L’autore di
violenza:
le difficoltà
della cura
IVREA, 20 ottobre 2016
__________________
Dr.ssa Simona FASSINA
Dr.ssa Barbara SIMONELLI
Unità di Psicoterapia e Centro DPAA per i Disturbi di
Personalità dell’Adolescenza e dell’Età Adulta
S.C. Salute Mentale Chivasso - ASL TO4
Settimo T.se (TO)
Resp. Dr. Andrea Ferrero
Le difficoltà della presa in
carico e della cura
INDICE – PARTE PRIMA
A. Le difficoltà della diagnosi
– Tutti i maltrattanti hanno disturbi psichiatrici?
– Prospettiva categoriale, dimensionale, strutturale-psicodinamica
– Analisi delle vulnerabilità (complessità di fattori genetici,
temperamentali, ambientali, psicologico-evolutivi, socio-culturali,
etico-valoriali)
– Strumenti diagnostici
– Presenza / assenza di traumi T1 nell’infanzia
– Egosintonia vs. egodistonia rispetto al comportamento
B. Le difficoltà della cura (psicoterapeutica)
– Difficoltà di contatto profondo ed identificazioni
– Difficoltà di setting
– Difficoltà di controtransfert
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A. Le difficoltà della
diagnosi
MOLTA LETTERATURA SCIENTIFICA STUDIA la PREVALENZA di DISTURBI
PSICHIATRICI e DISTURBI di PERSONALITA’ in soggetti che AGISCONO
COMPORTAMENTI VIOLENTI (INTIMATE PARTNER VIOLENCE)
•
Molti studi condotti sui pazienti psichiatrici autori di reato dimostrano
un’alta prevalenza di Disturbi di Personalità – dati intorno al 60%
•
Molti studi condotti sui sexual offender dimostrano l’alta prevalenza dei
Disturbi di Personalità
•
Tra i Disturbi di Personalità prevalgono: Disturbo Antisociale di Personalità /
Disturbo Borderline di Personalità / Disturbo Narcisistico di Personalità
•
Una diagnosi di disturbo di personalità è anche un forte predittore di
recidive violente
Sono in aumento i casi di violenza di genere perpetrati dalle donne
•
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Dr.ssa Barbara SIMONELLI
A. Le difficoltà della
diagnosi
Questi dati impongono alcune riflessioni:
1.
E’ necessario che tutti i Servizi che si occupano di Salute
Mentale si “attrezzino” per prendere in carico, nei termini di
costruzione di percorsi di diagnosi e di cura, i soggetti che
agiscono comportamenti violenti, poiché, ripetiamo, il loro
comportamento è associato con prevalenza pari a circa il
60% ad una patologia psicopatologica diagnosticabile
2.
Una conseguenza di questa riflessione è relativa alla
riflessione sulla trattabilità, la curabilità e la recuperabilità
sociale di questi soggetti (si veda l’approfondimento
successivo sulla non trattabilità)
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A. Le difficoltà della
diagnosi
3)
Per riflettere sul circa 40% dei soggetti che commettono
IPV e che NON rispondono a criteri diagnostici, è
necessario che vengano raffinate le classificazioni
diagnostiche. Questo è per esempio accaduto nel corso
degli ultimi 20 anni con la definizione del profilo
psicopatologico dello stalking e del conseguente iter nel
diritto penale per la punibilità del reato
4)
Infine, è forse anche necessario ‘accettare’ il fatto che sono
possibili comportamenti violenti non correlati a disturbi
psichici. Il male, l’aggressività, la violenza… esistono.
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Difficoltà diagnostiche
1.
2.
Per la comprensione ed il trattamento del paziente maltrattante è
necessario effettuare una accurata diagnosi differenziale, che
tenga conto della strutturazione della personalità del paziente e dei
livelli di funzionamento psicopatologico
Un problema legato alle classificazioni diagnostiche è che
strumenti diagnostici diversi propongono categorie
psicopatologiche tra loro differenti e solo parzialmente
sovrapponibili. Nella slide successiva è proposta una tabella in cui
vengono confrontati tra loro due classificazioni diagnostiche
internazionali (DSM e PDM) e tre strumenti diagnostici specifici
per i disturbi di personalità (SWAP-200; MMPI-II e MCMI-III)
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A. Le difficoltà della
diagnosi
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Difficoltà diagnostiche
3)
Al di là delle questioni diagnostiche categoriali, per
comprendere questi soggetti è necessario adottare un
approccio di valutazione dimensionale della personalità e
riflettere sul funzionamento psicopatologico e la ‘qualità’
psicopatologica del gesto violento.
 Il gesto violento può avere ‘significati’ differenti in personalità
diverse, che corrispondono a fragilità psicopatologiche differenti
(vedi slide seguenti)
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A. Le difficoltà della
diagnosi
 P. antisociale: il gesto violento è più frequentemente legato ad
impulsività, irritabilità ed aggressività, in aggiunta a tratti di
personalità quali sfruttamento dell’altro, irresponsabilità,
insensibilità ai diritti altrui, assenza di morale, assenza di rimosso
o colpa, tendenza a disonestà e frode
 P. psicopatica: il gesto violento nasce dalla necessità di
perseguire un interesse personale e/o avere potere sull’altro a
proprio esclusivo vantaggio; questo tipo di p. si caratterizza per
mancanza di senso di colpa, assenza di empatia, freddezza,
disinteresse per i sentimenti, i diritti ed il benessere degli altri,
manipolazione, sfruttamento dell’altro; ne esiste una versione
aggressiva ed una passiva-parassitaria; possono ottenere
approvazione ed ammirazione; possono essere affascinanti e
carismatici
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A. Le difficoltà della
diagnosi
 P. sadica: l’impulso centrale del gesto violento è quello di avere il
dominio assoluto sull’altra persona, di detenerne il potere, di
farne un oggetto indifeso alla propria mercè; l’obiettivo più
radicale è di farla soffrire e di infliggerle, dolore senza che sia in
grado di difendersi. Soggetti sadici possono fare internamente
esperienza di un senso di morte e sterilità affettiva da cui
riescono a trarre sollievo infliggendo dolore e umiliazioni ad altre
persone, nella fantasia e anche nella realtà. Il loro
comportamento è caratterizzato da determinazione priva di sensi
di colpa, con disumanizzazione dell’altro-oggetto (confronta con il
PDM: non è necessariamente uno psicopatico)
 Secondo diversi autori vi sono sovrapposizioni possibili tra le
personalità antisociale, sadica, psicopatica
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Kernberg, 1992
• Comportamento antisociale
come parte di una nevrosi
sintomatica
• Disturbo nevrotico di personalità
con tratti antisociali
• Comportamento antisociale
in altri disturbi di personalità
• Disturbo narcisistico di person.
con comportamento antisociale
• Sindrome di narcisismo
maligno
• Disturbo antisociale di
personalità
• Psicopatia
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In ambito psicoanalitico, Otto
Kernberg si è ampiamente e
raffinatamente interessato alle
componenti personologiche
aggressive, narcisistiche,
perverse, antisociali,
psicopatiche, creando un
continuum di gravità basato
sulla definizione
dell’organizzazione della
personalità e sul suo
funzionamento. Inoltre, pone
riflessioni importanti sul tema
della trattabilità di questi
pazienti.
