ASSOCIA A AZIONE “ISTITUT “ TO S.ALE ESSIO” Sede Via Co onsolare Valerria n.297 Cod.Fisc. e part.iva 02037 7700834 LESSIO SICUL LO (ME) 98030 – S.AL FO ONDER R AVVIS SO 01/1 10 I SC CADEN NZA TIITOLO DEL D PIIANO: SANT’A S ALESSIIO COD DICE PIANO: A0110_ _385 TITOL LO/COD DICE PROGET TTO: 3 TITOL LO MOD DULO: “Elem menti di psicolo ogia socciale” La psicologia e il suo oggetto di studio L'oggetto di studio della psicologia sono i processi mentali e i comportamenti. I processi mentali si dividono in due ampie categorie: processi cognitivi e processi dinamici. I processi cognitivi sono quei processi che permettono ad un organismo di raccogliere informazioni sull'ambiente, immagazzinarle, analizzarle, valutarle, trasformarle, per poi utilizzarle nel proprio agire sul mondo circostante. I principali processi cognitivi sono: • la percezione, cioè l’insieme di funzioni psicologiche che permettono all'organismo di acquisire informazioni circa lo stato e i mutamenti del suo ambiente grazie all'azione di organi specializzati quali la vista, l'udito, il tatto, il gusto, l'olfatto; • l'attenzione, cioè la capacità di selezionare gli stimoli e di mettere in relazione i meccanismi che provvedono a immagazzinare le informazioni nei depositi di memoria a breve termine e di memoria a lungo termine con influenza diretta sull'efficienza delle prestazioni nei compiti di vigilanza; • l'intelligenza, cioè il processo che consente all'uomo in quanto dotato di struttura cerebrale geneticamente sufficientemente evoluta, di risolvere nuovi problemi che implicano una ristrutturazione del rapporto di adattamento con l'ambiente; • la memoria, cioè la capacità di un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e a gli eventi futuri; • l'immaginazione, cioè la capacità di rappresentare un oggetto assente oppure un affetto, una funzione somatica, una tendenza istintuale, non attualmente presenti. In essa si prescinde dalle strutture causali e temporali dalla continuità critica ma non dagli influssi dell'emotività. L'immaginazione può esser vista come il regredire ad uno stadio più infantile come ad uno stadio di maggior creatività che trova soluzioni che sfuggono alla logica; • il pensiero, cioè l’attività mentale che comprende una serie svariata di fenomeni come ragionare, riflettere, immaginare, fantasticare, prestare attenzione, ricordare, che permette di essere in comunicazione con il mondo esterno, con se stessi, e con gli altri, nonché di costruire ipotesi sul mondo e sul modo di pensarlo; • il linguaggio, cioè l’insieme di codici che permettono di trasmettere, conservare ed elaborare informazioni tramite segni intersoggettivi in grado di significare altro da sé; • la coscienza, cioè il fenomeno qualitativo della psiche che si enuncia come l'essere coscienti di se stessi, di autoriferirsi, di esser coscienti del mondo, degli altri. I processi dinamici sono quei processi mentali non riconducibili a meccanismi biologici e a processi fisiologici, i quali sono riconducibili ad una personalità integrata, caratterizzati da una continua interazione e non sono definibili come apparati statici. I principali processi dinamici sono: • il bisogno: stato di tensione più o meno intensa dovuto alla mancanza di qualcosa che risponde o a esigenza fisiologiche più o meno evidenti o a esigenze voluttuarie divenute, per abitudine, necessarie, o a esigenze psicologiche avvertite come indispensabili per la realizzazione di sé, o a esigenze sociali apprese dall'ambiente, • la pulsione: costituente psichica che costituisce uno stato di eccitazione che spinge l'organismo all'attività, geneticamente determinata ma suscettibile di essere modificata dall'esperienza individuale, • l'attaccamento: legame affettivo, particolarmente intenso, riferito o ad una persona, o ad una cosa, o ad un ambiente, riconducibile al legame affettivo fra una persona (in età infantile) e sua madre, • l'emozione: reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo, psichico, • la motivazione: fattore dinamico del comportamento animale ed umano che attiva e dirige un organismo verso una meta. Le motivazioni possono essere coscienti o inconsce, semplici o complesse, transitorie o permanenti, primarie (ossia di natura fisiologica) o secondarie (ossia apprese dall'ambito socio-culturale). Infine vi sono le motivazioni superiori come le motivazioni ideali o i modelli esistenziali che l'organismo assume in vista della propria autorealizzazione, • la personalità: nucleo irriducibile, di difficile modificazione, che rimane tale al variare delle situazioni ambientali, storiche, culturale, il quale si ritrova ad interagire ed ad esprimersi in esse. La nascita della psicologia scientifica La psicologia scientifica moderna nasce nella seconda metà dell'Ottocento. Tra il 1850 e il 1870 fisici e medici si occupano dello studio della psiche: le sensazioni, le emozioni, le attività intellettive. Gli scienziati applicarono allo studio della mente le metodologie che già applicavano alle scienze naturali, ma senza rendersi conto che stavano creando una nuova scienza, la moderna psicologia scientifica, in cui fusero le scienze naturali con lo studio della mente. Nel 1872 Charles Darwin descrive per la prima volta le somiglianze che dimostrano come uomini e animali comunicano sensazioni e manifestano e emozioni mediante il comportamento e il movimento di parti del corpo. Nasce così la teoria fisiologica delle emozioni: per Darwin le emozioni sono scariche di energia che attraversano l'organismo, scatenate da stimoli esterni. La paura è il brusco cambiamento fisiologico che un organismo incontra in presenza di un ostacolo. I movimenti con cui noi esprimiamo un'emozione, sono residui di quei movimenti che un tempo usavamo per uno scopo preciso. E così la pensa anche l’etologia. Quindi, per Darwin si comunica anche attraverso il corpo. La CNV, o comunicazione non verbale, è diventata importante dopo le ricerche con le api di Karl Von Frisch. Tra il 1860 e il 1870, Franciscus Donders studia i tempi di reazione, cioè il tempo che un individuo impiega per rispondere allo stimolo. Ancora oggi si usano per valutare le persone idonee alla guida di autobus ed autocarri. Donders li studiò per misurare le attività mentali. Più sono i passaggi mentali per rispondere a uno stimolo e più tempo viene impiegato per rispondere. Ci sono alcuni esperimenti tipici: 1. studia quanto tempo occorre a un individuo per tirare una leva quando vede una luce. 2. studia quanto tempo occorre a un individuo per tirare una leva quando vede una luce intensa e non debole. oltre che a reagire a uno stimolo, l’individuo deve anche scegliere se tirare o no la leva. La differenza tra il secondo e il primo caso era la scelta di tirare o no la leva. Gustav Theodor Fechner laureato in medicina, è passato alla storia della psicologia, per aver fondato la psicofisica. Egli studiò per sette anni il rapporto tra gli stimoli fisici e sensazioni mentali. In Germania vi erano conflitti sul meccanicismo, che considerava tutti i fenomeni pari a quelli fisici, mentre il vitalismo considerava tutti i fenomeni appartenenti alla vita e alla mente. Fechner studiava il rapporto mente-corpo, per risolvere la questione tra vitalismo e meccanicismo. Ernst Weber aveva notato che la risposta agli stimoli varia a seconda della loro intensità. Nasce la legge di Weber-Fechner la quale afferma che la soglia sensoriale differenziale varia a seconda della grandezza degli stimoli, ed è proporzionale alla loro intensità. Quindi, essa serve per dire che la sensibilità di un corpo aumenta se gli stimoli aumentano di intensità. Il merito di aver fondato la psicologia come disciplina accademica, va a Wilhelm Wundt, in Germania, che tra il 1858 e il 1862 scrisse il libro Contributi alla teoria della percezione sensoriale e più tardi il suo Manuale di psicologia. La psicologia sperimentale e il laboratorio di Wundt L’esordio della psicologia scientifica si è soliti indicarla con la nascita del laboratorio di Lipsia (1879), fondato da Wilhelsm Wundt (1832-1920). Era il primo laboratorio di psicologia sperimentale ufficialmente dentro l’università, dove dedicò i suoi studi sui processi sensoriali (visivi ed uditivi). Fu un passo importante perché per la prima volta alcuni processi mentali venivano sottoposti al vaglio di metodi sperimentali, fatto questo che segnava una rottura rispetto il metodo filosofico di analisi della mente. Wundt è stato indicato come il fondatore della psicologia scientifica, anche se lui preferiva la definizione di psicologia fisiologica. Fisiologica: sia perché faceva suo il metodo naturalistico della fisiologia e sia perché studiava l’attività psichica nella normalità, non nella patologia. Il processo psicologico secondo Wundt Per Wundt il processo psicologico si basava su tre fasi: 1. la percezione, ossia le sensazioni si presentano in quanti tali alla coscienza (è lo stimolo in quanto tale, per come si presenta alla coscienza). 2. L’appercezione: con un atto di sintesi creatrice, gli elementi delle sensazioni vengono identificati e organizzati in complessi (questo termine oggi non è più usato in psicologia). In altri termini, le sensazioni che sono state raccolte nella fase della percezione vengono poi organizzati in qualcosa di più complesso ed articolato e vengono decodificati. La sintesi creatrice è l'unificare in complessi le sensazioni. 3. La volontà di reazione: per Wundt è un atto volontario. L’attività psicologica per Wundt non è mai un’attività passiva, ma richiede due forme di attività: una, s’identificano gli oggetti se si riesce a compiere una sintesi delle sensazioni; due, si reagisce agli stimoli che ci giungo attraverso un atto di volontà. Wundt ha elaborato una teoria trifattoriale dei sentimenti, che ha avuto una grande applicazione ed influenza nella psicologia. Secondo Wundt ogni sentimento può essere inquadrato su tre dimensioni indipendenti che determinano uno spazio tridimensionale, di tipo cartesiano. In altri termini, questi tre fattori possono essere considerati come tre assi di uno spazio cartesiano, indipendenti fra di loro, X Y e Z, che determinano uno spazio. Il primo asse, bipolare, è quello del piacere/dispiacere. Il secondo asse è di tensione/rilassamento. Il terzo asse è di eccitazione/calma. Wundt arrivò a questa teoria in modo semplicissimo: utilizzando un metronomo. Immaginate un metromeno che si mette a ticchettare molto lentamente. Tra un ticchettio e l’altro trascorre un intervallo di tempo, tac… tic. Se si fa la prova, ci si rende conto che tra un tic e un tac proviamo dei sentimenti che sono contrassegnati da questi tre aspetti indipendenti: un tac porta ad uno stato di tensione, l’altro il rilassamento; uno l’eccitazione, l’altro la calma e così via. Wundt basandosi sull’esperimento del metronomo estese la sua teoria dei sentimenti a situazioni più complesse, motivazione verso determinati esiti di attività e così via. Vide, che tutte le cose verso cui si potevano provare dei sentimenti potevano essere analizzate attraverso questi fattori. Questa teoria trifattoriale ha avuto un’influenza enorme alla fine dell’800. Wundt era affascinato dalle cosiddette "scienze esatte", in particolare dalla fisica e chimica. Per questo pensò al laboratorio e alla psicologia sperimentale. L’oggetto di studio della psicologia, secondo Wundt, era l’esperienza diretta o immediata, a differenza delle scienze naturali che studiano l’esperienza indiretta o mediata. Difatti, osservava Wundt, mentre lo psicologo studia il fenomeno che osserva per come viene percepito