7 EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA SETTIMANALE שבועון SHALOMשלום Addio Shimon 21 ELUL 5776 S A B A T O SETTEMBRE 24 Israele: in un anno 309 attacchi terroristici, 40 cittadini uccisi Dati forniti dal Magen David Adom, la Croce Rossa israeliana, che ha registrato 121 accoltellamenti D al settembre dell'anno scorso in Israele ci sono stati 309 attacchi terroristici con 40 israeliani uccisi e 455 feriti. Lo ha reso noto il Pronto Soccorso israeliano (Magen David Adom) che garantisce il primo intervento sanitario non solo alle vittime ma anche ai responsabili degli assalti. "La nuova realtà di un singolo autore di attacchi, conosciuto anche L’ebraismo e le sue tensioni Un conflitto che ha sempre qualcosa da dire SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 S 2 i è da poco conclusa la nona edizione del festival della cultura ebraica che ha tentato di avvicinare il mondo della Cabbalà a quello della scienza, data la ricorrenza del centenario della Teoria della relatività Generale di Albert Einstein. Sorge spontaneo il richiamo a Gershom Sholem, atipica figura dello studioso dalla doppia anima: scientifica e teologico-filosofica. La continua tensione tra le due esprime in modo esemplare quella che emerge appena l’ebraismo, e la sua parte spirituale, chiede di essere analizzato. Il misticismo ebraico, inteso come forma di sapienza atta ad approfondire i profondi significati che la Torah esprime dall’interno tale tensione. È fuori di ogni dubbio che l’impronta che questo ha recato sul mondo storico è notevole, come lo è lo scontro con la comunità con cui quasi sempre è entrato in conflitto. La scissione emerge quando si tenta di definirne l’orientamento e il ruolo da esso ricoperto all’interno dell’orizzonte temporale. Se l’astoricità è per alcuni titolo d’onore del misticismo, questa può apparire come sua fondamentale debolezza. Se il mistico accetta di operare nel contesto delle istituzioni tradizionali e non intende condividere la propria esperienza con altri non vi sono problemi. Tuttavia è risaputo che il misticismo descrive quel fenomeno con cui si intende comunicare ad altri le esperienze vissute, senza tale tentativo esso non si presenterebbe come fenomeno storico ma semplicemente come caso sporadico destinato a rimanere privato. Il conflitto è destinato a ripresentarsi: l’aspetto conservatore entra in contraddi- come 'lupo solitario', avviene molto spesso e - ha spiegato il Magen David Adom - in tutte le aree del paese". Secondo l'organizzazione, gli accoltellamenti di israeliani - nello stesso arco di tempo - sono stati 121, i lanci di pietre 130, gli attacchi con le auto 31, gli assalti a colpi di arma da fuoco 25, le bombe sugli autobus 1 e 1 è stato compiuto con missili. (ANSA) zione o si integra con quello rivoluzionario. Il primo di questi deve guardare all’educazione dello stesso mistico che si fa carico di un antico retaggio, e alla sua guida spirituale. La tradizione pone un altro problema: quello del simbolismo, la cui ricchezza sta nella capacità di infondere nuova vita in una tradizione che rischia di cristallizzarsi. Il mistico tenta dunque di dare un’espressione alla propria esperienza munendosi di simboli e idee convenzionali, conservandone la tradizione ma rinnovandone i valori. Tale atteggiamento ne fa emergere uno nuovo e contrario: l’aspetto rivoluzionario, al cui limite estremo si ha la negazione di ogni autorità. Altro elemento che giace alla base dell’esperienza mistica è quello dell’indefinibilità e dell’incapacità incontrate nell’esprimerla che rende la traduzione in immagini e concetti complessa, di conseguenza ancor più problematico il rapporto. Si commetterebbe un errore però se si pensasse che il lato rivoluzionario prescinda da quello tradizionale. Il mistico infatti s’incontra con gli scritti sacri della propria tradizione e dalla loro fusione nasce la scoperta di nuove dimensioni di significato: si ha la trasformazione del testo sacro e se ne scoprono strati di senso sedimentati. Questo gesto può dar vita a qualcosa di particolare: l’autorità non sta più nel senso univoco e insostituibile della comunicazione divina ma nella plasticità per cui ogni uomo ha la possibilità di accedere alla rivelazione in modo unico e peculiare. Questa continua alternanza tra spirito conservatore e istanza rivoluzionaria si incontra ripetutamente nelle varie facce dell’ebraismo. La tensione tra un passato carico di eventi e un futuro messianico colmo di aspettative ne è l’esempio. A questa si accompagna anche quella tra tradizione culturale e mondo secolare. Non sarà questo continuo dissidio la vera forza dell’ebraismo? MARTA SPIZZICHINO 22 ELUL 5776 