30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Liceo Musicale G.B. Viotti Sezione di danza classica Teatro Civico di Vercelli Saggio dell’anno scolastico 1978-1979 Presidente Pietro Magrassi Direttore Joseph Robbone Docente Pilar Sampietro Sei anni di attività 1973-1979 In pochi anni la sezione di Danza Classica del Liceo Musicale G.B. Viotti grazie alla valida docente Prof. Pilar Sampietro si è prepotentemente inserita tra le prestigiose sezioni di canto lirico, di chitarra e di pianoforte che tanta notorietà e consensi hanno ottenuto in Italia ed all’estero con le partecipazioni a stagioni presso i grandi Enti Autonomi e con le lauree ottenute in concorsi di musica nazionali ed internazionali. In poche parole si è passato, in danza, dal dilettantismo al perfezionato studio delle accademiche movenze. I vari “saggi” che la Signora Sampietro ha presentato a Vercelli ed in provincia hanno vivamente entusiasmato il pubblico per la perfezione dimostrata da tutte le allieve, dalle giovanissime a quelle dell’ultimo corso. La Signora Pilar Sampietro, che ha saputo conciliare la grande tradizione spagnola di danza con quella italiana, rinata a nuova vita per merito del “Maestro dei Maestri” Enrico Cecchetti, non è solo una bella insegnante (cosa importante in una danzatrice) vibrante ed emotiva, preparatissima e documentata, ma anche una coreografa di alto livello ed ancora l’acuta disegnatrice dei costumi dei “saggi concerto”. La “danza” concepita così richiede sacrifici, fatica, una costanza nello studio, una continuità nella preparazione e quindi si devono accomunare negli elogi e nel plauso le allieve e la Signora Pilar Sampietro che con grande dignità ed intelligenza è riuscita a far amare la bellissima arte di Tersicore nella nostra città. Joseph Robbone Quando l’effimero è certezza di Gianni Secondo Autore di saggi e storico della danza critico di balletto per il quotidiano La Stampa e Stampa Sera Prestare vita autentica ad una istituzione costruita su passi e gesti coercitivi sapientemente correlati con l’autorevolezza di che è ben conscia di aver operato una scelta consentanea alle proprie corde è quando risalta in una personalità come quella di Pilar Sampietro, fondatrice e direttrice dell’Accademia di Danza “Città di Vercelli” che evoca, crea, frantuma e ricompone corpi, spazi, tempi ritmi scelti per esprimere la mole di emozioni che urgono nella profondità dell’anima, pronte ad essere donate ad allieve e partecipate ad un pubblico ammaliato nel recepirle. E’ il merito dell’Artista cui si rende oggi l’omaggio da quando trent’anni or sono si è identificata con la sua creatura. Convinta che il teatro non deve essere soltanto occasione di spettacolo ludico, ma ricerca del contesto estetico “spaziomateria” in cui i corpi dei ballerini declinano pose plastiche, morbidi equilibri e immagini composite, Pilar ci ha svelato che lo spazio deve diventar parola. E nella danza lo spazio non è soltanto delimitato dalle linee in congiunzione tra i differenti punti occupati dai danzatori, ma è un tessuto vivo di energie espresse dai moti armonici dei singoli interpreti, illustrandolo con un ottima tecnica che con altera eleganza, conserva quell’aristocratica compostezza che non esclude l’ardente empito del cuore. Polo di attrazione per serietà di studi e carisma di docenti, l’Accademia ha così assunto un ruolo strategico nel quale l’autonomia non è diventata isolamento, ma efficiente dispositivo culturale in grado di tessere relazioni sociali e legami artistici con altre istituzioni aventi analoghe finalità. La danza è in primo luogo una professione della quale bisogna imparare vocabolario e sintassi, cui si sottomettono da sempre debuttanti ed étoiles. E’ quindi danza di scuola prima che di teatro, dove l’armonia plastica e l’aderenza poetica ai temi e ruoli trattati non si ottengono che dopo anni di sofferta esperienza, frutto di una sistematica pratica di stressante lavoro. Ma l’arte non è esperimento, è raggiungimento e non ci sarebbero quindi étoiles se non ci fossero grandi maestri. E’ a loro che spetta lo snervante compito di insegnare non prodezze ginniche ma il dominio di quella volontà necessaria per casellare il virtuosismo dell’estasi amorosa, dei drammatici furori quando non di erotica o stregonesca seduzione. Figurazione continuamente aggiornabili con più rammodernate tecniche e raffinamenti sentimentali. Nel 1979 fonda l’Accademia di Danza “Città di Vercelli” che da allora dirige con amorose cure ma con giusta severità. E’ con lei che volenterose ellieve acquisiscono stile e traslitterazione poetica, e che i ballerini imparano a rendere vivi e veritieri i ruoli classici, mitologici, fiabeschi o moderni. Pilar ha avuto modo di proporre opere di differenti stili con coreografie distinte da molteplicità di linguaggi, espressione di una Scuola sempre fedele a virtuosistica eleganza formale come sensibile al folklore spontaneo e scintillante privo di ogni sfrontata volgarità. Floklore che sotto veste di coreografie spagnole è sempre stato la più toccante passione di Pilar, ereditata dalle millenarie carovane di nomadi gitani. Danza che sembra monocorde ma non lo è, tragicamente casta ma che suggerisce la lussuria, ben caratterizzata al centro di un continente ma il cui influsso non conosce confini. 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Coreografie di colei che, come ha scritto Vittoria Doglio, “è venuta dalla Spagna ad insegnarci che voglia dire coltivare con passione le tradizioni della propria terra, farle rivivere e tramandarle attraverso l’insegnamento e il teatro”. A portare inoltre il loro contributo coreutico all’Accademia citeremo fra gli ospiti di prima grandezza Ivette Chauvirè, Galina Ulanova, Ekaterina Maximova, Anna Mascolo, Liliana Cosi, Ileana Iliescu, Oleg Danovskyi.Molti gli allievi affermatisi in Italia e all’estero. Ne citeremo uno solo, eccezionale per virtuosismo tecnico e carisma interpretativo: quel Roberto Bolle scoperto e avviato da Pilar ai fastigli di massimo “danseur noble” del mondo interno. Indotta da uno spirito di iniziativa sempre attento alle evoluzioni di gusti, stili e ritmi Pilar si dedica ora all’esame dello stato presente della danza europea che tuttavia pare a molti mostrare evidenti segni di decadenza: prevalgono Compagnie indipendenti sorte come reazione al conformismo dei teatri ufficiali, e singoli danzatori leader non sempre di apprezzabile talento, ma autenticati da una certa critica compiacente. Giunti a conclusione di questo lungo “excursus” non dobbiamo stupirci che a conferire alla sala prove dell’Accademia rarefatta magia e atemporale atmosfera, quasi a temperare nella penombra di scrigno museale quella arditezza dinamica e quella conquista dello spazio di allieve che traducono in metro umano la divina astrazione della danza, non dobbiamo stupirci che riemerga alla mente il profilo di Edgar Degas. Non quello delle tele, ma quello intento a trasferire nei bozzetti e nelle cere “impressioni” da Argenteuil al “foyer de la danse”, sostituendo al “plein air” e al candido tutù abbozzi cerei liberati da qualsiasi richiamo materico per mettere a nudo le infinite potenzialità della danzatrice colta nel quotidiano slancio di cui conserva soltanto la traccia dell’istante. Anche Pilar ci sa comunicare quel turbamento cosmico che proviamo dinanzi a quel capolavoro assoluto della scultura che è la “Petite danseuse de quatorze ans” di Degas, dal viso che non sai se etrusco, egizio o oceanico, specchio non di ciò che si vede ma “come” lo si vede, em- blema stesso della danza indelebile nella memoria simile ad un sigillo sacrale. Accomiatandomi dai miei pensieri e dalla prestigiosa Accademia che si è fatta ripetutamente applaudire riproponendo con i migliori allievi il più meraviglioso balletto che sia mai stato creato, e parafrasando le celeberrime parole dell’orazione di Antonio dal “Julius Cesar” di Shakespeare lasciate dire a me: “il mio cuore giace qui con Giselle. Debbo aspettare che esso torni a me”. A Pilar di Giorgio Cattarello Docente di storia della danza, consigliere Associazione Museo del Cinema di Torino Cara Pilar, tu sai la riluttanza nell’espormi e la quasi gelosa ritrosia per la comunicazione dei ricordi personali più confidenziali e nostalgici. Ad essi si deve ricorrere per evocare gli incontri privilegiati sul cammino della vita - nel nostro caso - quelli più arricchenti nel nome di Melpomene e Tersicore. Vorrei cominciare dal poeta Federico Garcia Lorca: “Il teatro è un sacrificio d’amore che dura tutta la vita” EMPIEZA EL LLANTO Comincia il pianto DE LA GUITARRA della chitarra ES IMPOSIBLE CALLARLA E’ impossibile farla tacere ES INUTIL CALLARLA Piange per cose LLORA POR COSAS lontane LEJANAS Myriam, Marco e Pilar Sampietro Perchè Garcia Lorca? Semplicemente perchè nel cuore, nel sentimento e nell’opera di Pilar avverto valori e riferimenti agli aspetti della Spagna che amo, cantata dal poeta andaluso attraverso i due temi fondamentali amore e morte misti alla malinconia, al romanticismo ed alla insolita ripetuta presenza del “baile”. LA CARMEN ESTA’ BALLANDO POR LAS CALLES DE SEVILLA YVA SONANDO EN EL BAILE CON GALANES DE OTROS DIAS Risale a fine 1970 il meraviglioso periodo del risveglio italiano alla danza e l’amicizia con Pilar e Marco. Si dice che molto più del vivere, Cechov amasse il ricordare, perchè nel ricordo è innato sempre il segno della malinconia, persino il piacere della malinconia. Sfogliando le pubblicazioni concepite per gli spettacoli-anniversari dell’Accademia, Serge Lifar, ballerino, coreografo e scrittore russo vado a ritroso nel tempo, rifletto commosso su fotografie e partecipazioni e mi lascio andare ad un sapido, sottomesso “io c’ero”. 