con
l’organizzazione complessiva delle vita collettiva e della società.
L’economia non si caratterizza come un luogo dell’agire ma
rappresenta una funzione, per così dire, di una data comunità. Non
esiste, quindi, un minimo vitale in materia di bisogni riproduttivi. Esso
è determinato, caso per caso, da quel particolare modo che quella
particolare comunità adotta per garantire la propria riproduzione
sociale/sopravvivenza.
La stessa antropologia ha sostanziato questa posizione evidenziando
come, per gran parte della storia dell’umanità, l’organizzazione
dell’economia non sia stata legata al mercato ma ad una rete
complessa di scambi e apparati istituzionali [Geertz, 1987].
Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione (1974), ricostruendo
l’evoluzione dell’organizzazione sociale dell’economia, identifica tre
diverse forme di scambio che consentono - ed è questa un’opzione
strategica ai fini della descrizione di analogie e differenze tra i vari
modi di intendere l’economia - di separare nettamente la nozione di
1
Molte delle cose scritte rappresentano suggerimenti diretti e indiretti tratti dallo studio dei
seguenti testi. In prevalenza Borghi V. e Magatti M. (2002), Mercato e Società, Roma,
Carocci; Trigilia C. (2002), Sociologia Economica. II Temi e percorsi contemporanei,
Bologna il Mulino. Più in generale Mutti A. (2002), Sociologia economica. Il lavoro dentro e
fuori l’impresa, Bologna, il Mulino; Swedberg R. (1994), Economia e Sociologia, Roma,
Donzelli; Mingione E. (1997), Sociologia della vita economica, Roma, NIS; Martinelli A. e
Smelser N. (a cura di) (1995), Sociologia Economica, Bologna, il Mulino.
2
Per riproduzione sociale si intendono le relazioni che permettono agli esseri umani di
realizzare la propria sopravvivenza e la conservazione della specie nelle condizioni ritenuti le
migliori possibili in differenti ambienti sociali. La questione della riproduzione sociale si è
posta solo con l’avvento delle società industriali che ha portato alla sistematica separazione
tra attività e contesti di vita che riguardano la produzione e la distribuzione delle risorse
economiche e attività e contesti di vita che riguardano la produzione e distribuzione di risorse
economiche e attività e contesti di riproduzione sociale, consumo, vita privata, strategie sociodemografiche, attività di cura con la persona. [Mingione, 1997, 83]. Un'altra definizione più
allargata [Gallino, 1993, 555] descrive la riproduzione sociale come l’insieme dei processi di
breve, medio e lungo periodo tramite i quali una società riproduce gli elementi della propria
cultura, i modelli di rapporto e di relazione sociale, le strutture di personalità caratteristici
del suo ordine sociale e necessari ala mantenimento di questo ad un dato stadio di sviluppo
economico, politico e tecnologico, ovvero ad un dato livello di civiltà.
2
economia da quella di mercato, di concorrenza, di razionalità e di
immaginare che il mercato stesso non sia da considerarsi come una
condizione naturale dell’economia nel suo complesso.
Come, anzi, egli sostiene “i rapporti interpersonali basati sul dare e
sul ricevere sono incorporati in una vasta rete di impegni sociali e
politici che non consentono agli individui di massimizzare i vantaggi
economici ottenuti in queste relazioni. L’economia umana è secondo
Polanyi “quindi inserita e coinvolta [embedded n.d.a.] in istituzioni di
natura economica e non economica. La presenza di istituzioni non
economiche è di importanza decisiva. La religione e il governo
possono essere non meno importanti delle istituzioni monetarie o
della stessa disponibilità di strumenti e macchine, che allevino la
fatica del lavoro, per la struttura e il funzionamento dell’economia”.
[Polanyi, 1974, 305]
Egli individua, pertanto, tre forme di scambio:
• il mercato caratterizzato da scambi impersonali regolati da un
equivalenza numerica determinata dalla moneta;
• la reciprocità che dà luogo ad uno scambio non mediato dalla
moneta tra partner che non sono legati necessariamente da
vincoli economici;
• la redistribuzione generata quando un centro politico è in
grado di raccogliere risorse e distribuirle secondo criteri
definiti tra tutti i membri della società.
Se questa è, in estrema sintesi, la visione dei problemi che caratterizza
un approccio per così dire sostanzialista [Magatti, 2002] un secondo
modo, definibile genericamente formalista, vede l’economia legata
strettamente al problema della scarsità dei mezzi disponibili rispetto
all’insieme delle scelte possibili (bisogni individuali) in termini di
allocazione.
L’agire economico procura la possibilità di sfruttare al meglio
(massimizzazione) le risorse di cui si dispone per raggiungere
determinati fini.
Questa tradizione di pensiero si afferma alla fine del XIX secolo e va
sotto il nome di teoria neoclassica.
Essa esalta la posizione dell’attore individuale che, dotato di uno
specifico sistema di preferenze, definisce gli obiettivi da perseguire. In
questo senso l’economia non si presenta come un settore più o meno
definito della società ma come un vero e proprio modo di agire.
Questa posizione, in ultima analisi, è stata fatta propria anche da
Weber quando sostiene che “Chiamiamo economico un agire in
quanto orientato a ottenere prestazioni d’utilità desiderate o
possibilità di disporre di esse […] l’agire economico è condizionato
costantemente dalla scarsità dei mezzi ed è orientato ad essa: per
poter soddisfare il desiderio con prestazioni di utilità, i mezzi presenti
3
in quantità limitata debbono essere economizzati. Da qui la tendenza
alla razionalizzazione dell’agire economico”. [Weber, 1993, 3-4].
Secondo questa visione, in sintesi, l’economia è quella disciplina che
si occupa dell’allocazione (efficiente) di mezzi scarsi.
Tra i due modi di vedere l’economia appena descritti esiste certamente
un conflitto profondo che procura un ampio e vivace dibattito ancora
oggi aperto. Però, per sgombrare il campo da ogni possibile
fraintendimento, come d’altra parte ci suggerisce una prospettiva
storica, non è il caso di fare a meno di nessuno di essi.
Il primo ha il pregio di problematizzare il rapporto tra i mezzi, i fini e
le modalità attraverso le quali l’agire economico li mette in relazione
in maniera non automatica.
Il secondo consente, comunque, di muoversi agevolmente nello studio
e nella spiegazione delle trasformazioni dell’economia - cosiddetta
moderna, quella di mercato - così come si è venuta a costituire negli
ultimi secoli.
Se oggi una concezione allargata dell’homo oeconomicus la fa “da
padrona” non si può dire che sia stato così in altre epoche, ma quel
che è ancora più importante, è che in una moderna economia di
mercato continuino a convivere e a prosperare forme di scambio
molteplici quali quelle preliminarmente individuate da Polanyi3.
Resta, pertanto, valido un approccio che, pur non rinunciando a
definire differenze e caratterizzazioni, ci metta in grado di accettare
diversi punti di vista cercando di precisarne, semmai, la fertilità
esplicativa nei differenti contesti d’uso.