DOMENICA SETTEMBRE 25 Mostra. Casina dei Vallati: 16 ottobre 1943, il giorno dell’orrore Roma, 16 ottobre 1943 Il giorno dell’orrore «La razzia», mostra documentaria alla Casina dei Vallati «Q uel triste giorno» è un olio su tavola di Aldo Gay. Era un pugile, appassionato di pittura. Fu cacciato dalla palestra, nell'38, a seguito delle leggi razziali. La mattina del 16 ottobre ’43 scampò alle SS nel ghetto di Roma. In fuga, disegnò a matita gli orrori del rastrellamento: decine di fogli di taccuino e un blocco marca «Littorio». Quest’unica testimonianza visiva è esposta nella mostra 16 ottobre 1943. La razzia alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione del Museo della Shoah al Portico d’Ottavia. Il curatore Marcello Pezzetti ha ricostruito nelle mappe la «topografia del terrore»: la preparazione della retata, gli indirizzi dei 1024 deportati, lo scalo merci della stazione Tiburtina da dove partirono diciotto vagoni piombati per Auschwitz Birkenau. Il macchinista, Quirino Zazza, è l’unico ad avere nome e cognome nel drammatico memoriale 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti. Si chiama solo Celeste la donna «vestita di nero, scarmigliata, sciatta, fradicia di pioggia» che per prima parlò della lista del comando tedesco ma fu ritenuta una chiacchierona e un’esaltata. Ne La Storia di Elsa Morante diventa Vilma la gattara «coi suoi gesticolii di folle, a voce bassa». Nella mostra tutti hanno un nome e un volto. Dagli archivi familiari provengono le foto spesso inedite. L’ammiraglio Augusto Cappon, eroe di guerra paralizzato, suocero di Enrico Fermi: indossa l’uniforme quando lo catturano nella casa di via dei Villini. Emma Di Veroli, due anni: una dei duecento bambini deportati da Roma, dei duecentomila morti a Birkenau: restano il sorriso e il vestitino della Mishmarà, la festa dei 40 giorni. La famiglia Terracina è sorpresa in via del Tempio: la madre, quattro degli otto figli, tre nipoti. Amedeo Tagliacozzo è sul treno con la mamma e la nipotina, un biglietto ingiallito: «Tutti e tre bene in partenza oggi da Roma». Nell’ultima sala i filmati raccontano la ricer- Quando l'ebraismo era fiorente al Sud SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 Nel Mezzogiorno 700 anni fa c'erano 40.000 ebrei, quasi un terzo della popolazione In pochi anni restò solo chi si convertì, almeno apparentemente, al cristianesimo 3 N on ci sono dubbi che c'è stato un tempo in cui l'ebraismo era fiorente nel Mezzogiorno d'Italia. Centri come Siracusa e Trani ospitavano sinagoghe assai frequentate e talvolta esprimevano saggi conoscitori della Torah. Settecento anni fa nel Sud Italia c'erano quarantamila ebrei. Quasi un terzo della popolazione. Dopo la cacciata dalla Spagna (1492), che allora comprendeva anche la Sicilia, molti attraversarono lo Stretto e trovarono rifugio in Calabria. Non a caso a Bova anni fa, durante i lavori per l'ampliamento della strada statale, vennero alla luce i resti di una grande sinagoga. Ma nel giro di pochi anni gli ebrei sono stati costretti ad abbandonare anche il Sud Italia. Si sposteranno in Turchia, in Grecia, nelle isole dell'Egeo. Restarono soltanto quelli che si convertirono, almeno apparentemente, al cristianesimo. Gli storici, insomma, hanno già fatto il lavoro di scrostare i sedimenti del tempo e riportare alla luce una ca dei dispersi, il ritorno dalla Polonia di 15 uomini e di un’unica donna, Settimia Spizzichino. Furono inviati ai lavori forzati 149 uomini e 47 donne, gli altri alle camere a gas. Il novantenne Lello Di Segni è l’ultimo testimone vivente: liberato a Dachau dagli americani ritrovò a Rom a il padre sopravvissuto anche lui . In Germania sono state recuperate le immagini degli aguzzini: i poliziotti di Emil Seeling, che affiancarono l’Einsatzkommando di Dannecker, davanti al convento di via Salaria dove alloggiavano; il luogo di raccolta nel Collegio Militare in via della Lungara; la Judenrampe del lager. Una sezione è dedicata alle reazioni degli Alleati, del Vaticano, dell’opinione pubblica internazionale. I National Archives di Kew a Londra hanno fornito le intercettazioni dell’intelligence britannica, i telegrammi e i rapporti di Kappler. Sono documentati l'autosoccorso ebraico della Delasem, che assisteva gli emigranti ebrei, e l’aiuto dato dagli istituti religiosi di Roma. Tutti sapevano ma tutti tacquero. La mostra lascia spazio agli interrogativi, alle ricerche. In «La parola ebreo» Rosetta Loy dice di avere desiderato di vedere Pio XII «bianco e ieratico mettersi davanti al convoglio fermo sul binario». Enzo Forcella, giornalista e storico di madre ebrea, nel diario postumo «La Resistenza in convento» replica