1989 “I primi dieci anni” 1999 IN RICORDO DI MARCO - “Antologia” del ventennale 2009 Anniversario di tre decenni Marco Sampietro si dedicò con intelligente e colto intento alla cura editoriale di pubblicazioni per studiosi e appassionati favorendo la conoscenza e la frequentazione al teatro di danze in Italia. Diede alla stampa dizionari, biografie, volumi di fotografia e d’arte. Devo alla edizione numerata, tirata su carta a mano (rilegatura in pelle) de “50 anni di ballo al teatro di Vercelli”, l’inizio di ricerche bibliofile e collezionismo. Grazie Marco. Nel 1977 l’eccezione editoriale fu “El Arte del Baile Flamenco” di Alfonso Puig Claramunt, testo fondamentale per la storia spagnola non solo della danza. Pierre Lartigue al verbo di Gades (editore Albin Michel) aggiunge: - “Cette danse est une danse si “jonda” (profonda) qu’il me semble” qu’on la danse au bal de l’Enfer”. Notre intention n’est pas de retrouver une tradition perdue mais de comprendre l’évolution d’une forme vivante. Si belle soit l’imagerie romantique, il 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” ne convient pas d’enfermer l’art du flamenco parmi les beautés folkloriques du passé”. Ciò che vuole e sa dimostrare Pilar Sampietro. Pilar è al centro della scena, ma fra le quinte il ruolo non meno importante di organizzatore, amministratore, promotore e allestitore di spettacoli è sostenuto da Marco. Marco Sampietro da molti anni non è più fra noi. E con lui altri personaggi degli “incontri” vercellesi ci hanno lasciato. Però mi aiutano nel quotidiano e accompagnano il mio tramonto. Ora, la figlia Myriam è subentrata nelle responsabilità organizzative e svolge lodevolmente i compiti teatrali. Fa parte del mondo anonimo o meglio sconosciuto dei tecnici e del personale di palcoscenico (al quale più sono affezionato e vicino) e lo affianca al ruolo di scenografa e costumista, prioritari come artista. Due riferimenti iniziali. Il maestro Joseph Robbone ebbe a dire: - “Mi colpì la grinta di quella giovane ballerina che, prima di fondare l’Accademia di Danza “Città di Vercelli” chiamai ad insegnare al Liceo Musicale...”. Assolutamente d’accordo per chi frequenta le lezioni di danza o ne conosce la vitalità, il rigore, la caparbietà sulla scena sempre alla ricerca della perfezione e dell’ottimo. Il dottor Enrico De Maria in un articolo su “La Stampa”:- “Quasi subito mi conquistò la sua professionalità, il suo impegno costante, l’ansia perfezionistica della sua didattica”. Mi si proiettano sullo schermo della memoria gli “a’marcord” di danzatori, musicisti, letterati conosciuti dai Sampietro... per esempio il mitico José de Udaeta al concerto di nacchere nella Sala Dugentesca (1981) oggi intitolata a Joseph Robbone. L’eco di chitarre e “castagnettes” che accompagnavano i passi ritmati degli allievi nelle aule, cadenzati battere di tac- chi e “cante jondo”: ”tanguillos”, “jota”, “fandango” tecnicamente dimostrate, sul palcoscenico del Teatro Civico, agli interpreti, da Pilar, ideatrice ispirata per un concerto dedicato a Lorca, meriterebbe integrale riporto dall’introduzione del critico di danza e musicologa Vittoria Doglio allo spettacolo “Da Granados a Garcia Lorca”. Innumerevoli sono le diramazioni della danza spagnola, dal folklore della jota aragonese, alla “escuela lbolera” il patrimonio iberico è davvero immenso. Il lavoro svolto da Pilar Sampietro tende a restituirci una dimensione il più possibile completa di questo mondo. Garcia Lorca, come dice Pablo Neruda, “in questo lungo minuto di vita” ha mescolato al vissuto di fantasia rivoluzionaria di sapore surrealista con Luis Buñuel, Rafael Alberti, Sal- vador Dali, la sua preoccupazione di non essere identificato esclusivamente con il folklore gitano. Oh, Salvador Dali Canto tu bello esfuerzo de luces catalanas, Tu amor a lo que tiene explication posible Canto la serenidad de la mar que te canta Ecco definita l’innegabile ambivalenza del verso lorchiano, arduo e immediato, esoterico e popolare. Avverto analogie emotive liriche in “Madre acqua” 1° giugno 2009 i cui simboli cavalcano tempi e luoghi fra natura di terra e di mare in una cornice scenografica evanescente, impalpabile, fatta di luci e trasparenze mobili da sogno, che rimanda ad atmosfere Don Chisciottesche. Omaggio a Federico Garcia Lorca - Ilaria Ottino, Rina Garavelli, Annarita Federico Gli esordi di Pilar Il Lago dei cigni. La prima folgorazione. Era un pomeriggio afoso di mezz’estate. Nell’ora della siesta le strade si svuotavano e il silenzio si faceva irreale. Mamma e papà riposavano al piano di sopra e io me ne stavo nel soggiorno ad ascoltare la radio, con le veneziane accostate per non far entrare troppo caldo. Avrò avuto poco più di otto anni, ero troppo piccola e non mi consentivano di usare il grammofono, se non di nascosto. Così mi divertivo a girare la manopola della radio fino a cercare quel canale che trasmetteva ininterrottamente musica classica. Finalmente lo trovai e mi misi seduta sul tappeto ad ascoltare con gli occhi chiusi quei brani che letteralmente mi rapivano. Penso a quanto sia palpabile quel ricordo e immagino che quei momenti mi si siano fissati sulla retina in maniera indelebile. Respiro perfettamente quell’atmosfera, un’essenza che sa di profumo della mia infanzia, sfioro con le mani il tessuto dei divani e il profilo dei soprammobili. In uno di quei pomeriggi a Saragozza, seduta su quel tappeto, accade qualcosa d’incredibile. La radio iniziò a trasmettere un passo a due tratto dal secondo atto del Lago dei cigni di Ciajkovskij e dentro di me scattò qualcosa. Rimasi come paralizzata, poi fui pervasa da un’onda d’energia, scattai in piedi e pensai: “La danza è il mio mondo: è qui che voglio stare!”. Qualche giorno dopo racimolai i pochi spicci che ero riuscita a mettere da parte e corsi a comprare il disco. Lo volevo, non aspettai che me lo regalassero. Il primo approccio alla danza fu per gioco. Con le compagne di classe ci trovavamo spesso a mettere in scena piccoli spettacoli. Chiedevo a mia mamma Mercedes di tenere da parte scampoli di tessuti per farli diventare i nostri costumi: le espadrillas, con la spessa suola di corda, diventavano facilmente le nostre scarpe da punta. Quanto ci siamo divertite improvvisando balletti e coreografie sul Bolero di Ravel e sulla Danza delle ore di Ponchielli! Il divertimento si trasformò presto in vera e propria passione e mia mamma, donna raffinata e colta, capì subito che il mio amore per la danza non era qualcosa di estemporaneo o di superficiale, ma un sentimento viscerale che non potevo reprime ma, al contrario, esprimere e far maturare. Così decise di portarmi all’unica scuola di danza di Saragozza, quella fondata e diretta dalla mia prima maestra: Maria De Ávila. Quando il destino entra in scena. Credo di essere stata davvero fortunata. A Saragozza c’era una sola scuola di danza, quella di Maria, considerata una migliori ballerine di danza classica del XX secolo, che sposò un ingegnere aragonese e si trasferì nella mia città dopo essersi formata a Barcellona: all’epoca la capitale della Catalunya era il fulcro dell’intellighenzia e del gotha culturale ed economico della Spagna, molto più di Madrid, centro di potere di Franco. L’esplosione intellettuale era così dirompente che nemmeno la mano feroce del caudillo riuscì a reprimere: ed è da Barcellona che subito dopo la fine della seconda guerra mondiale i grandi artisti dell’epoca transitarono, facendone un centro culturale di primissimo piano. In questo fermento artistico si forma la personalità della mia maestra, futura direttrice del Balletto Nazionale Spagnolo, che conobbe gli eredi della grande tradizione dei Ballets Russes, la grande Diaghilev, “tiene alta la fiamma del clascompagnia di balletto fondata nel 1909 