Sezione 7 L`Universo Primordiale

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Sezione 7
L’Universo Primordiale
Corso di Astrofisica Teorica
Cosmology Course
Prof. Alberto Franceschini
In parte basato su appunti di: Alice De Biasi e Brunetto
Marco Ziosi
Indice
1 Il modello cosmologico standard
1.1 L’equazione di stato generalizzata per un fluido cosmico perfetto
1.2 La Singolarità Iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Generalizzazione della dinamica di Friedmann . . . . .
1.2.2 La Singolarità Iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Inevitabilita’ del Big Bang . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 L’Era di Planck . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Cosmologia quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Cosmologia di stringa e di brana . . . . . . . . . . . .
1.4.2 Unificazione di gravita’ e meccanica quantistica nella
teoria delle superstringhe . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Gli
2.1
2.2
2.3
Orizzonti Cosmologici
Che cos’e’ un orizzonte . . . . . . . . . . . . . . . .
Orizzonti in un Universo statico . . . . . . . . . .
Orizzonti in un Universo in espansione . . . . . . .
2.3.1 La sfera di Hubble . . . . . . . . . . . . . .
2.3.2 Orizzonte delle particelle . . . . . . . . . . .
2.3.3 Universi senza orizzonte delle particelle . . .
2.3.4 Rappresentazioni nel tempo conforme . . . .
2.4 Rappresentazioni formali degli orizzonti cosmologici
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3 Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
3.1 Il modello a Big Bang Caldo. Equilibrio termodinamico primordiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Successi e problemi del Modello Standard Classico . . . . . .
3.2.1 Il problema della piattezza cosmica . . . . . . . . . .
3.2.2 Il problema dell’orizzonte cosmologico . . . . . . . . .
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2
2
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28
29
29
37
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38
42
43
44
1
INDICE
3.3
3.2.3 Il problema dei monopoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.2.4 Il problema della costante cosmologica . . . . . . . . . 46
Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
4 Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
4.1 Costituenti fondamentali della materia . . . . . . . . . . . . .
4.2 Le Interazioni Fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3 La Fisica delle Transizioni di Fase . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4 Transizioni di Fase Cosmologiche . . . . . . . . . . . . . . . .
4.5 Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard . . .
4.5.1 Costanza del parametro di Hubble durante l’Inflazione
4.5.2 Soluzione al problema della Piattezza . . . . . . . . . .
4.5.3 Soluzione al problema dell’Orizzonte . . . . . . . . . .
4.5.4 Soluzione al problema dei Monopoli . . . . . . . . . . .
4.5.5 Origine dello spettro primordiale delle perturbazioni
scalari e tensoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5 Modelli Inflazionari
5.1 Tipologie di inflazione . . . . . . .
5.1.1 Inflazione vecchia . . . . . .
5.1.2 Inflazione nuova . . . . . . .
5.1.3 Modello Inflazionario Aperto
5.1.4 Inflazione caotica . . . . . .
5.1.5 Inflazione stocastica . . . .
5.1.6 Altri modelli . . . . . . . . .
5.2 Successi e problemi dell’inflazione .
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71
72
72
73
Capitolo
1
Il modello cosmologico standard
Affrontiamo in questa Sezione alcune questioni fondamentali riguardanti l’Universo primordiale. Esse riguardano, tra l’altro: alcuni dei molti processi
fisici in gioco, le nostre possibilita’ osservative delle prime fasi evolutive, i
limiti in generale delle nostre osservazioni come unico ”osservatore fondamentale”, alcuni (clamorosi) successi del modello Standard classico di Big
Bang e alcuni suoi problemi fondamentali. Discuteremo cosi’ brevemente il
piu’ invocato modello (il modello inflazionario) in grado non solo di risolvere
parte di queste incongruenze, ma anche di offrire vantaggi e nuove possibilita’
di interpretazione di alcuni fatti fondamentali della cosmologia.
1.1
L’equazione di stato generalizzata per un
fluido cosmico perfetto
Dovendo discutere l’evoluzione cosmologica lungo una sequenza di ere caratterizzate da una enorme varieta’ di processi e situazioni fisiche (si veda uno
schema illustrativo sintetico in Figura 1.1), e’ utile realizzare una semplice
generalizzazione dell’equazione di stato del fluido cosmico.
Un’approssimazione sufficientemente realistica in uso per la descrizione
dell’Universo e’ quella di un fluido ideale perfetto. Se infatti il libero cammino medio tra le particelle collisionali e’ molto inferiore alla scala fisica
di interesse, allora le componenti dell’universo possono essere rappresentate
come un fluido. Inoltre il tensore energia-impulso, dovendo assumere una
forma compatibile con il Principio Cosmologico, deve ad esempio possedere
una pressione isotropa. Questo e’ uno degli argomenti per ritenere il fluido
cosmico come perfetto.
3
Il modello cosmologico standard
Figura 1.1: Schema delle principali fasi evolutive dell’Universo dopo il Big
Bang.
1.1 L’equazione di stato generalizzata per un fluido cosmico
perfetto
4
Per completare la descrizione di tale fluido, abbiamo inoltre bisogno di
una specifica equazione di stato, che leghi p e ρ del fluido stesso.
Introduciamo una equazione di stato generalizzata che fornisca una ricetta
semplice e concisa delle varie situazioni dinamiche che si possono presentare
in varie diverse ere cosmologiche. Si tratta ovviamente di una approssimazione, ma che risulta abbastanza realistica dal momento che il cammino libero
medio delle varie componenti e’ molto minore delle scale fisiche considerate.
L’equazione di stato e’ cosi’ espressa dalla relazione
p = wρc2
(1.1)
in cui il parametro w, detto parametro di stato, e’ una costante con valori
tipicamente compresi nell’intervallo 0 < w < 1 (detto intervallo di Zel’dovich). Nelle varie ere cosmiche il parametro w potra’ assumere valori differenti a seconda delle situazioni fisiche che dominino la dinamica cosmica
1
.
Per esempio, un fluido non relativistico esercita una pressione che si puo’
considerare trascurabile p = w (T ) ρc2 con w → 0. Cio’ ad es. si verifica durante la Matter Dominated Era. Al contrario, un fluido di particelle
relativistiche non degeneri in equilibrio termico ha una equazione di stato
1
p = ρc2
3
Anche la velocità del suono
(1.2)
2
cs =
∂p
∂ρ
1/2
(1.3)
e’ ovviamente legata al parametro w: per w =√0 pure cs = 0, mentre per
w = 1/3, il caso relativistico, otteniamo cs = c/ 3.
Con la nostra descrizione generalizzata delle condizioni fisiche del fluido
cosmico, e considerando l’espansione dell’Universo come adiabatica, la generalizzazione relativistica della legge di conservazione dell’energia (1a legge
1
Il parametro w puo’ essere riferito all’intero fluido cosmico, nel caso in cui ad esempio
una sola componente lo domini (radiazione, energia), oppure ad una singola delle componenti presenti ad un certo tempo cosmico. Questo e’ il caso ad esempio del tempo attuale,
nel quale abbiamo due distinte componenti contribuenti alla dinamica, di materia (per
la quale vale wm = 0) e di energia oscura (per la quale vale wm = −1 se interpretabile
come costante cosmologica). Nel caso del dato in asse Y riportato in Fig. 6.10.2, il suo
significato e’ appunto questo, non quello di rappresentare il parametro di stato per l’intero
universo attuale.
2
Rimandiamo per una discussione piu’ approfondita della velocita’ del suono in
cosmologia al Cap. 3.3.1 della Sez. 5, CMBR.
5
Il modello cosmologico standard
della temodinamica) sara’:
dE = −pdV,
c2 d(ρa3 ) = −3pa2 da;
p 3
da
c2
(ρ + p/c2 )da3 = −a3 dρ
ρd(a3 ) + a3 dρ = −
(1.4)
(1.5)
L’equazione di stato (1.1) combinata con questa legge di conservazione danno
ρ(1 + w)da3 = −a3 dρ;
3
ln(ρ) = −(1 + w)ln(a );
ρa
3(1+w)
dρ/ρ = −(1 + w)da3 /a3 ;
=
3(1+w)
ρ0 a 0
= const = ρ0
(1.6)
(1.7)
da cui ricaviamo la classica relazione tra densità e fattore di scala normalizzato a(t) per materia e radiazione. La densità (di energia) nel caso della
radiazione decresce più rapidamente (espondente 4 invece di 3) perché, oltre
che della variazione di volume, si deve tener conto anche della diminuzione
di energia delle particelle causata dal redshift.
Sulla base della Relativita’ Generale, il parametro di stato w non puo’
assumere valori superiori all’unita’ in quanto cio’ comporterebbe cs > c, ossia
una violazione del principio di causalita’.
Il caso w = 0 rappresenta un fluido a pressione nulla (che chiameremo un
universo di polvere) ma approssima bene qualunque fluido o gas non relativistico nell’ipotesi che mp c2 ≫ kB T (si veda la discussione sulla velocita’ del
suono alle varie epoche cosmiche nella Sez.5, cap. 3.3.1), per cui la pressione
e’ relativisticamente irrilevante. Il caso w < 0 invece corrisponderebbe ad
una velocità del suono immaginaria.
Dovremo essere tuttavia aperti alla possibilita’ che il parametro w assuma
anche valori negativi, come vedremo. Per semplicità assumiamo il caso di w
costante nel tempo durante una certa era cosmica. Ad esempio, un fluido
con w = −1 corrisponde alla situazione fisica della dominanza della costante cosmologica, la cui densità di energia non diminuisce con l’espansione
dell’Universo, come si puo’ immediatamente dedurre da eq. 1.6.
1.2
1.2.1
La Singolarità Iniziale
Generalizzazione della dinamica di Friedmann
Modelli di Universo composti di un fluido che abbia equazione di stato con
parametro compreso nell’ampio intervallo di valori − 31 < w < 1 godono della
proprieta’ di possedere un istante di tempo in cui a si annulla e la densita’,
con tutti i parametri termodinamici, divergono. Questo istante prende il
1.2 La Singolarità Iniziale
6
nome di singolarita’ iniziale, o del Big Bang. Per mostrare quanto cio’ sia
inevitabile, riscriviamo l’equazione di Friedmann nella forma
2
2 2 ȧ
8π
kc
a
=
−
Gρ
.
(1.8)
a0
3
a0
a20
La dipendenza dal valore del fattore di scala al tempo attuale a0 = a(t0 )
qui indicata puo’ essere omessa (a0 = 1) e questa sara’ la nostra scelta nel
seguito. Ricordiamo la definizione di parametro di densita’ Ωm = ρρ0c0 con
3H02
ρ0c =
,
8πG
(1.9)
dove H0 = ȧ0 /a0 . Introduciamo ora il parametro di densita’ generalizzato per un fluido con parametro di stato w
Ωw (z) =
8πGρw (z)
,
3H(z)2
(1.10)
e ricordando che, da eq. (1.7),
ρw (z) = ρ0w (1 + z)3(1+w) = ρ0w a(t)−3(1+w) ,
(1.11)
dove il suffisso 0 e’ riferito al tempo cosmico attuale. Utilizzando la 1.8, e
introducendo il parametro di densita’ generalizzato al tempo attuale:
ρ0w
Ω0w =
(1.12)
ρ0c
otteniamo l’equazione di Friedmann generalizzata:
(ȧ)2 = H02 Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )
(1.13)
3kc2
,
8πGρ0c
come discusso nella Sezione 0, o in alternativa:
H 2 (t) = H02 a−2 Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )
(1.14)
con 1 − Ω0w ≡ Ω0k =
dove H(t) = ȧ/a e’ il parametro di Hubble a generico tempo t. Si suppone
ovviamente che ad un generico tempo t, per esempio il tempo cosmico attuale
t0 , l’Universo sia in espansione, con ȧ(t) > 0.
A sua volta, la prima equazione della dinamica, che include nel tensore
metrico termini di densita’ di massa-energia e di pressione, diviene
4π
4π
3p
ä(t) = − G ρ + 2 a(t) = − G(1 + 3w)ρ a(t) =
(1.15)
3
c
3
4π
= − Gρ0w (1 + 3w) a(t)−2−3w
(1.16)
3
7
Il modello cosmologico standard
Figura 1.2: Concavità del parametro di espansione in funzione del tempo. Si
vede come a t = 0 questo si annulli dando origine alla singolarità.
1.2 La Singolarità Iniziale
8
avendo utilizzato ancora le rel. 1.1 e 1.11.
Infine, stabiliamo le relazioni fondamentali tra tempo cosmico e fattore
di scala a(t) in modo generalizzato:
dt =
1.2.2
da(t)
da(t)/a
d ln a(t)
a(t) d ln a(t)
=
=
=
1/2
ȧ(t)
H(t)
H(a)
H0 [Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )]
(1.17)
La Singolarità Iniziale
Dall’equazione dinamica nella sua generalizzazione relativistica 1.16, considerato che per definizione il fattore di scala a(t) e’ positivo, si puo’ vedere
che avremo ä < 0 per ogni valore del tempo cosmico t se (ρ + 3p/c2 ) > 0; in
altre parole, questo richiede (1 + 3w) > 0, ovvero w > −1/3, dal momento
che ρ > 0. Cio’ stabilisce che la funzione a(t) sia necessariamente concava
verso il basso. Si puo’ vedere quindi che a(t) deve annullarsi a qualche tempo
finito t nel passato, che possiamo denominare come t = 0.
Poiche’ a(0) = 0, in questo punto la densita’ ρ diverge, come il parametro
di espansione di Hubble e tutte le altre variabili termodinamiche. Si puo’
inoltre vedere che, poiche’ a(t) e’ una funzione concava, il tempo tra la singolarita’ e l’epoca t deve essere sempre inferiore al tempo caratteristico di
espansione dell’Universo, τH = 1/H = a/ȧ. La combinazione di eq. 1.14 e
1.16 porta all’evoluzione di a(t) in Figura 1.2.
La singolarita’ del Big Bang e’ inevitabile quindi per tutti i modelli omogenei ed isotropi che contengano un fluido con parametro di stato w > − 31 :
questi valori includono quindi l’intervallo ”fisico” di Zel’dovich, in abbondanza. Modelli fisici d’Universo prevedono come inevitabile la Singolarita’
Iniziale. L’esistenza di una singolarita’ e’ quindi un risultato molto generale,
basato sulle conoscenze fisiche attuali. Essa e’ invece evitabile, per esempio,
in modelli con costanti cosmologiche non nulle e con valori molto elevati (la
costante cosmologica misurata al tempo attuale ha un valore estremamente piccolo, vedi nella prossima Sez.), o in Universi dominati da materia con
parametro di stato w < − 31 .
Si noti infine che l’espansione dell’Universo, descritta dal modello a Big
Bang, non e’ dovuta in nessun modo all’effetto della pressione, che agisce
sempre a decelerare l’espansione, ma e’ il risultato delle condizioni iniziali
che descrivono un Universo omogeneo e isotropo. Un altro tipo di condizione
compatibile con il Principio Cosmologico, quella a contrazione ȧ < 0, conduce
ad un collasso isotropico dell’Universo attraverso una singolarita’ che prende
il nome di Big Crunch.
9
Il modello cosmologico standard
1.2.3
Inevitabilita’ del Big Bang
Tutti i modelli cosmologici omogenei ed isotropi contenenti un fluido perfetto
con equazione di stato:
p = wρc2
(1.18)
dove 0 ≤ w ≤ 1 e’ un parametro costante, possiedono una singolarita’ a
t = 0 dove la densita’ diverge e le distanze proprie tra due punti tendono a
zero. Tale singolarita’ prende il nome di Big Bang. La sua esistenza e’ una
diretta conseguenza di quattro assunzioni fondamentali (teorema di Penrose
and Hawking):
1. il Principio Cosmologico;
2. le equazioni di campo della Relativita’ Generale di Einstein, in assenza di una costante cosmologica di valore elevato (vedi eq. (1.22) nel
seguito);
3. l’espansione dell’Universo (ossia (ȧ/a)0 = H0 > 0)
4. la forma assunta per l’equazione di stato, ossia quella di un gas perfetto
con parametro di stato con valori naturali, ossia 0 ≤ w ≤ 1, o persino
−1/3 ≤ w ≤ 1.
Il Big Bang potrebbe essere interpretato come una estrapolazione dedotta
dalla teoria della Relativita’ Generale, in una situazione in cui tale teoria
non e’ più valida. E’ infatti necessario un nuovo insieme di leggi fisiche
per descrivere il comportamento della materia in prossimita’ del Big Bang,
quando densita’ e temperatura raggiungono temperature molto più elavate
di quelle riproducibili in laboratorio.
In particolare, qualsiasi teoria sulla materia, deve tenere in considerazione l’insorgere di effetti quantistici su scala cosmica, sotto tali condizioni
estreme di densita’, temperatura e scala spaziale. Questa nuova teoria, che
si sostituisce nel regime delle alte energie alla relativita’ generale, prende il
nome di quantum gravity, anche se la strada per costruire attorno ad essa un
formalismo soddisfacente si presenta ancora molto impervia.
Potrebbe anche accadere che in una teoria completa della gravita’ quantistica
la singolarita’ cosmologica del Big Bang fosse rimossa. In altre parole, l’esistenza potrebbe essere semplicemente frutto dell’incompletezza della teoria
della Relativita’ Generale.
In ogni modo appellarsi alla gravita’ quantistica potrebbe non essere l’unica strada per evitare la singolarita’ iniziale. Rimanendo all’interno della
1.2 La Singolarità Iniziale
10
teoria di Einstein, in via puramente teorica possiamo infatti evitare la singolarita’ semplicemente ipotizzando, per l’Universo primordiale, un’equazione
di stato differente rispetto a quella di un fluido perfetto, con p/ρ > − 31 .
