FO2385, Prof. Auletta. Intervento del Prof. F. Guerra.

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FO2385, Prof. Auletta.
Intervento del Prof. F. Guerra.
La peculiarità della meccanica quantistica, non consiste negli aspetti tecnici;
una volta che si è capito il formalismo è possibile risolvere anche i problemi
tecnici (complessi). Però alla base ci sono dei problemi concettuali che
riguardano sostanzialmente le strutture di ciò che deve essere considerato lo
stato del sistema fisico e di quelle che devono essere considerate le
osservabili del sistema fisico.
Quindi la mia tesi sarà la seguente: farò il caso più semplice di un
sistema classico per vedere quali siano il concetto di stato e il concetto di
osservabile. Poi considererò il sistema quantistico più semplice e farò vedere
qual è il concetto di stato e di osservabile; così vedremo la differenza
enorme che esiste fra i due sistemi.
Dico subito che non svilupperò un approccio di tipo storico; questo è
interessantissimo, anche dal punto di vista concettuale. Però il dato
importante è che, alla fine, la meccanica, quantistica, dopo questo percorso
faticoso, si è affermata come una teoria a sé stante, col suo formalismo, la
sua caratterizzazione e il suo codice di interpretazione. Essa può essere
studiata, possono essere viste delle applicazioni, (ma l’applicabilità della
meccanica quantistica ha anche dei limiti). Dunque la transizione è
importante, però si riferisce, dal punto di vista concettuale, a una transizione
complessa, durata decenni, dalla visione della meccanica classica – che è più
o meno equivalente a ciò che accade nella nostra esperienza quotidiana –
verso la meccanica quantistica. Quindi è una sorta di gigantesco guado, di
transito, tra due modi di vedere molto diversi la realtà fisica, e che ha
prodotto, dal punto di vista storico, tutta una serie di modifiche graduali del
concetto di stato e di osservabile di un sistema classico. Questo percorso è
stato fatto a gradi, a singoli pezzi, ed è difficile ricostruirlo punto per punto;
mentre è facile prendere il sistema di meccanica quantistica così come si è
formato dopo il guado, rifletterci sopra, e vedere come differisca dalla
meccanica classica. Quindi il mio obiettivo preciso sarà questo: prendere il
sistema più semplice di meccanica classica, evitando formalismi complicati,
ed analizzarne la struttura dello spazio degli stati e la struttura delle
osservabili. Poi prenderò il sistema quantistico più semplice, al di fuori da
ogni formalismo, e vi spiegherò il concetto completamente differente dello
spazio degli stati e delle osservabili della meccanica quantistica.
Prima di fare questo devo premettere in una maniera che sarà
necessariamente concisa – e sarò costretto a scrivere qualche formula alla
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lavagna – qualche cosa relativa a quella che è la “conoscenza fisica”: cioè
che cosa si intende, nell’ambito della fisica, per conoscenza. Quindi
affronteremo il discorso di “modellizzazione”. – Dico subito che sarò molto
schematico, e, per deformazione professionale, prediligerò, perché sono un
fisico teorico, gli aspetti di tipo modellistico. I fisici sperimentali sono
propensi a pensare che tutta la fisica si riduca all’osservazione: ma si può
stare ad osservare per seimila anni la luna, ma vi non si trovano le leggi di
Newton, per esempio. – Dunque si parla di metodo “matematicosperimentale”, secondo la denominazione di Galilei, e si va a vedere questa
struttura peculiare della fisica, che io adesso descriverò in maniera rozza e
semplicistica, e che mi servirà come introduzione alla struttura del modello.
Bisogna separare due ambiti completamente diversi: metterò qui a
destra la parte di tipo fenomenologico. Una delle caratteristiche più
importanti della fisica, è che in tutte le situazioni in natura le affermazioni di
tipo empirico, fenomenologico, sperimentale si presentano così: innanzi
tutto è isolato un certo complesso di fenomeni naturali, ad esempio si guarda
il modo dei pianeti. Comunque la cosa fondamentale è questa: che, una volta
isolato un complesso di fenomeni si devono individuare alcune grandezze
che si ritiene siano rilevanti per il fenomeno. Queste grandezze vengono
definite in termini operativi; ossia c’è una specie di manualetto, di
prescrizione, in cui il fisico sperimentale dice come ha misurato la
grandezza. Per esempio, ha senso per la fisica parlare della lunghezza di
questo tavolo ed esistono strumenti adeguati. Dal punto di vista della misura
posso usare anche i palmi, e dire che questo tavolo misura tre palmi e una
certa frazione. Quindi questa grandezza viene definita in termini operativi;
tipicamente, nella definizione di grandezze, si considera un certo errore di
misura. L’errore in fisica non ha una valutazione di tipo negativo; ogni tipo
di misura ha un errore. Se misuro con i palmi l’errore sarà, per esempio, di
mezzo palmo; se misuro con il metro della sarta l’errore sarà dell’ordine di
mezzo centimetro, e così via. Quindi definizione operativa: ci deve essere la
descrizione della procedura che ho effettivamente usato. Dunque si arriva a
definire, da un punto di vista sperimentale, delle relazioni tra queste
grandezze e come sono state misurate. Gli esempi tipici in fisica sono
sempre circa i moti dei pianeti. Quindi l’unica cosa di cui avete bisogno è di
dire in quale punto dell’ellittica il pianeta si trova. Quindi serve il quadrante
delle osservazioni, che sono degli effetti che si vedono, che possono essere
delle costellazioni, etc.
Quindi dare la posizione di un pianeta, significa dirne la posizione
istante per istante. La posizione è misurata come ho detto; vengono misurati
i tempi .e quindi si fanno delle misure delle posizioni in certi istanti. Dunque
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la cosa importante è che: isolato un complesso di fenomeni, si individuano
alcune grandezze che si ritiene siano rilevanti, sulla base dell’esperienza, etc.
Queste grandezze vengono definite in termini operativi, e si stabiliscono
delle relazioni tra grandezze. Le relazioni si riferiscono sempre a errori dati
relativi agli strumenti usati. Per esempio un carrellino su un piano inclinato
con un asta graduata, si fa partire il carrellino e si misura, in certi istanti
dove si trova il carrellino.
Ci sono le grandezze e le relazioni tra grandezze. Il modo più
semplice di esprimere queste relazioni è tramite una tabella. Le tabelle
possono avere più entrate, cioè considerare più grandezze. Naturalmente le
osservazioni sono sempre in numero limitato; e una volta che è stato
precisato l’errore della misura, i fisici tengono tantissimo alla validità di
queste tabelle. – Nella storia vi sono casi di fisici disonesti che hanno
manomesso i valori di una tabella –. Da un punto di vista filosofico è chiaro
che i fisici hanno l’idea che esiste un mondo su cui fanno delle misure.
