costrutto religioso

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Nome file
060520AL_GP3.pdf
data
20/05/2006
Contesto
ALTRO
Relatore
G Pediconi
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Assmann, Jan
Bori, Pier Cesare
Compromesso
Confessione
Ebraismo
Monoteismo
Parricidio
Pensiero
Pensiero di Freud
Pensiero di natura
Privilegio
Psicoanalisi
Religione
Rinuncia pulsionale
Ritorno del rimosso
Rolland, Romain
Yerushalmi, Yosef
STUDIUM CARTELLO 2005/06
COOPERATIVA EDITH STEIN - RIMINI
CONVEGNO “MOSÉ GESÙ FREUD”
20 MAGGIO 2006
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Maria Gabriella Pediconi
1. Il costrutto religioso
Un giovane uomo, all’inizio della sua analisi, porta ripetutamente l’attenzione sul rapporto conflittuale con il padre; si sente oppresso eppure si sorprende a parlarne con una certa devozione:
“lo vedevo come un dio!”. Questa annotazione è una specie di
scoperta.
La psicoanalisi, occupandosi del pensiero, si ritrova alle prese con
il costrutto religioso, ovvero quella forma che prende il pensiero in
religione, come forma-di-religione. 2
1 Il presente articolo rappresenta la prosecuzione di quello di Glauco Maria Genga
“Freud con Mosè. Il caso Israele” che idealmente lo precede. I due articoli intendono
presentare una nuova lettura del saggio freudiano L’uomo Mosè e la religione monoteistica. Il lavoro, in due parti, è stato unanimemente curato da entrambi gli Autori
quale introduzione al tema del Convegno Mosè, Gesù, Freud (Rimini, 20 maggio
2006). Essi ringraziano G.B. Contri per le ripetute occasioni di proficua interlocuzione durante l’elaborazione delle tesi quivi esposte.
2 Il concetto viene trattato ampliamente nel testo di G.B. Contri Freud terzo incomodo,
nella prima parte di questo stesso volume.
2
Potrebbe non occuparsene? Potrebbe non occuparsi di sogni,
fantasie, lapsus e vita quotidiana? La psicoanalisi si occupa del
pensiero, di tutte le sue produzioni e forme in quanto si presentano sotto la specie di materiali per l’ulteriore elaborazione.
La religione è una forma della vita psichica quotidiana e riguarda lo stato dei rapporti toccati da parricidio, innamoramento e
idealizzazione.
Leggendo l’inizio del Disagio della civiltà troviamo Freud che
dibatte con Romain Rolland intorno al concetto di religione.
Rolland è convinto assertore della derivabilità della religione da
un originario sentimento oceanico: sulla base di questo stato originario tutti dovremmo «chiamarci religiosi, pur rifiutando ogni
fede e ogni illusione». Freud non è d’accordo e sintetizza così la
distanza: «in quali mondi, per me estranei, Lei si muove! La mistica è per me qualcosa di precluso». Circa l’originarietà della religione precisa: «Per quanto riguarda la mia persona non riesco
proprio a convincermi della natura primaria di tale sentimento». 3
In questo Freud è davvero ebreo, egli lavora con il costrutto religioso senza cedere all’idea di qualcosa di primario e insondabile.
Come prende vita questo costrutto non originario del pensiero?
Già dire che non è un sentimento originario non va da sé, piuttosto affermarne la derivabilità può risultare una assoluta novità. 4
Quali sono dunque i fattori di questo costrutto religioso?
Li troviamo nel Mosè. Freud perfeziona nel Mosè, applicandoli al
monoteismo ebraico, quei fattori che aveva scoperto con Totem e
tabù, lo scritto del 1912 5 che continuò a rimanere il punto di paragone, la pietra miliare.
3 Le citazioni sono tratte da S. Freud, OSF vol. X, p. 558.
4 Cfr. in questo stesso volume: G.M. Genga, “Freud con Mosè. Il caso Israele”, secondo
paragrafo. Il soggetto che si permette di pensare una cosa nuova può segnare un passaggio cruciale per l’intera storia del pensiero. Così Freud.
5 S. Freud, OSF, vol. VII.
3
Le tesi freudiane, centrali nello scritto dedicato a Mosè, toccano
precisamente i seguenti temi: privilegio, parricidio, compromesso, ritorno del rimosso, rinuncia pulsionale, confessione.
Tutti i temi, ad eccezione della confessione, indicano i fattori del
costrutto religioso; a ben vedere tutti compongono la stessa nevrosi, confermando l’analogia freudiana tra manifestazioni religiose e fenomeni nevrotici.
Alla nevrosi serve la religione per avere un Dio da combattere assolutamente o da non combattere assolutamente, viceversa alla
religione serve la nevrosi per soccorrere un pensiero che ha rinunciato alla propria competenza e si è messo a teorizzare una
mancanza, 6 in obbedienza a ideali superiori. Combattimento e
rinuncia riguardano precisamente l’errore e il sapere.
2. Le argomentazioni freudiane alla luce del pensiero
di natura
Riprendendo i temi freudiani, 7 esplicitiamo il posto da cui conduciamo l’osservazione. Giacomo Contri in Freud terzo incomodo
sostiene: «Il pensiero di natura, di competenza individuale insindacabile, è ciò che ho chiamato ortodossia del soggetto che ne è
la san(t)a sede. […] Questo pensiero è il concetto stesso della salvezza o salute o salus indivisa, come pensiero senza presupposti
religiosi: il pensiero della salus o soddisfazione, come buon termine del moto corporeo, non presuppone alcuna religione e fa da
test per ogni religione».
6 Nello scritto Freud terzo incomodo, cit., troviamo la specifica annotazione che si tratta
della «teoria presupposta di una mancanza […] di ciò che manca per essere “come
dio”, dio essendo proposto come ideale o come sommo rispetto al quale misurare la
mancanza. Non c’è bisogno di essere credenti per essere occupati da questa teoria, l’ideale astratto ne è il contenuto».
7 Per l’articolazione testuale degli stessi temi freudiani si rinvia alla loro esposizione nel
testo di G.M. Genga in questo stesso volume.
4
A. Privilegio
Freud nota che l’ebraismo è l’unico caso nella storia delle religioni umane in cui un dio sceglie un popolo dichiarandolo suo e
dichiarando se stesso suo dio. Altrove dio e popolo sono connessi, sono un’unica cosa sin dall’inizio.
B. Parricidio
Il popolo si ribella a Mosè. Lo uccide. Si pente e, per dimenticare
l’uccisione, si struttura come nazione, abbracciando una
religione comune. Il dio potente viene a coincidere con l’idea
spirituale di un dio vero e giusto.
C. Compromesso
Il popolo si costituisce sul compromesso; esso funziona perché mette
tutti d’accordo permettendo la fuoriuscita dal dualismo: il Dio degli
uni diventa di tutti, il segno distintivo degli altri – la circoncisione –
diventa di tutti. Nel compromesso il monoteismo è costruito intorno
all’unico Dio che corrisponde all’unico segno distintivo.
