FO2385, Prof. Auletta. Intervento del Prof. F. Guerra. La peculiarità della meccanica quantistica, non consiste negli aspetti tecnici; una volta che si è capito il formalismo è possibile risolvere anche i problemi tecnici (complessi). Però alla base ci sono dei problemi concettuali che riguardano sostanzialmente le strutture di ciò che deve essere considerato lo stato del sistema fisico e di quelle che devono essere considerate le osservabili del sistema fisico. Quindi la mia tesi sarà la seguente: farò il caso più semplice di un sistema classico per vedere quali siano il concetto di stato e il concetto di osservabile. Poi considererò il sistema quantistico più semplice e farò vedere qual è il concetto di stato e di osservabile; così vedremo la differenza enorme che esiste fra i due sistemi. Dico subito che non svilupperò un approccio di tipo storico; questo è interessantissimo, anche dal punto di vista concettuale. Però il dato importante è che, alla fine, la meccanica, quantistica, dopo questo percorso faticoso, si è affermata come una teoria a sé stante, col suo formalismo, la sua caratterizzazione e il suo codice di interpretazione. Essa può essere studiata, possono essere viste delle applicazioni, (ma l’applicabilità della meccanica quantistica ha anche dei limiti). Dunque la transizione è importante, però si riferisce, dal punto di vista concettuale, a una transizione complessa, durata decenni, dalla visione della meccanica classica – che è più o meno equivalente a ciò che accade nella nostra esperienza quotidiana – verso la meccanica quantistica. Quindi è una sorta di gigantesco guado, di transito, tra due modi di vedere molto diversi la realtà fisica, e che ha prodotto, dal punto di vista storico, tutta una serie di modifiche graduali del concetto di stato e di osservabile di un sistema classico. Questo percorso è stato fatto a gradi, a singoli pezzi, ed è difficile ricostruirlo punto per punto; mentre è facile prendere il sistema di meccanica quantistica così come si è formato dopo il guado, rifletterci sopra, e vedere come differisca dalla meccanica classica. Quindi il mio obiettivo preciso sarà questo: prendere il sistema più semplice di meccanica classica, evitando formalismi complicati, ed analizzarne la struttura dello spazio degli stati e la struttura delle osservabili. Poi prenderò il sistema quantistico più semplice, al di fuori da ogni formalismo, e vi spiegherò il concetto completamente differente dello spazio degli stati e delle osservabili della meccanica quantistica. Prima di fare questo devo premettere in una maniera che sarà necessariamente concisa – e sarò costretto a scrivere qualche formula alla 1 lavagna – qualche cosa relativa a quella che è la “conoscenza fisica”: cioè che cosa si intende, nell’ambito della fisica, per conoscenza. Quindi affronteremo il discorso di “modellizzazione”. – Dico subito che sarò molto schematico, e, per deformazione professionale, prediligerò, perché sono un fisico teorico, gli aspetti di tipo modellistico. I fisici sperimentali sono propensi a pensare che tutta la fisica si riduca all’osservazione: ma si può stare ad osservare per seimila anni la luna, ma vi non si trovano le leggi di Newton, per esempio. – Dunque si parla di metodo “matematicosperimentale”, secondo la denominazione di Galilei, e si va a vedere questa struttura peculiare della fisica, che io adesso descriverò in maniera rozza e semplicistica, e che mi servirà come introduzione alla struttura del modello. Bisogna separare due ambiti completamente diversi: metterò qui a destra la parte di tipo fenomenologico. Una delle caratteristiche più importanti della fisica, è che in tutte le situazioni in natura le affermazioni di tipo empirico, fenomenologico, sperimentale si presentano così: innanzi tutto è isolato un certo complesso di fenomeni naturali, ad esempio si guarda il modo dei pianeti. Comunque la cosa fondamentale è questa: che, una volta isolato un complesso di fenomeni si devono individuare alcune grandezze che si ritiene siano rilevanti per il fenomeno. Queste grandezze vengono definite in termini operativi; ossia c’è una specie di manualetto, di prescrizione, in cui il fisico sperimentale dice come ha misurato la grandezza. Per esempio, ha senso per la fisica parlare della lunghezza di questo tavolo ed esistono strumenti adeguati. Dal punto di vista della misura posso usare anche i palmi, e dire che questo tavolo misura tre palmi e una certa frazione. Quindi questa grandezza viene definita in termini operativi; tipicamente, nella definizione di grandezze, si considera un certo errore di misura. L’errore in fisica non ha una valutazione di tipo negativo; ogni tipo di misura ha un errore. Se misuro con i palmi l’errore sarà, per esempio, di mezzo palmo; se misuro con il metro della sarta l’errore sarà dell’ordine di mezzo centimetro, e così via. Quindi definizione operativa: ci deve essere la descrizione della procedura che ho effettivamente usato. Dunque si arriva a definire, da un punto di vista sperimentale, delle relazioni tra queste grandezze e come sono state misurate. Gli esempi tipici in fisica sono sempre circa i moti dei pianeti. Quindi l’unica cosa di cui avete bisogno è di dire in quale punto dell’ellittica il pianeta si trova. Quindi serve il quadrante delle osservazioni, che sono degli effetti che si vedono, che possono essere delle costellazioni, etc. Quindi dare la posizione di un pianeta, significa dirne la posizione istante per istante. La posizione è misurata come ho detto; vengono misurati i tempi .e quindi si fanno delle misure delle posizioni in certi istanti. Dunque 2 la cosa importante è che: isolato un complesso di fenomeni, si individuano alcune grandezze che si ritiene siano rilevanti, sulla base dell’esperienza, etc. Queste grandezze vengono definite in termini operativi, e si stabiliscono delle relazioni tra grandezze. Le relazioni si riferiscono sempre a errori dati relativi agli strumenti usati. Per esempio un carrellino su un piano inclinato con un asta graduata, si fa partire il carrellino e si misura, in certi istanti dove si trova il carrellino. Ci sono le grandezze e le relazioni tra grandezze. Il modo più semplice di esprimere queste relazioni è tramite una tabella. Le tabelle possono avere più entrate, cioè considerare più grandezze. Naturalmente le osservazioni sono sempre in numero limitato; e una volta che è stato precisato l’errore della misura, i fisici tengono