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Hare, 1999
• P. sociopatica: il
comportamento violento non è
propriamente antisociale, in
quanto in sintonia con il
sistema di valori dominante
• P. antisociale:
comportamento sregolato ed
impulsivo
• P. psicopatica: comportam
intenzionale, accompagnato
da tratti di personalità come
freddezza e mancanza di
empatia
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Hare invece fa riferimento al tema
della sociopatia, introducendo
nella riflessione
psicopatologica anche la
componente sociale e di
sintonizzazione con la cultura
dominante.
Es.: un certo comportamento
violento nei confronti di una
donna può essere
culturalmente determinato e
rifiutato vs tollerato vs
accettato a seconda dei valori
(e delle leggi) dominanti.
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A. Le difficoltà della
diagnosi
 P. borderline: il gesto violento è prevalentemente legato ad un
comportamento primariamente impulsivo e sulla base di una
disregolazione emozionale (il “raptus”).
 P. paranoide: il gesto violento è prevalentemente legato ad un
desiderio di vendetta in risposta ad un’offesa o bisogno di mettere
in atto un attacco preventivo rispetto ad un percepito pericolo
 P. narcisistica: il gesto violento è prevalentemente legato ad una
rabbia intensa legata ad una ferita della propria autostima
(approfondimento nella slide successiva)
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO
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Dazzi, Madeddu (2009), Devianza e antisocialità, Cortina
Fornari (2005), Trattato di psichiatria forense; Cortina
Gabbard (2014), tr it Trattamento dei Disturbi Psichiatrici, ed. basata sul DSM-5, Cortina 2016
Hare (1999), tr it La psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica, Astrolabio 2009
Kernberg (1992), tr it Aggressività, disturbi della personalità e perversioni, Cortina 1993
Lingiardi, Gazzillo (2014), La personalità e i suoi disturbi, Cortina
NICE Clinical Guidelines (n. 77, 2010), Antisocial Personality Disorder: Treatment, Management and Prevention
Stone (2002), tr it Pazienti trattabili e non trattabili, Cortina 2007
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Per comprendere la complessità del tema, proponiamo a titolo esemplificativo alcuni
approfondimenti teorici legati al tema di violenza e narcisismo; autori diversi infatti
propongono differenti ipotesi etiopatogeniche delle componenti narcisistiche:
“narcisismo distruttivo” (Rosenfeld 1964, 1971): relazioni d’oggetto basate sull’onnipotenza
grandiosa e sulla negazione dell’invidia e della dipendenza, in cui l’oggetto esiste
sostanzialmente come estensione del Sé;
“narcisismo distruttivo” (Wilson e coll. 2006): costituisce il fil rouge tra persecutorietà e
serialità dello “stalking” ed i suoi comportamenti più violenti, che si inserisce in una
problematica primaria di attaccamento; l'interazione tra autore e vittima si esprime
attraverso diversi possibili patterns di attaccamento nei quali si mixano gli aspetti
identificativo / proiettivi, le idealizzazioni / svalutazioni e quindi il passaggio all'atto di
carattere aggressivo;
“stalker psicopatico” (Dennison e Stewart, 2006): incapacità di tollerare il rifiuto,
accompagnato dalla “ruminazione” su tale ferita narcisistica  persecuzione nei confronti
della vittima;
“narcisista perverso” (Ponsi e Filippini 2003):non considera l’oggetto (l’altro) solo uno
strumento occasionale utile a mantenere alta l’immagine di sé, ma come una vera e
propria preda che egli soggioga e sfrutta a proprio vantaggio. […] anche nella relazione
narcisistico-perversa l’oggetto (l’altro) viene usato con la finalità di mantenere il Sé coeso,
ma ciò avviene con mezzi che vanno oltre l’uso dell’oggetto come supporto e specchio del
proprio Sé grandioso.
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diagnosi
Difficoltà nella valutazione dei Meccanismi
difensivi e di distorsione
Per approfondire alcuni aspetti della personalità di
pazienti che commettono IPV, è necessario
approfondire la conoscenza di specifici meccanismi
difensivi e di distorsione della percezione di sé e
dell’altro che questi soggetti mettono in atto.
Viene proposta una specifica classificazione (Bandura 1991,
Caprara Pastorelli Bandura 1995) che si focalizza su specifici
meccanismi di disimpegno morale (disengagement, ≠
assenza di morale) e che si possono codificare in una
DOPPIA MORALE (segue slide)
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A. Le difficoltà della
diagnosi
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RIDIMENSIONAMENTO DEL GESTO COMPIUTO
– Giustificazione morale: legittimazione dei danni arrecati ad altre persone facendo
appello a scopi altamente morali
– Etichettamento eufemistico: ricorso ad espressioni che mitigano e banalizzano
– Confronto vantaggioso: paragone tra azioni riprovevoli e azioni più gravi
– Distorsione delle conseguenze: banalizzazione e minimizzazione delle
conseguenze del comportamento violento
SPOSTAMENTO DELLA RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE
– Dislocazione della responsabilità: rinvio della responsabilità delle proprie azioni ad
altri per attenuare il coinvolgimento personale
– Diffusione della responsabilità: estensione della responsab. individuali al collettivo
DISTORSIONE DEL RAPPORTO CON LA VITTIMA
– Deumanizzazione della vittima: riduzione dell’empatia verso l’altro, che viene
spogliato della dignità umana e ridotto al rango di cosa, oggetto, proprietà
– Attribuzione di colpe alla vittima: ricaduta della colpa sulla vittima
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diagnosi
Difficoltà nella valutazione psicodiagnostica
Un’ulteriore difficoltà è legata alla possibilità di individuare opportuni
strumenti di valutazione psicodiagnostica.
I test patient-report (tra i più utilizzati: MMPI-II e MCMI-III) infatti si
prestano troppo facilmente alla falsificazione consapevole delle
risposte ed alla manipolazione dei risultati.
Sono disponibili due strumenti specifici per la valutazione del rischio
di violenza e della psicopatia
– HCR-20 Historical Clinical Risk. Assessing Risk for Violence (Webster et al,
1997)
– PCL-R Hare Psychopathy Checklist-Revised (Hare, 1991 e 2003)
LA PCL-R, pubblicata in italiano, è un test clinician-report che rende
possibile superare questo ostacolo della falsificazione. Seguono
due slide
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A. Le difficoltà della
diagnosi
PCL-R
Hare Psychopathy Checklist-Revised (Hare, 1991 e 2003)
• recentemente validata e standardizzata in italiano (Caretti et al., 2011)
• lo strumento più utilizzato e riconosciuto per la valutaz. della psicopatia
• frutto dell’esperienza clinica accumulata primariamente con pazienti
ricoverati in ospedali giudiziari e detenuti nelle carceri
• misura il costrutto della psicopatia dal punto di vista dimensionale e il
rischio di recidiva
• risponde all’esigenza di una valutazione accurata della psicopatia nella
ricerca, nella clinica e una ambito forense
• è un’intervista semi-strutturata composta di 20 items (punteggio 0-2 a
cura del valutatore) che descrivono il costrutto della psicopatia, sulla
base di informazioni ricavabili dalla documentazione personale del
soggetto e di un’intervista semi-strutturata dettagliata con quest’ultimo
che ne esplora la storia di vita, i reati e gli aspetti di personalità legati
alle condotte criminali.
