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La Sicilia
del belcanto
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17 luglio 2011
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(Estate
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[ editoriale]
[sommario
[ storia di copertina]
l canto è il cammino che conduce al senso».
Parola di Moni Ovadia, l'ebreo errante del
nostro teatro. E quando si parla di canto,
soprattutto in Italia, un senso non lo si trova se non
si parla di belcanto, inteso non in senso stretto come
tecnica vocale ma in senso esteso come mondo delle
migliori voci della lirica. Dallo scorso mese di aprile la neonata associazione Cantori Professionisti d'Italia (sul web www.cantoriproitalia.it), ha deciso di
farsi promotrice di un progetto di grande portata
quale quello del riconoscimento dell'Opera Italiana
all'interno del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Unesco. Quest'ultimo, come si legge nella convenzione dell'Unesco approvata a Parigi nel 2003, è
costituito da “pratiche, rappresentazioni, espressioni,
conoscenze e saperi, nonché strumenti, oggetti,
manufatti e spazi culturali associati ad essi, che le
comunità, i gruppi, e in alcuni casi gli individui,
riconoscono come facenti parte del loro patrimonio
culturale”.
Ecco perché in questo numero di Eventi abbiamo
voluto dare voce al belcanto siciliano. Un mondo
fatto di grandi artisti, sia di giganti del passato più
o meno recente - uno su tutti Giuseppe Di Stefano -,
sia di grandi interpreti contemporanei - dalla messinese Lucia Aliberti all'augustano Marcello Giordani
-, sia di giovani talenti ormai affermati a livello
internazionale come il soprano palermitano Desirée
Rancatore ripresa in copertina nella "Lucia di Lammermoor" andata in scena di recente al Teatro Massimo del capoluogo siciliano. E' un mondo fatto
anche di teatri importanti e di direttori artistici che
con le grandi voci hanno quotidianamente a che
fare. Un mondo, però, da tutelare e che non merita
certo la “scarsa” attenzione dei Palazzi della politica, sia nazionali sia locali, che una sola cosa san
fare: tagliare.
Un mondo quello siciliano che, nella sua diversità,
ha un grande nume tutelare ed è il genio del Cigno
catanese Vincenzo Bellini. L'arte messa al servizio di
se stessa. Dopo tutto lo disse anche Maria Callas,
"la cantante" per antonomasia, indubbiamente la più
famosa di tutti i tempi: «Non ho bisogno dei soldi.
Lavoro per l'arte». Un ipse dixit di quelli che lasciano senza repliche. (Gianni Nicola Caracoglia)
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[ reportage]
Cinque fotografi raccontano/
Un’estate da incorniciare
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[ l’inchiesta]
I beni confiscati alla mafia/
I nuovi fortini della legalità
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[ l’intervista]
Vladimir Luxuria/
«La nostra è una battaglia di civiltà»
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[ sicilia caput mundi]
Caltanissetta/
Nozze Irish e folklore siculo
Naso (Messina)/
Lady Gaga star dal sangue siciliano
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[ musica]
Giuseppe Cucè/
«Non mi sento straniero in patria»
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[ fashion dynasty]
Ralph Lauren/
«Non creo moda ma stile»
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[ lo scrittore]
Andrej Longo/
«Ecco il Sud che ho sognato»
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OPERA ITALIANA
PATRIMONIO
DELL’UMANITA’
«
I
Belcanto siciliano/
“La congiura” nel nome di Bellini
Il ricordo di Giuseppe Di Stefano/
Un equilibrista su corde vocali
Marcello Giordani/
Un sogno iniziato 25 anni fa
Desirée Rancatore/
«Devo tutto alla mia famiglia»
Nicola Alaimo/
«I miei maestri zio Simone e Muti»
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Registrazione n. 17/98 dell’1/12/1998 presso il Tribunale di Catania
Editrice S.E.M. Srl (Società Editrice Meridionale) Viale Odorico da Pordenone, 50 - Catania
Direttore responsabile: Mario Ciancio Sanfilippo
Ideazione, testi e progetto grafico: Gianni Nicola Caracoglia ([email protected])
Gennaro Giacobbe ([email protected]), Gianluca Reale ([email protected])
per Blu Media - Viale Andrea Doria, 69 Catania (tel. 095447250 - fax 095432304)
Realizzazione tipografica e stampa: I.E.S. srl (Iniziative Editoriali Siciliane)
Pubblicità: Publikompass - Filiale di Catania
La foto di copertina è di Franco Lannino
Studio Camera Palermo
Il prossimo numero di “Eventi”
sarà in edicola il 9 ottobre 2011,
sempre in allegato al quotidiano “La Sicilia”
La Sicilia
del belcanto
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eventi
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eventi
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[ di Giorgio Pennisi]
[ di Lavinia D’Agostino]
Calcio malato, con l’amore dei tifosi
udiremo il fischio d’inizio nonostante tutto
Alla Plaia di Catania
come nella spiaggia di “Franchino”
A
e la ricordate la spiaggia-discarica di Franchino nel film “Fantozzi
subisce ancora”? Era il 1983 e quell’episodio di Fantozzi, il
ragioniere sfigato che incarnava l’impiegato medio dell’epoca, mi
faceva ridere a crepapelle. Chi ha visto la pellicola non stenterà a
ricordare il peloso autostoppista-filosofo (interpretato da Mario
Pedone) che trascina l’allegra combriccola di impiegati al mare, in una
spiaggia più simile a una discarica che alla costiera amalfitana. Se
allora, bambina, avevo riso a crepapelle, oggi un po’ meno. Sì oggi, ma
questa volta non davanti alla tv, bensì al mare. Ebbene sì, poco meno
di trent’anni dopo, una scena simile l’ho vissuta realmente e, cosa
ancor più scandalosa, in Sicilia. Sì, proprio in Trinacria, terra lodata e
cantata per le sue immense bellezze artistiche, per il sole perenne, le
montagne affascinanti, il mare cristallino, dove, come spesso sentiamo
dire «non ci manca nulla e potremmo vivere di solo turismo». Bene,
dopo mesi di grigio e piovoso inverno lo scorso 19 giugno ho deciso di
fare il primo bagno, in attesa delle ferie. Emozionata e felice, entusiasta come se per me fosse ancora il 1983, mi sono preparata al mattino
presto: costume, asciugamano,
solari e libro. C’è tutto, si va alla
Plaia di Catania. Su viale
Kennedy ho veramente l’imbarazzo della scelta, e siccome ho
voglia di rilassarmi, conscia che
nella maggior parte dei lidi etnei
la musica è sempre a un volume
troppo alto per i miei gusti, decido di recarmi all’ex Lido
Università, una vera e propria
istituzione per i catanesi. Noto
subito che il lido è l’unico chiuso
e l’ingresso è desolante. Nel corridoio che porta in spiaggia c’è
un olezzo di urina che mi costringe a procedere con sveltezza. Superato il cassonetto traboccante di
rifiuti, davanti ai miei occhi si apre un paesaggio che mai avrei potuto
immaginare. Proprio davanti alla fatiscente struttura cementizia dell’ex
lido, invece di conchiglie, sdraio e ombrelloni, incontro prima un pneumatico e poi sacchetti di spazzatura fetidi, bottiglie rotte, pezzi di legno
con chiodi in bella vista, ciò che rimane di un vecchio computer e persino una carcassa di lavatrice. Non credo ai miei occhi, eppure sono
là. Decido di proseguire, sperando che sul bagnasciuga le cose vadano meglio, ma la speranza svanisce presto. Camminando, con le scarpe ben saldate ai piedi, cerco disperatamente un quadratino “mezzo
pulito” in cui sdraiarmi, ma è più difficile che trovare un ago nel
pagliaio. Arrivo a quello che fino allo scorso anno era il Lido della
Polizia, anche questo chiuso, e la situazione non cambia. Alla fine,
demoralizzata, mi sono fermata sul bagnasciuga del primo lido aperto,
ovviamente pulitissimo. Mi chiedo se chi di dovere - il Comune o il concessionario - non provvede alla pulizia all’inizio della stagione balneare, quando intende farlo? Quando a Catania ci saranno già i turisti che
esporteranno all’estero le nostre vergogne? E se il concessionario non
provvede a pulire, non è obbligo del Comune ritirare la concessione?
Mi rincuora l’aver appreso che nei giorni immediatamente seguenti alla
mia visita in spiaggia, l’Università ha firmato una convenzione per la
gestione dei servizi del Lido con una ditta privata. Ma l’ex Lido della
Polizia alla data odierna (8 luglio, data in cui è stata scattata la foto) è
ancora una piena di rifiuti di ogni tipo. In una Sicilia sempre e da sempre assetata di lavoro, l’affidamento a cooperative sociali o a imprese
che si possano occupare della pulizia quotidiana, è cosa impensabile?
Mi appello al buon senso civico di chi, come me, mal tollera di dover
prendere il sole nel pattume, anche per un solo giorno. Considerato lo
stato di degrado delle nostre spiagge vi invito a collaborare: oltre a non
lasciare rifiuti in spiaggia, raccogliete anche quella bottiglia lasciata lì
da qualcun altro; forse distratto, ma certamente incivile.
ltro giro, signori. Fate il vostro gioco. Arriva l’estate, finisce il
Campionato di calcio e puntuale come ogni anno scoppia l’ennesimo scandalo sul “nostro” pallone. Matematico come una
quota alla Snai, anche questa volta il tormentone dell’estate è servito.
Ormai non basta più il calciomercato. Sì è vero, se Ganso arriverà al
Milan o Tevez all’Inter, se la Juve comprerà finalmente un campione
o la Roma targata Usa si rifonderà, sono argomenti che interessano i
tifosi. Ma ci voleva qualcosa di più forte, dal sapore dolce-amaro.
Uno scandalo che mette a rischio tutto, ma che poi si sgonfia come
un pallone al sole estivo.
Ed allora eccolo arrivare. Beppe Signori, uno dei più grandi goleador italiani, un centravanti che ha fatto impazzire le difese e fatto
commuovere i tifosi di Lazio e della Nazionale, ritorna alla ribalta.
Dopo anni di anonimato, Beppe è di nuovo protagonista, in grande
stile, addirittura come “boss” di una cricca di delinquenti che avrebbero pilotato alcuni risultati di partite per poi scommetterci su.
L’accusa è infamante, di quelle che ti lasciano sbalordito, che ti fanno
dubitare di tutti e di tutto. Partite di Lega Pro, di Serie B e addirittura di Serie A sarebbero state truccate a dovere. Giocatori, dirigenti
e tifosi avrebbero preferito far perdere la propria squadra per lucrarci su, piuttosto che vederla vincere. E come è possibile?
Anatema su di loro se è vero!
In attesa che la giustizia sportiva, e con lei anche quella ordinaria,
faccia il suo corso, il tifoso medio rimane ad aspettare, impaziente e
spazientito al tempo stesso. “Che succederà alla mia squadra?
Giocherà ancora in Serie A?”. Eh sì, perché il rischio, almeno quello
ventilato, è che squadre come l’Atalanta vengano penalizzate con la
mancata promozione in Serie A. Giocatori e tifosi bergamaschi traditi proprio da Cristiano Doni, lo
storico capitano? Non ci vogliono neanche pensare. Poi ci sono
anche i tifosi che sono anche piccoli scommettitori. Ragazzetti o
inesorabili ragazzini che amano
scommettere sulla Serie A, sulla
Champions League o sulla Liga
spagnola per divertimento. Per il
solo gusto di poter festeggiare
con gli amici la vittoria della
squadra rivelazione in Europa, o
per la classica sfida Real-Barcellona. Tre, cinque, massimo dieci
euro, ma non di più. Se no saltano la pizza e birra del sabato; e poi si
sa, non vinciamo mai. C’è solo il gusto di ridere e scherzare se si sfiora la vittoria, oppure si perde al 93’ per un rigore inventato.