Ancora in relazione all’equazione di Friedmann:
p
4
(1.19)
ä = − πG ρ + 3 2 a,
3
c
l’argomento fornito nella sezione precedente basato sulla concavita’ di a(t)
potrebbe non essere più valido, e quindi la singolarita’ evitata, in presenza di
un fluido con w < − 13 . Un fluido di questo genere si dice violi la condizione
forte di conservazione dell’energia.
Ci sono vari modi in cui tale condizione puo’ essere violata. Per esempio
descrivendo il contenuto dell’Universo come un fluido imperfetto, nel quale la viscosita’ e la conduttivita’ termica non siano trascurabili. Il tensore
energia-impulso conterra’ quindi una dipendenza dal coefficiente di viscosita’
di scorrimento η, da quello di viscosita’ di volume ζ e dalla conduttivita’
termica χ. Il significato fisico dei primi due coefficienti puo’ essere compreso
attraverso l’equazione del moto di Eulero per un fluido non relativistico con
trascurabile auto-gravita’:
∂v
1
ρ
+ (v · ∇)v = −∇p + η∇2 v + (ζ + η)∇(∇ · v).
(1.20)
∂t
3
Si puo’ dimostare che nella metrica di Robertson-Walker i termini in η e χ
devono essere nulli a causa del’omogeneita’ e dell’isotropia; non ci sono di
conseguenza gradienti in pressione e temperatura. Il termine di viscosita’ di
volume, pero’, non deve essere necessariamente uguale a zero: l’effetto sull’equazione di Friedmann e’ la sostituzione della pressione p con una pressione
“ effettiva” p∗ :
ȧ
p → p∗ = p − 3ζ ,
(1.21)
a
e il tensore energia-impulso diventa
ȧ
ȧ
2
gij + p − 3ζ + ρc Ui Uj .
(1.22)
Tij = − p − 3ζ
a
a
L’equazione 1.19 non cambia nella forma, ma la pressione p viene sostituita
da quella effettiva p∗ = p − 3ζ ȧa . Generalmente, la viscosita’ di volume e’ trascurabile nei fluidi non relativistici e in quelli ultra-relativistici. Essa non e’
necessariamente piccola nel regime intermedio, ossai nel caso di una mistura
di fluido relativistico e non relativistico. Con un’espressione appropriata per
ζ (per esempio ζ = α∗ ρ con α∗ = const > 0 o ζ = const > 0) si potrebbe
11
Il modello cosmologico standard
formalmente ottenere una soluzione omogenea ed isotropa dell’equazione di
Einstein, priva della singolarita’ iniziale.
Un’altra strada per evitare la singolarita’ del Big Bang e’ di porci in un
Universo con una costante cosmologica Λ non nulla e positiva. L’attuale
valore di Λ e’ tuttavia molto piccolo e limitato osservativamente come segue:
|Λ| <
H0
c
2
≃ 10−55 cm−2 .
(1.23)
Gli effetti di tale costante cosmologica nei primi istanti dell’Universo devono
essere stati del tutto trascurabili, dato che la sua importanza dinamica cresce
con il tempo. Un approccio più realistico e’ di interpretare la costante cosmologica come una quantita’ legata alla densita’ di energia del vuoto di un
campo quantistico; questa potrebbe essere una quantita’ dinamica più importante nel passato di quanto lo sia attualmente, che richiederebbe dunque
una energia del vuoto variabile nel tempo, al contrario della previsione relativistica di una Λ costante. Nell’ipotesi avenzate dalle teorie inflazionarie, che
verranno analizzate in seguito, la dinamica dell’Universo primordiale e’ dominata da un campo scalare di forze omogeneo ed isotropo, la cui evoluzione
e’ governata dalla classica lagrangiana:
1
LΦ = Φ̇2 − V (Φ),
2
(1.24)
dove il primo termine e’ cinetico e il secondo e’ il potenziale effettivo. Utilizzando ora le unita’ naturali (c = ~ = 1), troviamo per il tensore energiaimpulso:
Tin (Φ) = −pΦ gij + (pΦ + ρΦ c2 )Ui Uj ,
(1.25)
dove la densita’ di energia ρΦ c2 e la pressione pΦ , possono essere interpretate
come quantita’ effettive ed espresse come
1
ρΦ c2 = Φ̇2 + V (Φ)
2
(1.26)
1
pΦ = Φ̇2 − V (Φ).
2
(1.27)
In particolare, se il termine cinetico e’ trascurabile rispetto al termine del
potenziale, l’equazione di stato effettiva per il campo diventa:
pΦ ≃ −ρΦ c2 .
(1.28)
1.3 L’Era di Planck
12
Il campo scalare puo’ quindi essere trattato come un fluido con un parametro
dell’equazione di stato w < −1/3 (tale da violare la condizione di energia
forte) o con una costante cosmologica effettiva
Λ=
8πG
ρΦ .
c2
(1.29)
La densita’ ρΦ e’ del tutto trascurabile attualmente, ma deve essere stato
il fattore dinamico dominante in una certa fase dell’evoluzione dell’Universo.
Inoltre deve aver rivestito un ruolo chiave nella fase inflazionaria.
Se la singolarita’ del Big Bang sia evitabile o meno rimane un problema completamente aperto, come senza risposta rimane anche la domanda se
abbia senso considerare eventi nell’Universo per t < 0. Tutte queste problematiche vengono raccolte sotto il nome di problema dell’origine dell’Universo,
e rappresentano la più grande lacuna della cosmologia moderna.
1.3
L’Era di Planck
Come gia’ detto precedentemente, la teoria della relativita’ generale deve
essere modificata in situazioni in cui la densita’ tenda all’infinito, per tenere
in considerazione gli effetti quantistici che in tali situazioni sorgono sulla
scala degli orizzonti cosmologici.
In mancanza di una teoria completa per la gravita’ quantistica, e’ difficile
stabilire con precisione quando tali effetti quantistici diventino significativi.
Tuttavia e’ possibile produrre una stima sulla scala temporale ed energetica
in cui ci aspettiamo effetti di gravitazione quantistica abbastanza grandi da
modificare i calcoli basati unicamente sulla teoria della relativita’ generale. Il
limite di validita’ della teoria di Einstein nei modelli di Friedmann e’ fissato
dal tempo di Planck che e’ dell’ordine di 10−43 secondi dopo il Big Bang,
come discusso nel seguito.
• Il tempo di Planck tP e’ il tempo per cui le fluttuazioni quantistiche
persistono sulla scala della lunghezza di Planck, lP ≃ ctP . Da questa
scala e’ possibile costruire una massa di Planck, mP ≃ ρP lP3 , dove
la densita’ di Planck e’ dell’ordine di ρP ≃ (Gt2P )−1 (dalle equazioni di
Friedman, ovvero considerando il tempo-scala di collasso che e’ eguale a
quello dell’espansione). Partendo ora dal principio di indeterminazione
di Heisemberg:
∆E∆t ≃ ~
(1.30)
13
Il modello cosmologico standard
da questa si dimostra, per analisi dimensionale,
∆E∆t ≃ mP c2 tP ≃ ρP (ctP )3 c2 tP ≃
da cui
tP ≃
~G
c5
1/2
c5 t4P
≃ ~,
Gt2P
≃ 10−43 s.
(1.31)
(1.32)
Altre quantita’ legate al tempo di Planck sono:
• la lunghezza di Planck
lP ≃ ctP ≃
1/2
G~
c3
≃ 1.7 × 10−33 cm,
(1.33)
che rappresenta l’ordine di grandezza dell’orizzonte cosmologico a t =
tP ;
• la densita’ di Planck
ρP ≃
c5
1
≃
≃ 4 × 1093 g cm−3 ;
Gt2P
G2 ~
(1.34)
• la massa di Planck (ossia la massa all’interno dell’orizzonte a tP )
mP ≃
lP3 ρP
≃
~c
G
1/2
≃ 2.5 × 10−5 g
(1.35)
≃ 1098 particelle cm−3 ;
(1.36)
• la densita’ numerica effettiva a tP
nP ≃
lP−3
ρP
≃
≃
mP
c3
G~
3/2
• l’energia di Planck
2
E P ≃ mP c ≃
~c5
G
1/2
≃ 1.2 × 1019 GeV;
(1.37)
• la temperatura di Planck
EP
TP ≃
≃
kB
~c5
G
1/2
−1
kB
≃ 1.4 × 1032 K.
(1.38)
1.3 L’Era di Planck
14
La temperatura di Planck si puo’ trovare anche come
ρP c2 ≃ σTP4 .
(1.39)
dove σ e’ l’entropia adimensionale all’interno dell’orizzonte, che al tempo di Planck assume il valore
σP ≃
ρP c2 lP3
≃ 1,
kB TP
(1.40)
che rinforza la tesi che c’e’, in media, un’unica “particella” di massa di
Planck all’interno dell’orizzonte al tempo di Planck.
• il redshift di Planck: dalla temperatura di Planck, per confronto con
T0 , si ha:
TP
∼ 1032 .
(1.41)
zP ∼
T0
E’ da notare che tutte le quantita’ legate al tempo di Planck, possono
essere derivate da un’analisi dimensionale delle costanti fondamentali della
fisica c, G, kB e ~.
Vediamo ancora riguardo al significato fisico del tempo tp .
• Definiamo il tempo di Compton per un corpo di massa m come
tc = mc~ 2 , questo equivale all’intervallo di tempo durante il quale si
puo’ violare la conservazione dell’energia di ∆E ∼ mc2 , e la lunghezza
~
di Compton come lc = ctc = mc
. A queste scale vale la meccanica
quantistica.
• Il raggio di Schwarzshild dello stesso corpo e’ determinato da ls =
2Gm
ed e’ il raggio che deve avere un corpo di massa m perché la sua
c2
energia gravitazionale interna equivalga a quella della massa a riposo.
Viene considerata l’energia cinetica per unita’ di massa c2 /2 come se
fosse un corpo non relativistico. Possiamo definire cosi’ il tempo di
Schwarzshild come ts = ls /c = 2Gm
.
c3
√
• Infine consideriamo anche il tempo di free-fall tf f ∼ 1/ Gρ. Si nota
come per masse uguali alla massa di Planck il tempo di Compton, di
Schwarzshild e di Planck siano uguali.
15
Il modello cosmologico standard
Oggetti di masse maggiori della massa di Planck sono detti macroscopici,
lc < ls e tc < ts , e le correzioni quantistiche all’interazione gravitazionale tra
parti differenti del corpo sono trascurabili.
Viceversa, nel caso la massa sia minore si tratta di oggetti microscopici.
Dal punto di vista cosmologico il tempo di Planck rappresenta il momento prima del quale il tempo di espansione caratteristico τH ∼ t e’ tale per cui l’orizzonte cosmologico (∼ lp ) contiene solo una particella con lc ≥ ls , e’ necessario
quindi tenere conto degli effetti quantistici sull’intera scala dell’Universo.
Interessante anche confrontare le quantita’ relative al tempo di Planck
con le proprieta’ termodinamiche dei buchi neri: un buco nero, per effetti
quantistici, emette radiazione come un corpo nero, chiamata radiazione di
Hawking. L’energia tipica dei fotoni emessi e’ dell’ordine di ǫ ∼ kB T con T
temperatura del buco nero data da
−1
~c3
M
−7
T =
(1.42)
∼ 10
4πkB GM
M⊙
ed il tempo necessario ad un buco nero per evaporare e’ dell’ordine di
3
M
G2 M 3
10
years
(1.43)
∼ 10
τ∼
~c4
1015 g
Ecco che questo ci permette di verificare un’altra interessante proprieta’ del
tempo di Planck: per un buco nero della massa di Planck, si vede che esso
evaporerebbe in un tp emettendo particelle quantistiche di energia Ep .
In generale quindi effetti quantistici non trascurabili si verificano comunque per fenomeni su scale spaziali dell’ordine di lp o temporali dell’ordine di tp
anche dopo il tempo di Planck. Le fluttuazioni nella metrica sono dell’ordine
di
|∆gik /gik | ∼ lp /l ∼ tp /t
(1.44)
dell’ordine dell’unita’ sulla scala dell’orizzonte al tempo di Planck.
In definitiva l’universo a tempi primordiali potrebbe essersi comportato
come un insieme di buchi neri di massa pari alla massa di Planck in continua
evaporazione e ricollasso su scale temporali pari al tempo di Planck.
Ricordiamo inoltre che come una coppia formata da una particella e dalla
sua anti-particella, che venga creata ad esempio in un forte campo elettrico
ha una certa probabilita’ di diventare reale piuttosto che annichilire, se il
campo elettrico, o altre forze - ad esempio quella gravitazionale - riescono a
separare sufficientemente le due cariche in un tempo abbastanza breve, con
la creazione di massa che viene compensata da una corrispondente perdita di
energia del campo. Questo puo’ avvenire anche in caso di campi gravitazionali molto intensi e non uniformi o rapidamente variabili nel tempo. Queste
1.4 Cosmologia quantistica
16
condizioni potrebbero essersi verificate nei primi istanti di vita dell’universo,
a maggior ragione in caso di espansione anisotropa. Di conseguenza qualcuno
ha suggerito che questo fenomeno abbia portato all’origine dell’alto valore di
entropia nell’universo.
1.4
Cosmologia quantistica
Nei paragrafi precedenti si e’ evidenziata la necessita’ di considerare effetti
quantistici sulla scala dell’orizzonte cosmologico nelle primissime fasi di evoluzione dell’universo. Non esiste pero’ ancora una teoria soddisfacente che
unisca relativita’ e quantistica. Cerchiamo di capire qual’e’ il punto della
situazione.
In meccanica quantistica (QM) uno degli elementi centrali e’ la funzione
d’onda ψ (x, t), la cui interpretazione non e’ sempre immediata, il modulo
quadro pero’ rappresenta la probabilita’ di trovare la particella nella posizione
x al tempo t. Una delle formulazioni più utilizzate della QM coinvolge il
concetto di somma sui cammini. In questa formulazione la probabilita’ per
una particella di trovarsi in (x, t) e’ data da un’integrale su tutti i possibili
cammini che portano a quella posizione, pesato da una funzione dipendente
dall’azione S (x, t) lungo il cammino. Ogni cammino poi sara’ a sua volta
una funzione x (t) per cui x e’ l’intersezione tra il particolare cammino e una
superficie di tipo tempo. Si ha
Z
ψ (x, t) ∝
dx′ dt′ exp [iS (x′ , t′ )]
(1.45)
dove gli estremi di integrazione sono dati dalle condizioni iniziali e dagli (x, t)
finali considerati. L’azione descrive le forze alle quali la particella e’ soggetta.
Questo metodo sembra l’approccio migliore alla cosmologia quantistica,
ma per procedere e’ necessario fare alcune assunzioni:
• l’universo sia finito e chiuso, altrimenti gli integrali diventerebbero
indefiniti
• l’azione rilevante per la gravita’ sia quella della relativita’ generale SE .
L’ultimo punto e’ un problema: non c’e’ modo di avere un’azione per
lo spazio-tempo accoppiato alla materia che porti ad una teoria di campo
quantistica soddisfacente dal punto di vista degli standard locali di rinormalizzabilita’. Non c’e’ ragione inoltre per cui SE debba mantenere la sua forma
al crescere dell’energia.
17
Il modello cosmologico standard
E’ stato suggerito che la Lagrangiana della relativita’ generale potrebbe
ammettere termini di ordine superiore nello scalare di Ricci R, ad esempio
una lagrangiana del secondo ordine potrebbe essere
L=−
R
+ αR2
16πG
(1.46)
formalmente equivalente alla Lagrangiana della relativita’ generale con aggiunto un campo scalare. Questa potrebbe portare all’inflazione ma violerebbe le condizioni necessarie all’esistenza di una singolarita’. Dal momento che
non c’e’ motivo per scegliere una Lagrangiana piuttosto che un’altra, varra’
quella classica di Einstein.
Ora e’ necessario trovare un equivalente del cammino e si potrebbe semplificare ulteriormente pensando di avere a che fare con un universo vuoto,
senza materia né radiazione. Inoltre e’ forse più appropriato cercare di determinare una funzione d’onda che descriva la configurazione dell’universo
ad un certo tempo. In relativita’ generale questa puo’ essere la geometria
tridimensionale di un’ipersuperficie di tipo spazio.
Poniamo quindi che questa geometria sia descritta da una metrica tridimensionale hµν , la quantita’ corrispondente al cammino della meccanica
quantistica sarebbe allora la metrica quadridimensionale lorentziana gij (con
µ, ν ∈ {1, 2, 3} e i, j ∈ {0, 1, 2, 3}). In relativita’ generale l’azione dipende
esplicitamente dalla metrica gij , l’integrale dev’essere quindi costruito su uno
spazio di geometrie quadridimensionali ammesse.
Otteniamo
Z
Ψ [hµν (x)] =
dgij exp [iS (gij )]
(1.47)
la funzione d’onda Ψ e’ definita sullo spazio di tutte le possibili geometrie
tridimensionali consistenti con le assunzioni iniziali (universo chiuso e topologia fissata). Per includere la materia e’ possibile tener conto del campo
della materia φ in x. L’evoluzione della funzione d’onda in QM, inoltre, e’
determinata dall’equazione di Shroedinger, la funzione d’onda dell’universo
segue invece un’equazione simile chiamata di “Weeler-de Witt”.
Per procedere dobbiamo ora identificare il set di cammini sui quali integrare, ovvero determinare le condizioni iniziali. Le proposte avanzate sono
molte, tra le quali quella di Hawking che corrisponde in pratica all’assenza di
una creazione nel senso comune del termine e quella di Vilenkin che corrisponde ad una specie di tunnel quantistico da uno stato di vuoto, identificando
quindi una creazione.