tantissimo alla validità di queste tabelle. – Nella storia vi sono casi di fisici disonesti che hanno manomesso i valori di una tabella –. Da un punto di vista filosofico è chiaro che i fisici hanno l’idea che esiste un mondo su cui fanno delle misure. Questo è dunque l’ambito fenomenologico. Andiamo ora a vedere l’ambito (matematico) della modellizzazione. A livello modellistico noi abbiamo una situazione che è completamente diversa. – Adesso schematizzo all’estremo – Gli oggetti che compaiono qui sono degli oggetti di tipo matematico, quindi numeri. E le relazioni che vengono postulate tra gli oggetti, di tipo matematico. Il modello è costruito in questa maniera. Si dice quali sono le osservabili, le grandezze fondamentali che intervengono e quali sono le relazioni – si possono trovare tante relazioni. Il modello ci permette di dare delle risposte sia se facciamo dei lavori analitici sia se facciamo delle simulazioni. E’ un mondo, diciamo, a se stante; e, sulla base dell’individuazione di alcune grandezze e delle relazioni tra loro, il modello permette di trovare altre relazioni e altre grandezze. Quindi i matematici capiscono queste strutture. Ma una componente essenziale di un modello è una componente che il matematico non capirà mai. Nel modello ci sono relazioni matematiche e ha senso parlare di relazioni tra grandezze. Ora, il fisico sperimentale, è stato preciso, ha fatto la misura e ha individuato la relazione. All’interno del modello, quindi non all’interno della struttura fenomenologica esiste la cosiddetta “interpretazione fisica”, per cui c’è un collegamento tra le grandezze empiriche, fenomenologiche, che sono grandezze misurate sperimentalmente, e i numeri che compaiono nel modello. Quindi c’è questo “codice di corrispondenza”; e la cosa interessante è che c’è corrispondenza anche tra le relazioni. Il modello in sé e per sé ha un criterio interno di validità, una coerenza formale. Adesso, accade che, per alcuni complessi di 3 fenomeni, è possibile costruire dei modelli – cioè inventarsi delle variabili, delle relazioni e dei complementi – in maniera tale che, con un certo codice interpretativo, che coinvolge le osservabili e le relazioni, sia possibile fare la seguente operazione. Innanzi tutto verificare che le relazioni che sono vere all’interno del modello continuano ad essere vere nell’ambito fenomenologioco. Ma permette di fare qualcosa di più potente. Poiché il modello ha una natura puramente matematica permette di rispondere a tutte le domande. Per cui questo modello crea una miriade di relazioni, e, tramite il codice di corrispondenza, possiamo tradurle in relazioni empiriche ancor prima che si siano verificate. E quindi il modello ha qui un valore predittivo. Naturalmente ci sono modelli più o meno buoni; esistono modelli che vanno bene per certe epoche e poi vanno in crisi, e così via. – Comunque deve essere sempre chiaro, quando vengono fatte delle affermazioni, se sono affermazioni di natura empirica oppure modellistica. Esiste, quindi, questa cosa stranissima, tipica della fisica, che si hanno relazioni modellistiche vere; che poi tramite ipotesi si sottopongono a verifica. Il modello ha una coerenza interna che è diversa da quella del puro empirismo, della pura osservazione. Si capisce quindi come mai, di fatto, l’uomo è capace di un’operazione simile: cioè farsi un’immagine dei fatti di tipo matematico che permette addirittura di fare delle previsioni. Certamente la fisica diventa una scienza molto seria e molto forte nel momento in cui rispetta i suoi limiti; essa non deve sconfinare rispetto a quelli che sono i suoi ambiti di funzionamento. Quindi abbiamo l’osservazione sperimentale e la capacità dei modelli di fare previsioni. Per esempio il complesso di fenomeni del moto dei pianeti riceve un’interpretazione: esistono delle equazioni differenziali in cui intervengono le posizioni dei pianeti – si mette il Sole al centro, perché più semplice dal punto di vista cinematico – esiste la possibilità di risolverle, e alla fine c’è un’interpretazione del sistema solare che permette di avere un ottimo accordo con l’esperienza. Per chiarire il rapporto modello-osservazione, faccio un esempio. Si noti che le equazioni di Newton avevano delle piccole discrepanze con l’osservazione. O si può dire, le equazioni di Newton non sono perfettamente vere; e quindi per adeguarle alla realtà osservata, bisogna correggerle. Ma le equazioni di Newton avevano una tale autorità che gli astronomi dissero: le equazioni di Newton sono vere; c’è un pianeta aggiuntivo, il quale, con le sue interazioni provoca queste discrepanze. Quindi il modello fa sì che, di fronte all’osservazione che devia dal modello, si dice che c’è qualcosa di reale che non vediamo. Per cui i meccanici celesti si mettono a lavoro e dicono: per spiegare queste discrepanze basterebbe 4 mettere un pianeta in una determinata posizione. Allora nel momento in cui mi si da la presunta posizione del pianeta, cercando il pianeta in quel punto, gli astronomi sperimentali trovarono Nettuno. Esiste poi un miglioramento della meccanica newtoniana – quello che si ritiene sia un miglioramento- cioè la teoria einstaniana: e uno dei successi della teoria relativistica fu quello di prevedere lo spostamento del periodo di Mercurio, non spiegato dalla meccanica newtoniana. Quindi una teoria si evolve e diviene un teoria più complessa. La meccanica classica nel suo ambito continua ad essere valida, poi, alla frontiera non è più valida, e deve essere superata. La meccanica classica mantiene la sua validità, poi nella zona relativistica e nella zona quantistica non funziona più. Facciamo un esempio: il problema della rotondità della Terra, cioè se la Terra è piatta o no. Dal punto di vista del giardiniere, se considera la Terra piatta fa una cosa saggia, perché la dimensione del giardino è piccola rispetto al raggio terrestre, e la curvatura diventa trascurabile. Mentre il pilota di un transatlantico deve sapere che la Terra è tonda. Quindi ci sono dei parametri rispetto al limite di validità del modello: Separazione dell’aspetto empirico da quello modellistico; Rilevanza del codice interpretativo. Adesso vorrei fare un accenno alla probabilità. Prendiamo il gioco dei dati. Siamo in presenza di una comunità di professionisti del gioco dei dadi. Non centra la fortuna, né l’abilità nel lanciare i dadi. Il giocatore professionista deve fare due cose: • Nel momento in cui gli si fa una proposta