che alla stazione si sarebbero potuti trovare anche gli uomini dei Gap o di un’altra squadra armata per uno spericolato colpo di mano. Ma nel pomeriggio del 16 ottobre ’43 il Cln, riunito clandestinamente, parlò di tutt’altro: «Questa indifferenza rientrava nella generale sottovalutazione della immane tragedia ebraica che caratterizza tutta la vita pubblica italiana sino alla fine della guerra e oltre». DI PIETRO LANZARA * (Il Corriere della Sera, 25 settembre 2016) traccia. »Ora - dice Rav Pierpaolo Pinhas Punturello, ex rabbino di Napoli, e rappresentante per l'Italia di Shavei Israel tocca ai rabbini portare quella storia verso il futuro. Ma ci vuole un approccio serio». In un recente intervento sul sito Shavei Israel, Punturello scrive (senza riferirsi espressamente a Serrastretta) »Le antiche radici ebraiche del Sud sono una certezza per chi oggi è baderech", in cammino verso casa, ma non sono una attrattiva turistica, né una fonte per matrimoni o per altre feste familiari per annoiati statunitensi. Fermo restando la grande bellezza del Sud ed il suo enorme potenziale turistico, non è certo questo che interessa chi è baderech" e chi oggi studia Torà per ricongiungere cinquecento anni di storia al futuro del popolo ebraico. A questo ricongiungimento dobbiamo educazione, seminari, incontri, formazione, studio, partecipazione». Insomma, ci vuole un approccio accademico che vada al di La del rintracciare cognomi di probabile origine ebraica e usanze locali simili a quelle praticate anche dagli ebrei. Al di la di quello che Punturello chiama folklore e marketing, per arrivare alla maturità di una identità che da tradizione dovrà tornare ad essere popolo, nazione ebraica. F. M. (Il Quotidiano del Sud, 25 settembre 2016) 23 ELUL 5776 L U N E D I SETTEMBRE 26 Trump riconoscerebbe Gerusalemme come capitale Israele. Dopo incontro con Netanyahu "G erusalemme e' stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni''. Di conseguenza una amministrazione Trump ''riconoscerebbe Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato d'Israele''. Lo afferma il candidato repubblicano alla Casa Bianca nel comunicato emesso al termine dell'incontro con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Assicura fra l'altro che una volta eletto ''fra Israele e Usa sarà avviata una straordinaria cooperazione strategica, tecnologica, militare GIORDANIA. Scrittore cristiano ucciso per vignetta anti-Isis Naked Hattar trucidato da un ex imam: invece di proteggerlo, il re l'aveva fatto arrestare La vittima aveva condiviso su Facebook il disegno, che ridicolizzava i jihadisti SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 A 4 d ammazzarlo ci ha pensato un militante dello Stato Islamico, ma a spingere lo scrittore giordano di fede cristiana Nahed Hattar davanti all'arma del suo assassino sono state le istituzioni del suo paese. Le istituzioni di una Giordania che pur combattendo l'Isis a fianco degli Stati Uniti, pur avendo visto un suo giovane pilota bruciare vivo per mano delle bestie del Califfato, non ha esitato a sbattere in prigione e trascinare in giudizio un intellettuale colpevole soltanto di aver postato su Facebook una vignetta in cui dileggiava non la religione islamica, ma il modo d'interpretarla dei folli dell'Isis. E così ieri mattina davanti al tribunale di Amman Nahed Hattar non ha incontrato il suo giudice, ma il suo boia. Un boia da poco rientrato dal fronte siriano, un boia in dishashada - la tunica lunga vestita dai fanatici salafiti -, un ex imam che non ha esitato a freddarlo a colpi d'arma da fuoco. Ma la notizia non è che un fanatico musulmano uccida un uomo colpevole di essersi fatto beffe del suo credo. Questo succede anche in Europa. Il problema è come lo Stato giordano, il suo re Abdullah II, tenuto in palmo di mano dall'Occidente, la sua regina Rania spesso dipinta, anche in Italia, come modello di moderazione di fronte alle follie islamiste, non abbiano mosso un dito per lui. O, per contro, abbiano addirittura contribuito a isolare un intellettuale colpevole soltanto di opporsi alla follia jihadista, che minaccia lo stesso regno giordano. Tutto inizia ad agosto quando Hattar posta su Facebook una vignetta - intitolata «Il Dio di Daesh» - in cui si vede un militante dell'Isis sdraiato con due schiave in una tenda-alcova. All'alcova s'affaccia un Allah servile e remissivo a cui lo jihadista - dopo aver ordinato vino e e di intelligence''. ''Israele e' un partner di importanza vitale per gli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo dell'Islam radicale'' ha aggiunto nel comunicato. Nell'incontro privato sono state affrontate anche la questione dell'accordo sul