C’è la voglia di andare insieme agli amici all’agenzia sotto casa e
sognare una vacanza alle Maldive o la moto nuova. Tutti sogni appena sfiorati, ma che poi non si avverano mai. Ma non fa nulla.
E a questi scommettitori “per divertimento” chi ci pensa? Non di
certo il “bolognese” Beppe Signori, non di certo il portiere Paoloni,
accusato di aver drogato i propri compagni di squadra per farli giocare male e perdere.
Rimane allora l’amaro in bocca, come quando vengono a toglierti il
pallone mentre giochi in cortile, perché disturbi i vicini che dormono. Rimane quella sensazione di impotenza e di rabbia.
Ma poi c’è una strana pozione, un meccanismo malsano e inconscio,
un accadimento misterioso e oscuro, che tutto governa e che permette di rimettere tutto al suo posto. Alcuni la chiamano ignoranza, altri
dittatura dei poteri forti. Altri ancora lo definiscono semplicemente
amore. E l’amore rigonfia il pallone, puntualmente, per l’inizio della
nuova stagione. A fine agosto sarà tutto pronto e luccicante: fischio
d’inizio e palla in profondità per l’attaccante. Ho scommesso sulla
vittoria del Catania, incrociamo le dita.
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eventi
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(Estate
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[ punto di vista]
[ di Paola Pasetti]
[ di Michele Spalletta]
Un po’ di sano volontariato
per curare le ferite di un Paese in crisi
Catania d’estate, sulle strade
si ritorna (per poco) alla civiltà
uando, nel 1999, partii per l'Albania, fu una rivelazione.
Scoprii un mondo, quello del volontariato, molto più grande,
organizzato e professionale di quanto non credessi. Scoprii, in
una parola, la sua importanza, la sua capacità reale di incidere sulle
vite altrui. E in qualche modo mi resi conto del mio status di privilegiata. “Italiani sono buoni / a mangiare maccaroni”, ci canzonavano
alcuni bambini, in una delle poche frasi che sapevano dire nella
nostra lingua. Un dileggio che racchiudeva, in fondo, quel profondo
senso d’ingiustizia che prende chiunque intraveda il benessere a
poche bracciate di mare dalla propria terra e se ne senta escluso.
Quella era l’Albania che ospitava i profughi della guerra in Kosovo. E
noi eravamo gli italiani di un “primo mondo” pieno di privilegi. Privilegi
come i Pampers, le lenzuola di flanella, l’olio extravergine d’oliva, la
carne in scatola.
Qualche anno dopo, in Argentina, mi sarei sentita più o meno allo
stesso modo. Bastava dire che fossi italiana per accendere negli
occhi dei miei interlocutori uno sguardo nuovo, quello di chi sogna
che un giorno si troverà oltre quell’oceano, oltre il ricordo dei colpi di
Stato, oltre il rumore dei cacerolazos. “El primer mundo”, dicevano
riferendosi all’Italia, immaginando una sorta di Eden in cui scorrono
fiumi di latte e miele.
“Primer mundo”: un mondo in cui tutto è possibile, in cui il diritto al
lavoro citato nella Costituzione non suona come una beffa. In cui la
Sanità funziona, e l’organico negli ospedali non è ridotto all'osso. In
cui, se c’è da tagliare qualcosa, non si toccano Istruzione e Cultura.
In cui lo Stato sociale è Stato sociale.
Poi le cose sono cambiate. La crisi economica ha lasciato segni
pesanti anche qui da noi. La povertà non è più una condizione da
andare a cercare nelle periferie; è qualcosa che ci appartiene, un
fantasma che dorme al nostro fianco. A ricordarcelo sono pure arrivati i nostri fratelli d’oltremare, a migliaia. In parte respinti, in parte
rimasti, a condividere i nostri destini. L’Italia, nel giro di pochi anni, è
diventata terra in cui “fare” volontariato.
Dovremmo ricordarcene, specialmente in questo 2011, che il Consiglio
dell’Unione Europea ha proclamato
“Anno Europeo del Volontariato”
(www.lavoro.gov.it/annoeuropeovolontariato): migliaia di eventi e iniziative
nei 27 stati membri per promuovere la
cittadinanza attiva da parte delle organizzazioni di volontariato, del Terzo settore e della società civile.
Un fenomeno che in Italia interessa già
un’importante parte della popolazione. Secondo il Censis, il 26%
degli italiani - in leggera prevalenza donne - dedica parte del proprio
tempo e delle proprie energie agli “altri”. La sanità e l’assistenza
sono i settori in cui si concentrano le attività; ma significativa è anche
la presenza dei volontari nell'ambiente, nella tutela dei diritti, nell’assistenza, nella cultura e nello sport. I più attivi sono i giovani (34%) e
gli adulti d’età compresa tra i 30 e i 44 anni (29%). Un dato che
conforta, perché qui non si parla solo del prezioso gesto di un singolo individuo. Il volontariato è una risposta profetica ai bisogni delle
comunità, e per questo ha un ruolo fondamentale e spesso sottovalutato: quello di interpellare le istituzioni, di stimolarle a dare risposte
stabili nel tempo al territorio.
Di più: in tempi di grave disaffezione nei confronti delle istituzioni, va
rintracciato in questo “voler dare agli altri” un altro valore, profondamente politico. Volontariato e associazionismo, infatti, possono aiutare tutti, e specialmente i più giovani, a scoprire una nuova cultura:
quella della solidarietà, della non discriminazione, dello sviluppo
sostenibile, della non violenza, del rispetto dell’altro e soprattutto
della cittadinanza responsabile, fondata sulla promozione dei diritti e
delle buone pratiche di democrazia partecipativa e condivisa. Ecco
perché quella del volontario è un’esperienza da fare, almeno una
volta nella vita. Ecco perché la rifarò.
arrivata l’estate. Tempo di ferie e di vacanze fuori porta. E
anche quest’anno Catania, come molti altri posti, si svuoterà.
Chi (come il sottoscritto, ahimè) rimarrà nel capoluogo etneo,
non potrà certamente non godere, ad esclusione delle zone di mare
(chiuso nella bolla delimitata a sud dalla Plaia e a est dalla
Scogliera), della calma che piomberà, per 15-20 giorni, quando si
mette alla guida. E non parlo dell’abusato e inflazionato tema del
traffico (che meriterebbe un discorso a parte), ma del ritorno al concetto di civiltà. Siccome non voglio parlare in astratto, sbandierando
concetti, mi limiterò a portare
giusto un paio di esempi realmente accaduti. Magari, alla
fine, chiunque potrà verificare
quante volte si è trovate in
situazioni analoghe (ma da
che parte?).
Via Gabriele D’Annunzio, in
prossimità dell’incrocio con
viale Vittorio Veneto. Tre corsie di marcia. Io, in coda sulla
corsia di destra, sto dietro a un altro automobilista che, d’improvviso, si ferma, spegne il motore e accende le quattro frecce. Dopo
qualche istante, mi permetto di far notare al conducente, con un
colpo di clacson, che esistono altre persone al mondo, nella fattispecie io, proprio dietro di lui. L’automobilista, un signore sulla sessantina, alzando la voce si lamenta perché sarei io in torto a non passare oltre e lasciandolo in pace perché doveva recarsi al negozio esattamente di fronte. Gli faccio garbatamente notare che non solo è in
doppia fila, ma che è proprio al centro di una corsia di marcia. La
risposta è letteralmente stata: “E allora? Lei non ha mai parcheggiato in doppia fila?”. Dopo essermi un attimo ripreso, rispondo “no”,
sorpasso e vado per la mia strada: anche l’intelligenza ha dei limiti
oltre i quali è inutile avventurarsi.
Dopo qualche ora, in viale Vittorio Veneto, assisto alla stessa scena,
con l’aggravante che, questa volta, chi ha posteggiato in doppia fila
aveva quattro metri più avanti (non è un modo di dire, proprio
quattro) un bel posto auto libero.
A questo punto mi potreste dire: “ma a Catania è sempre stato così.
La colpa è di chi dovrebbe far rispettare le regole e non lo fa”.
Un’affermazione che mi trova parzialmente d’accordo. Perché, se da
un lato è vero che esiste la responsabilità, demandata a chi governa
in senso lato, di educare il cittadino al rispetto delle regole e alla
civiltà, dall’altro lato lo stesso vale per ammettere che la gente è incivile e se ne frega delle regole se non si trova il vigile con la multa in
punta di penna. Il che non è un semplice gioco dialettico. Perché
ormai, a Catania come in tantissime altre città (e non solo in Sicilia)
la colpa è di chi si lamenta perché non può uscire dal parcheggio a
causa del furbo di turno che ha lasciato l'auto in doppia fila (’u
spettu).
Il che mi fa venire in mente un articolo, scritto parecchi anni fa da
un giornalista d'oltre Manica, Lee Marshall, che prende in esempio
il termine “condono” (inteso nel senso più diffuso del termine, quello
di “condono edilizio”) che, all’estero, non può essere tradotto ma
solo spiegato in quanto non sono le parole che sono difficili da tradurre. È la mentalità di quelli che le usano.
C’è da chiedersi, adesso, se non ci siano concetti, come l’educazione,
il rispetto degli altri e delle regole, diventati completamente incomprensibili per gli stessi italiani.
Io mi godrò Catania d’estate. A chi legge e che magari non si fa tanti
scrupoli a lasciare l’auto in doppia fila, auguro una lunga vacanza
all’estero dove le multe, quelle salate, le fanno sempre ai pochi che si
permettono di infrangerle.
Q
È
eventi
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& vacanze11
BELCANTO SICILIANO
LA “CONGIURA”
NEL NOME DI BELLINI
[
D I
G I U S E P P E
[ storia di copertina]
M O N T E M A G N O
La lirica, i suoi templi, i suoi interpreti,
le prospettive. Una tradizione ancora
viva e generosa di talenti che vola, in
tutta l’Isola, sulle ali del Cigno catanese
“V
enne ancora un silenzio, tutto meditativo. Il primo a romperlo fu Giosuè
Zito che intonò, basso basso: ‘Ah, non
credea mirarti…’. Gli subentrò il marchese
Coniglio della Favara: ‘Qui la voce sua soave’.
Intervenne il commendator Restuccia, da basso
profondo: ‘Vi ravviso, o luoghi ameni…’. A questo
punto il canonico Bonmartino corse alle finestre, tirò le tende a fare scuro, mentre il preside
Cozzo addrumava un lume. Attorno a quella
luce si ritrovarono tutti a semicerchio. E il
medico Gammacurta attaccò con voce da baritono: ‘Suoni la tromba e intrepido…’. Primo gli si
unì, come da partitura, il commendatore. Poi,
uno a uno, tutti gli altri. In piedi, taliandosi
occhi negli occhi e stringendosi a catena le
mani, abbassarono d’istinto il volume del canto.
Erano congiurati, lo erano diventati in quel
preciso momento. Nel nome di Bellini”.