sicismo”. Maria coltivò la sua forma mendall’impresario russo Serge Diaghilev. I tis nel solco di questa grande tradizione e Ballets Russes non sono soltanto la più fu al Gran Teatro del Liceu che apprese il influente compagnia di danza del XX “metodo cecchettiano”. Quando chiesesecolo, ma un vero e proprio movimenro a Stravinski da chi avesse appresso di to culturale che rivoluzionò il modo di più sulla tecnica della danza lui rispose: concepire la danza inglobando i miglio“Dal maestro Cecchetti, decano del Balri artisti in tutti i campi. “Diaghilev era letto e autorità suprema per ogni passo in immenso innovatore, un ricercatore di danza di ogni balletto che allestì. Tutta strenuo di ogni nuova dimensione verso la compagnia, da Nijinsky ai novellini, la quale indirizzare l’antichissima arte lo veneravano. Era proprio del suo acdella danza - scrisse Luigi Rossi nel Dicademismo che Diagilev aveva bisogno. zionario del balletto pubblicato da Edizioni Egli fu la ‘coscienza della danza’ della della danza – Forse mai come compagnia”. Cecchetti era un nella sua splendida ventennaartista straordinario e quando le stagione si realizzò l’eterno Diagilev “nel 1909 fondò la sogno del teatro totale, luogo Partii perVarsavia con trenta compagnia dei Ballets Rusideale di convegno alla pari paia di nacchere in valigia. ses lo scritturò come maître con tutte le arti: dalla musica de ballet, su indicazione dei (Stravinski, Prokofiev, De Falmaggiori ballerini dell’epola, Ravel e Debussy) alla pitca”, ricorda Luigi Rossi. Tuttura (Picasso, Matisse, Derain, Leger), te le più grandi personalità del balletto dalla letteratura (Cocteau) alla danza del ‘900 furono suoi allievi o lavorarono naturalmente”. Nella compagnia concon lui: Anna Pavlova, Tamara Karsavina, fluirono i migliori ballerini del Teatro George Balanchine, Ninette De Valoise, Bolshoi di Mosca e del Teatro Mariinskij Olga Koklova – la compagna di Picasso – di San Pietroburgo e le coreografie furola Spessivtseva e ancora Bianca Gallizia. no affidate prima a Michel Fokine, poi a Ma l’elenco sarebbe molto più lungo, Vaclav Nijinskij e molti anni dopo anche come dimostrano le testimonianze raca George Balanchine, ultimo coreogracolte nella biografia di Cecchetti, scritta fo dei Balletti Russi: l’incontro di questi sempre da Luigi Rossi per Edizioni della grandi coreografi con personalità del caDanza . “Come ballerino non impressiolibro di Serge Lifar, Anna Pavlova e Léonava solo per le sue sbalorditive capacità nide Massine diedero vita ad una forma tecniche, bensì anche per le sue splendidi balletto più complesso di quanto non de doti interpretative e per quel fenomesi fosse visto fino a quel momento, dove nale quid delle sue attuazioni” scrisse Auelementi di grande spettacolo erano il relio M. Milloss nel saggio introduttivo frutto dell’incontro del tecnicismo e delalla biografia edita a Vercelli nel giugno l’arte russa con quella del genio francese del 1978. Un genio tanto grande non e spagnolo, oltre che con quello italiano, poté sfuggire all’occhio attento di Artuincarnato dal grande Enrico Cecchetti, ro Toscanini, che nel 1925 lo chiamò a primo ballerino del Teatro Mariinskij e dirigere la Scuola di danza del Teatro alla insegnante della Scuola Imperiale di San Scala, benché fosse già vecchio e malato. Pietroburgo, nonché membro dei BalLa mia fortuna è stata dunque quella di lets Russes fino al 1918 che, come disse trovarmi sulla scia di questi grandi nomi. José de Udaeta, concertista di nacchere di fama mondiale. Ha suonato, tra gli altri, con Herbert von Karajan e con Montserrat Caballé al Coven Garden. Le mie radici affondano proprio nel metodo cecchettiano. Bella addormentata. La folgorazione definitiva. Fin dalle prime lezioni mi sembrava di aver già studiato quei passi e la maniera naturale e istintiva con cui ballavo faceva pensare che io avessi già frequentato una scuola di danza. Proprio queste mie caratteristiche mi permisero di bruciare le tappe, cementando le mie basi sulla dan- 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” za classica italiana e francese. Fui scelta studiammo assieme per molti anni, fino a per un corso speciale istituito per gli alquando a 14 anni fu mandato assieme ad lievi più dotati assieme a Lola De Ávila, un’altra nostra compagna di corso, Carla figlia di Maria, attuale coreografa del men Roche - che sarebbe poi diventata San Francisco Ballet, Ana Laguna – anni sua moglie - a perfezionarsi con Antonio dopo una delle ballerine preferite da MiRuiz Soler, conosciuto in tutto il monchail Baryšnikov - che si trasferì al Culdo come “Antonio el bailarìn”: direttore lberg Ballet di Stoccolma, dove conobdel Balet Nacional de España e fondatore be e poi sposò Mats Ek, figlio di Birgit della compagnia Antonio y Rosario, già Cullberg, pioniera della danza Svedese. negli anni ’50 era considerato il biglietto E poi Victor Ullate, futuro primo balleda visita della danza spagnola grazie alle rino del Ballet du XXème Siècle di Mausue acclamate esibizioni nei più imporrice Béjart, che lo considerava uno dei tante teatri del mondo. Quando tornasuoi ballerini più completi. Mi piaceva rono a Saragozza fummo sommersi dai tutto di quei corsi, adoravo loro racconti: leggevo nei loro Intuii che l’insegnamento persino gli esercizi alla sbarocchi lo stupore e la felicità mi attraeva e mi dedicai allo ra, che ho sempre consideper aver ballato a stretto constudio di altri ambiti culturali, rato un metodo intelligente tatto con una figura leggenche pensavo sarebbero stati di apprendimento, grado per daria della danza spagnola. Il indispensabili per il mio futuro di coreografa e di grado, verso tecniche sempre passo successivo fu quello di maestra più complesse. Ero come una frequentare l’École de Danspugna pronta ad assorbire se de l’Opéra di Parigi dove anche il più piccolo dei suggerimenti. fui presa per un corso estivo intensivo. Poi un giorno mia mamma mi portò a Mio padre, il serissimo ingegnere CarBarcellona a vedere Bella addormentata”: lo Baratto (nato e cresciuto a Vercelli, era il primo balletto della mia vita, mesex giocatore della Pro Vercelli, console so in scena dall’International Ballet della onorario italiano a Saragozza) in un pricompagnia del Marquis de Cuevas. Avemo momento non era molto convinto vo quindici anni. Uscii dal teatro e penma capì presto quale grande opportunità sai: “Oggi ho capito che dedicherò la mia sarebbe stata per me. E così partii per vita alla danza!”. Parigi dove vissi per tre mesi e frequenNel segno dell’amore per la danza. tai un corso di perfezionamento che Dai sacrifici all’Opéra di Parigi. consolidò la mia preparazione. Quando Ho accennato a Victor Ullate, mio comtornai in Spagna decisi di approfondire pagno di corso. Veniva da una famiglia la classica spagnola, la cosiddetta escuela poverissima, sua padre era un falegname. bolera, che unisce la tecnica della danza Una peculiarità della scuola era proprio sulle punte con l’utilizzo delle nacchere. quella di essere aperta non solo ai bamMi trasferii in Andalusia dove studiai coi bini della famiglie borghesi dell’epoca, maestri Mercedes y Albano, Eloy Perima anche a quelle più povere: ed è su cet, Flora Albaicin e il grandissimo José questa scia che ho sempre privilegiato de Udaeta, un virtuoso delle nacchere più la predisposizione artistica che lo che m’insegnò tutti i segreti per manegstatus sociale e quando nel 1979 fondai giare ed esaltare questo strumento solo l’Accademia, offrì sempre borse di stuapparentemente semplice, ma in realtà dio agli studenti più meritevoli ma ecocomplesso ed affascinante. nomicamente svantaggiati. Con Victor L’arrivo in Italia. Dante Alighieri. Fu lui il mio “traghettatore” in Italia. Nel 1964 vinsi una borsa di studio intitolata al sommo poeta e venni a studiare all’Università per gli stranieri di Gargnano sul Garda. Chi lo avrebbe mai detto che non avrei mai più lasciato il “bel paese”? Fu sul lungolago che conobbi Marco Sampietro, un giovane vercellese, che si era appena diplomato al Centro sperimentale di cinematografia di Roma come direttore delle luci. Mi bastarono pochi mesi per decidermi: nel 1965 decisi di sposare Marco, figlio del deputato socialista Giovanni Sampietro, Direttore della Stazione Sperimentale di Risicoltura. Il matrimonio fu per me un momento molto speciale perché era il coronamento di un incontro sentimentale ma anche intellettuale e cerebrale. Nei primi anni a Vercelli continuai ad allenarmi da sola, non passava giorno senza che mi esercitassi. Intuii che l’insegnamento mi attraeva e mi dedicai allo studio di altri ambiti culturali, che pensavo sarebbero stati indispensabili per il mio futuro di coreografa e di maestra. Fu in quel periodo, epoca del massimo fulgore del design italiano, che m’iscrissi all’Accademia delle Arti Applicate di Milano: tre anni molto intensi durante i quali studiai architettura, storia dell’arte, viaggiai e incontrai personaggi come Giò Ponti e Gae Aulenti. Grazie a Marco conobbi poi Tito Varisco, grande architetto e direttore del Laboratorio di scenografia del Teatro alla Scala, che potei frequentare come auditrice. Io la definisco “inquietudine culturale”: è quella mi ha da sempre spinto ad accumulare conoscenze, informazioni, letture. Scherzando dico sempre di aver fatto un Dams ante litteram, toccando tutte le arti che ritenevo mi sarebbero state utili per il mio lavoro di insegnante e coreografa. Col senno di poi credo di non aver sbagliato. Diario di viaggio Bucarest. 