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A. Le difficoltà della
diagnosi
FATTORE 1: INTERPERSONALE AFFETTIVO
Componente 1 - INTERPERSONALE (4 item)
1. Loquacità / Fascino superficiale
2. Senso Grandioso del Sé
4. Menzogna patologica
5. Impostore / manipolativo
Componente 2 - AFFETTVA (4 item):
6. Assenza di Rimorso e Senso di Colpa
7. Affettività superficiale
8. Insensibilità / Assenza di Empatia
16.Incapacità di accettare la
Responsabilità delle proprie Azioni
2 item indipendenti:
11. Comportamento sessuale promiscuo
17. Numerosi Rapp. di Coppia di breve Durata
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FATTORE 2: DEVIANZA SOCIALE
Componente 3 - STILE DI VITA (5 item):
3. Bisogno di Stimoli / Propensione alla
Noia
9. Stile di Vita parassitario
13. Assenza di Obiettivi Realistici /
a Lungo Termine
14. Impulsività
15. Irresponsabilità
Componente 4 - ANTISOCIALE (5 item):
10. Deficit del Controllo Comportamentale
12. Problematiche di Comportamento
Precoci
18. Delinquenza in Età giovanile
19. Revoca della Libertà Condizionale
20. Versatilità Criminale
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A. Le difficoltà della
diagnosi
Analisi delle vulnerabilità
Oltre alle complessità diagnostiche categoriali, è importante,
anche ai fini del trattamento, individuare la complessa rete
delle vulnerabilità che concorrono in senso dinamico
all’etiopatogenesi dei disturbi di personalità e/o dei
comportamenti violenti.
 fattori genetici, temperamentali, ambientali, psicologicoevolutivi, socio-culturali, etico-valoriali
(VEP-PM, Ferrero 2009, Ferrero et al. 2016)
 In letteratura vi sono molti dati relativi alla presenza di
esperienze traumatiche (traumi di tipo I e II) nelle
esperienze precoci dei pazienti con disturbi di personalità.
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B. Le difficoltà della
PSICOTERAPIA
EGOSINTONIA / EGODISTONIA
 all’interno del trattamento psicoterapeutico, è fondamentale la
valutazione che il paziente fa del suo stesso gesto violento:
• si dice Egodistonico qualunque comportamento o idea che non sia in
armonia con i bisogni dell’Io, o specificatamente, non sia ritenuto
coerente con l'immagine e la percezione di sé che ha il soggetto. Il
soggetto è consapevole di un proprio disturbo o malattia o
comportamento inappropriato, sente il bisogno di richiedere cure e di
risolvere il disturbo o modificare il comportamento (es: “sono consapevole
che il mio comportamento è sbagliato e non devo perseguitarla, in certe sere ci
riesco, ma in altri momento la tensione ed il dolore salgono così tanto che non
riesco a trattenermi. Vorrei proprio, ma non ci riesco. Ho bisogno di aiuto”)
• Egosintonico è il suo opposto. E’ una caratteristica spesso distintiva dei
Disturbi di Personalità, per i quali i loro aspetti caratteriali sono coerenti
con la percezione che il soggetto ha di sé.
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B. Le difficoltà della
PSICOTERAPIA
MASSIMA RIGOROSITA’ del SETTING della
PSICOTERAPIA
 è nei tentativi di gestione da parte del paziente di
questo spazio che si possono manifestare
dinamiche di manipolazione, controllo, svalutazione
 è presente il rischio di collusioni
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B. Le difficoltà della
PSICOTERAPIA
• CONTATTO EMOTIVO, IDENTIFICAZIONI e
CONTROIDENTIFICAZIONI del TERAPEUTA
 nel trattamento psicoterapeutico con questi
pazienti può essere molto faticosa e confusiva ed
al tempo stesso risulta fondamentale l’oscillazione
interna del terapeuta tra il contatto emotivo e le
identificazioni con il paziente maltrattante (i suoi
aspetti feriti e/o traumatizzati) da un lato e le
identificazioni con la vittima dei comportamenti
violenti dall’altro (i suoi aspetti feriti e/o
traumatizzati).
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B. Le difficoltà della psicoterapia
il CONTROTRANSFERT - (1a) il paziente
ANTISOCIALE - PSICOPATICO - SADICO
•
•
I clinici tendono a sentirsi maltrattati, criticati o disprezzati, e possono esperire
un’intensa rabbia o irritazione quando lavorano con pazienti antisociali. Spesso si
sentono usati o manipolati da questi pazienti, che li spingono a stabilire confini
molto rigidi del setting. A volte i terapeuti possono sentirsi cattivi o aggressivi e
vorrebbero persino non averli mai presi in carico[1]
L’idea di base di uno psicopatico verso il terapeuta è una proiezione del suo bisogno
predatorio interiore, l’idea che il clinico intenda usare il paziente per scopi egoistici.
Non avendo avuto alcuna esperienza emotiva dell’amore e dell’empatia, il paziente
antisociale non ha modo di comprendere gli aspetti generosi dell’interesse del
terapeuta [...] La risposta controtransferale consueta (...) è una violenta emozione e
insieme resistenza a pensare che la propria identità di persona che offre aiuto venga
negata. L’operatore ingenuo può cedere alla tentazione di cercare di dimostrare le
proprie intenzioni positive. E quando il tentativo fallisce, le reazioni comuni nei
confronti della persona psicopatica sono ostilità, disprezzo e offesa morale. Questi
sentimenti ’non empatici’ devono essere interpretati, paradossalmente, come una
sorta di empatia per la persona psicopatica[2]
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B. Le difficoltà della psicoterapia
il CONTROTRANSFERT - (1a) il paziente
ANTISOCIALE - PSICOPATICO - SADICO
•
•
•
•
Altre reazioni controtransferali comuni sono complementari più che concordanti[3]
e implicano soprattutto un timore inquietante. Chi lavora con pazienti psicopatici
parla spesso dei loro occhi freddi e spietati e teme di cadere ‘sotto la loro influenza’[4]
E’ importante che il clinico sopporti tali reazioni disturbanti senza tentare di negarle o
compensarle, in quanto è poco saggio minimizzare la minaccia rappresentata da un
vero sociopatico (sia sul piano della realtà, sia perché potrebbe stimolare il pz a
dimostrare il proprio potere distruttivo)[2]
Infine, l’esperienza di essere attivamente, perfino sadicamente disprezzato può
indurre nel clinico un’intensa ostilità o una disperata rassegnazione[2]
Altri due sentimenti controtransferali possibili: l’incredulità (non è possibile che il
paziente sia ‘così cattivo’) e la collusione (sino appunto a colludere con il pz e farsi
coinvolgere in atti eticamente scorretti o illegali)[5]
[1] Colli, A., Tanzilli, A., Dimaggio, G., Lingiardi, V. (2014), Patient personality and therapist response: an empirical investigation, Am. J. Psych., 171 (1): 102-8.