direttamente, ossia senza la mediazione di strumenti di misurazione, il chimico o il fisico, invece, osservano il fenomeno, per esempio, il calore che si produce in una reazione, ma l’oggetto del loro studio non è la percezione del calore, ma il calore percepito tramite la misurazione con gli strumenti di laboratorio. Il metodo di indagine: L’INTROSPEZIONE Wundt utilizzava come metodo d’indagine l’introspezione, vale a dire, «l’analisi degli stati emozionali e dei processi mentali del soggetto, concentrandosi soprattutto sulle esperienze interne della coscienza, ossia sulle sensazioni, sui sentimenti e sui pensieri. Per tale motivo, fino al 1920 essa veniva definita “la scienza della vita mentale». L’introspezione è "l'auto-osservazione interiore, cioè l'osservazione che l'io fa dei propri stati interni" (Nicola Abbagnano, 1960). Solo attraverso l’introspezione l’individuo può essere in grado di rilevare cosa avviene nel momento in cui immediatamente sperimenta la realtà. Vale a dire, per poter capire cosa accade quando io vedo un colore, una forma, sento un suono, provo un sentimento, c’è un solo modo per farlo, ossia, devo guardarmi dentro ed analizzare quello che sto provando mentre sto guardando il colore, la forma, il suono, ecc. Comte aveva osservato contro l'introspezione una critica: "L'individuo pensante, aveva detto, non può dividersi in due, di cui l'uno ragioni, mentre l'altro lo guardi ragionare. L'organo osservato e l'organo osservatore essendo in questi casi identici, come potrebbe l'osservazione aver luogo?" Tuttavia, Wundt era ben consapevole che l’introspezione non era uno strumento attendibile per un’indagine scientifica. I contenuti di coscienza, infatti, non sono gli stessi in presenza e in assenza di un atto di introspezione. Ciò perché, per esempio, una cosa è dire sono felice mentre mi sto analizzando i sentimenti che provo e un'altra senza rifletterci sopra. Difatti, l’introspezione altera gli stati di coscienza e quando io vado ad analizzarli con questo strumento, ne ricavo delle impressioni alterate. Con l’introspezione, inoltre, come possiamo sapere qual è il reale contenuto di coscienza corrispondente al resoconto verbale di un soggetto? Se il soggetto mi dice “sono felice”, come faccio a sapere che è davvero felice? E chi mi assicura che il suo aggettivo “felice” ha lo stesso significato del mio? Wundt riteneva che l’applicazione del metodo sperimentale alla psicologia ed ai contenuti dell’introspezione, permetteva di risolvere il problema dell’indeterminazione nei contenuti dell’introspezione. Vale a dire, in tutte le scienze naturali, come predetto, quello che si studia non sono tanto i fenomeni in sé, ma le variazioni dei fenomeni, o meglio, le variazioni fra fenomeni diversi. Il mio problema non è tanto quello di dire cos’è esattamente quel felice di cui mi ha parlato il soggetto per la sua introspezione, ma come varia il suo sentimento al variare della situazione in cui il soggetto si trova. Se si riscontra questa variazione, è questa la reazione interessante che diventa l’oggetto fondante dello studio della psicologia sperimentale e non tanto, invece, il valore di per sé di questo o quel sentimento o di questa o quella percezione. La variazione, in quanto tale, non è influenzata né dalla presenza dell’atto di introspezione né dall’eventuale differenza di contenuti di coscienza tra soggetti. Se c’è variazione dei contenuti di coscienza e se io quello che voglio cogliere non è tanto il valore del contenuto in sé, ma questa variazione, al variare della situazione in cui colloco il soggetto, questa variazione, sarà indifferente al fatto se la racconti attraverso un atto di introspezione di Tizio, Caio o Sempronio, purché però si manifesti per tutti i miei soggetti dell’esperimento. Ciò, però, è solo un proposito teorico, ma non è scientifico, perché ogni soggetto può avere un suo modo di attribuire significato ai sentimenti ed alle parole e quindi cosa misuriamo? Del resto già con l'introspezione Wundt si era misurato con tale ostacolo e per tentare di risolverlo gran parte dei soggetti che utilizzava negli esperimenti erano costituiti da Wundt stesso e dai suoi assistenti, ma non ebbe successo. (giacché il livello socio-culturale era pressoché equilibrato, ma pur facendo ciò, Wund stesso si rese conto che è solo teorico il proposito, ma non scientifico) . Con riferimento al 1879 e, ancora oggi, vige nella Psicologia il seguente (ingannevole) paradosso: mentre la "psicologia scientifica" è stata definita tale per la "psicologia sperimentale" di Wundt, in realtà, non solo Wundt (utilizzando l'introspezione) utilizzava un metodo a-scientifico (quindi, "scientifica" perché?), non solo preferiva definirla "psicologia fisiologica" e non "psicologia scientifica", ma per primo toccò (nel laboratorio) i limiti della psicologia in quanto tale. Vale a dire, l'impossibilità ontologica di divenire una scienza, in quanto l'oggetto dello statuto epistemologico della psicologia, ossia la psiche (=anima), non esiste, è un'invenzione del linguaggio. E, per sua stessa ammissione, a nulla vale il metodo dell'introspezione (giacché altera lo stato di coscienza) ed a nulla la misurazione della variazione dei contenuti della coscienza, posto che ogni individuo è un individuo a sé ed i risultati cui si giunge con la ricerca non sono verificabili, ma sempre collocati e collocabili su un piano del tutto soggettivo ed opinabile (Fortunato S., 2007). Obiettivo della psicologia sperimentale: a) ridurre i processi consci alle loro componenti più semplici e fondamentali; b) determinare le relative leggi combinatorie; c) porre gli elementi in rapporto con le loro condizioni essenziali. Titchener riteneva che vi fossero tre stati elementari di coscienza: le sensazioni, immagini e gli stati affettivi. Le sensazioni sono gli elementi fondamentali della percezione e ricorrono nei suoni, odori, immagini visive, ecc; le immagini mentali sono le componenti delle idee e compaiono nel processo che raffigura o rappresenta alla coscienza esperienze non simultanee, come il ricorso di un evento passato; gli stati affettivi sono le componenti elementari delle emozioni e sono reperibili in esperienze del tipo: amore, odio, tristezza. Strutturalismo e funzionalismo Non senza creare etichettamento, la psicologia di Wundt viene chiamata anche strutturalismo. Il termine strutturalismo fu ideato dal suo allievo inglese E.B. Titchener (18671927) che insegno negli USA. Titchener esercitò per più di un trentennio un dominio assoluto su buona parte della psicologia americana. La scuola psicologica che gli si oppose in America ispirata dall’evoluzionsimo, fu il funzionalismo, il cui iniziatore fu il filosofo Williams James. In pratica, cosa differenziava il funzionalismo dallo strutturalismo? Tra l’altro fu curioso che il nome funzionalismo fu dato dalla scuola avversaria, proprio da Titchener, in un articolo dove affermava che ci sono due modi di fare psicologia: uno è quello di studiare la struttura della mente. Vale a dire, i contenuti mentali che possono essere evocati mediante il processo dell’introspezione. L’altro, era quello di studiare le funzioni della mente. A suo avviso, la psicologia seria era quella che studiava la struttura, per lasciare agli altri lo studio delle funzioni che considerava sfuggente. È interessante osservare che anche William James era stato allievo di Wundt. William studiò a Lipsia con Wundt e tornato negli USA fondò una psicologia in contrasto con lo strutturalismo. Non solo negli USA, ma anche in Europa al volgere del secolo si sarebbe avuta una forte reazione contro la psicologia di Wundt. Come la psicologia della Gestalt, ma partendo da presupposti differenti, il funzionalismo sostiene, in polemica con lo strutturalismo di Wundt e Titchener, che non è possibile studiare la vita psichica scomponendola in presunte costituenti fondamentali. W. James (1842-1910), fondatore del movimento funzionalista con i suoi Principi della psicologia del 1890, ritiene che la coscienza sia caratterizzata da una successione ininterrotta di esperienze (il cosiddetto flusso di coscienza) in cui gli elementi precedenti si trasmutano in quelli successivi senza soluzione di continuità. James iniziò i suoi studi esaminando i riflessi, intesi come “azioni fondamentali”, e dei quali volle andare a indagare la motivazione. Coerentemente con il pensiero del suo tempo (estremamente interessato alle basi biologiche del comportamento) lo studioso americano trovò una spiegazione neurologica a questi atti involontari. Passò poi ad analizzare la mente a proposito della quale introdusse il famoso concetto sopra menzionato di flusso di coscienza: per il funzionalismo la mente è quindi caratterizzata da incessanti mutamenti cosicché risulta impossibile “fissarla” in rappresentazioni statiche. Il funzionalismo fu fortemente influenzato dall'opera di Darwin, e condivide infatti l'assunto evoluzionistico secondo il quale i fenomeni psichici si sarebbero sviluppati in quanto capaci di produrre un miglior adattamento dell'individuo all'ambiente. James, infatti, rivendicò la fondamentale caratteristica adattativa della mente, intesa come strumento per prefigurare e raggiungere scopi futuri, introducendo quindi l'idea che la psicologia non debba solo interessarsi di descrivere o riconoscere in qualche modo l'esatto contenuto della mente, ma debba soprattutto interessarsi alle funzioni del pensiero (in che modo il pensiero permette agli esseri umani di far fronte alle sfide dell'esistenza?). Il funzionalismo studia perciò soprattutto i processi mentali con un chiaro ruolo adattativo, quali l'apprendimento, il pensiero e la motivazione, e prende in attenta considerazione le differenze individuali che si manifestano al riguardo. Inoltre si interessa alle possibilità applicative della psicologia, soprattutto nel campo dell'educazione. Nell'ambito del funzionalismo è possibile individuare l'impiego di varie procedure di ricerca, tanto che si parla al riguardo di un certo eclettismo metodologico. I funzionalisti, pur promuovendo l'indagine sperimentale e osservativa, non trascurarono le analisi filosofiche. In generale, essi promossero un atteggiamento di tipo fenomenologico, già incontrato come metodologia cara alla psicologia della forma, volto alla descrizione dell'esperienza immediata del soggetto. All'orientamento funzionalista vengono in genere ricondotti psicologi americani che si interessarono di dinamiche sociali (G.H. Mead), di costruzione di test (J.M. Cattell) e soprattutto di apprendimento (E.L. Thorndike e R.S. Woodworth). Il funzionalismo è finito per confluire dopo il 1910 nel comportamentismo, che pure ha recepito l'istanza evoluzionistica anche se la sviluppò in differente direzione. In Europa il funzionalismo si è diffuso grazie a E. Claparède e alcune sue istanze sono state successivamente fatte proprie da J. Piaget. La teoria della Gestalt Con i termini psicologia della Gestalt, e psicologia della forma si intende quel corpo di affermazioni teoriche e impostazioni metodologiche che si sono sviluppate a partire dai lavori di Wertheimer (18801943), Kohler (18861941) e Koffka (1887-1967). La Gestalttheorie è inquadrabile nella grande reazione antimeccanicistica che ha avuto luogo ai primi del '900 in Europa, dovuta in parte alla profonda crisi del positivismo ed in parte alle nuove acquisizione scientifiche. In Germania, isola culturale dell'Europa, dove già nel campo filosofico con Kant si erano gettate le basi per il superamento della controversia fra razionalisti ed