1975. Un’esperienza trascendentale. “I viaggi danno una grande apertura mentale: si esce dal cerchio dei pregiudizi del proprio Paese e non si è disposti a farsi carico di quelli stranieri”. E’ una frase di Montesquieu che mi è sempre piaciuta. Per me viaggiare significò soprattutto poter visitare quei paesi dove veniva utilizzato il cosiddetto “metodo sovietico” della danza classica. Appresi il più possibile e applicai tutti quei concetti sin dai primi anni d’insegnamento in Accademia. Il primo viaggio fu a Bucarest. Stavo all’Athena Palace Hotel, l’unico albergo dove poteva soggiornare un turista occidentale. Era un edificio imponente, tutto marmi scuri, luci soffuse e moquette. Non rimasi sorpresa dalla cupezza del posto, perché alcuni mesi prima con Marco eravamo stati in vacanza sul Mar Nero, invitati della prima ballerina dell’Opera di Bucarest, Ileana Iliescu. Anche in quel caso soggiornammo in uno degli alberghi considerati tra i migliori della zona, a Costanza, e ci ritrovammo a dormire nella suite solitamente riservata al dittatore Nicolae Ceaucescu. Tende rosse, mobili e pareti di mogano scuro. L’unica tonalità chiara era quella dei mazzi di gladioli bianchi appoggiati sui due comodini. Ricordo uno sguardo di complicità con mio marito. Entrambi avevamo ben impressa la mitica camminata di Rudolf Nureyev all’inizio del secondo atto di Giselle, entrata nella storia della danza: quando si apre il sipario, c’è la famosa scena dell’attraversamento di Albrecht che Nureyev - avvolto in un ampio mantello nero e con questo mazzo di gladioli bianchi appoggiato sul braccio sinistro che porta sulla tomba di Giselle - ha reso memorabile. Marco conobbe Ileana Iliescu a Pavia, quando venne con la compagnia del Teatro dell’Opera di Bucarest a ballare al Teatro Fraschini. Nacque così un’amicizia che dura ancora oggi, nonostante la lontananza. Autoritarismo sfrenato, repressione e povertà. La Romania viveva una delle sue stagioni peggiori eppure i romeni erano generosissimi e mi accolsero con grande calore. Ileana fu il tramite che mi permise di vivere un’esperienza trascendentale. La danza era considerata una delle perle più preziose delle arti, un pezzo fon- dante della cultura di quel paese, tenuta in grandissima considerazione dall’élite intellettuale. La Scuola di Coreografia di Bucarest era un tempio dell’insegnamento della danza classica. Ciò che respirai immediatamente furono l’ordine e la disciplina. Alinta Vretos, la direttrice della scuola, aveva una figura asciutta e severa. Poche parole, sguardo diretto e penetrante. Capii subito che doveva essere un’insegnante di quelle che raramente s’incontrano. Un talento da cui assorbire tecniche e approcci. Ne ebbi la conferma durante una lezione: ad un certo punto lei si allontanò dall’aula a metà di un lungo esercizio sulle punte, facendo cenno al pianista di non smettere di suonare. Le sue alunne continuarono l’esecuzione impeccabilmente, senza dire una parola e senza distrazioni, eseguendo complicate traiettorie geometriche multiple in svariate direzioni. La Vretos rientrò in aula pochi secondi prima della conclusione dell’esercizio che le alunne finirono come se lei non si fosse mai allontanata. In quelle settimane ebbi modo di relazionarmi con insegnanti e maestri che più volte all’anno 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Un caro pensiero è quello che rivolgo a te, cara Pilar, collega e amica. Ci siamo conosciute tanti anni fa, nel 1975, quando venni a Vercelli nella tua scuola di danza, era ancora il Liceo Musicale, per uno stage di danza. Pochi mesi dopo t’invitai all’Opera di Bucarest per tenere alcune preziose dimostrazioni di danza spagnola, oltre che per assistere alle prove e agli spettacoli della nostra Compagnia di danza. Quanta meraviglia ripensando a quella piccola scuola di danza che nel tempo è diventata una grande ed importante Accademia. Meravigliosa è anche la tua fama di grande maestra e coreografa, i cui importanti successi sono conosciuti a livello internazionale. Sono davvero felice di aver conosciuto una donna stupenda come te e soprattutto una cara amica. Ileana Iliescu andavano a Mosca per frequentare stage e corsi intensivi: fu lì che appresi le ultime tendenze della metodologia e le nuove tecniche applicate al balletto, metodi che ebbi poi modo di riproporre quando tornai a Vercelli. Anka, una giovane appena rientrata dalla Russia mi tradusse in francese il metodo Tarassoff, applicato alla scuola di danza del Teatro Bolshoi di Mosca, il più innovativo ed importante strumento pedagogico, al quale io ebbi la fortuna di attingere in presa diretta. A molte lezioni partecipai come alunna ma ci fu anche l’occasione per un do ut des quando un coreografo della compagnia, Markus, mi chiese di insegnare al corpo di ballo la gestualità delle danze spagnole, perché desiderava che la versione di Don Quisciotte che stava montando fosse quanto più fedele possibile all’ispirazione ispanica di quell’opera. Furono giornate molto intense e mi restava poco tempo per altro. Ma con Ileana Iliescu frequentai spesso il Teatro dell’Opera, dove ebbi modo di vedere balletti e opere liriche. Le étoiles quando non si esibivano assistevano con entusiasmo alle esibizioni e agli spettacoli delle colleghe: fu proprio in quelle sere quando gli anta gli aveva superati da un che conobbi Cristina Hamel, una prima bel pezzo. La conobbi in Spagna grazie ballerina molto conosciuta, che mi inviad uno dei miei maestri, il grande balletò spesso a casa sua, così come fecero alrino e concertista José de Udaeta, il “re tri esponenti dell’alta borghesia rumena, delle nacchere”: molti Vercellesi ricoroccasioni per incontrare artisti, intelletdano ancora il magnifico concerto che tuali di spicco. Feci una full immersion tenne al Dugentesco, grazie alla volonnei balletti e nelle opere più importanti tà e allo straordinario intuito di Joseph e di repertorio. Il ricordo più indelebile Robbone. Frequentai i corsi della scuola è però legato alla prima del del balletto classico di Cuba. Rigoletto. Avevo già visto alUn privilegio che mi permise Appresi le ultime tendenze tre volte l’opera di Verdi, ma della metodologia e le nuove di seguire tutti gli otto livelli quella sera era come se avver- tecniche applicate al balletto, di corso. L’essere madrelintissi delle vibrazioni diverse. metodi che ebbi poi modo di gua spagnola mi permetteva riproporre quando tornai a Certo, fu un caso o forse una di avere un rapporto diretto Vercelli simpatica coincidenza, ma e molto intenso con gli insequattro anni dopo a Vercelli, gnanti che mi spiegarono tutnel 1979, avrei firmato la prima coreoti i dettagli del loro metodo pedagogico. grafia per un’opera lirica al Civico di Costatai de visu le origini “cecchettiane” Vercelli. Quella del Rigoletto. di Alicia Alonso, di cui lei stessa mi aveva parlato qualche anno prima a Milano, L’Avana. Habana. 