ROMAEUROPA FESTIVAL
SOCÌETAS RAFFAELLO SANZIO
ROMEO CASTELLUCCI
THE FOUR SEASONS RESTAURANT
30 OTTOBRE - 3 NOVEMBRE - TEATRO ARGENTINA 75
PRIMA NAZIONALE
UNA COREALIZZAZIONE ROMAEUROPA FESTIVAL 2013 E TEATRO DI ROMA
C’è un vulcano, una voragine incandescente in perenne
attività. Ma un filosofo che è anche un poeta, un rivoluzionario,
un blasfemo, e dunque un mistico, lo chiama “padre” prima di
lasciarsi inghiottire da esso. C’è all’opposto della terra, persa
nell’infinito, un’altra voragine, un buco nero supermassivo, uno
dei più grandi dell’universo sconosciuto: anche lì si scompare,
ci si smaterializza nel collasso della luce. C’è, da qualche
parte, un pittore che si precipita a togliere i suoi quadri – delle
grandi campiture di colore sempre più accecate – dalle pareti
di un ristorante, perché ha capito che anche quelle misteriose
non immagini sono destinate ad essere assorbite dalla
bulimia delle immagini trasformate in consumo e in merce da
una società dello spettacolo prossima ventura. C’è, ovunque,
(aleggia), lo spettro di un pastore che parla ai suoi fedeli con
un velo nero che gli nasconde la faccia. Il vulcano è l’Etna, il
filosofo-poeta si chiama Empedocle, di lui un poeta-filosofo,
Hölderlin, ha cantato la morte. Il buco nero, il vulcano celeste,
è stato scoperto dalla Nasa che ne ha registrato la sirena
inaudita. Il pittore che corre a togliere i suoi dipinti è Mark
Rothko, un suicida, l’unico artista le cui opere siano state
raccolte in una cappella, anche se non si sa di quale religione,
uno dei pochi pittori contemporanei davanti ai cui quadri, a
quanto si dice, la gente pianga. Il ristorante esiste davvero,
sta sulla 54° strada di New York, si chiama “The Four Seasons
Restaurant” come lo spettacolo di Romeo Castellucci. E il
pastore? Ah, il pastore Hooper (di Nathaniel Hawtorne) col
suo velo nero, è la condizione stessa di questo sguardo negato
e protratto, la matrice di un ciclo (“Sul concetto di volto nel
figlio di Dio, Il velo nero del pastore”), una di quelle “due
o tre immagini”, quasi sempre inafferrabili sulle quali, come
diceva Albert Camus, il cuore una prima volta si è aperto. Ma
nel contempo niente di tutto questo si vede davvero: il suono
percussivo e tonitruante del vento stellare batte sugli orli del
buco nero, in una proiezione realizzata 250 milioni di anni fa,
nell’anacronismo dello spazio-tempo; un gruppo di ragazze in
grembiule che sembrano uscite da una comunità hamish – o
da un musical americano degli anni cinquanta - danzano la
grazia in cerchio, recitano i frammenti di un dramma e si
tagliano la lingua, la danno in pasto ai cani, per poi tornare
a parlare, ma in un’altra lingua, in quella che Paul Celan
definiva “l’antiparola” della poesia. I sogni ci lasciano spesso
soli davanti ai loro rebus e gli spettacoli di Romeo Castellucci
lasciano allo spettatore il compito, piacevole o imbarazzante
che sia, di tessere il filo che lega le loro immagini una all’altra
in una trama irrisolta dove il tragico, come la bellezza, è una
ritorsione negli occhi di chi (lo) guarda. «Lo spettatore – dice
lo stesso regista – viene abbandonato davanti a un’immagine.»
Su poche altre scene del teatro contemporaneo, quanto su
quelle dell’autore di “The Four Seasons Restaurant”, sembra
applicarsi con più rigore la regola a suo tempo enunciata da
Antonin Artaud nei suoi scritti sul teatro secondo la quale gli
effetti devono precedere e nascondere le cause. E tuttavia
questo artista che spesso viene definito “visionario” lavora
ormai da anni sulla linea di frattura che separa il visibile dalla
visione, la realtà dall’arte, nel fervore di una sparizione che
mette in stato di pericolo le immagini reificate della nostra
cultura. Sotto il segno di Rothko e dell’ Hölderlin della “Morte
di Empedocle”, “The Four Seasons Restauant” è un altro
capitolo di un’ agonica “fuga dall’immagine” scolpita a cera
persa nel tempo del teatro, nel dramma istituito tra scena e
spettatore. Ma è questa stessa sfigurazione del tempo e del
dramma ad aprire un varco, a provocare uno strappo sulla tela
ottusa del vedere, per giungere a quella terza cosa che non
è né l’immagine né lo spettatore, ma il contatto, l’incontro,
l’esperienza. Le immagini di Romeo Castellucci ci costringono
a guardare perché ci riguardano. Ed è forse questo il famoso
scandalo del suo teatro.
Attilio Scarpellini
SOCÌETAS RAFFAELLO SANZIO
THE FOUR SEASONS RESTAURANT
DAL CICLO DE “ IL VELO NERO DEL PASTORE”.
Regia, scenografia, costumi: Romeo Castellucci - Musica di Scott Gibbons
Con: Chiara Causa, Silvia Costa, Laura Dondoli, Irene Petris
E con: Aglaia Mora, Elisa Menchicchi, Elisa Turco Liveri, Evelin Facchini, Viviana Mancini, Marzia Pellegrino
Assistente alla regia: Silvia Costa Collaborazione alla drammaturgia: Piersandra Di Matteo
Direzione alla costruzione scenografica: Massimiliano Peyrone Tecnica di palco: Michele Loguercio, Filippo Mancini, Lorenzo Martinelli
Tecnica delle luci: Fabio Berselli Tecnica del suono: Matteo Braglia Cura Oggetti di scena: Giacomo Strada
Coordinamento tecnico: Luciano Trebbi Attrezzeria: Carmen Castellucci
Produzione: Cosetta Nicolini, Benedetta Briglia Organizzazione: Gilda Biasini, Valentina Bertolino
Amministrazione: Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci Consulenza amministrativa: Massimiliano Coli
Produzione esecutiva: Socìetas Raffaello Sanzio, in Coproduzione con:
Theater der Welt 2010 - Théâtre National de Bretagne / Rennes deSingel international arts campus / Anversa
The National Theatre / Oslo Norvegia - Barbican London and SPILL Festival of Performance
Chekhov International Theatre Festival / Mosca - Holland Festival / Amsterdam
Athens Festival - GREC 2011 Festival de Barcellona - Festival d’Avignon
International Theatre Festival DIALOG Wroclaw / Polonia - BITEF (Belgrade International Theatre Festival)
Foreign Affairs I Berliner Festspiele 2011 - Théâtre de la Ville–Paris
Romaeuropa Festival 2011 - Theatre festival SPIELART München (Spielmotor München e.V.)
Le Maillon, Théâtre de Strasbourg / Scène Européenne - TAP Théâtre Auditorium de Poitiers - Scène Nationale
Peak Performances @ Montclair State-USA
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