www.tesinetemi.altervista.org Le radici culturali della diagnosi di Carla Callioni Riassunto del testo "Le radici culturali della diagnosi". Pietro Barbetta, Roma, Meltemi, 2003. (Parte Prima: Le forme del discorso diagnostico) Università: Università degli Studi di Bergamo Facoltà: Scienze della Formazione Titolo del libro: Le radici culturali della diagnosi (Prima Parte) Autore del libro: Pietro Barbetta Editore: Meltemi Anno pubblicazione: 2003 1. IL DISCORSO FILOSOFICO DELLA DIAGNOSI È scontato dire che la personalità ha una struttura ed essa ha a che fare con la tendenza da parte di individui a commettere certe azioni. Alcune di queste sono immorali come il provocare un danno al prossimo direttamente o indirettamente, altre invece provocano direttamente o no un danno alla persona stessa che le compie (autolesionismo). Infine azioni considerate contrarie alla pubblica morale e al comune senso del pudore (travestimento). Le persone che praticano in modo continuo e sistematico queste attività si possono considerare poco adattive e affette da un disturbo della personalità di una certa gravità. Esistono però una serie di circostanze storiche, culturali e contestuali che riconoscono legittimazione morale alle persone che praticano condotte come quelle citate. L’intervento clinico, come le teorie bioetiche, prevede due principi generali: del permesso che impone al clinico di attivare un percorso terapeutico solo dopo aver ottenuto il consenso dell’interessato, e di beneficenza. La psicodiagnosi è un campo di competenze che fornisce un giudizio sulle condotte umane in relazione a una distinzione semantica del tipo normale/patologico. Un crimine può essere punito se può essere in qualche modo essere reso intelligibile. La perdita di moral agency, la dichiarazione di malattia mentale a posteriori, dopo che il gesto folle è stato compiuto, salva le persone dalla pena detentiva (come nel caso di H. Corner). A dseguito della secolarizzazione del pensiero filosofico si riconosce che le forme del pensiero intorno alle condotte morali sono molteplici, contestuali e interne a comunità etiche differenti. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 1 di 13 2. FONDARE LA NORMALITA’ Habermas formula il principio di universalizzazione che consente di soddisfare tre presupposti importanti: - Presupposto cognitivista: i giudizi morali sono espressi attraverso un contenuto cognitivo. Ad ognuno si da la possibilità di “distinguere fra giudizi morali giusti e giudizi morali errati; - Presupposto universalista: chiunque partecipi alla conversazione su questi presupposti giunge ai medesimi giudizi; - Presupposto formalista: la sua formula elimini tutti gli orientamenti concreti verso il mondo. Secondo Habermas è possibile formare un’etica della comunicazione che permetta agli individui, liberi da presupposti di interesse particolare, di trovare un accordo attraverso l’argomentazione. Tale accordo dovrebbe giungere alle medesime conclusioni formali, sempre in linea di principio. La sua posizione viene rappresentata come un processo di costruzione; solo chi accede a un’etica post-convenzionale può entrare in questo tipo di orizzonte morale che appartiene all’individuo adulto e cognitivamente sviluppato. Habermas fa riferimento alle teorie piagetiane sullo sviluppo morale e alla loro reinterpretazione fatta da Kohlberg, il quale ha sviluppato una teoria a stadi dello sviluppo morale suddivisa in 3 livelli di moralità: preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale (quest’ultimo consiste in 2 stadi: contrattualistico e dei principi etici universali). Kohlberg Ha inoltre costruito uno strumento di valutazione del livello e dello stadio di sviluppo morale di ogni individuo: consiste nella presentazione di una serie di dilemmi morali e in base alle risposte date l’intervistato riceve un punteggio che lo colloca in un determinato livello (Il più noto è il dilemma di Heinz). Ma il test di Kohlberg È andato lentamente scomparendo. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 2 di 13 3. PRINCIPIO DI COOPERAZIONE Le massime di Grise per la conversazione: secondo Grise la conversazione è mossa da un’intenzionalità perlocutiva, il parlante intende dire qualcosa allo scopo di produrre un effetto sull’interlocutore. Esistono 4 tipi fondamentali di massime: - Di Quantità: impone di dire tutto quanto si deve dire senza reticenza e inutili aggiunte; - Di Qualità: non mentire o distorcere i resoconti; - Di Relazione: essere pertinente e di evitare divagazioni; - Di Modalità: evitare ambiguità, contraddizioni e punti oscuri. Queste massime possono entrare tra loro in contraddizione e una scelta etica si caratterizza anche per la decisione presa dal parlante nel momento in cui privilegia di sacrificare una delle massime a scapito di un’altra. In una questione una parte di ciò che viene detto rimane implicita e questo implicito produce un effetto nell’interlocutore. Le massime di Grise si possono interpretare sia come un modello teorico per l’analisi della conversazione che come raccomandazioni morali riguardanti la comunicazione, in questo caso sono concepite come regole per mantenere la cooperazione. Secondo Grise si dice “significato non naturale” la situazione in cui l’interlocutore coglie l’intenzione del parlante in ciò che viene detto. A cosa servono le massime di Grise se si tratta di strumenti di analisi la loro validità analitica può essere valutata e sottoposta a critica, se invece si tratta di massime per la buona conversazione allora si tratta di aderire alle massime. In questo caso le massime di Grise diventano premesse indiscusse di colui che le accetta. Il modello teorico di Grise però risente di un limite: riconosce il principio di cooperazione tra i parlanti soltanto a partire da una dimensione interna alla relazione conversazionale. Però capita spesso l’interlocutore nel suo riconoscimento delle intenzioni del parlante si sbaglia, fraintende. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 3 di 13 4. TEORIE DELL’ATTACCAMENTO Capita che le teorie di Grise vengano usate da alcuni clinici come strumento applicativo, infatti, le sue massime costituiscono una parte fondamentale dei protocolli valutativi dell’AAI: questo consiste in un’intervista semi strutturata in cui si chiede alla persona adulta del test di attribuire 5 caratteristiche ad ogni genitore e di raccontare un episodio che ricorda tale caratteristiche. La valutazione dei protocolli di intervista consiste nell’analisi delle violazioni delle massime di Grise dell’intervistato durante la narrazione degli episodi connessi con una certa caratteristica. Tali violazioni vanno intese come violazioni dei principi di cooperazione come menzogne, incoerenze logiche. Le incoerenze sarebbero i segnali narrativi di forme di attaccamento insicuro (distanziante, preoccupato, non risolto/disorganizzato). Va sottolineato come l’uso delle massime di Grise come strumento interpretativo dell’AAI sia riconducibile alle teorie classiche sull’attaccamento. Queste teorie, però, confondono un certo tipo di filosofia morale con la morale tout court , un certo tipo di costruzione della persona con il Self e una certa concezione del significato di “vivere la vita” con la correttezza e l’adeguatezza nelle relazioni interpersonali e sociali. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 4 di 13 5. LA COSTRUZIONE DEL SELF OCCIDENTALE L’impianto filosofico della valutazione dei disturbi della personalità mostra l’adesione della psicologia clinica a un modello etico determinato. Qui la maggior parte della strumentazione mostra la sua inadeguatezza nella valutazione clinica in contesti di comunicazione interculturale, di dissonanza etica, di povertà e differenza. L’immagine di salute che tali test nascondono è quella di una persona di classe media, politicamente conservatrice, con titolo di studio elevato. Tale persona rappresenta la norma nell’epoca e nell’area culturale della costruzione sociale del Self; come area di espansione e di maggior diffusione della modernità. È probabile che il Self moderno nasca come problema a partire dalla riforma protestante. Foucaut fornisce tracce dello sviluppo di tecnologie del Self nel contesto della filosofia greco-romana attraverso il “prendersi cura di sé” e in quello della spiritualità cristiana. Secondo Weber la modernità si caratterizza per l’organizzazione di un mondo destinato a produrre e riprodurre ricchezza da reinvestire attraverso il medesimo sistema razionale. In tale situazione si costituisce un grande processo di organizzazione