C’è stato un tempo in cui, in Sicilia, ci si congiurava nel nome di Bellini. E non solo
nella dimensione romanzesca del Circolo
dei Nobili di Montelusa, da cui Andrea
Camilleri fa partire la crociata contro Il
birraio di Preston imposto dal prefetto
Bortuzzi per l'inaugurazione del teatro di
Vigàta. Basterà riandare infatti alla sera
5 febbraio del 1848, giorno dell’apertura del Parlamento generale siciliano
dopo la - provvisoria - liberazione dalle
truppe borboniche: perché se al Teatro
Carolino di Palermo un trionfo salutò l'esecuzione del duetto de I Puritani e “il
grido patriottico non ebbe più limiti”, a
Catania, al Teatro Comunale, lo stesso
brano suscitò “grandissimo entusiasmo
nei fervidi petti dei Catanesi”, e “fu replicato tre volte fra gli applausi di tutti gli
spettatori, fra il cozzare di mille e mille
acciari”. Storie d’altri tempi, si dirà. E
però tali da suggerire una ricognizione
più generale: qual è, oggi, lo stato di
salute della lirica in Sicilia?
“VI RAVVISO,
O LUOGHI AMENI…”
Per capirlo bisognerebbe forse, per
prima cosa, tracciare una mappa dei
teatri lirici in Sicilia. Impresa ardua, forse
impossibile, considerato quanto lo sviluppo
urbano ottocentesco abbia favorito la nascita di
un teatro in ogni città: tanti campanili tanti teatri, elementi irrinunciabili del decoro cittadino.
Oggi sono in pochi ad essere aperti, ma solo tre
rimangono impegnati nella produzione lirica,
quelli di Palermo, Catania e Messina. Quando
[LA “VESTALE”:
a destra, il soprano
messinese Lucia Aliberti, “specialista” di
Vincenzo Bellini
(di cui ha studiato
con particolare passione anche alcuni
manoscritti) e destinata a passare alla
storia proprio per
aver interpretato il
maggior numero di
ruoli del repertorio
del Cigno catanese.
Compositrice e
musicista, ha cantato nei più importanti
teatri del mondo,
apprezzata da pubblico e critica per le
particolari qualità
scenico-drammatiche
[IL “CIGNO” E LA SUA
MUSICA: sopra Vincenzo
Bellini (Catania 1801 - Puteaux
1835), tra i più celebri operisti
dell'Ottocento, nell’incisione di
Natale Schiavoni. Le sue opere
più famose e rappresentate
sono “La sonnambula”,
“Norma” e “I puritani”
venne inaugurato, nel 1897, il Teatro
Massimo di Palermo venne così battezzato con la tardiva, effimera aggiunta di un “Vittorio
Emanuele” da protocollo - perché, per le sue
dimensioni, era il terzo d'Europa, subito dopo
l'Opéra di Parigi e l'Opera imperiale di Vienna.
Oggi il massimo teatro isolano sembra aver
definitivamente rimarginato una ferita durata
quasi un quarto di secolo, ventiquattro anni di
chiusura “per restauri” conclusa solo a causa o forse per merito - dei festeggiamenti per il
centenario dell'inaugurazione del teatro, nel
1997. Ma sarebbe troppo facile attribuire al
tempo il risanarsi del rapporto tra la città ed il
suo teatro: il merito va infatti ascritto alle
memorabili stagioni dirette da Girolamo
Arrigo al Politeama Garibaldi, quindi alla
coraggiosa programmazione che Marco Betta
prima, e Lorenzo Mariani oggi proseguono nel
ritrovato Massimo. Certo non poco ha influito il
fatto che il teatro, unico tra quelli siciliani, dal
1996 benefici dello status di Fondazione di
diritto privato ma attinga anche ai finanziamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo, benché in progressivo decremento. Nel corso degli
ultimi anni, costante è stato l'impegno a riscoprire titoli meno noti del Novecento,
seguendo un progetto artistico raffinato ma non
velleitario, visto che il Massimo è capofila di
iniziative di valorizzazione del repertorio lirico
con il pubblico più giovane, al quale, in
parallelo al cartellone ufficiale, vengono presentate versioni “tascabili” delle opere: appena
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[
Caruso, direttore del Conservatorio di Palermo:
«Studiare fuori dalla Sicilia non è garanzia di qualità»
Mariani, Teatro Massimo: «Si cresce con la gavetta»
a lunga tradizione della scuola belcantistica siciliana
ha costantemente prodotto grandi artisti capaci di calcare le scene internazionali. Per capire come questo
avvenga oggi abbiamo coinvolto quelli che sicuramente
sono i punti di riferimento per il belcanto palermitano: il
Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini e il Teatro
Massimo. Abbiamo quindi chiesto al M° Carmelo Caruso
(nella foto a destra) , direttore del Conservatorio della città,
di scattare una fotografia della situazione attuale.
Maestro, cosa rappresenta il Conservatorio oggi per un
giovane che vuole intraprendere la carriera del cantante
lirico?
«Le classi di canto dei Conservatori siciliani sono il punto di
forza della formazione di un giovane cantante per due motivi:
il primo è che il belcanto "è" la tradizione della musica italiana,
e in quest'ottica viene insegnato; la seconda è che le classi di
canto sono un punto di riferimento sempre più importante nel
panorama della formazione, con un crescente numero di iscrizioni di coloro
che vedono nel mondo dell'opera il naturale sbocco lavorativo».
Come il Conservatorio aiuta i neo-diplomati a inserirsi nel circuito
teatrale?
«Noi proponiamo regolari Master Class con grandi artisti, che danno un
valore aggiunto alla preparazione di base».
Eppure in tanti scelgono di perfezionarsi fuori Palermo…
«Sbagliano! Spesso vengono proposti corsi di perfezionamento che servono solo a far arricchire certa gente... Invito a diffidare di questa tipologia di
corsi, specie di quelli che durano pochi giorni».
Come sono i rapporti fra il Conservatorio e le istituzioni musicali
della città?
«Abbiamo tantissimi accordi con le realtà musicali del territorio: dagli Amici
della Musica di Palermo alla Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana.
Queste collaborazioni sono fondamentali per far crescere e far migliorare i
nostri artisti. Con rammarico devo ammettere che l'unica istituzione a non
avere accordi con noi è proprio il Teatro Massimo. Abbiamo proposto di
attivare forme di tirocinio che introducano i giovani nel mondo teatrale,
facendo conoscere dall'interno come lavora e come si articola una macchina così imponente qual è una Fondazione lirica. Al momento non c’è stato
L
un giro di lancette in teatro per poi discuterne
in classe grazie agli approfondimenti didattici
suggeriti durante lo spettacolo.
Meno rosea appare la situazione a Catania e
a Messina, dove entrambi i teatri, il Massimo
Bellini e il Vittorio Emanuele, sono invece Enti
autonomi regionali e per questo dipendono
dalle alterne disponibilità di una madrematrigna, la Regione siciliana, da sempre
impegnata nella politica della lesina in materia
di iniziative culturali.
Aperto al pubblico con l’ineludibile Norma nel
1890, il Teatro Massimo Bellini di Catania,
il più antico tra quelli dell’isola, sembra ancora
scontare il peso di alcune stagioni buie, che ne
hanno gravato le finanze - in maniera auspicabilmente reversibile. Solo quest’anno, infatti,
sono da registrare alcuni “colpi d’ala”, dovuti
alla sovrintendente Rita Cinquegrana come al
direttore artistico Will Humburg, che ne
hanno rivitalizzato il corso: la rara
Cassandra di Vittorio Gnecchi, un autentico
“giallo” della lirica di primo Novecento presentato in apertura di stagione; quindi il rutilante,
mediterraneo Barbiere di Siviglia firmato da
Dario Fo e accolto da un incondizionato
trionfo di pubblico e di critica. Il sipario si è
appena chiuso su una deliziosa Cenerentola di
Prokof’ev, ma occorrerà affidarsi alla bacchetta magica della fatina non solo per la ripresa
autunnale della stagione, ma soprattutto per il
doppio cartellone lirico e sinfonico del 2012,
che già pare impaginato per proporre alcuni
alcun riscontro, spero che ciò
avvenga in futuro».
Sono diversi gli artisti internazionali che si sono diplomati
proprio a Palermo, cosa dice di
questi risultati?
«Il primo nome che mi viene in mente è sicuramente quello di
Desirèe Rancatore, ma come lei molti altri. Per la nostra exallieva stiamo organizzando un evento che celebri la sua attività in giro per il mondo grazie alla quale porta il nome della
Sicilia e del belcanto con sé, cosa che ci riempie di orgoglio».
Dal luogo della formazione al palcoscenico: il Teatro
Massimo segue con interesse i giovani cantanti siciliani.
«Proprio di recente - sottolinea il direttore artistico, Lorenzo
Mariani (foto in alto) - sono stato membro di giuria al
Concorso internazionale Marcello Giordani che si è svolto a
Catania, un evento che ha raggiunto un altissimo livello e la cui vincitrice è
stata proprio una siciliana, di grande interesse artistico».
Come il Teatro può favorire la crescita dei giovani cantanti?
«Il luogo di formazione non è il teatro, ma il Conservatorio. Qui non si può
crescere perché la formazione di un cantante deve avvenire con piccoli
passi, con la gavetta. È difficile che il grande teatro possa scommettere su
un giovane senza esperienza. Quanto a noi, stiamo lavorando sull'attivazione di Master Class di canto, ma al momento è solo un progetto».
Perché i giovani palermitani tendono a perfezionarsi altrove?
«Un giovane non può pensare di formarsi, crescere e lavorare solo a
Palermo. Storicamente la gente cresce attraverso le scoperte che si compiono tramite il confronto con altre realtà. Io la vedo come una cosa giusta:
solo attraverso la conoscenza dell'altro si può fare la giusta esperienza».
Come reagisce il pubblico palermitano quando sul palco c'è un conterraneo?
«Il pubblico di Palermo è un pubblico con una grande aspettativa e non ci
possiamo permettere di guardare solo in casa nostra. Sicuramente quando
a cantare è un siciliano si percepisce una maggiore solidarietà fra spettatori e artista, ma il pubblico ama solo chi canta bene, indipendentemente
dalla carta d'identità».
Walter Vitale
[LE LUNGHE CHIUSURE: sopra, il Teatro
Massimo di Palermo. Chiuso per 24 anni
per lavori di restauro, è stato restituito al
pubblico nel 1997, in occasione del centenario
dell’inaugurazione. Sotto, il Teatro Vittorio
Emanuele di Messina, distrutto dal terremoto del
1908 e riaperto solo nel 1985
titoli del repertorio più amato dal grande
pubblico, da Mozart fino a Puccini.
Distrutto dal terremoto del 1908, quindi
riaperto solo nel 1985, il Teatro Vittorio
Emanuele di Messina sconta invece
almeno due criticità: l’assenza di masse
artistiche stabili, da una parte, e la condivisione della stessa scena con la stagione
di prosa, che occupa la gran parte delle
serate. Per questo, non superano mai le
dita di una mano le opere programmate
annualmente, peraltro con brillanti escamotages immaginati dal direttore Lorenzo
Genitori, come quello che quest'anno ha
permesso di scindere Il trittico pucciniano in due serate, aggiungendo la più gradita
Cavalleria rusticana. Sfogo naturale dell’ente
peloritano vorrebbe perciò essere, nel periodo
estivo, la cavea del Teatro Antico di
Taormina, dove però confligge con la programmazione di Taormina Arte, che dal 2007
ha affidato la direzione della sezione musicale
ad Enrico Castiglione. La cavea del teatro,
nel corso delle ultime edizioni, è diventata
sede di un appuntamento festivaliero che presenta il più accreditato repertorio en plein air
(Aida su tutte, come a Verona) in messinscene
interamente fondate sulle proiezioni, oltre che
su puntuali ricostruzioni iconografiche.
“QUI LA VOCE SUA SOAVE…”
Ma sono le voci, irrinunciabile materia prima
del canto lirico, a indicare come la Sicilia sia
stata e continui ad essere straordinario
eventi
(Estate
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[
Dallo studio alla prova del palcoscenico.
