Autunno 2016 - Il Saggiatore

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In libreria dal 25 agosto
Greil Marcus
Storia del rock
in dieci canzoni
€ 26,00
pp. 320
Greil Marcus (1945) è uno scrittore e giornalista americano, considerato tra i più influenti
critici musicali viventi.
Traduzione di Sara Reggiani
Lo ha detto Neil Young: il rock ‘n’ roll è abbandono senza freni.
Un abbandono che è nel volto normale, negli assoli aspri e nel
canto strozzato di Buddy Holly o negli occhi velati di Ian Curtis,
mentre precipita con la voce e il corpo nella voragine di note di
Transmission. Lo si ritrova nei cori di Paul McCartney e John Lennon, che si inseguono nella cover di Money (That’s What I Want)
di Barrett Strong; ed è nell’inguaribile perdita cantata da Amy
Winehouse in To Know Him Is to Love Him.
La Storia del rock ‘n’ roll in dieci canzoni è la ricerca rabdomantica
dell’essenza del rock attraverso brani che profetizzano verità ed
eludono ogni restrizione, viaggiano nel tempo e sempre vi sfuggono. Non è la solita, ordinata cronologia che, a partire dalle
origini del genere, da Elvis a Chuck Berry, passa per Bob Dylan,
Jimi Hendrix, i Clash, per arrivare ai Radiohead. Le vere protagoniste, qui, sono le canzoni.
Da Crying, Waiting, Hoping di Buddy Holly – che nella versione
dei Beatles perde la sua gioia spensierata sfumando nel ritmo funebre del finale – a All I Could Do Was Cry, cantata da Etta James
e interpretata molti anni dopo da Beyoncé, in un gioco inestricabile di realtà e finzione: la Storia del Rock di Greil Marcus è un
romanzo corale narrato attravero dieci canzoni indimenticabili, da
riscoprire o ascoltare per la prima volta. Un intreccio di affinità,
un’indagine su come un brano può attraversare generazioni di
musicisti appartenendo solo a se stesso e continuando ad attingere al desiderio, al tormento, all’energia più sfrenata; al sogno
di una terra dorata.
In libreria dal 25 agosto
Jean-Paul Sartre
La regina Albemarle
o l’ultimo turista
€ 21,00
pp. 224
Jean-Paul Sartre è nato a Parigi nel 1905 e
morto nel 1980. Il Saggiatore ha pubblicato
Autoritratto a settant’anni (2005), Che cos’è
la letteratura? (2009), Le parole (2011) e
L’essere e il nulla (2014).
Traduzione di Sergio Atzeni
Fine estate del 1951. Jean-Paul Sartre, partito «con le mani in
tasca e della carta bianca in valigia», inizia il suo viaggio in Italia.
Approda a Napoli, città gremita di edifici scarnificati fino al midollo, con i panni appesi ai balconi e ovunque arsura, marmaglia,
miseria. Poi si addentra nel cuore di Capri, attraverso una strada
selvaggia a serpentina. Ne contempla il paesaggio duro come la
roccia e soffice come la vegetazione, una terra nera e fertile che
è stata prima africana, poi greca e romana.
A Roma, i suoi passi echeggiano nella città vuota, come in una
cattedrale deserta. Qui si intrattiene con Carlo Levi, cena con gli
amici del Pci, visita il Colosseo. Nelle strade le voci parlano della partita di calcio della Roma, di Coppi che correrà a Lugano, di
scioperi in corso o covati sotto la cenere. Sartre si trascina per le
vie della capitale, penetra nelle viscere della classicità, i cui resti
sono pietra stregata capace ancora di asservire. Infine, a Venezia,
sullo sfondo degli affreschi del Tintoretto, fra santi, putti e dogi,
si sente rinnovato: la città galleggiante ha l’aura di un sogno, vaporoso e sinistro; è una materia fluida in lotta con le architetture
dell’uomo che irretisce e plasma il turista.
Definita da Sartre stesso «La nausea della mia maturità», La regina Albemarle – che il Saggiatore ripropone oggi in una nuova
edizione, per la cura di Alette Elkaïm Sartre, figlia adottiva del
filosofo – è un diario di viaggio che reca poche indicazioni temporali e si abbandona a un tempo mitico e sospeso, accompagnandosi agli scritti consimili di Chateaubriand, Stendhal, Hugo e Gide.