nucleare iraniano - cui Israele si oppone - e la lotta all'Isis (ANSA) noccioline - suggerisce di far montare una porta all'entrata della tenda perché così «potrai bussare invece di disturbarmi». Per quella vignetta, neppure disegnata da lui e subito cancellata dopo i primi strepiti islamisti, lo scrittore era stato immediatamente arrestato. E a nulla erano valse le pubbliche scuse con cui aveva spiegato di non volere dileggiare l'Islam, ma il modo in cui l'interpreta il Califfato. Dopo gli interrogatori Hattar era stato chiuso nella prigione di Amman con l'accusa di aver «istigato al razzismo e alla divisione settaria». Non soddisfatto il giudice istruttore l'aveva rinviato a giudizio anche per il crimine di oltraggio alla religione «avendo ignorato il divieto di pubblicare immagini rivolti a minare il credo religioso». II tutto mentre sovrano e governo facevano intendere, malgrado il codice penale si basi sul diritto inglese e non sulla sharia, d'avallare le decisioni della magistratura. Dietro quell'implicita condanna preventiva si nascondevano almeno due ragioni. La prima era il timore per la crescente ondata islamista all'interno del Paese che tiene in ostaggio la casa reale. Ondata confermata non solo dal ritorno in parlamento, dopo il voto del 20 settembre, dei Fratelli Musulmani, ma anche dall'ondata di messaggi postati su Facebook e Twitter con cui migliaia di islamisti inneggiavano ieri all'uccisione del «cane Hallar». A spingere lo scrittore tra le braccia dei suoi assassini hanno sicuramente contribuito anche le sue ripetute prese di posizione a favore del regime siriano di Bashar Assad. Un regime che il cristiano Hattar considerava l'ultima diga contro l'avanzata dello Stato Islamico. Posizioni assai scomode all'interno di una Giordania schieratasi al fianco di Obama e distintasi per l'appoggio militare ai ribelli siriani. Posizioni costate la vita ad una delle ultime voci libere del Medioriente. Una voce da sempre schierata a sinistra che sarà interessante vedere quanti all'interno di una sinistra italiana ed europea, assai intenta a flirtare con islamisti e Fratelli Musulmani, si prenderanno la briga di ricordare e commemorare. GIAN MICALESSIN (Il Giornale, 26 settembre 2016) 24 ELUL 5776 MARTEDI SETTEMBRE 27 Hillary Clinton, Israele forte e sicuro vitale per Usa "U n Israele forte e sicuro è vitale per gli Stati Uniti": lo ha detto Hillary Clinton dopo un incontro, in serata a New York, con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un incontro a porte chiuse, come quello di poche ore prima tra Netanyahu e Donald Trump, durante il quale la candidata alla presidenza - riferisce una nota del suo staff diffuso al termine dell' incontro - ha riaffermato il suo "costante impegno" nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Hillary Clinton - aggiunge la nota diffusa al termine del suo incontro con Netanyahu - "ha anche rimar- La svolta dell'ONU: israele ora è amico SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 L 5 a settimana scorsa abbiamo assistito alla prima visione di un nuovo film: l'Onu cambiata. La sua crisi porta molte cicatrici, ma l'Assemblea Generale ce ne ha offerto un saggio notevole. Spesso gli interventi di Benjamin Netanyahu e di Mahmud Abbas, detto Abu Mazen, sono una ripetizione di un film di duellanti, un po' stufi di ripetere sempre le stesse cose, Netanyahu logico e diretto, negli anni passati impegnato a descrivere il pericolo iraniano senza ma anche a chiedere ai palestinesi di discutere razionalmente, mentre l'assemblea disapprova il suo inglese perfetto; Abu Mazen furioso e pallido, in arabo, spavaldo nonostante il terrorismo dei suoi, certo invece di raccogliere gli applausi dell'ente che ha fornito ai palestinesi tutto l'ossigeno, il denaro, la legittimazione per cercare di distruggere Israele anche con mezzi diplomatici. Stavolta non è andata così. I tempi stanno cambiando e il vincitore è Benjamin Netanyahu. Ha avuto persino qualche applauso a scena aperta, mentre la delegazione del Kuwait restava ad ascoltare per la prima volta! Abu Mazen invece ha usato la solita invettiva, con poco successo: ha ridetto «pulizia etnica, attacco a Al Aqsa, segregazione razziale» e quanto alle centinaia di attacchi terroristici che lui in privato chiama «valorosi atti dei nostri martiri» e indica come esempio, ha accusato Israele di difendersi con «esecuzioni extragiudiziarie, punizioni collettive». Ma non ha funzionato: il mondo offre troppo per il terrorismo e i Paesi sunniti temono lo schieramento sciita guidato dall'Iran e dagli hezbollah sostenuti dalla Russia per dare troppa importanza al conflitto israelo palestinese. Netanyahu ha toccato