empiristi, Wundt riesce a rendere scientifica la nascente psicologia con un metodo molto simile alla chimica dell'ottocento, con la scomposizione di ogni fenomeno nei suoi aspetti elementari per ottenere unità semplici e non ulteriormente riducibili. I Gestaltisti rifiutano le concezioni teoriche della dottrina degli elementi e l'analisi attraverso l'introspezione addestrata, in quanto non in grado di tener conto della complessità dei fenomeni, tanto che la Teoria della Forma fu detta "la risposta tedesca alla psicologia di Wundt". Il metodo di Wundt, era molto simile a quello della chimica: scomporre ogni fenomeno nei suoi aspetti elementari per ottenere unità semplici non ulteriormente riducibili. Gli psicologi della Gestalt rifiutano completamente questa impostazione e si distinguono soprattutto per il loro antielementarismo. Secondo la teoria della Gestalt la qualità propria del tutto non è data semplicemente dalla somma degli elementi che costituiscono il tutto stesso, ma è data dalle relazioni che intercorrono tra i vari elementi che compongono il tutto. Si tratta dunque di una visione dinamica. Il concetto fondamentale della Gestalt è dunque: "il tutto è più della somma delle parti". È da questo punto di vista che la Gestalt ritrova la matrice del pensiero di Kant per ciò che concerne il senso attivo della mente, ma soprattutto trova la sua filiazione in quella Psicologia dal punto di vista empirico di F. Brentano (1874), che getta le basi per una psicologia fondata sull'atto, sull'intenzionalità: quest'ultima intesa come l'atto che rapporta il soggetto all'oggetto. L'oggetto ha realtà sua propria ma diviene esistente in sede psichica solo quando un atto rapporta ad esso l'essere umano. La psicologia dell'atto convoglia l'attenzione verso il soggetto, verso il suo mondo e verso i dati immediati dell'esperienza. Il passo più determinante che ha compiuto la Gestalt è stato quello di osservare che una stessa parte ha caratteristiche diverse se presa singolarmente o inserita nel tutto e che quindi una stessa parte inserita in due diverse totalità può assumere caratteristiche diverse. I risultati sperimentali di Wertheimer mettono definitivamente in crisi la presupposta perfetta corrispondenza tra piano materiale (la realtà fisica) e piano percettivo (la realtà fenomenica). In questo senso si può dire che l'antiempirismo della Gestalt non si limita agli aspetti percettivi, ma coinvolge ogni aspetto della psiche umana. Secondo gli psicologi della Gestalt ciò che deve essere preso in considerazione direttamente sono solo i fatti, così come ci vengono forniti dainostri organi di senso. I principali temi caratterizzanti la psicologia della Gestalt sono: 1) atteggiamento fenomenologico 2) teoria di campo 3) postulato dell’isomorfismo 4) la psicologia del pensiero 5) la psicologia sociale. ATTEGGIAMENTO FENOMENOLOGICO Per la Gestalt ciò che deve essere preso in considerazione direttamente e con privilegio sono i fatti così come ci vengono forniti dai nostri organi di senso. Questo è un atteggiamento che si pone esattamente agli antipodi dell’introspezionismo. Un gestaltista osserva il reale e accetta l’esperienza in maniera diretta, attribuendole quel valore che manifestamente ci presenta, unintrospezionista invece al di là degli oggetti che popolano il nostro mondo cerca di scoprire sensazioni elementari attraverso una impostazione che per necessità mira a distruggere l’oggetto come entità organizzata. Nell’impiegare il metodo fenomenologico un gestaltista ritiene di cogliere una oggettività più genuina e in grado di estendersi anche a quegli aspetti non perfettamente misurabili. L’oggettività infatti viene fondata su ciò che osserviamo direttamente. IL CONCETTO DI TEORIA DI CAMPO La Gestalt utilizza strumenti concettuali quali forze, campo, equilibrio. La ragione fondamentale di questa scelta sta nel fatto che l'ordine stesso presente nelle cose è di tipo dinamico. Un esempio storico di questa impostazione può essere individuato nel lavoro di Ebbinghaus. I risultati di questo studioso hanno infatti mostrato che sono fondamentali alcuni fattori dinamici quali ad esempio il modo di presentare il materiale, la sua ineliminabile organizzazione interna, il contesto cognitivo, il grado e il tipo di attenzione, la motivazione, eccetera. Per la psicologia della Gestalt ogni fenomeno può essere descritto con imprescindibile attenzione agli aspetti dinamici. Se costruire una teoria di campo dinamica significa individuare i princìpi dell'interazione delle parti, Wertheimer nel 1923 ne fissa alcuni: vicinanza, somiglianza, buona forma, pregnanza, destino comune, chiusura, esperienza precedente. Questi principi sono dei metodi di descrizione, non con una validità a priori indipendente dai fatti, ma che nascono dal dato fenomenico. IL POSTULATO DELL’ISOMORFISMO Questa componente della Gestalt (il postulato dell'isomorfismo) dimostra che i processi astratti del pensiero (i processi della memoria, dell'apprendimento, eccetera) hanno un preciso supporto materiale. Per la Gestalt l'isomorfismo (dal greco iso, uguale e morfé, forma), sta ad indicare una identità strutturale tra il piano dell'esperienza diretta e quello dei processi fisiologici ad esso sottostanti. Qualsiasi manifestazione del livello fenomenico, dalla semplice percezione di un oggetto alla più complessa forma di pensiero, trova un corrispettivo in processi che a livello cerebrale presentano caratteristiche funzionali identiche: se il nostro mondo fenomenico possiede una sua forma, una struttura e una dinamica, si deve allora ricercare, a livello del sistema nervoso centrale, una forma, una struttura e una dinamica che la rispecchia. Il postulato dell'isomorfismo ha causato alla Gestalt numerose critiche: è infatti stato considerato un tentativo di voler ridurre l'attività del cervello alla presenza di correnti bio-elettriche o di fenomeni fisiologici osservabili. La polemica sull'isomorfismo rimane tuttora aperta. LA PSICOLOGIA DEL PENSIERO Gli aspetti dinamici, studiati attentamente dalla Gestalt, non riguardano solamente i processi percettivi del pensiero, ma sono rintracciabili anche in ambiti di ricerca tra loro ben più disparati. Il modello dinamico viene infatti proposto, con opportune modifiche, anche nella trattazione della memoria, dell'apprendimento, della psicologia sociale. In particolare la psicologia della Gestalt si è occupata della "psicologia del pensiero". Nello studio dei processi del pensiero le interpretazioni dinamiche tra le componenti non sono così rigidamente pre-determinante dalle condizioni dell'oggetto come accade in percezione; per questo motivo le caratteristiche di campo possono apparire in modo molto più manifesto ed esemplare. In particolare Kohler ha introdotto il concetto di insight osservando il comportamento degli scimpanzé posti di fronte a situazioni di tipo problematico. L'insight è per Kohler l'improvvisa scoperta di un nuovo modo di interpretare la situazione totale, quindi ha importanza la configurazione piuttosto che l'oggetto. L'insight è dunque la scoperta di rapporti tra gli elementi, rapporti diversi da quelli individuati prima della scoperta. Mentre la soluzione per prove ed errori (dove il pensiero procede alla cieca) viene solo ad intermittenza, la soluzione inusuale è possibile ed improvvisa. L'analisi dei gestaltisti verte sulla soluzione dei problemi piuttosto che sull'apprendimento, inteso come accumulo di esperienza e ricorso alla continuità. Ma l'insight non nega l'esperienza passata; nei casi in cui la situazione non presenta possibilità di ristrutturazione e in assenza di strategie, il soggetto ricorre a ciò che gli è già noto, mentre la discontinuità rispetto alle condizioni precedenti, avviene quando la situazione la rende possibile. Wertheimer, a sua volta, introduce il concetto di pensiero produttivo e lo esplora, lo analizza, lo studia, ma non in maniera sperimentale e neppure soffermandosi a trattare quantitativamente i risultati delle sue esperienze. Scarse sono le informazioni lasciate da Wertheimer sulle condizioni della sua sperimentazione. Alcune esperienze si sono svolte come colloqui occasionali, altre collettivamente. Poche con adulti, la maggior parte con ragazzi nella scuola dove lui aveva lavorato. L'interesse di Wertheimer era quello di trovare come si raggiunge una soluzione ad una situazione problematica e quali sono i fattori che giocano nel corso di una prestazione produttiva. Le esperienze descritte da Wertheimer fanno scoprire il tipo di procedimento che porta alla soluzione della situazione problematica che è guardare al problema come a un tutto. Altri gestaltisti affermano che la soluzione di un problema dipende dal far affiorare elementi non ancora evidenti, ma impliciti nella situazione problematica presente. Duncker con i suoi studi sostiene che la ristrutturazione del campo cognitivo può essere totale o parziale. Introduce il concetto di fissità funzionale che ostacola la soluzione. Lewin estende l'applicazione della teoria di campo a tutti i settori della psicologia; la teoria di campo è per lui un insieme di concetti che facilitano la traduzione della esperienza fenomenologica. Campo è anche lo spazio vitale, la totalità di fatti che determinano il comportamento dell'individuo in dato momento (C). Lo spazio vitale comprende la persona (P) e l'ambiente psicologico (A). Il comportamento è funzione della persona e del suo ambiente C=f (P, A). LEWIN E LA PSICOLOGIA SOCIALE K. Lewin (1890-1947), estese la teoria della Gestalt allo studio dei processi dinamici e della personalità. Gli psicologi della Gestalt adottarono generalmente il metodo fenomenologico, per il quale il soggetto si pone in rapporto diretto con lo stimolo ed esperisce un certo fenomeno. Lewin mostra come si possa costruire un sapere di tipo scientifico basato su analisi sperimentale anche nel caso di eventi non ripetibili. Abbandonato il concetto di descrizione-classificazione e adottato il concetto di "funzione" risulta un sapere più costruttivo. Per Lewin occorre che anche in psicologia avvenga un processo di svecchiamento che porti la psicologia da scienza descrittiva a scienza genetico-condizionale. Per elaborare una tecnica che permetta una rappresentazione di una situazione psicologica concreta, Lewin si avvale della topologia, un filone della matematica che si interessa delle relazioni spaziali in modo non metrico. Utilizzando il costrutto di "regione" si può rappresentare uno spazio grafico racchiuso in un confine che può indicare situazioni di tipo psicologico. La tesi è che una persona sia una unità articolata in regioni e che le regioni abbiano un diverso grado a) di interdipendenza; b) di valenze positive o negative. Ciò consente una rappresentazione simultanea e soddisfacente delle caratteristiche dell'ambiente psicologico di un bambino, di un adulto, ad ogni dato momento. La persona viene intesa da Lewin come regione o insieme di sub-regioni interdipendenti con l'ambiente e non come entità separata. La persona è il luogo in cui nascono tensioni più o meno consistenti, in grado di mutare l'equilibrio che può essere ristabilito solo mediante saturazione della valenza. La persona quindi è una sorta di gerarchia di regioni alcune tra loro fortemente connesse e funzionalmente dipendenti, altre meno, altre infine solo debolmente o per niente collegate. E questa struttura muta nel tempo a seconda dello sviluppo della persona, delle sue condizioni di salute mentale, e perfino dello stato generale psico-fisico. La traduzione grafica delle differenze, degli