Questo è dunque l’ambito fenomenologico.
Andiamo ora a vedere l’ambito (matematico) della modellizzazione.
A livello modellistico noi abbiamo una situazione che è completamente
diversa. – Adesso schematizzo all’estremo – Gli oggetti che compaiono qui
sono degli oggetti di tipo matematico, quindi numeri. E le relazioni che
vengono postulate tra gli oggetti, di tipo matematico. Il modello è costruito
in questa maniera. Si dice quali sono le osservabili, le grandezze
fondamentali che intervengono e quali sono le relazioni – si possono trovare
tante relazioni. Il modello ci permette di dare delle risposte sia se facciamo
dei lavori analitici sia se facciamo delle simulazioni. E’ un mondo, diciamo,
a se stante; e, sulla base dell’individuazione di alcune grandezze e delle
relazioni tra loro, il modello permette di trovare altre relazioni e altre
grandezze. Quindi i matematici capiscono queste strutture. Ma una
componente essenziale di un modello è una componente che il matematico
non capirà mai. Nel modello ci sono relazioni matematiche e ha senso
parlare di relazioni tra grandezze. Ora, il fisico sperimentale, è stato preciso,
ha fatto la misura e ha individuato la relazione. All’interno del modello,
quindi non all’interno della struttura fenomenologica esiste la cosiddetta
“interpretazione fisica”, per cui c’è un collegamento tra le grandezze
empiriche,
fenomenologiche,
che
sono
grandezze
misurate
sperimentalmente, e i numeri che compaiono nel modello. Quindi c’è questo
“codice di corrispondenza”; e la cosa interessante è che c’è corrispondenza
anche tra le relazioni. Il modello in sé e per sé ha un criterio interno di
validità, una coerenza formale. Adesso, accade che, per alcuni complessi di
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fenomeni, è possibile costruire dei modelli – cioè inventarsi delle variabili,
delle relazioni e dei complementi – in maniera tale che, con un certo codice
interpretativo, che coinvolge le osservabili e le relazioni, sia possibile fare la
seguente operazione. Innanzi tutto verificare che le relazioni che sono vere
all’interno del modello continuano ad essere vere nell’ambito
fenomenologioco. Ma permette di fare qualcosa di più potente. Poiché il
modello ha una natura puramente matematica permette di rispondere a tutte
le domande. Per cui questo modello crea una miriade di relazioni, e, tramite
il codice di corrispondenza, possiamo tradurle in relazioni empiriche ancor
prima che si siano verificate. E quindi il modello ha qui un valore predittivo.
Naturalmente ci sono modelli più o meno buoni; esistono modelli che vanno
bene per certe epoche e poi vanno in crisi, e così via. – Comunque deve
essere sempre chiaro, quando vengono fatte delle affermazioni, se sono
affermazioni di natura empirica oppure modellistica. Esiste, quindi, questa
cosa stranissima, tipica della fisica, che si hanno relazioni modellistiche
vere; che poi tramite ipotesi si sottopongono a verifica. Il modello ha una
coerenza interna che è diversa da quella del puro empirismo, della pura
osservazione. Si capisce quindi come mai, di fatto, l’uomo è capace di
un’operazione simile: cioè farsi un’immagine dei fatti di tipo matematico
che permette addirittura di fare delle previsioni. Certamente la fisica diventa
una scienza molto seria e molto forte nel momento in cui rispetta i suoi
limiti; essa non deve sconfinare rispetto a quelli che sono i suoi ambiti di
funzionamento. Quindi abbiamo l’osservazione sperimentale e la capacità
dei modelli di fare previsioni.
Per esempio il complesso di fenomeni del moto dei pianeti riceve
un’interpretazione: esistono delle equazioni differenziali in cui intervengono
le posizioni dei pianeti – si mette il Sole al centro, perché più semplice dal
punto di vista cinematico – esiste la possibilità di risolverle, e alla fine c’è
un’interpretazione del sistema solare che permette di avere un ottimo
accordo con l’esperienza.
Per chiarire il rapporto modello-osservazione, faccio un esempio. Si
noti che le equazioni di Newton avevano delle piccole discrepanze con
l’osservazione. O si può dire, le equazioni di Newton non sono
perfettamente vere; e quindi per adeguarle alla realtà osservata, bisogna
correggerle. Ma le equazioni di Newton avevano una tale autorità che gli
astronomi dissero: le equazioni di Newton sono vere; c’è un pianeta
aggiuntivo, il quale, con le sue interazioni provoca queste discrepanze.
Quindi il modello fa sì che, di fronte all’osservazione che devia dal modello,
si dice che c’è qualcosa di reale che non vediamo. Per cui i meccanici celesti
si mettono a lavoro e dicono: per spiegare queste discrepanze basterebbe
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mettere un pianeta in una determinata posizione. Allora nel momento in cui
mi si da la presunta posizione del pianeta, cercando il pianeta in quel punto,
gli astronomi sperimentali trovarono Nettuno.
Esiste poi un miglioramento della meccanica newtoniana – quello che si
ritiene sia un miglioramento- cioè la teoria einstaniana: e uno dei successi
della teoria relativistica fu quello di prevedere lo spostamento del periodo di
Mercurio, non spiegato dalla meccanica newtoniana. Quindi una teoria si
evolve e diviene un teoria più complessa. La meccanica classica nel suo
ambito continua ad essere valida, poi, alla frontiera non è più valida, e deve
essere superata. La meccanica classica mantiene la sua validità, poi nella
zona relativistica e nella zona quantistica non funziona più. Facciamo un
esempio: il problema della rotondità della Terra, cioè se la Terra è piatta o
no. Dal punto di vista del giardiniere, se considera la Terra piatta fa una cosa
saggia, perché la dimensione del giardino è piccola rispetto al raggio
terrestre, e la curvatura diventa trascurabile. Mentre il pilota di un
transatlantico deve sapere che la Terra è tonda. Quindi ci sono dei parametri
rispetto al limite di validità del modello:
ƒ Separazione dell’aspetto empirico da quello modellistico;
ƒ Rilevanza del codice interpretativo.
Adesso vorrei fare un accenno alla probabilità. Prendiamo il gioco dei dati.