In questo compromesso, dice Freud, c’è qualcosa che non si deve
sapere: non si deve sapere che Mosè è stato ucciso. Resterà tuttavia il sapere di alcuni, pochi, i quali a loro volta cercheranno di
dimenticare.
D. Ritorno del rimosso
Il fatto che alcuni sanno che si è trattato di un delitto, proprio in
quanto deve essere mantenuto il segreto, continua ad agire nella
tradizione.
Dopo il parricidio si è costituito l’ordinamento sostitutivo come
lenta evoluzione del ritorno del rimosso secondo alcuni precisi
effetti da essa prodotti: devozione mista ad ambivalenza e
appoggiata al senso di colpa 8 , fissazione travestita da formazioni
reattive.
8 «La direzione che avrebbe seguito questa religione del Padre fu fissata per tutti i
tempi, senza che il suo sviluppo fosse perciò concluso (corsivo nostro). L’ambivalenza è
5
Se all’inizio la dottrina mosaica fu ripudiata, ma più tardi tornò in
vista e si affermò durevolmente, come spiegare l’effetto ritardato?
E. Rinuncia pulsionale e Progresso nella spiritualità
Il monoteismo si appoggia inizialmente sul divieto di farsi un’immagine di Dio elevandosi gradualmente come religione della rinuncia pulsionale, 9 impostazione etica retta tenacemente da limitazioni e sacrifici. 10
intrinseca al rapporto paterno; non poteva non ridestarsi, nel corso dei tempi, anche
quell’ostilità che una volta aveva spinto i figli a uccidere il Padre ammirato e temuto.
Nella cornice della religione mosaica non c’era spazio per l’espressione diretta dell’odio omicida contro il padre; poteva venire in luce solo una poderosa reazione a quest’odio: il senso di colpa per questa ostilità, la cattiva coscienza di aver peccato contro
Dio e di non cessare di peccare. Questo senso di colpa, che fu ininterrottamente tenuto desto dai Profeti, e che presto formò un contenuto integrante del sistema religioso, aveva anche un’altra e superficiale motivazione, la quale mascherava abilmente
la sua vera origine. Le cose andavano male per il popolo, le speranze riposte nel favore di Dio non volevano adempiersi, non era facile conservare l’illusione, cara più di
ogni altra, di essere popolo eletto di Dio. Dal momento che nessuno voleva rinunciare a questa fortuna, il sentimento di colpa per la propria peccaminosità offriva una
giustificazione opportuna di Dio.» S. Freud, OSF, vol. XI, p 450.
9 «Nessuno meritava di meglio che essere punito da lui, perché nessuno rispettava i
suoi comandamenti, e nel bisogno di soddisfare questo sentimento di colpa, che era
insaziabile e proveniva da fonti ben più profonde, questi comandamenti dovevano essere resi sempre più severi, penosi e anche meschini. In una nuova ebbrezza di ascesi
morale il popolo s’impose sempre nuove rinunce pulsionali, raggiungendo, almeno
nella dottrina e nel precetto, vertici etici che erano rimasti inaccessibili agli altri popoli antichi. In questo alto sviluppo etico molti Ebrei ravvisano il secondo carattere e
la seconda realizzazione della loro religione. Dalle nostre osservazioni dovrebbe risultare come essa era connessa con la prima, cioè con l’idea del dio unico. Questa etica
non riesce tuttavia a disconoscere la sua origine dal senso di colpa causato dall’ostilità
repressa verso Dio. Essa ha lo stesso carattere incompiuto e incompatibile che hanno
le formazioni reattive nevrotico-ossessive; s’indovina anche che essa serve a intenzioni
segrete di punizione.» S. Freud, OSF, vol. XI, p. 451.
10 «I Profeti non si stancano di ammonire che Dio non pretende dal suo popolo altro che
una condotta di vita giusta e virtuosa, vale a dire l’astensione da tutti quei soddisfacimenti
pulsionali che anche la nostra morale odierna giudica viziosi. E persino l’esigenza di credere in lui pare retrocedere di fronte alla serietà di queste pretese etiche. In questo modo la
rinuncia pulsionale sembra avere una parte preminente nella religione, pur non comparendo in essa fin dall’inizio.» S. Freud, OSF, vol. XI, pp. 435-436.
6
F. Confessione
«L’evoluzione successiva – dichiara Freud – va oltre l’ebraismo.» 11
Il cristianesimo, grazie al lavoro dell’ebreo Paolo 12 che elabora il
passaggio dalla religione del Padre alla religione del Figlio, elimina la strettoia del monoteismo ebraico, destinato a restare imbrigliato nel senso di colpa.
Tuttavia gli Ebrei non riuscirono a prendere parte al progresso implicito nella confessione del deicidio, per deformata che fosse.
Questa mancata partecipazione li connota: vogliono restare
eletti, ma non salvati. 13
Nel privilegio non c’è religione, piuttosto è il nome dell’ordinamento normale del rapporto. Né il privilegio produce la religione
come sua conseguenza.
Eppure osserviamo che il costrutto religioso si appoggia e si autogiustifica per mezzo del privilegio: l’ebraismo fonda sull’essere il
popolo eletto la presunzione della diversità fino all’orgoglio
– sono parole freudiane –.
Come si passa alla religione, iniziando dal privilegio?
Il passaggio alla religione è successivo ad una caduta del pensiero,
caduta che Freud riconduce al parricidio su scala universale, notando come nelle rappresentazioni letterarie l’eroe è colui che
sempre si ribella al Padre 14 e in qualche forma lo uccide.
11 S. Freud, OSF, vol. XI, p. 451.
12 Per tenere nella debita considerazione le argomentazioni freudiane si consiglia la lettura dell’articolo di G.M. Genga – quarto paragrafo, dedicato al terzo saggio del
Mosè – in questo stesso volume.
13 Che vantaggi potevano venire agli Ebrei dall’essere salvati? I salvati sarebbero stati
compagni nell’impresa, compagni anche senza distintivo. Caduto il marchio giustificato dal distintivo, sarebbe diventata inutilizzabile e impraticabile la stessa teoria della distinzione legittimata sull’originaria elezione.
14 Padre o padre? Circa la scelta della grafia, abbiamo optato volta per volta per l’una o
per l’altra, secondo il contesto. Con tutto ciò, vorremmo approfittare di questo dettaglio, che non può essere sfuggito ad un lettore attento, per segnalare in nota come
sarebbe auspicabile che tale questione non si desse neppure. Accentuare la distinzione
tra le due accezioni, richiamate dall’uso del maiuscolo o del minuscolo, è operazione
foriera di confusione, perché al servizio di quelle istanze che Freud avrebbe detto su-
7
Non banalizziamo. Il bambino che dice a tavola “papà, quando
muori io sposo la mamma” non pensa affatto di uccidere il
padre. Parricidio è uccidere il pensiero paterno.
Il parricidio deve passare per la psicologia delle masse: un
compromesso illude tutti circa l’essere d’accordo, così da mantenere la questione del Padre sotto forma di ritorno del rimosso.
Il compromesso si presenterà come un progresso finalizzato ad
ottenere una fissazione, che prenderà le forme tipiche dell’innamoramento, dell’idealizzazione e dell’identificazione.