[2] McWilliams, N. (1994); tr. it. La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1999.
[3] Racket, H. (1968), tr. it. Studi sulla tecnica psicoanalitica. Transfert e controtransfert, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1970.
[4] Meloy, J.R. (1988), The psychopatic mind. Origins, dynamics, and treatment, Jason Aronson, Northvale, NJ.
[5] Gabbard, G.O. (2015), tr. it. Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milano 2015.
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B. Le difficoltà della psicoterapia
il CONTROTRANSFERT –
(2) il paziente NARCISISTA
•
•
•
I clinici tendono a sentirsi annoiati, distratti e irritati. Non si sentono coinvolti nel
lavoro con loro e spesso si sentono frustrati. Alle volte possono anche sentire di
essere intercambiabili, inutili, invisibili e incapaci[1]
I pazienti narcisisti hanno forti reazioni nei confronti del terapeuta; possono
svalutarlo o idealizzarlo con notevole intensità. Tuttavia sono stranamente poco
interessati al significato di tali reazioni… I loro transfert sono di solito talmente
egosintonici da risultare inaccessibili a ogni indagine. [...] I terapeuti principianti si
trovano a fronteggiare più transfert svalutativi che idealizzanti. Se può consolare
chi deve sopportare il disagio di essere oggetto di un disprezzo sottile e continuo,
essere destinatario di un transfert narcisistico idealizzante non è molto meglio. In
entrambe le circostanze si ha la sensazione che venga annullata la propria realtà
di essere umano dotato di una certa competenza che sta sinceramente cercando di
aiutare[2]
Collegati a questi fenomeni sono i controtransfert che implicano noia, irritabilità,
sonnolenza e una sensazione vaga che nel trattamento non accada nulla[2]
[1] Colli, A., Tanzilli, A., Dimaggio, G., Lingiardi, V. (2014), Patient personality and therapist response: an empirical investigation, Am. J. Psych., 171 (1): 102-8.
[2] McWilliams, N. (1994); tr. it. La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1999.
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il CONTROTRANSFERT –
(2) il paziente BORDERLINE
• I clinici tendono a sentirsi confusi e sopraffatti da emozioni forti e
bisogni intensi. In particolare, più che con altri pazienti, si trovano
spesso a pensare o provare cose di cui si rendono conto solo alla fine
della seduta. I pazienti borderline possono spaventare i clinici che, nel
rapporto con loro, tendono a provare alti livelli di ansia, tensione e
preoccupazione. I terapeuti possono anche sentirsi incompetenti o
inadeguati e spesso, in seduta, sperimentano uno stato di
disorganizzazione, smarrimento e frustrazione [1]
• Hanno paura di fallire nell’aiutarli e, a volte, possono sentirsi colpevoli
quando questi pazienti soffrono o peggiorano, come se fossero loro i
responsabili. I clinici parlano di loro con altri significativi più di quanto
non parlino di altri pazienti e li vivono come ’pazienti speciali’. Talvolta
possono fare per loro più di quanto facciano per altri pazienti (p.e.
prolungano l’orario delle sedute o accordano sedute o telefonate extra)[1]
[1] Colli, A., Tanzilli, A., Dimaggio, G., Lingiardi, V. (2014), Patient personality and therapist response: an empirical investigation, Am. J. Psych., 171 (1):
102-8.
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Le difficoltà della presa in
carico e della cura
INDICE – PARTE SECONDA
C. Le difficoltà della presa in carico
–
–
–
–
–
–
Trattabilità / non trattabilità del paziente maltrattante
Indicatori prognostici di esito
Il ruolo dell’intervento penale
La compliance al trattamento
Quali trattamenti
La presa in carico in équipe
D. L’attività dell’Unità di Psicoterapia e Centro DPAA per i Disturbi di
Personalità dell’Adolescenza e dell’età Adulta - S.C. Salute
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C. Le
difficoltà
della presa
in carico:
Trattabilità /
non
trattabilità
Stone (2007)
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oltre ai soggetti che per svariati motivi
non giungono all’attenzione dei clinici,
Stone (2007) segnala le difficoltà nel
trattamento dei soggetti con profilo
personologico di tipo ossessivocompulsivo, narcisistico, antisociale,
istrionico e borderline, collocando oltre
la soglia della trattabilità i soggetti con
personalità psicopatica.
C. Le
difficoltà
della presa
in carico:
Trattabilità /
non
trattabilità
Stone 2007
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
L'empatia cognitiva richiede la capacità di "pensare" la mente,
propria e altrui, di attribuire un significato psicologico alle azioni
(teoria della mente); l'empatia affettiva richiede la capacità di
compartecipazione emotiva", che si basa sulla possibilità di
"sentire" le proprie emozioni, quelle dell'altro, di riuscire a
distinguere tra esse, e quindi di poter "risuonare" emotivamente con
le emozioni dell'altro.
Baron-Cohen (2011) sottolinea come questa funzione non coincida
con il senso di colpa, che si attiva a partire dal timore delle
conseguenze, e che non necessariamente attiva i meccanismi
dell'empatia
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
– il concetto di consapevolezza di Sé implica: self-awareness: senso unitario di sé,
collocato nello spazio e nel tempo, memoria autobiografica; self-agency: percezione
di sé come agente, la consapevolezza di essere attivi in una situazione, ovvero che
i propri comportamenti impattano sull'ambiente e sull'altro; ciò costituisce un
necessario presupposto del senso di responsabilità e della considerazione delle
conseguenze dei propri comportamenti nelle relazioni interpersonali.
Per sentirsi responsabile di un'azione nei confronti dell'altro, una persona non solo
deve percepire l'altro come essere umano, in modo empatico, ma deve avere
un'idea di sé come padrone delle proprie azioni.
– il concetto di mentalizzazione: la percezione di sé come essere intenzionale, nella
consapevolezza che pensieri e sentimenti hanno sede nella propria mente così
come in quella dell'altro.
Questa percezione, in cui il soggetto si vive come essere separato e intenzionale,
come sede di pensieri, desideri e azioni, è la premessa per la responsabilità.
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
La responsabilità soggettiva implica la percezione di impulsi come propri, senza la
quale non ci possono essere sentimenti di colpa e vergogna (Tyson 2005).
Il soggetto antisociale manca di questo senso di padronanza; l'agire fisicamente,
nel gesto violento diviene così un modo per recuperare nel reale, nel corpo, quello
che manca nella dimensione simbolica dell'interazione.