1.4 Cosmologia quantistica
1.4.1
18
Cosmologia di stringa e di brana
Negli anni sono stati elaborati diversi approcci per il problema della gravita’
quantistica, portando all’idea di differenti strutture per la teoria della gravita’ quantistica. Una di queste riguarda la possibilita’ che le entita’ sulle quali
operare, le particelle, non siano puntiformi ma stringhe. Per alcuni questi
approcci potrebbero portare all’unificazione di tutte e quattro le forze. Le
teorie di stringa possono essere considerate all’interno di una classe più generale chiamata di “teorie M” la cui peculiarita’ comune e’ la necessita’ di
essere definite in spazi con più dimensioni delle quattro utilizzate in relativita’ generale.
In queste teorie le costanti fondamentali apparterrebbero ad uno spazio
di dimensione maggiore e varierebbero all’interno del sottospazio quadridimensionale a noi familiare, non sarebbe quindi strano che i valori di queste
costanti cambiassero nel tempo. Le dimensioni in più sarebbero compattate
a scale dell’ordine della lunghezza di Planck divenendo cosı̀ non osservabili.
Un’altra idea e’ utilizzare le cosidette “brane”, nella cui teoria esisterebbe
almeno una dimensione oltre alle quattro della relativita’ generale, ma di
dimensioni estese, per cui il mondo in cui viviamo, dominato dalle tre forze
della teoria dei campi, sarebbe immerso in uno spazio a dimansione maggiore
in cui domina la gravita’. Il potenziale newtoniano diventerebbe
GM1 M2
V (r) =
r2
1
1+ 2 2
r k
(1.48)
con k dell’ordine della scala di Planck e l’equazione di Friedmann verrebbe
modificata in
2
ȧ
ρ2
8πG
ρ+
(1.49)
=
a
3
2λ
con λ tensione della brana.
Uno sviluppo di questa visione porterebbe a spiegare il Big Bang come la
collisione tra due brane e l’aspetto osservativo determinante per validare la
teoria sarebbe la presenza di mini buchi neri (delle dimensioni massime di un
asteroide) all’interno del sistema solare, originati nei primi istanti dell’universo ma non evaporati per radiazione Hawking perché ospitati in dimensioni
maggiori.
19
Il modello cosmologico standard
Figura 1.3: Rappresentazione artistica della collisione tra due brane come
spiegazione del Big Bang.
1.4 Cosmologia quantistica
1.4.2
20
Unificazione di gravita’ e meccanica quantistica
nella teoria delle superstringhe
Attualmente, dopo molti decenni di sforzi in questo campo, la maggiore promessa per una unificazione finale della gravita’ secondo la Relativita’ Generale, e della meccanica quantistica risiede nella teoria delle super-stringhe.
Come anticipato, la teoria prevede che le particelle, a livello microscopico,
possiedano una elevata dimensionalita’, ovvero varie dimensioni anziche’ nessuna dimensione come nel caso delle semplici particelle puntiformi. In questo
ambito, diverse tipologie di particelle elementari corrisponderebbero a diverse
modalita’ di vibrazione di queste corde annodate.
Nonostante sia riconosciuta come l’attuale piu’ grande sfida della fisica
teorica e come la migliore prospettiva per realizzare una unificazione autoconsistente di tutte le interazioni fondamentali e di tutte le particelle, la
teoria delle super-stringhe paga due enormi problemi. Il primo e’ la sua
enorme complessita’ matematica. Il secondo, ancora peggiore, e’ che non e’
in grado attualmente di fornire predizioni verificabili: la verifica sperimentale della teoria e’ al momento attuale impossibile con gli strumenti oggi a
disposizione. Non e’ assolutamente chiaro, al momento, se vi potranno essere
a breve sviluppi tecnologici e nuove idee in grado di fornire queste verifiche
sperimentali.
Detto cio’, rinunciamo ovviamente a discutere l’Universo prima del tempo
di Planck, e limitiamoci a considerare gli sviluppi successivi.
Capitolo
2
Gli Orizzonti Cosmologici
Il nostro studio dell’Universo primordiale e delle prime fasi dell’espansione
richiede la definizione del concetto di orizzonte cosmologico, che riguarda la
propagazione dell’informazione nel cosmo.
L’Universo cui un osservatore fondamentale puo’ accedere ad ogni istante di tempo rappresenta solitamente solo una porzione minima dell’Universo
nella sua interezza. Tale porzione d’Universo e’ il cosiddetto cono-luce dell’osservatore. Dal punto di vista osservativo il cono-luce si arresta alla superficie
di ultimo scattering a z=1080, in quanto oltre questo l’Universo diviene opaco e non direttamente osservabile. Tuttavia, come sappiamo, la superficie
di ultimo scattering non rappresenta adeguatamente il limite delle nostre
capacita’ investigative (possiamo ad es. inferire le proprieta’ fisiche a distanza molto superiore considerando i prodotti di fasi cosmiche piu’ antiche, ad
esempio quelli della nucleosintesi primordiale). Occorrono quindi definizioni piu’ precise dei limiti ”informativi” cui ogni osservatore fondamentale e’
soggetto.
2.1
Che cos’e’ un orizzonte
Wolfang Rindler nel 1956 per la prima volta mise in evidenza che, quando si
separa cio’ che e’ osservabile da cio’ che non lo e’ in un Universo in espansione
bisogna tenere in considerazione differenti aspetti e osservabili. Consideriamo
innanzitutto le linee d’Universo e gli eventi :
• gli eventi sono dei brevi accadimenti (ad esempio le esplosioni di supernova) che occupano un posto unico nello spazio e nel tempo; rappresentano in sostanza un punto nello spazio-tempo quadridimensionale;
2.1 Che cos’e’ un orizzonte
22
• le linee Universo rappresentano gli oggetti, come le particelle e le
galassie, che hanno una significativa durata temporale, occupano in
ogni istante un posto nello spazio e hanno un’estensione nel tempo (sono
cioe’ delle stringhe di eventi). Ad esempio, l’ammasso della Chioma,
ad una certa distanza comoving (∼160 Mpc), e’ rappresentato da una
linea d’universo. Linee d’Universo di osservatori fondamentali hanno
costante posizione spaziale nel sistema comoving.
Da quanto appena detto e’ naturale concludere che esistono due tipi diversi di orizzonti cosmologici: l’orizzonte delle linee Universo, anche detto
delle particelle, e l’orizzonte degli eventi.
Andiamo quindi a caratterizzare queste due limitazioni alla nostra possibilita’ di osservare l’universo :
• L’orizzonte delle particelle: e’ una superficie sferica, al centro della
quale e’ posto un generico osservatore fondamentale. Essa divide, ad
un certo istante, l’interezza dello spazio in due regioni: quella interna contiene tutti gli oggetti (linee d’universo) con i quali l’osservatore,
ovvero la sua linea d’universo, e’ entrato in contatto causale in qualunque istante del suo passato, mentre quella esterna contiene oggetti
con cui mai e’ entrato in contatto causale. Tale orizzonte e’ quindi una
frontiera nello spazio che racchiude l’Universo ”osservato” fino ad un
determinato istante.
• L’orizzonte degli eventi: per un determinato osservatore ad un certo
tempo, divide tutti gli eventi in due gruppi: quelli che saranno osservabili ad un qualunque tempo cosmologico futuro, da quelli che non
lo saranno mai. Ancora una volta e’ una superficie fisica centrata sull’osservatore che corrisponde alla massima distanza alla quale eventi
che emettano radiazione nella nostra direzione oggi verranno visti da
noi in un tempo infinito. Corrisponde quindi alla distanza che la luce
percorre da un dato tempo t fino a t = ∞.
• Il cono-luce: rappresenta la porzione d’Universo osservabile ad un certo istante da un determinato osservatore fondamentale (e’ la fotografia
quadri-dimensionale dell’Universo per un certo osservatore). Rappresenta l’insieme degli eventi che hanno emesso radiazione osservabile ad
un certo istante per un osservatore. Il cono-luce puo’ estendersi teoricamente indefinitamente, salvo che e’ limitato nella pratica alla superficie
di ultimo scattering.
• Il raggio di Hubble: e’ il raggio della superficie sferica delle sorgenti
che si allontanano da un osservatore alla velocita’ della luce.
23
Gli Orizzonti Cosmologici
Figura 2.1: Galassie all’interno e all’esterno del raggio di Hubble. Una galassia all’interno della sfera di Hubble si allontana da noi con velocita’ inferiore
a quella della luce. Una galassia al di fuori della sfera di Hubble recede da noi
con una velocita’ attualmente superiore a quella della luce. Il fatto che tale
galassia sia osservabile o meno da noi dipende non solo dalla sua posizione
rispetto alla sfera di Hubble, ma anche da come e’ evoluto il fattore di scala
cosmico a(t) a partire dal Big Bang.
2.1 Che cos’e’ un orizzonte
24
Figura 2.2: Rappresentazione grafica di orizzonti e cono di luce per un osservatore situato al tempo t0 . L’asse Y rappresenta il tempo, l’asse X una
coordinata spaziale radiale. Nota che la linea-universo indicata, passando per
l’origine ossia per la posizione dell’osservatore a t0 , implica un moto peculiare
non nullo per questa sorgente rispetto all’osservatore stesso.
25
Gli Orizzonti Cosmologici
I vari orizzonti sono rappresentati nello schema in Figura 2.2. In sintesi
possiamo dire che l’orizzonte degli eventi non ha un significato particolarmente pregnante in cosmologia (mentre ad esempio lo ha nel caso della metrica di
Schwartschild nel separare l’universo contattabile da quello non-contattabile
in presenza di un buco-nero). L’orizzonte delle particelle riguarda la storia
passata di tutte le connessioni causali che un qualunque osservatore fondamentale ha avuto, mentre il raggio della sfera di Hubble racchiude l’universo
osservabile sul cono-luce ad un certo istante di tempo per un osservatore. 1
2.2
Orizzonti in un Universo statico
Per prendere confidenza con il concetto di orizzonte e per comprendere i
due tipi di orizzonte appena introdotti, consideriamo il caso semplificato
dell’Universo statico, mentre un po’ piu’ complicata e’ la situazione relativa
ad un Universo in espansione, affrontata piu’ avanti.
Figura 2.3: Spazio tempo in un Universo statico con origine e formato da una
distribuzione uniforme di stelle. Consideriamo l’osservatore rappresentato
dalla linea Universo O
.
Supponiamo quindi di considerare un Universo statico Minkowskiano con
una distribuzione uniforme di stelle. Supponiamo che le stelle abbiano brillato per 10 miliardi di anni e si siano accese simultaneamente. L’Universo
quindi consiste di linee Universo corrispondenti a tali stelle luminose che
partono da questo inizio assunto ad hoc.
1
Rimandiamo alla Sez. 7c ”‘Orizzonti”’ per ulteriori considerazioni sugli orizzonti
cosmologici.
2.2 Orizzonti in un Universo statico
26
Scegliamo quindi una stella su cui collocare il nostro osservatore, associamo ad esso la corrispondente linea Universo, che chiamiamo O, di quella
stella. L’osservatore, che ad un certo istante guardera’ nello spazio e indietro
nel tempo, vedra’ le stelle le cui linee orizzonte intersecano il suo cono di luce
in un determinato istante della loro vita. Tutte le stelle hanno brillato per
10 miliardi di anni, per il nostro osservatore sara’ quindi possibile vedere le
stelle che si trovano fino a 10 miliardi di anni luce da lui. Le stelle a distanze
maggiori invece, non saranno visibili perche’ l’osservatore sta guardando ad
un tempo antecedente alla loro esistenza.
L’orizzonte delle particelle quindi, separa in ogni istante le sorgenti luminose osservabili da quelle non osservabili.
Aspettando un certo periodo di tempo, diciamo un miliardo di anni, e
ripetendo le osservazioni, il nostro osservatore potra’ spingere il suo sguardo
fino a oggetti che distano 11 miliardi di anni luce. L’orizzonte delle particelle
si e’ allargato: risulta evidente che tale orizzonte si muove verso l’esterno
alla velocita’ della luce, e benche’ l’Universo in cui ci si e’ posti sia statico,
l’Universo osservabile aumenta la sua dimensione (figura 2.3).
Analizziamo ora il comportamento dell’orizzonte degli eventi, chiedendoci
se in un Universo statico vi siano eventi che non potranno mai essere visti
da un osservatore posto sulla linea Universo O da noi considerata. Se tali
eventi esistono, dovremo essere in grado di dividere l’Universo in due parti
distinte: una che contiene gli eventi osservabili ad un qualche tempo da O e
un’altra che contiene tutti gli altri eventi, che non sono osservabili a nessun
tempo. La superficie che separa le due parti sara’ quindi l’orizzonte degli
eventi per l’osservatore O. Se le stelle brilleranno per sempre nel futuro si
conclude immediatamente che tale orizzonte non esiste. Il cono di luce dell’osservatore O, avanzera’ progressivamente nello spazio, fagocitando tutti i
punti dello spazio tempo in modo tale che tutti gli eventi, prima o dopo,
si troveranno all’interno di esso e saranno quindi osservabili. In un Universo statico ed eterno quindi, tutte le linee d’universo sono osservabili in un
qualche momento da tutti gli osservatori.
Consideriamo ora che questo Universo Minkowskiano abbia una fine, ossia torni ad essere buio spegnendo nello stesso momento tutte le sue stelle:
la totalita’ delle linee Universo ad esse associate, inclusa quella del nostro osservatore, terminano. Chiaramente in questo caso l’Universo ha un orizzonte
degli eventi, che e’ rappresentato dal cono di luce dell’osservatore O nell’ultimo istante prima della morte delle stelle. Gli eventi che si trovano fuori
dell’orizzonte degli eventi infatti, saranno per sempre preclusi all’osservatore.
27
2.3
2.3.1
Gli Orizzonti Cosmologici
Orizzonti in un Universo in espansione
La sfera di Hubble
In accordo alla legge velocita’-distanza di Hubble v = Hd, la velocita’ di
recessione delle galassie aumenta con la distanza: puo’ quindi eguagliare
quella della luce e cio’ accade al raggio di Hubble, definito come L = c/H.
Le galassie oltre questo raggio hanno velocita’ di recessione maggiore di quella
della luce.
La legge di Hubble e’ applicabile ovunque nello spazio e in qualsiasi istante
di tempo; essa ci dice quanto velocemente le galassie appaiono allontanarsi
nell’istante presente, a seguito della dilatazione dello spazio. Dobbiamo pero’
ricordarci che la loro velocita’ di recessione era diversa nel momento in cui
esse hanno emesso la luce, rispetto al momento in cui noi la riceviamo.
Noi siamo quindi al centro di una sfera di Hubble di raggio uguale a L =
c/H, all’interno della quale tutte le galassie al momento presente recedono
con velocita’ minore della luce.
Sappiamo pero’ che l’Universo osservato dalla mia linea d’Universo e’ limitato dall’orizzonte delle particelle. E’ necessario definire dove esso si colloca
rispetto alla sfera di Hubble, dato che i due limiti in generale non coincidono. Per distinguere e comprendere meglio questi due limiti, consideriamo una
galassia al di fuori della sfera di Hubble che emette un raggio di luce nella
direzione del nostro osservatore, posto al centro della sfera stessa. Il raggio
di luce viaggia attraverso lo spazio alla velocita’ della luce, ma lo spazio nel
quale si sta muovendo recede dall’osservatore con velocita’ superiore a c. Il
bordo della sfera di Hubble diventa cosı̀ una specie di orizzonte: tutti i raggi
emessi all’interno di esso raggiungono l’osservatore, mentre tutti i raggi al di
fuori della sfera si allontanano da lui; infine i raggi emessi proprio sul limite della sfera di Hubble non si muovono, essi viaggiano con velocita’ pari a
quella con cui si espande lo spazio che stanno attraversando.
Nella trattazione appena svolta abbiamo tralasciato un particolare importante: l’osservatore vede le cose come esse erano nel passato, ma non
puo’ vederle come esse sono ora a grande distanza. E’ vero che le galassie al
di fuori della sfera di Hubble si allontanano con velocita’ maggiore di quella
della luce, e che i raggi di luce inviati nella nostra direzione recedono, ma
cio’ non significa che tutte le galassie esterne alla sfera di Hubble non siano
necessariamente mai state in contatto causale con la nostra linea d’Universo, o che addirittura non siano attualmente osservabili anche se all’esterno
della sfera di Hubble. Dobbiamo infatti tener conto del fatto che il tasso di
espansione non e’ costante. In un Universo decelerato, in cui la costante di
Hubble decresce con il tempo, il raggio di Hubble conseguentemente aumenta
2.3 Orizzonti in un Universo in espansione
28
e quindi la sfera comoving di Hubble si espande. I raggi di luce ad di fuori
del limite di Hubble, che si stanno muovendo nella direzione dell’osservatore,
potrebbero quindi superare il bordo della sfera e trovarsi all’interno di essa,
cosa che permette a questi raggi di raggiungere l’osservatore. Risulta evidente che la sfera di Hubble non coincide con il limite dell’Universo osservabile,
ne’ ora ne’ nel passato.
2.3.2
Orizzonte delle particelle
L’orizzonte delle particelle, anche nel caso di un Universo in espansione,
divide lo spazio in due regioni in ogni istante considerato. La prima, che
circonda l’osservatore, contiene tutte le linee Universo che intersecano il cono
di luce dello stesso; la seconda, esterna alla precedente, contiene tutte le linee
Universo che non intersecano il cono di luce.