di partita, deve poter calcolare e decidere; per esempio: con 3 dadi: 12 vince, 13 perde, altrimenti indifferente. Si deve calcolare la probabilità che esca 12 o 13. • Deve poter esaminare i dadi e vedere se essi siano truccati o meno. Infatti se si appesantisce la faccia opposta al 6, può darsi pure che il 6 esca sempre. Questi problemi trovano una modellizzazione nell’ambito della teoria frequenziale della probabilità. La teoria frequenziale della probabilità costruisce uno schema teorico che sostanzialmente è fatto da numeri associati alla faccia del dado. Per esempio la probabilità che esca ogni faccia del dado reale 1/6, 1/6, 1/6, etc. Nel dado truccato si determinano – e questo è importante – tramite delle misure sperimentali. Cioè si lancia il dado un numero molto grande di volte, e si vede quante volte esce ogni faccia e si fa il rapporto tra il numero di volte che esce ogni faccia, con il 5 numero totale di lanci effettuati. Questa è la “frequenza empirica”. Se il numero di lanci è molto alto, i rapporti calcolati nell’ambito modellistico, diverranno le probabilità d’uscita della facce. Possiamo intendere la teoria elementare della probabilità, come il modello teorico che guida, in maniera più o meno inconscia, il giocatore professionista di dadi nell’accettare o meno una partita, fatta con dadi anche truccati – purché abbia la possibilità di esaminarli. A questo punto voglio premettere chiaramente una cosa, che stiamo parlando di un fenomeno meccanico classico; quindi introdurremo considerazioni probabilistiche in meccanica classica che invece sembra deterministica. Il problema è che l’assoluto detterminismo della meccanica classica è una concezione di tipo filosofico, e non strettamente scientifica, è un’estrapolazione. Esempio. Consideriamo un flipper. Ora ci sono anche flipper elettronici ma noi ci soffermeremo su flipper puramente meccanici. Quindi c’è una tavola inclinata, una canaletto, una molla, un pomello e una porta. Sulla tavola ci sono dei chiodini; in fondo ci sono delle caselle; a seconda della casella dove arriva la pallina, si vince un certo punteggio. Questa è una struttura meccanica, tirando il pomello, parte la pallina che rimbalza sui chiodini e poi arriva alle caselle. Si vede subito che questo non è affatto deterministico. Cioè, non c’è qualche possibilità di controllo di dove la pallina vada, in relazione a come io tiri il pomello. Se volete giocare con profitto a questo gioco non c’è una maniera deterministica per sapere se la pallina andrà nelle caselle più convenienti o in quelle meno convenienti. La probabilità è strettamente connessa anche con una struttura apparentemente deterministica. Ora, quando in un contesto meccanico appaiono fenomeni di tipo probabilistico? Quando le traiettorie, nel nostro esempio, sono molto sensibili alle condizioni iniziali. Le piccole variazioni delle condizioni con cui la pallina esce dal canaletto, unitamente a tutti i rimbalzi che fa, rendono impossibile controllare la casella dove andrà a finire. Pur essendo il contesto di natura meccanica e deterministica non c’è nessun meccanico tradizionale che, andando a misurare le condizioni iniziali, riesca a dire: la pallina finirà in questa determinata casella. Quindi, in questi casi, il problema è di natura probabilistica. Ci sono delle situazioni in cui la preparazione dello stato del sistema – l’equivalente di tirare il pomello – dà luogo a una progressione di fenomeni largamente prevedibili, entro certi limiti; mentre ci sono situazioni in cui questo non accade. Il caso tipico – rimanendo, diciamo così, in un contesto di borgata – è il gioco del biliardo. Nel biliardo il giocatore, dando la steccata, prepara lo stato di moto della biglia su cui agisce, in un determinato modo. Anche qui c’è un alto grado di sensibilità alle condizioni 6 iniziali, ma c’è anche una certa controllabilità del sistema. La biglia colpisce l’altra biglia e così via. Anche qui, le traiettorie sono molto instabili: facendo un tiro a dieci sponde, la traiettoria è enormemente sensibile all’interazione gravitazionale dei corpi delle persone che stanno vicino al biliardo. Ciò non accade in un tiro a due o tre sponde. Il biliardo, dunque, ha una certa controllabilità, per cui esistono giocatori più bravi di altri. Nel flipper invece non esistono giocatori più o meno bravi, perché non è controllabile. Chi conosce la teoria della probabilità diventa più o meno bravo nel flipper in relazione all’accettare o meno la scommessa. Quindi anche in un ambito strettamente scientifico si fanno ragionamenti di tipo probabilistico. Anche la meccanica classica ha situazioni deterministiche – per esempio il moto dei pianeti – e situazioni probabilistiche – per esempio dadi e flipper. Quindi in fenomeni probabilistici il singolo risultato non può essere studiato, ma il comportamento statistico può essere investigato. Questi fenomeni giocano un grande ruolo nella meccanica classica. Passerò ora ad un ambito un pò più complicato e complesso. Supponiamo di prendere i brani di Bach. Nel coro ci sono quattro voci: il soprano, con un tono molto alto, che canta una melodia – di solito una delle immortali melodie del canto gregoriano – poi ci sono due voci intermedie e una più bassa che accompagnano armonicamente la melodia del soprano. Voi siete abituati alla notazione musicale con le palline, che è utilissima per dire al musicista cosa deve fare. Facciamo però il caso di una notazione, diciamo, di tipo scientifico. Indico per esempio il logaritmo della frequenza della nota; poi metto il tempo – tipicamente le note durano un certo intervallo di tempo. Allora se rappresento la voce del soprano, per esempio, in questa notazione, avrò dei trattini. Ogni trattino mi dice che il soprano canta questa nota – indicata dal logaritmo – per un certo tempo – la lunghezza del trattino. Analogamente per le altre voci. Quindi rappresento il brano tramite un grafico di simili trattini. Vi ho detto prima che il moto del pianeta è tempi e posizioni. Ora faccio una cosa cattivissima: non dico al fisico teorico che questi grafici rappresentano i brani di Bach; gli dico semplicemente che ho fatto le misure di quattro pianeti. Quindi ho un segnale a quattro tracce. Ora, il sogno della fisica teorica, sarebbe di costruire un modello tale da essere in grado di catturare le strutture organizzative utilizzate da Bach per il brano, e, per via puramente matematica, produrre altri campioni che messi