Sartre, l’ultimo turista – guidato nella sua riflessione sul Tempo
e sulla Contingenza dalla regina Albemarle, immaginaria patrona
interiore –, riesce a catturare immagini e atmosfere, e a restituirle
in tutta la loro cristallina nitidezza. Attraverso lo stile frammentario, Sartre affida così a queste pagine il suo intimo, universale
taccuino interiore e indugia, insieme al lettore, sul segreto e il
fascino di un’Italia primigenia e misteriosa.
In libreria dal 25 agosto
Peter Singer e Jim Mason
Come mangiamo
Le conseguenze etiche
delle nostre scelte alimentari
€ 20,00
pp. 384
Peter Singer, filosofo australiano, dal 1999 è
professore di Bioetica alla Princeton University
e dal 2005 anche alla University of Melbourne. Per il Saggiatore sono apparsi Ripensare
la vita (2000), Scritti su una vita etica (2004),
Ciò che ci unisce non ha tempo (2005), Salvare una vita si può (2009) e Liberazione animale (2015).
Jim Mason, saggista e attivista per i diritti degli animali, ha scritto, con Peter Singer, Animal Factories (1990) ed è autore di Un mondo
sbagliato (Sonda, 2015).
Scegliere cibi migliori non significa dover passare ore al supermercato a leggere etichette o aderire rigidamente a una dieta
particolare: bastano le informazioni fornite in questo libro. Come
mangiamo illustra i tipi di agricoltura e allevamento oggi praticati
e ci guida alle scelte di consumo più confacenti alle esigenze e al
budget di ciascuno.
Sulle tracce di tre famiglie campione che seguono regimi alimentari diversi, Peter Singer e Jim Mason ripercorrono la filiera produttiva di carne, pesce, formaggi, uova, fi no agli oscuri vertici
dell’industria del cibo; svelano i segreti dei metodi di lavorazione,
mostrano quanto poco affidabili siano i certificati di qualità sbandierati sulle confezioni, si domandano se acquistare biologico,
equosolidale o locale sia davvero una soluzione, e valutano la
possibilità di abbandonare la dieta standard e diventare «onnivori
coscienziosi» oppure di abbracciare una dieta vegetariana o vegana. Con un occhio alle ricadute etiche, sociali ed ecologiche di
queste opzioni: perché mangiare non è un atto innocente, e scegliere quali alimenti mettere in tavola è l’ultima tappa di un percorso che riguarda i diritti degli animali, gli interessi dei produttori, l’ambiente in cui viviamo, perfino il destino di alcuni paesi.
Come mangiamo – testo che unisce rigore e fruibilità, ampiezza
della documentazione e consigli pratici per una lista della spesa
etica – è oggi ripubblicato dal Saggiatore per tutte le persone che
vogliono essere più consapevoli delle proprie scelte alimentari e
condurre una vita meno insana, per sé e per gli altri.
In libreria dal 1° settembre
Joseph Stiglitz
Le nuove regole
dell’economia
Come salvare il mercato.
Il caso America
€ 22,00
pp. 224
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia
nel 2001, insegna alla Columbia University. È
stato capo economista della Banca mondiale
e consulente del governo statunitense. Tra
i suoi libri ricordiamo: La globalizzazione e
i suoi oppositori (Einaudi, 2002), La misura
sbagliata delle nostre vite (con Amartya Sen e
Jean-Paul Fitoussi, Etas, 2010), Il prezzo della
disuguaglianza (Einaudi, 2013).
Traduzione di Adele Olivieri
La Grande recessione iniziata nel 2008 ha aggravato le disuguaglianze di reddito, ricchezza e opportunità in tutto l’Occidente.