Spesso tali soggetti rivendicano le loro azioni violente attraverso la necessità di
esigere «rispetto», un termine che rimanda all'idea di rispecchiamento, l'azione
violenta tesa a "prendersi" riconoscimento.
(mancanza di empatia e mancanza di valore, di riconoscimento)
L'impulsività, la seduzione, la manipolazione, la menzogna, la violenza non
sarebbero da intendersi, quindi, solo come effetti di un deficit di empatia nella
percezione dell'altro ma anche di un deficit nella percezione di sé come agente
dotato di valore.
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carico: indicatori prognostici di
esito
basi biologiche dei comportamenti antisociali-psicopatici:
genetiche: polimorfismo del gene MAO-A
ormonali: disregolazione dell’ossitocina
il ruolo della parte ventrale della corteccia mediale prefrontale
il ruolo dell'amigdala
il ruolo dei neuroni specchio
aree cerebrali interessate alla rappresentazione dell'altro ma anche
all'idea di Sè
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
Egosintonico v/s egodistonico
La richiesta di trattamento da parte del paziente
Il paziente aderisce al trattamento su richiesta di un familiare
Il paziente è inviato al trattamento da un procedimento penale
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
Tra gli indicatori prognostici di esito devono certamente essere
considerate le motivazioni e le modalità con cui il soggetto giunge al
trattamento: l'egosintonia rispetto alla condotta violenta e al disturbo
personologico, particolarmente in area narcisistica ed antisociale,
nonché la presenza di una motivazione prevalentemente estrinseca
al trattamento rendono particolarmente difficile l'accesso alle cure (e
la compliance) da parte di questi soggetti, per i quali l'intervento
clinico è spesso imposto da un procedimento giudiziario oppure è
richiesto dal soggetto stesso con l'aspettativa di aggirare o mitigare
le conseguenze penali dei propri comportamenti; in alcuni casi, essi
giungono al trattamento accogliendo la richiesta di un familiare.
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
Il primo ostacolo nel trattamento di questi soggetti è quindi
rappresentato proprio dall'esigenza di implementare la compliance,
modificare progressivamente la motivazione estrinseca, "mettere in
crisi l’egosintonia" e promuovere l’internalizzazione del locus of
control.
Il progressivo accesso a sentimenti di colpa e vergogna,
la comparsa di sintomi ansiosi e depressivi durante il
trattamento corrispondono pertanto ad una prognosi più
favorevole.
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
Rete sociale e progettualità: in adolescenza e in età adulta
Il contesto socio-ambientale (Hardiman e Lapeyre, 2004)
L’entità del comportamento violento
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C. Le difficoltà della presa in
carico: indicatori prognostici di
esito
La presenza di una rete sociale e l'accesso ad una progettualità
(alternativa al comportamento criminale e/o violento) costituiscono
per molti autori un indicatore prognostico importante, sia in
adolescenza che in età adulta.
Un ulteriore elemento che viene spesso preso in considerazione è
l’entità del comportamento violento e del danno inflitto.
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carico: indicatori prognostici di
esito
Il ruolo del contesto socio-ambientale come fattore di rischio e
indicatore prognostico è stato approfondito da numerosi autori. In
particolare segnaliamo una rassegna del 2004 di Hardiman e
Lapeyre sui dati di sei diversi progetti di intervento patrocinati dal
Concilio d’Europa e condotti in diverse periferie urbane considerate
a rischio: Napoli, Quartieri Spagnoli (Italia), Barcellona, El Raval
(Spagna), Amsterdam, Slotervaart (Olanda), Derby, Derwent (GB),
Sofia, Fakulteta (Bulgaria), Mosca, distretto meridionale (URSS).
Sarebbe tuttavia un errore associare i comportamenti violenti
esclusivamente al degrado sociale; lo status socio-economico
dell’autore di violenza e spesso medio-alto.
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
Imputabilità in età adulta e in adolescenza: capacità di intendere e volere e
immaturità.
Sentenza della Cassazione n 9153 del 2005 ha esteso l'area della non imputabilità
ai disturbi di personalità.
Paradigmi di intervento, orientati a:
ridurre il rischio di recidiva
diagnosticare la psicopatologia e proporre interventi terapeutici
attivare le risorse individuali
Limiti e vantaggi sulla compliance al trattamento
L’intervento giudiziario come funzione di regolazione esterna
Il Giudice come potenziale funzione simbolica di regolazione interna
Il terapeuta come potenziale mediatore di un cambiamento
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
Pur non entrando in questa sede nel merito del dibattito sull'imputabilità, è utile ricordare che:
- non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva ancora compiuto i 14 anni (art.
97 c.p.); dai 14 ai 17 anni la capacità di intendere e volere va accertata di volta in volta (valutazione
dell'immaturità), attraverso accertamenti sulla personalità del minorenne; per i maggiorenni, l'unica
condizione che interferisce sulla capacità di intendere e volere è l'infermità mentale, cioè la presenza di uno
stato psicopatologico, riferito all'epoca della commissione del reato, con un legame di causalità diretta;
anche alterazioni del funzionamento mentale ascrivibili a disturbi di personalità possono incidere sulla
capacità di intendere e volere: la sentenza della Cassazione n 9153 del 2005 ha confermato questa
possibilità, estendendo l'area della non imputabilità ai disturbi di personalità
Tuttavia:
- la presenza di una diagnosi di psicopatologia non costituisce ragione sufficiente per incidere sulla
imputabilità se non in relazione al momento del reato (Fornari 2005); «Gli stati emotivi o passionali non
escludono ne’ diminuiscono l’imputabilità» (Art. 90 C.P.)
In Italia è quindi applicato un criterio psicopatologico-normativo: l’infermità è il presupposto necessario alla
dichiarazione di non imputabilità, ma non è sufficiente in sé a determinarla.