Inoltre la caduta del pensiero produce alcune vistose conseguenze
che deformano il privilegio iniziale e deturpano lo statuto della
chiamata-vocazione:
– la caduta riduce il privilegio allo statuto di distintivo, religiosamente si tratta della circoncisione;
– nella deformazione 15 il Padre viene mantenuto, ma nella
forma dell’errore; 16
peregoiche, le stesse che pretendono di introdurre una divisione tra piani alti e piani
bassi dell’esperienza. La vita psichica, cioè giuridica, di un soggetto sano si svolge
tutta su un solo piano, per cui cade l’esigenza di contrassegnare alcunché o alcunchi
con l’iniziale maiuscola. Abbiamo seguito il medesimo orientamento per il lemma
Dio/dio.
15 «Nella deformazione di un testo vi è qualcosa di simile a quanto avviene nel caso di un
delitto. La difficoltà non è nell’esecuzione del misfatto ma nell’occultamento delle tracce.
Si potrebbe dare alla parola Enstellung (deformazione) il doppio senso che le spetta, anche
se oggi non ne fa uso. Non dovrebbe solo significare: modificare nella forma, ma anche:
portare in un altro luogo, spostare altrove. Perciò in molti casi di deformazione del testo –
qui si riferisce al testo biblico – possiamo immaginarci di trovare nascosto altrove, sia pure
modificato e avulso dal contesto, il materiale soppresso e ripudiato. Solo che non è sempre facile riconoscerlo» S. Freud, OSF, vol. XI, p. 369.
16 La constatazione che nella Bibbia vengono denunciate continuamente le malefatte
del popolo non dice niente circa la questione della correzione. Piuttosto attesta la rigidità che compone la patologia. Come scrive G.B. Contri in Freud terzo incomodo,
cit.: «L’isteria vuole un Padre eterno per contestarlo in eterno». Ecco il senso, la direzione delle ribellioni del racconto biblico: gli errori vengono al più puniti, non elaborati. L’elaborazione compone giudizio e sanzione. Errore e conflitto possono convivere in civiltà!
8
– il soggetto pagherà la deformazione in termini di ambivalenza
– dio amato e temuto – e senso di colpa – ostilità repressa –;
– la religione cela il contenuto di delusione, infatti il monoteismo non è originario e soltanto dopo la latenza la delusione 17
diventa religione;
– l’ordinamento iniziale viene mantenuto – rimosso – in forma
ereditabile: se la madre non ha risolto il suo conflitto paterno
il figlio erediterà il rimosso che lo alimenta, se ne farà portavoce;
– la trasmissione della nevrosi sarà il principale mezzo di trasmissione del costrutto religioso;
– il soggetto giustificherà – formazione reattiva – il nuovo impianto religioso in termini alti, etici, ideali.
Una certa pensabilità del privilegio viene mantenuta anche in
quel compromesso rappresentato dal monoteismo di cui si occupa L’uomo Mosè e la religione monoteistica: che almeno Dio, lui sì,
sia unico. Nella parola unico si può specificare se possa essere l’unico esistente, che non abbia eguali nel suo genere, che non si
trovino altri esemplari. Resta una rappresentanza del privilegio: il
concetto di unico configura il mantenimento della posizione del
privilegio nel compromesso.
Compromesso e correzione sono le due forme in cui si può mantenere una certa praticabilità del privilegio: il compromesso mantiene la nevrosi, la confessione ne introduce la correzione.
17 Freud nel primo saggio del Mosè paragona il mito dell’eroe al romanzo familiare del
soggetto che da bambino ha sopravvalutato il padre, andando successivamente incontro ad una delusione reale. La delusione potrà anche assumere le forme della critica e
del conflitto, senza per questo andare incontro alla risoluzione. Criticare o superare il
Padre non salverà il figlio dal ritorno del rimosso e dai costi di rinuncia pulsionale
che ciò comporta. La religione consegue alla delusione, viene dopo.
9
3. L’ebraismo del Mosè
Yerushalmi, 18 sottolineando l’ebraismo di Freud, raccoglie gli argomenti intorno al concetto di elezione.
Se davvero, come pensava Freud, il monoteismo non si era evoluto gradualmente, allora doveva essere giunto agli israeliti dall’esterno, da uno straniero. Su questo Freud è stranamente – si sorprende Yerushalmi – d’accordo con la Bibbia, con l’unica differenza che nelle Sacre Scritture il grande straniero è Dio stesso.
«L’analogia (con gli autori biblici) più stupefacente, però, è l’insistenza con cui Freud sostiene nella sua ricostruzione che gli ebrei
furono eletti, eletti dall’esterno; che non crearono la loro religione, ma furono creati dalla loro religione. Qui Freud voltò le spalle al moderno liberalismo laico-ebraico, il quale, imbarazzato dal
concetto di elezione, diceva in termini vaghi, anche se infinitamente più arroganti di quelli usati dalla tradizione ebraica, che il
monoteismo era un prodotto del “genio ebraico” o dello “spirito
creativo del popolo ebraico”. Ma c’è di più. In un importante
saggio, Martin Bergmann coglie il significato più ampio di questa attribuzione del ritorno del rimosso agli ebrei, facendo notare
che si tratta di un evento unico della storia mondiale. “Freud –
scrive Bergmann – privò gli ebrei della scoperta del monoteismo,
ma restituì loro una posizione centrale sul piano psicologico; solo
fra gli ebrei, infatti, il rimosso riemerse, con conseguenze fatidiche per la storia dell’umanità”. Sostituendo a “posizione centrale”
la parola “elezione”, possiamo dire che per Freud gli ebrei sono
doppiamente eletti: 19 in primo luogo, in senso letterale, perché
Mosè li scelse; in secondo luogo, in senso più profondo, perché
solo tra gli ebrei il rimosso tornò alla coscienza. Se le cose stanno
così allora il ritorno del rimosso è l’equivalente freudiano della
18 Y.H. Yerushalmi, Il Mosè di Freud. Giudaismo terminabile e interminabile, Einaudi,
Torino 1996.
19 Corsivo nostro.
10
rivelazione biblica: entrambi sono ugualmente importanti e imperscrutabili; entrambi, in ultima analisi, fondano la loro credibilità non su prove storiche, ma su un certo tipo di fede. Se si
ammette questo, allora si capisce anche che, rispetto alla Bibbia,
L’Uomo Mosè e la religione monoteistica non è semplice storia, ma
una specie di controteologia teorica, in cui la catena della tradizione è sostituita dalla catena della ripetizione inconscia. Forse
proprio per questo alcuni dicono che Freud merita più di Spinoza di essere considerato il sommo eretico del giudaismo dell’era
moderna.» 20
Il costrutto religioso registra un incremento grazie al monoteismo di Mosè: si tratta di un progresso.
Il concetto di progresso è fondamentale: si può parlare di progresso ogni volta che si è in presenza di un prodotto che prima
non c’era. Ciò vale descrittivamente, senza alcun pre-giudizio positivo, ovvero progressista: tale prodotto può essere migliore o
peggiore dello stato precedente, resta che si tratta di qualcosa di
nuovo nella storia. Può essere anche un progresso nell’errore, come il monoteismo fu un progresso nella religione. Gli Ebrei crearono forme nuove di civiltà, ma non progredirono nella correzione dell’errore.