La distanza dell’orizzonte delle particelle e’ misurata nello spazio attuale
dell’osservatore ed e’ la distanza di ricezione delle galassie di redshift infinito.
Consideriamo ora un istante successivo, quando l’Universo si e’ espanso
ulteriormente. Chiaramente il cono di luce dell’osservatore interseca più linee
Universo e di conseguenza l’orizzonte delle particelle si e’ allontanato (ossia
l’Universo osservabile si e’ espanso). Notiamo che l’Universo osservabile si
espande più velocemente dell’Universo attuale, cosı̀ che l’orizzonte delle particelle si allontana più velocemente delle galassie. Infatti l’orizzonte delle
particelle supera le galassie alla velocita’ della luce.
2.3.3
Universi senza orizzonte delle particelle
Alcuni universi, per esempio quello di De Sitter e l’Universo stazionario, non
possiedono un orizzonte delle particelle. Il cono di luce dell’osservatore interseca tutte le linee Universo e tutte le galassie sono visibili. Per spiegare come
questo sia possibile ci poniamo in uno spazio comovente, invece di quello ordinario. Tutti gli osservatori fondamentali hanno distanza comovente costante
e in questo nuovo spazio-tempo tutte le linee Universo sono parallele. Il cono luce dell’osservatore non procede in modo rettilineo, come nell’Universo
statico, ma si apre e diverge.
In molti modelli d’universo, per esempio di tipo Friedmann, il cono di
luce recede, raggiungendo l’inizio del tempo a una distanza comovente finita e quindi esiste un orizzonte delle particelle in corrispondenza della linea
Universo X. In altri modelli, per esempio quello di Milne (nel quale a(t) incrementa ad un tasso costante), il cono di luce raggiunge l’inizio dei tempi a
una distanza comovente infinita. Conseguentemente tali Universi non presen-
29
Gli Orizzonti Cosmologici
tano un orizzonte delle particelle e l’Universo osservabile comprende l’intero
Universo attuale.
Figura 2.5 riporta gli andamenti del fattore di scala per vari tipi di universo, come indicato. Figura 2.6 mostra gli andamenti dei raggi comoving
degli orizzonti in funzione del fattore di scala e del tempo.
2.3.4
Rappresentazioni nel tempo conforme
La relazione tra i vari tipi di orizzonte puo’ risultare semplificata dall’utilizzo
del tempo conforme. Si definisce come tale una coordinata temporale data
da dτ = dt/a(t), con ovvio significato dei termini. In funzione di questo
tempo conforme, i vari orizzonti sono riportati in Figura 2.4, per un modello
standard d’universo con Ωm = 0.3 e ΩΛ = 0.7. La definizione del tempo
implica che gli andamenti dei raggi comoving degli orizzonti sono lineari
con τ . Alcune proprieta’ degli orizzonti sono indicate, ad es. che il conoluce di un osservatore al Big Bang coincide con l’orizzonte delle particelle al
tempo d’osservazione, oppure che l’orizzonte delle particelle al tempo infinito
coincide con l’orizzonte degli eventi al Big Bang.
2.4
Rappresentazioni formali degli orizzonti
cosmologici
Consideriamo ora un generico osservatore all’origine di un sistema di coordinate (spaziali). Partiamo innanzitutto dalla definizione di distanza radiale
comoving, semplicemente utilizzando la Robertson-Walker (eq. [0.1] Sez. 0).
Il differenziale di questa e’ dato da:
dl = dr/(1 − kr2 )1/2 .
mentre il differenziale di distanza propria sara’, analogamente:
dl = cdt = a(t)dr/(1 − kr2 )1/2 ,
Il differenziale di distanza comoving, integrato tra due valori diversi di
a(t), mi da’ la cosiddetta distanza radiale comoving tra due osservatori posti
a due epoche:
Z t2
c dt′
rH (t) =
,
′
t1 a (t )
e analogamente per la quantita’ in unita’ proprie. Pertanto, in generale,
questa relazione ci fornisce il raggio della sfera contenente l’insieme dei punti
2.4 Rappresentazioni formali degli orizzonti cosmologici
30
Light-cone [t=0] =
Particle horizon [t=t0]
Tempo "conforme":
03/06/2011
A. Franceschini
!
dt
" R (t )
Orizzonti Cosmologici
Event horizon [t=0] =
Particle horizon [t=#]
6
Figura 2.4: Schema riassuntivo del significato degli orizzonti e del cono luce
in una rappresentazione a tempo conforme.
31
Gli Orizzonti Cosmologici
dai quali un osservatore fondamentale puo’ aver ricevuto un segnale luminoso
emesso entro un certo intervallo di tempo t = t2 −t1 , con i quali cioe’ sia stato
in connessione causale in questo intervallo di tempo passato. In coordinate
proprie (o fisiche):
Z t2
c dt′
RH (t) = a (t)
′
t1 a (t )
Se questo integrale risulta finito, tutti i punti contenuti sono venuti in contatto causale dal tempo t2 in poi con l’osservatore fondamentale posto al tempo
t1 .
Se si prende t1 = 0, e’ possibile che per t → 0 l’integrale diverga a
causa dell’annullarsi del fattore di scala a(t) a denominatore. In questo caso
l’osservatore potrebbe aver ricevuto luce dall’intero universo in un istante
di tempo nel passato, ed e’ quindi venuto in contatto causale con tutte le
linee d’universo. Nel caso contrario di un valore finito, invece, l’integrale
viene chiamato orizzonte delle particelle di un osservatore al tempo t2
(orizzonte proprio in questo caso). L’orizzonte proprio delle particelle dunque
e’ definito come
Z t2
c dt′
RH (t) = a (t)
(2.1)
a (t′ )
0
Come vedremo nel seguito, questo vale ad esempio RH (t) = 3ct per universi
di polvere e RH (t) = 2ct per universi di radiazione.
In modo del tutto analogo e’ definito l’orizzonte proprio degli eventi,
semplicemente cambiando i limiti di integrazione:
Z ∞
c dt′
RE (t) = a (t)
(2.2)
a (t′ )
t
Definiamo inoltre la sfera di Hubble, il cui raggio e’ la distanza dall’osservatore alla quale un oggetto si muove, a causa dell’espansione, alla
velocita’ della luce rispetto all’osservatore stesso. Dalla legge di Hubble, ponendo la velocita’ di recessione v = H(t)d = c, otteniamo il raggio proprio
della sfera di Hubble:
a
c
=c
(2.3)
Rc =
H(t)
ȧ
che e’ risolvibile utilizzando le espressioni per H(t) in eq. 1.14. Analogamente
per il raggio di Hubble comovente:
rc =
c
1
=c .
H(t)a(t)
ȧ
(2.4)
Ovviamente, sebbene assumano valori simili entro piccoli fattori, l’orizzonte delle particelle e la sfera di Hubble hanno un significato sostanzialmente
2.4 Rappresentazioni formali degli orizzonti cosmologici
32
diverso. E’ possibile infatti che un oggetto sia all’interno dell’orizzonte delle
particelle di un osservatore, e addirittura si collochi sul cono-luce, pur essendo
all’esterno della sua sfera di Hubble. Inoltre un oggetto incluso nell’orizzonte
delle particelle di un osservatore vi resta per sempre, mentre e’ possibile che
entri ed esca dalla sua sfera di Hubble.
Ora procediamo ad una valutazione dell’esistenza e finitezza dell’orizzonte
delle particelle. Partiamo con utilizzare la 1.14:
H 2 (t) = H02 a−2 Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )
per definire il differenziale del tempo:
dt =
1
1
da
H0 [Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )]1/2
(2.5)
Il fattore dt/a(t) della 2.1 si puo’ quindi scrivere
e
da
dt
1
=
−(1+3w)
a(t)
H0 a [Ω0w a
+ (1 − Ω0w )]1/2
c
RH (t) =
a(t)
H0
Z
a(t)
0
da
1
.
a [Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )]1/2
(2.6)
(2.7)
Per t sufficientemente piccolo, diviene trascurabile il termine (1 − Ω0w ) ∼ 0,
cosi’
Z a(t)
c
da
=
(2.8)
RH (t) =
a(t)
1/2
H0
aΩ0w a−(1+3w)/2
0
Z
c
c
2
=
a(t) da a(3w−1)/2 ≃
a(t)(3w+3)/2
(2.9)
1/2
1/2
H
0 Ω0w (3w + 1)
H0 Ω0w
che e’ una quantita’ finita e che va a zero con il fattore di scala a(t) che tende
a zero, almeno per valori di w nell’intervallo di Zeldovich.
Ora e’ utile scrivere una versione generalizzata della relazione tra fattore
di scala e tempo, che coivolga il parametro di stato fisico w. Riferiamo
tale generalizzazione ad epoche comprese tra il tempo di Planck (un tempo
sufficientemente vicino al Big Bang) ed un istante sufficientemente lontano
nel passato tale che (1 − Ω0w ) risulti trascurabile nella 2.5 rispetto al primo
addendo a denominatore. Dalla 2.5, separando le variabili e integrando,
abbiamo:
1/2
a(1+3w)/2 da = H0 Ω0w dt
33
Gli Orizzonti Cosmologici
2
2a(3+3w)/2
1/2
= H0 Ω0w t =⇒
a(t) ∝ t 3+3w
3 + 3w
e, confrontando i valori riferiti ad es. al tempo di Planck tP e ad un tempo
generico t, avremo quindi
2/(3+3w)
t
a(t) = aP
(2.10)
tP
dove aP = a(t = tP ) e’ il fattore di scala corrispondente al tempo di Planck.
Ad es., nella Radiation Dominated Era questo porta direttamente alla ben
nota R(t) ∝ (t)1/2 , mentre nella Matter Dominated Era sara’ R(t) ∝ (t)2/3 .
Inserendo la relazione 2.10 in eq. 2.9, abbiamo per l’orizzonte proprio delle
particelle
c
t
2
(3w+3)/2
RH (t) ≃
a
,
(2.11)
P
H0 Ω1/2
t
P
(3w
+
1)
0w
dal momento che i due esponenti della a(t) e della RH si elidono. Trattiamo ora ulteriormente questa, esprimendo H0 come il differenziale temporale
logaritmico della 2.10
H0 = (ȧ/a)t=t0 =
2
2
(t−1 )t0 =
t−1
3 + 3w
3 + 3w 0
di modo che, moltiplicando e dividendo per tP , invertendo la 2.10, con a(t0 ) =
1, si ha
1
3 + 3w t0
3(1 + w) −(3+3w)/2
aP
.
=
=
H0 t P
2 tP
2
Utilizzando questa in 2.11, si ottiene infine
RH (t) =
1+w
.
1/2
Ω0w (1 + 3w)
3ct
(2.12)
E’ questa la relazione fondamentale che cercavamo. Essa esprime vari importanti risultati. Per prima cosa, interessanti casi speciali di questa sono
1/2
RH = 3ct/Ω0w ≈ 3ct per il caso di un modello d’universo matter-dominated
(w = 0) e RH = 2ct per un universo radiation-dominated (w = 1/3). Si noti
quindi che l’orizzonte delle particelle e’ sempre piu’ grande, anche se di poco,
della sfera di Hubble, da 2 a circa 3 volte:
RH (t) = (2 ÷ 3) Rc = (2 ÷ 3)
c
.
H(t)
(2.13)
Le due quantita’ risultano comunque confrontabili, e il raggio Rc e’ usualmente utilizzato al posto di RH .
2.4 Rappresentazioni formali degli orizzonti cosmologici
34
Altra conclusione molto importante che possiamo derivare immediatamente dalla eq. 2.12 e’ che la stessa condizione generale dell’esistenza
di una singolarita’ (w > −1/3) implica pure l’esistenza di un orizzonte delle particelle. Arretrando quindi nel tempo verso il Big Bang,
sia il raggio della sfera di Hubble sia l’orizzonte delle particelle tendono a
zero assieme al fattore di scala a(t), se il modello d’universo ammette una
singolarita’. L’orizzonte delle particelle e’ cosi’ sempre una quantita’ finita
(non diverge) per qualunque valore del tempo cosmico.
Various graphical representations of some fundamental quantities, like
the scaling of the scale factor a(t) on time, the (particle and event) horizons,
the Hubble sphere radius, and the light-cone radius for observers at different
time, both in our past and in the future, are reported in Figs. 2.5, 2.6, and
2.7.
Vari modelli d'universo utilizzati
M =0.3,
!=0.7
(modello standard)
M =0.9999,
(piatto con
a(t) t2/3
03/06/2011
A. Franceschini
!=0.0001
! piccolo)
M =0.1,
(aperto)
!=0
M =1,
!=0
(Einst.-de Sitter)
Orizzonti Cosmologici
23
Figura 2.5: Andamenti del fattore di scala a(t) in funzione del tempo cosmico per vari modelli d’Universo, indicati in figura. Si noti l’espansione esponenziale che si verifica quando va a dominare il termine di energia oscura
Λ.
35
Gli Orizzonti Cosmologici
Figura 2.6: Rappresentazione delle coordinate radiali comoving dei vari orizzonti e del cono luce, in ascissa. In ordinata queste distanza radiali sono
riportate in funzione del fattore di scala (asse a SX) e del tempo cosmico (asse a DX). Il tutto relativo ad un universo standard con costante cosmologica,
Ωm = 0.3 e ΩΛ = 0.7. Si noti come l’orizzonte delle particelle arresti la sua
espansione nel momento in cui va a dominare la costante Λ.
2.4 Rappresentazioni formali degli orizzonti cosmologici
36
La situazione cambia invece drasticamente ponendo a zero ! ! Anche
con un universo aperto, l'O. Particelle non converge con t, e l'O.
Eventi sparisce !
Part. Horiz.
divergent
with t
Event Horiz.
no more
existent!
Hubble Sphere
03/06/2011
A. Franceschini
Orizzonti Cosmologici
29
Figura 2.7: Come nella figura 2.6, per un modello d’universo aperto con
Ωm = 0.3 e ΩΛ = 0.
Capitolo
3
Il modello cosmologico standard
classico a Hot Big Bang
Abbiamo sinora raccolto una mole di informazioni sulla struttura e l’evoluzione dell’Universo durante la maggior parte del tempo di Hubble. Possiamo
dire di conoscere in modo diretto la sua storia evolutiva dopo la ricombinazione con buon dettaglio. Anche quanto e’ accaduto tra la ricombinazione e
la prima frazione di secondo dal Big Bang e’ fortemente vincolato da dati piu’
indiretti, ad esempio riguardanti il processo della nucleo-sintesi primordiale.
Sulla base di tutte le informazioni e i dati sin qui raccolti, e considerando
altamente probabile una origine nel tempo per l’Universo (o quanto meno
una fase con proprieta’ fisiche profondamente diverse dalle attuali a partire
dalle quali esso si e’ evoluto sino alla configurazione attuale), possiamo ora
procedere ad una breve disamina delle principali fasi evolutive dal Big Bang
al primo secondo. Come illustrato sinteticamente nella Fig. 1.1, quanto
ivi accaduto non e’ assolutamente commensurabile con il brevissimo tempo
trascorso: l’evoluzione cosmologica, dal punto di vista degli avvenimenti e
processi fisici coinvolti, segue un andamento logaritmico con il tempo, e le
43 decadi che separano il Big Bang dal primo secondo non sono molto meno
significative di quanto accaduto nel seguito (da un punto di vista fisico).
Verificheremo in questa Sezione se il modello standard classico del Big
Bang sia in qualche modo auto-consistente, ovvero se esso produca alcune
inconsistenze fondamentali che ne richiedano una profonda revisione.
3.1 Il modello a Big Bang Caldo. Equilibrio termodinamico
primordiale
3.1
38
Il modello a Big Bang Caldo. Equilibrio
termodinamico primordiale
Il nome che viene comunemente dato al modello cosmologico standard e’ Big
Bang Caldo: un universo omogeneo e isotropo la cui evoluzione e’ governata
dalle equazioni di Friedmann ottenute dalla relativita’ generale (con o senza
costante cosmologica). In questo modello la temperatura dell’universo cresce
al diminuire del tempo e le abbondanze osservate sono assai bene spiegate dalla nucleosintesi cosmologica, un residuo di fasi ad alta temperatura.
L’aggettivo “caldo” deriva dall’assumere che la componente radiativa della
densita’ di energia sia di origine cosmologica. Se la nucleosintesi e’ la corretta spiegazione per le abbondanze degli elementi leggeri osservati, infatti,
l’universo deve aver attraversato una fase durante la quale la temperatura
era maggiore di 1012 K.
Nel modello del Big Bang Caldo quindi la temperatura cresce avvicinandosi al tempo di Planck come
T (t) ∝ Tp
a (tp )
a (t)
(3.1)
Andando indietro nella storia dell’universo il contenuto dell’universo puo’
essere considerato un gas perfetto ultrarelativistico di particelle non degeneri
(cioe’ con potenziale chimico µ = 0) in equilibrio termico, la cui distribuzione
di equilibrio cambia a seconda che la specie considerata sia fermionica o
bosonica. La densita’ totale di energia e’ data da
!
X
X
σr T 4
σr T 4
7
giF
= g ∗ (T )
(3.2)
giB +
ρ (T ) c2 =
8
2
2
F
B
dove B e F indicano bosoni e fermioni con i rispettivi pesi statistici giB e giF
e il termine g ∗ viene chiamato numero effettivo di gradi di liberta’.