del Self: nuove tecniche di per apprendere il contenimento delle passioni, nuove tecnologie per mantenere i corpi umani in salute e docili. Nuove forme di analisi del Self. Bisogna far riferimento al grande cambiamento culturale che ha portato alla costruzione del Self. Una differente collocazione dell’agire morale nell’individuo che parte dalla propria condanna come persona. il self, in quanto inferno, diventa nello stesso tempo attraente. Il Self per esistere come Self ha bisogno di definire i propri confini e la propria struttura. Da un lato il self si afferma come individuo separato dalla comunità, unico e responsabile delle sue azioni in quanto ne riconosce l’esistenza e l’efficacia; dall’altro riconosce la propria partecipazione a una comune umanità in cui ogni persona è un Self. Il Self è il locus della responsabilità, l’individuo può e deve fare scelte, esercita potere e controllo sull’ambiente sopporta il peso delle scelte che ha compiuto. Il DSM IV divide i disturbi della personalità in 3 gruppi in ordine di gravità e quelli del gruppo “B”2 (Borderline, Antisociale, Nascisistico, e Istrionico) sono particolarmente investiti dalle coppie semantiche: sincero/bugiardo, esaustivo/reticente, pertinente/vago, coerente/incoerente. Tali disturbi sono inoltre i più sensibili alle differenze culturali. Infine, si suppone che chi lavora nei servizi clinici sia a conoscenza, come psichiatra, psicologo, educatore ecc.. di “come si vive la vita”, ciò in virtù di un’adesione e di una conoscenza dei fondamentali della morale occidentale e delle tecnologie del Self. Chi si trova fuori dal modello morale del Self costruito dalla modernità cercherà di creare un’impressione favorevole in modo disonesto, perché se si mettesse tutto ad un tratto a rispettare le massime di Grice dovrebbe riconoscere pubblicamente le responsabilità e il peso delle scelte compiute dal suo Self (riferimento al film “Trainspotting”). Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 5 di 13 6. UN METODO ERMENEUTICO PER L’INTERPRETAZIONE DEI PROTOCOLLI AAI Sono numerosi coloro che che considerano la teoria dell’attaccamento come una verità scientificonaturale dalla quale partire per procedere verso nuove conquiste e conoscenze nella psicologia clinica e dinamica. Questi ritengono che Bowlby: - Abbia fornito una base sicura alle teorie psicoanalitiche; - Stabilito che l’attaccamento è un bisogno primario e risponde ad una forma relazionale primaria; - Posto le basi per uno studio scientifico-naturale dei disturbi della personalità che si basano sullo sviluppo di attaccamenti insicuri e disorganizzati durante il periodo infantile nella relazione diadica con la madre o con il caregiver. Alcuni studi sono stati intenti a dimostrare che le persona che durante l’infanzia sono sottoposte ad attaccamenti insicuri o disorganizzati svilupperanno disturbi della personalità e saranno a loro volta incapaci di costruire attaccamenti sicuri con i loro figli. Secondo Barbetta l’approccio relazionale monocausale rappresenta un enorme passo indietro teorico e clinico. Fa riemergere una posizione colpevolizzante nei confronti dei genitori che non si comportano correttamente e presenta una pretesa istruzionista nei confronti dei cosidetti caregiver. Diversi approcci clinici (Freud, Jung) pongono invece alla base la triade, si propone una visione antiessenzialista e costruzionista della triade, che non è necessariamente la relazione empirica madrepadre. figlio. Ogni forma del pensiero necessita di un processo di significazione triadico, si tratta del triangolo semiotico, il quale viene reificato in segno-significato-referente. Frege distingue in Zeichen, Sinn e Beteutung i vertici del triangolo semiotico e per lui la Beteutung di un nome è un oggetto, quella di una proposizione è il suo valore di verità. Secondo Eco invece questa distinzione comporta problemi teorici: 1) I valori di verità sono soltanto due, vero o falso. Le proposizioni possono essere soltanto di due tipi e tutte le proposizioni vere hanno la stessa Beteutung. 