Il concetto di elezione così bene individuato da Yerushalmi mette
in campo alcune tematiche decisive per il pensiero:
– la distinzione tra due metafisiche: evoluzionismo di una legge
intrinseca aut posizione di una costituzione di rapporto.
Esterno, eccitamento è ogni inizio. Esterno vuol dire uno che
inizia con il soggetto, uno che inizia con gli uomini, uno che
inizia con gli Ebrei. Una volta posto l’inizio nulla sarà più come prima;
– il primato della lingua: dio parla con Mosè. Su questo passaggio si ferma anche Jan Assmann 21, notando che l’Atòn egizio
20 Y.H. Yerushalmi, op. cit., p. 53.
21 J. Assmann, Mosè l’egizio, Adelphi, Milano 2000.
11
non parla, con Mosè dio prende la parola, letteralmente.
Quando Giovanni dice «In principio era il Verbo» 22 indica
precisamente un inizio in parola, elezione, scelta, vocazione.
Mosè sta con Gesù, e con Freud che individua la pulsione come la bussola – con la lingua – del soggetto;
– una doppia elezione: la prima consta del privilegio iniziale, cui
segue la seconda come ritorno del rimosso. Una doppia elezione connota il privilegio della nevrosi – così lo nomina
Freud –: la prima elezione è edipica, la seconda è analitica. Il
nevrotico è un tipo da divano 23 si tratta del privilegio di una
imputazione;
– la denuncia dell’errore non lo elimina: non elimina la rimozione, né la impedisce. La correzione dell’errore avviene per
mezzo di confessione, giudizio e sanzione.
La religione di Mosè non è scomparsa in quanto il suo contenuto
circa il Padre è stato “congelato” 24 e lo stesso Mosè è stato congelato 25 come il Padre.
Ci interessa sapere che cosa comporta rimetterlo a tema.
Seguendo Freud possiamo constatare che il ritorno del rimosso
serve una specie di progresso apparentemente contraddittorio: es-
22 Gv, 1,1.
23 L’espressione è di Giacomo B. Contri. Fuori dal divano il nevrotico che tipo è? Si
può dire che è l’uomo comune. Infatti l’uomo comune è l’uomo del pensiero di natura che il nevrotico rappresenta alla rovescia, nella crisi. Dire nevrotico è una imputazione, una specie di complimento poiché per ammettere la nevrosi è necessario aver
avuto accesso in qualche modo all’idea della correzione/corregibilità della patologia.
24 Scegliamo di rendere con questa immagine il lavoro della rimozione e lo stato in cui
vengono a trovarsi i materiali rimossi.
25 L’ebraismo come teoria religiosa segue il congelamento dell’impresa come ogni pensiero mantenuto nell’astrazione dal ritorno del rimosso. Tuttavia tale speciale conservazione attesta che dal pensiero pensato non si torna indietro. Gli Ebrei non hanno
potuto eliminare Mosè, così potrebbe risultare difficile eliminare la psicoanalisi, qualcuno la conserverebbe seppure deformata: è questa la tentazione della psicoterapia?
12
so mantiene lo status quo ante del pensiero. Esiste una forma di
civiltà coltivata perché le questioni non tornino ad essere poste.
La civiltà sarà bellissima, compiutissima, ricchissima, ma si opporrà a quell’unica novità che sarebbe prodotta dal non scartare
all’infinito la pietra del pensiero. Di questa civiltà la religione si
fa portavoce, rappresentante nobile, spirituale.
Ci si può chiedere se e in che termini è possibile non attraversare
questa strettoia; così per la nevrosi. Chi può dire di non essere
mai stato religioso?
Ne consegue che uscire dal ritorno del rimosso non si ottiene smascherandolo: il riconoscimento è insufficiente, 26 non basta ammettere la rimozione né venire a sapere qualcosa del suo
contenuto. Uscire dal ritorno del rimosso è una alternativa di civiltà: si tratta di mettersi con chi pensa, mettersi a pensare, annotando, con sorpresa, passaggi già liberi, nuovi, fino a quel momento impensati, che non hanno percorso le piste già note. L’uscita dal
ritorno del rimosso è una alternativa giuridica sempre costituenda,
in fieri, in procinto, in preparazione, in meditazione.
4. I guadagni del monoteismo
In che cosa si incrementa il costrutto religioso con il monoteismo
di Mosè?
Nel suo saggio citato, Jan Assmann documenta il passaggio dalla
religione politeistica, fondata sulla traducibilità delle divinità, alla
religione monoteistica di Ekhnatòn.
26 Una donna in analisi da tempo continua ad accusare sua madre, le addossa tutte le
colpe della propria patologia: quale migliore pretesto per alimentare la fissazione? Ecco un esempio di mammateismo ! Le accuse fanno da specchio ai sensi di colpa e il rimorso prende le vesti dell’assistenzialismo a oltranza, sacrificale, antigoneo. Qui il ritorno del rimosso è funzionale al mantenimento dello status quo ante della patologia.
Non basta la dichiarazione “mia madre è una …” per uscire dal rimosso; questa frase,
detta in coscienza, nel discorso ufficiale, può essere una formulazione della teoria “la
mamma è sempre la mamma”!
13
Se il cosmoteismo politeista assicura l’intesa tra le culture – pax
religiosa – tollerando dualità e differenze, il monoteismo si presenta come una vera e propria rivoluzione, una controreligione,
che introduce alcuni temi sconosciuti al politeismo. Anzitutto la
distinzione mosaica tra vera religione e paganesimo porta l’attenzione sul concetto di peccato e mette in rilievo l’esperienza dell’intolleranza, poiché l’approdo alla religione comporterebbe un
certo rifiuto del mondo. Così pure i concetti di conversione e di
ortodossia erano ignoti al politeismo che ammetteva le differenze
purché culturalmente traducibili. Il tema dell’ortodossia prende
specialmente forma con il monoteismo, connotandolo come un
progresso di pensiero. Ne vengono temi nuovi, estranei all’esperienza religiosa precedente, temi dunque non egizi.
I concetti di rivelazione, di peccato e di redenzione compongono i
guadagni di Mosè, diventeranno pienamente i guadagni di Gesù.
Seguiamo per un momento le argomentazioni con cui Assmann
riprende l’elaborazione freudiana.
Il Padre deificato è una figura del ricordo: solo in forza del parricidio egli torna elevato a divinità, consacrando l’atto fondativo della
civiltà. Lo stesso monoteismo di Mosè era una ripetizione: il monoteismo comporta il ritorno del Padre. Il rinnegamento dell’atto
non poteva cancellare il ricordo dell’azione o della colpa: l’ossessione del rimorso non rielaborato induceva i colpevoli e i loro eredi a
espiare i propri peccati e quelli dei loro remoti progenitori tramite
una accresciuta dedizione a dio e alla religione di Mosè. 27
27 J. Assman attesta le conclusioni di Freud. Mosè, creatore del popolo ebraico, aveva
creato una mentalità secondo quel processo che si è protratto per secoli attorno alla figura del grande uomo. L’esperienza storica ha generato una struttura sociale: se la redazione definitiva dei testi biblici e l’elaborazione letteraria della figura di Mosè rappresentano l’etnogenesi ebraica, l’amplificazione di Mosè ha la conseguenza logica della
storicizzazione di dio: Mosè doveva prendere il posto del Padre. Egli doveva essere
egizio. Per Mosè profeta il retroterra egizio sarebbe stato ininfluente, è il Mosè legislatore e fondatore politico che ha bisogno della sua istruzione egizia.