Siamo in presenza di una comunità di professionisti del gioco dei dadi. Non
centra la fortuna, né l’abilità nel lanciare i dadi. Il giocatore professionista
deve fare due cose:
• Nel momento in cui gli si fa una proposta di partita, deve poter
calcolare e decidere; per esempio: con 3 dadi: 12 vince, 13 perde,
altrimenti indifferente. Si deve
calcolare la probabilità che esca
12 o 13.
• Deve poter esaminare i dadi e vedere se essi siano truccati o meno.
Infatti se si appesantisce la faccia opposta al 6, può darsi pure che il 6
esca sempre.
Questi problemi trovano una modellizzazione nell’ambito della teoria
frequenziale della probabilità. La teoria frequenziale della probabilità
costruisce uno schema teorico che sostanzialmente è fatto da numeri
associati alla faccia del dado. Per esempio la probabilità che esca ogni
faccia del dado reale 1/6, 1/6, 1/6, etc. Nel dado truccato si determinano – e
questo è importante – tramite delle misure sperimentali. Cioè si lancia il
dado un numero molto grande di volte, e si vede quante volte esce ogni
faccia e si fa il rapporto tra il numero di volte che esce ogni faccia, con il
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numero totale di lanci effettuati. Questa è la “frequenza empirica”. Se il
numero di lanci è molto alto, i rapporti calcolati nell’ambito modellistico,
diverranno le probabilità d’uscita della facce.
Possiamo intendere la teoria elementare della probabilità, come il
modello teorico che guida, in maniera più o meno inconscia, il giocatore
professionista di dadi nell’accettare o meno una partita, fatta con dadi anche
truccati – purché abbia la possibilità di esaminarli.
A questo punto voglio premettere chiaramente una cosa, che stiamo
parlando di un fenomeno meccanico classico; quindi introdurremo
considerazioni probabilistiche in meccanica classica che invece sembra
deterministica. Il problema è che l’assoluto detterminismo della meccanica
classica è una concezione di tipo filosofico, e non strettamente scientifica, è
un’estrapolazione.
Esempio. Consideriamo un flipper. Ora ci sono anche flipper
elettronici ma noi ci soffermeremo su flipper puramente meccanici. Quindi
c’è una tavola inclinata, una canaletto, una molla, un pomello e una porta.
Sulla tavola ci sono dei chiodini; in fondo ci sono delle caselle; a seconda
della casella dove arriva la pallina, si vince un certo punteggio. Questa è una
struttura meccanica, tirando il pomello, parte la pallina che rimbalza sui
chiodini e poi arriva alle caselle. Si vede subito che questo non è affatto
deterministico. Cioè, non c’è qualche possibilità di controllo di dove la
pallina vada, in relazione a come io tiri il pomello. Se volete giocare con
profitto a questo gioco non c’è una maniera deterministica per sapere se la
pallina andrà nelle caselle più convenienti o in quelle meno convenienti. La
probabilità è strettamente connessa anche con una struttura apparentemente
deterministica. Ora, quando in un contesto meccanico appaiono fenomeni di
tipo probabilistico? Quando le traiettorie, nel nostro esempio, sono molto
sensibili alle condizioni iniziali. Le piccole variazioni delle condizioni con
cui la pallina esce dal canaletto, unitamente a tutti i rimbalzi che fa, rendono
impossibile controllare la casella dove andrà a finire. Pur essendo il contesto
di natura meccanica e deterministica non c’è nessun meccanico tradizionale
che, andando a misurare le condizioni iniziali, riesca a dire: la pallina finirà
in questa determinata casella. Quindi, in questi casi, il problema è di natura
probabilistica. Ci sono delle situazioni in cui la preparazione dello stato del
sistema – l’equivalente di tirare il pomello – dà luogo a una progressione di
fenomeni largamente prevedibili, entro certi limiti; mentre ci sono situazioni
in cui questo non accade. Il caso tipico – rimanendo, diciamo così, in un
contesto di borgata – è il gioco del biliardo. Nel biliardo il giocatore, dando
la steccata, prepara lo stato di moto della biglia su cui agisce, in un
determinato modo. Anche qui c’è un alto grado di sensibilità alle condizioni
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iniziali, ma c’è anche una certa controllabilità del sistema. La biglia colpisce
l’altra biglia e così via. Anche qui, le traiettorie sono molto instabili:
facendo un tiro a dieci sponde, la traiettoria è enormemente sensibile
all’interazione gravitazionale dei corpi delle persone che stanno vicino al
biliardo. Ciò non accade in un tiro a due o tre sponde. Il biliardo, dunque, ha
una certa controllabilità, per cui esistono giocatori più bravi di altri. Nel
flipper invece non esistono giocatori più o meno bravi, perché non è
controllabile. Chi conosce la teoria della probabilità diventa più o meno
bravo nel flipper in relazione all’accettare o meno la scommessa.
Quindi anche in un ambito strettamente scientifico si fanno
ragionamenti di tipo probabilistico. Anche la meccanica classica ha
situazioni deterministiche – per esempio il moto dei pianeti – e situazioni
probabilistiche – per esempio dadi e flipper. Quindi in fenomeni
probabilistici il singolo risultato non può essere studiato, ma il
comportamento statistico può essere investigato. Questi fenomeni giocano
un grande ruolo nella meccanica classica.
Passerò ora ad un ambito un pò più complicato e complesso.
Supponiamo di prendere i brani di Bach. Nel coro ci sono quattro voci: il
soprano, con un tono molto alto, che canta una melodia – di solito una delle
immortali melodie del canto gregoriano – poi ci sono due voci intermedie e
una più bassa che accompagnano armonicamente la melodia del soprano.
Voi siete abituati alla notazione musicale con le palline, che è utilissima per
dire al musicista cosa deve fare. Facciamo però il caso di una notazione,
diciamo, di tipo scientifico. Indico per esempio il logaritmo della frequenza
della nota; poi metto il tempo – tipicamente le note durano un certo
intervallo di tempo. Allora se rappresento la voce del soprano, per esempio,
in questa notazione, avrò dei trattini. Ogni trattino mi dice che il soprano
canta questa nota – indicata dal logaritmo – per un certo tempo – la
lunghezza del trattino. Analogamente per le altre voci. Quindi rappresento il
brano tramite un grafico di simili trattini. Vi ho detto prima che il moto del
pianeta è tempi e posizioni. Ora faccio una cosa cattivissima: non dico al
fisico teorico che questi grafici rappresentano i brani di Bach; gli dico
semplicemente che ho fatto le misure di quattro pianeti. Quindi ho un
segnale a quattro tracce. Ora, il sogno della fisica teorica, sarebbe di
costruire un modello tale da essere in grado di catturare le strutture
organizzative utilizzate da Bach per il brano, e, per via puramente
matematica, produrre altri campioni che messi in questa notazione, senza
dire niente al fisico teorico, trasformati in una notazione coi pallini e dati
alle quattro voci, ne derivi qualcosa di musicalmente accettabile. Quindi: è
possibile costruire un modello matematico realistico per il corpo dei brani di
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Bach, tale da produrre altre proposte accettabili? Questo è un problema che,
in parte, trova alcune soluzioni. Un problema di questo genere è legittimo.