In realta’ all’espressione precedente sarebbe necessario aggiungere la densita’ di energia delle particelle che non sono più in equilibrio termico con la
radiazione, che pero’ e’ trascurabile. La separazione media delle particelle e’
~c
d ∼ [g ∗ (t) nB ]−1/3 ∼
(3.3)
kB T
in pratica coincidente con la lunghezza d’onda termica delle particelle, simile
alla lunghezza di Planck; inoltre se la temperatura tende alla temperatura di
Planck la sezione d’urto tende a
2
~c
2
σa ∼ α
(3.4)
kB T
39
Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
con α ∼ 1/50.
Il tempo caratteristico di collisione diventa
τcoll ∼
1
~
∼ ∗
≪ τH
nσa c
g (T ) α2 kB T
(3.5)
con τH tempo caratteristico di espansione, questo giustifica l’assumere la condizione di equilibrio termico, le particelle inoltre si comportano come un gas
perfetto.
Possiamo ottenere il fondamentale risultato di eq. 3.5 in un modo euristico semplice con le seguenti considerazioni. Il tempo-scala dinamico
dell’universo, ovvero il tempo-scala dell’espansione, nel caso dominato dalla
radiazione e’ dato da:
τdyn ∼
1
,
(Gρ)1/2
ρ ∝ a−4
(3.6)
da cui
τdyn ∼ a2 ∼ τexp
(3.7)
τint
∼a
τexp
(3.9)
Invece il tempo-scala d’interazione tra particelle su un background di altre
particelle e’:
τint ∼ (nσc)−1 ∝ n−1 ∝ a3
(3.8)
quindi per a → 0 t → 0
Siccome sappiamo che τint << τexp alla ricombinazione (dallo stato di termalizzazione indicato dall spettro di corpo nero della
CMB), possiamo concludere che questa stessa condizione di equilibrio termodinamico e termalizzazione valga a qualunque tempo
antecedente, sino al Big Bang.
In passato materia e radiazione sono state accoppiate, ovvero il tempo
scala di interazione tra le due specie era molto minore del tempo
caratteristico di espansione dell’universo e quindi in equilibrio termico. Durante questa fase, a causa del diverso andamento per la densita’, si
e’ passati da un periodo in cui la densita’ di energia dominante era dovuta
alla radiazione ad una fase di dominio della materia. Il passaggio, chiamato
equivalenza, e’ un tempo scala importante nella storia dell’universo. Ricordando che la temperatura della radiazione, prima del disaccoppiamento
dalla materia, seguiva
ρr ∝ T 4 ∝ (1 + z)4
(3.10)
3.1 Il modello a Big Bang Caldo. Equilibrio termodinamico
primordiale
40
L’equivalenza avviene quando questa equivale a
ρm = ρ0m (1 + z)3 = ρr = ρ0r (1 + z)4
or
zeq ≃ 3330
(3.11)
L’espansione dell’universo ha poi portato le specie presenti a raffreddarsi
progressivamente secondo le relazioni (3.14) e (3.16). Come conseguenza si
ha il disaccoppiamento della radiazione dalla materia a T ∼ 3000 K per il
crollo della sezione d’urto di Thomson. In seguito la densita’ della radiazione
si e’ evoluta come
ρr = ρ0r (1 + z)4
(3.12)
Attualmente quindi materia e radiazione sono disaccoppiate, di conseguenza
le loro temperature evolvono separatamente e in modo differente.
Assumiamo per la materia un gas di solo idrogeno in espansione adiabatica
per il quale
3 kb Tm
kb Tm 3
2
d ρm c + ρm
a3 = −ρm
da
(3.13)
2
mp
mp
con ρm a3 costante per la conservazione della massa, si trova quindi
a 2
0
Tm = T0m
= T0m (1 + z)2
a
(3.14)
Per un gas di fotoni usiamo invece la relazione temperatura-densita’ del corpo
nero
ρr c2 = σr Tr4
(3.15)
da cui
Tr = T0r
a0
= T0r (1 + z)
a
(3.16)
Un parametro fondamentale riguardante il Big Bang Caldo e’ il rapporto
tra numero di fotoni e numero di barioni al tempo attuale, definito da
η=
−1
n0,γ
∼ 3.75 × 107 Ω0,b h2
n0,b
(3.17)
Se non vi e’ stata creazione o distruzione di fotoni in modo molto significativo durante la maggior parte del tempo di Hubble, questo rapporto si e’
mantenuto invariato, e molto grande, dell’ordine di un miliardo di fotoni per
ogni barione.
Questo numero e’ anche importante perche’ ad alte temperature, superiori
a 1013 K barioni e anti-barioni erano in equilibrio tra loro e con la componente
fotonica (nelle condizioni di equilibrio termodinamico sopra menzionate). Vi
41
Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
era una continua creazione di barioni-antibarioni e loro annichilazione. A
circa 1013 K si e’ verificata l’annichilazione dei barioni e degli anti-barioni.
Poiche’ nell’Universo locale non si osserva praticamente la presenza di antibarioni, evidentemente si deve essere creata una leggerissima asimmetria tra
numero di particelle e antiparticelle, a favore delle prime, che ha fatto si’ che
non tutte si annichilissero tra loro, ma rimanesse una piccola contaminazione
di barioni, che poi ha portato ad un valore di ΩB diverso da zero. Dalla misura
di η, l’asimmetria e’ di una parte su 109 .
La situazione fisica relativamente alla descrizione delle prime fasi evolutive
dell’Universo e’ comunque assai complessa. Vi sono una varieta’ di componenti fisiche interconnesse tra loro, e tutte legate dalla Relativita’ Generale
alla metrica gravitazionale, come schematizzato in Figura 3.1.
Figura 3.1: Schema illustrante le varie componenti fisiche e loro inter-relazioni
che occorre considerare trattando le prime fasi evolutive dell’Universo.
3.2 Successi e problemi del Modello Standard Classico
3.2
42
Successi e problemi del Modello Standard
Classico
Riprendiamo rapidamente quanto detto prima per valutare i successi e i limiti
del Modello Standard Classico d’Universo, intendendo per questo il modello a
Big Bang caldo che emerse dalla scoperta della radiazione CMB, ricco dunque
di fotoni sempre piu’ energetici man mano ci si avvicina al Big Bang.. Questo
assume che le leggi della fisica valide oggi fossero valide anche nell’universo
primordiale (inclusa anche la “nuova fisica” di cui si parlera’ in seguito) e
che la gravita’ sia descritta dalla Relativita’ Generale, inclusa una costante
cosmologica Λ di valore pero’ molto basso. Inoltre e’ valido il Principio
Cosmologico e le condizioni iniziali sono:
• Alta temperatura nelle fasi iniziali, T > 1 GeV a 10−6 secondi dopo il
Big Bang, e addirittura T > 1019 GeV al tempo di Planck tP ;
• contenuto dell’universo in equilibrio termico (vedi precedente Cap. 3.1);
• un’asimmetria barionica consistente con il valore osservato (vedi Cap.
3.1);
• Ω (ti ) ∼ 1;
• uno spettro di fluttuazioni di densita’ iniziali che ha dato origine alla
struttura su grande scala che vediamo al tempo attuale.
I (grandi) successi raggiunti sono:
• la CMB viene naturalmente spiegata come cio’ che resta di una fase
iniziale molto calda
• le predizioni sulle abbondanze date dalla nucleosintesi cosmologica, in
accordo con le osservazioni, inclusa l’abbondanza del Deuterio primordiale, in perfetto accordo con misure indipendenti di ΩB
• viene fornita la base per capire la formazione delle galassie e delle altre strutture, tramite un modello (del Clustering Gerarchico a seguito
di instabilita’ gravitazionale in presenza di materia oscura fredda e di
una costante cosmologica Λ importante solo negli ultimi miliardi di anni) che e’ in grado di spiegare la Struttura su Grande Scala e la sua
evoluzione.
Rimangono pero’ problemi non risolti e domande fondamentali sulla
struttura generale dell’Universo la cui risposta non e’ ancora stata trovata:
43
Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
• l’evoluzione dell’universo al tempo di Planck e prima
• il problema dell’orizzonte cosmologico
• il problema della piattezza
• il problema dei monopoli magnetici
• il problema della bariosintesi, ovvero dell’origine dell’asimmetria barioniantibarioni
• l’apparentemente eccessiva omogeneita’ e isotropia dell’Universo, che
costituiscono la base del Principio Cosmologico, e le cui cause sono da
trovare e motivare
• la natura della materia oscura
• l’origine dello spettro primordiale di fluttuazioni di densita’
Nel seguito di questo capitolo illustreremo brevemente la natura di questi
problemi e successivamente discuteremo loro soluzioni nel capitoli seguenti
di questa Sezione.
3.2.1
Il problema della piattezza cosmica
Si tratta del piu’ serio problema del modello standard dell’Universo basato
sulla dinamica di Friedmann. Ad esso e’ collegato anche quello dell’origine
fisica del Principio Cosmologico (pure discusso nel prossimo Cap.). In un
universo di Friedmann (con o senza costante cosmologica non fa differenza
perche’ essa e’ una quantita’ trascurabilmente piccola a z > 1), riprendendo
eq. 1.14:
H 2 (z) = H02 a−2 Ω0w a−(1+3w) + (1 − Ω0w )
e utilizzando ancora la definizione del parametro di densita’ generalizzato
1.10
8πGρw (z)
Ωw (z) =
,
3H(z)2
si ottiene
−1
8πGρw (z) 2 −(1+3w)
a
Ω
a
+
(1
−
Ω
)
(3.18)
Ωw (z) =
0w
0w
3H02
con ρw (z) = ρ0w (1 + z)3(1+w) (vedi la eq. 1.11). Sostituendo, e poiche’
a = 1/(1 + z), si ottiene
Ωw (z) =
Ω0w (1 + z)1+3w
Ω0w (1 + z)1+3w + 1 − Ω0w
(3.19)
3.2 Successi e problemi del Modello Standard Classico
44
che si puo’ porre nella forma piu’ utile
Ωw (z)
−1
1 − Ω0w
Ω−1
0w − 1
−1=
=
1+3w
Ω0w (1 + z)
(1 + z)1+3w
(3.20)
Equazione 3.20 costituisce un enorme problema per il modello standard: salvo che Ω0w non sia oggi enormemente lontano dall’unita’, il parametro di
densita’ ad epoche prossime al tempo di Planck deve essere stato straordinariamente vicino a 1: se facciamo riferimento ad esempio all’epoca cosmica
corrispondente al redshift di Planck, z ∼ 1032 , il fine-tuning iniziale deve
essere stato di una parte su 1032 (il parametro di densita’ diverso da 1 solo
oltre la 32ma cifra decimale)!
Gia’ dalla 3.20 si vede che questa conclusione potrebbe essere solo superata ammettendo una fase nel quale il fluido cosmico sia caratterizzato da un
valore molto negativo del parametro di stato w.
La cosa puo’ anche essere considerata da un altro punto di vista. Durante
la dominazione della radiazione (ρ ∝ T 4 ) non ci sono scale importanti se non
1/2
la scala di Planck tP ∼ G~
. Ragionevolmente percio’ ci si puo’ aspettare
c5
che un universo chiuso abbia un tempo in cui raggiunge la massima espansione per poi ricollassare, e che questo tempo sia dell’ordine del tempo di
Planck. Similmente, per un universo aperto ci si aspetterebbe che il termine
di curvatura dominasse su quello gravitazionale su tempi scala nuovamente
paragonabili al tempo di Planck; in altre parole, che tutte le particelle costituenti l’Universo si siano espanse a distanza praticamente infinita l’una
rispetto all’altra in un tempo infinitesimo.
L’universo invece si stima sia sopravvissuto circa 1010 yrs ∼ 1060 tP , per
cui il termine cinetico deve differire da quello gravitazionale nella Equazione
di Friedmann (che esprime la conservazione dell’energia) di una quantita’
piccolissima, in altre parole la densita’ al tempo di Planck doveva essere
straordinariamente vicina a quella critica:
Ω (tP ) ∼ 1 + (Ω0 − 1) 10−60
(3.21)
Questo e’ un’ altra visuale dalla quale considerare il fondamentale problema del fine-tuning iniziale. D’altra parte l’universo non e’ esattamente
descritto dalla metrica di Robertson-Walker poiché non e’ esattamente omogeneo e isotropo, risulta difficile quindi capire perche’, globalmente, dovrebbe
avere esattamente la densita’ critica durante le prime fasi espansive.
3.2.2
Il problema dell’orizzonte cosmologico
Come si e’ visto, qualunque universo di Friedmann con equazione di stato p =
wρc2 con w ≥ −1/3, che comprende quindi un amplissimo intervallo di valori
45
Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
e di situazioni fisiche, ha un orizzonte cosmologico delle particelle. Questo
orizzonte stabilisce la porzione di spazio sferico attorno ad un qualunque
osservatore che include eventi con i quali l’osservatore e’ stato in contatto
causale dal Big Bang al momento considerato. Si tratta quindi non degli
eventi con cui l’osservatore e’ in contatto in quel momento (che corrispondono
invece al cono-luce), ma di tutti quelli con cui ha scambiato informazione in
un qualunque istante passato.
La presenza dell’orizzonte delle particelle e il Principio Cosmologico risultano pero’ in fondamentale conflitto tra loro, almeno apparentemente:
regioni ora sufficientemente lontane per non essere mai state in connessione
causale tra loro risultano essere caratterizzate da una forte correlazione fisica, ovvero gli stessi valori dei parametri termodinamici: si osserva cioe’ che
il Principio Cosmologico e’ verificato anche tra tali regioni apparentemente
mai fisicamente connesse.
Il problema risulta particolarmente acuto in considerazione dell’isotropia
osservate della CMB, che implica straordinaria omogeneita’ e isotropia per il
fluido cosmico alla superficie di ultimo scattering, gia’ quindi all’epoca della
ricombinazione.
Se assumiamo zls ∼ 1000 ≫ 1, allora possiamo considerare il raggio di
Hubble a quell’epoca scalandolo dall’epoca attuale:
Rc (zls ) ∼ ct0 /zls .
(3.22)
con zls ≃ 1080. Il raggio proprio corrispondente all’orizzonte delle particelle
alla ricombinazione, invece, e’ immediatamente calcolabile dalla eq. 2.9:
RH (zls ) ≃
2c
1/2
H0 Ω0w (3w
+ 1)
(1 + zls )−(3w+3)/2
(3.23)
Avremo dunque per w ≈ 0:
−3/2
RH (zls ) . 2ct0 zls
−1/2
≤ 2Rc (zls )zls
≤ 10−1 Rc (zls ),
(3.24)
avendo usato eq. 3.22, e risultati analoghi si ottengono se w e’ compreso
nell’intervallo di Zeldovich (0-1). Percio’ l’Universo alla superficie di ultimo
scattering risulta da osservazioni della CMB omogeneo e isotropo su una
scala almeno dieci volte più grande di quella dell’orizzonte. In particolare,
il segno di eguale nella 3.24 si applica quando w = 0, valore che si applica
nella Matter Dominated Era. Considerando la distanza di diametro angolare
a zls (si veda Sez. 5, eq. 3.116-118), dA ∼ 13 M pc, otteniamo per la scala
angolare corrispondente all’orizzonte delle particelle a zls :
θH =
RH
≃ 1.8o Ω1/2
m .
dA (zls )
3.2 Successi e problemi del Modello Standard Classico
46
Questo calcolo implica che su scale angolari piu’ grandi di 1 grado la CMB
non possa essere isotropa, al contario di quanto osservato. La teoria classica
del Big Bang non puo’ spiegare l’elevato grado di isotropia angolare della
CMB osservato.
3.2.3
Il problema dei monopoli
Ogni Grand Unified Theory (GUT), per la quale l’elettromagnetismo
e’ contenuto in una teoria di gauge che implichi una rottura spontanea di
simmetria, ha una naturale spiegazione per la quantizzazione della carica
elettrica. La stessa teoria purtroppo pero’ prevede anche la creazione di
difetti del campo di Higgs, che costituiscono nuove componenti introdotte
dalla fisica delle particelle elementari. Il campo di Higgs e’ stato recentemente
verificato da recenti esperimenti con il Large Hardon Collider al CERN.
Questi difetti possono avere dimensioni nulle, costituendo i cosiddetti
monopoli, entita’ unidimensionali (stringhe), ovvero bidimensionali (domain walls) o tridimensionali (textures). Il tipo di difetto creato
dipende dalla simmetria che viene rotta.
~c
I monopoli hanno carica magnetica gn = ngD = n 2e
= 68.5e, massa
~
mM ∼ 103 mHiggs ∼ 1016 GeV ∼ 10−8 g e raggio rM ∼ mHiggs
∼ 10−28 cm.
Dal punto di vista cosmologico monopoli e domain walls costituiscono un
problema. La densita’ numerica di monopoli si stima sia dell’ordine di quella
dei barioni, quindi
n0M > 10−10 n0γ ∼ n0b
(3.25)
implicando quindi un valore enormemente elevato per il parametro di densita’
contribuito dai monopoli ΩM > mmMp Ωb ∼ 1016 , dato che la massa di ogni tale
particella sarebbe enormemente superiore a quella di un protone.
3.2.4
Il problema della costante cosmologica
In presenza di costante cosmologica le equazioni di Friedmann diventano
8
ȧ2 = πG (ρ + ρΛ ) a2 − Kc2
3
p
4
ä = − πG ρ + 3 2 − 2ρΛ a
3
c
(3.26)
(3.27)
47
Il modello cosmologico standard classico a Hot Big Bang
da cui, a partire dai limiti osservativi su q0 e Ω0 si trovano i seguenti limiti
ai valori della costante:
|ρΛ | < 10−48 GeV
|Λ| < 10−55 cm−2
mΛ < 10−32 eV ≪ mγ
(3.28)
(3.29)
(3.30)
valori pertanto innaturalmente piccoli.