A Catania Conservatorio e Teatro insieme
per creare un contenitore d’arte musicale
“I
o son l'umile ancella del Genio creator: ei m'offre la
New York. Danila Pedi (allieva di P. Sofia), già
favella, io la diffondo ai cor”. Così cantava Adriana
Zerlina in “Don Giovanni”, Suor Genoveffa in
Lecouvreur, creatura di Cilea e creatura di teatro nella
“Suor Angelica”, Micaela in “Carmen” e
storia di Scribe e Legouvé, lei, attrice appassionata e "vera"
Dorabella in “Così fan tutte”, frequenta una
della Comedie Française. Io son l’umile ancella, diceva. E
scuola operistica d'alta specializzazione a
“pativa” cantando - un binomio che del belcanto è manifesto,
Philadelphia e ha vinto una borsa di studio per
fede testarda e romanticissima. Un credo e un grido che univoci belliniane indetta dai Lyons, ex aequo con
sce tutti gli “officianti” di belcanto a Vincenzo Bellini detto il
un nostro giovanissimo pupillo, il tenore
Cigno, giacché nel mondo - in sacra triade con Rossini e
Agatino Reitano».
Donizetti - e a Catania specialmente, sua città natale e (speDal Conservatorio volare si deve. Per atterrare
riamo) sua custode, il belcanto porta il nome di Bellini.
felicemente sulle tavole del palcoscenico. Del
Bellini si chiama il Teatro Massimo - che i talenti belBellini innanzi tutto, non senza superare le giu[I DUE “BELLINI”: a
cantistici esamina, accetta e riconsegna al pubblico
ste e, in questo caso, benefiche forche caudine
sinistra
Erminia
Di
Mauro,
e alla Storia - e Bellini è il nome dell'Istituto
del direttore artistico, il maestro Will Humburg
direttore dell’Istituto
Musicale che di giovani voci è vivaio e necessario
che di canto, oltre che di concertazione orchemusicale
di
Catania
(qui
alveo di formazione ed educazione musicale e teasopra, l’ingresso); sotto,
strale, è autorevolissimo “sommelier”.
trale.
Will Humburg, direttore
«La quantità di belle voci siciliane mi lascia
E proprio tra l'uno e l'altro - ce ne informa la prof.
artistico del Teatro
esterrefatto. Da quando conosco il Coro del
Erminia Di Mauro, direttore dell'Istituto Bellini - è
Massimo. Entrambe
Teatro, da 12 anni a questa parte, vedo un'ecstato appena stipulato un protocollo d'intesa. Con il
le istituzioni musicali
cezionale qualità vocale e, in veste di direttore
sostegno culturale e l'approvazione del
sono intitolate a Bellini.
artistico, le audizioni mi hanno condotto a rileNelle foto in alto
Sovrintendente, Rita Gari e del Commissario
vare una ricchezza vocale crescente, nel Coro
e
sotto,
l’interno
e
la
straordinario, Enzo Zappulla, i due enti si propone tra i solisti: sono soddisfatto delle prove della
facciata del teatro
gono di operare in sinergia al fine di formare un
Alessi e della Bernava nell'ultimo “Barbiere” ed
contenitore d'arte musicale da “riempire” con
anche di Todaro ed Esposito. Per non parlare
coproduzioni e le più svariate forme di dialogo, dalla formaziodelle due scuole siciliane, quella di Simone
ne musicale a vere e proprie prestazioni artistiche.
Alaimo a Palermo e l'iniziativa della
E dalle radici dell'albero della musica cioè dall'Istituto che
“Maurizio Giordani Foundation” che ha
qualcuno chiama ancora, confidenzialmente all'antica, “Liceo
impalmato due talenti, Jessica Nuccio e
Musicale”, comincia il tracciato logico ed organico dell'artista
Manuela Cucuccio. Del resto, questi luoghi
in carne ed ugola.
promettevano
già molto con Antonino
«Due classi di canto, condotte dalla prof. Pina Sofia e dal
Siragusa e, oggi, con Dario Russo che fa
prof. Filippo Piccolo, sono oggi decisamente insufficienti alla
faville tra Trieste e Parma. Il problema della
grande richiesta, non sono pochi coloro che siamo costretti
Sicilia è che una volta era al centro
a lasciar fuori, ogni anno - osserva la prof. Di Mauro -. È
dell'Europa quando noi, in Germania, stavanostra ferma intenzione aggiungere almeno una terza clasmo ancora sugli alberi come le scimmie. Allora
se e intanto chiediamo ai docenti una maggiore “elasticità” nell'estendere
c'era Cartagine, la Grecia e la Magna Grecia
da 11 a 13 il numero degli iscritti».
Tre più tre più due per un totale di otto anni, con un “vantaggio” di cinque cioè la Sicilia. Oggi essere famosi “da qui” è molto più difficile».
Studiare e fuggire, allora.
anni sulle classi di strumento: l'allievo di canto (dai 18 anni in su, giusto
traguardo fisiologico per la “stabilizzazione” della voce nonché per conse- «Non dico questo, ma certo non è un mistero che le piazze siciliane chiaguire un diploma di scuola superiore) può utilizzare solo gli ultimi tre anni mino a raduno meno critici e ancor meno agenti: benché la quantità di
voci vada di pari passo con altre parti d'Italia, i palcoscenici tra
del corso base. A seguire, il triennio che corrisponde ad una laurea di
Lombardia ed Emilia Romagna sono molti di più».
primo livello ed il biennio di specialistica, dedicato al perfezionamento e
Le è capitato nella sua variegata e corposa carriera artistica di scritcorsi monografici.
turare grandi voci siciliane?
Che cosa “deve” studiare, oggi, un giovane cantante, prof. Di
«Confesso di non averci fatto molto caso. Tra l'altro, vent'anni fa, in
Mauro?
Germania, un teatro medio non annoverava molti italiani: nel vostro
«Il curriculum è assai più impegnativo di una volta, con obbligo di frepaese si vivevano anni d'oro con ottimi guadagni e pochissime ragioni
quenza dal 1° novembre al 31 ottobre. L'offerta formativa ad ampio raggio prevede (a parte il canto tout court) storia della musica, armonia, pia- per andare all'estero. Non c'erano maestri sostituti italiani, solo direttori
d'altissimo livello quali Giulini o Chailly. Oggi con la grande crisi, molti itanoforte e secondo strumento, inglese e seconda lingua, informatica».
liani vanno fuori ma non rammento se, quando dirigevo il Teatro di
E teatro, cioè educazione al palcoscenico…
Munster, tra gli italiani ci fossero anche siciliani di formazione e non solo
«L'arte scenica è materia obbligatoria che gli allievi di canto completano
di nascita. Anche Bellini, in fondo, era catanese di nascita ma non di educon Tecnica di consapevolezza ed espressione corporea secondo il
cazione musicale».
metodo Feldenkrais».
Giusto per andare "in medias res": i suoi prossimi scritturati rigoroGiovani virgulti che sono diventati vostri fiori all'occhiello?
«Tanti. Esiste un nutrito elenco d'allievi che hanno superato l'audizione al samente siciliani, Maestro Humburg?
«“Mamma Agata” sarà quasi completamente siciliana, da Simone Alaimo
Teatro Bellini e fanno già parte del Coro. Siamo, poi, orgogliosi di
ai giovani. Della stagione 2012 non posso ancora dire, navighiamo in
Manuela Cocuccio (allieva di F. Piccolo) già Musetta in “Bohème” a
Catania e non solo, vincitrice del concorso Aslico per “Il cappello di paglia acque un tantino agitate».
Giacché, come diceva il nipotone di Richard Wagner, senza denaro non
di Firenze” di Rota e in quest’opera debutterà a Como, Brescia, Pavia,
Cremona. Maurizio Giordani, a seguito delle selezioni della prima edizio- si fa arte. Non era siciliano, Herr Wolfgang, ma quanto aveva ragione.
Carmelita Celi
ne del suo Premio Mgf, la vuole con sé in ottobre in concerti tra Toronto e
vivaio di presenze illustri, più spesso consacrate oltre lo Stretto ma sempre pronte a mettersi generosamente a disposizione dei palcoscenici isolani. E allora pare il caso di elencare
almeno quattro generazioni di cantanti,
rimasti nell’albo d’oro della storia del belcanto.
La prima coincide con il grande boom della
lirica tra Otto e Novecento, quando era facile
affermarsi nelle lunghe tournées oltreoceano, a
beneficio delle comunità italiane migrate all’e-
stero, meno rientrare nelle grazie degli ultimi
grandi compositori d’opera. Tra questi meritano un cenno almeno Ester Mazzoleni, dalmata
di nascita ma palermitana d’adozione; Mariano
Stabile, il Falstaff di Toscanini; Giulio Crimi,
che dopo il debutto mascagnano a Catania, nel
1911, intraprese una folgorante carriera internazionale che lo portò ad interpretare per la
prima volta il ruolo di Paolo, in Francesca da
Rimini di Zandonai, e i due ruoli tenorili del
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eventi
(Estate
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eventi
(Estate
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Trittico di Puccini; Carmelo Maugeri, il baritono prediletto da Zandonai (la Biblioteca
Regionale Universitaria di Catania ne conserva il corposo carteggio, più di trecento missive
tutte indirizzate al “caro Maugerone”); e infine
Giuseppe Anselmi, tenore nicolosita idolatrato dal pubblico del Teatro Real di Madrid, o
Sara Scuderi, la Tosca prediletta da
Beniamino Gigli.
Dopo le guerre, l’apogeo del belcanto siciliano
è rappresentato da Giuseppe Di Stefano, che
alla metà degli anni Cinquanta riuscì ad essere
partner di riferimento delle grandi star del
momento: solo alla Scala è al fianco di Maria
Callas in Lucia di Lammermoor e nella storica
Traviata di Luchino Visconti; ma lo vogliono
anche Giulietta Simionato per Carmen e
Renata Tebaldi, nel 1958, per Tosca.
Poi comincia la storia recente, che è ancora in
progress e, dunque, parzialmente da scrivere.
La fine del Novecento è infatti segnata da due
presenze, che solo ora stanno diradando le
loro presenze: il soprano Lucia Aliberti,
autentica vestale del belcanto tout court e
di quello belliniano in particolare, già destinata
a passare alla storia per aver interpretato con
musicalità e dedizione il maggior numero di ruoli del
Cigno etneo; e il tenore catanese Salvatore Fisichella,
che alla grande stagione
romantica ha dedicato i suoi
sforzi più applauditi. Stilista
di rilievo, impegnata in un
vasto repertorio che si estende
da Mozart al Novecento
(Catania ne ricorda una
memorabile Susanna, nelle
ultime Nozze di Figaro del
1995), il soprano Nuccia
Focile ha privilegiato una carriera internazionale. Vincenzo
La Scola, tenore palermitano
recentemente scomparso, è
stato invece raffinato interprete
[
A bocca aperta
Emma Dante, regista
di un’altra lirica
on è solo canto, la lirica in Sicilia. Ma anche azione,
sperimentazione, teatro. E allora non si può non
pensare ad Emma Dante, prima regista lirica siciliana a
declinare l’opera oltre i confini della tradizione, per raccontare storie che seguono il pulsare della musica, l’urgenza delle emozioni. Il debutto trionfale, nel 2009, è
stata un’enorme scommessa: Carmen di Bizet per l’inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala, sul
podio Daniel Baremboim. E in scena subito trovavi
donne che sgravano o che battono tappeti, per dare
nuova vita all’opera, per allontanare la polvere accumulata negli anni: «Della Carmen ho un ricordo bellissimo,
uno spettacolo completo ed entusiasmante che ha funzionato alla perfezione. Il rapporto con Barenboim ha
segnato una tappa importantissima della mia carriera, è
stato un incontro folgorante, ricco di suggestione e sentimento. Daniel mi ha insegnato una cosa che io ancora
non avevo capito: la distinzione dei suoni. Tutto era nella
mia testa piuttosto uniforme prima, non sapevo distinguere, tutto era nell’insieme. Ho affinato l’orecchio con
lui, ho alzato le antenne che captano suoni nuovi, fino ad
allora sconosciuti».