Facciamo un altro esempio. Supponiamo di prendere il testo di una
novella italiana. Si dichiara che gli elementi utilizzati saranno le lettere
(a,b,c,...) e ‘spazio’. Supponiamo di chiedere a cento studenti di indovinare
la prima lettera. Alcuni tenteranno una ‘i’. alcuni una ‘l’, etc. Quindi
notiamo una certa dispersione nelle risposte, che viene registrata. C‘è, cioè,
una certa distribuzione delle risposte. Poi, a ciascuno separatamente, viene
data la risposta esatta (p.es.:“l”); e gli si chiede di indovinare la successiva.
Anche quì c’è una certa dispersione. Però è una dispersione diversa perché
la conoscenza della prima lettera ci dà delle indicazioni, producendo una
riduzione della dispersione; anche questa viene registrata. Quindi, ci sono
una serie di simboli noti, e si chiede di individuare il simbolo successivo; in
corrispondenza dei tentativi fatti, si analizza la dispersione. Il concetto di
dispersione si riconduce all’entropia; cioè può essere definito precisamente
in maniera numerica. Ovviamente, nel caso in cui una novella russa viene
proposta a un italiano e a un russo, i valori di entropia sarebbero molto
diversi. Però se io tentassi di indovinare le lettere di un intera novella scritta
in svedese, ed ad ogni tentativo mi venisse data la risposta giusta,
lentamente – probabilmente ci vorrebbero molte novelle – imparerei il
modello dello svedese; ma non i significati delle parole. Cioè qui
considerazioni di tipo semantico non possono essere fatte. A questo punto si
fa un grafico della dispersione in funzione del posto della lettera. Otteniamo
così una struttura gerarchica, che ha una sorta di respiro. Si comincia con
una dispersione grande (che coincide con l’inizio delle parole), e si va verso
dispersioni minori (man mano che si conoscono più lettere della parola).
Con l’inizio della parola successiva la dispersione tornerà massima, e così
via. Questi picchi nella dispersione sono organizzati gerarchicamente. Ora,
si può vedere che esistono delle strutture teoriche, di processi stocastici
complessi, che mostrano andamenti del tipo del grafico; indipendentemente
da ogni considerazione di tipo semantico.
Io presento la meccanica classica così com’è, e, da un punto di vista
espositivo, considererò il sistema più semplice di meccanica classica. Se
vogliamo fare uno studio di meccanica classica dobbiamo innanzitutto
precisare il sistema. Se uno parla di meccanicismo tenta di costruire una
posizione filosofica in cui estrapolando i concetti della meccanica relativi a
determinati sistemi, poi li fa debordare al di fuori del proprio ambito, che è
quello fisico, naturalmente.. Quindi non è che esiste una posizione filosofica:
il meccanicismo; esistono dei sistemi meccanici con il loro comportamento e
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con le loro leggi di comportamento che possiamo investigare e pervenire a
questa comprensione. Innanzitutto si precisa un concetto di sistema
meccanico; poi, l’altro concetto fondamentale è quello di stato del sistema.
Stato è interpretato in senso tecnico, in senso fisico. Poi ci sono altri
concetti: l’evoluzione nel tempo; le osservabili. Ora, nell’ambito di qualsiasi
sistema meccanico, agli effetti dell’interpretazione, quindi poi agli effetti
della costruzione del codice del modello, il rapporto tra stato e osservabile è
determinato. Questo rapporto avrà una struttura di tipo modellistico, quindi
espressa in termini matematici, e naturalmente una struttura fenomenologica,
di tipo operativo. Non è qualcosa di totalmente scontato, nel senso che deve
essere oggetto di osservazioni. Un altro argomento sono gli ostacoli alla
comprensione dello schema. Prenderò un sistema molto semplice, che però
contiene tutti gli elementi essenziali: un oscillatore armonico. Oscillatore
armonica è un concetto generale, esistono moltissimi sistemi meccanici che
sono assimilabili ad un oscillatore armonico. Un esempio tipico sono le
piccole oscillazioni del pendolo, che però è complicato perché le oscillazioni
possono avvenire su piani diversi. Prenderò un esempio più schematico.
Premetto che il mio intento è quello di evidenziare gli elementi caratteristici
di un sistema meccanico, non di fare un corso di fisica. Prendiamo un
binario orizzontale con un carrellino, costruito in maniera tale da trascurare
gli attriti. La presenza inevitabile dell’attrito è stato un ostacolo alla
comprensione della struttura della meccanica classica. La nostra concezione
della componente meccanica del mondo è dominata dalla presenza
dell’attrito. Noi, però, seguendo l’intuizione galileiana, supponiamo di poter
eliminare gli attriti. Quindi il carrellino si muove sul binario in assenza di
attrito; poi ci sarà un indicatore di posizione – un barretta con i centimetri –
in maniera tale che sorge questa idea: che il carrellino, istante per istante, ha
una posizione. Relativamente al tempo: la fisica non spiega che cosa è il
tempo – lo spiega S. Agostino – però si preoccupa di dire come, ad un certo
livello di approssimazione, si misurano intervalli di tempo. Si usano gli
orologi che sono degli strumenti periodici. L’orologio deve essere sempre
inteso come appartenente ad una comunità di orologi che si controllano a
vicenda. Questo per evitare che ci sia un orologio inesatto. A questo livello
di considerazione un qualsiasi cronometro va bene. Quindi riteniamo che
abbia senso dire che, in un certo istante, il carrellino si trovi in una certa
posizone. E’ un concetto di natura intuitiva ma anche definito
operativamente. In un certo istante viene sparato un flash, si fa una
fotografia della posizione del carrellino in quell’istante. Si misura la
posizione del carrellino in istante diversi e si avrà la registrazione della
posizione del carrellino istante per istante. Questo non è ancora lo stato: lo
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stato del carrellino non è solo la posizione in un istante. Dunque, poiché
stiamo parlando del moto, diciamo che lo stato del carrellino e la posizione
istante per istante e la velocità istante per istante. Determineremo la
posizione, e poi misureremo la velocità. Da un punto di vista operativo la
velocità si misura misurando la posizione in due istanti leggermente diversi,
poi si vede quale è la distanza percorsa nel piccolo intervallo e si divide per
∆t; quindi v= q/∆t. Dobbiamo distinguere l’aspetto operativo da quello
modellistico. L’affermazione che la velocità è la derivata della posizione è
una affermazione di tipo modellistico, non operativo, perché c’è un limite,
che è un concetto astratto. Da un punto di vista fisico ci dobbiamo
contentare di prendere un intervallino abbastanza piccolo. Se prendiamo un
∆t grande, stiamo parlando di velocità media, e non di velocità in un certo
istante, che invece è quella che definisce, assieme alla posizione, il concetto
di stato in meccanica classica. Da un punto di vista operativo fisico ∆t non
può mai essere fatto tendere a zero. Infatti tutte le misure sono affette da un
errore, allora un ∆t dello stesso ordine di grandezza dell’errore non ha
proprio nessun significato. In questo modo precisiamo il concetto di velocità
del sistema in un certo istante. Per definizione lo stato di moto di questo
sistema unidirezionale è rappresentato da queste due grandezze: posizione e
velocità. Tipicamente si fa un grafico, che si chiama ritratto di fase, in cui
sull’ascissa si mette la velocità e sull’ordinata si mette la posizione.