2) Se per Beteutung si intende il referente cioè l’oggetto corrispondente al nome, se l’individuo muore allora muore la Beteutung del nome 3) In italiano il termine B. è inteso sia come referente che come significato, come oggetto o come valore di verità. L’ipotesi di Eco è che sia necessario sostenere che l’intensione preceda e fondi le possibilità di usi estensionali del linguaggio. In questo modo il significato viene posto come un’illimitata rete di rinvii e non come un numero chiuso di definizioni date. Kermode parla di genesis of secrety come modello ermeneutico per interpretare la narrazione, una narrazione è un atto interpretativo pre-esegetico, si racconta la narrazione amplificandola. Il midrash implica l’esame, l’interrogazione e la pretesa che il testo liberi il suo significato e implica anche la sollecitazione del testo, ovvero che il testo produca nuovi significati. Il midrash è come una metafora della narrazione biografica, gli uomini sembrano raccontare gli episodi significativi, controversi e scandalosi della loro vita attraverso dei midrash che li rendano loro accessibili, intelligibili e che producano una sollecitazione a nuovi rinvii di significato. Lo fanno quando sentono nell’altro l’apertura alla dimensione dialogica. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 6 di 13 Mentre le massime di Grice invece pretendono un quadro di riferimento normativo, rispetto al quale si suppone che il clinico valuti, oggettivamente e in maniera definitoria e definitiva, il tipo di attaccamento e l’eventuale disturbo mentale del paziente.Barbetta invece propone un uso alternativo dell’ AAI e più in generale del colloquio clinico di valutazione psicologica, che si fondi sulla posizione di curiosità del clinico. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 7 di 13 7. IL DISCORSO MEDICO SULLA DIAGNOSI La medicina tecnico-scientifica rappresenta l’ideologia medica che impone una sola idea della salute e della malattia di cui siamo produttori e servitori. La salute può divenire alterata e la vita può venir meno solo per azioni di aggressioni esterne o di fattori genetici e l’eliminazione di queste cause porta la medicina ad abolire le malattie e dettare regole di vita che garantiscono la salute psico-fisica di ogni individuo. Questo al fine di conservare la vita e sconfiggere la morte. Dunque la scienza medica ha il compito di individuare l’aggressore, eliminarlo e creare le condizioni perché vi sia una difesa adeguata del’organismo. Con tali premesse la società tende a concedere alla medicina il potere assoluto che pretende. Il modello medico scientifico ha il consenso e la fiducia concessa dalla comunità e rappresentata dal fatto che sempre più, attraverso i media, si parla di guerra utilizzando la metafora medica. Vi è una visione positiva e consolidata della medicina come strumento di difesa dalle malattie e la scienza medica mantiene continuamente un solido rapporto con il potere. Secondo Capararo nell’ultimo secolo la psichiatria si è trovata in una posizione insostenibile, divisa tra un voto di fedeltà ai patti stretti con il potere economico e l’esigenza di seguire l’evoluzione scientifica. Vi è un profondo ripensamento dell’ideologia medico-scientifica sulla base di una collaborazione responsabile tra chi fa scienza e chi la subisce. L’idea è che gli individui possano essere messi nelle condizioni di sostenere responsabilmente la proprie e l’altrui sofferenza. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 8 di 13 8. DIAGNOSI E SOCIETA’ L’essere umano è un insieme di miliardi di cellule e dentro questo brulicare di cellule salute e malattia esprimono concetti complementari. L’organismo tende a mantenere la propria integrità all’interno dell’ambiente di cui è parte ed è in ogni stato di “massima salute possibile” in ogni momento della storia di vita. Nello stesso tempo nasce malato dovendo agire per evitare di dissolversi con l’ambiente in uno stato definito morte.Gli uomini sono costantemente minacciati dalla malattia e la morte è una sconfitta e quindi la vita è una malattia con prognosi infausta e spesso si da per scontato un concetto di salute come “vittoria sulla morte”. La salute non può essere definita come assenza di malattia ed è importante considerare la salute come un concetto dinamico che si manifesta nel sistema culturale di appartenenza. Diagnosi significa “conoscere attraverso” e in senso medico descrive una serie di fenomeni riconosciuti come patologici ma le diagnosi mutano nel tempo, vengono