Ma è ormai dietro l'angolo il secondo impegno con la
lirica, La Muette de Portici di Auber, che debutterà ad
aprile all’Opéra Comique di Parigi e sarà poi ripresa al
Théâtre royal de la Monnaie di Bruxelles. Una sfida particolarmente ardua con un capolavoro del repertorio
francese che prevede una protagonista muta: un invito a
nozze, per chi scrive autentiche “partiture fisiche” per il
teatro… «Il fatto che la protagonista di un’opera lirica
sia muta effettivamente è pane per i miei denti. Fenella,
sorella di un pazzo rivoluzionario, Masaniello, è una
donna che ha sempre la bocca aperta - come tutte le
cantanti - con l'unica differenza che il suo diaframma
non produce suono. Questo è molto affascinante per
me, molto stimolante perché gioca con la negazione
della musica, inevitabilmente rafforzandola. Un’aria
sonora in cui la protagonista galleggia libera e leggera».
E in Sicilia? L'ha invitata qualcuno? «No, non sono stata
contattata da nessuno degli enti lirici dell’Isola. Penso
che sia un mondo dove il potere e la spartizione dello
stesso sono il motore che muove ogni cosa». (gi.mo.)
N
[LA STRANA COPPIA: attrice,
regista e drammaturga, la palermitana
Emma Dante è considerata una delle
rivelazioni più importanti del
panorama del teatro contemporaneo.
Nel 2009 il suo “incontro” con la lirica,
quando le è stata affidata la regia
della Carmen di Bizet, che ha aperto
la stagione della Scala di Milano
[TENORE QUASI
PER CASO:
dotato di
straordinaria facilità
e lucentezza, specie
nel registro acuto e
sovracuto, il tenore
Salvatore Fisichella
ha intrapreso quasi
per caso gli studi
di canto. A 18 anni
l’episodio rivelatore,
grazie a un Ave
Maria intonato
a un matrimonio.
Da allora la scelta
di studiare canto
seguito dal soprano
Maria Gentile
e i successi
internazionali
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eventi
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(Estate
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[
A Messina, dal “Corelli” al “Vittorio Emanuele”
Il direttore del Conservatorio:«Offerta formativa in crescita»
Lorenzo Genitori: «Un’orchestra stabile per il Teatro»
l Conservatorio “Arcangelo Corelli” di Messina nasce
“solo” nel 1980, ma già da oltre cinquant’anni nella
Città dello Stretto si tramandava la tradizione dell’insegnamento musicale, per molto tempo gestito
dall’Associazione Filarmonica Laudamo. Nonostante le
difficoltà dovute ai tagli all'istruzione, al Corelli si lavora con entusiasmo, anche in vista del prossimo trasferimento dei più accoglienti locali dell'Istituto
“Quasimodo”. Risale a pochi mesi fa la nomina del
nuovo direttore del Conservatorio, il professor
Gianfranco Nicoletti. «La crescente richiesta di musica jazz ed elettronica - spiega - è stata alla base dell’ampliamento dell’offerta formativa del “Corelli”. I nostri allievi prendono parte a concerti
presso associazioni culturali-musicali; le nostre formazioni, cameristiche o orchestrali, hanno partecipato ad eventi di grande interesse
come la Biennale di Venezia, il Sinopoli Festival. Tutte esperienze che
permettono all’allievo di vivere il confronto con se stesso e col pubblico».
Che speranze ha per il suo futuro artistico e lavorativo un ragazzo
che si diploma al Conservatorio di Messina?
«Le speranze sono fondate su preparazione, tenacia, passione, estro
e voglia di affrontare il mondo, anche con un pizzico di fantasia, originalità e soprattutto coraggio. Noi facciamo del nostro meglio per assecondare le aspirazioni degli studenti. La presenza di nostri ex-allievi
nelle stagioni concertistiche, negli organici di teatri e orchestre in giro
per l’Italia, e non solo, ci fa credere che possiamo e dobbiamo continuare nel nostro percorso».
Molti di questi ragazzi che si diplomano al Corelli sperano di esibirsi,
da artisti affermati, nel teatro della propria città. L’Ente autonomo regionale Teatro di Messina del Vittorio Emanuele è una realtà che ad ogni
I
del repertorio francese. Altre presenze di spicco, ancora straordinariamente attive sui palcoscenici di tutto il mondo, alternano una carriera
tuttora sensazionale con l’impegno nel campo
della didattica. Marcello Giordani, che dalla
natia Augusta è diventato presenza costante dei
cartelloni del Metropolitan di New York - dove
stagione propone interessanti cartelloni.
Lorenzo Genitori nel
2009 è tornato in veste di direttore artistico della sezione Musica e Danza, dopo una pausa di quattro anni,
avendo già ricoperto il ruolo dal 1996 al 2005.
Quale situazione ha trovato al Vittorio Emanuele al
suo rientro?
«Dopo la parentesi come direttore del marketing e della
comunicazione al Teatro Comunale di Bologna, ho trovato una situazione economicamente non floridissima:
ma proprio l’esperienza bolognese mi aveva messo in contatto con le
difficoltà economiche che affliggono anche grandi Fondazioni liriche. In
questo momento l’Ente è attento a non perdere un pubblico sempre
meno disponibile ad investire in cultura e quindi a offrire un programma orientato a soddisfare un po' tutte le fasce di spettatori».
Dopo tanti anni l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele non è
ancora inserita in organico. Durante gli spettacoli della scorsa
stagione gli strumentisti hanno inscenato eclatanti proteste, per
porre l’attenzione sulla loro situazione.
«La condizione degli strumentisti non può che ricevere la mia solidarietà: sono stato il fondatore di questa orchestra, nel lontano 1993. Da
allora molta acqua è passata sotto i ponti, e si sono coltivate giustificabili aspettative in merito al fatto che anche il Teatro di Messina, come
quelli di Catania e Palermo, possa avere un’orchestra stabile. La
Regione è l’interlocutore naturale per un passaggio importante quale
la costituzione, finalmente, di un’Orchestra dell’Ente Teatro di Messina:
e tutta la nostra città, oltre che l’Ente, si trovano coinvolte nel raggiungimento di questo obiettivo».
Carmen Di Per
[MUSICA SULLO STRETTO:
sopra, il maestro Gianfranco
Nicoletti. Da pochi mesi è direttore
del Conservatorio “Arcangelo
Corelli”. In alto a destra, Lorenzo
Genitori, direttore artistico della
sezione Musica e Danza del Teatro
Vittorio Emanuele di Messina
recentemente è stato invitato a cantare Dick
Johnson per il centenario della Fanciulla del
West - ha costituito una Fondazione che
sostiene i giovani talenti. Indiscusso punto di
riferimento dell’interpretazione rossiniana,
Simone Alaimo ha coltivato invece il suo
miglior virgulto in famiglia, visto che il nipote
eventi
(Estate
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[
Enrico Castiglione: «Nabucco
in mondovisione da Taormina.
Poi Aida e Bellini Festival»
ersonalità eclettica e grande passione per ciò che fa. Enrico
Castiglione, regista e scenografo di fama internazionale e
direttore artistico della Sezione Musica e Danza di Taormina
Arte dal 2007, oltre a far registrare l’elevata qualità dei cartelloni
da lui curati, dà loro un’impronta manageriale, valorizzandone il
prestigio. «Già da oltre un anno ho redatto per Taormina Arte una
programmazione di respiro triennale - spiega Castiglione -.
“Coraggio”, “Seduzione”, “Eroismo” sono i temi dell’umana avventura distribuiti dal 2011 al 2013: un filo conduttore ben definito,
che conferisce coerenza e rigore artistico e culturale ad un programma di opere, concerti e balletti, puntando sulla qualità e l’originalità dei titoli, ma anche su artisti di fama mondiale».
Per il 2011 il tema è, dunque, quello del “Coraggio” che si coniuga con i festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia. Tre i lavori che
Castiglione propone anche nel ruolo di regista e scenografo,
insieme all’inseparabile Sonia Cammarata che non finisce mai di
stupire con la bellezza e il fascino dei costumi da lei creati. Si
tratta dei due capolavori verdiani Nabucco (5, 9 e 13 agosto) e
Aida (7, 10 e 12 agosto) - «La prevendita dei biglietti per queste
opere è iniziata ad agosto 2010, per inserire debitamente
Taormina Arte in un circuito internazionale la programmazione
anticipata è fondamentale» - e il Bellini Opera Gala che il prossimo 24 agosto inaugurerà a Taormina la terza edizione del Bellini
Festival - «Dopo Taormina ci sposteremo a Catania - annuncia
Castiglione - con un cast che vede protagonisti star della lirica
mondiale come Martina Serafin e Renato Bruson».
Per Castiglione è importante è che la promozione sia il più possibile diffusa e prolungata nel tempo: l’Aida di quest’anno è lo stesso allestimento andato in scena nel 2009 e ritorna dopo il successo riscosso in tv «In Germania è stata seguita da dodici milioni di
telespettatori ed è stata programmata in Europa e Asia. Stessa
cosa è avvenuta per altri spettacoli del Teatro Antico: Medea nel
2007, Tosca nel 2008, l’esecuzione delle Nove
Sinfonie di Beethoven dirette da Lorin Maazel e
Turandot nel 2010. Ed avverrà anche per il nuovo
allestimento del Nabucco, prodotto dal Festival Euro
Mediterraneo, che sarà trasmesso in diretta mondovisione dalla Rai e in oltre mille cinema statunitensi
ed europei. Un grande sforzo produttivo che renderà
Taormina protagonista nel mondo al pari dei maggiori e più antichi festival internazionali».
Carmen Di Per
P
Nicola, baritono, si sta imponendo sulle scene
internazionali. Ma è a Palermo, proprio il
mese scorso, che ha mietuto un meritato
trionfo in Lucia di Lammermoor al fianco di
una beniamina del pubblico siciliano, giovane
diva del belcanto ottocentesco: Désirée
Rancatore. E con loro, giovani protagonisti
delle scene liriche, si citerà il caso di José
Maria Lo Monaco, valorizzata da Riccardo
Muti nel repertorio barocco, per comprendere
come il gusto del pubblico si indirizzi oggi
verso altri, non meno stimolanti lidi.
“SUONI LA TROMBA E INTREPIDO…”
Sicché non rimane che ritornare al punto di
partenza, croce e delizia della lirica siciliana:
Vincenzo Bellini. Nel tempo, a lui è stato dedicato per un quinquennio un festival, dal 1989
al 1994, promosso dal Bellini di Catania, quindi una seconda versione, diretta da Enrico
Castiglione, attivata per un'unica edizione, nel
2009, e subito "congelata"; mentre già si profila all'orizzonte, nel settembre prossimo, un
cartellone di Eventi, affidati alle cure di
Maurizio Ciampi. Unica certezza rimane dunque il Premio Bellini d'Oro, onore ed onere
che dal 2008 si è assunta la Società
Catanese Amici della Musica, impegnata a
valorizzare un albo già d'eccezione. L'illustre
concittadino rimane l'unico grande musicista
italiano a cui non sia dedicato un festival, esi-
[DALLA SICILIA
AL GALLES: in alto,
nata a Militello in Val di
Catania, Nuccia Focile,
classe 1961, ha
privilegiato una carriera
internazionale.