Supponiamo che, in un istante determinato, lo stato di moto sia dato da un
certo q e un certo ∆t. Allora vediamo, agli effetti dell’evoluzione temporale,
se noi siamo in grado, dato lo stato in t, di determinare, nell’istante (t+ ∆t),
quale è lo stato. Il punto fondamentale è che la meccanica classica – come la
meccanica quantistica – è una struttura di tipo deterministico; per questo si
vuole fare una meccanica, perché si vuole fare delle previsioni. Quindi se è
stato determinato lo stato di moto di un sistema meccanico in un certo
istante, noi abbiamo la possibilità di prevedere lo stato di moto del sistema
per istanti successivi. Conoscendo la posizione e la velocità di partenza di un
sistema, si vede subito che in un istante successivo – con il ∆t piccolo – è
data dalla posizione in t più un piccolo incremento. Quindi, in linea di
principio, conoscendo la posizione e la velocità in t, noi siamo in grado di
conoscere la posizione per istanti successivi. Ora vediamo come cambia la
velocità. Ora, il dogma fondamentale della meccanica classica è questo: che
se voi conoscete lo stato in t conoscete anche l’incremento, nell’intervallino
∆t, della velocità. Questo è fondamentalmente il secondo principio della
dinamica di Newton. Sostanzialmente, l‘incremento di velocità è qualche
cosa proporzionato a ∆t, il quale poi dipende dall’ambiente esterno tramite
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una funzione dell’ambiente esterno, che si chiama forza, che assume valori
specifici in corrispondenza dello stato del sistema. Se considero la forza
devo considerare anche la massa, ma non voglio fare un corso di fisica.
Questa si chiama l’accelerazione, la quale è la sintesi di tutte le influenze del
mondo esterno sul corpo che dipendono dalla posizione e dalla velocità del
corpo. Il punto determinante è che l’ambiente esterno ha influenza agli
effetti della variazione della velocità. La meccanica classica in linea di
principio permette di determinare tale variazione. C’e il carrellino e ci sono
le due molle che agiscono nelle due direzioni. Voi capite subito che esiste un
punto di equilibrio tra le due molle, e, in quel punto la forza che agisce è
zero. Supponiamo che quel punto sia il punto q=0. In queste condizioni
quello che si ha è che questa funzione, che è l’accelerazione, è definita, in
corrispondenza della posizione ed in corrispondenza del mondo esterno. Le
molle esercitano una certa forza, quindi una certa azione, sul nostro sistema
che viene sintetizzato nel dire che l’accelerazione è proporzionale allo
spostamento, secondo una certa costante, con il segno meno: ciò significa
che quando il carrellino è spostato nella direzione positiva, c’è una tendenza,
da parte della molla, ad imprimere alla velocità un andamento
all’incontrario. Voglio soltanto dire che lo stato è determinato da due misure
molto vicine, e che poi la meccanica mi da una legge del moto che mi dice
come varia la velocità secondo una determinata funzione, che in genere è
una funzione dalla posizione, della velocità e anche del tempo, in genere. Poi
ovviamente è un fatto importante che voi potete cambiare qualcosa:
appesantire il carrellino, e in questo caso risente meno dell’azione della
molla; oppure potete rinforzate le molle, etc. In questo modo potete
controllare che effettivamente valga questa struttura. Possiamo addirittura
levare le molle, ed in questo caso la velocità rimane costante. Questo fu un
grande ostacolo alla comprensione della struttura della meccanica classica.
Perché se io lancio il carrellino sul tavolo io vedo che dopo un pò si ferma,
invece secondo la teoria non dovrebbe fermarsi. In realtà in questo caso però
non è vero che non è soggetto a forze, perché qui agisce la forza d’attrito.
Poiché la forze d’attrito esistono in natura ed in genere è impossibile
eliminarle del tutto – si possono migliorare molto le condizioni con accurati
accorgimenti. L’umanità ha sempre avuto a che fare con l’attrito, per cui si
formò la concezione che ci sono delle leggi sotto il cielo della luna, e la
leggi che valgono per i pianeti. In realtà sono le stesse leggi della meccanica
che valgono dappertutto.
Quindi, in definitiva, c’è uno schema che presuppone la definizione
dello stato – lo stato non è solo la posizione ma e la posizione e la velocità –
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c’è un concetto di evoluzione dinamica, temporale data da una legge del
moto che dipende dalle circostanze esterne e dalla natura del sistema.
L’altro concetto fondamentale è quello di osservabile in meccanica
classica. Noi parliamo di una serie di proprietà di questo corpo in
movimento. La posizione sarà un osservabile, anche la velocità, così
l’energia cinetica, l’impulso, e così via. Tutto queste grandezze entrano nella
determinazione delle proprietà del sistema. Ora, se qualcuno dice misuriamo
l’energia cinetica, voi misurate la velocità e conoscete l’energia cinetica
secondo questa formula
1 2
mv
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l’impulso è (mv) etc. Quindi per definizione lo stato determina i valori
degli osservabili. In meccanica classica, per definizione un osservabile è una
funzione dello stato. Quindi su questo piano p,q come si rappresenta il
moto? Dovete dare lo stato iniziale, e poi andare a vedere quale sarà
successivamente lo stato.