in questa notazione, senza dire niente al fisico teorico, trasformati in una notazione coi pallini e dati alle quattro voci, ne derivi qualcosa di musicalmente accettabile. Quindi: è possibile costruire un modello matematico realistico per il corpo dei brani di 7 Bach, tale da produrre altre proposte accettabili? Questo è un problema che, in parte, trova alcune soluzioni. Un problema di questo genere è legittimo. Facciamo un altro esempio. Supponiamo di prendere il testo di una novella italiana. Si dichiara che gli elementi utilizzati saranno le lettere (a,b,c,...) e ‘spazio’. Supponiamo di chiedere a cento studenti di indovinare la prima lettera. Alcuni tenteranno una ‘i’. alcuni una ‘l’, etc. Quindi notiamo una certa dispersione nelle risposte, che viene registrata. C‘è, cioè, una certa distribuzione delle risposte. Poi, a ciascuno separatamente, viene data la risposta esatta (p.es.:“l”); e gli si chiede di indovinare la successiva. Anche quì c’è una certa dispersione. Però è una dispersione diversa perché la conoscenza della prima lettera ci dà delle indicazioni, producendo una riduzione della dispersione; anche questa viene registrata. Quindi, ci sono una serie di simboli noti, e si chiede di individuare il simbolo successivo; in corrispondenza dei tentativi fatti, si analizza la dispersione. Il concetto di dispersione si riconduce all’entropia; cioè può essere definito precisamente in maniera numerica. Ovviamente, nel caso in cui una novella russa viene proposta a un italiano e a un russo, i valori di entropia sarebbero molto diversi. Però se io tentassi di indovinare le lettere di un intera novella scritta in svedese, ed ad ogni tentativo mi venisse data la risposta giusta, lentamente – probabilmente ci vorrebbero molte novelle – imparerei il modello dello svedese; ma non i significati delle parole. Cioè qui considerazioni di tipo semantico non possono essere fatte. A questo punto si fa un grafico della dispersione in funzione del posto della lettera. Otteniamo così una struttura gerarchica, che ha una sorta di respiro. Si comincia con una dispersione grande (che coincide con l’inizio delle parole), e si va verso dispersioni minori (man mano che si conoscono più lettere della parola). Con l’inizio della parola successiva la dispersione tornerà massima, e così via. Questi picchi nella dispersione sono organizzati gerarchicamente. Ora, si può vedere che esistono delle strutture teoriche, di processi stocastici complessi, che mostrano andamenti del tipo del grafico; indipendentemente da ogni considerazione di tipo semantico. Io presento la meccanica classica così com’è, e, da un punto di vista espositivo, considererò il sistema più semplice di meccanica classica. Se vogliamo fare uno studio di meccanica classica dobbiamo innanzitutto precisare il sistema. Se uno parla di meccanicismo tenta di costruire una posizione filosofica in cui estrapolando i concetti della meccanica relativi a determinati sistemi, poi li fa debordare al di fuori del proprio ambito, che è quello fisico, naturalmente.. Quindi non è che esiste una posizione filosofica: il meccanicismo; esistono dei sistemi meccanici con il loro comportamento e 8 con le loro leggi di comportamento che possiamo investigare e pervenire a questa comprensione. Innanzitutto si precisa un concetto di sistema meccanico; poi, l’altro concetto fondamentale è quello di stato del sistema. Stato è interpretato in senso tecnico, in senso fisico. Poi ci sono altri concetti: l’evoluzione nel tempo; le osservabili. Ora, nell’ambito di qualsiasi sistema meccanico, agli effetti dell’interpretazione, quindi poi agli effetti della costruzione del codice del modello, il rapporto tra stato e osservabile è determinato. Questo rapporto avrà una struttura di tipo modellistico, quindi espressa in termini matematici, e naturalmente una struttura fenomenologica, di tipo operativo. Non è qualcosa di totalmente scontato, nel senso che deve essere oggetto di osservazioni. Un altro argomento sono gli ostacoli alla comprensione dello schema. Prenderò un sistema molto semplice, che però contiene tutti gli elementi essenziali: un oscillatore armonico. Oscillatore armonica è un concetto generale, esistono moltissimi sistemi meccanici che sono assimilabili ad un oscillatore armonico. Un esempio tipico sono le piccole oscillazioni del pendolo, che però è complicato perché le oscillazioni possono avvenire su piani diversi. Prenderò un esempio più schematico. Premetto che il mio intento è quello di evidenziare gli elementi caratteristici di un sistema meccanico, non di fare un corso di fisica. Prendiamo un binario orizzontale con un carrellino, costruito in maniera tale da trascurare gli attriti. La presenza inevitabile dell’attrito è stato un ostacolo alla comprensione della struttura della meccanica classica. La nostra concezione della componente meccanica del mondo è dominata dalla presenza dell’attrito. Noi, però, seguendo l’intuizione galileiana, supponiamo di poter eliminare gli attriti. Quindi il carrellino si muove sul binario in assenza di attrito; poi ci sarà un indicatore di posizione – un barretta con i centimetri – in maniera tale che sorge questa idea: che il carrellino, istante per istante, ha una posizione. Relativamente al tempo: la fisica non spiega che cosa è il tempo – lo spiega S. Agostino – però si preoccupa di dire come, ad un certo livello di approssimazione, si misurano intervalli di tempo. Si usano gli orologi che sono degli strumenti periodici. L’orologio deve essere sempre inteso come appartenente ad una comunità di orologi che si controllano a vicenda. Questo per evitare che ci sia un orologio inesatto. A questo livello di considerazione un qualsiasi cronometro va bene. Quindi riteniamo che abbia senso dire che, in un certo istante, il carrellino si trovi in una certa posizone. E’ un concetto di natura intuitiva ma anche definito operativamente. In un certo istante viene sparato un flash, si fa una fotografia della posizione del carrellino in quell’istante. Si misura la posizione del carrellino in istante diversi e si avrà la registrazione della posizione del carrellino istante per istante. Questo non è ancora lo stato: lo 9 stato del carrellino non è solo la posizione in un istante. Dunque, poiché stiamo parlando del moto, diciamo che lo stato del carrellino e la posizione istante per istante e la velocità istante per istante. Determineremo la posizione, e poi misureremo la velocità. Da un