Max Weber nella sua Storia economica ci aiuta, ad esempio, a
ragionare sull’evoluzione dell’economia distinguendo tra:
• economia naturale nella quale il fabbisogno viene soddisfatto
senza ricorrere allo scambio (es. feudatario o economia
domestica chiusa);
• economia naturale di scambio che conosce lo scambio ma non
il denaro (es. il baratto);
• economia monetaria che si radica quando diventa possibile
separare produzione e allocazione allargando le opportunità di
acquisizione dei beni.
Corollari di grande importanza appaiono essere:
o la separazione tra produzione e consumo;
3
A puro titolo di esempio e in maniera un po’ provocatoria in questo contesto d’uso,
riportiamo la definizione di economia che ci viene offerta da Samuelson e Nordhaus due
insigni economisti, definizione certamente meticcia che fa accenno alla redistribuzione in
considerazione delle due posizioni enunciate in precedenza. L’economia è lo studio del modo
in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e di come tali beni vengono
distribuiti tra i vari soggetti. [Samuelson e Nordhaus, 2002].
4
o l’estensione
dell’orizzonte
temporale
(logica
dell’accumulazione che lega il presente e il futuro);
o l’individualizzazione dell’agire economico.
Rispetto a questo modo di guardare all’economia, senz’altro basilare
per i sociologi, appare, però, necessario fare alcune precisazioni che
“spiegano” la complessità insita nel rapporto tra le discipline
(economia e sociologia) e individuano nodi, ancora in parte, irrisolti.
La diffusione del mercato come forma prioritaria dell’agire economico
non comporta, infatti, necessariamente la condivisione dell’idea di
homo oeconomicus. In altre parole, la peculiarità dell’agire economico
risiede nelle forme che assume lo scambio e non necessariamente
nell’intenzionalità dell’attore (agire razionale rispetto allo scopo). Di
per sé l’esistenza del mercato (più o meno autoregolato) non spiega,
(per i sociologi n.d.a.) il fatto che l’uomo agisca secondo scopi
determinati e razionali.
Inoltre, come abbiamo sostenuto, l’esistenza e/o la prevalenza della
forma di scambio - chiamata mercato - non implica di per sé
l’abolizione di altre forme di scambio che con essa coesistono e che
sono in grado di spiegare comportamenti apparentemente irrazionali,
cooperativi e/o centrati sulle gerarchie e sul potere.
Non va, infatti, mai perso di vista il ruolo che è sotto gli occhi di tutti
dello Stato che, al di là delle forme che essa può assumere e che come direbbe North (1994) è path dependance - svolge una funzione
strategica di redistribuzione e, in parte, di gerarchizzazione [Magatti
1995].
La redistribuzione in senso moderno, peraltro, unisce modalità tipiche
della produzione e della riproduzione attraverso specifici sistemi (il
sistema di welfare è tra i principali):
• il prelievo fiscale e il trasferimento monetario;
• la fornitura di servizi.
In sintesi, la caratteristica principale di una economia moderna non è,
quindi, l’esistenza del mercato, ma la compresenza di diverse forme di
scambio di cui quella di mercato appare, per ragioni diverse, la più
pervasiva.
Una delle questioni cruciali, dal nostro punto di vista resta, pertanto,
quella di trovare modalità e livelli di armonizzazione tra differenti
forme di transazione economica che contribuiscano a risolvere
problemi e a rispondere ad esigenze complementari.
Le implicazioni più rilevanti di questo modo di vedere le cose sono:
o la questione dell’efficienza non è l’unica questione che
pertiene alla sfera economica. Essa rappresenta una questione
cruciale dell’agire economico. Non tutte le decisioni, però,
come sappiamo, vengono prese a partire sempre da questo
criterio;
5
o il rapporto tra mercato, redistribuzione e reciprocità è una
questione aperta e non risolvibile una volta per tutte.
2. Il mercato
La moderna concezione del mercato nasce nel XVIII secolo ad opera
del filosofo morale scozzese Adam Smith. La sua idea di mano
invisibile tende a spiegare come il mercato possa rendere possibile
rapporti tra gli uomini non basati sull’affetto ma fondati, più
semplicemente, sull’interesse reciproco. Ma c’è di più. Egli introduce
un tema fondamentale della vita economica che è quello di
regolazione laddove, a differenza di quanto accade in altri contesti,
sostiene Smith, la ricerca del proprio vantaggio personale non conduce
al caos, a livelli di ingiustizia macroscopici o al dominio (come
vedremo entro certi limiti) di una cerchia ristretta di uomini, ma
favorisce una crescita diffusa in grado di associare tutti al benessere
collettivo.
Si passa, quindi, da un’idea di mercato come luogo fisico ad una di
mercato come rete di scambi. È solo dopo il lavoro di A. Smith che è
stato possibile pervenire alla definizione di un ambiente all’interno del
quale si assiste ad uno sviluppo senza precedenti dell’agire economico
razionale rispetto allo scopo.
Ma quali sono le condizioni necessarie alla nascita del mercato?
In estrema sintesi esse possono essere individuate ne:
o l’appropriazione di tutti i mezzi materiali a partire dalla terra e
dai mezzi di produzione da parte di imprese private autonome;
o la libertà di mercato e quindi l’abbattimento delle barriere
imposte al traffico commerciale;
o la diffusione della tecnica/tecnologia;
o la nascita di un diritto che regola le stesse relazioni di mercato
(transazioni);
o la presenza di uno stato legale e una classe di funzionari
dedicati al funzionamento e al riconoscimento;
o la creazione di un mercato del lavoro;
o la nascita e il consolidamento di un soggetto collettivo
(l’impresa) istituzionalmente demandato a raggiungere in
modo razionale obiettivi economici mediante specifiche
modalità di organizzazione del lavoro;
o la commercializzazione dell’economia (atti e diritti di
proprietà commercializzabili – es Borsa);
o la separazione tra economia interna ed esterna;
o l’esistenza di un media (mediatore) e cioè il denaro.
6
Corollario strategico di queste pre-condizioni è la nascita di un
sistema dei prezzi che rende l’agire economico meno soggettivo e più
impersonale.
Il mercato, all’interno di questa concettualizzazione può essere
definito come quel particolare ambito dove grazie ad un sistema di
prezzi è possibile calcolare le conseguenze economiche delle proprie
azioni. Nulla di simile esiste in altri contesti della vita sociale. Il
mercato è un ambiente unico che si caratterizza principalmente come
il luogo della calcolabilità [Magatti, 2002, 17-21 ].
Conseguenza estrema di questo ragionamento/approccio è
rappresentata dall’affermazione che l’economia moderna (in questo
Polanyi e Marx hanno la stessa posizione) nasce solo dopo
l’affermazione del lavoro salariato. Con il salario, cioè, tutto, anche il
lavoro delle persone, può essere monetizzabile/calcolabile.
L’economia di mercato si costituisce, allora, come ambito sociale
relativamente distinto dal resto della società nel quale il contesto
d’azione assume caratteristiche specifiche.
A facilitare questa trasformazione presiedono i profondi cambiamenti
procurati sulla vita sociale dalla diffusione dell’economia monetaria.