Joseph Stiglitz è giunto alla conclusione, corroborata da inconfutabili evidenze empiriche, che la disuguaglianza è allo stesso tempo
causa ed effetto della crisi. Gli Stati Uniti rappresentano il caso più
eclatante e indicativo: questo libro fornisce il quadro completo delle distorsioni ideologiche, delle deregolamentazioni e delle norme
tributarie che hanno favorito il settore finanziario e arricchito i più
ricchi a spese di tutti gli altri, strangolando la classe media e discriminando i lavoratori, in particolare le donne, gli afroamericani e
gli immigrati. E portando l’economia al collasso. La disuguaglianza
dipende da potenti forze globali, ma è in primo luogo una scelta
deliberata, frutto delle sconsiderate politiche economiche e monetarie neoliberiste affermatesi fin dagli anni settanta. La piena
applicazione di queste politiche ha ucciso il sogno americano, trasformando gli Stati Uniti – da proverbiale terra delle opportunità
qual era – in un paese oligarchico dalla scarsissima mobilità sociale, in cui sanità, istruzione e casa di proprietà sono inaccessibili a
una larga fetta della popolazione e un quinto dei bambini vive in
povertà, mentre l’1 per cento più ricco è uscito persino rafforzato
dalla crisi. Il messaggio di Stiglitz si allarga dunque dagli Stati Uniti
a tutto il mondo occidentale, e ribalta il radicato pregiudizio secondo cui per perseguire l’uguaglianza è necessario sacrificare la
crescita economica: al contrario, senza maggiore uguaglianza non
c’è crescita sostenibile. Per una prosperità condivisa non basta
redistribuire il reddito attraverso imposte e trasferimenti; occorre anche favorire gli investimenti, aumentare i salari e l’influenza
politica della maggioranza dei cittadini. Le nuove regole dell’economia proposte dal premio Nobel abbracciano un ampio ventaglio
di riforme, dal fisco allo stato sociale, dall’istruzione alla lotta ai
monopoli, dal diritto sindacale agli incentivi per il lavoro femminile, dalle infrastrutture al sistema penale, nella convinzione che
combattere la disuguaglianza alla fonte è possibile, ed è l’unica
strada verso un’economia più solida e più dinamica.
In libreria dal 1° settembre
Graham Farmelo
Equilibrio perfetto
Le grandi equazioni
della scienza moderna
€ 24,00
pp. 384
Graham Farmelo (1953) è professore di Fisica alla Northeastern University di Boston. Tra
le sue opere ricordiamo L’uomo più strano del
mondo (Raffaello Cortina, 2013) e Churchill’s
Bomb (2013).
Immaginiamo un lungo poema composto da equazioni; non sillabe e accenti ma simboli, numeri e lettere di alfabeti differenti.
Che cos’hanno in comune la poesia e la scienza? Le equazioni
sono espressione di un linguaggio universale, condiviso da tutta
l’umanità, e la loro bellezza è pari a quella dei fenomeni naturali
che descrivono. Proprio come è possibile racchiudere la realtà in
un sublime insieme di parole, così ciò che ci circonda – dai fulmini
all’architettura delle cattedrali, o dalla più piccola particella subatomica all’espansione dello spazio cosmico – può essere condensato in equazioni: espressioni di un equilibrio non meno perfetto
di un verso di Dante o Shakespeare.
Con tono fabulatorio e appassionante, Graham Farmelo ripercorre la storia delle equazioni attraverso la parabola degli scienziati che le hanno forgiate, Newton e Galileo, Schrödinger e Heisenberg, Einstein e Planck, osservandoli alle prese con la fatica e
la dedizione quotidiane della loro missione o nel momento magico dell’intuizione fondamentale. Aneddoti biografici e costruzioni teoriche si intrecciano e danno vita al racconto della scienza,
ovvero di come l’uomo ha svelato le leggi della natura e ne ha
afferrato l’affascinante logica interna.
Con Equilibrio perfetto il Saggiatore ripropone il libro necessario a
tutti coloro che vogliono conoscere le equazioni che hanno rivoluzionato il pensiero e fatto la storia del progresso scientifico, rigenerando l’incessante rapporto dialettico tra l’uomo e la natura.
In libreria dall’8 settembre
Maggie Nelson
Gli Argonauti
«La frase ti amo è simile all’argonauta che, durante il viaggio, rinnova di continuo la sua nave senza cambiarne il nome.»
Roland Barthes
€ 19,00
pp. 224
Maggie Nelson è nata a San Francisco nel
1973. Scrittrice, poetessa e docente universitaria, con Gli Argonauti ha ricevuto molti riconoscimenti internazionali, tra cui la candidatura al National Book Critics Circle Awards 2016.