riformulate, ampliate e alcune eliminate. Ad esempio la depressione endogena ,cioè una infelicità patologica è causata da un malfunzionamento neurobiologico, è un concetto connesso a una certa idea di felicità e infelicità sane emersa nella cultura moderna. Una delle caratteristiche della diagnosi psichiatrica è la flessibilità nell’adattarsi prontamente a ogni mutamento delle norme sociali. L’esempio di eclatante di eliminazione di diagnosi psichiatrica è l’omosessualità: -la diagnosi psichiatrica di omosessualità è scomparsa dai manuali di psichiatria a partire dagli anni ’70 sino all’ultima edizione del DSM in cui non ve ne è alcuna traccia. La motivazione ufficiale è che non ci sono stati riscontri scientifici convincenti da un punto di vista biologico e neuroendocrino. Dal punto di vista psichiatrico il movimento omosessuale può essere interpretato come la storia di un gruppo di malati mentali, accomunati dalla stessa diagnosi, che si organizza e lotta per dimostrare e rivendicare la propria normalità. Evento unico in quanto la psichiatria è una disciplina che cerca la patologia in ogni manifestazione comportamentale definita deviante dalle norme sociali. L’ipotesi più probabile in questo caso è che ci sia stata una revisione diagnostica in conseguenza dell’azione di un movimento di opinione organizzato e consapevole. Vi è una coincidenza tra la progressiva scomparsa della diagnosi di omosessualità e la crescente capacità del movimento omosessuale di portare avanti le proprie istanze e opinioni. Quando il paziente è in grado di acquisire forza e credibilità sociale la sua diagnosi psichiatrica vacilla sino a sgretolarsi, sebbene i suoi comportamenti devianti rimangano immutati. Quando formuliamo una diagnosi scattiamo una fotografia di un evento complesso in continuo divenire e quando si formula una diagnosi psichiatrica questa sostituisce in toto la persona, diventa il nostro interlocutore: filtra qualsiasi informazione che proviene dall’oggetto di diagnosi attraverso la lente dell’obiettività scientifica. Per prima cosa quindi si stabilisce una rigida gerarchia che determina e influenza la relazione tra gli individui. Bisogna chiedersi se attraverso lo strumento della diagnosi lo psichiatra, come medico, sia provvisto di sufficienti conoscenze epistemologiche che lo costringono ad una riflessione sulla propria personale “pratica medica”. La diagnosi psichiatrica ha un impatto così forte sulla vita sociale che è necessaria un’autorità indiscutibile perché non venga messa in crisi e tale autorità non è interna alla scienza psichiatrica. Secondo Cazzullo la psichiatria ha ambizioni “imperialistiche” le quali hanno a che fare con la vita privata della gente. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 9 di 13 9. SCIENZA E PSICHIATRIA La scienza romantica di Lurija comprende l’uomo mentre la scienza ufficiale lo estranea. Lurija ha proposto nuovi modi di pensare intorno alla natura umana, modi di pensare coerenti con gli sviluppi attuali delle scienze forti. La funzione del sistema nervoso è di espandere le possibilità di azione dell’organismo vivente, che vengono interpretati come comportamenti, nella sua relazione con gli altri organismi viventi e con l’ambiente in cui vive. Approccio i cui punti di creazione della conoscenza sono proprio le relazioni che emergono dalla loro interazione e che potrebbero permettere di superare l’impasse delle ipotesi riduzionisti che (psichiatria molecolare) che confondono lo sviluppo della scienza con il progresso delle sue applicazioni tecnologiche. La psichiatria è una scienza che non può avanzare perché il suo paradigma attuale di “malattia della mente” è necessario affinché sia mantenuto l’ordine sociale costituito. Paradosso della psichiatria:“come scienza non può riflettere su se stessa senza impensierire i depositari del suo potere sociale; la sua esistenza è vincolata all’accettazione di una sudditanza con il potere costituito”.La psichiatria non può cambiare perché ha accettato di non dialogare né con se stessa né con altri approcci al problema del comportamento umano. La psichiatria rimane il riferimento indiscutibile dell’azione sul territorio da parte del sistema sanitario. La psichiatria è l’unica disciplina scientifica che ha il potere di costringere un individuo