14
La morte naturale di Mosè non sarebbe stata sufficiente ad avere
effetti duraturi sulla psiche collettiva. Così come una tradizione
fondata solo sulla comunicazione orale non potrebbe produrre il
carattere coatto dei fenomeni religiosi. L’elemento più potente di
questa coazione è la colpa. 28
Quando Assmann annota l’originalità del lavoro storico di Freud
rispetto agli autori che nel corso dei secoli si sono occupati di
Mosè sottolinea che egli non sta parlando di una verità religiosa,
ma di una scoperta archeologica.
Freud parla da miscredente, lavora intorno al costrutto religioso
senza la necessità di aderire ad esso, né di avversarlo.
5. Freud difende l’ebraismo
Rimaniamo ancora sul terreno del progresso, dicendo che Freud
difende l’ebraismo. 29
La linea freudiana di difesa dell’ebraismo si appoggia sulla spiritualità di dio, sui contenuti intellettuali e sulle esigenze etiche.
Se la figura di Mosè dovesse risultare dalla lettura del saggio freudiano storicamente indebolita, sul piano culturale il suo ruolo risulterebbe maggiorato, poiché la sua missione assume una dimensione universale.
La tesi freudiana attribuisce al giudaismo una nuova e universale
legittimità, attenua lo scandalo del particolarismo, mettendone
in evidenza il progresso che consiste nella riaffermazione della
sua verità storica.
28 «Il concetto di colpa è il contributo più interessante che Freud ha dato alla semantica
dell’antagonismo religioso» (J. Assmann, op. cit., p. 245), in quanto il tema della colpa supera il senso storico della religione e ne recupera il senso morale.
29 Cfr. P.C. Bori, “Il «Mosè» di Freud: per una prima valutazioni storico-critica”, in Sic.
Materiali per la psicoanalisi, Milano 1976.
15
Il giudaismo, nell’elaborazione freudiana, restituisce pienezza al
diritto del Padre, pilastro su cui Freud appoggia la difesa del carattere ebraico – che consiste nell’aver «posto nell’aldiquà la concezione della vita, nell’aver superato il pensiero magico e rifiutato
la mistica» 30 –. Esso rappresenta l’essenza stessa del cristianesimo 31 che, una volta caduto il distintivo della circoncisione, ha
aperto la strada all’elaborazione dell’errore.
Eliminato il monoteismo come precondizione, cadono anche le
riserve alla costituzione dell’ordinamento paterno. Non ci sono
limitazioni alla civiltà del Padre una volta che il pensiero ha avuto accesso con vantaggio alla confessione del parricidio.
Né Yerushalmi, né Assmann, né Bori, che pure hanno inteso
Freud, attestandone le principali argomentazioni, seguono e raccolgono lo stesso Freud quando porta la riflessione e la critica sul
concetto di religione. 33 Restano in fondo convinti che «la vera essenza della religione, cioè la sua misteriosa capacità di ottenere e
di conservare per secoli la fedeltà di uomini e donne resta fuori
dalla nostra comprensione.» 34
30 P.C. Bori, op. cit., p. 35.
31 Cfr. P.C. Bori, op. cit. Il cristianesimo chiarisce il significato della colpa originaria, come uccisione di dio, espiabile solo con la morte del Figlio di dio. Affermando l’universalità della colpa e della redenzione, rifiutando l’idea di elezione e la circoncisione,
recupera anche l’originale universalismo di Atòn.
32 G.B. Contri ha trattato l’analisi come una delle forme della confessione, oltre quella
sacramentale e quella giudiziaria. In ogni caso si confessa la colpa reale, non si confessa il senso di colpa.
33 Da Freud terzo incomodo, op. cit.: «La Religione […] la definisco – presa dal lato dell’individuo credente, che è poi la sola cosa che abbia interesse – come quella forma di
assenso, detto anche fede, che è conforme – per cui parlo di forma-di-religione – a
una macchia cieca, blackout sulla salute o salus, scotoma sul concetto di salvezza-salute, ossia una rinuncia alla ragione dell’assenso stesso, cioè fondata su un difetto di
credibilità o affidabilità.» Riconoscendo la «resistenza al virare dalla nevrosi al pensiero» appoggiamo la «tolleranza individuale per il bisogno di religione […] per la ragione che la religione come formazione collettiva ci risparmia le pene (angoscia) della
nevrosi come formazione individuale. L’angoscia è indistruttibile (da un potere), ma
è risolvibile (da un sapere sulla verità che segnala)».
34 Y.H. Yerushalmi, op. cit., p. 130.
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Se il costrutto religioso resta fuori dalla comprensione, viene
escluso dalla stessa tematizzazione, ne viene impedita l’elaborazione. Per una nuova messa in discussione ci è voluto Freud e,
prima di lui, Gesù. Il lavoro di pensiero di entrambi ha indicato
che «né l’ebraismo né il cristianesimo sono tutti definiti dalla religione.» 35
Viene da chiedersi se sia immaginabile una deriva religiosa del
monoteismo, una specie di eccesso religioso, una sua versione
logicamente ipertrofica. Essa sarebbe una deriva teologica. Se nel
monoteismo il posto del Padre resta, seppure deformato, nella
sua deriva quel posto verrebbe completamente rinnegato e sostituito dalla religione stessa nella sua forma astratta, dalla teoria
della religione. In questa teologia il nome stesso di dio, insieme
al nome del Padre, verrebbero completamente cancellati. Anche
in quella forma di cancellazione che si chiama banalizzazione.
6. La decisione storica di Mosè: il monoteismo e la riuscita
religiosa
Freud non si mette mai contro Mosè, non ci pensa neanche, anzi
il suo testo può essere letto come una arringa difensiva a favore
Mosè, Freud fa l’avvocato di Mosè, constatando che i leviti portano alla riuscita del suo pensiero. 36
Se Ekhnatòn si era estraniato dal suo popolo e aveva lasciato che
si sgretolasse il suo impero, Mosè, sacerdote e governatore, aveva
trovato una via non comune per contrastare il suo destino e rivalersi in due direzioni: costituire un popolo e fondare una nuova
35 Freud terzo incomodo, op. cit.
36 Di alcuni psicoanalisti possiamo dire che fanno riuscire Freud, il pensiero di Freud.
Non chi si appoggiasse astrattamente sul motto “non possiamo non dirci freudiani” –
comparso nell’inserto di Repubblica del 4 maggio 2006 –, parafrasando quello di Benedetto Croce a proposito del cristianesimo, poiché rischierebbe l’ipostatizzazione del
maestro, una specie di divinizzazione. Freud non è il nostro profeta, è il nostro compagno di pensiero.