Va a Simmel, un importante sociologo tedesco, il merito di averci
aiutato a spiegare quella che è la vera essenza della moneta e, cioè, la
sua scambiabilità. Grazie alla sua uniformità che deriva da un
processo di istituzionalizzazione4 che si sviluppa con grande rapidità
per una serie di caratteristiche insite nello scambio economico basato
sulla moneta si arriva rapidamente, ed è questo quello che Simmel ci
descrive con grande lucidità, al processo di oggettivazione che il
denaro introduce e diffonde nella vita sociale. Grazie alla sua
diffusione si diffonde parimenti il processo di individualizzazione
dell’agire economico che si associa naturalmente, nell’economia
neoclassica, al concetto di agire razionale rispetto alla scopo.
In questo senso il denaro arriva a rivestire un’importanza
fondamentale per la libertà individuale dell’uomo moderno: esso
produce, da una parte, le condizioni per l’impersonalità dei rapporti
economici e dall’altra si caratterizza come un potente fattore di
solitudine e di isolamento (rimozione dell’obbligo a perseguire
congiuntamente ad altri specifiche finalità economiche).
Per Simmel il processo di individualizzazione della vita economica
presuppone che [Moscovici, 1991, 438]:
• lo scambio sia una forma sui generis di società nella quale i
valori assumono una esistenza autonoma e oggettiva;
• lo scambio diventi economico per il fatto che gli individui lo
accettino;
4
Sui processi di istituzionalizzazione in economia e sociologia si veda più avanti.
7
•
•
•
•
•
•
•
•
il danaro rappresenti i valori e li reifichi (li trasformi cioè in
oggetti) permettendo così una loro comparazione;
il passaggio dall’economia chiusa all’economia aperta si
compia attraverso un percorso di intellettualizzazione del
denaro;
intellettualizzandosi il denaro si distanzi dalle persone;
assicuri la superiorità dei mezzi di scambio e comunicazione
dei valori sui fini ed esso stesso si trasformi da mezzo in fine;
il denaro realizzi la tendenza della vita sociale a unificare la
diversità riducendo la qualità in quantità;
il denaro renda possibile lo scambio prendendo la forma di un
codice;
la diffusione dell’economia basata sulla moneta (monetaria)
porti all’autonomia del mondo degli scambi e gli conferisca
una forma astratta e universale;
il denaro orienti la cultura verso la preminenza dell’intelletto
sugli affetti.
Queste osservazioni di Simmel ci aiutano a comprendere come
l’economia moderna nasca nel momento in cui sono disponibili un
insieme di condizioni/prerequisiti e si affermino alcuni fondamentali
modi pensare e di vedere l’agire economico.
Si arriva, pertanto, solo attraverso un lungo e non scontato percorso di
costruzione e decostruzione di valori (istituzionalizzazione e deistituzionalizzazione), all’idea che l’economia di mercato possa essere
percepita e studiata come un ambito sociale specifico e relativamente
distinto dal resto della società, nel quale le condizioni dell’azione sono
assolutamente peculiari.
Tale specificità viene sottovalutata o addirittura annullata in tutti quei
tentativi, nei quali l’intera vita sociale viene pensata come un grande
mercato. In certi casi, alcuni dei quali molto autorevoli (cfr. Coleman,
Becker e i sociologi della scelta razionale), si tenta con più o meno
successo, di utilizzare le categorie tipiche dell’economia neoclassica
allo scopo di interpretare l’intero agire sociale5.
La sociologia economica a partire, quindi, dalle premesse di Polanyi,
di Weber di Simmel si pone il compito di tematizzare le specificità di
questo ambito di azione per chiedersi se e quanto i processi e i
meccanismi sociali, che sono rintracciabili in altri ambiti della vita
5
Secondo Coleman l’utilità muove gli attori. L’azione (…sociale) dipende dall’utilità e dalla
sua massimizzazione. Il principio dell’azione sta nel fatto che l’attore si comporta in modo
tale da realizzare al meglio il proprio interesse. Ciò equivale a dire che massimizza la sua
utilità, ma preferisco pensare a ciò in termini di interesse, perché credo che questo termine
sia più vicino al modo naturale di intendere gli orientamenti soggettivi [Swedberg, 1994,
58].
8
collettiva, siano operanti (e come) in quel particolare contesto
istituzionale che abbiamo chiamato mercato.
Il mercato si configura, pertanto, come un ambito dove le azioni e le
relazioni si svolgono in un modo, come dicevamo, del tutto specifico.
Ma questo non ci porta a dire che, all’interno o all’esterno di esso,
l’azione economica sia destinata a perdere qualsiasi connotazione
sociale. L’azione economica, l’agire economico rimangono azione e
agire di tipo sociale anche se è il contesto istituzionale (e di
significato) che incide in maniera decisiva sul modo in cui essi si
producono e sulla forma delle interazioni che ne conseguono.
Riconoscere, quindi, la specificità del mercato come ambito di analisi
non significa arrivare alla conclusione che al suo interno non vi sia
traccia di socialità: è vero, semmai, che la specifica configurazione del
mercato rende più instabili quel tipo di rapporti sociali che tendono
sempre a ricostituirsi.
Da questa angolazione il mercato si presenta come una istituzione
sociale nella quale sono in opera comportamenti determinati dal
sistema delle preferenze individuali, dai contesti istituzionali di
riferimento, dai valori condivisi, dalle culture di riferimento degli
attori [Solow, 1994].
Adottando entrambe le prospettive prima delineate per una definizione
dell’economia, proviamo ad individuare sinteticamente pregi e difetti
del mercato che equivalgono alla definizione di vere e proprie piste di
ricerca per la sociologia economica.
Per ragionare
Le virtù del mercato
o Il mercato è un meccanismo istituzionale che, mediante la
concorrenza, è in grado di spingere le unità produttive verso la
ricerca di una maggiore efficienza (non c’è solo l’efficienza
ma l’innovazione e la crescita economica6);
o il mercato contribuisce (autoregolazione e regolazione) alla
“civilizzazione“ del comportamento umano in condizioni di
complessità sociale;
o il mercato salvaguarda l’esistenza di spazi di libertà
individuale;
o il mercato crea interdipendenza per cui, in ultima analisi,
nessuno può fare a meno della altro.
I difetti del mercato
o l’efficienza non equivale a giustizia ed equità;
6
Ci riferiamo qui alle posizioni di Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia
9
o il rovesciamento dei mezzi con i fini (mercificazione della vita
privata, e colonizzazione della vita da parte della razionalità
economica);
o l’azione moralizzatrice del mercato (nel senso descritto da
Smith) tende ad indebolirsi nel tempo in mancanza di
interventi regolativi e/o correttivi efficaci;
o gli effetti della razionalità appaiono spesso irrazionali (es.
sviluppo della tecnologia e esaurimento delle fonti energetiche
– sviluppo dei mezzi di trasporto privati e danni ambientali).
3. Ancora su economia e sociologia. La nascita della
sociologia economica e le premesse per nuovi
sviluppi.
Proviamo a tornare un attimo indietro, cioè alla storia e all’evoluzione
del pensiero sociologico in campo economico.
L’economizzare come scelta di allocazione più efficiente di risorse
scarse è il cuore dell’indagine economica. Secondo un orientamento
analitico deduttivo si postulano determinati obiettivi da parte degli
agenti (massimizzazione di utilità) e condizioni che ne vincolano
l’azione (mercato di concorrenza perfetta) e se ne deducono
determinati risultati (equilibro economico). Se si introducono variabili
istituzionali, non è possibile mantenere quel livello di regolarità e
prevedibilità a priori nel comportamento degli attori compatibile con
la determinazione dei prezzi di equilibrio e con la dimostrazione
dell’equilibrio economico generale.