Le quantita’ ρΛ e pΛ possono essere interpretate come la densita’ e la
pressione del vuoto come stato fondamentale di un sistema quantistico: ρΛ =
ρv ∼ V (φ, T ) , pΛ = pv = −ρv c2 dove V (φ, T ) e’ il potenziale effettivo, analogo all’energia libera nella trattazione classica, la cui variazione determina
la rottura spontanea della simmetria. Il valore di aspettazione del campo φ e’
l’equivalente del parametro d’ordine nel caso termodinamico. La dipendenza
temporale della costante cosmologica inoltre e’ data dalla sua dipendenza
dalla temperatura e su questo si basa il modello inflazionario.
Le teorie di gauge predicono
m4
+ const
(3.31)
~3 c3
con m scala di massa-energia a cui avviene la transizione di fase. Per ogni
rottura di fase della simmetria si ha una diminuzione
m4
∆ρv ∝ 3 3 ≈ 1060 GeV4 , 1012 GeV4 , 108 GeV4 e 10−4 GeV4
~c
rispettivamente per GUT, supersimmetria, transizione elettrodebole e per
QCD. Si ha
X
X
(3.32)
ρv (tP ) = ρv (t0 ) +
∆ρv (mi ) ∼
∆ρv (mi ) 1 + 10−108
ρv ∼
i
i
ovvero un problema di estremo fine tuning.
3.3
Epilogo
In questo Cap. 3 abbiamo dapprima riassunto alcuni degli aspetti fondamentali del Modello Standard Classico d’Universo, con alcuni dei suoi grandi successi. In seguito abbiamo elencato e investigato alcuni dei numerosi
problemi lasciati aperti da questo modello standard.
I prossimi capitoli saranno dedicati ad uno studio delle prime fasi espansive dell’Universo, e dei processi fisici cola’ occorsi, che ci aiuteranno a risolvere molte, se non tutte, le inconsistenze e le limitazioni del modello Standard
classico, modificandolo in quello che oggi e’ riconosciuto semplicemente come
il Modello Standard.
Capitolo
4
Processi fisici nell’Universo
primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
Le analisi condotte nel Capitolo 3 ci hanno condotto a individuare vari problemi cosmologici relativi al modello standard del Big Bang, ad esempio il
problema dell’orizzonte. Questo, abbiamo visto, non e’ l’unico problema nel
quale incorre il modello standard di Universo. Discutiamo in questo Capitolo
come una soluzione comune di essi possa trovarsi nel concetto di inflazione cosmologica, ossia nell’ammettere una brevissima fase di espansione
accelerata dell’Universo.
Analizzeremo pertanto i vari processi fisici durante le primissime fasi
espansive, discutendo in particolare i processi delle transizioni di fase, che
stanno alla base della teoria dell’Infazione Cosmologica. Quest’ultima infatti trova ispirazione e giustificazione in alcune teorie fisiche delle interazioni
fondamentali.
Nel prossimo Capitolo tratteremo brevemente i vari tipi di modelli inflazionari che sono stati adottati a partire dal 1981, anno in cui Guth per primo
introdusse il concetto di inflazione cosmologica.
4.1
Costituenti fondamentali della materia
L’evoluzione delle prime fasi del Big Bang caldo dipendono essenzialmente
dalla fisica delle particelle elementari, dalle loro interazioni fondamentali e
dalle teorie che le descrivono.
Dato che ci muoviamo nell’ambito delle particelle fondamentali, puo’ esse-
49
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
re utile riassumere brevemente i tipi di particelle con cui avremo a che fare nella trattazione successiva. In questo ambito sono possibili tre diverse
classificazioni:
• in base alla loro funzione;
• in base alla loro massa;
• in base alla loro struttura;
Un quadro completo e sintetico delle particelle attualmente conosciute e’
quindi fornito da quanto segue.
1. CLASSIFICAZIONE DELLE PARTICELLE IN BASE ALLA
FUNZIONE
• PARTICELLE CHE COMPONGONO LA MATERIA: FERMIONI, particelle puntiformi di spin semintero per cui vale il principio di esclusione di Pauli. Tutti i fermioni hanno carica debole
e possono essere divisi in due gruppi a seconda della sensibilita’
all’interazione forte:
a. LEPTONI: non sentono l’interazione forte. Ne esistono di 6
tipi, 3 carichi (e− , µ− , τ − ) e 3 neutri (νe , νµ , ντ ).
b. QUARKS: sentono l’interazione forte (possiedono la carica di
colore) e presentano tutti carica elettrica frazionaria. Esistono
6 tipi di quark, ciascuno con un proprio sapore, li elenchiamo
dal più leggero al più pesante: u (up), d (down), s (strange), c (charm), b (bottom), t (top). Ciascun quark possedere
un’ulterire caratteristica che prende il nome di colore.
• PARTICELLE CHE MEDIANO LE INTERAZIONI: BOSONI,
particelle di spin intero che non soddisfano il principio di Pauli.
2. CLASSIFICAZIONE DELLE PARTICELLE IN BASE ALLA
MASSA
• BARIONI: sono le particelle più pesanti, possiedono spin semintero e numero barionico;
• MESONI: sono le particelle di massa intermedia e spin intero
uguale a zero (particelle scalari);
• LEPTONI: sono le particelle più leggere, si possono considerare
puntiformi e possiedono spin semintero.
4.1 Costituenti fondamentali della materia
50
Figura 4.1: Schema delle interazioni fondamentali e le loro particelle mediatrici. L’intensita’ delle forze sono normalizzate a quella dell’interazione
nucleare forte.
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
51
3. CLASSIFICAZIONE DELLE PARTICELLE IN BASE ALLA
STRUTTURA
• ADRONI: (sono i barioni più i mesoni) particelle non puntiformi
che sono composti da una struttura di quarks;
• LEPTONI: particelle puntiformi prive di una struttura interna di
quarks.
4.2
Le Interazioni Fondamentali
Possiamo ora procedere ad analizzare le interazioni fondamentali che, come
e’ ben noto, sono quattro:
• elettromagnetica;
• nucleare debole;
• nucleare forte;
• gravitazionale.
Di queste le prime tre possono essere descritte in modo soddisfacente,
in termini quantistici, tramite scambi di particelle bosoniche, che giocano il
ruolo di mediatori delle forze. Anche per la gravita’ e’ stato ipotizzata la
presenza di un bosone mediatore, ma la teoria quantistica in questo caso non
ha raggiunto un grado di formalizzazione paragonabile a quello delle altre tre
interazioni, come abbiamo gia’ accennato. Analizziamo ora separatamente le
quattro interazioni fondamentali:
• Interazione elettromagnetica: descritta classicamente delle equazioni di Maxwell e in regime quantistico della elettrodinamica quantistica (QED, Quantum Electro-Dynamics). Le forze elettromagnetiche
sono mediate dai fotoni, bosoni privi di massa di conseguenza a lungo range (in linea teorica infinito, ma bisogna considerare gli effetti di
schermaggio della carica). La costante di accoppiamento di questa interazione, ossia la quantita’ che misura l’intensita’ dell’interazione, e’
data da
e2
1
gQED =
≃
.
(4.1)
~c
137
Dal punto di vista della teoria dei gruppi la Lagrangiana che descrive
l’interazione elettromagnetica e’ invariante sotto il gruppo delle trasfomazioni di gauge denotato come U (1) (per trasformazione di gauge si
4.2 Le Interazioni Fondamentali
52
intendono trasformazioni di simmetria locale, cioe’ dipendenti unicamente dalla posizione spazio-temporale).
• Interazione nucleare debole: tale interazione coinvolge tutte le particelle, ma generalmente e’ di maggior interesse quando coinvolge i leptoni. Le interzioni deboli sono a corto raggio poiche’ i bosoni mediatori (chiamati W + , W − e Z0 ) sono molto massivi (mW = 80 Gev e
mZ = 90 Gev). L’interazione debole puo’ essere descritta dalla teoria
sviluppata nel 1970 da Glashow, Salam e Weinberg, secondo la quale l’elettromagnetismo e l’interazione debole rappresentano i diversi aspetti
di una singola forza (che prende il nome di forza elettrodebole), che per
energie superiori a EEW = 102 GeV, e’ descritta da una lagrangiana
che e’ invariante sotto il gruppo di trasformazioni di gauge denominato come SU (2) × U (1). A energie dell’ordine di EEW i leptoni non
hanno massa e l’interazione elettrodebole e’ mediata da quattro bosoni
vettori privi di massa (W1 , W2 , W3 , B), chiamati bosoni vettori intermedi (intermediate vector bosons) con una costante di accoppiamento
dell’ordine di gQED . Ad energie inferiori a EEW la simmetria data dal
gruppo di trsformazioni SU (2) × U (1) e’ rotta spontaneamente; la conseguenza di cio’ e’ che i leptoni (ad eccezione forse del neutrino) e i
tre bosoni acquistano massa (W + , W − e Z0 possono essere interpretati
come un “miscuglio” di stati quantistici che corrispondono a W1 , W2 ,
W3 e B). Dopo tale rottura spontanea, l’unica simmetria che rimane
e’ quella rispetto al gruppo U (1) relativa all’elettromagnetismo.
• Interazione nucleare forte: coinvolge tutte le particelle che vanno sotto il nome di adroni. Tutti gli stati adronici sono descritti da
un punto di vista teorico dalla cromodinamica quantistica (Quantum
Chromo-Dynamics, QCD), che ha uno sviluppo simile alla teoria elettrodebole. L’interazione forte e’ responsabile del legame dei quarks tra
di loro. Come gia’ visto esistono diversi tipi di quarks che si distinguono l’uno dall’altro attraverso una caratteristica che prende il nome di
colore. Il ruolo di bosoni nell’interazione forte e’ ricoperto dai gluoni,
una famiglia di bosoni privi di massa. Malgrado i gluoni siano privi di
massa, l’interazione forte e’ a cortissimo raggio (∼ 10−5 cm), tale comportamento e’ dovuto al fatto che tali bosoni, a differenza dei fotoni,
possono intergire tra di loro ed e’ proprio tale interazione che limita il
range della forze nucleare forte. I gluoni inoltre, non trasportano carica
elettrica, ma bensı̀ una carica di colore, legata ad un’altra caratteristica
propria dei quark che e’ appunto il colore. Ad energie che superano i
53
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
200 − 300 MeV, gli adroni non sono più legati tra di loro e si ottiene
un plasma di gluoni e quark.
La simmetria che caratterizza l’interazione forte prende il nome di
SU (3) ed e’ quantificata tramite l’introduzione di un nuovo numero
quantico che prende il nome di Isospin, che permette di classificare gli
adroni (mesoni e barioni) sulla base dell’indipendenza dell’interazione
forte dalla carica elettrica delle particelle.
Il successo dell’unificazione elettrodebole (che presenta comunque delle
incongruenze al suo interno) ha spinto molti autori alla ricerca della
realizzazione dell’unificazione dell’interzione forte e di quella elettrodebole. Tali tentativi vanno sotto il nome di GUTs (Grand Unified
Theories), ma non hanno, al momento attuale, ancora ottenuto risultati sperimentali apprezzabili a causa delle enormi energie in gioco. In
tali teorie altri bosoni supermassivi (∼ 1015 GeV) sono i mediatori della
forza unificata. Tra le altre cose tali teorie predicono il decadimento
del protone, che presenta una vita media di circa 1032 − 1033 anni. La
versione più semplice di una GUT e’ rappresentato dal gruppo di simmetria SU(5) che subisce una rottura spontanea a energie EGU T ≃ 1015
GeV, cosı̀ che SU (5) → SU (3) × SU (2) × U (1). La possibile rottura
di simmetria e’ conseguenza di una transizione di fase del primo ordine
e forma la base della prima versione della teoria inflazionaria di Guth
del 1981, che vedremo nei prossimi paragrafi.
• Interazione gravitazionale: e’ descritta classicamente dalla teoria
della Relativita’ Generale. Il bosone che media tale forza prende il nome di gravitone. Tale bosone dovrebbe avere massa nulla, dato il range
infinito dell’interzione gravitazionale, e spin pari a 2 (a differenza di
tutti gli altri bosoni mediatori che presentano spin uguale a 1) a causa
dell’assenza di cariche gravitazionali diverse, dovuto cioe’ al fatto che
la forza gravitazionale e’ solo attrattiva. Il gravitone non e’ stato fino ad ora osservato e, malgrado la spinta verso la costruzione di una
teoria quantistica della gravita’, forse non sara’ mai possibile, data la
peculiarita’ del comportamento di tale forza, trattare la gravita’ con
un formalismo analogo alle precedenti. Malgrado queste difficolta’ si e’
cercato di arrivare all’unificazione delle 4 forze fondamentali, citiamo
solo per completezza la teoria delle superstrighe come l’ idea più significativa e promettente in questo campo. La costruzione di una teoria
del tutto (TOE) rimane pero’ una questione lontana dall’essere risolta.
4.3 La Fisica delle Transizioni di Fase
4.3
54
La Fisica delle Transizioni di Fase
In alcuni sistemi a molte particelle e’ possibile riscontrare processi che coivolgono la scomparsa di stati disordinati caratterizzati da una elevata
simmetria, a favore della comparsa di stati ordinati con un minor
grado di simmetria. Questi passaggi tra ordine e disordine, prendono il
nome di transizioni di fase, durante le quali alcune quantita’ macroscopiche,
chiamate parametri di ordine, crescono a partire dal loro valore originario
pari a zero nello stato disordinato iniziale. Uno degli esempi classici di tali
transizioni e’ rappresentato dal ferromagnetismo: per temperature T > TC
(la temperatura di Curie) la fase stabile e’ quella disordinata con una magnetizzazione netta M = 0 (la quantita’ M = 0 in questo caso rappresenta
il nostro parametro d’ordine); a T < TC invece appare uno stato di magnetizzazione diverso da zero, la cui direzione dominate rompe la simmetria
rotazionale presente nello stato disordinato a T > TC .
L’abbassamento del grado di simmetria del sistema ha luogo attraverso
l’Hamiltoniano che descrive la sua evoluzione mantenendo lo stesso grado di
simmetria anche dopo la transizione di fase. Per esempio, l’equazione macroscopica della teoria del ferromagnetismo non predilige nessuna direzione
o posizione spaziale in particolare. Lo stato ordinato che emerge dalla transizione di stato descritta precendentemente, ha un grado di simmetria che e’
minore di quello dell’equazione che governa il sistema. Si puo’ infatti mostrare che le soluzioni corrispondenti allo stato ordinato, formano un insieme
di soluzioni degeneri (con la stessa energia), che ha lo stesso grado di simmetria dell’Hamiltoniano. Ossia, ritornando all’esempio del ferromagnetismo,
lo stato ordinato del sistema puo’ assumere, in teoria, una direzione qualsiasi per la magnetizzazione. Tenendo in considerazione tutte le possibilita’
per M, riotteniamo lo stato isotropico ed omogeneo iniziale. Una qualsiasi
piccola fluttuazione del campo magnetico seleziona una particolare soluzione
di questo set degenere e il sistema finisce nello stato corrispondente a tale fluttuazione. Ripetendo la transizione di fase con fluattuazioni casuali si
potra’ riprodurre casualmente tutti gli stati finali. E’ un po’ come il caso
di una particella libera, descritta nella meccanica Newtoniana dall’equazione
del moto v̇ = 0, che possiede sia la simmetria rotazionale che traslazionale.
Le soluzioni r = r0 + v0 t con r0 e v0 arbitrari, formano un set che rispetta la
simmetria dell’equazione originaria. Ma se prendo r0 e v0 ad un determinato istante di tempo, se le faccio per esempio diventare le condizioni iniziali
del problema, seleziono un soluzione particolare del set, che non presenta lo
stesso grado si simmetria dell’equazione del moto.
Una transizione con rottura di simmetria, durante la quale il parametro
d’ordine generico Φ cresce in maniera significativa, puo’ essere causato da
55
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
un’influenza esterna di sufficiente intensita’, in questo caso si parla di processi
a rottura di simmetria indotta, per distinguerli da quelli di rottura spontanea
di simmetria. La rottura spontanea di simmetria viene da un graduale cambiamento del parametro da parte del sistema stesso. Per descrivere questo
processo e’ utile richiamare il concetto di energia libera di un sistema
F = U − TS
dove U e’ l’energia interna, T la temperatura e S l’entropia. Ricordiamo
anche che la condizione per l’esistenza di uno stato di equilibrio di un sistema e’ che F abbia un minimo. L’energia libera coincide con l’energia
interna solo per T = 0. Per temperature maggiori, qualunque sia la forma
di U , un incremento di entropia generalmente conduce ad una descrescita
dell’energia libera F . Per sistemi in cui ci siano transizioni di fase, F e’ una
funzione del parametro d’ordine Φ. Dato che Φ deve rispettare la simmetria dell’Hamiltoniano del sistema, esso deve essere esprimibile in modo da
rimanere invariante rispetto alle trasformazioni che lasciano invariato l’Hamiltoniano stesso. Sotto certe condizioni F deve avere un minimo a Φ = 0
(stato disordinato), mentre in altre deve avere in minimo con Φ 6= 0 (stato
ordinato).
Consideriamo ora il caso più semplice. Se l’Hamiltoniano presenta una
simmetria per riflessione che e’ rotta dalla comparsa del parametro d’ordine
Φ o, equivalentemente in questo caso, −Φ, l’energia libera deve essere una
funzione solo di Φ2 (assumiamo Φ come variabile scalare e reale). Se Φ non
e’ troppo grande possiamo sviluppare F in serie di potenze
F (Φ) ≃ F0 + αΦ2 + βΦ4 ,
(4.2)
dove i coefficienti α e β dipendono dai parametri del sistema, come per
esempio la temperatura.