ad agire contro la sua volontà, ma esiste anche un’altra circostanza in cui è consentito un atto coercitivo da parte del medico: in caso di pericolo o contagio. Malattie infettive e malattie psichiatriche hanno in comune di concedere al medico la possibilità di esercitare un potere assoluto in nome della legge e dell’essere in assoluto le malattie più temute. Ogni malato nel suo essere deviante è la prova vivente e spesso coinvolgente della fragilità di ognuno di noi. Un corpo normale è un corpo sano, chi è malato è un deviante, va curato ma anche punito perché esprime un disagio che deve essere corretto. Ogni malato è un pericolo per la nostra appartenenza al gruppo dei sani, soprattutto se la malattia è inspiegabile o incurabile da un punto di vista scientifico. La psichiatria interviene soprattutto nei confronti di chi soffre senza motivo: è malato senza giustificazione, è colpevole di non essere sereno pur nel benessere e si deve curare. Se non guarisce è responsabile di pesare sulla società con la sua diversità e la sua inefficienza ingiustificabili. La psichiatria tranquillizza dalla paura della diversità imponendo però attraverso la diagnosi psichiatrica un’altra norma da rispettare. La diagnosi è comunemente definita come la conoscenza attraverso dei segni e sintomi dello stato presente della malattia, che viene espressa attraverso una parola (es. Alzheimer). Ma quali sono i criteri perché una modificazione del comportamento rientri in una diagnosi psichiatrica?-i sintomi che permettono tale diagnosi dipendono dal modello culturale di una società (lo sciamano africano e uno psicotico occidentale: atteggiamenti comuni ma si da significati diversi), dove una patologia del cervello provoca una malattia mentale solo in una società sensibile a riconoscerla come tale. La diagnosi psichiatrica è uno strumento di indagine e classificazione che è allo stesso tempo ancora una “teoria della mente”. Ad esempio la teoria secondo cui ogni attività umana, anche la più complessa. Ha un preciso correlato biologico è ancora una teoria della mente. (Psichiatria molecolare: tendenza recente della psichiatria che vanta tra i suoi successi la creazione di modelli animali dei disturbi psichiatrici). Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 10 di 13 10. UNA SCIENZA SENZA OGGETTO Il tentativo di dare solide basi biologiche alla psichiatra è frutto di interessi economici ma anche di una certa interpretazione delle scienze sociali. La malattia organica non comprende quasi mai una deviazione delle norme sociali, le eccezioni sono costituite dalle patologie organiche che compromettono la funzionalità dell’encefalo. Il concetto di malattia mentale è una metafora mutuata dal concetto di medico di “malattia del cervello”, l’essenza sta nel comprendere e vivere alcuni comportamenti diagnosticati malattie della mente come malattie del cervello. Però la prima fase di ogni indagine scientifica è l’osservazione empirica: un cervello si può guardare e si può toccare, la mente no! Si può osservare un essere umano nella complessità del suo agire ma non si può osservare la sua mente, dunque dal punto di vista dell’osservazione scientifica classica la mente non è il cervello. Il fatto che una persona abbia dei comportamenti e dei pensieri inadeguati, definiti a volte come schizofrenia, non implica che il suo cervello abbia delle anomalie funzionali o strutturali. Siamo in due domini fenomenologici diversi, ovvero il dominio dell’anatomia e fisiologia e il dominio del comportamento. Per proporre una spiegazione scientifica della cura delle malattie mentali, è necessario inventare un meccanismo generativo di effetti terapeutici scientificamente convalidati. Questo è il meccanismo della diagnosi psichiatrica che classifica patologie a partire dagli effetti terapeutici degli psicofarmaci. La scienza che studia le malattie mentali ha la capacità di verificare gli effetti terapeutici di un farmaco prima che venga inventato il nome della malattia da guarire. Se l’azione del farmaco conferma i risultati attesi, si costruisce una diagnosi adeguata a delineare proprio quei sintomi che il farmaco sopprime. Dunque l’efficacia clinica di un farmaco conferma la validità di una diagnosi psichiatrica quindi la psichiatria è una scienza senza