Per affrontare problemi di questo tipo è, infatti, necessario supporre un
comportamento stabile ed uniforme degli attori orientato alla
massimizzazione dell’utilità individuale, in un contesto di mercato
concorrenziale. Ciò consente un ragionamento deduttivo sulle
conseguenze economiche che ne discendono. Per contro la valutazione
dell’influenza di fattori sociali – nella loro varietà e variabilità – sul
comportamento economico dei singoli soggetti richiede un’ottica
induttiva che parta dall’esperienza (come si comportano gli attori) per
formulare generalizzazioni empiriche e relazioni causali limitate tra i
fenomeni studiati. In questo modo si introduce, però, inevitabilmente
una maggiore variabilità nei comportamenti ed è proprio quello che gli
economisti, di solito, non gradiscono.
Analisi economica e analisi dell’influenza delle istituzioni
sull’economia tendono a separarsi
prevalentemente su questo
versante. È cosi che prende forma la nuova prospettiva analitica e
disciplinare della sociologia economica.
Essa si sviluppa, innanzitutto, in Germania con Sombart e Weber
come sociologia storica del capitalismo. Al suo centro troviamo
l’indagine sulle modalità attraverso le quali le istituzioni – viste nei
10
loro aspetti sociali, culturali, politici, giuridici - ne influenzano le
origini. Si è, pertanto interessati al funzionamento e alle
trasformazioni di questo specifico sistema economico (sistema
capitalistico).
Questa tradizione di studi viene rinverdita e sviluppata, soprattutto
attraverso gli studi sul capitalismo, da autori come Schumpeter e
Polanyi ma si tratta di casi piuttosto isolati ai quali occorrerebbe anche
aggiungere la sociologia economica francese influenzata da Durkheim
e l’istituzionalismo americano (Veblen e Commons).
Se, dunque, gli economisti non sono spinti a porsi un problema di
influenza delle istituzioni sull’economia una tendenza analoga è pure
presente tra i sociologi. Non è un caso che gli ultimi grandi contributi
di sociologia economica che si pongono il problema di analisi
istituzionali del capitalismo siano degli anni ‘40. Si tratta dei lavori,
anche in questo caso, di Schumpeter e Polanyi. La stabilizzazione dei
rapporti tra economia e società porta i sociologi a non interessarsi più
al tema dello sviluppo dei Paesi avanzati, che appare ora un problema
più tecnico saldamente in mano ai nuovi economisti keynesiani.
L’analisi istituzionale dell’economia tende così a emigrare e si
concentra sul problema della sviluppo dei Paesi arretrati assumendo le
sembianze della sociologia della modernizzazione.
Per quel che riguarda i Paesi sviluppati la sociologia economica si
specializza e si frammenta: trova un suo spazio come sociologia
dell’organizzazione, del lavoro e delle relazioni industriali. Se la
risposta a domande relative alle diverse performance dei Paesi
industrializzati non può essere rinvenuta nel paradigma economico
tradizionale l’analisi economica si rivolge alla spiegazione del
comportamento degli attori istituzionali, politici e amministrativi.
Questo filone di ricerca denominato political economy, ad esempio,
cerca di mettere in evidenza attraverso l’analisi comparata come il
sistema di rappresentanza degli interessi, la composizione politica dei
governi, l’assetto amministrativo dello Stato influenzino le politiche
economiche e sociali e condizionino i diversi meccanismi di
aggiustamento dell’economia.
Si tratta, insomma, di valutare come variabili sociali e politiche
influenzino le scelte economiche. Al centro di questo filone vi è,
inoltre, il dibattito sul neocorporativismo e la concertazione, cioè, sui
sistemi di controllo e di accordo tra i diversi interessi “corporativi”
che insistono sulle logiche e le strategie delle politiche economiche
nazionali. Da parte loro gli economisti classici come Smith, Ricardo e
Marx7 erano, in realtà, interessati non solo agli aspetti più direttamente
7
Il problema più spinoso è costituito dal fatto che, all’interno della teorizzazione marxista le
leggi dell’accumulazione del capitale assumono un elevato valore esplicativo rispetto ai
processi e alle relazioni socio-organizzative. Si consolida, quindi, una visione di un processo
11
connessi con l’efficienza ma anche all’organizzazione della vita
economica nel suo insieme e, in particolare, ai suoi rapporti con le
dimensioni politiche istituzionali e culturali.
È stato solo con l’affermazione della teoria neoclassica che le cose, in
effetti, sono cambiate radicalmente. È solo dopo l’affermazione della
scuola, altrimenti detta marginalista, che lo studio dell’economia tende
a coincidere con quello del mercato e l’analisi economica viene
realizzata con l’ausilio di un modello formale e semplificato costruito
sulla base di alcune ipotesi restrittive che dovrebbero apparirci ormai
note:
• gli attori hanno un sistema di preferenze, di solito, espresse
mediante una funzione di utilità, dotata di caratteristiche
restrittive. Esse cioè sono atomistiche, egoistiche, date e
costanti, complete, coerenti e archimedee;
• le conoscenze sono certe o comunque riferibili a distribuzioni
di probabilità oggettive o soggettive circa le conseguenze dei
diversi corsi di azione;
• la definizione del contesto è tale da rendere possibile la
circolazione delle informazioni indispensabili per l’azione
individuale. Poiché tali informazioni non dipendono dalle
azioni del soggetto, il contesto è definito parametrico;
• gli attori sono razionali e tendono a massimizzare la loro
funzione di utilità.
A sancire la divisione dei compiti del lavoro scientifico tra sociologia
ed economia8 interviene il cosiddetto approccio analitico proposto,
di espansione del capitalismo basata sulla concentrazione del capitale e sulla mercificazione al
cui interno risulta trascurato il gioco dei diversi ambiti di reciprocità sia rispetto all’azione
individuale competitiva (primo tipo) sia rispetto ai parametri organizzativi fissati dai contesti
associativi (secondo tipo). Esempi di questioni del primo tipo (influenza della reciprocità
sull’azione competitiva) che risultano oscurate sono la diversità dell’imprenditorialità
familiare oppure la maggiore o minore, ma mai azzerata, forma comunitaria che assume
l’organizzazione aziendale; esempi di questioni trascurate del secondo tipo (influenza della
reciprocità sui sistemi associativi emergenti) sono le differenze tra, da una parte gli interessi
di classe e dall’altra le esigenze, le forme di solidarietà, i bisogni e gli usi tradizionali che
legano gli individui alla famiglia, ai sistemi parentali, gli amici e così via.