E’ quindi sempre necessario passare dalla diagnosi categoriale alla diagnosi funzionale, per valutare la
compromissione del funzionamento del soggetto (Fornari 2006)
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
nell'intervento in ambito minorile si confrontano (e a volte si contrappongono)
diverse logiche: sanzionatoria, orientata dalla necessità di sicurezza sociale;
psicosociale, tesa a sostenere il processo di responsabilizzazione del minore;
diversiva, per evitare un ingresso precoce dell'adolescente nel sistema penale;
riparativa, che pone l'accento sulla relazione tra vittima e autore del reato;
di protezione dei diritti del minore; psicopatologica, che pone l'accento sul disturbo
che può essere alla base del comportamento violento e sul conseguente
trattamento
le diverse tipologie di intervento afferiscono principalmente a tre paradigmi, orientati
a: ridurre il rischio di recidiva, diagnosticare la psicopatologia e proporre interventi
terapeutici, attivare le risorse individuali
l'integrazione di questi paradigmi orienta i programmi di riabilitazione intesi non solo
come una pratica coercitiva, con finalità punitive, ma con obiettivi di cambiamento
mirato (Maggiolini 2014), ovvero integrando obiettivi penali e terapeutici
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
Modelli di intervento:
RNR (Andrews 1995, 1998, 2011); GLM-FM (Ward 2003, 2007)
il modello Rischio-Bisogno-Responsività (RNR: Risk-Needs-Responsivity) –
Andrews - pone attenzione ai fattori di rischio ed ai "criminogenic needs": aspetti
statici e dinamici, ambientali e soggettivi (psicopatologici e personologici) su cui
deve essere mirato il trattamento, e sui si basa la valutazione della responsività del
soggetto all'intervento;
sviluppi successivi di tale modello: Ward 2003, 2007: Good Lives Model of
Forensic Mental Health (GLM-FM): non solo pongono maggiore attenzione a
risorse e punti di forza ma declinano anche una più precisa definizione dei
"criminogenic needs": tali modelli di intervento sono tesi a distinguere,
particolarmente in età evolutiva, tra bisogni evolutivi (autonomia e senso di valore
sociale) e modi strumentali di affrontare tali bisogni (ad es. l'impulsività)
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
è quindi importante distinguere e saper modulare metodologie e strumenti
riabilitativi e terapeutici che si pongono come obiettivo la riduzione dell'impulsività o
l'aumento di empatia o lo sviluppo dell'autonomia e del senso di responsabilità
(Maggiolini 2014)
Proporre progettazioni di intervento differenziate per i disturbi borderline, narcisisti,
antisociali (Stone 2007) e per differenti livelli di funzionamento della personalità
(Ferrero A., 2009)
La coerenza del progetto clinico e l’articolazione in rete degli interventi.
la difficoltà è di giungere a una vera integrazione tra un approccio clinicopsicopatologico, centrato sui tratti di personalità e sui bisogni individuali, e uno
attento al controllo del comportamento e agli obiettivi sociali e penali (Maggiolini
2014)
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
Limiti e vantaggi dei procedimenti penali sulla compliance al trattamento:
una motivazione eterocentrata rappresenta certo una difficoltà, ma in
alcuni casi è l’unica motivazione iniziale possibile.
Si parte da un’alleanza contrattuale, costantemente messa alla prova dai
tentativi di elusione del paziente, spesso resa possibile dalla presenza di
un «obbligo» o di un possibile «vantaggio» giudiziario.
L’alleanza terapeutica è spesso un obiettivo e non una condizione di
partenza nel trattamento di questi pazienti.
L’intervento giudiziario, la figura del Giudice assume talvolta una
potenziale funzione simbolica di regolazione esterna, che possa essere
progressivamente internalizzata.
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Le difficoltà della presa in
carico: l’intervento penale
Il terapeuta deve saper mantenere la posizione di potenziale mediatore di
un cambiamento, promuovendo un esercizio di empatia e mentalizzazione
per il paziente.
E' quindi importante che il terapeuta non colluda emotivamente ne' con
istanze difensive, ne' con istanze punitive.
L'accento è posto non solo sull'attitudine empatica del terapeuta: «sentire
con le orecchie e vedere con gli occhi del paziente»,
ma sulla possibilità di promuovere confrontazioni empatiche: «far vedere e
sentire al paziente cosa l’altro vede e come si sente con lui»,
senza esserne sopraffatto ne' manipolato.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Trattamenti residenziali:
Comunità educative/terapeutiche
Comunità a media/alta protezione
REMS (Residenze Esecuzione delle Misure di Sicurezza)
•la cultura istituzionale prototipica della comunità
•eterogeneità degli utenti dal punto di vista psicopatologico
•la psicoterapia all’interno o all’esterno della comunità
Milieu Therapy (Gabbard 2016)
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
E' importante porre attenzione alla cultura istituzionale prototipica della
comunità: un clima prevalentemente orientato all'affettività, oppure
all'aspetto pratico e alla promozione di autonomia e competenze, oppure
alla relazionalità, o alla normatività, impatta in modo molto differente su
soggetti con diverso funzionamento personologico
una delle criticità è quindi la compresenza di soggetti con comportamenti
violenti/reati "simili", ma personalità diverse, che richiedono uno "stile
relazionale" differente e differenti funzioni di contenimento e/o di
rispecchiamento.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Così come avviene nei contesti di ricovero, anche in Comunità, il paziente
antisociale/narcisista, manipolatorio, può attivare dinamiche molto
disfunzionali, sia nel gruppo degli utenti che nelle équipes.
Il comportamento distruttivo e manipolatorio del soggetto antisociale può
interferire pesantemente con il trattamento di altri pazienti e può portare al
blocco generale di tutti i programmi terapeutici.
Talvolta si tratta di soggetti che derubano e aggrediscono gli altri pazienti;
mentono, prendono in giro i membri dello staff; introducono di nascosto
alcool e droghe; ridicolizzano la logica terapeutica; possono indurre altri a
comportamenti disonesti o collusivi (anche nello staff); alcuni distruggono
sistematicamente l’alleanza terapeutica che altri pazienti hanno sviluppato
(Stone 2007).
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Un altro aspetto a cui è importante porre attenzione è l'articolazione dei trattamenti
psicoterapeutici negli interventi riabilitativi residenziali e la gestione del setting della
psicoterapia, svolta all'interno della struttura residenziale o all'esterno di essa.
Alcuni autori segnalano il rischio che uno psicoterapeuta esterno rischi di avere
una posizione troppo distante e alimentare una "scissione" tra la gestione dei
comportamenti quotidiani e l'interpretazione del loro significato; peraltro, un
terapeuta coinvolto attivamente nella quotidianità della comunità rischia di non
avere un margine sufficientemente per l'elaborazione dei significati e la
modulazione di una adeguata distanza nella relazione psicoterapeutica.
E' quindi opportuno che, se il terapeuta è esterno alla comunità, la psicoterapia si
inscriva in un costante e attento lavoro di rete con gli operatori; quando la
psicoterapia si svolge all'interno della struttura, sarebbe auspicabile che lo
psicoterapeuta non assolva ad altre funzioni e non svolga altri ruoli in essa.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Tra i numerosi modelli di intervento residenziale disponibili, la Milieu
Therapy (Gabbard 2016) si propone come metodo di trattamento in
cui il controllo dell’ambiente che circonda il soggetto antisociale è il
principale agente del cambiamento. Le comunità terapeutiche
residenziali ispirate a tale modello utilizzano l’influenza dei pari
come strumento per generare cambiamento e aiutare i soggetti ad
acquisire capacità sociali e apprendere norme sociali.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
In adolescenza alcuni autori segnalano l’utilità di un approccio
psicodinamico ai programmi psicoeducativi.
Twemlow (2000): la diagnosi psicodinamica orienta la scelta di programmi
di intervento psicoeducativi, basati sulla promozione delle life skills, che
promuovono però «funzioni terapeutiche» psicoanalitiche.