punto di vista operativo la velocità si misura misurando la posizione in due istanti leggermente diversi, poi si vede quale è la distanza percorsa nel piccolo intervallo e si divide per ∆t; quindi v= q/∆t. Dobbiamo distinguere l’aspetto operativo da quello modellistico. L’affermazione che la velocità è la derivata della posizione è una affermazione di tipo modellistico, non operativo, perché c’è un limite, che è un concetto astratto. Da un punto di vista fisico ci dobbiamo contentare di prendere un intervallino abbastanza piccolo. Se prendiamo un ∆t grande, stiamo parlando di velocità media, e non di velocità in un certo istante, che invece è quella che definisce, assieme alla posizione, il concetto di stato in meccanica classica. Da un punto di vista operativo fisico ∆t non può mai essere fatto tendere a zero. Infatti tutte le misure sono affette da un errore, allora un ∆t dello stesso ordine di grandezza dell’errore non ha proprio nessun significato. In questo modo precisiamo il concetto di velocità del sistema in un certo istante. Per definizione lo stato di moto di questo sistema unidirezionale è rappresentato da queste due grandezze: posizione e velocità. Tipicamente si fa un grafico, che si chiama ritratto di fase, in cui sull’ascissa si mette la velocità e sull’ordinata si mette la posizione. Supponiamo che, in un istante determinato, lo stato di moto sia dato da un certo q e un certo ∆t. Allora vediamo, agli effetti dell’evoluzione temporale, se noi siamo in grado, dato lo stato in t, di determinare, nell’istante (t+ ∆t), quale è lo stato. Il punto fondamentale è che la meccanica classica – come la meccanica quantistica – è una struttura di tipo deterministico; per questo si vuole fare una meccanica, perché si vuole fare delle previsioni. Quindi se è stato determinato lo stato di moto di un sistema meccanico in un certo istante, noi abbiamo la possibilità di prevedere lo stato di moto del sistema per istanti successivi. Conoscendo la posizione e la velocità di partenza di un sistema, si vede subito che in un istante successivo – con il ∆t piccolo – è data dalla posizione in t più un piccolo incremento. Quindi, in linea di principio, conoscendo la posizione e la velocità in t, noi siamo in grado di conoscere la posizione per istanti successivi. Ora vediamo come cambia la velocità. Ora, il dogma fondamentale della meccanica classica è questo: che se voi conoscete lo stato in t conoscete anche l’incremento, nell’intervallino ∆t, della velocità. Questo è fondamentalmente il secondo principio della dinamica di Newton. Sostanzialmente, l‘incremento di velocità è qualche cosa proporzionato a ∆t, il quale poi dipende dall’ambiente esterno tramite 10 una funzione dell’ambiente esterno, che si chiama forza, che assume valori specifici in corrispondenza dello stato del sistema. Se considero la forza devo considerare anche la massa, ma non voglio fare un corso di fisica. Questa si chiama l’accelerazione, la quale è la sintesi di tutte le influenze del mondo esterno sul corpo che dipendono dalla posizione e dalla velocità del corpo. Il punto determinante è che l’ambiente esterno ha influenza agli effetti della variazione della velocità. La meccanica classica in linea di principio permette di determinare tale variazione. C’e il carrellino e ci sono le due molle che agiscono nelle due direzioni. Voi capite subito che esiste un punto di equilibrio tra le due molle, e, in quel punto la forza che agisce è zero. Supponiamo che quel punto sia il punto q=0. In queste condizioni quello che si ha è che questa funzione, che è l’accelerazione, è definita, in corrispondenza della posizione ed in corrispondenza del mondo esterno. Le molle esercitano una certa forza, quindi una certa azione, sul nostro sistema che viene sintetizzato nel dire che l’accelerazione è proporzionale allo spostamento, secondo una certa costante, con il segno meno: ciò significa che quando il carrellino è spostato nella direzione positiva, c’è una tendenza, da parte della molla, ad imprimere alla velocità un andamento all’incontrario. Voglio soltanto dire che lo stato è determinato da due misure molto vicine, e che poi la meccanica mi da una legge del moto che mi dice come varia la velocità secondo una determinata funzione, che in genere è una funzione dalla posizione, della velocità e anche del tempo, in genere. Poi ovviamente è un fatto importante che voi potete cambiare qualcosa: appesantire il carrellino, e in questo caso risente meno dell’azione della molla; oppure potete rinforzate le molle, etc. In questo modo potete controllare che effettivamente valga questa struttura. Possiamo addirittura levare le molle, ed in questo caso la velocità rimane costante. Questo fu un grande ostacolo alla comprensione della struttura della meccanica classica. Perché se io lancio il carrellino sul tavolo io vedo che dopo un pò si ferma, invece secondo la teoria non dovrebbe fermarsi. In realtà in questo caso però non è vero che non è soggetto a forze, perché qui agisce la forza d’attrito. Poiché la forze d’attrito esistono in natura ed in genere è impossibile eliminarle del tutto – si possono migliorare molto le condizioni con accurati accorgimenti. L’umanità ha sempre avuto a che fare con l’attrito, per cui si formò la concezione che ci sono delle leggi sotto il cielo della luna, e la leggi che valgono per i pianeti. In realtà sono le stesse leggi della meccanica che valgono dappertutto. Quindi, in definitiva, c’è uno schema che presuppone la definizione dello stato – lo stato non è solo la posizione ma e la posizione e la velocità – 11 c’è un concetto di evoluzione dinamica, temporale data da una legge del moto che dipende dalle circostanze esterne e dalla natura del sistema. L’altro concetto fondamentale è quello di osservabile in meccanica classica. Noi parliamo di una serie di proprietà di questo corpo in movimento. La posizione sarà un osservabile, anche la velocità, così l’energia cinetica, l’impulso, e così via. Tutto queste grandezze entrano nella determinazione delle proprietà del sistema. Ora, se qualcuno dice misuriamo l’energia cinetica, voi misurate la velocità e conoscete l’energia cinetica secondo questa formula 1 2 mv 2 l’impulso è (mv) etc. Quindi per definizione lo stato determina i valori degli osservabili. In meccanica classica, per definizione un osservabile è una funzione dello stato. Quindi su questo piano p,q come si rappresenta il moto? Dovete dare lo stato iniziale, e