8
Nell’ambito della vertenza tra utilitarismo e socializzazione, ci si potrebbe chiedere se non
sia possibile una divisione del lavoro tra economisti e sociologi dove i primi insistano su una
visione senz’altro in parte vera fondata sulla preminenza dell’utilità individuale che permette
di mettere in luce tendenze generali e convergenti, mentre i secondi, lavorando sulle
complessità prodotte dalla diversità dei processi di socializzazione, mettano in luce le
specificità socio-culturali dei contesti. La divisione del lavoro tra economia e sociologia può
avere una sua utilità solo se è condizionata da entrambe le parti, da una capacità, quanto meno
abbozzata, di tenere conto dell’altra faccia della medaglia. Gli economisti non possono capire
fino in fondo l’impatto variato delle leggi economiche che continuano a rivoluzionare le
società contemporanee se non hanno un’idea dei procedimenti di ricostruzione della socialità
da parte delle istituzioni sociali (embeddedment), così come i sociologi non possono spiegare
le condizioni di costruzione delle regole della vita economica se prescindono dall’impatto
destrutturate del diffondersi dei comportamenti individualistici e competitivi.
12
peraltro, proprio dal più insigne sociologo del XX secolo, Talcott
Parsons.
Secondo questo autore lo studio della società avrebbe dovuto essere
organizzato mediante lo sviluppo armonico di scienze complementari:
la politologia chiamata ad occuparsi dei fatti politici; la teoria
economica interessata allo studio dell’economia e la sociologia a
quello più generale del cosiddetto mondo sociale. Secondo questa
prospettiva le tre scienze analitiche, che si occupano di sistemi di
azione organizzati, fanno riferimento ad altrettanti distinti campi di
indagine. In questo modo Parsons sancisce la non pertinenza
dell’analisi sociologica sulla realtà economica che deve essere oggetto
di studio da parte di una scienza autonoma e cioè l’economia9.
La risposta più incisiva allo struttural-funzionalismo di Parsons arriva
dopo molti anni (circa un ventennio nelle sue conseguenze dirette
sulla disciplina) non dal versante macro ma, al contrario e
inaspettatamente, da quello micro-sociologico.
L’aspetto centrale di questa svolta che ha tra i suoi promotori Blumer,
Berger e Luckmann, Goffman è l’identificazione e la descrizione di un
differente livello nel quale cercare l’ordine sociale. Si tratta di un
livello profondo, quello della cosiddetta interazione che costituisce
ora l’oggetto di studio specifico della sociologia. Da qui la perdita di
interesse verso le grandi questioni e le grandi istituzioni per
concentrarsi sulle modalità di costruzione della realtà sociale intesa
come mondo relazionale.
La resistenza che la sociologia economica (tradizionale) oppone alla
affermazione di questo nuovo quadro teorico andrebbe ricercata in
questi elementi ormai consolidati nell’approccio scientifico utilizzato
dai classici:
a) la sfera economica è una struttura istituzionale peculiare e in
essa le interazioni assumono profili, modalità e significati del
tutto specifici e poco consoni con le questioni poste dagli
approcci micro;
9
La costruzione teorica di Parsons è sorprendente perché rompe la tradizione dei padri
fondatori della sociologia dove comunque si rivendicava, in modalità diverse, l’importanza
intrinseca dei contenuti sociali nella vita economica. Parsons mira a ritagliare una divisione
del lavoro tra economia, scienza politica e sociologia, come scienze analitiche a valle della
quale saltano le connessioni e le tensioni che i classici avevano proposto nell’intreccio tra
comportamenti economici competitivi atomizzati e utilitaristici e forme di organizzazione
sociale. Il taglio del cordone ombelicale tra ordine sociale e sviluppo economico operato da
Parsons inventa una modalità ipersocializzata di subordinazione al paradigma del mercato che
favorisca la collaborazione tra sociologi ed economisti dal punto di vista di specializzazioni
separate, favorendo, anche in campo sociologico, un’elevata distorsione deterministica della
realtà.
13
b) la sociologia economica si è dovuta misurare con la
concorrenza fortissima e organizzata degli economisti
rendendo complessa l’accettazione di posizioni non
interessate agli aspetti istituzionale e quantitativi della realtà;
c) in questo ambito disciplinare hanno contato di più approcci
macro differenti da quella funzionalistica in particolare quello
marxista e, in generale conflittualista. il cui potere esplicativo
è stato meno intaccato dai mutamenti sociali intervenuti negli
anni sessanta e settanta.
La pista che si è cominciata a battere è quella che era stata già tentata,
pur con accenti diversi dalla scuola francese, che faceva capo a
Durkheim. All’ambito economico non si riconosce uno statuto
specifico né gli si attribuisce alcuna centralità nella spiegazione della
società. L’economia è semplicemente una sfera sociale dove
l’interazione ha luogo; l’economico non serve a spiegare la società né
è possibile per il sociologo trascurare l’analisi dei fatti economici e
sono le categorie dell’analisi sociale che possono contribuire a
spiegare l’economico. L’approdo di questo percorso di ricerca è l’idea
secondo la quale l’azione economica può essere analizzata come
un’azione sociale. Di conseguenza le forme concrete all’interno delle
quali le relazioni di mercato hanno luogo sono rilevanti per la
spiegazione dell’economia. L’illustrazione più chiara di questa
posizione è espressa da uno dei termini che hanno avuto più fortuna in
questi anni, cioè il concetto di embeddedness10
Il manifesto di questa nuova corrente di pensiero è l’articolo
pubblicato nel 1985 Mark Granovetter (1985) nel quale l’autore si
schiera a favore di una posizione a metà strada tra le concezione
ipersocializzata (Parsons) e iposocializzata (neoclassici) dell’attore.
L’opzione teorica adottata dall’autore americano è molto precisa: per
migliorare la comprensione della realtà economica sia quella presenti
nelle posizioni olistiche (tradizionalmente sociologiche) sia quella
rintracciabile nelle posizioni individualistiche (tradizionalmente
economiche) occorre seguire una via intermedia capace di tenere al
10 Embeddedness (letteralmente radicamento) cioè la costruzione sociale della vita
economica attraverso la complicata interazione tra le opportunità offerte dalla
competizione e due logiche diverse di cooperazione: quella che deriva dal fatto di
appartenere ad un piccolo gruppo solidale come la famiglia o una rete di amici e
quella che deriva dal fatto di condividere gli stessi interessi economici come avviene
nelle associazioni e nei sindacati. Il mercato funziona bene solo se è accompagnato
da processi e istituzioni che compensino le disuguaglianze di partenza,
ridistribuiscano opportunità sufficienti anche a chi non le ha, alimentino forme di
solidarietà sociale nei confronti di chi è svantaggiato. Ma processi e istituzioni
redistributive, da un lato, sono indispensabili per garantire un minimo di equità e
cooperazione, dall’altro, limitano e soffocano l’operatività della libera competizione
economica.
14
suo centro l’azione, che per Granovetter, rimane un punto di
riferimento irrinunciabile dell’analisi.
Un’analisi efficace dell’azione umana – sostiene Granovetter richiede di evitare l’atomizzazione implicita negli estremi teorici delle
concezioni iper e ipo socializzate. Gli attori non si comportano e non
decidono come atomi al di fuori di un contesto sociale né aderiscono
passivamente ad un copione scritto per loro da una particolare
intersezione di categorie sociali a cui capita loro di appartenere. I
loro tentativi di compiere azioni intenzionali sono invece radicati in
sistemi di relazioni sociali concreti e attivi.
In questo modo la strada proposta da Granovetter per la sociologia
economica è convergente con la proposta di complicare l’economia
lanciata sin dagli anni sessanta da alcuni economisti eterodossi come
Herbert Simon (1979) con il suo concetto di razionalità limitata
(bounded rationality).