spostamenti che intercorrono tra l'ambiente fisico e l'ambiente psicologico, fra lo spazio fisico e quello non fisico (o ideologico) in cui ci si muove in tutte le occasioni, compresa quella della soluzione dei problemi, può essere descritta nei termini topologici e in termini di teoria di campo, per evidenziare le locomozioni psicologiche che siglano il passaggio da una situazione o da una attività all'altra. Lewin applica questi presupposti nello studio della debolezza mentale e sottolinea come la ristrutturazione improvvisa del campo possa essere causata sia da eventi semplici, compiti facili, sia da eventi complessi, compiti difficili. Ciò porta ad affermare che proprietà fondamentali degli atti di comprensione sono sempre presenti in ogni individuo. La differenza sta nel grado di articolazione, nel tipo di strutture e nella facilità con cui cambiano. Un grado di articolazione rigido comunque ostacola l'atto intuitivo, sia nei normodotati che nei deboli di mente. L’approccio comportamentista La psicologia moderna ha affrontato i tradizionali obiettivi di filosofia e psicologia - studiare, analizzare e spiegare ciò che ha a che fare con la mente – utilizzando diversi approcci a partire dall’introspezione psicoanalitica, per arrivare al metodo computazionale e alla procedura simulativa di matrice cognitivista. In mezzo si colloca il comportamentismo che fonda la psicologia unicamente sul comportamento manifesto, vale a dire su quanto, del comportamento di una persona, può essere osservato direttamente, rifiutando l’approccio soggettivista della psicoanalisi freudiana. Secondo l’indirizzo comportamentista, la psicologia ha il compito di misurare risposte a stimoli: l’attenzione è focalizzata su quanto avviene all’esterno dell’individuo e sulle risposte dell’individuo alle sollecitazioni dell’ambiente. Ne consegue che l’esperienza assume un ruolo centrale dato che tutte le conoscenze derivano da essa. L’individuo è visto come il prodotto delle sue esperienze. La sua formazione psicologica si caratterizza grazie all’esperienza, senza che vi sia un bagaglio psicologico personale o doti innate che la determinino. Inoltre, secondo i comportamentisti, all’interno della mente umana non ci sarebbero processi di elaborazione tra lo stimolo ambientale e la risposta dell’individuo. Tuttavia è evidente che, postulando ciò, il comportamentismo lascia aperto il problema della spiegazione di cosa succede fra la presentazione di uno stimolo e l’emissione di una risposta. Il cognitivismo nasce come tentativo di risposta a questo quesito e si pone il compito di studiare le trasformazioni subite dall’informazione nel passaggio fra stimolo e risposta. Secondo questo indirizzo, la mente umana funziona come un’elaboratrice attiva delle informazioni che le arrivano dagli organi sensoriali: la conoscenza non deriva semplicemente dall’esperienza, bensì dall’azione attiva del soggetto conoscente, che interagisce con l’ambiente circostante. A differenza di quella comportamentista, la prospettiva cognitivista ritiene che il soggetto non si limiti a recepire passivamente le sollecitazioni ambientali, bensì verifichi continuamente la congruenza fra il proprio progetto comportamentale e le condizioni oggettive esistenti. Ne consegue che, per i cognitivisti, l’organismo umano è un sistema complesso, che elabora l’informazione sensoriale, l’esperienza, compiendo scelte tra gli stimoli in entrata, trasformando i dati selezionati e immagazzinandoli in modo rapido ed efficace al fine di raggiungere decisioni che sono frutto di questa elaborazione e che non sono predeterminate in partenza dal semplice stimolo sensoriale, come voleva, invece, il modello comportamentista. Le origini del comportamentismo: il clima storico-culturale Il comportamentismo nasce ufficialmente nel 1913 con la pubblicazione, da parte di J.B.Watson, di un articolo intitolato Psycology as the Behaviorist Views It. Sulla scia dell'evoluzionismo di Darwin, il quale difendeva la tesi secondo cui tra uomini e animali non vi è una differenza radicale, ci si rese conto che era possibile fare ricerca psicologica anche con gli animali. Questo fatto dava il grande vantaggio di poter studiare alcuni eventi in organismi meno complessi dell'uomo. Watson sottolinea che la vera psicologia degli animali, al pari di tutta la psicologia, doveva avere come principale oggetto di studio il comportamento osservabile. Egli nega la rilevanza della coscienza nello studio della psicologia; suo vero bersaglio è il metodo introspettivo, che, dal suo punto di vista, è non scientifico per due motivi. In primo luogo perché nel metodo introspettivo, osservatore e osservato si identificano e questo non dà alcuna garanzia d'oggettività. In secondo luogo perché i dati introspettivi, diversamente dai dati provenienti dalle scienze naturali, sono privati ed intimi, di conseguenza non sono verificabili e controllabili empiricamente. Tutto ciò portava a descrizioni ancora una volta non oggettive e scientifiche, perché è noto che una delle principali caratteristiche della scienza è l'oggettività e la verificabilità empirica dei suoi assunti. Differentemente dallo studio della coscienza per mezzo del metodo introspettivo, lo studio del comportamento permetteva di servirsi di metodi oggettivi e scientifici, perché suscettibili di un immediato controllo nella verifica del consenso intersoggettivo. Il condizionamento classico o pavloviano Il condizionamento classico o condizionamento rispondente, fu elaborato da Pavlov, premio Nobel nel 1904, attraverso sperimentazioni con cani. In breve, il ricercatore russo si accorse che i cani presentavano un aumento di salivazione senza la presenza di cibo, quando si creavano delle condizioni tipiche che anticipavano l'arrivo del nutrimento. Egli provò quindi a definire una situazione di laboratorio per studiare tale fenomeno. Quando ad un cane viene presentato del cibo, questi ha una riflesso automatico di aumento della salivazione. Il cibo viene definito "stimolo incondizionato" in quanto è in grado di provocare una risposta automatica ovvero un "riflesso (o reazione) incondizionato". Nella sperimentazione di Pavlov, ai cani veniva presentato uno stimolo neutro artificiale (ad esempio un campanello oppure una luce), ovvero un stimolo non in grado di produrre di per sé un aumento della salivazione. Successivamente alla presentazione di tale stimolo veniva presentato il cibo (stimolo incondizionato). Dopo un certo numero di sequenze "stimolo neutro" "stimolo incondizionato" (cibo) si verificò nei cani un aumento di salivazione alla sola presentazione dello stimolo neutro. Tale stimolo venne definito "stimolo condizionato" e la risposta da esso provocata "riflesso condizionato" o "reazione condizionata". Nella condizione di laboratorio elaborata da Pavlov, si è visto quindi che due stimoli contigui producono un fenomeno associativo attraverso cui uno stimolo prima neutro (ovvero non in grado di produrre la risposta automatica prodotta dallo stimolo adeguato) può produrre gli stessi effetti di uno stimolo incondizionato. Il fenomeno per il quale uno stimolo neutro diventa "condizionato" ovvero è in grado da solo di produrre quella che abbiamo definito una "reazione condizionata" è definito acquisizione. Un altro importante fenomeno emerso attraverso tali osservazioni di laboratorio, è quello della generalizzazione dello stimolo, per il quale stimoli simili per alcune costanti ma non identici allo stimolo condizionato possono produrre lo stesso effetto di quest'ultimo. Le somiglianze tra gli stimoli possono essere di tipo fisico, misurabile, e allora si parla di generalizzazione primaria oppure soggettive o legate a differenze individuali ovvero con similitudini simboliche; in quest'ultimo caso ci si riferisce ad una generalizzazione secondaria. Sempre in una situazione sperimentale si è visto come sia possibile l'estinzione del comportamento appreso (riflesso condizionato) dopo un certo numero di presentazioni dello stimolo condizionato non associato alla presentazione di cibo. Quando però, dopo l'estinzione, si ripresenta il nesso associativo tra lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato, l'acquisizione della reazione condizionata (salivazione nel nostro esempio) è molto più rapida rispetto alla prima volta. Si parla quindi di riacquisizione. Tale fenomeno dimostra come l'estinzione sia un processo attivo, in grado di inibire la risposta appresa e non di eliminarla. Il paradigma teorico del condizionamento rispondente (o classico) e lo schema Stimolo-Risposta (S-R) nasce da studi di laboratorio. I fenomeni studiati emergono, più complessi, in tutti i contesti ambientali. Pavlov distingue quindi i "riflessi condizionati" in riflessi (o reazioni) acquisiti, cioè legati ad un addestramento specifico dai riflessi naturali la cui acquisizione è spontanea ed avviene in contesti meno strutturati. Skinner e il condizionamento operante Così come esposto da tutti i manuali di psicologia generale, iniziamo la trattazione del paradigma teorico del condizionamento operante descrivendo i limiti del modello pavloviano, ovvero il paradigma del condizionamento rispondente (o classico). Ci si rese ben presto conto che il modello StimoloRisposta (S-R) di Pavlov non riusciva a spiegare l'ampia gamma dell'apprendimento degli organismi, soprattutto non includeva il ruolo attivo dell'essere vivente sull'ambiente circostante. Ogni comportamento produce un effetto, l'effetto prodotto a sua volta è in grado di produrre delle conseguenze sull'individuo. L'effetto del comportamento sull'ambiente è stato studiato per primo da Thorndike che definì una ormai nota situazione sperimentale: un gatto veniva chiuso in una gabbia dotata di un meccanismo (un chiavistello) che ne permetteva l'apertura. Il gatto veniva posto in una situazione di problem solving. Quando l'animale riusciva, per tentativi ed errori, a risolvere il problema "uscire dalla gabbia" si notò un incremento delle azioni finalizzate e una riduzione esponenziale delle attività inutili allo scopo. Questo tipo di apprendimento venne definito "strumentale" in quanto il comportamento dell'animale poteva essere considerato strumentale alla risoluzione del problema e alla ricerca di una ricompensa. Si ipotizzarono quindi due leggi legate all'apprendimento: 1) la legge dell'effetto, secondo la quale l'organismo tende a ripetere i comportamenti che producono effetti benefici mentre tende ad abbandonare i comportamenti inutili o che producono effetti deleteri. 