Stilista di rilievo,
impegnata in un vasto
repertorio, vive nel
Galles, con suo marito, il
tenore inglese Paul
Charles Clarke
[A TAORMINA OPERA
EN PLEIN AIR: nato a Roma da
genitori siciliani, Enrico Castiglione è
uno dei più apprezzati registi di
teatro musicale della sua
generazione.
Dal 2007 è direttore artistico della
sezione musicale di Taormina Arte
genza da tutti avvertita ma di cui nessuno
intende però farsi carico. Più che un'occasione di sviluppo, economico non meno che culturale, sembra ormai diventato un ulteriore
motivo di scontro in una città, in una regione
che esitano a “congiurarsi” nel nome di
Bellini: un auspicio al quale non rinunciare, in
tempi di rinnovato fervore risorgimentale. e
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eventi
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UN EQUILIBRISTA
SU CORDE VOCALI
[
D I
F I L I P P O
A R R I V A
Sensuale, spigliato e malinconico. Nella voce
di Giuseppe Di Stefano, tra i più grandi del
XX secolo, “ribolliva” il clima mediterraneo
D
on Chisciotte e il Gattopardo, se il gelsomino e la zagara, se il Mediterraneo e
l’Etna, se… avessero avuto una voce,
sarebbe stata quella di Giuseppe Di Stefano.
Il tenore. Catanese della provincia, nato a
Motta Sant’Anastasia il 24 luglio del 1921,
debutta a 23 anni nella Manon di Massenet a
Reggio Emilia; fu subito fuoco e voce, necessario trionfo l’anno dopo accanto a Mafalda
Favero e sotto la bacchetta di Antonio
Guarnieri.
I più grandi teatri del mondo lo chiedono, il suo
è il più bello che il dio della lirica abbia mandato sulla terra: “Werther”, “Faust”, “I
pescatore di perle”, “I Puritani”, “La
bohème”, “L'elisir d'amore”, “Il barbiere di Siviglia”, “Madama
Butterfly”, “La favorita”…
Conquistare il pubblico fu semplice,
naturale. Così molti anni dopo, quando sulla sua strada incontrò (o le case
discografiche posero) il mito Callas, i
due nomi divennero sinonimo di coppia perfetta in lirica.
Non mancavano a Pippo doti e
mestiere: lui sapeva come attaccare
una nota, come accarezzarla con effetti di
rinforzando e smorzando; un equilibrista, sulle
corde vocali, che lasciava l’ascoltatore senza
fiato: subito faceva capire che stava ascoltando
un sogno.
Lui, masculu e carusu, affronta la vita come un
gioco che non ha alba; le notti sui tavoli verdi,
tra sigarette e alcol, si accumulano nelle giornate di riposo tra uno spettacolo e l’altro. Negli
Anni Cinquanta e Sessanta, spinto dalla moda,
e dal mercato, decide di allargare il proprio
repertorio con opere di genere eroico e drammatico che si mescolano al canto a lui più adatto. Arrivarono “Il trovatore”, “La forza del
destino” e quindi “Gioconda”, “Carmen”,
[LA VOCE D’ORO:
“La voce d’oro”, fu definito
da Vigolo. Giuseppe Di Stefano
iniziò alla fine degli anni Trenta
come madrigalista per poi
passare alla canzone popolare
con lo pseudonimo di Nino Florio
negli anni della guerra. A soli 22
anni già incideva per la “Voce del
padrone” svizzera prima ancora di
debuttare in Teatro. Completò i
suoi studi sotto la guida anche
del baritono Luigi Montesanto.
Nel 1948 è già una stella del
Metropolitan e di Città del
Messico, fino al 1952,
anno dello storico
incontro con la Callas
per una lunga tournée.
Tra i due artisti
nascerà una lunga
collaborazione, che
porterà a
rappresentazioni
operistiche e a
incisioni che
segneranno a fuoco
la storia dell’Opera
del secolo scorso
“Turandot”, “Aida”… I risultati furono brillanti
(almeno all'inizio) e alcune incisioni discografiche turbano ancor oggi per la loro bellezza.
Alla lunga però lo sforzo provoca degli insanabili guasti in quella delicata voce. Poi nel 1975
un male incurabile lo priva dell’affetto della sua
adorata figlia Luisa. Tragedia questa che gli
segna la vita e lascia una nota di velata malinconia nel suo carattere notoriamente espansivo
ed estroverso. Le voci dei grandi tenori non
muoiono mai, si spengono lentamente come un
filato che si perde all'udito umano. Il silenzio è
arrivato nel marzo del 2008. Con il languore e
nostalgie è facile trovare mille legami tra il
clima mediterraneo e la voce di Giuseppe Di
Stefano, perché in essa ribolliva il calore e luminosità siciliani. Sì, la Sicilia è l'unica metafora
possibile per il nostro tenore. Lui, che nello
stesso tempo sapeva diventare malinconicamente lunare e delicato, come l'odore del gelsomino
nelle notti d'estate. A tutto questo aggiungete la
dizione che è sempre stata la più chiara e precisa che mai cantante abbia espresso.
Chi ha ascoltato, negli anni d’oro, Di Stefano
cantare “Tombe degli avi miei” non potrà
sentire nessun’altra Lucia di Lemmermoor,
perché sa bene di aver avuto un incontro che
non dà un secondo appuntamento.
Lui era il perfetto, elegante, innamorato e perdente Evgenij Oneghin, quello di Puskin più
che di Cajkovskij, ma anche il tenore che non
dimenticava di cantare, o incidere, le canzoni
siciliane. Le “sue” canzoni (vi prego ascoltatele), con le quali è caldo e sensuale, spigliato e
allegro, malinconico e lunare.
Giuseppe Di Stefano non è stato solamente
una delle più grandi voci del XX secolo, ma un
mito - dall’impeto e dal calore umani e professionali mai più raggiunti da altri (seppur bravissimi) cantanti - perché nessuno è stato più
tenore di lui. e
eventi
[14]
(Estate
17 luglio 2011
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GIORDANI
UN SOGNO INIZIATO
25 ANNI FA
[
T
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C A T E R I N A
R I T A
A N D Ò
Da Augusta ai più ambiti palcoscenici del
mondo. «Ci sono voluti sacrifici, motivazione
e studio» dice il tenore, che all’apice della
carriera ha deciso di tornare nella sua Sicilia
enorissimo si nasce. Per Marcello
Giordani ha deciso il talento. Quello per
cui a vent’anni ha lasciato il posto in
banca, toccata e fuga, deciso a seguire le sue
inclinazioni più vere, l’opera e la scrittura.
Lezioni di canto e fogli fitti di versi appassionati piuttosto che freddi calcoli di cassa.
Eppure, i “conti” tornano: 25 anni di carriera
festeggiati quest’anno, 60 titoli in repertorio,
scritture non stop fino al 2015 nei maggiori
teatri del mondo, diretto ieri come oggi dai
più grandi maestri, da Solti a Pappano, affiancato da partner di lusso, Domingo e
Gruberova, per non citare che qualche nome.
Giordani vanta altresì da anni una strabiliante
media stagionale di 2, 3 titoli al Metropolitan,
favorite tenor del direttore musicale James
Levine, autentica leggenda vivente. Ma dopo i
comodi crocevia della Grande Mela e della
Milano scaligera, Marcello ha scelto la sua
Augusta. «Da giramondo non nascondo i
disagi di vivere lontano da teatri e aeroporti,
ma li supero perché sono orgoglioso delle mie
radici e mi nutro dell’energia di questa terra.
Siciliana, anzi catanese, era anche il celebre
soprano Maria Gentile, la maestra che ricordo con straordinario affetto».
Quando s’incontrano lui ha vent’anni, lei sessanta di più e non ha dubbi: Marcello ce la
farà, grazie ad una vocalità di rara bellezza e
un physique du rôle ideale per i personaggi tenorili, eroici come Manrico, o elegiaci come
Nemorino. Fa presto a vincere importanti
concorsi e il debutto è subito da protagonista. “Se il mio sogno si avverasse”, spera
Radames, uno dei suoi personaggi più riusciti.
«Sono stato molto fortunato, ma per mantenere i traguardi raggiunti ci sono voluti motivazione, sacrificio, studio. E una moglie svizzera: Wilma è il diapason della mia vita. Le
sono grato di aver condiviso la scelta di stabilire la nostra casa ad Augusta. Lì sono nati i
nostri due figli, oggi adolescenti, che fino a
poco tempo fa hanno diviso l’anno scolastico
tra la Sicilia e New York, permettendoci di
costruire una famiglia unita... anche dal comune amore per la pastasciutta».
La dieta mediterranea giova a Giordani, che
fisicamente di siculo ha però davvero poco,
ricorda semmai un campione di rugby. La sua
estrema versatilità gli consente di trascorrere
da Rossini a Bellini, da Verdi a Bizet, da
Berlioz a Gounod, fino a Cilea, Ciaikovski,
Zandonai. Impossibile esaurire un elenco che
si arricchisce di anno in anno anche nella sua
[DEBUTTO
DA PROTAGONISTA:
nato ad Augusta nel
1963, Marcello Giordani
ha iniziato appena ventenne i suoi studi di
canto, prima a Catania,
poi a Milano. Tre anni
dopo, la vittoria al
Concorso di canto di
Spoleto e il debutto
professionale nel ruolo
del Duca in Rigoletto
al Festival di Spoleto
[
Una fondazione
per accompagnare
i giovani talenti
n debito di gratitudine da ripagare
«per aver conquistato definitivamente - spiega Giordani - quello che
considero, fuori da ogni retorica, un
dono di Dio». Ma anche un modo per
mantenere la promessa fatta al padre:
creare qualcosa di serio per aiutare i
giovani. Nasce così la Fondazione
Marcello Giordani, un unicum perché
realizzata da un tenore all’apice della
carriera, che può davvero sostenere
concretamente chi vuole intraprendere la stessa strada.
«Ho voluto dare un significato al mio
venticinquesimo - racconta il tenore offrire ad altri le opportunità che ho
avuto io. Tengo periodicamente delle
masterclass, ma l’iniziativa più rilevante è il Concorso internazionale di
canto per il quale ho abolito la tassa
d’iscrizione. Altrimenti che aiuto
sarebbe! I partecipanti fanno un’audizione dinanzi ad una giuria composta
di direttori artistici e agenti, che premiano soprattutto attraverso l’opportunità di esibirsi».
La prima edizione ha avuto luogo in
maggio, al Bellini di Catania; le successive si alterneranno fra la Sicilia e
New York. Ed un evento è stato ieri
sera il concerto del maestro Giordani
che si è tenuto al Teatro GrecoRomano di Catania insieme ai giovani
vincitori del premio. (ca.ri.an.)
U
disco-videografia. «Ho bisogno continuamente
di nuovi stimoli. Ho creduto a lungo di dovermi attenere al repertorio italiano e francese,
ma oggi sto pensando di esplorare la profondità di Wagner e Mahler. E sempre più mi
interessa la frase “cantata”, la fonte e le ragioni che stanno dietro. Come mi appassionano i
libri di argomento storico».
La sua voce di lirico pieno riluce di sopracuti che gli hanno permesso ruoli proibitivi,
come Arturo nei Puritani e il siciliano
Gualtiero nel Pirata, due titoli belliniani, e ai
quali si è aggiunto di recente il Pollione di
Norma.