La provocazione di Granovetter aveva un obiettivo di fondo e, cioè,
affermare che tutti i processi di mercato sono analizzabili
sociologicamente e che tale analisi è in grado di rilevare aspetti
centrali e per nulla marginali.
L’intento dell’autore americano era, infatti, quello di superare le rigide
ripartizioni disciplinari introdotte dalla concezione analitica delle
scienze sociali con la ripresa di un confronto a tutto campo tra le due
discipline.
La critica epistemologica al paradigma del mercato11 prende corpo
con la riformulazione da parte di Mark Granovetter [Granovetter
1985, 1991, 1993] della teoria dell’embeddedment di Polanyi.
Per il sociologo americano il diffondersi di individualismo e
comportamenti competitivi di mercato produce tensioni di
disorganizzazione sociale ma non necessariamente capacità
organizzative, nemmeno in forme indirette, come aveva sostenuto
invece Polanyi. L’impostazione modifica in maniera sostanziale
l’interpretazione della vita economica perché pone l’accento sul
processo discontinuo e diversificato di ricostruzione dei contesti di
socialità.
Le cosiddette tensioni disorganizzative spingono verso orizzonti di
omogeneizzazione tipici della modernità come sottolinea l’analisi
degli economisti, ma la diversità e la discontinuità dei processi di
ricostruzione delle attitudini cooperative innesta nella vita economica
differenze che si rinnovano in continuazione e spiegano la varietà dei
modelli di sviluppo12.
11
Si assume che le società industriali siano organizzate dai rapporti di scambio in una
competizione individualistica e atomizzata, rapporti che non sono condizionati da fattori
esogeni, culturali o sociali.
12
Il comportamento atomizzato di mercato appare come un modello astratto senza regole.
Nella realtà il comportamento di mercato avviene secondo regole fissate non dal mercato
15
La critica al paradigma del mercato permette di ridimensionare
l’importanza di tecnologia e crescita economica come elementi
predominanti della costruzione interpretativa, cioè di superare il
determinismo tecnologico o economicistico ma non fornisce di per sé
parametri alternativi.
A venti anni di distanza si può dire che quel tentativo ha avuto
successo nella misura in cui è vero che oggi si discute sia di come
l’analisi economica possa essere utile per spiegare la realtà sociale nel
suo insieme sia di come l’approccio sociologico possa illuminare
aspetti della vita economica rimasti a lungo trascurati. In realtà il
successo dell’articolo di Granovetter più che alla precisione analitica
della nozione di embededdness è dovuto al tempismo con cui esso si è
presentato nel dibattito internazionale in concomitanza con alcuni
importanti mutamenti storico sociali che hanno dato vita ad altrettanto
importanti piste di ricerca.
Ci riferiamo all’interesse suscitato in Italia dall’esperienza dei distretti
industriali [Beccattini 2000, Bagnasco 1987, Paci 1992, Provasi
2002], esperienza non spiegabile attraverso il ricorso alle
forme/categorie tradizionali dell’analisi economica. La ricerca sui
distretti industriali ha mostrato in maniera molto evidente che in
queste aree l’economia è davvero un fatto sociale: l’organizzazione
del lavoro, le forme del consumo, la mobilitazione delle risorse, il
funzionamento delle istituzioni, il ruolo delle associazioni di
rappresentanza sono tutti aspetti non/extra economici che concorrono
a spiegare le performance economiche.
Mentre in Italia ci si concentrava sulla piccola dimensione negli USA
l’attenzione [Chandler 1994] era calamitata dalla grande impresa. I
concetti di gerarchia di clan, di mano invisibile che si sono diffusi
all’interno di questo filone di studio hanno ben presto reso evidente
come fosse difficile isolare l’analisi della vita economica dalle altre
variabili di tipo sociologico.
Un altro interessante filone di ricerca, nato in quegli anni, è
rappresentato dallo studio di nuove formazioni capitalistiche, come il
Giappone, che si affacciavano sulla scena internazionale.
A livello macro gli studi sugli assetti neocorporativi (vedi pagina 12)
hanno sollevato importanti questioni sul modo in cui l’economia nel
suo insieme possa venire regolata. Ciò che risalta da queste ricerche è
che la società, attraverso l’organizzazione degli interessi, cerchi
continuamente di modificare il funzionamento del mercato
adeguandolo alla istanze provenienti dalla società stessa. Le forme di
questa negoziazione possono essere molto diverse tra loro, ma quello
stesso ma dai contesti socio-regolativi. L’azione concreta, quindi,
individualistica/atomizzata ma condizionata, appunto, da fattori socio-regolativi.
16
non
è
che è difficile immaginare è un’economia che si autoregoli a
prescindere dalle reazioni che si producono nella società attraverso il
sistema associativo istituzionale mediante il quale vengono veicolati
tali interessi.
In Italia emerge, altresì, in quegli anni il tema dell’economia
irregolare che si ramifica attraverso importanti studi sull’economia
informale e sulle economie etniche.
Ultimo ma non certo il meno importante è il filone di ricerca sul
mercato del lavoro; la sua segmentazione, la relativa autonomia
dell’offerta, la rilevanza dei fattori locali, il persistere di imperfezioni
nei meccanismi di aggiustamento, il ruolo degli interessi organizzati,
sono tutti aspetti di un unico problema : il mercato del lavoro è una
costruzione sociale [Solow, 1994; Reyneri 1997- 2005] e il suo
funzionamento risente del fatto che in questo particolare mercato si
scambia una particolarissima merce che è il lavoro.
4. Istituzioni e istituzionalizzazione processi centrali
dell’azione economica come azione sociale
Lo snodo teorico attorno al quale la sociologia economica si è
ripensata è il concetto di istituzione
Seguendo in prima istanza il ragionamento di Weber (quello di
Economia e Società) una delle prime questioni da affrontare consiste
nel delimitare il concetto di azione sociale che si definisce in ragione
della capacità dell’attore di circoscrivere gli obiettivi verso cui orienta
la propria azione e per il fatto di tener conto del modo in cui essa
viene recepita dagli attori circostanti.
Qualunque relazione sociale per poter superare la pura occasionalità
ha bisogno di consolidarsi in termini normativi e ordinamenti
regolativi che la legittimino e ne consentano la riproducibilità. Questo
processo va sotto il nome di istituzionalizzazione.
L’azione non può essere pensata al di fuori di un quadro di riferimento
che tende a dar vita a relazioni stabilizzate, prevedibili e
consolidate/consolidabili.
Il concetto weberiano di istituzionalizzazione è stato ripreso da Berger
e Luckmann (1967) che lo hanno posto a fondamento dell’intera vita
sociale.
La realtà stessa è una costruzione sociale che si produce mediante la
formazione di routines (cognitive) che si costituiscono come attualità
autoevidenti e non più discutibili (date per scontate/taken for granted),
che contribuiscono alla costruzione di nuove istituzioni sociali.
