Questo animaletto, insomma, più che un flagello

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CUGINI CITELLI. I citelli sono roditori sciuromorfi, esattamente come i cani della prateria, molto simili ai loro parenti ma decisamente più piccoli. Inoltre sono diffusi sia in America sia in altre
parti del globo come in Asia e soprattutto nell’Europa centro-orientale (non sul territorio italiano). Contano quasi 40 specie diverse.
Sono sostanzialmente erbivori, anche se in alcuni periodi dell’anno
aumentano l’introduzione di proteine nutrendosi di insetti, topolini,
nidiacei e uova. Sono biologicamente predisposti ad andare in letargo (al contrario del cane della prateria) e alcune specie si “concedono” un letargo invernale e anche uno estivo.
Questo animaletto, insomma, più che un flagello per l’agricoltura e l’allevamento di bovini è un tassello importantissimo
dell’ecosistema di cui fa parte.
CINQUE SPECIE DIVERSE. Dal punto di vista della classificazione, i cani della prateria sono dei roditori sciuromorfi, appartenenti alla famiglia degli Sciuridi, sottofamiglia Sciurini, genere Cynomys. Le specie classificate sono cinque: il cane
della prateria coda nera (Cynomys ludovicianus), che è il più diffuso; il coda bianca (Cynomys leucurus); il gunnison o
cane della prateria del Colorado (Cynomys gunnisoni); lo utah (Cynomys parvidens); il messicano (Cynomys mexicanus), il più raro e sicuramente quello a più alto rischio di estinzione, tanto che è presente nell’Appendice I CITES.
Le differenze morfologiche sono minime; il coda bianca è il più grosso.
PROTAGONISTI NEL MONDO PET. I cani della prateria hanno fatto la loro comparsa nel mondo dei pet alla fine degli anni
Ottanta.
L’aspetto simpatico e accattivante di questi animaletti ha fruttato loro un discreto successo, ma la loro gestione differisce
da quella di altri roditori o dei conigli e chi si è trovato a ospitarli senza avere le giuste nozioni e adeguate strutture è spesso incappato in esperienze negative.
Al contrario, chi si documenta a fondo e si attrezza nella giusta maniera può avere grandissime soddisfazioni dalla convivenza con questi bellissimi animaletti.
UNA BRUTTA ESPERIENZA. Verso la
metà del 2003 le esportazioni
dall’America di cani della prateria furono bloccate per via
di alcuni casi di infezione da
virus Monkeypox, che contagiò diverse persone che
erano state a contatto
con soggetti infetti. I cani
della prateria, con tutta
probabilità, erano stati
contagiati a loro volta da
altri animali selvatici, principalmente da alcune specie di
ratti (indiziati numero uno i ratti
del Gambia, originari della foresta pluviale africana, importati
decenni fa).
La trasmissione animale-uomo può
avvenire tramite morso o contatto diretto
con liquidi e organi dell’animale infetto, quindi
saliva, sangue, feci, urina e sperma. Segni e sintomi
ricordano quelli del vaiolo “umano”, anche se si manifestano con minore virulenza e con una mortalità vicina allo
zero nei soggetti non immunodepressi (chi è vaccinato contro il vaiolo “umano” è
immune anche al Monkeypox).
Nel 2008 l’America ha dichiarato concluso questo fenomeno e ha riaperto le esportazioni, ma la Comunità Europea
non ha riaperto le importazioni, cosicché i soggetti reperibili attualmente sono solo quelli nati in cattività in Italia o in altri
Paesi che non sono stati interessati da questo problema, e devono essere muniti di apposita certificazione. 
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