«Devo molto al belcanto ottocentesco per il
rigore stilistico che ti insegna e per il continuo
stimolo alla riflessione. Ma se proprio devo scegliere il mio autore prediletto è Puccini, che mi
colpisce per la ragione opposta, ossia l'altrettanto preziosa immediatezza».
Ed era scritto che in occasione del centenario
della prima assoluta di Fanciulla del West,
avvenuta proprio al Met, il ruolo creato da
Enrico Caruso venisse affidato al Nostro; in
un ideale passaggio di testimone su quello
stesso palcoscenico così importante per
entrambi.
«Il successo gratifica, ma a farti maturare sono
gli ostacoli. Non ho alcuna difficoltà - alzi la
mano chi non ha mai avuto problemi - a rievocare la crisi che ho avuto dopo qualche anno
di attività: suggerimenti didattici sbagliati
mi avevano creato difficoltà tecniche. Per fortuna ero motivato a ripartire, fino a quando ho
ritrovato il mio “respiro naturale”. Ringrazio
gli amici veri che mi hanno messo sull’avviso e
ho compreso i rischi che corre un giovane non
seguito come si conviene».
Il prossimo appuntamento con Giordani è il
24 agosto a Taormina per il Bellini Opera
Gala, omaggio al Cigno condiviso con
Martina Serafin, Renato Bruson, Maria
Dragoni e Daniela Dessì. Il pubblico che
affollerà le recite di Aida, è avvisato. “Se il
mio sogno si avverasse”, canta
Giordani/Radames. Che non hai mai smesso di
ascoltare le sue “voci di dentro”. Né ha mai
smesso di appuntarle. E presto le pubblicherà. Tenorissimo si nasce. Uomo si
diventa. e
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[15]
eventi
(Estate
& vacanze11
eventi
[16]
(Estate
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DESIRÉE RANCATORE
«DEVO TUTTO
ALLA MIA FAMIGLIA»
[
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C A T E R I N A
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A N D Ò
Oscar della lirica 2010, in grado di scalare
spartiti off limits, il soprano ripercorre la sua
folgorante carriera: «Mia madre - dice - mi ha
partorito due volte, come figlia e come artista»
“I
l dolce suono mi colpì di sua voce. Ah,
quella voce m’è qui nel cor discesa”.
L’incipit della “pazzia” di Lucia può generare un transfert di sensazioni, specialmente
se a cantare il ruolo donizettiano è una fuoriclasse come Desirée Rancatore. Lo spettatore fa
suoi quei versi gotici che sembrano parlare per
lui, del rapimento che prova per la qualità
dell’interprete.
Emoziona Desirée Rancatore. Lo sanno
gli appassionati dei maggiori teatri europei,
d’Estremo Oriente e oltreoceano,
dall’Opéra alle sale nipponiche. Emoziona
perché soave e intensa ad un tempo,
come sottolinea la critica internazionale
più blasonata. Festeggiatissimo in giugno il
ritorno al Massimo nella sua Palermo, proprio in Lucia di Lammermoor, title role prediletto insieme a Lakmé di Délibes, alle
eroine belliniane di Puritani e Sonnambula,
senza dimenticare Olympia dei Contes
d’Hoffmann di Offenbach, Adina dell’Elisir d’amore, Gilda in Rigoletto, nonché il primo, duraturo
amore per Mozart.
Né qui si ferma il catalogo di titoli e autori con
cui si è imposta per perizia belcantistica, pirotecnica agilità e sopracuti, doti che ne fanno un
lirico-leggero di coloratura in grado di scalare
spartiti off limits.
«Eppure - rivela - il virtuosismo fine a se stesso
non mi basta, privilegio l’approccio interpretativo, amo dipingere il personaggio con le
nuance del canto. Perciò, nel Flauto magico,
non faccio più la Regina della Notte e mi preparo ad affrontare Pamin».
La sua marcia in più? «La passionalità tutta
siciliana e il dna musicale di una famiglia cui
devo tutto. Dal nonno, batterista nelle riviste di
Totò e Macario, a mamma e papà, lei nel Coro
del Massimo, lui clarinettista nell’Orchestra.
Quando, dopo aver studiato violino e pianoforte, ho scelto di dedicarmi al canto, prima insegnante è stata proprio mia madre, da cui ho
ereditato i colori normanni ma anche le corde
vocali. Mi ha partorito due volte, come figlia e
come artista. È stata lei a spingermi al perfezionamento con Margaret Baker Genovesi. E
quando questa si è trasferita all’estero, è tornata
ad essere il mio referente principale».
Per spiegare il successo davvero precoce
Desirée ricorre al sense of humour. «Merito del
corso intensivo. In casa potevo fare lezione tutti
i giorni, gratis».
A 19 anni approda al Festival di Salisburgo,
dove Gerard Mortier la richiama l’estate
[LA MUSICA NEL DNA:
nata a Palermo nel 1977, Desirée
Rancatore ha studiato sin da
piccola violino e pianoforte.
Si avvicina al canto
a 16 anni, grazie alla
madre Maria Argento, corista del
Teatro Massimo
(foto di Roberto Ricci)
seguente come protagonista,
sodalizio tuttora ininterrotto. I
debutti si inseguono febbrili. Al
Covent Garden apre la stagione
1999/2000 come Nannetta in
Falstaff. Brucia le tappe e nel
2004 inaugura la Scala: un
Sant’Ambrogio speciale, quello
della riapertura dopo la lunga
ristrutturazione. La virtuosa è
scelta da Riccardo Muti
[OLYMPIA
E LE ALTRE: un
repertorio vasto
quello di Desirée
Rancatore. Sopra,
è Olympia nei
Contes
d’Hoffmann di
Offenbach, nel
2006. A destra, nei
panni della Lucia
di Lammermoor.
Sotto, in
Die Vögel di
Walter Braunfels
ancora una volta per una prova
ai limiti delle possibilità esecutive, Europa riconosciuta di Salieri.
Arriva anche l’Oscar della lirica per questa globetrotter che
ha sempre davanti la via di casa,
solare spirito mediterraneo legato al cielo della sua terra. Alla
cucina sicula poi, non sa resistere. E non chiedetele il piatto
preferito. «Faccio prima a dire
quello che non mi piace».
Bionda e con le curve a posto,
Desirée fa la gioia dei fotografi,
ma lei nicchia. «Vale più la capacità di arrivare al pubblico,
entrare in simbiosi». Perciò rinnega i ruoli statici e dà il massimo sia in quelli brillanti che esasperatamente romantici. Maturano nuove scelte.
«Penso a Traviata. Ma vado cauta, la mia
voce è in continua evoluzione, voglio conservarla a lungo come la Freni e la Devia».
Così parla una primadonna dei nostri giorni,
cresciuta nel mito della Callas e delle altre grandi del Novecento. «Ho rinunciato in parte alla
spensieratezza degli anni verdi, i sacrifici sono
duri, ma il “sacro fuoco” è più forte di tutto. Un
matrimonio alle spalle mi è servito a capire come
non lasciarsi stressare dall’agenda e dalla lontananza. Oggi, a 34 anni, il soprano e la donna che
sono in me vanno a braccetto». Al fianco di
Desirée Rancatore c’è da tempo il regista spagnolo Alfonso Romero, un rapporto fecondo,
che contempla arte, vita e «il progetto di un
figlio, per il quale siamo pronti entrambi». e
17 luglio 2011
[17]
eventi
(Estate
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«I MIEI MAESTRI?
MIO ZIO SIMONE
E RICCARDO MUTI»
[
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F I L I P P O
A R R I V A
Il baritono palermitano Nicola Alaimo,
nato come artista grazie all’illustre parente,
ha completato la sua formazione sotto
la guida del celebre direttore d’orchestra
N
on si può parlare subito di lavoro con
Nicola Alaimo. Siamo siciliani, il rito è
troppo antico. È d’obbligo: il mare, i
mercati “arabi”, le trattorie, l’arrusti e mangia
all’aperto, le sere fresche con l’arancina e le
mattine calde con le granite. Pagato il conto a
tutte le nostalgie della grande metafora
Sicilia, cominciamo. Il sorriso sorge dal volto
tondo e sereno. La simpatia si unisce a un pizzico di noia araba, una leggera ironia gli passa
negli occhi… Ma come farà questo gigante
buono a interpretare personaggi “cattivi”? È un
pensiero naturale. Il baritono Nicola Alaimo si
rilassa. Tutto è pronto per parlare di musica.
«La caratteristica del canto mediterraneo? La
dizione chiara, comprensibile, calda…
Come quella di Giuseppe Di Stefano». L’uso
della parola pulita, seppur avvolta in quella
meravigliosa arte innaturale che è il canto: «Il
pubblico deve capire, seguirti. Senti Ballo, il
compianto La Scola e tanti altri che affondano
la voce nel Mediterraneo. La dizione perfetta, il
bel fraseggio offre senso, calore. Se poi canti in
dialetto è come se si chiudesse un cerchio musicale perfetto. Il cantare italiano è quello del
cuore».
Nei concerti, Nicola Alaimo inserisce sempre
una canzone siciliana: «Abbiamo un repertorio vastissimo e bellissimo. Certo, quello della
canzone napoletana non ha confronti ma, mi
creda, io preferisco il nostro, il siciliano». Si
canta con il cuore, e questo è un comandamento, si canta con i polmoni e questo è un fatto.
«Credo che il dialetto offra una fusione perfetta tra espressività e voce, tra calore e
musica». È ancora l’odore del Mediterraneo
che torna. E se non avete paura della retorica,
aggiungete il profumo di gelsomino e l’amore
dei poeti alla corte di Federico II, l’odore della
zagara e delle poesie di Quasimodo… La tradizione di una terra, l’eredità di famiglia.
«Simone, mio zio, è il mio maestro. Mi ha insegnato tutto, dal fraseggio alla postura. Senza di
lui non sarei quello che oggi sono». La valigia
di Nicola Alaimo, che oggi si riposa (lavorando
in Sicilia, sempre vicino alla figlioletta e alla
moglie), sta per partire alla volta di
Montepellier per I masnadieri e poi Parigi per
La forza del destino, per Pesaro con Il barbiere di
Siviglia e poi Venezia per Il pirata. «Ecco, cantare Bellini è bellissimo. Che opera meravigliosa
che è Il pirata. Una prova superba per un cantante, dura prova per esprimere la bellezza di
quelle arie. Tutte mediterranee. E, a mio avviso, tutte scritte con il cuore in Sicilia».
Bellini, la Raccolta Favara, Giuseppe Di
[MOÏSE ET PHARAON: Nicola Alaimo
nei panni del faraone rossiniano. Con
quest’opera cominciò, nel 2003, la
collaborazione artistica tra il baritono
palermitano e Riccardo Muti.
Foto di C. M. Falsini
[I DUE
MENTORI:
sopra, Simone
Alaimo,
anch’egli
baritono.
A destra, il
maestro
Riccardo Muti
Stefano che cantò e incise le più belle canzoni
siciliane. Fu proprio Pippo il Magnifico a battezzarlo cantante nel 1997: «Proprio al concorso Di Stefano, il ‘suo’ concorso’, mi disse che
possedevo un gran talento, di averne cura e
non disperderlo, di studiare e allenare sempre
la voce perchè il mondo che mi attendeva non
era facile. Poi concluse dicendomi che a 25
anni sarei esploso… Ne avevo 19».
Ed esattamente sei anni dopo, Alaimo “esplode” in una memorabile edizione del Moïse et
Pharaon diretta da Riccardo Muti. Riveste
ancora i panni del faraone a Salisburgo e poi a
Roma in altre due meravigliose, sublimi esecuzioni del Maestro Muti.