oggetto perché il disturbo mentale non può essere inferito da premesse dedotte dall’osservazione di modificazioni del comportamento Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 11 di 13 11. LA PAZZIA E IL TEMPO La scienza ha tentato di usare gli strumenti della medicina per carpire la mente dell’uomo e la natura vivente risulta incomprensibile senza il punto di vista dell’evoluzione del tempo. Chiunque entri in relazione con un essere umano attraverso una diagnosi psichiatrica, con la premessa di poter mantenere distinti sistema osservato e sistema osservatore, sta costruendo un contesto rigidamente strutturato dove in futuro i comportamenti non possono che assumere un significato patologico. In quest’ambito c’è una classificazione statica di quadri sindromici ma non esiste alcuna possibilità di evoluzione nella comprensione del pensiero umano. Il DSM III è soltanto un’immagine fissa di un processo dinamico teso a comprendere sempre meglio i disturbi mentali. Qui il processo di comprensione passa attraverso una sequenza temporale di immagini fisse, osservate con il proposito di trovare un processo patologico correlato a un danno biologico. Il biologo Rose dichiara che “il presente di ciascuno di noi è foggiato dal passato, dalla personale e unica storia del nostro sviluppo come organismo e può essere compreso solo in questi termini”. Per lui il tempo e la storia peculiare di ogni individuo sono elementi irrinunciabili per una comprensione del comportamento di tutti gli organismi viventi. Che cosa è allora la diagnosi psichiatrica se non una descrizione del comportamento e del pensiero di un essere vivente congelata nel tempo? La psichiatria risponde che classificare i comportamenti non equivale a classificare gli individui. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 12 di 13 12. PSICOFARMACI Farmaci psicoattivi: sostanze che agiscono alterando l’umore, i processi di pensiero o il comportamento che sono usate per trattare le malattie psichiche. Tutti gli psicofarmaci curano i sintomi, non la malattia e gli ansiolitici e gli antidepressivi vengono proposti come terapie di mantenimento, cioè terapie croniche, come avviene per ogni malattia che può essere curata ma non guarita. Probabilmente il metodo più utile di classificare dei farmaci è quello che si basa sui loro effetti comportamentali più caratteristici o sul loro uso clinico principale. Quindi gli effetti comportamentali di uno psicofarmaco ne determinano la classificazione. Vengono detti anti-depressivi o ansio-litici perché descrivono un comportamento che sopprimono, presupponendo che un comportamento sia riconducibile a un unico significato indipendente dal contesto, dall’osservatore e dal soggetto che lo esprime. La psichiatria classifica i comportamenti attraverso un manuale diagnostico che ha il suo fondamento “scientifico” nell’azione degli psicofarmaci e ogni diagnosi è accoppiata a un farmaco che modifica i comportamenti patologici evidenziati dalla diagnosi. Gli psicofarmaci sono al contempo il prodotto di ricerche neurobiologiche su persone con una diagnosi psichiatrica e lo strumento principale della classificazione della diagnosi. Esempio: “ I neurolettici nascono come an-estetici e riducono la percezione degli stimoli esterni, quindi dell’ambiente. Ma la sedazione senza perdita di coscienza, il disinteresse e il distacco per gli stimoli esterni sono sintomi cardine (secondo il DSM) di patologie come la depressione maggiore e alcune sindromi schizofreniche”. Dunque il modello psicofarmacologico non è ancora riuscito a portare guarigione proprio perché non è in grado di proporre diagnosi di tipo eziologico, dato che la malattia mentale non può fare a meno di essere definita attraverso criteri di normalità che hanno riferimento nel sociale. Carla Callioni Sezione Appunti Le radici culturali della diagnosi Pagina 13 di 13 Indice 1. IL DISCORSO FILOSOFICO DELLA DIAGNOSI 1 2. FONDARE LA NORMALITA’ 2 3. PRINCIPIO DI COOPERAZIONE 3 4. TEORIE DELL’ATTACCAMENTO 4 5. LA COSTRUZIONE DEL SELF OCCIDENTALE 5 6. UN METODO ERMENEUTICO PER L’INTERPRETAZIONE DEI PROTOCOLLI AAI 6 7. IL DISCORSO MEDICO SULLA DIAGNOSI 8 8. DIAGNOSI E SOCIETA’ 9 9. SCIENZA E PSICHIATRIA 10 10. UNA SCIENZA SENZA OGGETTO 11 11. LA PAZZIA E IL TEMPO 12 12. PSICOFARMACI 13