Quindi, la nuova posizione e solo un fatto cinematico, la nuova velocità è un
fatto dinamico. La questione fondamentale è che nella meccanica classica è
possibile chiedere ad un sistema: nello spazio dello stato, ti trovi o no in una
certa regione dello spazio degli stati? Il sistema mi risponderà si o no se si
trova o no in quello regione. Contemporaneamente è possibile chiedere al
sistema se si trova in un’altra regione dello spazio degli stati. Con una serie
di queste domande si vede che è possibile chiedere al sistema: in quale stato
ti trovi. Cioè, in meccanica classica ha senso chiedere al sistema in quale
stato si trova. Il punto fondamentale è che, in meccanica classica lo stato è
osservabile. – Ora dico questo, che sembra scontato, perché in meccanica
quantistica non è così. Dire che lo stato è osservabile significa che c’è una
procedura precisa che ci permette, tramite un complesso di misurazioni, di
rispondere a questa domanda Quindi se gli chiedo in quale stato è, io
determino in quell’istante quale è la posizione, quale la velocità, quindi
riesco a determinare lo stato.
Perché si è arrivati così tardi alla meccanica classica? Perché la
presenza enorme degli attriti sui fenomeni terrestri, e la totale assenza nei
fenomeni celesti, fa si che le due cose sembrano staccate. Sembra che gli
astri si muovono in maniera regolare etc, e invece sulla terra i fenomeni
avvengano in maniera diversa. L’idea fondamentale che sta alla base di
questa incomprensione, è che lo stato meccanico sia rappresentato solo dalla
posizione, e che la forza influenzi la velocità. Infatti se io prendo un carrello
e vi attacco un cavallo che imprime forza al carrello, ottengo una certa
velocità, se attacco due cavalli ottengo una velocità maggiore. Ma questo
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dipende dall’attrito, che fa si che sembra che la forza agisca sulla velocità, e
non sull’accelerazione. Invece non è così. L’ambiente esterno, quindi le
forze, influiscono sull’accelerazione, e non sulla velocità. Per questo solo in
tempi relativamente recenti si è arrivati alla conclusione che lo stato sia una
funzione della velocità, e che le forze esterne abbiano influenza sulle
accelerazioni. Quindi cosi si spiega il caso di prima del carrellino. L’attrito
tipicamente è una costante proporzionale alla velocità, quindi la velocità è la
velocità di prima e poi costantemente, proporzionalmente alla velocità,
riceve una variazione negativa. Quindi le velocità tendono a diminuire. – In
assenza d’attrito il carrellino è un fenomeno oscillatorio costante; in
presenza d’attrito diviene un fenomeno oscillatorio smorzato. Quindi, senza
attrito, se voi sottoponete a forza costante un sistema newtoniano, allora il
sistema accelererà continuamente. Se però voi, a forza costante mettete
l’attrito, allora non andrà accelerando continuamente, perché aumentando la
velocità aumenta anche l’attrito, finché la forza d’attrito compensa la forza
costante esercitata sul sistema, quindi la velocità diventa costante. Quindi il
punto fondamentale è banalissimo e cioè che, in meccanica classica lo stato
è un osservabile.
Quindi, il piano adesso è descrivere il sistema più semplice di
meccanica quantistica. Sempre con andamento non storico, quindi senza il
principio di complementarità, perché non c’è questo principio in meccanica
quantistica. Cioè, nel passaggio dalla meccanica classica alla meccanica
quantistica il concetto di stato e di osservabile in meccanica quantistica è
stato costruito con grande fatica, e ci sono stati dei momenti in cui si
usavano ancora dei concetti classici per descrivere il sistema quantistico.
Principio di indeterminazione, principio di complementarità, il dualismo
onda-corpuscolo, il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, il gatto di
Schrodinger, non esistono in meccanica quantistica; essi dipendono
dall’utilizzo di categorie classiche per fenomeni quantistici, fanno parte della
storia, del guado. Quando la meccanica quantistica ha raggiunto la sua
struttura definitiva, non ci sono più paradossi.
In meccanica classica stato ed osservabile si confondono: nel
momento in cui conoscete lo stato conoscete tutto del sistema. Per cui lo
stato è un osservabile. Però, da un punto di vista operativo non bisogna
confonderli. Lo stato rappresenta il complesso di variabili tali che ci mettono
in grado di dire l’evoluzione temporale, conoscendo le condizioni in cui si
trova il sistema. Gli osservabili sono le questioni che si possono porre al
sistema, in corrispondenza di determinati dispositivi che permettono di dare
la risposta in senso empirico. Il fatto che stato ed osservabile coincidano non
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è necessario. Nella meccanica quantistica vedremo come si può preparare il
sistema, il concetto di stato e quali sono le domande ammissibili sul sistema.
Il punto è che, esiste un concetto di stato che permette di considerare
l’evoluzione temporale del sistema in maniera deterministica, poi c’è una
struttura di osservabilità del sistema che permette di dire che succede quando
pongo domanda al sistema in un certo stato, quale saranno le risposte. Tra le
questioni che posso fare al sistema non esiste: in quale stato ti trovi? Il punto
è che si può chiedere: ti trovi o no in un certo stato?
Abbiamo visto la struttura della meccanica classica; l’unica
considerazione di natura storica che intendo fare è la seguente. Questa
modellizzazione, tramite i concetti di meccanica classica, per la maggior
parte dei fenomeni ve bene, non presenta problemi. Però, in una zona
precisa, fisicamente determinata, in realtà non è sufficiente, occorre fare
della modifiche. Quale è la zona? Ricordate che per l’oscillatore armonico
l’impulso è massa per velocità. Questa descrizione classica non è adeguata, è
questa inadeguatezza si è scoperta a poco a poco. Ora, in natura esiste una
costante – chiamata h tagliato – che ha le dimensioni fisiche di una azione;
ed in fisica una azione è tipicamente un impulso. Questa è una costante di
natura, che si può determinare sperimentalmente, che si può misurare: è il
quanto elementare d’azione; ed è molto piccola, e pur giocando un ruolo
importante, in natura ed in fisica, essa è sfuggita all’attenzione. All’inizio
del novecento è stata scoperta, ed è stata scoperta nella composizione
spettrale della radiazione del corpo nero. Voi sapete che i forni quando sono
riscaldati hanno questo fenomeno meraviglioso, che all’inizio, nel buio sono
di colore rosso, poi, via via che vengono scaldati il colore diventa sempre
più bianco. Lo spettro di radiazione del forno riscaldato dipende dalla
temperatura, ed era oggetto di studio alla fine del novecento, e non si
riusciva a capire sulla base dei concetti della meccanica classica. Planck ha
scoperto che esiste questa costante, detta appunto costante di Plank, perché
c’è questa piccola modifica nella conformazione spettrale del corpo nero.