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religione. La sua fu una decisione storica: scelse certe tribù semitiche perché fossero il suo nuovo popolo, si accordò con loro, si
pose alla loro testa, guidò il loro esodo “con potente mano” e diede loro la sua religione.
Freud fa coincidere la riuscita di Mosè con il monoteismo ebraico, una riuscita religiosa.
Quale che sia l’epoca in cui le tribù si unirono in nazione abbracciando una religione comune, l’unione stessa avrebbe potuto dimostrarsi irrilevante per la storia del mondo. La nuova religione
poteva essere travolta dal fluire degli eventi. Invece «la tradizione
rimase e l’influenza di questa riuscì, sia pure solo gradualmente
nel corso dei secoli, là ove Mosè stesso aveva fallito. […] Nessun
dubbio che solo l’idea di quest’altro dio permise al popolo d’Israele di sopravvivere a tutti i colpi del destino, e tale idea l’ha
mantenuto in vita fino ad oggi. […] Sorse allora in mezzo al popolo una successione ininterrotta di uomini, non legati a Mosè
per discendenza, ma penetrati della grande e potente tradizione
che gradualmente era cresciuta nell’oscurità, e questi uomini, i
profeti, annunciarono senza stancarsi l’antica dottrina mosaica,
cioè che la divinità disdegna i sacrifici e le cerimonie, chiede solamente fede e una vita vissuta secondo verità e giustizia. Gli sforzi
dei profeti ebbero durevole successo; gli insegnamenti con cui ristabilivano l’antica fede divennero contenuto permanente della
religione ebraica. È onore bastante per il popolo ebraico aver
conservato tale tradizione e avere espresso uomini che se ne fecero banditori, anche se il primo incitamento era venuto dall’esterno, da un grande straniero.» 37
Ci vuole Mosè per spiegare il monoteismo ebraico. Freud vuole
dire che se Mosè non è una leggenda, ma un uomo che ha realizzato una civiltà allora anche lui – e noi – possiamo pensare
37 S. Freud, OSF, vol. XI, p. 376.
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l’uomo competente alla civiltà e permetterci di non ricondurre la
civiltà alle leggende.
Resterebbe tuttavia insufficiente stabilire il merito di una sola
persona per quanto riguarda una nuova idea. Dal popolo ebraico
si levarono sempre uomini che vivificarono la tradizione che languiva, che rinnovarono gli ammonimenti e le richieste di Mosè e
non si arrestarono prima che la fede perduta fosse ristabilita. Prova di una particolare attitudine psichica della massa che divenne
il popolo ebraico è il fatto che essa potè suscitare tanti uomini
pronti a prendere su di sé il carico della religione di Mosè, attratti dalla ricompensa di essere gli eletti e forse anche da altri premi
di simile valore.
Non ci interessa tanto l’essenza del grande uomo – prosegue
Freud –, ma la questione del mezzo con cui egli produce effetti
sul prossimo. Il grande uomo opera sul suo prossimo per due vie:
la sua personalità e l’idea per la quale egli si impegna. Questa idea
può mettere in rilievo un’antica configurazione di desiderio delle
masse, indicare loro una nuova meta di desiderio o attirare la
massa in sua balìa.
Il grande uomo ha caratteristiche paterne. Così Mosè.
Mosè ha fatto civiltà intorno ad una idea nuova in quanto ha
convocato altri ad essa e per mezzo di essa, ha eletto il suo popolo e l’ha condotto alla riuscita. La storia ha mostrato che la sua
idea aveva consistenza e lui stesso è riuscito molto tempo dopo,
grazie ai leviti.
Così Gesù con i dodici, così Freud con i suoi.
Un pensiero-chiamata, ecco che cosa individua Freud con il
Mosè, un pensiero-forma di civiltà.
38 Se la figura del grande uomo è cresciuta – dice Freud nel terzo saggio dedicato al Mosè – fino a trapassare in quella divina, è tempo di ricordarsi che una volta il padre era
stato bambino. Mosè ha preso la grande idea religiosa da Ekhnatòn, il suo re
(S. Freud, OSF, vol. XI).
39 Dal 1902 il lavoro di Freud ha trovato la forma di una costruzione comune nelle note riunioni del mercoledì cui partecipavano intellettuali e colleghi, dapprima viennesi
poi provenienti da altre zone europee. Erano i “suoi”, disposti a discutere intorno ai
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L’approccio freudiano, seguendo una dimensione storica, sottolinea che la storia non è leggenda, non basta la leggenda per fare la
storia e animare una tradizione. Storico è l’effetto del pensiero,
ovvero la forma dei rapporti secondo un certo pensiero, una forma giuridica. Esiste il popolo di Mosè, ovvero il pensiero di Mosè ha formato in maniera osservabile una civiltà, un habitat. Così
il pensiero di Cristo, così il pensiero di Freud. Quando Freud insiste sul fatto che non si tratta di semplice tradizione orale, di
semplice comunicazione, indica la medesima forma, storica e civile, che un pensiero può assumere, non riconducibile all’educazione 40, né esauribile nell’esegesi.
7. L’errore del monoteismo: il parricidio
Freud parla della derivabilità dell’idea di dio e lo fa passando per
Mosè, passando per un errore. Nevrosi e religione si incaricano
di fare della tradizione il mezzo di trasmissione dell’errore: la rimozione, trasmessa di generazione in generazione, determina la
persistenza dell’errore. Il pregio del monoteismo consiste in un
progresso della rimozione. Ma l’errore resta.
Qual è allora l’errore del monoteismo? È il parricidio, Dio al posto del Padre ucciso.
Freud mette il parricidio all’inizio della civiltà e della civiltà con
religione. Tuttavia in Psicologia delle masse aveva ipotizzato che
non fosse l’unica civiltà, ammettendo la pensabilità della civiltà
con il Padre. Possiamo tornare a pensare il Padre come ordinamento dell’esperienza del beneficio, possiamo tornare a pensare
da figli, fratelli e sorelle – uomo e donna – beneficiari, beneficiati.
concetti fondanti la nascente psicoanalisi. È precisamente questa la prima società psicoanalitica che ha ospitato e nello stesso tempo ha contribuito a produrre la scienza
che fa capo a Freud (cfr. P. Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi, Torino 1998).
40 Non è stata l’educazione ebraica a mantenere il pensiero di Mosè, non sarà l’educazione cristiana a mantenere il pensiero di Cristo, non sarà l’educazione psicoanalitica
a mantenere la psicoanalisi.
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Non si tratta di ricorrere all’idea di un’epoca aurea originaria:
sappiamo che con la civiltà che segue il parricidio dobbiamo fare
i conti e lo sappiamo per mezzo della nostra patologia. Tuttavia
prima dell’analisi “avercela con il Padre” ci scandalizzava e ci faceva ritrarre, rimuovere, se non rinnegare. Con l’analisi abbiamo
scoperto che fare i conti con il parricidio può risultare una forma
di compromesso, di tolleranza, come la chiama Giacomo Contri
in Freud terzo incomodo. Tolleranza che si esplicita anzitutto nei
confronti del bisogno di religione, ben sapendo che la religione
non corregge l’errore, piuttosto lo mantiene sotto forma di ritorno del rimosso.