1978. dove si trovava per dirigere la rappresenEl alma Cubana. tazione della Bella addormentata al Teatro A Cuba in quegli anni una stella della alla Scala. Mi svelò che quando era giovadanza brillava su tutte. Quella di Alicia ne ebbe modo di frequentare gli Studios Alonso, direttrice del Ballet Nacional de a New York e prendere lezioni proprio Cuba, splendida étoile che, benché quasi da Cecchetti, dal quale imparò la brillancompletamente cieca, ha ballato anche te tecnica della batterie, un incrocio ve- loce dei piedi nei salti, una caratteristica peculiare della “scuola italiana”. La bellezza del centro storico, i palazzi coloniali spagnoli, la vegetazione lussureggiante: come posso scordare il Casco Viejo, con la cinta d’acqua e le cascate naturali dove sguazzavano indisturbati intere famiglie di coccodrilli? O i monumentali manifesti di Che Guevara che campeggiavano ad ogni angolo della città? Una volta mi aggregai ad Alfio Agostini, fondatore e direttore di Balletto Oggi, per andare in gita al Varadero: eravamo eccitatissimi all’idea di vedere per assistere a Giselle, interpretata dalla Alonso vidi per la prima volta il “líder máximo” che ebbi poi modo di incontrare altre due volte. A proposito di Castro. Ognuno fa le valutazioni politiche che ritiene, ma va sottolineata la grande valorizzazione del balletto che è stata compiuta a Cuba. L’istruzione era un valore sociale da promuovere, tanto che in ogni quartiere c’era una casa de la cultura e Castro teneva in grande considerazione il balletto tanto da incaricare la Alonso, certamente una delle più grandi ballerine del secolo scorso, di promuovere lo studio e la passione per la danza classica. E fu proprio la passione per la danza a lasciarmi sbalordita quando una domenica, passeggiando in un parco della città, vidi una folla di persone accalcarsi vicino la più famosa spiaggia di Cuba. Peccato ad un’orchestra. Mi feci largo e rimasi che a metà strada fummo investiti da una senza parole quando mi trovai davanti pioggia tropicale che allagò letteralmenad una delle prime ballerine del Balletto te la carreggiata e ci costrinse a tornare Nazionale che eseguiva un balletto aca L’Avana. compagnata da alcuni orchestrali: con Le giornate erano scandite da ritmi e le sue scarpette da punta, senza alcuna orari inflessibili. La mattina protezione su una piattaforentravo prestissimo in acma di cemento e sotto il sole cademia e ci restavo fino al cocente, eseguiva alcune vaNel mio soggiorno a Cuba tardo pomeriggio. Giusto il ebbi modo di scoprire i segreti riazioni come se fosse la cosa tempo per un cambio d’abito per arrivare alla loro tecnica più naturale del mondo. Il straordinaria e correvo a teatro: oltre che pubblico emozionato assisteper studiare avevo scelto di va a quell’esibizione che mi andare a Cuba anche per asfece capire in quale grande sistere al Festival della danza, una maniconsiderazione era tenuto il ballo, un festazione che aveva richiamato sull’isola moderno panem et circenses che conteneva tanti appassionati ballettofili da tutto il un grande messaggio sociale. Oltre alla mondo. Alicia Alonso, che Fidel Castro passione c’erano però bravura e talento aveva nominato Ministro della cultura, a fare la differenza: nel mio soggiorno a era riuscita ad organizzare un evento Cuba ebbi modo di scoprire i segreti per davvero unico, con compagnie provearrivare alla loro tecnica straordinaria, nienti dai teatri più prestigiosi e i baldiventando ballerini di livello eccezionalerini più affermati, come Anna Razzi, le, innovatori e al tempo stesso esecutori prima ballerina della Scala, che Marco fedeli del repertorio classico-romantico Pierin mise in scena un Daphnis et Chloé con Giselle, Les Silphides e il celebre Pas da trionfo. des Quatre, un divertissement coreograUna sera ero al Teatro García Lorca fico creato nel 1845 per le quattro bal- 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Accademia di Danza Teatro Civico diVercelli, Giselle 1984 Accademia di Danza Teatro Civico diVercelli, Meditation di Jules Massenet 1978 Elisa Mazzoli e Luca Panella Accademia di Danza Teatro Civico diVercelli, saggio lerine antagoniste di allora, cioè Maria Taglioni, Carlotta Grisi, Fanny Cerrito e Lucille Grahn. Glowacka, direttrice della Scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Varsavia, a tenere un corso di danza spagnola e tecnica delle nacchere. Conobbi Isabella negli Varsavia. 1986. anni in cui entrambe insegnavamo alla Trenta paia di nacchere in valigia. Scuola di ballo del Teatro alla Scala e nacDal caldo di Cuba alle temperature deque un’amicizia che proseguì nel tempo. cisamente meno miti di Varsavia. RicorAccettai molto volentieri il suo invito, do il freddo intenso di quel dicembre, partendo per Varsavia con trenta paia di con la neve che cadeva tutti i nacchere in valigia. Isabella giorni imbiancando l’eleganteneva dei corsi maschili ed er me viaggiare signific te centro storico di Varsavia, soprattutto poter visitare quei io stessa avevo (e avrei avuricostruito coi capitali dei paesi dove veniva utilizzato il to) talentuosi allievi maschi. ricchi ebrei polacchi fuggiti a cosiddetto “metodo sovietico” Impartii il mio insegnamento della danza classica. New York prima dello scemagli alunni del sesto, settimo pio nazista. Quasi dieci anni e ottavo livello e concludemdopo, quando a Vercelli l’Accademia di mo i corsi con uno spettacolo-dimostraDanza era una realtà rodata e mieteva zione nel teatro della scuola. Ricordo premi e successi, fui invitata da Isabella il calore e la carica di quelle ragazze e di quei ragazzi che mi avevano accolto come una di famiglia ed erano rapiti dai ritmi del flamenco. Nello spettacolo finale si esibì una giovane danzatrice indiana e ritrovai ancora una volta nell’ondeggiamento delle anche, nell’utilizzo delle mani e ancora nella percussione coi piedi nudi in terra i segni più evidenti dell’influenza che la grande madre, cioè la danza indù aveva avuto sul flamenco attraverso il secolare flusso migratorio dal Medio Oriente fino al sud della Penisola Iberica. Insegnare a Varsavia fu una delle esperienze più belle e significative della mia carriera. Ho negli occhi il clima di grande austerity e al tempo stesso la grande speranza che covava nei Polacchi, quella legata al trionfo di Solidarnosc, che avvenne appena tre anni più tardi. iniziavo, ancora allieva, a ballare nel corpo di ballo, vidi addirittura Loenide Massine in coppia con Mariemma ne Il cappello a tre punte coreografie dello stesso Massine, musiche di e alla, scene e costumi di icasso . Antonio Gades rimont per me ed un solista dell’ pera di oma, Giancarlo antaggio, il delizioso pas de deu nsue o di urina. Ecco perché, quando presi la direzione della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, pensai subito ad inserire tra le altre materie la danza spagnola con lo studio delle nacchere. Così invitai a tenere il corso Pilar: per aiutare gli allievi nel portamento nobile e la musicalit . Così, dal al , nello spettacolo di fine anno scolastico u inserito sempre un brano di danza spagnola coreografato da Pilar, di cui i titoli: Jaleo di jerez, Jota Aragonese, Farruca (dal tricorno di De Falla), Fandango, anze dell’Andalusia, Capriccio pagnolo. i saluto ilar, con l’a etto e la stima di sempre” Anna Razzi questi arricchenti “scambi culturali” sia nel corso dei miei viaggi sia quando, alla fine degli anni ’70 fui chiamata da Anna Maria Prina alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala, che diresse dal 1974 al 2006. Per me fu una grande soddisfazione perché potevo entrare nel tempio della musica e della lirica e tenere i miei corsi nella sala intitolata ad Enrico Cecchetti, molto particolare perché aveva la stessa pendenza del palcoscenico. Ho sempre pensato che fosse utile ed interessante portare a Vercelli personalità di quel calibro, non solo per dare prestigio all’Accademia, ma anche per far entrare gli alunni e gli spettatori nel circuito culturale del balletto. Del resto avevo conosciuto io stesso l’importanza di FIABE DA DANZARE. Ho sempre pensato che le fiabe siano un elemento fondamentale nella crescita pedagogica del bambino: se c’è un modo per valorizzare questo aspetto sta proprio nella drammatizzazione teatrale ed è per questo che ho pensato di mettere in scena Carissima ilar, in uesta occasione così speciale come i esteggiamenti per il trentesimo anniversario dell’Accademia di danza Citt di ercelli, e giunga il mio pensiero pi a fettuoso, anche nel ricordo della nostra bellissima collaborazione alla cuola di ballo del eatro alla cala. a sua passione, dedizione e amore per la danza e hanno permesso di raggiungere uesto eccellente traguardo. Ad maiora Anna M. rina le classiche fiabe della tradizione popolare. “Una fiaba da danzare è un fiore all’occhiello” scrisse Enrico De Maria, sottolineando l’importanza di questa iniziativa che ha coinvolto oltre 25 mila ragazzi che hanno assistito ai nostri spettacoli. “Non sappiamo quante altre realtà artistiche e culturali possano vantare numeri altrettanto roboanti. La data è il 1984. Pilar e Marco Sampietro propongono alle scuole elementari di inventare una favola: la più bella sarà coreografata dall’Accademia e presentata al Teatro Civico. Si chiama “L’ape regina” la prima fiaba su cui viene costruito un balletto: autrice la classe 5° A della Regina Pacis di Vercelli. Viene rappresentata nel 1985 in un Civico colmo di scolari delle elementari e delle medie. Il successo si ripete negli anni successivi, per ben undici volte con ben 39 rappresentazioni”. Con questa rassegna-concorso aprimmo la strada ai percorsi di conoscenza didattica sul teatro, ripreso successivamente da altre associazioni: per noi fu una grande scommessa vinta perché riuscimmo a coinvolgere per nove anni gli insegnanti e gli alunni delle scuole di Vercelli e della Provincia. Un grande successo interrotto poi fino al 2007, a causa della mancanza di contributi, quando andò in scena “Il borgo del riso”, spettacolo realizzato con l’Assessorato alla Cultura di Vercelli e all’Associazione nazionale giovani agricoltori. 