Questo approccio analitico evolutivo della visione weberiana impiega
il termine istituzione in senso strettamente sociologico, come
tipizzazione di comportamenti, elaborazione e codificazione di regole,
17
sedimentazione di rappresentazioni e atteggiamenti collettivi sulla
base di usi e/o consuetudini, stabilizzazione di reti di relazioni
reciproche, che non necessariamente sfociano nella cristallizzazione
giuridica la quale costituisce solo l’ultimo e più avanzato stadio del
processo di istituzionalizzazione.
In termini concreti, quindi, questo processo che può assumere forme
tra loro molto differenziate, si caratterizza come un irrigidimento una
routinizzazione
di qualunque tipo di relazione sociale e le
conseguenze che provoca ricadono sulla natura stessa della relazione e
della capacità di azione dei soggetti.
Nella prospettiva fenomenologica, quella delineata sinteticamente
nell’espressione costruzione sociale della realtà il processo di
istituzionalizzazione attenua non poco il carattere autonomo
dell’azione individuale. La vita sociale non si produce mediante
l’agire intenzionale dell’attore ma grazie alla riproduzione di pratiche
routinarie scarsamente riflesse.
Appare qui necessaria una precisazione. Per quanto riguarda la vita
economica dobbiamo fare riferimento a due tipi di significati definiti
dai termini istituzione e istituzionalizzazione.
Quando si parla (Weber) di istituzioni della vita economica ci si
riferisce ai processi di formazione del mercato inteso come
quell’insieme di regole, vincoli, condizioni – di tipo politico, sociale e
culturale, - che rendono possibile l’agire economico razionale. Come
si è visto si è trattato di un processo graduale, che progressivamente si
è esteso costruendo, ad oggi, le condizioni per la diffusione di una
economia di mercato di tipo globale.
Con l’idea di istituzionalizzazione intendiamo, invece, un processo
ampio ma del tutto diverso di stabilizzazione delle relazioni sociali
come effetto dell’azione dei soggetti. La fenomenologia ha fatto anche
di più ponendo, come si diceva, l’istituzionalizzazione come processo
chiave per l’interpretazione della realtà stessa come costruzione
sociale.
Queste due concettualizzazioni, come vedremo, sono separabili solo
analiticamente ma sono, di fatto, ampiamente sovrapposte e
intrecciate.
La domanda decisiva è: nel mondo dell’economia di mercato
(calcolabilità,
agire
razionale,
etc.)
la
tendenza
all’istituzionalizzazione tipica della vita sociale agisce? Esiste cioè
una costruzione sociale che riguarda specificamente la vita
economica? In altre parole quali sono le istituzioni e i processi di
istituzionalizzazione che investo la vita economica?
Questo passaggio è decisivo perché ammettere l’istituzionalizzazione
della vita economica significa riconoscere la possibilità di
18
rintracciare in essa tutti quei meccanismi che presiedono
all’istituzionalizzazione della vita sociale più in generale.
Gran parte del lavoro disciplinare della sociologia economica si
svolge all’interno del tentativo più o meno articolato e connotato di
dare risposta a questi interrogativi.
I filoni di riflessione e di ricerca che si sono sviluppati a partire da essi
possono essere così riassunti:
•
•
•
•
gli scambi di mercato non sono avulsi dai processi sociali
l’agire di mercato non è il luogo della asocialità proprio
perchè al suo interno possono essere rintracciati i caratteri
dell’agire sociale. Da una parte il mercato crea legami sociali
dall’altra utilizza le relazioni che si costruiscono in sfere extraeconomiche;
le dimensioni valoriali e cognitive – tipiche dei processi di
istituzionalizzazione sono fondamentali anche nella
spiegazione della vita economica;
oltre al mercato esistono altre forme di scambio che
contribuiscono a determinare l’ordine sociale ed economico;
la realtà economica è profondamente radicata nella dimensione
istituzionale e politica della vita sociale dalla quale non si può
prescindere e verso la quale gli attori assumono atteggiamenti
proattivi.
Le convinzioni comuni che sono scaturite da questi filoni di
riflessione e di ricerca possono essere, a loro volta, così sintetizzati:
o l’azione economica è una azione sociale che si svolge in un
contesto istituzionale del tutto particolare che ne modifica
parzialmente le logiche; tali logiche appaiono dotate di vita
propria e assumono forme e modalità del tutto particolari e/o
autonome;
o la vita economica nonchè più fluida di altri contesti sociali
mette all’opera la tendenza interna ad ogni tipo di relazione
sociale a dar vita ad assetti variabili, relativamente stabili,
obbligazioni, legami, appartenenze sociali da cui derivano
risorse e vincoli per l’azione stessa. Questi fenomeni sono
sociologicamente rilevanti e analizzabili;
o tali assetti sono modificabili soltanto a costi molto elevati ed è
per questo che l’azione economica seppur orientata al profitto
è fortemente influenzata dalle condizioni nelle quali essa ha
luogo;
o la dimensione del potere è fondamentale per la spiegazione
sociologica dell’agire economico e ristruttura in forme
19
variabili. Il potere nella vita economica si riproduce sia
dall’interno mediante i processi di istituzionalizzazione, sia
dall’esterno attraverso i rapporti che si vengono a creare tra i
vari ambiti istituzionali. Fondamentale è lo studio dei rapporti
tra il potere interno e li potere esterno al mercato;
o l’organizzazione della vita economica condiziona ed è
condizionata dai contesti sociali nei quali è immersa;
La presunzione della sociologia economica di poter essere pertinente
in materia di vita economica e agire economico è data dalla
pervasività dei meccanismi sociali che presiedono all’azione
individuale.
I risultati principali raggiunti dalla sociologia economica, anche grazie
alla svolta veicolata dall’affermazione della microsociologia 13in
questo ambito, appaiono essere:
o al centro dello studio dei sociologi appaiono temi, strumenti,
apparati concettuali del tutto nuovi quali la costruzione sociale
del mercato, la varietà delle forme di istituzionalizzazione
dell’economia, le forme di solidarietà e di fiducia, il rapporto
tra le organizzazioni economiche e il loro ambiente, le diverse
forme dello scambio, le logiche del consumo;
o viene dato un significativo impulso al superamento della
contrapposizione tra una visione del mercato come somma di
comportamenti atomistici e una visione del mercato ancorata al
potere che non lascia spazio né all’azione né all’articolazione
della vita sociale ed economica. Questo superamento si
sostanzia nella preferenza accordata ad una visione che rompe
con un’ idea monolitica del mercato “ben pochi sono i mercati
13
Per microsociologia s'intende uno dei rami della sociologia (in contrasto agli approcci detti
macro e meso) che si occupa dell'interazione umana su scala ridotta. Spesso si fonda
sull'osservazione diretta, piú che su dati statistici. Oggetto di studio della disciplina sono i
piccoli gruppi (come la famiglia, la coppia, le compagnie) e le strutture alla base dei
comportamenti nelle relazioni. Si osserva come dall'interazione nascono i rapporti sociali,
come da elementi comportamentali anche minimi si sviluppino i ruoli rispettivi, e come la
stessa crei le premesse per ulteriori forme del rapporto. Le teorie microsociologiche si
occupano del rapporto fra agente (detto impropriamente attore) e società a livello individuale.