tutti i punti sensibili: ha accusato l'Onu di essere divenuto dopo essere stato una «forza morale, una farsa morale»: in quest'ultimo anno Israele ha ricevuto 20 risoluzioni di condanna, mentre nessun'altro stato, neppure chi impic- cato il sostegno dato all'accordo raggiunto all'inizio di settembre per nuovi aiuti militari e il suo impegno per contrastare gli sforzi volti a boicottare Israele. L'incontro è durato meno di un'ora, mentre il candidato rivale alla presidenza Donald Trump aveva avuto in mattinata, alla Trump tower, un incontro di maggiore durata con il leader israeliano. (ANSA-AP). ca gli omosessuali o getta gas sui nemici, ne ha ricevuto più di tre. L'Onu è una buffonata, dice Netanyahu, ma la politica estera di Israele, semplicemente realistica e diretta, ha conquistato gran parte del mondo, e al contrario delle condanne pubbliche dell'Onu e di quelle private di Obama sulla questione degli insediamenti, potrebbe finalmente portare a un vero «processo di pace». Bibi l'ha spiegato: Israele ha oggi rapporti diplomatici con 160 Paesi, compresi arabi e africani; i grandi Paesi che temevano l'ira araba come l'India, la Cina, il Giappone, la Russia, oggi sono tutti in dialogo politico e economico col piccolo Paese, che di suo è aumentato da 800mila abitanti dell'inizio a 8 milioni e la sua economia dall'esportazione delle arance è passata a quella della migliore fra le alte tecnologie, con grande vantaggio. Che sa riciclare l'acqua, e colpire i cyberterroristi. L'Egitto, la Giordania che ha appena siglato un contratto di acquisto del gas israeliano, l'Arabia Saudita, gli Emirati, i Paesi del Golfo hanno un nuovo rapporto con Israele, ma sono anche uniti nello sperare, secondo un piano orchestrato di recente, una sostituzione del capo dell'Autonomia Palestinese con un altro leader che finalmente sia disponibile a costruire una strada di calma, pace, sviluppo. Insomma, tutta la politica internazionale di Obama e dell'Ue, che ha promosso un rapporto con l'Iran, che ha creduto addirittura (errore prima di tutto degli americani) di poter costruire una strada di amicizia con i sunniti basandosi sui Fratelli Musulmani, che ora ripete che il problema è tutto nei «territori occupati», non funziona. Col disfarsi del blocco compatto antisraeliano tante politiche cambieranno anche per l'Onu. Non sarà facile, ma forse dopo anche i palestinesi potranno finalmente avere un futuro migliore. FIAMMA NIRENSTEIN (Il Giornale, 27 settembre 2016) 25 ELUL 5776 MERCOLEDI SETTEMBRE 28 Morto l'ex presidente Peres Premio Nobel per la pace con Rabin e Arafat per gli accordi di Oslo del 1993, è stato tra i protagonisti della storia e della politica del suo Paese. Falco divenuto colomba, era da tempo convinto che "fare la guerra non ha senso" SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 L' 6 ex presidente israleiano Shimon Peres, 93 anni, è morto oggi dopo due settimane di ricovero all'ospedale Sheba di Tel Aviv in seguito a un'ischemia cerebrale. L'ultimo dei Padri fondatori di Israele si è spento serenamente, circondato dall'affetto dei familiari e dall'amore della sua gente. Forse solo Nelson Mandela, nel mondo, è stato un leader tanto amato e rispettato. La vita di Peres e quella di Israele si intrecciano fin dalla nascita dello Stato nel 1948. Vice-ministro, ministro, primo ministro e infine presidente. Da responsabile della politica estera israeliana, era stato uno dei fautori degli accordi di pace di Oslo nel 1993, per i quali aveva ricevuto il Nobel insieme all'allora premier Yitzhak Rabin e al presidente palestinese Yasser Arafat. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, Peres era rimasto molto attivo sulla scena politica con un'agenda sempre piena, in particolare attraverso la sua Fondazione, il Centro Peres per la Pace di Jaffa che promuove il dialogo fra ebrei e arabi. Questo perché gli anni trascorsi, lo stallo del negoziato di pace che lui stesso aveva avviato e i forti contrasti con il premier Benjamin Netanyahu non avevano mai intaccato la sua fiducia in una soluzione diplomatica del conflitto israelo-palestinese. Circondato da un alone di carisma, Shimon Peres aveva assunto il suo ruolo di saggio della nazione, sempre ben accolto nelle capitali del mondo, anche se non era più presidente. Gli ex presidenti Bill Clinton e Mikhail Gorbaciov avevano partecipato alla festa sontuosa data per il suo 80mo compleanno. Il regista Woody Allen gli aveva inviato le sue congratulazioni "da un cattivo ebreo a un grande ebreo". Ma negli ultimi mesi era stato costretto a limitare gli spostamenti. Già lo scorso gennaio infatti aveva avuto due aritmie cardiache nell'arco di una settimana ed