2) la legge dell'esercizio, secondo la quale una risposta è più probabilmente ripetibile nella misura in cui essa è stata ripetuta. Una lettura integrata delle due leggi permette di prevedere, ad esempio, che comportamenti in grado di produrre maggiori risposte benefiche hanno una maggiore probabilità di essere appresi. Gli studi di Thorndike hanno permesso a F.B. Skinner di sviluppare il modello del condizionamento operante. Una risposta può essere attivata senza la necessità di uno stimolo in quanto essa diviene subordinata alla possibilità di una ricompensa (o rinforzo oppure rinforzatore) in grado di sollecitare un comportamento volontario acquisito in seguito ad un rinforzo. La situazione sperimentale è la seguente: una cavia viene messa in una gabbia (nota a tutti come la Skinner Box) dotata di un dispositivo erogatore di cibo collegato ad una leva che ne permette l'attivazione. La cavia è lasciata "libera" di muoversi all'interno della gabbia senza "condizionamenti sperimentali". La cavia incontra la leva casualmente e vede che l'effetto prodotto è la comparsa del cibo. Esponenzialmente si vede che la cavia aumenta le pressioni della leva e finalizza sempre di più le proprie azioni verso l'erogazione di cibo. L'Operante è l'insieme delle risposte simili dal punto di vista della funzione attivate dalle conseguenze che esse stesse producono (cioè una modificazione dell'ambiente). La tipologia delle conseguenze prodotte da un comportamento volontario determina la probabilità che esso si ripeta. Il rinforzo (o rinforzatore) è definibile come quella specifica condizione in grado di aumentare la probabilità che una risposta di verifichi. Il rinforzo è definibile in termini di valenza come rinforzo positivo, cioè che produce una risposta la cui conseguenza sarà la ricompensa, oppure come rinforzo negativo, in grado cioè di produrre una risposta che avrà come conseguenza l'eliminazione dello stimolo nocivo (es. un shock). È da sottolineare che la punizione non è sinonimo di rinforzo negativo. La punizione non è un rinforzo in quanto essa ha come conseguenza l'indebolimento di un comportamento (anche se temporaneo). Una delle principali caratteristiche del rinforzo è la sua natura. Si definiscono rinforzatori naturali o primari tutti gli eventi che fungono da rinforzo per loro natura, cioè intrinsecamente, senza necessità di un addestramento specifico. Sono invece definiti rinforzatori secondari quelli legati alla storia del soggetto ovvero la cui connotazione come rinforzo avviene successivamente. I soldi sono un ottimo esempio di rinforzatore secondario in quanto non legati a necessità di base dell'individuo ma alla sua storia socio-culturale. Altra importante caratteristiche del rinforzo è il contesto nel quale avviene. Ricordiamo che il contesto può essere ambientale esterno o interno all'organismo che interagisce con l'evento-stimolo. I concetti di interno ed esterno non verranno discussi in questa sede. Sappiamo bene infatti che alcuni comportamenti sono rinforzati in specifici contesti mentre puniti in altri. Ad esempio sul ring di un incontro di boxe ci si può prendere a pugni e viene rinforzato dall'approvazione del pubblico (rinforzatore generalizzato) oppure da un premio al vincitore, mentre tale comportamento è perseguibile dalla legge, cioè punito, in un contesto di vita ordinario. Esiste una classe di rinforzi definibili come rinforzi dinamici che sono legati non a stimoli ambientali ma ad altri nostri comportamenti. Accade così che un comportamento "preferito" ovvero più frequente in contesti in cui ci sia libertà di azione, divenga rinforzo per comportamenti meno frequenti. Tolam e l’apprendimento latente Willard Small nel 1901 ideò diversi prototipi di labirinti (a più corridoi, a T, a Y, ramificato), composti da un box di partenza e uno di arrivo col cibo: in mezzo un intreccio di corridoi più o meno complicato, nel rispetto di determinate regole. Ogni punto d'intersezione non possedeva alcun particolare indizio caratteristico che consentisse di distinguerlo dagli altri. Infine il labirinto poteva essere modificato nel corso dello stesso esperimento (allungandone o accorciandone la lunghezza, variandone l'angolatura, ecc.). Small usò dei ratti affamati. Lo scopo delle sue ricerche era quello di stabilire quale modalità sensoriale era determinante per il ratto nella scelta del corridoio da percorrere. I dati raccolti dimostrarono che nessuna modalità (visiva, uditiva, olfattiva ecc.), singolarmente considerata, era determinante. In pratica, col metodo di "prove ed errori" il ratto riusciva sempre ad arrivare al cibo, anche se apprendeva più facilmente i percorsi esatti in prossimità del box di partenza o di arrivo (che rappresentavano uno stimolo di ancoraggio), mentre trovava più difficoltà nei percorsi intermedi. Edward Tolman giustificò questo comportamento dicendo che l'animale elabora, mentre percorre il labirinto, una specie di rappresentazione mentale (o mappa cognitiva) dello stesso labirinto. Se il ratto, dopo alcuni esperimenti, possiede questa mappa, saprà sempre, più o meno, dove si trova in un certo momento e saprà sempre dove deve andare. Esso cioè dispone di un insieme di informazioni che, di volta in volta, utilizza come guida per l'azione. Apprendimento latente Accanto all'apprendimento per condizionamento classico e strumentale, vi è quello che si verifica senza intenzionalità, per semplice osservazione. Ad es. se mettiamo dei gatti in una gabbia, accanto ad altri sottoposti a compiti di apprendimento, i primi risolveranno più rapidamente lo stesso compito di apprendimento quando più tardi vi saranno sottoposti. Non solo, ma i più avvantaggiati saranno quelli che avranno assistito al corso di addestramento dall'inizio alla fine. Questo tipo di apprendimento, nel bambino, favorisce la socializzazione, l'assunzione di abitudini, pregiudizi e opinioni altrui. La teoria dell’apprendimento sociale: Bandura La teoria dell'apprendimento sociale rappresenta una delle prime teorie di Albert Bandura. L'autore evidenziò come l'apprendimento non implicasse esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma che avvenisse anche attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l'osservazione di altre persone. Bandura ha adoperato il termine modellamento (modeling) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Esemplificativi risultano in questo senso gli studi condotti sull'imitazione di condotte aggressive da parte di bambini che osservavano un modello. Bandura sintetizza una serie di proprietà agenti in una situazione di modellamento, che influiscono nell'impatto delle informazioni apprese sulla prestazione: la somiglianza delle prestazioni, la somiglianza delle caratteristiche personali tra osservatore e modello, la molteplicità e varietà dei modelli, ed infine la competenza del modello. Viene identificata come caratteristica fondamentale dell'apprendimento osservativo (o apprendimento vicario) l'identificazione che si instaura tra modello e modellato. Più essa sarà elevata, più l'apprendimento avrà effetto sulla condotta del modellato. L'esperimento della bambola Bobo è una famosa ricerca sperimentale sull'aggressività condotta nel 1961 dallo psicologo Albert Bandura, con la quale fu dimostrato che il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione. Le ricerche di Bandura sono state più volte utilizzate anche a sostegno della tesi, ancora attuale, secondo la quale le scene di violenza mostrate in Tv possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi. Bandura formò tre gruppi di bambini in età prescolare: • nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. L'adulto picchiava il pupazzo con un martello gridando: «Picchialo sul naso!» e «Pum!». • nel secondo gruppo, quello di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti di Bobo. • il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello. In una fase successiva i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda). Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l'adulto picchiare Bobo manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli. La psicoanalisi e i sistemi post freudiani La psicoanalisi nasce intorno al 1886, quando Josef Breuer chiese a Freud di aiutarlo nella cura di una paziente, Anna O. che presentava sintomi isterici e che Breuer non era in grado di curare. Da questa collaborazione nasce la psicoanalisi, che la stessa paziente definì: cura con le parole. La psicoanalisi è come una partita a scacchi, aprire bene è fondamentale. Anna O. apparteneva ad una delle più importanti famiglie di Vienna ed era affetta da diversi sintomi, soprattutto: paralisi del lato destro del corpo, disturbi alla vista, tosse nervosa, anoressia, idrofobia, alterazione degli stati di coscienza. Iniziò ad accusare questi disturbi quando Anna aveva dovuto assistere suo padre per diversi mesi, prima della sua morte. Sigmund Freud, al contrario del collega Breuer, non fu sorpreso e turbato delle reazioni affettive della paziente e le considerò un importante indicatore delle tendenze che hanno originato la malattia. Anna non era riuscita ad accettare le sue spinte erotiche aggressive, che non riusciva ad integrare con l’immagine che aveva di se. Anna aveva, secondo Freud, rifiutato la propria sessualità, elevando difese contro di essa, tali da convertire l’energia erotica soffocata in manifestazioni di sintomi isterici. Freud elaborò la teoria della rimozione, l’atto che la coscienza compie per allontanare idee indesiderate, perché contrastano con le norme morali e sociali alle quali si è stati avviati attraverso l’educazione. Il proibito diventa la realtà per il soggetto. Gli isterici semplicemente non sanno quello che non vogliono sapere. La domanda è: Dove sono collocate tutte le rappresentazioni rimosse dalla coscienza? Nell’inconscio. Non scompaiono, continuano a vivere travestite e nascostamente sono all’origine dei sintomi. Una rigida educazione impone alla coscienza di non accettare alcune pulsioni naturali perché ritenute inadeguate, sconvenienti. Queste vengono rimosse per ricomparire mascherate, non riconoscibili e l’impressione che il paziente ha del sintomo appare inspiegabile, sconosciuta. Non indipendentemente è controllabile dalla volontà perché il cosciente. sintomo Il si sintomo auto è impone, l’espressione apparentemente incomprensibile di una energia naturale che è stata “bloccata” nella sua libera espressione, perché la coscienza non ha saputo e potuto tollerare. LA PRIMA TOPICA FREUDIANA: CONSCIO, PRE CONSCIO, INCONSCIO Già nelle prime descrizioni relative alla mente Freud usa una metafora: “egli paragona la psiche ad un territorio diviso in regioni, vi sono cioè “parti” della mente che si trovano in relazione tra di loro e sono l’inconscio, il preconscio e il conscio. Più efficace ancora è la metafora dell’iceberg in cui sono anche delineate le relazioni tra queste tre zone, perchè permette di intravedere le relazioni: l’inconscio è paragonabile alla parte subacquea dell’icerberg, sostiene la parte più superficiale (il conscio), ma non è visibile e per questo motivo può provocare gravi incidenti. Quale è la differenza tra: conscio, preconscio ed inconscio? Il conscio è l’Io consapevole, la parte che percepisce la realtà, inventa, crea, agisce, pensa, decide ecc. Il Preconscio è la parte della coscienza che non ricordiamo e che può affiorare alla coscienza solo se stimolata. Un esempio, una persona incontra un amico dopo tanti anni, lo saluta con cordialità ma non ricorda il suo nome. Si sforza, spreme le meningi ma quel nome proprio non viene a galla. Dopo qualche ora, salutato l’amico ed in un altro contesto, il nome riemerge: Giacomo! Certo, Giacomo, perché non mi è venuto in mente prima. Semplicemente perché questo ricordo era collocato nel pre-conscio, per emergere aveva bisogno di essere stimolato, come se un archivista fosse partito alla ricerca di un dato tra tantissimi, ha bisogno di un po’ di tempo per trovarlo. Quando l’elemento, in questo caso il nome, raggiunge la coscienza, a lui si accompagnano una serie di ricordi collegati, la gita scolastica, una partita di calcio, ecc. Non tutti i ricordi possono essere contemporaneamente presenti, perché altrimenti sarebbe impossibile pensare. L’inconscio è la personalità profonda e non manifesta, emerge solo in analisi. Può anche emerge travestita nei sogni o nei lapsus, quando “sfugge” alla coscienza e si struttura nel corso dello sviluppo psicosessuale del bambino nei primi anni di vita. Sigmund Freud probabilmente è conosciuto dai più per la sua seconda topica, ossia il