Le più note sono le teorie comportamentali (il comportamentismo), dei ruoli, dell'interazione
e della comunicazione, del conflitto, dello sviluppo dell'identità sociale, dei processi
decisionali (la rational choice theory/teoria della scelta razionale). Contributi importanti
vengono dall'etnometodologia, dall'interazionalismo simbolico e da certi spunti del
costruttivismo http://it.wikipedia.org/wiki/Microsociologia
20
simili e […] nessuno è privo di strutture e di regolarità di
comportamenti. Il mercato non esiste: non vi sono che mercati
come sistemi di azione concreti [Friedberg, 1994, 194].
Se l’economia è una costruzione sociale non è pensabile, allora, che
essa raggiunga necessariamente quelle condizioni di standard di
efficienza di cui parlano gli economisti. La sociologia economica
mette in luce, in questo discorso, la varietà istituzionale compatibile
con la logica di mercato da cui discende anche un forte interesse per
l’analisi comparata degli assetti delle moderne economie nei loro
rapporti con le strutture sociali di riferimento.
La scelta di applicare approcci micro ai temi del mercato e
dell’economia ha permesso nuove e più ricche elaborazioni
concettuali ampliando la cassetta degli attrezzi della sociologia. Oltre
all’embeddedness termini come fiducia, capitale sociale, gerarchia,
rete, reciprocità, regolazione sociale, nati dal lavoro dei sociologi
economici sono entrati ampiamente nel lessico e negli interessi di
studio relativi all’azione economica.
Per ragionare
a. Che cosa si intende per istituzionalizzazione
La lenta erosione dei legami di fiducia avvenuta ad opera del processo
di secolarizzazione,
• lo sviluppo dei mercati,
• il declino delle forme tradizionali di appartenenza,
• la crisi del ciclo delle idee dell’individualismo metodologico
rendono rilevante il ruolo delle istituzioni per creare o ricostruire
questi legami attraverso una riduzione dell’incertezza Zucker, North
attraverso l’analisi di modelli regolativi dotati di una certa
prevedibilità Simon.
Istituzionalizzazione è il processo attraverso il quale relazioni sociali
e modelli di comportamento vengono:
a) differenziati
b) assumono valere intrinseco taken for granted
c) si spersonalizzano
Componente strutturale
Gli individui passano e le istituzioni restano
Questo avviene
a) quanto più si sviluppano interessi alla auto conservazione
b) quanto più l’istituzione coagula intorno a sé risorse materiali,
valoriali e/o simboliche
21
c) quanto più queste risorse non sono di proprietà
d) quanto più sono standardizzate
e) quanto più il prodotto di queste interazioni vive di vita propria.
Componente cognitiva
Ci si muove verso il concetto di taken for granted
Indicatori
Sviluppo di espressioni linguistiche che:
9 connotano l’istituzione in modo sintetico senza esplicitare le
caratteristiche
9 sono decifrabili da chi non fa parte dell’istituzione
9 presenza di issue che non sono oggetto di disputa
9 crescente omogeneità dei significati attribuiti
Componente prescrittiva
9 Esistenza di obblighi di conformità a determinati requisiti
9 Diffusione di riti durante i quali viene riconosciuta pubblicamente
la conformità di criteri e viene riaffermata la loro validità
9 Grado di formalizzazione
9 Credenze condivise sulla natura e la legittimità degli obiettivi che
si stanno perseguendo
Componente giuridico formale
9 quanto le relazioni tra gli attori sono regolate
9 quanto tale normativa conferisce autonomia all’istituzione
9 quanto questa normativa è rispettata
L’Istituzionalizzazione può essere allora:
9 Completa
9 Incompleta elevato rispetto ad alcune componenti e non ad altre
9 Parziale quando allo stesso livello di analisi ci sono diversi gradi
di istituzionalizzazione
9 Asimmetrica tra macro e micro
Il successo o l’insuccesso di un’organizzazione non dipendono
dall’efficacia o dall’efficienza delle sue prestazioni, ma proprio dalla
sua maggior e o minore conformità a norme, regole conoscenze e
prescrizioni istituzionalizzate.
Le organizzazioni tenderanno, perciò, ad incorporare gli elementi
istituzionali presenti nell’ambiente in cui operano; elementi che, a loro
volta, sono stati prodotti e trasmessi da altre organizzazioni che hanno
agito come a genti o imprenditori istituzionali.
Le organizzazioni sono gli agenti principali attraverso i quali operano
le istituzioni in quanto sviluppandosi degli interessi alla loro
22
riproduzione assicurano la persistenza dei principi, dei modelli di
comportamento, delle politiche e delle pratiche istituzionalizzate che
incorporano.
Il capitalismo esiste in quanto esistono le imprese
La burocrazia esiste in quanto esistono le Amministrazioni
La democrazia in quanto esistono partiti, sindacati, parlamenti.
Tutte queste istituzioni persistono nel tempo in quanto le
organizzazioni ad esse corrispondenti tendono a conservarsi e ad
autoriprodursi.
b. Che cosa si intende per istituzione
Rimandando alla lettura del Dizionario di sociologia di Luciano
Gallino [Gallino 1988] sicuramente illuminante ed esaustiva si
riportano qui di seguito due tra le principali modalità di utilizzo
consigliabili ai fini del nostro ragionamento. Le due modalità si
riferiscono ad un approccio cognitivo-relazionale del concetto di
istituzione e l’altra ad una visione dell’istituzione come forma
organizzativa. È evidente che i significati prescelti per la descrizione
si limitano a dare un’idea di massima di una concettualizzazione ricca
e complessa che sarebbe ridondante riportare per intero
L’istituzione è un complesso di valori, norme, consuetudini che con
varia efficacia definiscono e regolano durevolmente, in modo
indipendente dall’identità delle singole persone e, di solito, al di là
della durata della vita di queste: a) i rapporti sociali e i comportamenti
reciproci di un determinato gruppo si soggetti la cui attività è volta a
con seguire un fine socialmente rilevante o, a cui si attribuisce una
funzione strategica per la struttura di una società o importanti settori
di essa; b) i rapporti che un insieme non determinabile di altri soggetti
hanno ed avranno a vario titolo con tale gruppo senza farne parte ed i
loro comportamenti nei suoi confronti. In tal senso ad esempio
un’istituzione come il matrimonio definisce e regola da una parte i
rapporti e i comportamenti dei coniugi l’uno verso l’altro (es. obbligo
di fedeltà e di assistenza), dall’altro i comportamenti che molti
soggetti (es. funzionari, vicini di casa, assicuratori, etc.) devono
tenere o, si ritiene giusto debbano tenere, rispetto a qualsiasi coppia
unita in matrimonio.
L’istituzione è, per altri versi un gruppo organizzato,
un’organizzazione che svolge funzioni socialmente rilevanti e
riconosciute/riconoscibili, ed è valutata positivamente da vari settori
della società che le forniscono legittimazione, sostegno politico e
23
risorse economiche. Da un certo punto di vista le Istituzioni sono
organizzazioni anche se va chiarito, ed è una questione che attiene alle
funzioni effettivamente riconosciute e svolte da una determinata
organizzazione, che non tutte le organizzazioni sono istituzioni se
manca loro, appunto il requisito della funzione riconosciuta o del
servizio socialmente rilevante (in ultima analisi se all’interesse
dell’organizzazione e alla sua sopravvivenza non contribuiscono solo i
suoi membri.
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