era stato ricoverato per una decina di giorni. Qualche settimana fa gli era stato impiantato un pace-maker. In prima fila sulla scena politica fin dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948, Peres ha sempre mostrato una vivacità incredibile. In un'intervista a Repubblica nel 2013 - poco prima di lasciare l'incarico di presidente - aveva raccontato di aver sempre appezzato la buona tavola e un bicchiere di vino ("Mangiare aiuta a pensare", aveva chiosato, "meglio essere grassi ma saggi") e di dormiva 4-5 ore per notte. Nel 2007 era divenuto il nono capo di Stato di Israele e aveva usato questa funzione cerimoniale per promuovere la pace, fino al punto di apparire spesso come l'unico avversario della destra del primo ministro Netanyahu. Ma questo esponente storico del partito laburista israeliano, che aveva contribuito a fondare, non è sempre stato un uomo di pace. Conosceva vittorie e fallimenti, sapeva di grandi successi e grandi errori. Con lui scompare l'ultimo rappresentante di una generazione di leader che hanno disegnato, letteralmente e figurativamente, lo Stato di Israele. Nato a Vishneva, in Polonia, nel 1923, Peres era emigrato a 11 anni in Palestina, allora sotto mandato britannico. Entrato in politica 25 anni grazie al "vecchio leone" David Ben-Gurion, il fondatore di Israele che aveva incontrato per caso facendo l'autostop, ha sempre mostrato uno spirito indomito. Forse ha stabilito il record di sconfitte elettorali con i suoi fallimenti nelle consultazioni parlamentari del 1977, 1981, 1984, 1988 e 1996. L'immagine di eterno perdente poteva restargli attaccata alla pelle. Ma si rialzava ogni volta. Era considerato un falco, perché quando era ministro della Difesa nel 1970 aveva approvato i primi insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata. Era primo ministro quando aerei da guerra israeliani bombardarono il villaggio libanese di Qana, uccidendo 106 civili nell'aprile del 1996. Ma aveva comunque acquisito la reputazione di colomba, come uno degli architetti degli accordi di Oslo nel 1993 con l'Olp. Il premier allora era Rabin, suo amico ma anche suo grande rivale nel partito laburista. All'epoca era ancora molto scettico su questo schema diplomatico che doveva portare alla creazione di uno stato palestinese e alla fine di un conflitto che si trascinava da decenni. In questo ruolo, Peres aveva vinto il premio Nobel per la pace 1994, condiviso come detto con Rabin e Arafat. Lui che in precedenza aveva rifiutato qualsiasi compromesso con i Paesi arabi ostili a Israele, aveva raccontato in quella conversazione con Repubblica, che tutto era cambiato dopo il 1977, con la storica visita del presidente egiziano Anwar Sadat a Gerusalemme, che aveva portato al primo trattato di pace arabo-israeliano. "Non c'è alternativa alla pace e fare la guerra è senza senso", aveva spiegato con calore, il processo di pace con i palestinesi ha un "obiettivo chiaro: avere uno stato ebraico chiamato Israele e uno stato arabo chiamato Palestina, che non combattono, ma vivono insieme in amicizia e cooperazione". FABIO SCUTO (La Repubblica, 28 settembre 2016) 26 ELUL 5776 G I O V E D I SETTEMBRE 29 Domani a Gerusalemme leader del pianeta per esequie Peres Da Obama ad Abu Mazen, città in stato di assedio. Sarà presente anche Renzi I l popolo israeliano rende omaggio a Shimon Peres oggi, prima che domani i leader del pianeta arrivino a decine su Gerusalemme per i funerali dello statista. Le esequie del premio Nobel per la pace si preannunciano come una riunione eccezionale di capi di Stato e di governo, tra cui il presidente Usa Barack Obama ma anche il presidente palestinese Abu Mazen. La partecipazione di quest'ultimo ai funerali, fonte di molti dubbi prima della conferma ufficiale da alti responsabili palestinesi, rappresenta la sua prima visita pubblica a Gerusalemme da vari anni. Per ora non è stata ufficializzata la presenza di leader dei Paesi mediorientali, vicini al palestinesi. Una personalità non ha aspettato le esequie di domani per porgere il suo omaggio al feretro, esposto nel cortile della Knesset (il parlamento israeliano): Bill Clinton, che nel 1993 aveva presieduto la firma degli accordi di Oslo ed era presente alla famosa stretta di mano tra i nemici israeliano e palestinese, oggi faticava visibilmente a contenere il suo dolore davanti alla bara di uno dei firmatari dell'intesa, che definiva "un vero amico". E' stata una delle rare interruzioni del flusso continuo di migliaia di israeliani di ogni età ed estrazione sociale, che hanno sfilato davanti al feretro. Molti hanno fotogra- Comunità ebraica di Roma: Peres uomo coraggioso, ha sempre inseguito la pace SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 "S 7 i è spento questa notte Shimon Peres, nono presidente dello Stato di Israele e già premio Nobel per la pace. Un uomo coraggioso, che ha contributo con il suo impegno politico, e non solo, a rendere Israele una democrazia forte e matura. Ha sempre inseguito la pace, con tenacia e determinazione, consapevole che nessun compromesso dovesse mettere a rischio la sicurezza e l'integrità dello Stato Ebraico". Lo comunica in una nota Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma. "Amico della Comunità Ebraica di Roma, alle nuove generazione di lui resterà l'insegnamento di un uomo la cui azione politica era sempre rivolta al futuro. Sia il suo ricordo benedizione ed esempio per tutti noi", conclude. Hamas, Peres un criminale felici per sua morte S himon Peres era un "criminale" che ha contribuito all'occupazione della Palestina. Così Hamas commenta la scomparsa dell'ex presidente israeliano. "Siamo molto felici", ha detto Sami Abu Zuhri, portavoce del movimento islamico nella Striscia di Gaza, aggiungendo che la morte di Peres segna la fine di un'epoca e "l'inizio di una nuova fase di debolezza" fato la bara cinta della bandiera blu e bianca con la stella di David. Non c'è stata grande solennità, non ci sono state molte lacrime, ma la sensazione che una pagina di storia sia chiusa. Gerusalemme, con le sue bandiere a mezz'asta, era già blindata prima dell'inizio delle cerimonie per l'estremo saluto a colui che tutti qui chiamano Shimon e la cui immagine è strettamente legata all'ascesa di Israele, dalla nascita allo stato di potenza regionale. Domani, con l'arrivo dei leader, il monte Herzl, sul quale Peres sarà sepolto, e gran parte di Gerusalemme saranno tagliati fuori da mondo. Sono annunciate decine di personalità: tra gli altri, per l'Italia il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il presidente francese Francois Hollande, il presidente tedesco Joachim Gauck, il polacco Andrej Duda, il principe Carlo d'Inghilterra, e il re di Spagna Felipe VI, oltre a Obama e Abu Mazen. "Dovremo affrontare un'operazione di un'ampiezza senza precedenti" ha detto il capo della polizia Roni Alsheikh. Israele non ospita un evento così grande dai funerali nel 1995 di Yitzhak Rabin, ex rivale e premier assassinato, anche lui ricompensato con il premio Nobel insieme a Peres e al leader palestinese Yasser Arafat nel 1994. In un Paese costantemente alle prese con l'incubo sicurezza, sono stati mobilitati ottomila agenti di polizia. Le esequie coincidono con l'avvio delle grandi festività ebraiche e fanno temere una ripresa della violenze da parte dei palestinesi. "Siamo in un periodo delicato, in particolare per la minaccia terroristica e per gli appelli al terrorismo sui social media" ha detto il ministro della Sicurezza interna Gilad Erdan. Erdan ha ordinato di sorvegliare i social media per rilevare eventuali minacce di lupi solitari o qualunque provocazione ai danni di un leader straniero. (ASKANEWS) Bahrein primo Paese arabo a rendere omaggio a Peres Ministro degli Esteri di Manama a sorpresa: "Riposi in pace presidente" A rriva anche da un Paese arabo, in questo caso il Bahrein, il primo omaggio all'ex presidente di Israele scomparso martedì notte a 93 anni: "Riposa in pace presidente Shimon Peres, un uomo di guerra e uomo di pace che manca ancora in Medio Oriente", recita il testo di un tweet postato dallo sceicco Khaled bin Ahmed al-Khalifa, ministro degli Esteri del piccolo Paese del Golfo. Come la maggior parte dei Paesi arabi, il Bahrein non ha relazioni diplomatiche con Israele, e molti arabi associano Peres con le successive le guerre che hanno sconvolto il Medio Oriente, piuttosto che gli accordi di Oslo con i palestinesi che gli valse il premio Nobel per la pace. Immediate le critiche sui social all'iniziativa dello sceicco: "Il ministro degli Esteri rende omaggio e prega per il terrorista sionista e killer di bambini", si è lamentato con un tweet l'ex parlamentare dell'opposizione Jalal Fairooz. Un altro critico, Khalil Buhazaa, ha twittato: "La diplomazia non significa maleducazione". (askanews) 27 ELUL 5776 VENERDI SETTEMBRE 30 Parashat Nitzavìm Come i peccati possono essere trasformati in meriti SETTEMBRE 2016 • ELUL 5776 R. 8 Yosef Albo (Spagna, 1380 - 1444) nel suo Sèfer ha-‘Ikkarìm (Libro dei princípi) tratta l’argomento della teshuvà (pentimento e ritorno sulla retta via) in relazione a questa parashà. In questa pagina cerchiamo di riassumere e parafrasare le sue parole (Parte IV, cap. 25): Se esaminiamo tutte le mitzvòt (precetti) prescrittive nella Torà non ne troviamo un’altra con la quale si arriva allo scopo prefisso dalla Torà, quello di amare l’Eterno, eccetto quella della teshuvà [...]