1985 L’Ape d’argento 1986 La principessa del fiume 1987 Stefania e i mughetti 1987 La casetta nel bosco 1988 Il paese triste senza campana 1989 La principessa Arianna 1990 Le quattro stagioni 1991 …E tornò l’arcobaleno 1997 L’albero delle mele d’oro Biancaneve - Cristina Sarasso 2007 Il borgo del riso Giancarlo DeLama A Napoli ebbi la felice occasione di incontrare Pilar Sampietro. Si trovava impegnata presso la scuola di ballo del Teatro di S.Carlo. Mi fu presentata da una comune amica, Carmen Panader, già étoile dei Balletti del Marchese di Cuevas. In seguito alla nostra conoscenza, Pilar mi ha contattato per farmi partecipe di un suo progetto: la messa in scena di uno spettacolo barocco per la Corte Sabauda che anticipava ciò che sarebbe avvenuto in seguito con i balletti e gli spettacoli delle Madame Reali. La cosa mi ha riempito di entusiasmo e, affiancato validamente da Alessandra Ruffino, unitamente a lei mi misi alla ricerca di qualcosa di sconosciuto. Presso la Biblioteca Reale di Torino trovammo ciò che stavamo cercando: il Balletto dei Mercanti e delle Scimmie, lavoro presentato alla Corte Sabauda in occasione di un carnevale. Seguendo la cronaca dell’epoca che riportava con ricchezza di particolari le azioni coreografiche, ebbi la chiara idea di come poterlo rifare. Adattai al balletto musiche del periodo, dal momento che di quelle originali non si faceva alcun cenno. I costumi furono realizzati con maestria filologica, tutti cuciti a mano e chiusi solo con lacci, come erano i vestiti di quell’epoca. Lo spettacolo andò in scena per le scuole con il titolo “La Corte Danza in Piemonte” nel ridotto del Teatro Civico il 23 novembre 2002. Nello stesso ridotto lo presentai giorni prima ai promotori con una conferenza. Il soggetto e l’azione divertirono molto il giovane pubblico che seguì sempre con interesse ogni intervento. Pilar ancora una volta ha saputo offrire qualcosa di valido e inusuale, così gli studenti Vercellesi si son potuti fare un’idea di ciò che erano le rappresentazioni teatrali presso la Corte Sabauda, arricchendo le loro conoscenze. Gianfranco de Lama 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” COLLABORAZIONI e PREMI. Fummo contattati fin da subito per partecipare a rassegne di altissimo livello, dove i nostri allievi si distinguevano per capacità e bravura. Col passare degli anni il livello è sempre salito, come dimostrano le collaborazioni con la Rai (in particolare col programma per bambini Solletico, su Rai Uno) e Tele Montecarlo, oppure i corsi di perfezionamento e passo a due che fui chiamata a tenere a Calonge, in Spagna, un festival-stage di grande importanza che diressi dal 1989 al 1991. Per non parlare poi dei premi e dei riconoscimenti che l’Accademia ha vinto nel corso di questi tre decenni. “I concorsi sono fatti per i cavalli” diceva ironicamente Maurice Béjart, il grande danzatore e coreografo scomparso nel 2007, che guardava con sospetto al crescente moltiplicarsi dei concorsi. Io li ho sempre vissuti come occasioni non tanto per vincere, ma quanto per crescere e per confrontarsi con gente del mestiere: per questo ho sempre spinto per far partecipare i miei allievi, anche se costato che mentre una volta si parlava di rassegne, vere e proprie “feste della danza”, un palcoscenico su cui esibirsi dinanzi a persone esperte e competenti, mentre oggi si parla sempre e solo di concorsi (qualche volta piuttosto discutibili), segno probabilmente dell’alto tasso di competizione delle nuove generazioni. Tecnica, talento, preparazione, ci hanno permesso di portare a casa decine di premi e riconoscimenti: 1982 Milano Teatro Carcano III° Rassegna S. Calimero - Primo premio 1982 Adria Teatro Comunale II° Rassegna Scuole di Danza – Miglior gruppo 1982 Vercelli Teatro Civico Concerto di Natale – Targa del Sindaco 1983 Milano Teatro Poliziano IV° rassegna Scuole di Danza – Finalisti e miglio gruppo 1984 Milano Teatro Cristallo V° rassegna nazionale Scuole di Danza – Miglior gruppo e riconoscimento come prima scuola di flamenco in Italia. 1986 Torino Teatro Nuovo Agon II° rassegna scuole di Danza – Menzione speciale per professionalità e virtuosismo delle nacchere 1986 Torino Teatro Alfieri Centro studi Danza – Riconoscimento per meriti coreografici 1986 Vercelli Teatro Civio Armonia di Natale – Riconoscimento del Comune di Vercelli 1986 Mantova Teatro Comunale Concorso Gonzaga – Miglior Gruppo 1987 Vignale Piazza Agon – Apertura del festival 1988 Treviso Palaverde Concorso Benetton – Finalisti 1988 Milano Teatro Carcano IX° Rassegna nazionale di danza – Finalisti – Segnalazione come miglior gruppo di danza di carattere 1989 Torino Teatro Alfieri Centro Danza San Carlo. X° anniversario 1990 Vercelli Teatro Civico Stagione Lirica –Targa del Comune per la continuativa collaborazione svolta con l’Amministrazione Comunale 1991 Milano Teatro Carcano XII° Rassegna nazionale di danza – Premio Regione Lombardia 1993 Castiglioncello Castello Pasquini Omaggio a Tchaikovsky – Coreografie d’autore 1994 Firenze 1998 Cilavegna Rassegna nazione Scuole di danza – 3° premio sezione danza classica 1999 Riccione Teatro del mare Rassegna nazionale Scuole di danza – Menzione per la particolarità dell’esibizione presentata Teatro Valery Concorso nazionale Scuole di danza – Tersicore d’oro Settembre 2007 iniziano all’Accademia i corsi di Danza Contemporanea con l’insegnante Denise Zucca 2008 Barcellona Dance Award Concorso Internazionale – 2° premio danza contemporanea 2008 Torino Turin Endas Performance 1° premio danza moderna – Menzione speciale 2008 Forlì Endas nazionale 1° premio danza moderna gruppi – 3° premio clas sica – Borsa di studio consegnata dal presidente di giuria 2008 Loano Labat Loano Danza 1° premio concorso coreografico – Gran premio al miglior talento (Stefania Pederiva) 2009 Barcellona Dance Award 2009 Torino Turin Endas Performance 1° premio danza moderna gruppi kids – 1° premio danza moderna gruppi junior – Menzione speciale ala coreografia 2009 Milano Premio Tersicore Concorso Nazionale 1° premio Danza contemporanea Solista Juniores – 2° premio danza contemporanea gruppi juniores – borsa di studio 2009 Loano Labat Loano Danza Concorso Internazionale – 2° premio danza contemporanea 3° premio concorso coreografico Il fascino della lirica E’ impossibile fare il calcolo esatto delle ore, ma sono sicura di aver trascorso negli ultimi tre decenni più tempo al Teatro Civico di Vercelli che a casa mia. Conosco la porosità dei muri, gli angoli più nascosti e inaccessibili, la morbidezza del tessuto delle poltrone, gli scricchiolii degli assi del palco. In teatro mi sono incontrata (e qualche volta scontrata) con una delle grandi passioni della mia vita: la musica lirica. Sin dagli inizi della collaborazione con la Società del Quartetto, mi capitava di finire le prove, attraversare il corridoio che portava alle scale ed entrare in un dei palchi del Teatro da dove, in religioso silenzio, assistivo alle prove delle stagioni liriche. E’ stato semplice appassionarsi alla lirica anche grazie a Marco, che ha saputo guidarmi in un mondo che ha esercitato su di me un fascino sempre crescente. Negli anni ’70 e ’80 capitava spesso di andare alla Scala a Milano per assistere alle opere liriche, con allestimenti e regie grandiose. Ed è con l’esperienza che ho imparato a cogliere similitudini e analogie che uniscono il canto e il ballo. Ad esempio, così come nella lirica sono più difficili le note basse rispetto agli acuti, nella danza sono più difficili gli adagi o i moderati degli allegri, che richiedono passaggi più veloci ed è richiesta meno espressività. Ma ciò che ho imparato è a capire soprattutto l’importanza delle coreografie all’interno della messa in scena di un’opera. “Ho sempre pensato che l’opera sia un pianeta dove le muse lavorano assieme, battono le mani e celebrano tutte le arti” disse una volta Zeffirelli, forse uno dei più grandi nel saper rappresentare il furore verdiano, grazie anche agli insegnamenti di Luchino Visconti di cui fu allievo e assistente. Impossibile non essere d’accordo con lui. Melpomene e Tersicore hanno accompagnato tutta la mia vita artistica e personale. Intuii che l’interesse verso il direttore d’orchestra non era solo dettato da una fascinazione estemporanea ma dalla voglia di carpire i dettagli, la preparazione ed entrare in quel mondo musicale per cogliere i tempi che avrei poi adottato per le coreografie. Nel 1981 fui chiamata ad ideare le coreografie per il Rigoletto. Mi resi conto dell’importanza