modello mentale che suddivideva la psiche in tre istanze: Es, Io e Super Io. L'Es è la parte più primitiva, quella che contiene le pulsioni da dove provengono i desideri da soddisfare, a prescindere dalle richieste della realtà. Infatti, sottostà al principio di piacere: soddisfare il desiderio, liberarsi delle pulsioni e godere subito, senza compromessi. Il Super Io si forma successivamente e rappresenta l'istanza censoria, la coscienza morale, la sede dei più alti ideali, il suo comando è: devi sottostare a questi ideali! L'Io è il mediatore, l'istanza che continuamente si trova a gestire i poli opposti del Voglio e del Devo, alla continua ricerca di un compromesso che equilibri il sistema mentale. L'Io è governato dal principio di realtà e deve bilanciare i bisogni dell'Es che si scontrano tanto con il Super Io (norme interiorizzate) che con la realtà esterna (norme sociali). Le strutture principali sono 3 (province dell’apparato psichico): A. – Es: (“bambino viziato della personalità”) parte oscura e inaccessibile della personalità, sede dei desideri innati, fonte principale dell’energia psichica. Si traduce in azioni o immagini mentali per il soddisfacimento della pulsione (processo di pensiero primario). Opera per tutta la vita e soprattutto nei sogni, nell’immaginazione e nei comportamenti impulsivi, autocentrati, piacereamore. B. – Io: (“strada maestra della mente verso il mondo reale”) guida il pensiero razionale (pensiero del processo secondario), necessario per la sopravvivenza fisica e psicologica. Coordina le percezioni, il pensiero logico, la soluzione di problemi, memoria… Media le richieste di Es, Superio e il mondo fisico (“tre maestri tirannici”), tra impulsi interni e richieste del mondo esterno. Rapporto Io – Es come quello fra cavaliere e cavallo. Io accompagnato da sentimenti come l’angoscia che avverte pericolo. Se l’angoscia è troppo persistente, entrano in gioco i meccanismi di difesa: processi mentali che scaricano parzialmente l’energia accumulata provocando però distorsioni della realtà: rimozione (negare o dimenticare il pericolo); - formazione reattiva (agire in modo opposto a quanto si prova); - proiezione (attribuire ad altri i propri impulsi inaccettabili); - regressione (ritornare ad una forma più primitiva di comportamento); - fissazione (non progredire psicologicamente). C. – Super Io: si sviluppa per ultimo, composto da due parti coscienza e Io ideale. Coscienza: proibizioni dei genitori che causano sensi di colpa, autopunizioni, vita da camicia di forza con ideali morali idealistici e non realistici. Io ideale: sentimenti di autostima, il “bravo” dei genitori rievocato. Il Superio ricompensa e punisce, mira all’ordine sociale. I primissimi anni di vita sono i più importanti per la formazione della personalità. Lo sviluppo comporta stadi psicosessuali. Il comportamento può essere compreso solo conoscendo la storia precedente della persona. Sia il comportamento normale che quello anormale hanno le loro radici nei primi anni quando viene costruita la struttura di base della personalità. Il bambino è il padre dell’uomo. Interesse di Freud per lo sviluppo cognitivo del bambino per spiegare le cause dei problemi psichici degli adulti. Lo sviluppo del bambino avviene per stadi. I cambiamenti fra stadio e stadio sono qualitativi, ma uno stadio successivo non sostituisce mai completamente quello precedente: ciò consente la regressione. Ogni stadio è collegato ad un organo del corpo sul quale sono centrate le pulsioni. Ogni stadio presenta nuovi bisogni che devono essere manovrati dalle strutture mentali: la soddisfazione o meno di questi bisogni determina la personalità del bambino nei propri confronti e nelle relazioni interpersonali. Conflitti non risolti in ogni stadio possono inseguire la persona lungo tutto il corso della sua vita. Contrariamente a Piaget, il passaggio da stadio a stadio è biologicamente determinato (maturazione fisica) in maniera quindi indipendente dal fatto che lo stadio precedente sia stato completato. Inoltre secondo Freud ogni stadio è caratterizzato da un tratto dominante, ma non forma una totalità strutturata, strettamente intrecciata, come per Piaget. Ogni stadio non viene mai completamente abbandonato. Analogamente a Piaget, esiste uno sviluppo invariante degli stadi. Identificati 4 stadi di sviluppo infantile che implicano cambiamenti qualitativi: 1. Stadio Orale (0-1 anni): è la bocca ad essere la protagonista ed è con questa che il bambino soddisfa i propri bisogni. Se il bisogno non viene soddisfatto, si genera uno stato di frustrazione che può ingenerare angoscia (paura dell’abbandono della madre). Frustrazioni possono insorgere anche quando i genitori impongo lo svezzamento: abbandono del seno materno, divieto di succhiare oggetti sporchi o pericolosi… Deve essere raggiunto un certo equilibrio fra proibizione e concessione in quanto il praticare solo una o l’altra causa o frustrazione o fissazione seguita da eventuale regressione. Sono sempre i genitori che insegnano al bambino come scaricare l’energia delle proprie pulsioni in modo accettabile per la società. In questa fase si crea la personalità evidenziata dal tipo di attività orale-sadica che evidenzia nel bambino una preferenza per 1 – assumere (fame di sapere), 2 – tenere (ostinazione), 3 – morsicare (cinismo, dominazione), 4 – sputare (rifiuto), 5 – chiudere (introversione, negativismo). Si instaura l’attaccamento alla madre (“primo e più forte oggetto d’amore”), fondamentale per tutte le relazioni amorose future in entrambi i sessi. Da questo il bambino acquisisce sicurezza. 2. Stadio Anale (1-3 anni): aggiunta di una nuova serie di bisogni che segnano nuovi conflitti fra il bambino e il mondo. La defecazione produce piacere nel bambino, ma rappresenta un potenziale di frustrazione se il bambino non riesce a tenersi pulito e teme di essere rifiutato dai genitori (società autoritaria). È importante che il bambino non riceva un training di pulizia personale autoritario e rigido. Gratificare il bambino lodandolo nelle sue funzioni organiche significa rafforzare in lui il senso di fiducia, autostima e generosità. Anche la modalità con cui viene espletata la defecazione indica il carattere del bambino. Il carattere anale identifica una persona metodica, pedante, ostinata: tenta invano di rendere ogni cosa ben definita, chiara e non ambigua. 3. Stadio fallico (3-5 anni): è più intenso nei maschi, ma viene vissuto anche dalle bambine a causa della loro invidia del pene. Il bambino quando orienta la sua carica sessuale verso la madre soffre di gelosia nei confronti del padre (complesso di Edipo) al quale tenta quindi di assomigliare (il padre è accettato dalla madre) cercando di sostituirlo (lo interiorizza). Alcontempo teme il padre che pensa lo voglia castrare. Le bambine colpevolizzano la madre per non averle dotate del pene e ciò causa un inferiore livello di catexis e di interiorizzazione. Piuttosto lega più con il padre dal quale non ha ragioni di temere di essere castrata. In ragione del fatto che Freud identifica nelle persone sia componenti maschili sia femminili, il complesso di Edipo riguarda entrambi i sessi e verso entrambi i genitori. È impressionante quanto poco ci si ricordi della prima infanzia a causa della massiva repressione operata dal bambino su questo periodo. 4. Periodo di latenza (5-pubertà): periodo di calma sessuale relativa, vengono migliorate le abilità cognitive, i valori culturali, gli interessi sociali ed i meccanismi di difesa inibenti la sessualità. 5. Stadio genitale (adolescenza): periodo in cui la maturazione fisica produce forti impulsi sessuali che focalizzano l’attenzione verso i coetanei di sesso opposto ai fini procreativi. L’amore diventa maggiormente altruistico. La scelta del partner ovviamente non è casuale ma risente pesantemente delle esperienze maturate durante l’infanzia. L’equilibrio viene raggiunto solitamente con il primo lavoro fisso in cui amore e lavoro si compensano reciprocamente. La psicologia individuale di Adler Adler è il primo geniale eretico della psicoanalisi, è il teorico della psicologia individuale , dove si affrontano gli stessi problemi di Freud con un sistema teorico che offre per essi una soluzione differente: Freud vede la vita dell'uomo in funzione del passato, Adler la legge in funzione del suo avvenire e questo perché l'individuo è guidato dal desiderio di superiorità, dalla ricerca di somiglianza divina, dalla fede nel suo potere psichico. La volontà di potenza, il sentimento sociale e la finzione sono le tappe principali del percorso. Le tappe sono secondarie rispetto alla capacità che egli ebbe di superare le antinomie freudiane spostando la sua attenzione dalle cause alle mete. Sintetizzare l'evoluzione della Psicologia Individuale Comparata è di certo un'operazione riduttiva e non semplice da compiersi. È più utile forse sintetizzare alcuni dei concetti chiave che caratterizzano la dottrina adleriana. Se le azioni sono la guida per capire la personalità, lo stile di vita costituisce la modalità dell'azione. Il termine, coniato da Adler, anche se passato ormai a far parte del linguaggio corrente, definisce la modalità con la quale l'individuo si muove verso la meta servendosi dei mezzi che ritiene di avere a sua disposizione e cioè della percezione soggettiva che ha di Sé. Lo stile di vita si forma nella primissima infanzia, è definito nelle sue linee fondamentali già all'età di cinque anni. È la risposta che l'individuo fornisce per muoversi nel suo contesto ambientale originario che, in genere, è costituito dalla famiglia. Per questo motivo Adler dedicò molta attenzione allo studio della "Costellazione Familiare", cioè della posizione di nascita del bambino rispetto ai fratelli e della relazione e delle caratteristiche degli altri membri della famiglia. Inoltre Adler, con lo studio dei "Primi Ricordi Infantili", per primo mise l'accento sul valore proiettivo dei ricordi che restituiscono l'impronta dell'attuale personalità. I primi ricordi sono l'impronta, non la causa. Né è importante stabilire se sono reali o frutto di elaborazione di fantasia: importa sapere che dalla loro interpretazione si ottengono informazioni essenziali per comprendere lo stile di vita dell'individuo e per riconoscere le sue mete. L'analisi dello stile di vita costituisce il fulcro dell'analisi adleriana. Nell'uomo ci sono due istanze innate esprimibili come: volontà di potenza intesa come bisogno innato di sopravvivere e di affermarsi e come sentimento sociale da intendersi sia come sentimento di cooperare con la comunità, sia di compartecipare emotivamente con gli altri individui.La coesistenza di queste due istanze rappresenta la salute mentale, mentre il loro conflitto porta alla nevrosi . Adler, che era un acuto osservatore e che costruì tutta la sua teoria partendo dall'attenta osservazione, constatò che ogni individuo tende verso l'alto, cioè si muove da una posizione vissuta come inferiore, ad una meta di superiorità. Nasce il termine volontà di potenza , di matrice nietzcheana, che spiega il motivo per cui l'individuo tende a reagire alla propria inferiorità spostandosi verso l'alto, usando gli artifici nevrotici nel suo cammino. Per Adler l'uomo è un essere sociale e la tendenza verso il sociale è innata. Questa concezione spiega perché Adler aggiunse al nome della "Società di Psicologia Individuale" il termine "Comparata". Egli sosteneva che l'uomo non può essere compreso se non viene osservato all'interno del contesto sociale con il quale interagisce. Il sentimento sociale