Il racconto ancora lo emoziona: «Nel giugno
del 2003 ero impegnato ne Il trovatore a
Ravenna. Durante le prove arrivò il Maestro
Muti e volle ascoltarmi. Dopo poche settimane
mi fece esordire alla Scala. Con lui ho un
sodalizio artistico initerrotto da sette anni.
Fin dalla prima occasione mi diede consigli tecnici sulla voce, sulla copertura di alcuni suoni,
soprattutto sull’acuto. Poi seguirono Moïse et
Pharaon, Don Pasquale, Il matrimonio inaspettato.
Anche l’Otello verdiano. Quando mi propose la
parte di Jago gli chiesi: ‘Maestro non sarà un
po’ presto?’, e lui: ‘Non ti preoccupare, lo studiamo insieme, e vedrai che sarà un bel debutto’: Mi dedicò parecchio del suo tempo cucendomi il personaggio addosso e, dopo
Salisburgo, lo abbiamo riproposto a Chicago e
New York. Stupendo».
Continua con un sorriso sornione che sa di
monelleria: «Adoro anche il Rossini comico.
Ho debuttato su un palcoscenico interpretando
Dandini ne La Cenerentola. Poi ho cantanto in
L’italiana in Algeri e ne Il barbiere di Siviglia, sia
nella parte di don Bartolo che in quella di
Figaro. Adoro la parte del barbiere. Quanto mi
diverto!».
La mia mano affonda nella sua. La stretta è
gentile. Sorride, si china, come per farmi ascoltare un segreto, mettermi a parte di un pensiero unico, e comincia a cantare sussurrando…
Lu suli è già spuntatu di lu mari/ E vui bidduzza mia
durmiti ancora/ L’aceddi sunnu stanchi di cantari/
Affriddateddi aspettanu ccà fora/ Supra ssu barcuneddu su pusati/ E aspettanu quann’è ca v’affacciati…
Non è stupenda?». e
eventi
(Estate
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I CARTELLONI
ALL’INSEGNA
DELLA LIRICA
[
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B E A T R I C E
L E V I
Al Verdura e al Massimo di Palermo,
all’Arena Maniace di Siracusa e al Teatro
Antico di Taormina l’arte del belcanto
conquista il pubblico e i palcoscenici
L
a stagione estiva premia gli amanti dell’Opera
con la messa in scena di alcuni tra i più
apprezzati spettacoli.
Arena Maniace. Due le messe in scena ospitate
a Siracusa, nell’ex piazza d’Armi antistante al
Castello. Già stasera (17 luglio) sarà messa in
scena la Tosca di Puccini (opera in tre atti su
libretto di Sardou, Illica e Giacosa) con il
Maestro Michele Pupillo che dirigerà un’orchestra di 61 elementi, 40 coristi e 20 voci bianche
dirette dal Maestro Rita Patania. La Tosca,
introdotta da Alessandra Gatto, vedrà in scena
Piera Bivona nel ruolo principale insieme a
Michele Mauro (Mario Cavaradossi), Paolo La
Delfa (il Barone Scarpia), Massimiliano Bruno
(il sacrestano), Daniele Bartolini (Cesare
Angelotti), Alfio Marletta (Spoletta) e Rita
Patania (nelle vesti del pastore). Firma la regia
Paolo La Delfa, mentre le scenografie e i costumi sono di Maurizio Amaldi. Il 22 agosto sarà la
volta della Carmen di Georges Bizet su libretto
di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. L’opera lirica in quattro quadri, ispirata alla novella omonima di Prosper Mérimée, vede in questo allestimento, per la regia di Henry Patt, i cantanti
Galia Ibraghimova nei panni della Carmen,
Michael Hayes (Don Jose), Mariam Jovanovski,
Plamen Dimitrov, Georgi Dinev, Hristo Sarafov,
Snejana Dramtcheva, Viara Jelesova, Volodia
Hristov e Maria Claudia Donato. L’orchestra sarà
diretta da Christian Deliso, il coro delle voci
bianche del conservatorio “Vincenzo Bellini” di
Palermo da Antonio Sottile, mentre il coro da Jo
Anne Herrero; scene firmate da Giorgio Lalov,
costumi di Julietta Shop.
Taormina Arte. Ad agosto gli appassionati del
genere potranno assistere a due messe in scena
nella splendida cornice del Teatro Antico di
Taormina che ospiterà Nabucco (il 5, 9 e 13 agosto) e l’Aida (il 7, 10 e 12 agosto). Il Nabucco
verdiano, opera inaugurale del cartellone di
Taormina Arte, sarà trasmessa in mondovisione
per onorare il 150° Anniversario dell’Unità
d’Italia. In scena artisti affermati in campo mondiale come Juan Pons e Chiara Taigi, Francesco
Ellero D’Artegna e Eufemia Tufano. L’Orchestra
Sinfonica Festival Euro Mediterraneo sarà diretta
da Pier Giorgio Morandi, il Coro lirico
“Francesco Cilea” da Bruno Tirotta. Per l’Aida,
verrà riproposto l’allestimento andato in scena nel
2009, dopo il successo riscosso dal vivo e tributato in televisione da milioni di telespettatori nel
mondo. Nel cast Kristin Lewis, Mario
Malagnini, Francesco Ellero D’Artegna.
Entrambe le produzioni sono kolossal, realizzati
[DA PUCCINI
A VERDI:
sopra,
il soprano
Chiara Taigi
nel cast del
“Nabucco”
di Taormina;
a sinistra,
sopra,
il Maestro
Michele Pupillo che dirigerà
l’orchestra
della Tosca
messa
in scena all’Arena Maniace;
a fianco, Svetla
Vassilieva,
applaudita
interprete de la
Tosca, che a
settembre
si esibirà
a Palermo
[
Maratona musicale
Sotto il cielo stellato
della città etnea
i sta per concludere “Il
Cielo sopra il Bellini” con
. La stala
gione estiva del Teatro
Massimo Bellini, che ha trasformato i luoghi storici di
Catania in sale da concerto
en plein air, si concluderà
sabato 23 luglio con una vera
e propria “maratona” musicale che comincerà nella corte
di Palazzo Minoriti, con un
concerto degli Archi del
Teatro Massimo Bellini su
musiche di Grieg e
Ciaikovsky. Poco dopo il pubblico potrà spostarsi nella
corte del Rettorato
dell’Università degli Studi, in
piazza Università, dove
saranno i Fiati del “Bellini”
ad esibirsi, con un programma di musiche di Mozart e
Richard Strauss. Ma l’appuntamento clou sarà il grande
concerto sinfonico diretto da
Will Humburg che si terrà nel
Teatro Greco-Romano
SNotte della Musica
in esclusiva con regia e scene di Enrico
Castiglione e i costumi di Sonia Cammarata. Le
due produzioni saranno animate da scenografie
proiettate in alta definizione e in 3D.
Il 22 agosto si recupera la Messa da requiem di
Verdi eseguita eseguita dall’Orchestra Sinfonica e
dal Coro del Teatro Francesco Cilea di Reggio
Calabria. Direttore d’orchestra Francesco Attardi,
direttore del coro Bruno Tirotta. Solisti: Chiara
Angella soprano, Federica Proietti mezzosoprano,
Camillo Facchino tenore, Michail Ryssov basso.
Per finire il 24 agosto il “Bellini opera gala”: le
star della lirica rendono omaggio al “cigno” catanese, nel 210° anniversario della nascita.
Accompagnati dall'Orchestra Sinfonica Bellini
Opera Festival diretta da Steven Mercurio, grandi interpreti della lirica:Marcello Giordani,
Martina Serafin, Renato Bruson, Maria Dragoni,
Daniela Dessì.
Teatro Massimo di Palermo. Due gli appuntamenti con il belanto anche a Palermo. Stasera (17
luglio) al Teatro di Verdura, location estiva del
Teatro Massimo, andrà in scena l’ultima replica di
Turandot, il fastoso dramma lirico in tre atti e
cinque quadri, sulle musiche di Giacomo Puccini
e libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
L’Opera incompiuta di Giacomo Puccini sarà
messa in scena nel nuovo allestimento diretto da
Marcelo Mottadelli, per la regia di Willy Landin
e di cui firma le coreografie Luciano Cannito. In
scena Giovanna Casolla nel ruolo principale,
insieme a Walter Fraccaro, Ramaz Chikviladze,
Rachele Stanisci e Nicola Pamio.
La stagione autunnale del teatro lirico palermitano si aprirà, nella consueta location, con la
Tosca nell’allestimento del teatro Regio di
Parma, per la regia di Joseph Franconi Lee.
L’opera pucciniana vedrà in scena nei panni della
Tosca Svetla Vassilieva, applaudita interprete di
questo personaggio sulle scene nei più importanti
teatri di tutto il mondo. Al suo fianco, come
Cavaradossi, si potrà ascoltare l’emergente tenore spagnolo Jorge De León. Sul podio il trentenne direttore d’orchestra israeliano Omer
Meir Wellber, straordinario
musicista, stella del panorama
internazionale, già conteso e
richiesto dai più importanti teatri di tutto il mondo. Orchestra,
Coro e Coro di voci bianche del
Teatro Massimo, quest’ultimi
diretti rispettivamente dai
Maestri Andrea Faidutti e
Salvatore Punturo. e
eventi
[20]
(Estate
17 luglio 2011
& vacanze11
UN’ESTATE
DA INCORNICIARE
[
Cinque fotografi siciliani raccontano
per immagini il nostro mare di stagione
con le sue storie, i suoi personaggi
e le sue emozioni più suggestive
E
se il mare d’inverno, Enrico Ruggeri
docet, è come un film in bianco e nero
visto alla tv, il mare d'estate, all’opposto,
è uno spettacolo cinematografico dove i colori dominano sul grande schermo. Estate in
Sicilia vuol dire essenzialmente mare, confine aperto, porta indubbiamente rivolta all’esterno più che finestra chiusa verso sè stessi.
Abbiamo chiesto a cinque fotografi siciliani Monica Laurentini, Pietro Nicosia, Max
Firreri, Rosario Scalia e Jessica Hauf - di
rappresentarci con i loro scatti l’estate isolana
bagnata da ogni lato dal mare. Gli obiettivi
puntati ci restituiscono un racconto per
immagini. e
[SGUARDI: negli
scatti della fotografa
catanese Monica
Laurentini
(www.monicalaurentini.
it) lo sguardo verso il
mare aperto di due
bagnini a Marina di
Modica, quello di un
surfista che cerca
l’onda a Portopalo di
Capo Passero e quello
di un ambulante
maghrebino venditore
di bibite sul litorale di
Pozzallo
[ reportage fotografico]
17 luglio 2011
[21]
eventi
(Estate
& vacanze11
[LA MAGIA: i colori accesi del
tramonto a Torre Faro, a sinistra,
nello scatto del fotografo
catanese Pietro Nicosia
([email protected]). Torre
Faro, frazione del Comune di
Messina in cui si trova Capo
Peloro, è una delle tre punte
della Sicilia dove si identifica la
mitica Cariddi. Nella foto il Lago
di Faro, a pochi metri dal mare,
che rappresenta un ecosistema
caratterizzato da alti livelli di
biodiversità. Nicosia passa dal
rosso al nero con la Scogliera
di Catania, in basso a sinistra,
caratterizzata dalle lave del
Rotolo, lave cordate (simili a
corde arrotolate) tipiche di alcune
eruzioni. Sulla destra la vecchia
marina di Cefalù: si nota Porta
Pescara, detta anche “del mare”
o “Piscaria”, unica delle porte
che ha mantenuto la struttura
medievale