Ne propone una interessante rassegna in un lavoro del 2000, focalizzato
sui comportamenti violenti e sui fenomeni di bullismo messi in atto dagli
adolescenti:
Programma Tolleranza Zero (per bullo, vittima o testimone – attività di
apprendimento attivo e focus group)
Programma Gentle Warrior (arti marziali)
Programma Peer Mentor e Peer Lauder
Programma Bruno (mentori adulti)
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
La terapia psicofarmacologica
Il paziente maltrattante spesso si oppone al trattamento
farmacologico in quanto percepisce la riduzione dell'impulsività
come incremento della propria vulnerabilità personale.
Doppio terapeuta
Il trattamento farmacologico non è efficace nei casi tipici di
psicopatia (Khalifa et al, 2009; National Institute Health and Clinical
Excellence, 2009).
Non ci sono prove sufficienti a sostegno dell’impiego di farmaci nel
trattamento del disturbo antisociale di personalità (Gabbard, 2016).
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
L’approccio farmacologico può essere efficace nel trattamento
dell’aggressività impulsiva, mentre appare dubbia la sua efficacia nel
trattamento dell'aggressività pianificata.
Anche il farmaco può diventare uno strumento di richiesta manipolatoria da
parte del paziente e interferire nel processo di costruzione dell’alleanza
psicoterapeutica.
Appare opportuno prevedere un'articolazione dell'intervento a doppio
terapeuta, diversificando il setting della farmacoterapia e della
psicoterapia.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
LE PSICOTERAPIE
-Cognitivo-comportamentali
-Psicodinamiche espressive e di supporto
-In adolescenza: interventi psicoeducativi e psicoterapia psicodinamica
(Psicologia del Sè) - Novelletto e Senise; funzione psicoanalitica dei
programmi psicoeducativi «peer» - Twemlow; le terapie sistemiche:
Terapia multisistemica – Bourdin; PMT – Patterson;
-DBT (Dialectical Behviour Therapy) – Linehan
-SCHEMA Therapy - Young
-MBT (Mentalization Based Therapy) – Bateman e Fonagy
-SB-APP (Sequential Brief – Adlerian Psychodynamic Psychotherapy)
– Ferrero
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Sono documentati differenti modelli di intervento psicoterapeutico con
evidenze di efficacia, rivolti a soggetti con condotte di violenza, adulti o
adolescenti.
Numerosi autori di diversi orientamenti segnalano l’importanza che il
terapeuta disponga di informazioni sulla vita reale del paziente, per
arginare il rischio di manipolazione, e che la psicoterapia si inscriva in una
presa in carico complessa e articolata in rete con gli altri interventi clinici.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
L'intervento psicoterapeutico per il paziente maltrattante è
indicato, per alcuni pazienti, in un ambiente contenitivo che
possa ridurre e sanzionare gli acting, e deve essere teso a
incrementare l’empatia, la mentalizzazione e la
consapevolezza delle conseguenze del proprio
comportamento su se stessi e sugli altri.
Il rigore del setting, delle regole, la prevedibilità delle
conseguenze (sia in psicoterapia che in comunità).
Promuovere assunzione di responsabilità e internalizzazione
del locus of control.
La gestione del segreto professionale
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Un setting rigoroso, in psicoterapia così come in residenzialità, è
fondamentale proprio perché questi soggetti hanno la tendenza a passare
direttamente dall’impulso all’azione; l'équipe può aiutare questi pazienti a
interporre il pensiero tra l’impulso e l’azione, incoraggiando il paziente a
pensare all’eventuale risultato delle azioni.
Una volta che le istituzioni hanno stabilito un controllo sulla vita dei
pazienti, bloccando i canali abitualmente usati per scaricare gli affetti
spiacevoli attraverso l’azione, i pazienti possono incominciare a
confrontarsi con la loro ansia e aggressività.
Le strategie si concentrano pertanto sul “qui e ora”. Qualsiasi agito deve
essere affrontato tempestivamente.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Particolare attenzione va posta inoltre alle difficoltà che i
clinici, e in particolare lo psicoterapeuta, possono incontrare
nel gestire aspetti delicati del segreto professionale,
soprattutto quando sono implicati aspetti giuridici rilevanti e/o
quando il paziente «mette alla prova» il terapeuta attraverso il
racconto degli aspetti più violenti delle proprie condotte.
Una particolare attenzione va quindi posta alle dinamiche
controtransferali, che non attengono esclusivamente alla
relazione psicoterapeutica, ma che riguardano tutti gli
operatori coinvolti.
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Le difficoltà della presa in
carico: quali trattamenti
Nell’intervento clinico per il paziente maltrattante è
quindi fondamentale:
1. la diagnosi differenziale personologica
2. la condivisione degli obiettivi e delle scelte cliniche
nell'èquipe professionale
3. la formazione degli operatori alla gestione dei
comportamenti manipolatori attuati dal paziente
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Le difficoltà della presa in
carico: le difficoltà delle équipes
La presa in carico in équipe.
Condividere il peso della presa in carico e
gestire i tentativi di manipolazione dei clinici da
parte del paziente.
La motivazione dei clinici.
Il controtransfert dei clinici.
La supervisione emotiva.
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Le difficoltà della presa in
carico: le difficoltà delle équipes
L'importanza di condividere con l’équipe il peso della presa in carico e di
operare in sinergia assume particolare rilevanza nel trattamento dei
pazienti autori di violenza.
La coesione dell'èquipe, la capacità degli operatori di fornire risposte
immediate, ferme e prevedibili nei confronti di tutte le infrazioni alle regole
frustano gli sforzi del paziente di raggirare il sistema e su ciò si basa la
possibilità di promuovere un cambiamento nel paziente.
Diviene fondamentale nel trattare questi pazienti porre attenzione alle
dinamiche transferali e controtransferali che si attivano in tutte le relazioni
di cura, e che correlano con la soggettività individuale dei singoli operatori,
con il clima istituzionale in cui si inscrive l’intervento, e con l'assetto
personologico del paziente.
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Le difficoltà della presa in
carico: le difficoltà delle équipes
Tali dinamiche comportano il rischio di colludere con istanze punitive o
difensive nei confronti del paziente, l'inevitabile empatia nei confronti della
vittima, la tentazione di assegnare le colpe ad altri (la famiglia, la società...),
il confronto quotidiano con le difficoltà, sentimenti di impotenza e
frustrazione, l'innesco di conflittualità con gli altri operatori, nonché il rischio
di colludere con aspettative irrealistiche di cambiamento, la tentazione
verso sentimenti di lusinga o di onnipotenza nel lavorare con soggetti così
"difficili" e/o "indesiderati".
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Le difficoltà della presa in
carico: le difficoltà delle équipes
Ancora attuali appaiono le regole che Winnicott enunciava (1989) per gli
operatori che lavorano con gli adolescenti autori di violenza:
Fornire costanza: regole prevedibili e disponibilità alla relazione;
Non legare la sintomatologia alla colpa: comprendere il comportamento e
non giudicarlo moralmente (ne’ giustificarlo); Non aspettarsi gratitudine o
riconoscimento; Riuscire a sopravvivere: trattare con il comportamento
distruttivo senza esserne danneggiati o sopraffatti.