poi andare a vedere quale sarà successivamente lo stato. Quindi, la nuova posizione e solo un fatto cinematico, la nuova velocità è un fatto dinamico. La questione fondamentale è che nella meccanica classica è possibile chiedere ad un sistema: nello spazio dello stato, ti trovi o no in una certa regione dello spazio degli stati? Il sistema mi risponderà si o no se si trova o no in quello regione. Contemporaneamente è possibile chiedere al sistema se si trova in un’altra regione dello spazio degli stati. Con una serie di queste domande si vede che è possibile chiedere al sistema: in quale stato ti trovi. Cioè, in meccanica classica ha senso chiedere al sistema in quale stato si trova. Il punto fondamentale è che, in meccanica classica lo stato è osservabile. – Ora dico questo, che sembra scontato, perché in meccanica quantistica non è così. Dire che lo stato è osservabile significa che c’è una procedura precisa che ci permette, tramite un complesso di misurazioni, di rispondere a questa domanda Quindi se gli chiedo in quale stato è, io determino in quell’istante quale è la posizione, quale la velocità, quindi riesco a determinare lo stato. Perché si è arrivati così tardi alla meccanica classica? Perché la presenza enorme degli attriti sui fenomeni terrestri, e la totale assenza nei fenomeni celesti, fa si che le due cose sembrano staccate. Sembra che gli astri si muovono in maniera regolare etc, e invece sulla terra i fenomeni avvengano in maniera diversa. L’idea fondamentale che sta alla base di questa incomprensione, è che lo stato meccanico sia rappresentato solo dalla posizione, e che la forza influenzi la velocità. Infatti se io prendo un carrello e vi attacco un cavallo che imprime forza al carrello, ottengo una certa velocità, se attacco due cavalli ottengo una velocità maggiore. Ma questo 12 dipende dall’attrito, che fa si che sembra che la forza agisca sulla velocità, e non sull’accelerazione. Invece non è così. L’ambiente esterno, quindi le forze, influiscono sull’accelerazione, e non sulla velocità. Per questo solo in tempi relativamente recenti si è arrivati alla conclusione che lo stato sia una funzione della velocità, e che le forze esterne abbiano influenza sulle accelerazioni. Quindi cosi si spiega il caso di prima del carrellino. L’attrito tipicamente è una costante proporzionale alla velocità, quindi la velocità è la velocità di prima e poi costantemente, proporzionalmente alla velocità, riceve una variazione negativa. Quindi le velocità tendono a diminuire. – In assenza d’attrito il carrellino è un fenomeno oscillatorio costante; in presenza d’attrito diviene un fenomeno oscillatorio smorzato. Quindi, senza attrito, se voi sottoponete a forza costante un sistema newtoniano, allora il sistema accelererà continuamente. Se però voi, a forza costante mettete l’attrito, allora non andrà accelerando continuamente, perché aumentando la velocità aumenta anche l’attrito, finché la forza d’attrito compensa la forza costante esercitata sul sistema, quindi la velocità diventa costante. Quindi il punto fondamentale è banalissimo e cioè che, in meccanica classica lo stato è un osservabile. Quindi, il piano adesso è descrivere il sistema più semplice di meccanica quantistica. Sempre con andamento non storico, quindi senza il principio di complementarità, perché non c’è questo principio in meccanica quantistica. Cioè, nel passaggio dalla meccanica classica alla meccanica quantistica il concetto di stato e di osservabile in meccanica quantistica è stato costruito con grande fatica, e ci sono stati dei momenti in cui si usavano ancora dei concetti classici per descrivere il sistema quantistico. Principio di indeterminazione, principio di complementarità, il dualismo onda-corpuscolo, il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, il gatto di Schrodinger, non esistono in meccanica quantistica; essi dipendono dall’utilizzo di categorie classiche per fenomeni quantistici, fanno parte della storia, del guado. Quando la meccanica quantistica ha raggiunto la sua struttura definitiva, non ci sono più paradossi. In meccanica classica stato ed osservabile si confondono: nel momento in cui conoscete lo stato conoscete tutto del sistema. Per cui lo stato è un osservabile. Però, da un punto di vista operativo non bisogna confonderli. Lo stato rappresenta il complesso di variabili tali che ci mettono in grado di dire l’evoluzione temporale, conoscendo le condizioni in cui si trova il sistema. Gli osservabili sono le questioni che si possono porre al sistema, in corrispondenza di determinati dispositivi che permettono di dare la risposta in senso empirico. Il fatto che stato ed osservabile coincidano non 13 è necessario. Nella meccanica quantistica vedremo come si può preparare il sistema, il concetto di stato e quali sono le domande ammissibili sul sistema. Il punto è che, esiste un concetto di stato che permette di considerare l’evoluzione temporale del sistema in maniera deterministica, poi c’è una struttura di osservabilità del sistema che permette di dire che succede quando pongo domanda al sistema in un certo stato, quale saranno le risposte. Tra le questioni che posso fare al sistema non esiste: in quale stato ti trovi? Il punto è che si può chiedere: ti trovi o no in un certo stato? Abbiamo visto la struttura della meccanica classica; l’unica considerazione di natura storica che intendo fare è la seguente. Questa modellizzazione, tramite i concetti di meccanica classica, per la maggior parte dei fenomeni ve bene, non presenta problemi. Però, in una zona precisa, fisicamente determinata, in realtà non è sufficiente, occorre fare della modifiche. Quale è la zona? Ricordate che per l’oscillatore armonico l’impulso è massa per velocità. Questa descrizione classica non è adeguata, è questa inadeguatezza si è scoperta a poco a poco. Ora, in natura esiste una costante – chiamata h tagliato – che ha le dimensioni fisiche di una azione; ed in fisica una azione è tipicamente un impulso. Questa è una costante di natura, che si può determinare sperimentalmente, che si può misurare: è il quanto elementare d’azione; ed è molto piccola, e pur giocando un ruolo importante, in natura ed in fisica, essa è sfuggita all’attenzione. All’inizio del novecento è stata scoperta, ed è stata scoperta nella composizione spettrale della radiazione del corpo nero. Voi sapete che i forni quando sono riscaldati hanno questo fenomeno meraviglioso, che all’inizio, nel buio sono di colore rosso, poi, via via che vengono scaldati il colore diventa sempre più bianco. Lo spettro di radiazione del forno riscaldato dipende dalla temperatura, ed era oggetto di studio alla fine del novecento, e non si riusciva a capire sulla base dei concetti della meccanica classica. Planck ha scoperto che esiste questa costante, detta appunto costante di Plank, perché c’è questa piccola modifica nella conformazione spettrale del corpo nero. Naturalmente non faccio la storia della meccanica quantistica. Voglio dire soltanto che la meccanica classica comincia a diventare insufficiente nei fenomeni in cui le azioni coinvolte diventano molto piccole paragonate al quanto elementare d’azione. Il fatto che uno non si accorga di grandezze che pur in fisica esistono dipende dalle dimensioni coinvolte dai fenomeni analizzati. 