Naturalmente non faccio la storia della meccanica quantistica. Voglio
dire soltanto che la meccanica classica comincia a diventare insufficiente nei
fenomeni in cui le azioni coinvolte diventano molto piccole paragonate al
quanto elementare d’azione. Il fatto che uno non si accorga di grandezze che
pur in fisica esistono dipende dalle dimensioni coinvolte dai fenomeni
analizzati.
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Arrivati a questo punto i corsi tradizionali di meccanica quantistica
partono dalla crisi della meccanica classica che porta a questo
traghettamento verso la meccanica quantistica.
Per far vedere la struttura della meccanica quantistica io prenderò il
sistema fisico il più lontano possibile dalla meccanica classica, che si chiama
il Two-Level-Sistem, che è il più semplice sistema quantistico. Se
prendessimo in considerazione l’oscillatore armonico varrebbe la
considerazione che, a grandi azioni varrebbe la struttura classica, però a
piccole azioni, cioè prossime al quanto elementare d’azione, essa dovrebbe
essere sostituita dalla meccanica quantistica. Poi si dovrebbe dimostrare,
quello che si chiama principio di corrispondenza, che la struttura quantistica
comprende la struttura classica quando le azioni sono grandi. E’ importante
quindi che capire che non è vero che la meccanica classica è dimostrata falsa
dalla meccanica quantistica, al contrario è dimostrata vera però all’interno
del suo campo d’azione.
Io prenderò il sistema più quantistico che ci sia, ed è il sistema in cui
l’aspetto più paradossale della meccanica quantistica, cioè il concetto di
stato ed il rapporto tra stato ed osservabile, risalta nella maniera più forte.
Ora vediamo questo sistema a due livelli, che è un sistema fisico preciso, che
è il cosiddetto spin dell’elettrone: una piccola trottolina rotolante
indipendentemente dallo stato di traslazione. Quindi, esistono sistemi fisici
di questo tipo. Quindi vedremo sia il discorso di modellizzazione teorica sia
quello di rappresentazione empirica, tramite operazioni di misura che
possono essere fatte sul sistema. Dobbiamo descrivere lo spazio della fasi, e
dobbiamo dire quali sono le osservabili, come si misurano e cosa succede
quando si fa una misura sul sistema. Lo spazio degli stati è una cosa, per così
dire, molto semplice. Anzi, è una cosa sconcertante che tutti i sistemi
quantistici hanno lo stesso spazio degli stati, oppure un sottoinsieme dello
stesso spazio degli stati. Considerate una sfera di raggio unitario,
immaginate che vi sia il polo nord, il polo sud, l’equatore ecc. Immaginate la
superficie di questa sfera, che si chiama sfera di polarizzazione. Un punto su
questa superficie della sfera rappresenta uno stato del sistema. Questa è una
affermazione molto forte: si presuppone che lo stato di moto sia possibile
prepararlo. Cioè in linea di principio noi dobbiamo essere in grado di
preparare questo sistema in questo stato. Quindi si presuppone che lo
sperimentatore abbia un dispositivo in cui abbia una manopola sferica e che
fissando questa manopola e premendo un bottoncino rosso lui prepara il
sistema in questo stato. Quindi si regola il preparatore, si preme il bottoncino
ed il sistema è in quello stato (omega). Esiste dunque il modello e poi esiste
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tutta una parte sperimentale che è fatta da dispositivi di cui si spiega la
costruzione.
Comunque lo stato è un punto sulla sfera. Quali sono le osservabili?
Esse avranno un corrispettivo a livello modellistico, ma è importante che
l’osservabile, per esser tale, deve essere associata - ed è lo sperimentale che
dice come si fa - con un dispositivo di misura. Ora, le osservabili di questo
sistema sono delle questioni: io mi chiedo se il sistema è in omega primo. Il
punto da capire è che non è un osservabile chiedere al sistema: in quale stato
ti trovi? – questo sarebbe il principio di indeterminazione –, mentre è un
osservabile, cioè una questione ammissibile, chiedere al sistema: ti trovi in
omega primo? – cioè uno stato determinato – Quindi ci sono dispositivi di
misura in cui si fissa, con questa manopola, lo stato (omega), poi c’è un
dispositivo di misura che interroga il sistema: ti trovi in omega primo. Ora,
se si trova in omega primo risponde si, se non è in omega primo risponde no.
Il sistema è nello stato omega; omega primo è la questione che stiamo
ponendo. Ora, sulla sfera, immaginate di prendere il diametro che passa in
omega primo, proiettate omega. La proiezione spezzerà il diametro in due
parti, Questo diametro è di lunghezza due. Vedete che c’è un pezzetto A e
un pezzetto B. (A/2 + B/2 = 1). A è la sovrapposizione. Il sistema che sta in
omega e che è interrogato se sta in omega primo è costretto a rispondere si o
no. Qui c’è l’aspetto peculiare della meccanica quantistica, in cui, essendo
costretto a rispondere, risponde – c’e una struttura probabilistica di fondo -:
Si, con una probabilità data da A/2; e risponderà No con una probabilità data
da 1 – A/2. Nella meccanica quantistica, genericamente, il risultato di una
misura ha un aspetto probabilistico. Cioè si misura una sezione d’urto –
come dicono i miei colleghi sperimentali – per cui può rispondere si o no
con una probabilità come l’abbiamo vista. Questa struttura probabilistica è
intrinseca e non è risolvibile. Cioè, facendo un piccolo inciso sulla teoria
della variabili nascoste, essa non è risolvibile con della variabili nascoste: le
predizioni della teoria delle variabili nascoste danno valori che sono in
disaccordo con i dati sperimentali. Questo comportamento probabilistico è
una proprietà di struttura. Ora dobbiamo aggiungere una piccola cosa che è
però fondamentale per la meccanica quantistica e che è espressa in maniera
magistrale da Planck, ed è una forma di fiducia nel sistema. Supponiamo che
il sistema risponda si. Se gli rifate subito immediatamente la domanda voi vi
aspettate che risponda si di nuovo. Cioè avendo risposto si il sistema si trova
in omega primo; se ha risposto no allora andrà a finire all’antipode di omega
primo. Quindi i sistemi quantistici non soltanto danno la risposta ma si
adeguano alla risposta data: questo storicamente si chiama riduzione del
pacchetto d’onda.