lo avvicina alla dottrina di Erich Fromm per il quale l'uomo diviene sociale per sfuggire alla solitudine. L'innatismo del sentimento sociale è forse l'unico aspetto dogmatico della teoria adleriana ma si deve riconoscere che l'esistenza di un buon rapporto con gli altri, che mantenga inalterata la propria individualità ma che faccia sentire l'individuo partecipe del suo contesto umano, è elemento essenziale di un buon equilibrio psichico. Il sentimento di inferiorità caratterizza il bambino alla sua nascita ed è fisiologico nell'infanzia. Si trasforma in complesso di inferiorità nell'adulto quando vengono a mancare le condizioni educativo-ambientali che consentono al bambino di liberarsene nel corso della crescita. Ad accentuare il complesso di inferiorità possono concorrere quella che Adler chiama inferiorità d'organo , intesa come insufficienza fisica o estetica e la costellazione familiare intesa come rivalità fra i fratelli a cui Adler attribuisce un'importanza maggiore che ai genitori. La compensazione è una delle modalità che la volontà di potenza usa per superare il sentimento di inferiorità. La compensazione non deve essere vista solo come artificio nevrotico ma anche come elemento di superamento dell'inferiorità. Adler distingue tra compensazioni e supercompensazioni e tra compensazioni positive e negative: quelle negative e la supercompensazione interferiscono con il sentimento sociale. La progettazione di piani di vita può comportare una valutazione di sé e del mondo che si distacca dall'oggettività, producendo quelle finzioni che restano nell'ambito della normalità psichica finché non distanziano troppo l'individuo dai suoi simili e non alterano la coerenza del pensiero. La finzione è un'idea che aiuta a trattare la realtà più agilmente. Esasperando il concetto, tutto è finzione, o quanto meno tutto è infarcito di finzioni. La finzione è la sommatoria della costruzione soggettiva, alla quale si sovrappongono i codici ambientali di cui fanno parte la cultura, l'etica, il costume, la religione. Ogni individuo nel suo agire è guidato da una meta e orientato verso la meta. Questo scopo prevalente viene definito fine ultimo e assume carattere fittizio quando è inquinato da elementi patologici ed è compensatorio di complessi. La meta è composta da una parte consapevole e da una parte di cui l'individuo non è consapevole. Scoprire la parte inconsapevole della meta aiuta a capire l'origine e il senso delle nevrosi e spiega fenomeni dei quali i soggetti nevrotici non sanno darsi pace. Il Sé creativo è senza dubbio il concetto più elevato della teoria e costituisce il punto di arrivo del pensiero dello studioso austriaco. Definire il Sé creativo è difficile anche se il concetto è intuibile implicitamente: l'individuo ha in sè una serie di potenzialità creative che sono l'essenza stessa del suo essere. Tali potenzialità esigono che l'individuo trovi la possibilità di esprimerle attraverso l'azione. Ma la capacità di esprimere la creatività personale richiede un adeguato livello di autostima. Se il processo di crescita e di maturazione ha consentito di acquisire sicurezza, l'individuo può esprimere il proprio Sé creativo. Se invece il processo di maturazione è stato incompleto, il complesso d'inferiorità impedisce l'espressione della creatività e l'individuo è costretto ad adottare artifici nevrotici per mantenere il proprio livello di autostima. In questo caso però il Sé creativo non accetta la condizione di compromesso che gli impedisce di esprimersi e genera la spinta verso la ricerca delle vie d'uscita assieme agli artifici nevrotici di compenso a salvaguardia dell'autostima. Un opportuno processo di incoraggiamento fornito in un contesto relazionale adeguato può consentire il superamento del complesso e portare all'espressione della propria potenzialità creativa. L'incoraggiamento diventa lo strumento per il cambiamento. Se all'origine della nevrosi c'è il sentimento di inferiorità, solo mediante un adeguato ed efficace incoraggiamento è possibile ottenere la guarigione. Incoraggiare significa scoprire le potenzialità creative dell'individuo, aiutarlo a vederle e sostenerlo nel mettere in campo tali potenzialità, facendogli capire che dispone degli strumenti per realizzare le sue mete. Si configura quindi un ambiente analitico morbido e non angosciante ove si mira a superare i problemi guardando alle mete e rimuovendo gli ostacoli al cambiamento, invece di entrare nei vissuti angoscianti legati al passato, all'inseguimento di regressioni non sempre liberatorie. Questo non significa che Adler non guardi al passato e non attribuisca importanza alla ricostruzione della storia della vita dell'individuo. A differenza di Freud, per Adler i sogni e le fantasie non sono l'espressione dei desideri repressi ma un messaggio che l'individuo si dà, sperimentandosi con i propri vissuti in una situazione che è fittizia (il sogno stesso) ma che viene vissuta come se fosse reale. L'analista adleriano dedica ampio spazio allo studio e all'interpretazione dei sogni e delle fantasie che sono la porta di accesso ai recessi più profondi della mente e contribuiscono alla comprensione delle distorsioni della percezione del Sé e delle mete inconsce. Adler non condivide l'idea che il mancato appagamento sessuale sia alla base delle nevrosi anche se attribuisce importanza alla vita sessuale. La sessualità è una particolare espressione della vita di relazione e l'individuo si esprime nella propria vita sessuale secondo le linee fondamentali del proprio stile di vita. Abbandonato il determinismo pulsionale della psicoanalisi, Adler è costretto a rivisitare le pulsioni sessuali e aggressive, intendendo le prime come espressioni della compartecipazione emotiva e le seconde come espressioni dell'istinto di sopravvivenza, contro l'ipotesi di Freud che le leggeva come figure della pulsione di morte. Adler propone che il riferimento psicanalitico alla sessualità sia inteso esclusivamente in senso metaforico: quindi l'invidia del pene, attribuita da Freud alle donne come fattore nevrogeno, non sarebbe altro che l'invidia della preminenza maschile nella civiltà occidentale; parimenti, la nevrosi maschile rappresenterebbe una protesta virile , una sovracompensazione nei confronti di un sentimento di inadeguatezza. Gli individui si sentono inadeguati ed imperfetti, e per compensazione si autoingannano creandosi uno stile di vita che costituisce essenzialmente una modalità esistenziale tesa al raggiungimento di una superiorità nei confronti degli altri. Anche la relazione affettiva ha una notevole importanza sullo sviluppo del bambino. Adler pone l'accento sulla correlazione tra l'insorgenza di disturbi nevrotici nell'età adulta e la condizione di bambino viziato o trascurato. Viziare e maltrattare sono le condizioni opposte della distorsione della relazione col bambino e coinvolgono la sfera dell'affettività. In sintesi la psicologia individuale di Adler, diversamente dalla psicanalisi ortodossa di Freud, sottolinea soprattutto l'importanza del fattore sociale nella comparsa della nevrosi. Lo sforzo dell'individuo per emergere, per imporsi, rappresenta il tentativo di superare il complesso di inferiorità che prova, da bambino, nei confronti del mondo degli adulti, inferiorità che può essere acutizzata da fattori economici e organici. Nel tentativo di superare questo senso di inferiorità, il bambino si prefigge obiettivi fittizi che hanno lo scopo di tranquillizzarlo. Nel soggetto normale questa contraddizione fra visione fittizia della vita e realtà viene mediata, consentendogli di stabilire soddisfacenti rapporti sociali. Nel nevrotico questa mediazione fallisce, vanificando la possibilità di una relazione sociale positiva. La terapia mira a determinare come si è formato questo autoinganno, attraverso i ricordi e i sogni, non ricorre alle libere associazioni, considera il transfert come elemento facilitante e presuppone una partecipazione attiva da parte del terapeuta tesa a smascherare i falsi obiettivi a cui il paziente tende e a fornire mete esistenziali più idonee e stimolanti. Di qui l'influenza di Adler sul pensiero pedagogico contemporaneo. La teoria di Melanie Klein Melanie Klein, attraverso il suo lavoro di ricerca, strettamente collegato alla lunga pratica analitica con i bambini, ha dato un grosso contributo alla conoscenza dello sviluppo psicologico dei primissimi tempi di vita del bambino. La sua ricerca ha dato particolarmente rilievo al mondo interno del bambino, agli oggetti interni buoni (le esperienze gratificanti) e cattivi (le esperienze frustranti), alle fantasie inconsce, ai processi di proiezione e alle angosce, alle difese, al tipo di relazione oggettuale cioè al tipo di rapporto del bambino con l'oggetto emotivo che dapprima è costituito dalla madre e poi dalle altre persone. Nello sviluppo del bambino la Klein scopre dei processi obbligati e normali nei quali ritrova rassomiglianze con la schizofrenia, la paranoia, la depressione dell'adulto e non esita a fare propri i termini di tali malattie psichiche degli adulti. Doveva esserci per la Klein una relazione intima tra le reazioni di tipo psicotico e depressivo dello sviluppo normale del bambino e la malattia psichica vera e propria dell'adulto. Infatti, ella afferma l'esistenza di tratti psicotici “fisiologici” nel neonato e ne studia la possibilità di fissazione ed il potenziale evolvere verso una struttura di personalità con caratteri patologici. Nel descrivere lo sviluppo del bambino nel primo anno di vita la Klein distingue la posizione schizoparanoide e la posizione depressiva; non parla di stadi o fasi proprio per indicare il carattere di mobilità e non un semplice stadio di passaggio (l'individuo può oscillare continuamente tra le due posizioni). POSIZIONE SCHIZOPARANOIDE (primi 3-4 mesi di vita) Il bambino vive la madre come “oggetto parziale” cioè quando la madre soddisfa i suoi bisogni primari, quando è presente e lo allatta, ella è sentita come oggetto buono; è invece oggetto cattivo quando è assente e lo frustra nei suoi desideri. In questa fase non ci sono i sensi di colpa per le pulsioni aggressive contro la madre quando lo frustra. Infatti, per il bambino la madre non è ancora riconosciuta come “oggetto totale”, cioè come colei che assomma aspetti frustranti e aspetti gratificanti. Il bambino, fin dall'inizio della vita, è dominato da due istinti: • una pulsione aggressiva, distruttiva (istinto di morte) • una pulsione d'amore o libido. Il bambino proietta questi istinti sulla madre, a seconda se lo gratifica o lo frustra. Così il seno, che è sentito contenere una gran parte dell'istinto di morte del lattante, è sentito come cattivo e minaccioso per l'Io e dà luogo nel bambino ad angosce di tipo persecutorio. POSIZIONE DEPRESSIVA (dai 3-4 ai 6 mesi) Il bambino inizia a percepire la madre come “oggetto totale” che unifica in sé sia aspetti buoni che cattivi. Ora che la madre buona e cattiva non sono più separate, il bambino percepisce i suoi impulsi distruttivi come pericolosi, in quanto danneggiano la madre. Da ciò derivano il senso di colpa e l'angoscia depressiva che si risolvono con la riparazione e la sublimazione dell'aggressività. Nella riparazione l'istinto di vita prevale su quello di morte. La Klein ci insegna che è fondamentale per la “struttura” della personalità il raggiungimento della posizione depressiva che si ha nella misura in cui le pulsioni libidiche e l'amore prevalgono sulle pulsioni distruttive e di annientamento. La strutturazione psicotica avviene secondo la Klein