del balletto nella lirica, cui i più grandi geni avevano dedicato ampie pagine da inserire nelle loro opere, che non aveva mera funzione di contorno al bel canto. Oggi poi siamo al paradosso dell’estremizzazione: scenografie minimali, costumi minimali, balletti minimali in cui spunta sempre un nudo con un’eccessiva spinta all’esaltazione assoluta del corpo. Non è forse un’involuzione il ricorrere al minimalismo assoluto? Perché nel dopo guerra, seppur con pochi soldi e mezzi molto scarsi si facevano grandi allestimenti e oggi invece, spesso con la scusa della crisi, s’investe sempre meno nella lirica? “Destrutturare” l’opera significa impoverirla: è come togliere tutta l’artisticità che porta alla sua creazione, significa non tenere nella giusta considerazione il complesso lavoro di chi - registi, costumisti, truccatori, parrucchieri, trovarobe, tecnici delle luci e tutta la troupe di artigiani-operai profondi conoscitori della macchina teatrale, cioè tutta quella manovalanza altamente specializzata che muovono il ventre del teatro e perpetuano la magia del teatro - hanno permesso e permette all’opera di essere una delle 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” massime espressioni dell’arte italiana. “Croce e delizia, delizia al cor”. Ogni balletto preparato per un’opera è un piccolo, e allo stesso tempo grande, capitolo della vita dell’Accademia. Per questo è difficile fare una selezione, estrapolare e raccontare solo una piccola parte di questa storia lunga trent’anni. Realizzare una coreografia è sempre un lavoro serio e meticoloso, ma ideare quella per un’opera lirica è un impegno ancora più complicato e responsabilizzante, perché si lavora di concerto col regista e col direttore d’orchestra affinché il risultato finale sia un amalgama ben riuscito, omogeneo e accattivante. Per questo è un po’ “croce e un po’ delizia”, come canta Violetta nella scena V° del primo atto di La traviata. Lavorare su questo grande capolavoro, tratto da La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio, è sempre stato un piacere perché Verdi stesso aveva sempre scritto pagine di balletto di estrema importanza per le sue opere. Il regista Stefano Piacenti per il I° atto, dopo il toccante preludio, voleva un’apertura scoppiettante e così per la festa nella casa parigina di Violetta pensammo ad un intermezzo a tempo di can can di grande impatto.. La fatidica festa del III° atto ha una forte impronta spagnola, c’è un famoso coro dei matadores con la danza dei toreri e l’assolo del Torero Piquillo: io scelsi di fare un assolo in stile andaluso e una coreografia di demi-caractère per le famose zingarelle che nel corso della festa leggono le carte. Una soluzione che trovò d’accordo il regista e conquistò pubblico e critica. Molto importanti sono spesso le intuizioni per rendere ancora più speciale la messa in scena: il coreografo attraverso le sue idee deve valorizzare al massimo le pagine musicali e per fare questo sono indispensabili cultura e preparazione personale “Je vais danser en vostre honneur”. La Carmen di Bizet è forse una delle opere con più scene di ballo ed è una delle mie preferite, forse perché mi sono potuta sbizzarrire nelle coreografie, sempre rispettando il solco tracciato dal compositore. Nel II° atto c’è la famosa “scena della taverna”: nell’osteria di Lillas Pastia, mentre Carmen canta e balla con Mercedes e Frasquita arrivano prima Zuniga poi il torero Escamillo e poi Don Josè che, una volta scarcerato, raggiunge la bella Carmen per confessarle il suo amore, per altro ricambiato. “Je vais danser en vostre honneur” gli canta Carmen. Nell’apertura dell’atto ci sono due minuti di musica che si prestano ad una vera coreografia d’ambiente: chiesi allora il permesso al mezzo soprano che interpretava Mercedes per montare una coreografia con le nacchere – scegliendo quelle che producono il suono più ovat- Pilar Sampietro e Joseph Ruiz ne La traviata - foto di Giuseppe Barale Nabucco, 2007 tato proprio per non dar fastidio alla cantante. Feci allestire sul fondo del palco due pedane sopraelevate dove dieci coppie di ballerini marcavano il ritmo nell’attesa dell’arrivo del Torero Escamillo e montai questo zapateado in maniera ritmicamente perfetta, attenta a rispettare la musica e l’aria di quel passaggio. La sera prima del debutto, finito il lavoro in sala prove, mi fermai in teatro ad ascoltare la “generale” dell’orchestra e lì mi accorsi che il direttore aveva scelto di eseguire quei passaggi con un tempo tre volte più lento rispetto a quello originale. Richiamai immediatamente i ballerini e nel giro di poche ore cambiai al volo la coreografia, aggiungendo passi e movimenti, per rispettare la ritmica. Le musiche di Bizet si prestano alle coreografie in maniera perfetta, soprattutto i quattro preludi ai rispettivi atti della Carmen. Ci sono scene davvero meravigliose, come quella della quadriglia nel IV° atto, per la quale chiamai trenta ballerini, tra cui molti bambini che interpretavano i “mo- nelli”. Oppure, sempre nel IV° atto, nel maschera: grazie ad una serie di circostangiorno della tragica corrida finale feci ze riuscimmo ad avere gli allestimenti, accompagnare il coro dei venditori che le scenografie ed i costumi dalla Fenice intona “À duex cuartos” da un balletto di Venezia. Fu un trionfo, sia grazie alla composto da sedici ballerine con colorafattura eccelsa del materiale che alle inti e bellissimi ventagli. tuizioni del regista che ambientò la sceL’importanza dei dettagli. na a Boston, dunque in epoca Ho sempre cercato di aggiunmoderna e non nell’antica ealizzare una coreografia è sempre un lavoro serio gere degli elementi speciali, corte svedese come prevedee meticoloso, ma ideare dei dettagli che spesso fanno va la drammaturgia iniziale di quella per un’opera la differenza. Per un Macbeth Verdi, lui stesso costretto ad lirica è un impegno di Verdi, ad esempio, preparai introdurre alcune modifiche ancora più complicato e responsabilizzante un balletto pantomimico che spostando appunto la scena a riscosse molti applausi per Boston e trasformando il re in quella sembrava che un’intuizione così un governatore perché in pieno clima riparticolare: in realtà non avevo fatto alsorgimentale la censura borbonica contro che andare a rileggere la tragedia di siderò oltraggiosa la storia di un marito Shakespeare, divenuta l’archetipo della che uccide il presunto rivale in amore, brama di potere e dei pericoli ad esso cioè il re di Svezia. Fu grande soddisfaintrinseci, e prendere spunto dall’autore zione lavorare per la prima volta alla che si sofferma in una descrizione parmessa in scena nel 1986, soprattutto per ticolareggiata di questo balletto. A volte riuscii a risolvere uno dei passaggi più poi capitano delle grandi fortune, come difficili dell’opera, cioè quando la genla prima volta che assieme al regista te si raduna davanti all’antro della maga Piacenti mettemmo in scena Un ballo in Ulrica – che Verdi descrive come una 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Un ballo in maschera, 2009 meticcia dalla voce profonda e speciale, per i quali grandi registi come Toscanini hanno sempre voluto far interpretare a cantanti di colore per rendere quanto più verosimile il personaggio – per udire le sue profezie: in quel momento c’è la famosa aria “Re dell’abisso, affrettati”, sulla quale feci una coreografia di danza contemporanea molto coinvolgente, mentre nella scenografia delle fiamme rendevano ancora più suggestivo questo momento. La scena più nota, quella del ballo in maschera del III° atto, nel finale dove Renato si avvicina mascherato e trafigge con un pugnale Riccardo (cioè re Gustavo III) che muore tra la disperazione dei sudditi. Nel 2009 fu ambientato in uno splendido giardino d’inverno a Boston: ricordava quasi le ultime scene de Il ottor ivago. Nell’idea originale di Verdi, che inizialmente ambienta l’opera in Svezia (ma la censura Borbonica, in pieno periodo risorgimentale, gli vieta di metterla in scena perché considerava l’uccisione di un re qualcosa di oltraggioso), l’orchestra da camera suona in una sala attigua a quella del trono, dove accade l’attentato che conclude il dramma: e nell’‘86 mettemmo in scena per la prima volta quest’opera ambientandola in Svezia, e secondo le partiture sono previsti una quadriglia e un minuetto sommessi e sottotono. Ideare un balletto è tutt’altro che semplice perché queste due danze durano quasi sei minuti, un tempo decisamente lungo per una coreografia, reso ancora più complesso dalla musica suonata sottotono. Nonostante il passaggio musicale difficile trovai una strategia che rendesse il minuetto finale, che era il ballo dell’epoca, vivace e raffinato: così preparai un balletto di estrema eleganza e classe che piacque molto al pubblico. Rigoletto (1981 – 1990 – 2001), Carmen (1982 – 1985), Traviata (1982 - 1986), Un ballo in maschera (1986 – 2009), Norma (1987),Turandot (1987 – 1995 – 2008 – 2009), Machbeth (1988), Don Carlos (1990), Trovatore (2001), Aida (2005), Nabucco (2007) Ho collaborato coi registi Franco Vacchi, Stefano Piacenti, Guido Zamara e col direttore d’orchestra Alberto Leone, Claudio Maria Micheli. 