14 Arrivati a questo punto i corsi tradizionali di meccanica quantistica partono dalla crisi della meccanica classica che porta a questo traghettamento verso la meccanica quantistica. Per far vedere la struttura della meccanica quantistica io prenderò il sistema fisico il più lontano possibile dalla meccanica classica, che si chiama il Two-Level-Sistem, che è il più semplice sistema quantistico. Se prendessimo in considerazione l’oscillatore armonico varrebbe la considerazione che, a grandi azioni varrebbe la struttura classica, però a piccole azioni, cioè prossime al quanto elementare d’azione, essa dovrebbe essere sostituita dalla meccanica quantistica. Poi si dovrebbe dimostrare, quello che si chiama principio di corrispondenza, che la struttura quantistica comprende la struttura classica quando le azioni sono grandi. E’ importante quindi che capire che non è vero che la meccanica classica è dimostrata falsa dalla meccanica quantistica, al contrario è dimostrata vera però all’interno del suo campo d’azione. Io prenderò il sistema più quantistico che ci sia, ed è il sistema in cui l’aspetto più paradossale della meccanica quantistica, cioè il concetto di stato ed il rapporto tra stato ed osservabile, risalta nella maniera più forte. Ora vediamo questo sistema a due livelli, che è un sistema fisico preciso, che è il cosiddetto spin dell’elettrone: una piccola trottolina rotolante indipendentemente dallo stato di traslazione. Quindi, esistono sistemi fisici di questo tipo. Quindi vedremo sia il discorso di modellizzazione teorica sia quello di rappresentazione empirica, tramite operazioni di misura che possono essere fatte sul sistema. Dobbiamo descrivere lo spazio della fasi, e dobbiamo dire quali sono le osservabili, come si misurano e cosa succede quando si fa una misura sul sistema. Lo spazio degli stati è una cosa, per così dire, molto semplice. Anzi, è una cosa sconcertante che tutti i sistemi quantistici hanno lo stesso spazio degli stati, oppure un sottoinsieme dello stesso spazio degli stati. Considerate una sfera di raggio unitario, immaginate che vi sia il polo nord, il polo sud, l’equatore ecc. Immaginate la superficie di questa sfera, che si chiama sfera di polarizzazione. Un punto su questa superficie della sfera rappresenta uno stato del sistema. Questa è una affermazione molto forte: si presuppone che lo stato di moto sia possibile prepararlo. Cioè in linea di principio noi dobbiamo essere in grado di preparare questo sistema in questo stato. Quindi si presuppone che lo sperimentatore abbia un dispositivo in cui abbia una manopola sferica e che fissando questa manopola e premendo un bottoncino rosso lui prepara il sistema in questo stato. Quindi si regola il preparatore, si preme il bottoncino ed il sistema è in quello stato (omega). Esiste dunque il modello e poi esiste 15 tutta una parte sperimentale che è fatta da dispositivi di cui si spiega la costruzione. Comunque lo stato è un punto sulla sfera. Quali sono le osservabili? Esse avranno un corrispettivo a livello modellistico, ma è importante che l’osservabile, per esser tale, deve essere associata - ed è lo sperimentale che dice come si fa - con un dispositivo di misura. Ora, le osservabili di questo sistema sono delle questioni: io mi chiedo se il sistema è in omega primo. Il punto da capire è che non è un osservabile chiedere al sistema: in quale stato ti trovi? – questo sarebbe il principio di indeterminazione –, mentre è un osservabile, cioè una questione ammissibile, chiedere al sistema: ti trovi in omega primo? – cioè uno stato determinato – Quindi ci sono dispositivi di misura in cui si fissa, con questa manopola, lo stato (omega), poi c’è un dispositivo di misura che interroga il sistema: ti trovi in omega primo. Ora, se si trova in omega primo risponde si, se non è in omega primo risponde no. Il sistema è nello stato omega; omega primo è la questione che stiamo ponendo. Ora, sulla sfera, immaginate di prendere il diametro che passa in omega primo, proiettate omega. La proiezione spezzerà il diametro in due parti, Questo diametro è di lunghezza due. Vedete che c’è un pezzetto A e un pezzetto B. (A/2 + B/2 = 1). A è la sovrapposizione. Il sistema che sta in omega e che è interrogato se sta in omega primo è costretto a rispondere si o no. Qui c’è l’aspetto peculiare della meccanica quantistica, in cui, essendo costretto a rispondere, risponde – c’e una struttura probabilistica di fondo -: Si, con una probabilità data da A/2; e risponderà No con una probabilità data da 1 – A/2. Nella meccanica quantistica, genericamente, il risultato di una misura ha un aspetto probabilistico. Cioè si misura una sezione d’urto – come dicono i miei colleghi sperimentali – per cui può rispondere si o no con una probabilità come l’abbiamo vista. Questa struttura probabilistica è intrinseca e non è risolvibile. Cioè, facendo un piccolo inciso sulla teoria della variabili nascoste, essa non è risolvibile con della variabili nascoste: le predizioni della teoria delle variabili nascoste danno valori che sono in disaccordo con i dati sperimentali. Questo comportamento probabilistico è una proprietà di struttura. Ora dobbiamo aggiungere una piccola cosa che è però fondamentale per la meccanica quantistica e che è espressa in maniera magistrale da Planck, ed è una forma di fiducia nel sistema. Supponiamo che il sistema risponda si. Se gli rifate subito immediatamente la domanda voi vi aspettate che risponda si di nuovo. Cioè avendo risposto si il sistema si trova in omega primo; se ha risposto no allora andrà a finire all’antipode di omega primo. Quindi i