. Riguardo alla teshuvà, lo scopo prefisso nella Torà è nella parashà di Nitzavìm dove è scritto: E ritornerai all’Eterno, tuo Dio, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, secondo tutto ciò che oggi ti comando [...]. Perciò oggi io ti comando di amare l’Eterno, tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti, i suoi statuti e i suoi decreti, affinché tu viva e ti moltiplichi; e l’Eterno, tuo Dio, ti benedirà nel paese che stai per andare ad occupare (Devarìm, 30:2 e 16). La Torà parla della grande importanza della teshuvà e di come sia facile ottenerla dicendo: Perché questa mitzvà che Io ti comando oggi non è difficile né lontana, non è in cielo né al di là del mare (ibid. 11-14). Il fatto che questa mitzvà sia la teshuvà è evidente dalle parole: “Perché è nella tua bocca e nel tuo cuore”. Ed è noto che l’essenza della teshuvà consiste nella confessione che si fa con le parole e con il rincrescimento che si sente nel cuore. L’idea qui espressa è che la teshuvà è cosi preziosa che bisogna fare di tutto per ottenerla. Logicamente il peccatore non avrebbe il diritto di venire perdonato, come dice il profeta Mikhà (6:6-7): “Con cosa verrò a presentarmi all’Eterno e mi inchinerò davanti a Dio eccelso? Verrò davanti a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà l’Eterno migliaia di montoni o miriadi di rivi d’olio? Darò il mio primogenito, per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il peccato della mia anima?”. Tutto questo mette in evidenza che nessun riscatto sarebbe sufficiente per rimuovere il peccato. E a maggior ragione anche le parole non dovrebbero bastare per ottenere il perdono se non fosse per la benevolenza divina, come dice il profeta Hoshea’ (14:3): “Prendete con voi delle parole e tornate all’Eterno”. E avendo mostrato come sia facile ottenere la teshuvà non vi è nessuna scusa per non cercare di farla. Nella parashà (ibid., 19-20) è anche scritto “[...] scegli dunque la vita, perché possa vivere, tu e i tuoi discendenti, e possa amare l’Eterno, tuo Dio, ubbidire alla Sua voce e tenerti stretto a Lui, poiché è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni, affinché tu possa abitare nel paese che l’Eterno giurò di dare ai tuoi padri, ad Abraham, Yitzkhak e Ya’akov”. Le parole “la tua vita” si riferiscono al mondo della anime, e “la lunghezza dei tuoi giorni” a questo mondo. Tutto questo è vero se la teshuvà è motivata dall’amore per l’Eterno, cioè “di fare il bene ai Suoi occhi”, ma se la teshuvà è motivata dal timore di venire puniti, anche se si riceve una ricompensa, non è la teshuvà completa di cui R. Shim’on ben Lakish disse: Grande è colui che fa teshuvà perché i suoi peccati volontari vengono considerati involontari (T.B. Yomà, 86b). Lo stesso Maestro disse anche: “Grande è colui che fa teshuvà perché i suoi peccati volontari vengono trasformati in meriti”. E non vi è contraddizione tra i due insegnamenti perché nel primo caso si tratta di una persona che fa teshuvà per timore dell’Eterno e nel secondo caso di chi lo fa per amore dell’Eterno. Tuttavia è ancora difficile capire come sia possibile che a chi fa teshuvà per timore i peccati volontari vengano trasformati in peccati involontari. A rigore di legge la teshuvà di chi si pente per timore di essere punito non dovrebbe essere accettata. Un atto che riceva ricompensa o punizione dev’essere fatto liberamente senza alcuna costrizione e un pentimento fatto per timore non può essere completamente volontario. Se è cosi perché un peccato dovrebbe venire ricompensato? La risposta è che vi sono due tipi di “teshuvà per timore”: una è quella di colui che fa teshuvà per timore della punizione e dopo la punizione ritorna al comportamento precedente; l’altra è quella di colui che ha timore dell’Eterno anche quando non si è puniti. Il suo timore della punizione deriva dalla consapevolezza che tutte le occorrenze della vita vengono da Dio come ricompensa o come punizione, e non attribuisce gli eventi a cause naturali o al caso, come fece il Faraone quando i travagli delle piaghe erano passati. Ma per quale motivo se una persona fa teshuvà per amore i suoi peccati sono trasformati in meriti? Non è sufficiente che i suoi peccati vengano cancellati? R. Albo spiega che il rigore della legge non viene applicato quando si fa teshuvà perché la teshuvà è frutto della benevolenza e magnanimità divina. E chi si pente senza altro motivo che l’amore dell’Eterno, con questa teshuvà ottiene lo scopo prefisso dalla Torà, l’amore dell’Eterno. Per questo anche i suoi peccati volontari vengono trasformati in meriti. DONATO GROSSER