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Il dispositivo di misura è un dispositivo che ha una manopola che fissa
la domanda, poi si preme il bottoncino rosso ed il dispositivo interroga il
sistema. Quindi il misuratore diventa anche un sistema di preparazione del
sistema: cioè se risponde si alla domanda sei in omega primo, abbiamo
preparato il sistema in omega primo. E’ una struttura congegnata in maniera
talmente forte che una eventuale contraddizione si sarebbe scoperta subito.
Ho scelto di considerare il sistema a due livelli perché posso disegnarlo,
purtroppo la spazio della fasi già di un sistema a tre livelli è uno spazio a
quattro dimensioni, che non si vede più bene. Una cosa importantissima e
che: se io non facessi la misurazione l’evoluzione dinamica del sistema
quantistico è identica a quella classica, perché il campo magnetico – i campi
magnetici sono dei vettori che hanno tre dimensioni e una forza – che agisce
sul sistema determina una rotazione intorno al campo magnetico, determina
una precessione secondo la regola della mano sinistra, e il sistema evolve
deterministicamente. L’evoluzione dinamica per quanto riguarda lo stato è
deterministica, però il collegamento tra lo stato e gli osservabili è di natura
probabilistica.
La meccanica quantistica, nella sua formulazione attuale, distingue in
maniera molto netta l’intervento dall’esterno fatto su un sistema sotto forma,
ad esempio, di un campo magnetico che agisce sul sistema, dal misuratore.
Invece i misuratori sono contraddistinti dal fatto che il sistema agisce subito
e nello stesso tempo il misuratore influenza fortemente il sistema. .Nel caso
dell’evoluzione deterministica sotto l’azione del campo magnetico c’è
azione del mondo esterno sul sistema ma non viceversa, cioè non è una
misura. Un misuratore è una struttura peculiare che interroga il sistema e da
una risposta, quindi è fortemente influenzato dal sistema.
Da un punto di vista storico è importante l’esperimento di Einstein,
Podolsky, Rosen, che serve a capire la meccanica quantistica, ma non a
superarla. Io adesso non descrivo l’esperimento; voglio riferirmi
semplicemente al complesso di fenomeni che derivano da – Einstein è un
fisico teorico che non ha accettato la meccanica quantistica perché c’è il
problema del dado (“Dio non gioca a dadi col mondo”), mentre per la
meccanica quantistica il fattore probabilistico è fondamentale – Era naturale,
nell’epoca in cui si formava la meccanica quantistica, pensare ad una
struttura tipo variabili nascoste. Cioè, avendo preparato lo stato omega,
l’interrogo su omega primo, mi dice Sì, va in omega primo, mi dice No va in
omega secondo (l’antipode di omega primo) – quindi la meccanica
quantistica deve precisare lo spazio degli stati, quali sono le osservabili e
quale è la probabilità con cui il sistema va in omega primo o in omega
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secondo. Allora c’è un tentativo che vuole ridurre la struttura quantistica alla
classica, cioè la teoria delle variabili nascoste, che dice che un sistema
quantistico, oltre ad avere la sua connotazione di stato da punto di vista
quantistico ha anche delle variabili di cui noi non siamo a conoscenza che
sono quelle che fanno si che interrogato il sistema risponda si o risponda no.
Questa teoria fisica ha una connotazione ben precisa, cioè senza
contraddizioni interne, però che è in contrasto con i fatti sperimentali di
meccanica quantistica.
Il punto fondamentale da tenere presente è che il concetto di stato in
meccanica quantistica è molto più ricco e complicato di quello classico, per
cui se uno sovrappone dei concetti classici a discorsi quantistici va incontro
a delle contraddizioni, di cui questa è la più evidente, che: è osservabile la
posizione, è osservabile l’impulso ma non lo sono contemporaneamente, e
non esistono dispositivi per farlo. Se uno tenta di imporre che esistono
queste osservabili trova poi delle correlazioni che non sono quantistiche e si
giunge alla controversia.
Ora si dovrebbe dire qualcosa sul cosiddetto principio di
corrispondenza. E’ vero che l’oscillatore armonico classico e quello
quantistico sono profondamente differenti però esiste questo principio di
corrispondenza, la cui formulazione precisa è anche molto complicata.
Succede che: il sistema è sempre quantistico. C’è sempre una discrepanza tra
una descrizione quantistica e una classica, però esiste una zona quantistica in
cui le azioni coinvolte sono molto più grandi della costante di Plank, per cui,
relativamente ad alcune – non tutte – osservabili la descrizione quantistica e
quella classica coincidono nella misura di un errore che è dell’ordine della
costante di Plank. Però anche in questa zona esistono delle osservabili non
interpretabili in termini classici.
L’ultimissima cosa, che riguarda un concetto di spazialità
tridimensionale. Supponiamo il sistema solare, con il sole fermo al centro e
poi tutti i pianeti. Ogni pianeta è individuato da una posizione che richiede
tre variabili, un impulso che richiede altre tre variabili; ci sono sette pianeti,
si fa il conto e vengono un certo numero di variabili che descrivono il
sistema. Lo spazio delle fasi dei pianeti è in questo spazio a 42 dimensioni.
Conoscendo lo stato del sistema Newton ci da le leggi che ci consentono di
conoscere il sistema in istanti successivi – anche precedenti. Ora, un punto
fondamentale della meccanica classica è che ha senso prendere un sistema e
individuarlo come composto da sotto-sistemi: lo stato del sistema composto
è determinato dalla coppia degli stati dei sistemi componenti. Per ogni
pianeta abbiamo un sotto-sistema, con sei variabili, e lo stato del sistema
solare si conosce se si conoscono gli stati dei sistemi componenti. C’è una
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sorta di proprietà di fattorizzazione. Un sistema composto da sottosistemi ha
una spazio degli stati che è il prodotto cartesiano degli spazi degli stati dei
sottosistemi. In meccanica quantistica non è così. Lo spazio degli stati di un
sistema composto da due sottosistemi non è il prodotto cartesiano dello
spazio degli stati dei due sistemi componenti, è in realtà molto più grande.
Questo è il famoso problema dell’entaglement, dell’aggrovigliamento. Anzi,
purtroppo, da un punto di vista strettamente fisico non ha nemmeno molto
senso dividere un sistema quantistico in due sottosistemi. Ce lo ha
relativamente ad alcuni osservabili.
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