Freud mette il parricidio all’origine della civiltà con religione, come mai non parla solo di omicidio? Diventa rilevante mettere in
luce le differenze tra parricidio e omicidio.
Il diritto, a cominciare dal diritto romano, parla di parricidio
ogni volta che l’omicidio riguarda un parente prossimo: il padre,
ma anche la madre o i fratelli, gli ascendenti e i discendenti.
Estende inoltre la definizione all’uccisione di un uomo libero : sarebbe parricidio anche l’omicidio di un uomo libero.
Questa estensione concorda con il fatto che, giuridicamente, il
padre è incerto 41, fino a quando qualcuno, la donna o il figlio,
non lo nomini tale. L’uomo libero oggetto del parricidio dunque
è un uomo nominato al posto del Padre, uno non più qualunque, che ha posto con il soggetto l’ordinamento iniziale del beneficio. Ne viene che uccidere il Padre vuol dire uccidere il partner
della costituzione della legge del beneficio, una fonte prossima
del beneficio, chi ha con-posto con il soggetto l’ordinamento della soddisfazione.
Ancora però non è detto in che cosa si differenzi da un omicidio
se non per il fatto che non si tratta di un altro qualunque, ma
uno di cui so che mi ha già dato soddisfazione.
41 Cfr. G.B. Contri nel suo scritto
21
Un omicidio può essere un delitto che la fa finita tra me e quell’altro, non così il parricidio. Il parricidio la fa finita con un partner che riguarda tutto l’universo, si porta dietro la caduta del
pensiero circa l’altro rappresentante dell’universo – Au 42 –.
Si tratta di un omicidio che toglie a tutti qualcosa, che fa cadere
il saperne circa il fatto che il Padre non dava soddisfazione solo al
soggetto, ma a tutti i possibili soggetti. Quindi chi uccide il Padre deve aver già pensato che tutti vorrebbero ucciderlo, che è un
ingombro per tutti, che gli altri sarebbero d’accordo con lui: il
parricidio ci fa tutti uguali – è un passaggio freudiano –. In questo senso il parricidio passa per la psicologia delle masse, anzi la
fonda e successivamente la giustifica. Infatti, una volta che avrò
pensato tutti gli altri come complici, compari, non sarà più come
prima; il soggetto non potrà più pensarsi privilegiato come prima
e dovrà per forza dedurre che il privilegio nei riguardi dell’uno
tolga qualcosa all’altro, danneggi qualcun altro.
Freud descrive questa complicità richiamando il famoso paragone schopenaueriano dei porcospini che hanno freddo ma non
tollerano una vicinanza troppo intima dell’altro. 43 Dopo il parricidio restano i piccolo-borghesi.
Nell’ordinamento iniziale il privilegio non fonda nessuna espulsione, non c’è alternativa tra gli amori, c’è solo differenza e giudizio sulla base del profitto. Con il parricidio la definizione del privilegio cambia statuto e passa dallo statuto dei frutti allo statuto
della teoria di principio che suona anche come “se sono tuo figlio
mi devi preferire a tutti gli altri”.
Il parricidio è un attacco alla legittimità della costituzione del
beneficio.
E se fosse il maschio a capo dell’orda – figlio anche lui: anche lui
è stato bambino ma lo ha rimosso – a porre questa alternativa gelosa? “Siccome sono tuo padre mi devi obbedire!”
42 Per l’esplicitazione del concetto di Au si veda G.B. Contri, L’ordine giuridico del linguaggio, Sic Edizioni, Milano 2003.
43 S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, OSF, vol IX.
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Questo figlio, al posto del capo, dimentica di esserlo e, lui per
primo, rinuncia alla posizione del beneficio istituendo un legame
modificato, imponendo la caduta del privilegio iniziale e trasformandolo in legame di sottomissione e di forza. 44
Che delusione per i figli! Avevano pensato che con lui avrebbero
potuto lavorare al beneficio e si ritrovano esecutori di ordini e
teorie. In questa delusione certamente sono tutti uguali e tutti
potranno pensare: “non era nostro padre quello che credevamo
di aver conosciuto”, era una figura ideale, un grande uomo. L’idealizzazione 45 in certo modo consegue alla delusione reale
– Freud nel Mosè considera un passaggio decisivo proprio la
delusione reale –.
La delusione si paga: il soggetto gliela farà pagare. Sapendo che
questa eliminazione riguarderà non uno solo ma tutti gli altri.
Alla delusione resisterà, come pensiero di risulta, come utopia
impraticabile e destinata al disincanto, come illusione, l’idea dell’eroe che potrà sconfiggere il Padre, insieme all’idea di un essere
perfetto, di uno, Dio – qui sta la derivabilità dell’idea di dio scoperta da Freud –, che ama perfettamente, libero perfettamente.
Uno, unico, cui si potrà chiedere amore non sulla base del rapporto, ma sulla base della posizione, della funzione: per funzione
amerà tutti con lo stesso amore, non farà preferenze.
Il capo della massa è questo: è in funzione della massa. Se la funzione viene meno la massa si disgrega e i fratelli, gli uguali, cominceranno a combattersi – guerra civile – per ristabilire uno, almeno uno, che prenda quel posto, che ricopra quella funzione.
44 Dice Freud in Psicologia delle masse «Possiamo in proposito rappresentarci solo questo: il Padre primigenio aveva vietato ai propri figli il soddisfacimento dei loro desideri sessuali diretti; li costrinse all’astinenza e perciò a quei legami emotivi con lui
stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale era inibita.
Li immise per così dire con la forza nella psicologia collettiva. La sua gelosia sessuale
e la sua intolleranza divennero in ultima analisi la causa della psicologia delle masse».
(S. Freud, OSF, vol IX, p. 312).
45 Il bambino può evitare l’errore di idealizzare il padre? Forse no – si passa per la nevrosi –, ma la via può essere riaperta – oltre la religione – con la ripresa del pensiero
paterno.
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È dunque possibile una massa senza capi? No. Ma la massa non è
l’unica civiltà. Infatti il soggetto, fosse anche chiamato a gran voce, a ricoprire quella funzione può non cascarci: né capo, né
maestro. Così i tanti episodi in cui Gesù si sottrae alla folla perché sa che vogliono farlo re.
È praticabile non cedere alla psicologia delle masse, è praticabile
il pensiero del Padre che corregge il parricidio.
8. La correzione del monoteismo: una soluzione al
parricidio
Qui viene utile un passaggio analitico. Un uomo racconta, contento, che la sua nipotina di sei anni gli ha scritto un biglietto:
“Zione, sei unico!”. Si affretta a commentare che la nipotina lo
chiama così perché davvero è il suo unico zio, l’unico in quella
posizione. La fretta dell’uomo tradisce un pensiero sulla difensiva, che cerca le categorie esegetiche e interpretative cui ricondurre le tenere parole della nipotina.
Nel pensiero dell’adulto la qualifica unico è diventata una qualifica religiosa, categorizzata, astratta e scomoda.