Per α > 0 e β > 0 abbiamo una curva di tipo 1 nella figura 4.2, mentre
per α < 0 e β > 0 abbiamo una curva di tipo 2.
La curva 1 corrisponde allo stato disordinato: il sistema e’ nel minimo
per Φ = 0. La curva 2 invece, ha due minimi per Φm = ±(−α/2β)1/2 e un
massimo a Φ = 0, quest’ultimo rappresenta lo uno stato disordinato instabile, mentre i due minimi corrispondono a stati ordinati con la medesima
probabilita’: qualsiasi perturbazione esterna che rende uno dei due minimi
leggermente più profondo, puo’ spingere il sistema verso l’uno o l’altro stato, facendo in modo che il sistema evolva in uno piuttosto che nell’altro; in
questo modo si ottiene la rottura spontanea di simmetria. Se c’e’ solo un
parametro che descrive il sistema, diciamo la temperatura, il coefficiente α e’
4.3 La Fisica delle Transizioni di Fase
56
Figura 4.2: Transizione di fase del secondo ordine
Energia libera F di un sistema che subisce una rottura spontanea di simmetria
tramite una transizione di fase del secondo ordine nel parametro d’ordine
Φ. Il minimo della curva 1, corrispondente a una temperatura T > TC ,
rappresenta lo stato di equilibrio disordinato; la transizione avviene a T = TC ;
uno dei due minimi della curva 2, corrispondente a T < TC , rappresenta lo
stato di equilibrio ordinato che compare dopo la transizione
scrivibile come α = a(T − TC ) (dove TC ora indica una temperatura critica
generica), con a > 0 ci troviamo nella situazione rappresentata dalla curva
2 per T < TC . Mentre T cresce andando verso TC , il parametro d’ordine
decresce lentamente ed e’ zero a TC . Questo tipo di transizione, come il suo
inverso, e’ detto transizione di fase del secondo ordine: il parametro d’ordine
compare o scompare gradualmente e la differenza ∆F tra T > TC e T < TC
a T ≃ Tc e’ infinitesima.
Esistono anche transizioni di fase del primo ordine, nelle quali a T ≃ TC
il parametro d’ordine appare o scompare rapidamente e la differenza ∆F e’
finita. Tale differenza e’ detta calore latente della transizione di fase. Si puó
otterene tale tipo di transizione se, per esempio, si inserisce un termine aggiuntivo γ(Φ2 )3/2 , con γ > 0 nel lato destro dell’equazione 4.2. Ci troviamo
ora del caso rappresentato in figura 4.2: F acquista due nuovi minimi che
diventano uguali o minori di F (0) = F0 per T ≤ TC .
In una transizione del primo ordine, quando T cambia da una situazione
rappresentata dalla curva 1 a quella rappresentata dalla curva 3 in figura
4.2, interviene il fenomeno del supercooling: il sistema rimane nello stato
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
57
disordinato detto di falso vuoto, rappresentato da Φ = 0 anche per T <
TC (stato A), ossia in uno stato metastabile di equilibrio. Ad un ulteriore
decrescere di T , o ad una possibile perturbazione del sistema da parte di una
fluttuazione interna od esterna, il sistema evolve rapidamente nello stato di
vero vuoto (stato B), che energeticamente stabile, liberando calore latente nel
processo. Il sistema, ancora nello stato ordinato, e’ riscaldato nuovamente
fino ad una temperatura dell’oridine di TC dal rilascio di tale calore latente,
questo fenomeno prende il nome di reheating.
4.4
Transizioni di Fase Cosmologiche
Il modello di rottura spontanea di simmetria e’ stato largamente applicato
per spiegare il comportamento delle interazioni tra le particelle nei paragrafi
precendenti. Poiche’ transizioni di fase di questo tipo ci si aspetta si verifichino nell’Universo primordiale, gli stadi iniziali del Big Bang sono spesso
descritti come l’era delle transizioni di fase. In questo contesto si e’ soliti identificare il parametro d’ordine Φ con il valore di un qualche campo
scalare quantistico, uno tra i più noti e’ il campo scalare di Higgs, mentre
l’energia libera F puo’ essere legata al potenziale effettivo V (Φ) che descrive
l’interazione di tale campo.
Il periodo di tempo che va dal tempo di Planck tP ≃ 10−43 s, che corrisponde ad una temperatura TP ≃ 1019 GeV, fino al momento in cui i quarks
vengono confinati all’interno degli adroni a T ≃ 200 − 300 MeV, puo’ essere
diviso in vari intervalli legati alla transizione di fase che caratterizza ciascuno
di essi.
1. TP ≃ 1019 GeV > T > TGUT ≃ 1015 GeV (tP ≃ 10−43 s e tGU T ≃
10−37 s). In questo periodo gli effetti quantistici della gravita’ diventano trascurabili e le particelle sono tenute in equilibrio termico per
T < 1016 GeV per mezzo delle interazioni descritte dalle GUT. Qualsiasi eccesso di barioni o antibarioni ci si aspetta sia rimosso a queste
alte energie; a T ≃ 1015 GeV l’Universo si trova in uno stato di simmetria barionica, cioe’ il numero di quarks e di antiquarks coincidono. E’
inoltre possibile che gli effetti di viscosita’ previsti alle scale delle GUT
possano condurre alla reintroduzione di un livello di disomogeneita’ dell’Universo in questo periodo. A temperature pari a TGU T ≃ 1015 GeV,
corrispondenti ad un tempo t ≃ 10−37 s, possiamo considerare la più
semplice GUT di simmetria SU (5).
2. T ≃ 1015 GeV (tGU T ≃ 10−37 s). A T ≃ 1015 GeV si ha la rottura
spontanea della simmetria S(5) in S(3) × SU (2) × U (1). Il risultato
4.4 Transizioni di Fase Cosmologiche
58
Figura 4.3: La nostra regione di universo prima e dopo l’inflazione.
della transizione di fase a TGU T e’ la formazione del monopolo magnetico: tale formazione (che non e’ pero’ osservata) rappresenta uno dei
problemi del modello standard del Big Bang e che verra’ risolto dall’introduzione dell’inflazione, che e’ solitamente assunto che intervega
a questa epoca. Una GUT che unifichi l’interazione forte con quella
elettrodebole, mette adroni e leptoni sullo stesso piano e permette cosı̀
dei processi che non consevano il numero barionico B (la violazione del
numero barionico non e’ permessa ne’ in QCD, ne’ nella teoria elettrodebole). E’ quindi ipotizzabile che processi avvenuti a TGU T , possano
aver creato una asimmetria tra barioni e antibarioni che e’ attualmente
osservabile attraverso il rapporto non nullo, tra numero di barioni e
quello di fotoni nb /nγ . Al fine di creare un eccesso di barioni da una
situazione inizialmente simmetrica, a T > 1015 GeV deve essere intervenuto un processo di sintesi barionica, che per avvenire necessita
di:
• processi che violano la conservazione del numero barionico B;
• violazione di C e di CP (dove C e’ la coniugazione di carica e
P e’ la parita’, violazioni di tali simmetrie sono osservate nelle
interazioni elettrodeboli), d’altra parte, per ogni processo che viola
la conservazione del numero barionico, deve essercene un altro
59
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
con lo stesso tasso di accadimento per gli anti-barioni che cosı̀ ne
cancelli l’effetto netto;
• i processi che violano la consevazione di B devono avvenire al di
fuori dell’equilibrio poiche’ un teorema della meccanica statistica
mostra che una distribuzione all’equilibrio con B = 0 rimane tale
senza curarsi del fatto che B, C e CP siano state violate o meno.
Tale teorema mostra che la distribuzione di equilibrio non puo’ essere modificata dalle collisioni anche se l’invarianza per inversione
temporale e’ violata.
Sembra che le condizioni elencate sopra siano valide a T ≃ 1015 GeV, o
a temperature leggermente più basse a seconda della teoria GUT utilizzata. Tuttavia la questione della sintesi barionica rimane estremanente
complessa, le ipotesi più ragionevoli sono giunte a stimare che l’asimmetria barioni-antibarioni sia dell’ordine di 10−8 − 10−13 , intervallo che
include in effetti anche il valore osservato: le incertezze derivano non
solo dalla scelta della teoria GUT adottata, ma anche dai parametri
liberi o malamente determinati presenti nelle varie teorie. Inoltre se
l’universo era inizialmente simmetrico rispetto ai leptoni, le reazioni
con violazione del numero barionico avrebbero potuto dare origine ad
un eccesso di leptoni rispetto agli antileptoni, questo perche’ le GUT
unificano quarks e leptoni: questa e’ una delle motivazioni per cui si
assume il potenzile chimico dei leptoni molto vicino allo zero all’inizio
della nucleosintesi. Inoltre il valore dell’asimmetria barionica prodotto dalle GUT dipende solo da parametri microfisici, cio’ significa che,
anche se l’Universo e’ non omogeneo, il valore dell’asimmetria deve
essere lo stesso in ciascuna regione.
3. TGUT (1015 GeV) > T > TEW (100 GeV) (tGU T ≃ 10−37 s e tEW ≃
10−11 s). Quando la temperatura cade sotto i 1015 GeV, l’unificazione
tra interazione forte ed elettrodebole non puo’ continuare a sussistere. I bosoni supermassicci che mediavano la forza unificata spariscono
rapidamente attraverso annichilazioni e processi di decadimento. Nel
momento della rottura di simmetria il parametro d’ordine Φ puo’ assumere un differente segno o direzione nella regione spaziale circostante:
e’ possibile in questo modo creare posti dove Φ cambia rapidamente
con la posizione spaziale. Queste regioni singolari, in cui Φ e’ discontinuo, hanno una struttura che dipende fortemente dal tipo di simmetria che viene rotta. Il periodo temporale in discussione e’ quello tra
tGU T ≃ 10−37 s e tEW ≃ 10−11 s, che in termini logaritmici risulta essere piuttosto lungo. E’ probabile che la transizione di fase sia avvenuta
4.5 Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard
60
proprio all’interno di questo intervallo di tempo, che non e’ ancora stato
completamente compreso. Esso corrisponde ad un range energetico di
102 − 1015 GeV; all’interno del quadro teorico costruito dalla simmetria
SU (5), non sono previste delle particelle con massa compresa all’interno di tale range che e’ stato, di conseguenza, denominato il “grande
deserto”. Rimagono quindi molte questioni irrisolte relativamente a
questa particolarissima era dell’Universo. Ad ogni modo, verso la fine
di questo periodo si puo’ tranquillamente affermare che l’Universo era,
in buona approssimazione, riempito da un gas ideale di leptoni ed antileptoni, dai quattro bosoni vettori, da quarks e antiquarks e gluoni.
Alla fine di questo periodo la dimensione dell’orizzonte cosmologico e’
di circa di un centimetro e contiene ≃ 1019 particelle.
E’ comunque durante o in prossimita’ di questa fase espansiva (molto
lunga, come si vede, in senso logaritmico) che si ritiene sia avvenuto il
processo dell’ inflazione cosmologica, come dettagliato piu’ sotto e
illustrata in Fig. 4.4.
4. TEW (100 GeV) > T > TQH ≃ 0.3 GeV (tQH ≃ 10−5 sec). A T ≃
102 GeV avviene la rottura spontanea della simmetria SU (2) × U (1),
attraverso una transizione di fase che e’ probabilmente del primo ordine ma anche piuttosto debole. Tutti i leptoni acquisiscono massa
attraverso tale rottura mentre i bosoni vettori intermedi danno origine
ai bosoni massivi W + , W − e Z0 . I bosoni massivi scompaiono rapidamente attraverso decadimenti e annichilazioni quando la temperatura
scende al di sotto del 90 GeV. Per temperature TQH ≃ 300 MeV, ci troviamo nella transizione di stato finale nel quadro previsto dalla teoria
della QCD: l’interazione forte diventa infatti molto intensa e produce il
confinamento dei quarks all’interno degli adroni e subito dopo comincia
la brevissima era adronica. Al raggiungimento di TQH e del corrispondente tempo cosmologico tQH ≃ 10−5 s, l’orizzonte cosmologico misura
circa 1 kilometro.
5. L’era adronica (TQH − TLept ), molto breve su un asse logaritmo dei
tempi, quando inizia la (lunga) fase leptonica discussa nella Sez. 5.
4.5
Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard
La soluzione ai paradossi cosmologici appena enunciati e’ stata proposta per
la prima volta da Guth (1981), che per primo introdusse il concetto di inflazio-
61
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
Figura 4.4: Rappresentazione grafica di una evoluzione standard dell’universo
primordiale (sopra), e di una evoluzione che include una fase di espansione
inflazionaria.
4.5 Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard
62
ne cosmologica, ossia una fase di espansione accelerata esponenzialmente, circoscritta ad un brevissimo intervallo temporale molto prossimo al Big Bang,
attraverso la quale e’ possibile ricondurre a comprensione alcuni paradossi
del modello standard discussi nel Cap.3.
Analizziamo ora come la soluzione inflazionaria risolva elegantemente
molti dei problemi sopra citati. Discuteremo nel seguito, con qualche ulteriore dettaglio nel Cap. 5, alcune giustificazioni fisiche al fenomeno inflazionario.
Ipotizziamo quindi una evoluzione del parametro di scala a(t) dato da:
 1/2

t

t < ti [w = 1/3]

 ai t i
a(t) =
ai eHi (t−ti )

1/2


 af t
tf
ti < t < tf
tf < t
[w < −1/3]
(4.3)
[w = 1/3]
avendo definito af = ai eHi (tf −ti ) = ai eN dove N = Hi (tf − ti ) e’ detto
numero di e-foldings dell’inflazione. I parametri ti e tf sono i tempi iniziale e finale della fase inflattiva. La relazione 4.3 implica che il parametro
di Hubble H(t) = ȧ/a all’inizio e alla fine della fase inflazionaria assuma
approssimativamente valori eguali, essendo in entrambi i casi a(t) ∝ t1/2
appropriato per la fase Radiation Dominated.
4.5.1
Costanza del parametro di Hubble durante l’Inflazione
Possiamo innanzitutto verificare che il parametro di Hubble non cambia significativamente tra immediatamente prima e immediatamente dopo l’inflazione, H(t) ≈ cost. Dalla definizione di H si ha:
dlna(t)
ȧ
=
.
a
dt
Proviamo dunque a imporre la costanza di H:
H=
H(t) =
dlna(t)
= cost = C
dt
(4.4)
(4.5)
integrando
Z
Z tf
da
=C
dt
a
ai
ti
lnaf − lnai = C(tf − ti )
af
= eC(tf −ti )
ai
af
(4.6)
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
63
quindi otteniamo
af
= eC(tf −ti )
(4.7)
ai
ossia H e’ costante se si assume un andamento esponenziale del fattore di
scala durante l’inflazione, che e’ proprio il caso considerato.
4.5.2
Soluzione al problema della Piattezza
Consideriamo l’equazione di Friedmann senza il termine della costante cosmologica (che ha scarsa influenza nell’evoluzione passata dell’Universo)
2
kc2
ȧ
8π
2
Gρ − 2
=H =
a
3
a
(4.8)
Definiamo poi il parametro di densita’ :
Ω=
ρ
ρcritica
=
8πGρ
.
3H 2
(4.9)
Dalle eq. 2.3 e 2.13, il raggio di Hubble comovente, che come abbiamo visto
fornisce un’ottima rappresentazione dell’orizzonte delle particelle (vedi ad es.
Figs. 2.6 e 2.7) sara’ 1 :
c
c
rc (t) = =
(4.10)
ȧ
aH
ricordando che la ρcritica e’ la densita’ che compete ad un Universo di k = 0.
Come gia’ detto, attualmente Ω ≈ 1, ossia ci troviamo in un Universo piatto
quasi euclideo che ha come valore della curvatura k = 0, che rappresenta
pero’ una soluzione a misura nulla, dato che Universi aperti (k < −1) o chiusi
(k > 1) presentano infinite possibilita’ per il valore di k, e dovrebbero essere
di conseguenza più probabili. Se pero’ assumiamo l’andamento del fattore di
scala precedentemente enunciato, dalle equazioni cosmologiche, dividendo i
due membri di 4.8 per H 2 e utilizzando la 4.9 e 4.10, otteniamo:
1=
8πGρ
− krc2 ⇒ 1 − Ω(t) = −krc2 (t)
3H 2
(4.11)
Quindi tra l’inizio e la fine dell’inflazione si ha
2
H 2 (ti )a2 (ti )
a2 (ti )
rc (tf )
1 − Ω(tf )
≃ 2
=
≃
≈ e−2N = 10−0.86N (4.12)
2
2
1 − Ω(ti )
rc (ti )
H (tf )a (tf )
a (tf )
1
Nota bene: utilizziamo qui la notazione minuscola rH (t) e rc (t) per rappresentare
l’orizzonte e sfera di Hubble comovente, e l’usuale maiuscola RH o Rc per le quantita’
proprie, come nelle definizioni nel Cap. 3.
4.5 Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard
64
Figura 4.5: Soluzione inflazionaria al problema della piattezza.
dal momento che, per quanto discusso nella 4.5.1, H(ti ) ≈ H(tf ). La relazione 4.12 per N sufficientemente grandi tende a 0, che implica che possiamo
rendere Ω(tf ) arbitrariamente vicino all’unita’. Poiche’, dalla equazione 3.20,
[1 − Ω(tp )]/[1 − Ω(t0 )] ∼ 10−32 , 40-50 ordini di grandezza nell’espansione di
a(t) sono necessari durante la fase inflazionaria, ovvero un numero di e-folding
di N ≈ 60−100 e’ richiesto. Questo risolve quindi il problema della piattezza.