30° Anniversario Accademia di Danza “Città di Vercelli” Per Vercelli e oltre... di Cecilia Malinverni VercelliViva VercelliViva, associazione culturale che si è posta l’obiettivo di analizzare e di stimolare i vari fattori, componenti la realtà della nostra città, ha voluto ricordare i 30 anni di attività dell’Accademia di Danza , sia perchè questo lasso di tempo rappresenta un traguardo importante, sia per il ruolo culturale interpretato nel panorama cittadino. Infatti l’Accademia, oltre che puntare sulla formazione di qualità per i propri allievi, ha regalato alla città innumerevoli spettacoli di repertorio e coreografie originali, che hanno contribuito ad affinare il gusto del pubblico ed a migliorare la sensibilità e la cultura degli spettatori e dei giovani vercellesi. Con la nascita della Accademia di Danza “Città di Vercelli” la direttrice Pilar si proponeva non solo di migliorare la muscolatura e di perfezionare l’aspetto fisico, ma anche di ricercare armonia ed eleganza nel portamento, di sviluppare la coordinazione, di affinare la musicalità e di elevare interiormente l’allievo, anche attraverso la gestualità consapevole. L’impostazione didattica e metodologica, voluta da Pilar, indusse molti genitori vercellesi ad iscrivere i propri figli, non tanto per indirizzarli verso una carriera artistica , ma perchè intendevano inserirli in un ambiente ricco di sollecitazioni e che offrisse la possibilità di potenziare le loro attitudini embrionali ed anche di arricchire la cultura personale, scoprendo le varie peculiarità di un brano , oppure il contesto storico-artistico di una creazione. Nelle sale del Teatro Civico, Pilar, sorretta dalla convinzione che la danza è un’arte globale, cercava di perfezionare la qualità tecnica, ma soprattutto, di convincere le allieve ad impegnarsi con entusiasmo, coinvolgendo tutta la persona. Tale combinazione di fervore da parte delle allieve, e, da parte di Pilar, di grande perizia tecnica e di intensità nel comunicare e nel realizzare spettacoli, produsse ben presto tante richieste di esibizioni, accompagnate da riconoscimenti e da premi. Lo spettacolo che entusiasmava il pubblico era, indubbiamente, “Danze e nacchere della Spagna del Cid Campeador” rappresentato prima a Vercelli al Teatro Civico, poi a Varallo , quindi anche in varie località della nostra provincia. La scelta di portare, con i debiti adattamenti, gli spettacoli dell’Accademia in alcuni paesi del circondario, rispondeva alla necessità di far conoscere ad un pubblico vasto e spesso restio a frequentare i teatri, una danza affascinante, coinvolgente ed allo stesso tempo di alto livello tecnico; ma Pilar voleva anche mostrare, orgogliosamente, la classe della coreografia, il sincronismo dei movimenti e l’eleganza del gruppo che era riuscita a creare con le ragazze della nostra zona. Pilar, affinchè le sue allieve non si illudessero, ma imparassero ad affrontare qualsiasi situazione, appena si presentava l’occasione, le portava a rassegne ed a competizioni importanti, perchè sperimentassero il confronto con altri danzatori più bravi ed approfondissero il proprio bagaglio culturale. Tale metodo ha aiutato le allieve a crearsi delle esperienze di maturazione artistica e sociale, basilari per la vita di ogni individuo, ma ha contribuito anche a “sprovincializzare” la nostra città, dato che le allieve hanno fruito delle occasioni di contatto con altre realtà, hanno potuto scambiare opinioni con ragazzi stranieri ed ammirare esibizioni artistiche di avanguardia ed, a volte, di essere guidati da Maestri autorevoli, che collaboravano con Pilar. Ad esempio, quando Pilar era stata nominata direttore artistico di “Stage di danza classica” negli anni 1989, 1990, 1991 a Calonge in Costa Brava, faceva esibire i suoi alunni, insieme a ballerini provenienti da scuole spagnole ed italiane, in variazioni di “Passo a due” con coreografie di Joseph Ruiz, di Ileana Iliescu, di Ludmil Ciakalli e di Margarita Trayanova. Cogliere l’opportunità di essere diretti da tali autorevoli maestri è stato indubbiamente una grande occasione per le alunne, ma anche un pretesto vantaggioso per promuovere il nome di Vercelli in Costa Brava. Certamente i successi sono stati vissuti dagli allievi con grande emozione e tante soddisfazioni, ma evidenziano un risvolto educativo basilare: serietà di preparazione, spirito di sacrificio nel conciliare lo studio scolastico con l’attività coreutica, creazione di feeling con i compagni, disponibilità a realizzare uno spettacolo “di gruppo”, alla cui perfezione dovevano tendere tutte le potenzialità individuali. I genitori stessi si sentivano orgogliosi, semplicemente perchè vedevano spettacoli entusiasmanti, che li ripagavano delle preoccupazioni accumulate. Spesso gli allievi dell’Accademia si rendevano conto che la precisione dei movimenti e la costanza degli esercizi e delle prove sono elementi indispensabili per dare ad uno spettacolo quell’energia e magia, che lo rendono evento unico. Per tale motivo gli allievi dell’Accademia hanno dato prova, in varie circostanze, di aver acquisito il rispetto delle regole anche al di fuori del palcoscenico, come ricorda Pilar stessa: a Verona le sue allieve avevano portato a termine le prove, sotto la pioggia, sugli spalti deserti del Teatro Romano, perchè, quel pomeriggio, era necessario attenersi rigorosamente al calendario, rispettando i tempi di esecuzione. Certo, le targhe e le medaglie, essendo il segno tangibile del successo, costituiscono il vanto dell’Accademia, ma se si vuole condurre un’analisi più approfondita, si deve riconoscere il merito del lavoro quotidiano di educazione e di forma- zione di cui hanno beneficiato i nostri ragazzi. Per questo, la nostra città di Vercelli può essere soddisfatta dei suoi giovani e grata alla direttrice Pilar; infatti la denominazione dell’Accademia automaticamente coinvolgeva la nostra città , che pur essendo un piccolo capoluogo di provincia, dimostrava, in altri teatri d’Italia e all’estero, di aver ragazzi bravi, in grado di eseguire esibizioni di qualità , applaudite e premiate che hanno contribuito a dare visibilità e prestigio alla nostra Vercelli. Già nel 1990 il Comune di Vercelli aveva consegnato a Pilar una targa “per la continuativa e professionale collaborazione svolta con l’Amministrazione locale”. In quel periodo Pilar stava realizzando un progetto considerevole “La fiaba da danzare”, un concorso riservato agli alunni delle scuole elementari, che prevedeva l’ideazione di una trama, avulsa dalle fiabe tradizionali, sulla quale Pilar avrebbe adattato musiche e coreografie per metterla in scena. Pilar quasi dimenticando il grande lavoro intrapreso per trasformare in rappresentazioni le idee fantasiose dei bambini, ricorda ancora adesso, con vero compiacimento, questo esperimento, che ha avuto il merito di divulgare la danza in modo capillare, di sollecitare la fantasia infantile verso un obiettivo tangibile e, soprattutto, di saldare l’entusiasmo espresso da bambini impegnati in vari ruoli: autore, ballerino e spettatore. Altro aspetto notevole era emerso dal concorso: i titoli e le trame indicavano che i bambini sono in grado di affrontare la realtà più scomoda, di saperla rielaborare e di trovare sempre messaggi positivi. In quegli anni in cui si stava combattendo la guerra serbo-croata, gli alunni della 5° B della Scuola Elementare “Rosa Stampa” di Vercelli, hanno rielaborato la paura che serpeggiava nel mondo, inventando “...e tornò l’arcobaleno” che vedeva l’esercito di ferro sconfitto dall’umanità dei bambini, mentre uno spettacolare arcobaleno, introdotto dalla IX Sinfonia di Beethoven, sottolineava la fiducia nell’Uomo, che trionfa sulle leggi assurde e disumane. Osservare la realtà che ci circonda e rielaborarla trovando delle motivazioni positive e messaggi di speranza: questo è stato un insegnamento che gli allievi dell’Accademia hanno imparato; l’ultimo esempio è stato proprio il balletto “ Un, due, tre...stella” impostato sul tema del bullismo, premiato a Torino. Pilar da buona Maestra, ha utilizzato tutte le sue capacità e conoscenze teoriche senza riserve, per dare ai suoi allievi il miglior insegnamento possibile, per questo VercelliViva ha offerto questo omaggio ad un personaggio tanto carismatico e importante per la nostra città: reverance alla Maestra.