Traduzione di Francesca Crescentini
Cresciuta come la bambina più «normale» nella più tradizionale
delle famiglie americane – quelle solo apparentemente felici, in
cui i genitori inseguono il sogno pubblicitario della vita esemplare –, Maggie Nelson sceglie di sposare l’artista transgender Harry
Dodge, nato uomo in un corpo femminile, e di diventare madre
grazie al dono della fecondazione assistita. Il concepimento, momento generativo e dunque trasformativo per eccellenza, diventa
l’occasione per parlare della propria esperienza e per esplorare
con coraggio e determinazione ogni sfumatura della sua complessa sessualità, senza mai ostentare un nome preciso per i suoi
sentimenti, senza nascondere le fantasie più proibite, rifiutando
ogni inutile etichetta di genere, ogni sfuggente classificazione, e
rivelandosi al pubblico in tutta la sua nudità di donna, di figlia, di
madre. Di essere umano.
Tra romantiche fughe notturne su Mulholland Drive, confessioni
e difficili coming out, Gli Argonauti, diventato subito un caso editoriale in America, è il racconto di una bellezza perennemente in
fuga, braccata, incompresa da un mondo che si finge civile, ma
che non è ancora capace di abbandonare il retrivo sistema binario
secondo il quale le cose o sono buone o sono cattive, o sono normali o sono strane, inaccettabili: queer. Una bellezza travolgente,
vera, che non si lascia afferrare.
Opera indomabile che fonde narrazione e memoir, testimonianza
intima e universale, privata e collettiva, Gli Argonauti è un autoritratto variopinto che rivela nel suo sfondo i dettagli nitidi del
nostro tempo, un racconto lirico e potente che trae da un’esperienza straordinaria il più ordinario e assoluto dei desideri umani:
quello di poter dire «Ti amo» con profondità e devozione, senza
bisogno di declinare queste parole al femminile o al maschile.
Ma, soprattutto, quello di vivere un amore che non soffochi nelle
regole grammaticali dei pronomi.
—
«Gli Argonauti è una coraggiosa rivendicazione politica del caos
dell’esistenza.» Serena Danna, La Lettura
In libreria dall’8 settembre
Andrea Morstabilini
Il demone meridiano
€ 19,00
pp. 192
Andrea Morstabilini è nato a Lodi nel 1983.
Per il Saggiatore ha curato e tradotto Le montagne della follia di H.P. Lovecraft (2015).
Un demone si aggira da sempre per i regni incantati e deserti della
letteratura. La sterminata legione dei personaggi più memorabili
è inquietata, manipolata, combattuta da un fumo demonico: i
fantasmi di Dante, di Shakespeare, di Hugo ne subiscono l’influsso,
si piegano alla sua forza distorsiva, tentano esorcismi, soccombono.
Il demone è la letteratura stessa. Ed è questo demone, la letteratura
stessa, che affronta Andrea Morstabilini nel suo romanzo d’esordio.
È una assai strana storia, di terrore e stupefazione, che si
snoda nella vertigine di una lingua nutritasi delle più alte e
perturbanti letterature, riedificate attraverso colpi di scena e
visioni medianiche. La vicenda consiste nella scomparsa misteriosa
delle mummie conservate sotto teca nel museo dedicato a Paolo
Gorini, celebre scienziato ottocentesco operante in Lodi, che
approntò una collezione anatomica di corpi sottoposti a processo
conservativo, secondo segrete formule alchemiche. Da questa
sparizione si scatena un vortice di accadimenti, una detection
soprannaturale, le evocazioni spiritiche allestite con grimori da
parte di due adolescenti, un viaggio al di là dell’aldilà, un sinodo
di cadaveri che accusa l’imbalsamatore, un anziano sulfureo che
introduce a uno stupefacente cimitero in vetro. Ci si trova a seguire
il racconto di un Prospero carico di tutti i libri e di un Calibano
che conosce tutte le carni, in forma di quest del male, che è
demone meridiano, melancholia düreriana, in bilico tra sogno e
follia, bramosia e perversione, inabissata in carceri piranesiane,
suppurata di ornamenti barocchi, tanto meravigliosi quanto fugaci,
un caleidoscopio che miscela tutti i cromatismi e le screziature.