Ma figuriamoci se davvero la bambina si riferiva alle categorie
della parentela! Per la bambina quella qualifica è un privilegio
che nomina uno come unico, mantenendo in piedi tutti gli altri:
la bambina parla secondo un pensiero paterno. Nello zio, invece,
il tema è decaduto a costrutto religioso.
La religione è dunque uno dei destini del pensiero del privilegio.
I bambini non sono religiosi, praticano il pensiero paterno.
Quando il bambino dice “faccio io” non indica un fare-senza ma
un fare-con. Solo successivamente il pensiero passa alla religione,
come solo successivamente passa alla nevrosi. La religione viene
ad occupare lo spazio – è questa l’impostazione topica e genetica
di Freud – della legge paterna, di profitto, dell’ordinamento ereditario del beneficio. La religione e il monoteismo si reggono sul
ritorno del rimosso che alimenta la fissazione al padre come Dio.
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L’uscita dal ritorno del rimosso è possibile per mezzo della correzione dell’errore, inaugurata dall’ammissione che si tratta proprio
della questione del Padre.
Freud e Gesù, riprendendo il pensiero del Padre, correggono il
monoteismo di Mosè.
Gesù, da ebreo, corregge Mosè dalla posizione di figlio, chiamando per nome questo ordinamento personale di civiltà, chiamandolo Padre. 46
Qual è la novità di Gesù rispetto al sapere comune, rispetto ai temi e alla cultura della piazza? Gesù, pur essendo ebreo, non è
monoteista; chiama suo Padre per nome e convoca altri all’impresa di tale nuova nominazione; smaschera il parricidio che consiste nel togliere vita all’impresa stessa, uccidendo quel pensiero
giuridico che fa civiltà senza avere la necessità di appoggiarsi su
presupposti.
Freud corregge il monoteismo, individuando la forma dell’esperienza umana come rapporto iniziale e iniziante, rapporto paterno di eredità. Solo secondariamente, successivamente, il soggetto
rinuncia a questo inizio, sotto l’influenza di pressioni esterne che
prendono le forma della cultura e dell’educazione che spodestano
l’Io e lo assoggettano al Super-io.
Esiste dunque una alternativa al parricidio? 47
«Se ami i maestri li copi.»
46 Quale tenuta per Mosè Gesù Freud? Il monoteismo, sconfitto in Mosè, nei millenni
si è preso la rivincita. La religione di Mosè non è stata annientata grazie al popolo
eletto e all’impresa dell’Esodo. L’iniziativa di Gesù permane a cominciare dai primi
che rimasero con lui. Così l’iniziativa di Freud grazie al movimento psicoanalitico.
Documenti di un pensiero che fa moto, civiltà.
47 Se ci interroghiamo intorno alla possibilità di vivere senza parricidio, senza idealizzazione, senza identificazione, cosa troviamo? Se ammettiamo la possibilità di rinunciare all’altalena – è questa l’ambivalenza freudiana – tra altro idealizzato e altro che delude, abbandonando l’idea di altro perfetto – analista, amico –, cosa succede? Forse
non manca niente, piuttosto ne consegue l’esercizio, intero e possente, del lavoro del
rapporto, ne risulta riaperta la via all’eccitamento e al giudizio.
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È una frase di Gauguin che rispondeva così a chi lo accusava di
eclettismo e incoerenza. 48 Nessuna adesione presupposta, li copiava perché gli piacevano e per questo diventavano suoi maestri.
Amo i miei maestri quindi li copio, li eredito.
Si tratta del prendere posizione nei confronti di un’altra vita psichica 49. I figli dell’orda primitiva, identificati con il Padre, dovevano
ucciderlo, Gauguin i suoi maestri li voleva vivi per poterli imitare. Identificarsi sta con parricidio, copiare sta con rapporto.
L’alternativa all’identificazione nel pensiero di natura – amo i
miei maestri quindi li copio – vive secondo l’ordinamento tenero
dell’incorporazione: 50 come quando affettuosamente si manifesta
l’amore con l’espressione “ti mangio!”. Se ti mangio da vivo
allora mangio con te; al contrario ti cannibalizzo da morto, come
nell’identificazione o nel totemismo. L’incorporazione non prevede il parricidio, l’identificazione, al contrario, ne deriva. Parricidio, identificazione e fissazione sono i modi della nevrosi per
mantenere il Padre in congelatore. Trasformazione, giudizio, ricapitolazione sono i modi del pensiero di natura per riprendere la
questione paterna.
I bambini non sono religiosi, piuttosto vivono da miscredenti.
Il miscredente non è colui che vive senza dio. Non è di mancanza
che si tratta, poiché alla mancanza toccherebbe far fronte come
48 Gauguin non si è mai vergognato del proprio eclettismo. Nel 1884 aveva difeso Manet dall’accusa che i critici del ventesimo secolo avrebbero mosso contro di lui, ossia
che egli (Manet o Gauguin) non aveva saputo pervenire a una forma espressiva originale e aveva invece sottoposto la propria arte a numerose influenze esterne. A questa
accusa Gauguin rispose: «Se ami i maestri, li copi», e in effetti in quel preciso momento lui stava imitando Pissarro e Cézanne, così come in seguito avrebbe copiato Manet.
Gauguin conobbe diverse seduzioni estetiche e non esitò mai ad agire in base a tali
sentimenti. Imitare gli amori estetici che incontrava era una pratica sia appagante sia
istruttiva per la quale non aveva bisogno di alcuna motivazione logica preesistente (cfr.
R. Shiff, “Il caparbio impressionismo di Gauguin. Futuro, passato, presente”, in
AA.VV., L’avventura del colore nuovo, Linea d’ombra Libri, Conegliano 2006).
49 Freud in Psicologia delle masse individua identificazione, imitazione, immedesimazione come forme della presa di posizione nei confronti di un’altra vita psichica.
50 Anche Freud ammette l’Eucaristia come la riproposizione del versante tenero del rapporto con il Padre (cfr. S. Freud, OSF, vol. XI, p. 409).
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un buco da riempire, sotto l’effetto dell’angoscia. Miscredente è
colui che ha pensato che Dio significa Padre, colui che vive secondo l’ordinamento paterno. E non è solo una questione di definizione, ma una pratica effettiva: se ci regoliamo secondo l’ordinamento paterno, essendo venuti a conoscenza che si tratta di
Dio Padre, viviamo, come Gesù, di pensiero di natura: una specie di civiltà che continuamente pone gli ordinamenti secondo la
legge dell’eredità e del beneficio e si adopera per associare altri all’impresa, non avendo più bisogno di uccidere il Padre, né di
rendere astratta l’impresa, sempre vigilando nel giudizio.
Non si tratta di pensarsi orfani, ma figli – fratelli e sorelle –.
Parlare del Padre vuol dire parlare e praticare 51 da figli.
© Studium Cartello – 2007
Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine
senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright
51 A cominciare dalla lingua della vita quotidiana. Se mi sento dire che “per un grande
pranzo ci vuole una grande fame” posso pensare: ecco una struttura, ovvero una frase
monoteista che ha bisogno di fissare una corrispondenza tra pretesi piani dell’esperienza, alto-basso, interno-esterno. Nella lingua paterna accetto volentieri l’invito al
banchetto se posso andare in buona compagnia.
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