sistemi quantistici non soltanto danno la risposta ma si adeguano alla risposta data: questo storicamente si chiama riduzione del pacchetto d’onda. 16 Il dispositivo di misura è un dispositivo che ha una manopola che fissa la domanda, poi si preme il bottoncino rosso ed il dispositivo interroga il sistema. Quindi il misuratore diventa anche un sistema di preparazione del sistema: cioè se risponde si alla domanda sei in omega primo, abbiamo preparato il sistema in omega primo. E’ una struttura congegnata in maniera talmente forte che una eventuale contraddizione si sarebbe scoperta subito. Ho scelto di considerare il sistema a due livelli perché posso disegnarlo, purtroppo la spazio della fasi già di un sistema a tre livelli è uno spazio a quattro dimensioni, che non si vede più bene. Una cosa importantissima e che: se io non facessi la misurazione l’evoluzione dinamica del sistema quantistico è identica a quella classica, perché il campo magnetico – i campi magnetici sono dei vettori che hanno tre dimensioni e una forza – che agisce sul sistema determina una rotazione intorno al campo magnetico, determina una precessione secondo la regola della mano sinistra, e il sistema evolve deterministicamente. L’evoluzione dinamica per quanto riguarda lo stato è deterministica, però il collegamento tra lo stato e gli osservabili è di natura probabilistica. La meccanica quantistica, nella sua formulazione attuale, distingue in maniera molto netta l’intervento dall’esterno fatto su un sistema sotto forma, ad esempio, di un campo magnetico che agisce sul sistema, dal misuratore. Invece i misuratori sono contraddistinti dal fatto che il sistema agisce subito e nello stesso tempo il misuratore influenza fortemente il sistema. .Nel caso dell’evoluzione deterministica sotto l’azione del campo magnetico c’è azione del mondo esterno sul sistema ma non viceversa, cioè non è una misura. Un misuratore è una struttura peculiare che interroga il sistema e da una risposta, quindi è fortemente influenzato dal sistema. Da un punto di vista storico è importante l’esperimento di Einstein, Podolsky, Rosen, che serve a capire la meccanica quantistica, ma non a superarla. Io adesso non descrivo l’esperimento; voglio riferirmi semplicemente al complesso di fenomeni che derivano da – Einstein è un fisico teorico che non ha accettato la meccanica quantistica perché c’è il problema del dado (“Dio non gioca a dadi col mondo”), mentre per la meccanica quantistica il fattore probabilistico è fondamentale – Era naturale, nell’epoca in cui si formava la meccanica quantistica, pensare ad una struttura tipo variabili nascoste. Cioè, avendo preparato lo stato omega, l’interrogo su omega primo, mi dice Sì, va in omega primo, mi dice No va in omega secondo (l’antipode di omega primo) – quindi la meccanica quantistica deve precisare lo spazio degli stati, quali sono le osservabili e quale è la probabilità con cui il sistema va in omega primo o in omega 17 secondo. Allora c’è un tentativo che vuole ridurre la struttura quantistica alla classica, cioè la teoria delle variabili nascoste, che dice che un sistema quantistico, oltre ad avere la sua connotazione di stato da punto di vista quantistico ha anche delle variabili di cui noi non siamo a conoscenza che sono quelle che fanno si che interrogato il sistema risponda si o risponda no. Questa teoria fisica ha una connotazione ben precisa, cioè senza contraddizioni interne, però che è in contrasto con i fatti sperimentali di meccanica quantistica. Il punto fondamentale da tenere presente è che il concetto di stato in meccanica quantistica è molto più ricco e complicato di quello classico, per cui se uno sovrappone dei concetti classici a discorsi quantistici va incontro a delle contraddizioni, di cui questa è la più evidente, che: è osservabile la posizione, è osservabile l’impulso ma non lo sono contemporaneamente, e non esistono dispositivi per farlo. Se uno tenta di imporre che esistono queste osservabili trova poi delle correlazioni che non sono quantistiche e si giunge alla controversia. Ora si dovrebbe dire qualcosa sul cosiddetto principio di corrispondenza. E’ vero che l’oscillatore armonico classico e quello quantistico sono profondamente differenti però esiste questo principio di corrispondenza, la cui formulazione precisa è anche molto complicata. Succede che: il sistema è sempre quantistico. C’è sempre una discrepanza tra una descrizione quantistica e una classica, però esiste una zona quantistica in cui le azioni coinvolte sono molto più grandi della costante di Plank, per cui, relativamente ad alcune – non tutte – osservabili la descrizione quantistica e quella classica coincidono nella misura di un errore che è dell’ordine della costante di Plank. Però anche in questa zona esistono delle osservabili non interpretabili in termini classici. L’ultimissima cosa, che riguarda un concetto di spazialità tridimensionale. Supponiamo il sistema solare, con il sole fermo al centro e poi tutti i pianeti. Ogni pianeta è individuato da una posizione che richiede tre variabili, un impulso che richiede altre tre variabili; ci sono sette pianeti, si fa il conto e vengono un certo numero di variabili che descrivono il sistema. Lo spazio delle fasi dei pianeti è in questo spazio a 42 dimensioni. Conoscendo lo stato del sistema Newton ci da le leggi che ci consentono di conoscere il sistema in istanti successivi – anche precedenti. Ora, un punto fondamentale della meccanica classica è che ha senso prendere un sistema e individuarlo come composto da sotto-sistemi: lo stato del sistema composto è determinato dalla coppia degli stati dei sistemi componenti. Per ogni pianeta abbiamo un sotto-sistema, con sei variabili, e lo stato del sistema solare si conosce se si conoscono gli stati dei sistemi componenti. C’è una 18 sorta di proprietà di fattorizzazione. Un sistema composto da sottosistemi ha una spazio degli stati che è il prodotto cartesiano degli spazi degli stati dei sottosistemi. In meccanica quantistica non è così. Lo spazio degli stati di un sistema composto da due sottosistemi non è il prodotto cartesiano dello spazio degli stati dei due sistemi componenti, è in realtà molto più grande. Questo è il famoso problema dell’entaglement, dell’aggrovigliamento. Anzi, purtroppo, da un punto di vista strettamente fisico non ha nemmeno molto senso dividere un sistema quantistico in due sottosistemi. Ce lo ha relativamente ad alcuni osservabili. 19