La supervisione sul progetto clinico dovrebbe pertanto integrarsi con una
specifica supervisione delle dinamiche emotive che circolano nell’équipe.
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D. Unità di Psicoterapia e Centro Disturbi di
Personalità dell’Adolescenza e dell’età
Adulta (DPAA), S.C. Salute Mentale
Chivasso - ASLTO4.
Resp. Dr. Andrea FERRERO
Protocollo sperimentale per l'erogazione di prestazioni
cliniche anche in favore di soggetti maltrattanti in carico
ai Servizi di NPI e/o di Psicologia e/o Salute Mentale.
Trattamenti focalizzati sulla psicopatologia: PFL
(Psychopathological Functioning Levels)
SB-APP (Sequential Brief-Adlerian Psychodynamic
Psychotherapy)
Unità di Psicoterapia e Centro DPAA
S.C. Salute Mentale Chivasso ASL TO4
Dr.ssa Simona FASSINA
Dr.ssa Barbara SIMONELLI
D. Unità di Psicoterapia e Centro Disturbi di
Personalità dell’Adolescenza e dell’età Adulta
(DPAA), S.C. Salute Mentale Chivasso - ASLTO4.
Resp. Dr. Andrea FERRERO
L’Unità di Psicoterapia e il Centro DPAA dell’ASL TO4 sta strutturando un
protocollo
per l'erogazione di prestazioni cliniche anche in favore di soggetti maltrattanti.
Nello specifico, si tratta di un Servizio di 2° livello con la funzione di fornire
un’integrazione diagnostico-terapeutica per pazienti con età minima di 16 anni, di
entrambi i sessi, che perpetrano violenza di vario genere in ambito relazionale.
Tutte le attività del Servizio sono subordinate alla presenza di un Servizio
Specialistico di 1° livello, cui è assegnata la gestione di utenti con disturbi psichici;
ogni prestazione clinica può essere realizzata solo se parte di un sistema di
intervento integrato e in rete anche con le istituzioni che intercettano comportamenti
violenti (Sistema di Giustizia, Forze dell’Ordine, Servizi Sociali).
Unità di Psicoterapia e Centro DPAA
S.C. Salute Mentale Chivasso ASL TO4
Dr.ssa Simona FASSINA
Dr.ssa Barbara SIMONELLI
D. Unità di Psicoterapia e Centro Disturbi di Personalità
dell’Adolescenza e dell’età Adulta (DPAA), S.C. Salute
Mentale Chivasso - ASLTO4.
Resp. Dr. Andrea FERRERO
Il Servizio eroga le seguenti prestazioni:
•Approfondimenti diagnostici sul funzionamento della personalità
‘maltrattante’, tramite colloqui clinici e test psicodiagnostici;
•Valutazioni sulla ‘trattabilità’ o meno di pazienti maltrattanti (sulla base di
evidenze cliniche e scientifiche) e sulla modalità della loro presa in carico
da parte del Servizio di 1° livello;
•Psicoterapie strutturate a tempo limitato (SB-APP), specificatamente
validate per i disturbi di personalità, con esclusione quindi dei disturbi
bipolari, dello spettro schizofrenico e autistico, dei ritardi mentali e dei
disturbi primariamente riconducibili a uso di sostanze;
•Attività di formazione.
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dell’Adolescenza e dell’età Adulta (DPAA), S.C. Salute
Mentale Chivasso - ASLTO4.
Resp. Dr. Andrea FERRERO
SB-APP: Sequential Brief-Adlerian Psychodynamic Psychotherapy
si basa sull’impianto teorico e metodologico della Psicologia Individuale ed in particolare: unità
psicosomatica dell’individuo, self-regulation, moduli di legame;
è una psicoterapia a orientamento psicodinamico: mette in relazione i sintomi attuali del
soggetto, le sue strategie maladattive e la sua sofferenza psicologica alle dinamiche inconsce;
quando è rivolta a pazienti con gravi disturbi di personalità si inscrive all’interno di una
modalità di presa in carico che prevede la presenza almeno di un doppio terapeuta;
per i casi più complessi, essa si articola in rete con l’equipe multidisciplinare costituita da
psichiatri, psicologi, infermieri, educatori e assistenti sociali, che possa gestire situazioni di
crisi e che possa farsi carico delle eventuali richieste e necessità socio-riabilitative del
paziente;
è una psicoterapia basata sulla psicopatologia: le strategie degli interventi e gli strumenti
terapeutici vengono scelti dal terapeuta sulla base della patologia del paziente, del suo livello
di funzionamento psicopatologico della personalità (PFL).
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Dr.ssa Simona FASSINA
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D. Unità di Psicoterapia e Centro Disturbi di Personalità
dell’Adolescenza e dell’età Adulta (DPAA), S.C. Salute
Mentale Chivasso - ASLTO4.
Resp. Dr. Andrea FERRERO
SB-APP: Sequential Brief-Adlerian Psychodynamic Psychotherapy
l’utilizzo degli strumenti tecnici si articola secondo due diverse opzioni strategiche:
mutativa o conservativa (rispetto al funzionamento intrapsichico); intensiva o
supportiva (rispetto all funzionamento relazionale)
in riferimento all’impostazione del setting, la SB-APP prevede l’articolazione del
trattamento in moduli ripetibili e sequenziali di 40 sedute ciascuno, a cadenza
settimanale e con un setting rigoroso, organizzati attorno a un focus principale,
definito in base al livello clinico di funzionamento del soggetto (PFL) e ad un focus
aggiuntivo, costituito dalla condizione time-limited del trattamento;
l'eventuale avvio di un modulo successivo prevede la ridefinizione degli obiettivi
terapeutici e l'assegnazione ad un diverso terapeuta
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D. Unità di Psicoterapia e Centro Disturbi di Personalità
dell’Adolescenza e dell’età Adulta (DPAA), S.C. Salute
Mentale Chivasso - ASLTO4.
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PFL-RS: Psychopathological Functioning Levels Rating Scale
scala di valutazione, frutto di dodici anni di studi e di pratica clinica, per
personalizzare i progetti clinici e le psicoterapie e per valutare aspetti
specifici degli esiti dei trattamenti in campo psichiatrico
la scala differenzia sette livelli di funzionamento psicopatologico per come
si manifestano in cinque aree specifiche: Identità, Comprensione, Emozioni
negative, Regolazione comportamentale, Relazioni Sociali.
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BIBLIOGRAFIA
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Unità di Psicoterapia e Centro DPAA
S.C. Salute Mentale Chivasso ASL TO4
Dr.ssa Simona FASSINA
Dr.ssa Barbara SIMONELLI
L’autore di violenza:
le difficoltà della cura
IVREA, 20 ottobre 2016
GRAZIE PER
L’ATTENZIONE
Dr.ssa Simona FASSINA
[email protected]
Dr.ssa Barbara SIMONELLI
[email protected]
Unità di Psicoterapia e Centro DPAA per i Disturbi di
Personalità dell’Adolescenza e dell’Età Adulta
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Settimo T.se (TO)
Resp. Dr. Andrea Ferrero