«Gli spiriti, invocati dalle soffitte che infestano, dalle segrete, dalle
strade di campagna dove travolti hanno trovato la morte, dalle case
ai margini, dai crocicchi, dalle sacrestie, dalle torri campanarie, dai
musei, dalle scuole, da dove finisce chi scompare, salgono in alto
come portati da aure rapinose e sopra le nuvole tengono consesso
con strigi e sirene alate e streghe e come poeti giuocano a palla
colle teste da morto, fresche rosse di decapitazione.»
In libreria dal 22 settembre
Roland Barthes
Album Inediti, lettere e altri scritti
Album è l’opera che racchiude e unifica tutto il corso della vita e del pensiero di Roland Barthes. Album
è una raccolta di documenti e scritti inediti: su Paul
Valéry, Gustave Flaubert, la retorica, il superamento
dello storicismo, l’effervescenza formalista, lo strutturalismo, la critica letteraria.
Dai testi giovanili che mai hanno visto la luce della
stampa, composti quando Roland Barthes è un adolescente costretto in sanatorio, agli abbozzi dell’ultima
opera, che non fa in tempo a compiere prima di essere, d’improvviso, raggiunto dalla morte.
Album è un epistolario che contiene molti epistolari:
gli intensi scambi con Michel Foucault, Claude LéviStrauss, Jacques Lacan, Jacques Derrida, Louis Althusser, Maurice Blanchot, Jean Starobinski, Julia Kristeva,
Georges Perec e gli altri grandi contemporanei, filosofi
e artisti, con i quali Roland Barthes ha rapporti affettivi
e avventure intellettuali; le lettere che raccontano il lavoro febbrile e spesso disperato durante la gestazione
delle sue opere; la corrispondenza che testimonia la
contesa tra gli editori Gallimard e Seuil per pubblicarle.
Più di tutto, Album – il volume che celebra il centenario della nascita di Roland Barthes – è un arazzo di
sorprese, attese, lutti, entusiasmi, incontri, tradimenti, ostinazioni, oblii, alleanze, delusioni, paure, sforzi,
gioie, tempo perduto e ritrovato. Una vita intera di-
spiegata dalla cartografia delle amicizie, universo di
segni da decifrare e percorrere, materia multiforme e
volatile che la vita ha sottratto alla scrittura e la scrittura alla vita: quel che detta legge è sempre il libro,
il libro sempre a venire; il libro dell’esperto di teatro,
linguista e critico letterario, sociologo e semiologo; il
libro, soprattutto, dello scrittore, là dove cade la distinzione tra critico e autore, studioso e letterato. Da
teorico ha asserito la morte dell’autore – ucciso dalla
sua stessa opera –, e invece Roland Barthes ha vissuto
e vive, con la sua lungimirante inattualità; la sua unicità vera e esemplare; il suo album di scritti e ritratti e
frammenti dispersi ora riaccostati.
Roland Barthes (1915-1980) è stato professore di Semiologia letteraria al Collège de France. Alcune tra le sue opere
maggiori, composte dagli anni cinquanta agli anni settanta,
sono Il grado zero della scrittura (Einaudi, 2003), Saggi critici (Einaudi, 2002), L’impero dei segni (Einaudi, 2004), Miti
d’oggi (Einaudi, 2016), Barthes di Roland Barthes (Einaudi,
2007), Frammenti di un discorso amoroso (Einaudi, 2014) e
La camera chiara (Einaudi, 2003).
Traduzione di Deborah Borca
€ 35,00 | pp. 496
In libreria dal 29 settembre
Hans Werner Henze
Canti di viaggio
Una vita
€ 35,00
pp. 608
Hans Werner Henze (1926-2012) ha vissuto per cinquant’anni in Italia, dove, nel 1977,
ha fondato il Cantiere Internazionale d’Arte
di Montepulciano. Fra i suoi lavori ricordiamo Boulevard Solitude (1952), König Hirsch
(1955), Undine (1957), Elegy for Young Lovers (1961), Der junge Lord (1964), Das Floss
der Medusa (1968), Pollicino (1980), L’Upupa
(2003), le dieci sinfonie (1947-2000) e il Requiem (1992).
Traduzione di Lidia Bramani, Claudia Marinelli e Giuseppe Cospito
A cura di Lidia Bramani
Nel novantesimo anniversario dalla nascita del compositore, il
Saggiatore porta in libreria un’edizione arricchita e completamente aggiornata di Canti di viaggio.