quando il bambino non riesce a passare dalla posizione schizoparanoide alla posizione depressiva. Infatti, la capacità di fronteggiare il senso di colpa è condizionata dalla fase precedente, dal fatto che il bambino sia riuscito a mantenere dentro di sé qualità buone della madre. Se l'ambiente non è stato sufficientemente gratificante, ciò non accade. All'insediamento della madre come oggetto totale nel mondo interno del bambino corrispondono stati di interazione dell'Io e l'inizio di quel processo di separazione-individuazione che porterà il bambino ad una propria autonomia. LA TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE DI ERIKSON Erik Erikson (1902 - 1994), nella sua giovinezza si dedicò allo studio dell’arte, visitò molti paesi, in seguito fu insegnante per famiglie americane residenti a Vienna. Fece ingresso nel circolo freudiano, quasi casualmente, esperienza che consentì l’ammissione all’Istituto Psicoanalitico Viennese. Avviò la sua psicanalisi personale con Anna Freud ed ebbe come insegnante Sigmund Freud. Nel 1933, per allontanarsi dal fascismo si stabilì negli Stati Uniti, diventando il primo psicoanalista infantile di Boston. Successivamente, occuperà posti di rilievo presso famose istituzioni, tra cui la Behavioral Sciences di Palo Alto. Erik Erikson studiò nel corso della seconda guerra mondiale le profonde crisi cui erano affetti i soldati americani; l'educazione dei bambini presso i Sioux e gli Yuok; il gioco dei bambini normali e disturbati; gli adolescenti e le loro crisi di identità; il comportamento sociale in India. Si occupò dei mutamenti sociali che avvenivano negli Stati Uniti e scrisse riguardo molti argomenti, tra cui le questioni razziali, i pericoli della guerra nucleare, la delinquenza giovanile. Gli stadi dello sviluppo psicosessuale di Sigmund Freud sono rielaborati e definiti stadi dello sviluppo psico-sociale, arricchiti delle variabili socioculturali. Secondo Erik Erikson la cultura e la società penetrano nel processo di sviluppo della personalità. Considera lo sviluppo dal ventre materno alle viscere della terra (dalla nascita alla morte di un individuo), considerando 8 stadi di sviluppo. Lo sviluppo trova la sua conclusione con il termine della vita, mentre per Freud lo sviluppo della personalità si conclude con l'adolescenza. Erikson estende lo studio includendo anche l'età giovanile, la maturità e la terza età. Il compito più importante di ogni individuo nel suo percorso di vita è rappresentato dalla ricerca della propria identità personale. Occorre comprendere chi siamo, che cosa vogliamo, quali sono i nostri valori, le nostre credenze ed i nostri veri propositi nelle scelte di vita. L'identità è assunta dall'individuo superando i molteplici problemi dell'esistenza, definiti: CRISI EVOLUTIVE. Le crisi evolutive sono il risultato di una maturazione, in armonia con l'insieme delle attese che la società ha nei confronti dell'individuo; momento per momento, stadio dopo stadio. Ogni superamento consente il passaggio allo stadio successivo. I problemi che la persona incontra e che non riesce a risolvere nel corso dello sviluppo si cumulano e si ripresentano nello stadio di sviluppo successivo. Il superamento più o meno completo delle varie fasi di sviluppo, la soluzione o non soluzione completa delle numerose crisi e dei problemi di identità, caratterizzano l'individuo nella sua interezza. Per ogni crisi evolutiva Erikson indica una felice riuscita e, in contrapposizione, prevede un possibile fallimento, con le sue conseguenze. La psicologia clinica La psicologia clinica è una delle principali branche teorico-applicative della psicologia. Comprende lo studio scientifico e le applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, prevenzione ed intervento nelle problematiche psicologiche e relazionali, a livello individuale, famigliare e gruppale, compresa anche la promozione del benessere psicosociale e la gestione (valutativa e di sostegno) di molte forme di psicopatologia. Assetti centrali della sua pratica sono le applicazioni cliniche delle attività di prevenzione, valutazione, abilitazione-riabilitazione e sostegno psicologico, con particolare (ma non esclusivo) riferimento alla psicodiagnostica ed all'intervento psicoterapeutico, che ne rappresenta un ulteriore sviluppo specialistico rivolto soprattutto alla presa in carico delle situazioni ove è presente una psicopatologia strutturata. In un senso più ampio, l'operato dello psicologo clinico si rivolge alla prevenzione primaria delle condizioni di disagio personale e relazionale; alla promozione del benessere psicologico e psicosociale; all'identificazione precoce delle problematiche o patologie; al corretto inquadramento dei fattori psicologici, personologici, famigliari, relazionali, ambientali e contestuali che generano e mantengono il disturbo o la difficoltà psicologica; alla gestione clinica, tramite consulenze, colloqui e diverse tecniche di sostegno psicologico, delle principali comunitarie; tipologie di difficoltà all'abilitazione/riabilitazione personali, famigliari, nelle problematiche gruppali e emotive, relazionali, comportamentali o cognitive che fossero non integralmente risolvibili; al sostegno in situazioni di crisi emotiva, relazionale o decisionale del cliente.. Il termine "clinico" non si esaurisce appunto, come erroneamente a volte si ritiene, nella pratica psicoterapeutica. Esso deriva dal greco clinè (letto), e nella prospettiva medica stava ad indicare la cura fornita al capezzale del malato. L'erronea equivalenza "psicologia clinica = psicoterapia" è probabilmente individuabile nel significato etimologico del termine, associato ad una prospettiva di intervento medico piuttosto che psicologico. Di qui anche l'identificazione di questa disciplina come "psicologia medica", dizione in realtà impropria. Il termine "clinico" in medicina è diventato sinonimo di intervento terapeutico, e quindi viene riferito alla "patologia": in psicologia il termine conserva però anche l'originario significato di cura, e viene quindi applicato indipendentemente da un'eventuale patologia del soggetto (ad es., viene applicato anche ad interventi su forme di disagio emotivo-relazionale, anche se tale disagio non si è necessariamente strutturato sotto forma di disturbi psicopatologici nosograficamente specificati). Esso corrisponde al "prendersi cura di" (to care) piuttosto che al "guarire" (to heal), e quindi è applicato anche nelle situazioni di "normalità", per facilitare e sostenere il benessere e lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale del soggetto. Il doppio significato del termine, nella medicina rispetto alla psicologia, ha dato origine a non pochi equivoci sul ruolo della Psicologia Clinica stessa nelle sue applicazioni. Nelle declaratorie ufficiali italiane delle discipline universitarie, la psicologia clinica è rubricata nel Settore Scientifico Disciplinare (SSD) "M-PSI/08", stabilito dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. In effetti la storia della psicologia clinica è stata segnata dalla diatriba concernente il passaggio dal modello medico al modello psicologico (detto anche a volte "modello biopsicosociale") di intervento, dato che il primo si era mostrato insufficiente e spesso inappropriato per rispondere a tutte le esigenze di chi richiede una consulenza psicologica. La psicologia clinica è caratterizzata, altresì, non solo dai suoi possibili ambiti di applicazione, ma anche dall'assunzione di un particolare vertice osservativo, e di una specifica metodologia conoscitiva e d'intervento. In particolare, oltre all'attenzione al dato nomotetico, essa può essere connotata come scienza idiografica, quindi volta anche allo studio di ogni singolo caso nella sua specificità. La cornice epistemologica psicologico-clinica sottolinea: • La stretta interrelazione individuo-contesto, che rende importante considerare anche la rete relazionale ed ambientale nel quale è inserito il soggetto; • La centralità della relazione tra clinico e consultante; • L'importanza di un setting adeguato, co-costruito, che dia la possibilità di attribuire un senso alla relazione; • Il cambiamento, non più visto esclusivamente come "terapia di una patologia", ma anche come sviluppo dell'individuo verso modalità simbolicorappresentazionali, e quindi comportamentali-relazionali, essere più funzionali al suo contesto di vita. che possano Cenni di psicopatologia La psicopatologia è una disciplina indipendente ma strettamente collegata alla psicologia. L’oggetto di tale disciplina è il funzionamento anormale dell’attività psichica, lo scopo è individuare le cause specifiche delle diverse malattie mentali e dei diversi disturbi comportamentali. La psicopatologia dà la priorità al mondo interno, alle esperienze vissute dai pazienti; non solo, quindi, ai loro comportamenti o ai correlati biologici dei sintomi. Uno studio psicopatologico è la premessa indispensabile per un eventuale psicoterapia. La psicoanalisi costituisce il più importante orientamento psicopatologico contemporaneo nonché la vera matrice storica della psicopatologia quale disciplina indipendente. Considerando la psicopatologia, occorre, comunque, riconoscere anche l’influenza di almeno altre due importanti correnti di pensiero: 1) l’orientamento fenomenologico (analisi esistenziale) con K. Jaspers, E. Minkowski, L. Binswanger; 2) l’evoluzionismo darwiniano, compendiato in campo psicopatologico da J. H. Jackson. Patologia e normalità: il criterio utilizzato per differenziare un comportamento patologico da uno normale si rifà all’ipotesi del “continuum” secondo cui il primo va interpretato come deformazione o esasperazione del secondo. In ciò la psicopatologia moderna, tesaurizzando la lezione della psicoanalisi, si differenzia dalla psichiatria (da cui, comunque, è originata), che tende a determinare differenze qualitative tra normalità e patologia ed a classificare le malattie mentali in categorie e sottocategorie di sintomi reciprocamente indipendenti. Infatti, la psicopatologia (moderna ed autonoma) guarda al sintomo come ad un segno che indica un differente modo di elaborare le esperienze. Normalità e patologia non rappresentano più, in tale contesto, norma e devianza ma esprimono due diversi modi di fare esperienza i quali forniscono risposte diverse pur obbedendo alle medesime leggi che governano la vita psichica. Altri contributi della psicoanalisi sono: il criterio della causalità genetica (cioè la spiegazione del comportamento patologico adulto in base alle esperienze maturate nell’infanzia) ed i concetti di conflitto psichico, meccanismo di difesa, angoscia, ansia. La psicopatologia, quindi, indaga il funzionamento dell'attività psichica, mirando ad individuarne le cause specifiche, in una prospettiva dello sviluppo psichico e non (solo) delle cause organiche. I disturbi psicopatologici possono essere suddivisi in due principali categorie: 1. disturbi da cause organiche: in questa tipologia di disturbi è riconoscibile un’alterazione anatomica quale esito di cerebropatia, trauma, problematiche vascolari (aterosclerosi cerebrale), tossiche (etilismo cronico), infettive (encefaliti e loro postumi). Queste alterazioni organiche determinano disabilità differenti secondo la causa, la zona colpita e la gravità dell’evento; sono in genere associate a disturbi della percezione, del pensiero, dell’area affettivo-emozionale e del comportamento; 2. disturbi da cause non organiche: sono affezioni in cui non viene identificata una causa riferibile ad alterazioni fisioanatomiche".