4.5.3
Soluzione al problema dell’Orizzonte
In relazione al problema dell’orizzonte discusso nel Capitolo precedente, calcoliamo ora l’orizzonte proprio delle particelle all’inizio e alla fine dell’inflazione. Per t = ti , dalla definizione in eq. 2.9 si ha
Z ti √
Z ti
√
cdt′
d( t) = 2cti ;
(4.13)
RH (ti ) = a(ti )
= 2c ti
′
1/2
0
0 ai (t /ti )
mentre a t = tf
RH (tf ) = ca(tf )
Z
tf
0
Z t i
Z tf
dt
dt′
dt
N
= cai e
+
1/2
a(t′ )
ti ai exp[Hi (t − ti )]
0 ai (t/ti )
Z tf
1
N
−Hi (t−ti )
2ti −
= ce
e
d[−Hi (t − ti )]
Hi ti



1  −Hi (tf −ti )
= eN c 2ti −
e| {z } −e−Hi (ti −ti ) 
Hi
exp(−N )→0
≈ ceN (2ti + Hi−1 )
(4.14)
65
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
Facendone il rapporto troviamo
RH (tf )
eN c(2ti + Hi−1 )
=
= eN
RH (ti )
2cti
1+
1
2ti Hi
≈ eN .
(4.15)
La distanza propria massima a cui due particelle possono aver interagito
dopo l’inflazione e’ quindi 100.43N volte quella prima dell’inflazione: se N e’
sufficientemente grande la distanza e’ enorme e puo’ quindi spiegare le attuali
proprieta’ dell’Universo e il Principio Cosmologico, come dovuti ad una fase
precedente l’inflazione nella quale e’ stata termalizzata una certa porzione
d’universo, su una scala spaziale che poi e’ stata ampificata dall’inflazione.
L’andamento dell’orizzonte proprio in funzione del tempo cosmico e’ illustrato
in Fig. 4.6, ove si vede l’enorme crescita tra il tempo iniziale e quello finale
dell’inflazione, ti e tf . Un osservatore a t0 , proiettando indietro nel tempo
l’andamento apparente che consegue l’espansione cosmica, prevederebbe un
valore dell’orizzonte proprio (linea continua verticale) molto inferiore a quello
che e’ il valore reale (linea verticale a puntini) in conseguenza della crescita
inflazionaria.
Questo risultato in termini dell’orizzonte proprio delle particelle e’ perfettamente in accordo con quanto possiamo ottenere riguardo quanto accade
all’orizzonte comoving. In questo caso il rapporto tra fine e inizio inflazione
diventa
rH (tf )
RH (tf ) ai
=
≃ eN −N ≃ 1
(4.16)
rH (ti )
RH (ti ) af
ovvero l’orizzonte comovente rimane invariato, come illustrato nella Fig. 4.6,
e in accordo con l’andamento costante dell’orizzonte comoving in presenza di
una espansione esponenziale illustrato in Fig. 2.6.
Per verificare che l’Inflazione risolva completamente anche il problema dell’orizzonte alla ricombinazione, ragioniamo nel seguente modo. L’orizzonte
proprio alla ricombinazione e’, dunque, da (2.4) con accettabile approssimazione:
RH (zls ) ≈ ctrec
con trec ≃ 0.4 M yr ≃ 0.4 106 × 3 107 sec, mentre l’orizzonte proprio alla fine
dell’inflazione e’
RH (tf ) ≈ eN ctf
con ti ≈ 10−37 sec. Avremo dunque la condizione (assai conservativa perche’
non considera l’aumento dell’orizzonte a t > tf )
eN ctf > ctrec ,
eN >
trec
.
tf
4.5 Soluzione inflazionaria ai problemi del modello standard
66
Figura 4.6: Soluzione inflazionaria al problema dell’orizzonte. Nella parte superiore in termini delle dimensioni comoventi, in quella inferiore delle
dimensioni proprie.
67
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
Infine
eN >
trec
,
tf
0.43N > 50
ovvero un fattore di inflazione pari a 50 ordini di grandezza risolve completamente anche il problema dell’orizzonte. Per N ≈ 100, dunque, si risolvono
sia i problemi della piattezza che quelli dell’orizzonte e l’inflazione dura un
tempo tf − ti = N/Hi ≈ 10−34 s se Hi = 1036 s−1 .
4.5.4
Soluzione al problema dei Monopoli
Rimane da verificare come l’inflazione possa spiegare l’assenza dell’atteso
elevato numero e densita’ in massa di monopoli. Ricordando che la densita’
energetica di monopoli va come ǫ = E/a3 (t) e dunque il rapporto
a3 (ti )
ǫM (tf )
= 3
= e−3N = 10−1.26N
ǫM (ti )
a (tf )
(4.17)
che per N ≈ 100 porge ǫM ≈ 1012 Mpc−3 alla fine dell’inflazione. All’epoca attuale cio’ implicherebbe ǫM ≈ 10−49 Mpc−3 , cioe’ una densita’ numerica estremamente bassa di nM ≈ 10−61 monopoli/Mpc3 e ben difficilmente
rilevabile, in accordo con le osservazioni.
4.5.5
Origine dello spettro primordiale delle perturbazioni scalari e tensoriali
L’inflazione sembrerebbe di per se’ rimandare ad una ipotetica, e difficilmente
verificabile, fase inflazionaria primordiale la soluzione dei vari problemi della
cosmologia. Sembrerebbe pertanto una soluzione piuttosto ad-hoc.
Nella realta’, ci si e’ recentemente resi conto che la teoria inflazionaria
sembra essere in grado di predire con elevata precisione e in modo relativamente semplice e diretto l’origine dello spettro primario delle perturbazioni, da cui successivamente la struttura su grande scala e le varie strutture
cosmiche si sono formate in modo evolutivo, in eccellente accordo con le
osservazioni.
Il modello sull’origine dello spettro primordiale delle perturbazioni nell’ambito del processo inflazionario si sviluppa lungo le seguenti linee. Attraverso l’enorme espansione del fattore di scala cosmico, scale che precedentemente l’inflazione erano microscopiche sono state portate dalla stessa su scale
non solo macroscopiche ma addirittura cosmologiche (ricordiamo l’espansione di circa un fattore 1040 ). Sappiamo anche dalla meccanica quantistica
4.6 Conclusioni
68
che un mezzo supposto omogeneo e uniforme e’ soggetto a fluttuazioni di tipo appunto quantistico, essendo soggetto al principio di indeterminazione di
Heisemberg (eq. [1.30]). Queste microscopiche fluttuazioni sono cosi’ portate
su scale cosmologiche dall’inflazione.
Questo schema puo’ essere sviluppato in modo formale e rigoroso, ad
esempio facendo riferimento alla teoria dell’oscillatore armonico quantistico,
ottenendo come risultato uno spettro molto simile a quello a legge di potenza
di Harrison-Zeldovich (P (k) ∝ k n ) con n = 1. 2 Rimandiamo per i dettagli
di questo risultato alla Sezione ”7bEarlyUniverse.pdf” e a quanto discusso
nella Sez. 8.
Allo stesso tempo, assieme alle fluttuazioni del campo scalare di densita’,
l’inflazione ha generato un campo di perturbazioni tensoriali che
producono onde gravitazionali, in grado di generare effetti di polarizzazione lineare di tipo B nei fotoni della CMB. L’identificazione di
questa componente di polarizzazione fornirebbe un test osservativo decisivo
per la teoria inflazionaria.
4.6
Conclusioni
La teoria cosmologica inflazionaria, e i processi di fisica delle particelle elementari che ne sono alla base, ci conducono cosi’ ad una nuova visione delle
origini dell’Universo e ad un nuovo “modello standard rivisto”, i cui successi
si possono cosi’ riassumere:
• la fisica precedente rimane valida, con o senza costante cosmologica
• il Principio Cosmologico viene giustificato
• vengono spiegate le condizioni iniziali e risolti i problemi della piattezza
e dell’orizzonte
• viene qualitativamente spiegata dalla nuova fisica l’asimmetria barionica
• viene risolto il problema della possibile creazione di monopoli
• rimangono tutti i risultati e i vantaggi del modello standard
• ci sono dei candidati non barionici per la materia oscura
2
In detail, the model predicts that there is a slight deviation of n from unity, that is a
value slightly lower than 1. Again this is indeed confirmed by observation, see the results
from the WMAP experiment in Sect. 3.5 Figure 3.8, where we got n ≃ 0.96 ± 0.14.
69
Processi fisici nell’Universo primordiale. Transizioni di fase.
Inflazione Cosmologica
• si ottiene una miglior spiegazione della formazione delle strutture grazie
alla materia oscura
• si ottiene un modello fisico per l’origine dello spettro primordiale delle
perturbazioni
• si ottiene un modello fisico per l’origine delle perturbazioni di tipo
tensoriale che inducono un campo di onde gravitazionali la cui traccia
potrebbe essere verificata nelle proprieta’ di polarizzazione di tipo B
nella CMB (vedi Sez. 7.3).
Rimangono (ovviamente) purtuttavia non soluti alcuni problemi, principalmente legati:
• al (bassissimo) valore della costante cosmologica attualmente misurata
o della densita’ di energia oscura
• su quale relazione ci possa essere tra questa fase attuale ad espansione
accelerata e l’inflazione primordiale stessa
• su perche’ densita’ di materia e di energia oscura siano cosi’ simili
al tempo attuale (Ωm ≃ ΩΛ ), cosa che sembra ancora richiedere un
elevatissimo grado di fine-tuning.
Questi rimangono ancora al momento questioni non risolte della cosmologia fisica, assieme a quello della fase cosmologica precedente il tempo di Planck.
Capitolo
5
Modelli Inflazionari
5.1
5.1.1
Tipologie di inflazione
Inflazione vecchia
Questo tipo di inflazione prevede un campo scalare che subisce una transizione del primo ordine con formazione di bolle di accrescimento in relazione
al campo scalare di Higgs della teoria super-unificata GUT. Queste bolle
pero’ sarebbero troppo piccole per essere identificate con il nostro universo
osservabile e verrebbero allontanate dall’espansione troppo velocemente per
fondersi, con il risultato di dare un universo caotico. L’inflazione di Guth di
cui si e’ parlato in precedenza era di questo tipo ed e’ stata abbandonata,
infatti, in favore di modelli che portassero ad un universo come lo si osserva
ora e non caotico come questa teoria prevederebbe.
5.1.2
Inflazione nuova
In questo caso il campo scalare da’ una transizione del secondo ordine (vedere 4.4) con la formazione di due minimi degeneri a partire da uno solo
nell’originale. In questo tipo di transizione non c’e’ barriera di potenziale e
vengono creati domini coerenti estesi.
Questo tipo di inflazione ha pero’ grossi problemi di fine-tuning, il potenziale nell’origine dev’essere sufficientemente piatto per produrre un’inflazione
sufficiente ed evitare fluttuazioni eccessive a causa del campo quantistico.
Un’altro problema e’ che il campo scalare φ e’ assunto essere in equilibrio
termico con gli altri campi di materia prima dell’inizio dell’inflazione e questo
implica un forte accoppiamento con gli altri campi: la costante di accoppiamento provocherebbe correzioni che violerebbero le condizioni precedenti per
71
Modelli Inflazionari
cui sembra improbabile che si riesca ad ottenere l’equilibrio termico in modo
autoconsistente prima che l’inflazione inizi con le condizioni necessarie perché
l’inflazione avvenga.
5.1.3
Modello Inflazionario Aperto
Negli anni ’90, quando si e’ iniziato a realizzare che non erano imminenti
evidenze sperimentali riguardo la densita’ critica dell’universo, i teorici dell’inflazione abbandonarono le motivazioni originali e svilupparono versioni di
inflazione che portassero a universi omogenei ma curvi, compito non facile in
quanto l’inflazione tende a stirare la curvatura appiattendo l’universo.
L’inflazione aperta si basa su un effetto tunnel quantistico da uno stato
di falso vuoto metastabile seguito immediatamente da una seconda fase di
inflazione. L’effetto tunnel crea delle bolle all’interno delle quali l’universo
sembra aperto. Sebbene in alternativa sia possibile creare un modello inflazionario che produca Ω0 ∼ 0.2, questo modello risulta più complicato ed
alquanto piu’ esotico rispetto a modelli spazialmente piatti.
Ora, grazie alle osservazioni sul CMB, abbiamo dimostrato che l’universo
e’ effettivamente piatto anche non possedendo la densita’ critica, grazie alla
presenza della ΩΛ , per cui l’interesse riguardo un modello di inflazione aperta
si e’ completamente spento.
5.1.4
Inflazione caotica
E’ stata elaborata da Linde ed e’ basata su un campo scalare ma non richiede
una transizione di fase. L’idea alla base e’ che qualunque sia la forma del
potenziale, in zona di universo in cui φ sia grande, uniforme e statico, questo
automaticamente porterebbe all’inflazione.
Consideriamo il potenziale
1
V (φ) = m2 φ2
(5.1)
2
con m parametro arbitrario che descrive la massa del campo. Se a t = ti il
campo φ = φi e’ uniforme su scale H −1 (ti ) e φ̇2i ≪ V (φi ) l’equazione del
moto diventa
φ̈ + 3H φ̇ + m2 φ = 0
(5.2)
ovvero, in approssimazione slow-rolling,
3H φ̇ ∼ −m2 φ
(5.3)
Dal momento che H ∝ V 1/2 ∝ φ risolvendo l’equazione si vede che per eliminare il problema della piattezza e dell’orizzonte e’ necessario che φ > 3mp .
5.1 Tipologie di inflazione
72
Nell’inflazione caotica si assume che φ, poco dopo il tempo di Planck, vari in
modo arbitrario da punto a punto. Nel momento in cui una regione soddisfi
le condizioni precedenti, essa potrebbe essere soggetta ad inflazione ed eventualmente inglobare il nostro universo osservabile. Il risultato e’ una regione
molto omogenea e piatta localmente, immersa in un universo molto curvo e
disomogeneo.
φ, il campo scalare (diversamente dagli altri modelli, senza ricorrere alle
GUT) genera l’inflazione al tempo di Planck.
5.1.5
Inflazione stocastica
E’ l’estensione del modello dell’inflazione caotica, a volte viene chiamata
inflazione eterna e tiene conto delle fluttuazioni quantistiche durante l’evoluzione di φ. Cio’ che risulta quindi e’ un universo (in realta’ quello che
viene chiamato il Multi-verso) che, ad ogni tempo e in una regione spaziale
o nell’altra, subisce una fase inflazionaria.
Il Multi-verso risulta cosi’ subire un continuo processo di “sezionamento”
in cui nuovi mini-universi si espandono a produrre regioni localmente omogenee e piatte in un background caotico. Questa visione integra un Big Bang
sulla scala dei mini-universi con un’idea che globalmente ricorda l’universo
stazionario.
In ognuno di questi mini-universi i valori delle costanti fondamentali della fisica e le proprieta’ delle interazioni fondamentali sarebbero diversi. In
ossequio al Principio Antropico, noi ci troveremmo per definizione nell’Universo nel quale le costanti fondamentali della fisica assumono quei valori,
altamente improbabili, ma consistenti con lo sviluppo della vita sui richiesti
tempi scala di vari miliardi di anni.
5.1.6
Altri modelli
In generale quindi l’inflazione si puo’ ottenere innanzitutto modificando la
lagrangiana classica e creando un modello equivalente a gravita’ combinata
con un campo scalare. Quest’ultimo porta all’inflazione come se fosse un
campo reale. E’ anche possibile sviluppare un’inflazione a legge di potenza
(extended inflation) con la teoria di Brans-Dicke.
Altri modelli di inflazione sono creati a partire da teorie che prevedono un
numero di dimensioni maggiore di quello richiesto dalla relativita’ generale,
dimensioni che, compresse sulla scala di Planck, porterebbero all’espansione delle tre dimensioni spaziali. Queste idee stanno alla base delle teorie
chiamate “di Kaluza-Klein”. Sono anche stati ideati modelli con più di un
73
Modelli Inflazionari
campo scalare, con gravita’ modificata e un campo scalare, su potenziali più
complicati o GUT supersimmetriche, su supergravita’ e cosı̀ via.
5.2
Successi e problemi dell’inflazione
L’inflazione insomma risolve il problema dell’orizzonte, della piattezza e dei
monopoli e altri difetti topologici. In alcuni modelli pero’ la scelta dei parametri e’ strettamente legata all’intensita’ delle fluttuazioni di densita’ e
delle onde gravitazionali e questo crea nuovamente problemi di fine-tuning
fisicamente non giustificabili.
Una grossa difficolta’ comune a tutti i modelli inflazionari e’ comunque trovare test osservativi decisivi, per il momento ci sono osservazioni
che potrebbero essere in accordo, ma non sono decisive perché anche altri
meccanismi porterebbero agli stessi risultati.
Un modo per testare il modello inflazionario e’ quello di misurare la polarizzazione di tipo B nella CMB come traccia di un campo di onde gravitazionali primordiale originato dall’inflazione. E’ quanto potrebbe essere
verificato in futuro (i risultati dell’esperimento antartico BICEPS2 non sono
stati confermati).
In ogni caso, la corretta predizione dello spettro primordiale di potenza
P (k) osservato e’ gia’ una importante e fondamentale verifica della validita’
dello schema inflazionario.
5.2 Successi e problemi dell’inflazione
Figura 5.1: Rappresentazioni grafiche delle ere cosmologiche e delle transizioni di fase che le hanno caratterizzate.
74
Bibliografia
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