È stata una vita inquieta, quella di Hans Werner Henze, fra i più
significativi compositori contemporanei, e certo fra i più amati. La
vita di un uomo posseduto dalla musica, fin dalla più tenera età;
di un uomo che non ha mai smesso di ascoltare gli altri, e che
agli altri ha fatto dono non solo della propria arte ma del proprio
inesausto impegno civile, speso nella contestazione recisa di ogni
ingiustizia.
Fra queste pagine, in cui all’istanza memoriale si mescola incessantemente la riflessione musicale e politica, Henze si racconta
con ironia e passione: dall’infanzia insofferente in Westfalia alle
ferite del nazismo, dalla caduta delle Torri Gemelle allo sdegno
per le atrocità di Guantanamo, dall’amore mai pago per l’Italia ai
lunghi soggiorni nella Cuba degli anni sessanta, alla ricerca di un
paese da chiamare patria.
I suoi Canti di viaggio accompagnano così un peregrinare infaticabile che attraversa interi continenti e un secolo intero, il Novecento: e ai luoghi, ai suoni, si accostano i volti: W.H. Auden, Ingeborg
Bachmann – «una creatura di pura grazia e fascino, come se fosse
nata da un usignolo» –, Luchino Visconti, Elsa Morante, Alberto
Moravia, Pier Paolo Pasolini, con la sua «voce di un uomo che vive
con grande fatica, sotto pressione, sempre in lotta». Da ogni incontro prende vita una comunione di intelligenze che porta a una
composizione, in uno slancio umano e artistico che non sembra
conoscere limiti, se non per superarli ogni volta.
Henze ha affidato a queste pagine la sua postrema eredità: nutrito di una scrittura imprevedibile come la sua musica – una scrittura dove si mescolano lirismo struggente e annotazioni telegrafiche, attenzione icastica al particolare e vaste visioni ideali –,
questo memoriale non è solo la testimonianza diretta di uno dei
più grandi intellettuali del xx secolo, ma anche, e soprattutto, una
sinfonia in prosa capace di modulare tutte le note del sentimento.
In libreria dal 29 settembre
Émile Durkheim
La divisione
del lavoro sociale
€ 28,00
pp. 448
Émile Durkheim (1858-1917) è stato un sociologo, antropologo e storico delle religioni
francese. Fondò nel 1896 la rivista L’Année sociologique, punto di riferimento a livello europeo per la sociologia. Tra le sue celebri opere,
Le regole del metodo sociologico (1895) e Il
suicidio (1897).
Traduzione di Fulvia Airoldi Namer
Con La divisione del lavoro sociale il Saggiatore riporta in libreria
la prima opera di Émile Durkheim, padre della sociologia. Al centro di questo grande classico c’è uno dei temi più dibattuti e fertili
per gli studi sulla modernità: la relazione tra individui e collettività. La società moderna comporta una differenziazione estrema di
funzioni e mestieri: come può mantenere la necessaria coerenza
intellettuale e morale? E, in generale, come può un gruppo di individui costituire una società?
Le categorie che Durkheim ha forgiato per rispondere a questi
interrogativi – dal concetto di coscienza collettiva alle distinzioni
tra solidarietà meccanica e solidarietà organica, e tra società segmentarie e società in cui compare la distinzione del lavoro – concorrono a delineare un innovativo punto di vista olistico sui fatti
sociali: la sociologia si fonda sulla priorità del tutto sulle parti,
e il sistema sociale è irriducibile alla somma dei suoi elementi. È
l’individuo a nascere dalla società, non la società dagli individui,
poiché l’individuo è espressione della collettività.
Per Durkheim, dunque, la divisione del lavoro struttura tutta la
società, e non può essere ridotta alla mera organizzazione tecnica o economica delle attività produttive, come sembrano credere
gli economisti. La differenziazione sociale, fenomeno caratteristico delle società moderne, è la condizione creatrice della libertà
individuale. Ma è ingenuo credere che il progresso economico sia
fonte di felicità: anche nei momenti di crescita la divisione del lavoro sociale può manifestarsi in forme patologiche. Insorge allora
l’anomia, quello stato di dissonanza tra le aspettative di ciascuno
e la realtà vissuta che ben presto si diffuse nelle società industriali: un concetto che – coniato da Durkheim per descrivere le
contraddizioni della modernità – resta tra i più utili per indagare
anche i malesseri della società del xxi secolo.
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