periodi di residenza da domenica 8 a sabato 14 dicembre 2013 e da venerdì 25 aprile a sabato 10 maggio 2014 incontro pubblico teatro Lea Padovani sabato 7 dicembre ore 21:00 Anteprima sabato 10 maggio 2014 al teatro Lea Padovani di Montalto di Castro LEAR di Edward Bond adattamento e regia Lisa Ferlazzo Natoli traduzione Tommaso Spinelli con Matteo Angius, Marco Foschi, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Monica Piseddu, Francesco Villano Produzione lacasadargilla in coproduzione con Teatro di Roma e Emila Romagna Teatro Fondazione “Non crediamo più a questo mondo, anche la morte, l’amore ci riguardano a metà. Il legame tra uomo e mondo deve essersi rotto; è questo legame a dover diventare oggetto di credenza” Gilles Deleuze NOTE DI REGIA. Lear è la tragedia del collasso di un mondo e del linguaggio che questo sostanzia e sostiene, tragedia dello smembramento e della dispersione, perché è il nome del Padre, della parola che da questo ereditiamo o da cui veniamo inevitabilmente scacciati. È il canto della perdita e dell’erranza. Tragedia barbarica, Lear è il grande racconto della violenza e dell’orrore, della guerra disseminata in ogni atto o parola, dello Stato-Nazione che edifica se stesso su silenzio e abuso. Quando i padri non riescono a lasciare un’altra eredità e i figli non sanno quasi più immaginarne una nuova. Pure il King Lear di Shakespeare è, nel suo impianto profondo, una tragedia cosmologica, la tragedia che registra la presa di coscienza del venir meno di un cosmo. Vi si compie una funesta spaccatura, cui segue una caduta senza fondo. Un precipizio. Dunque, che cosa dice al contemporaneo che non ha più un’idea di cosmo? Oggi - ancora tutti in questa caduta - non è forse venuta meno proprio quella rappresentanza che il Lear di Bond adombra con formidabile modernità e, sotto le sue rovine, ogni possibile idea di rappresentazione? Bond mirabilmente ci avverte: “Resistere finche verrà il tempo di un cambiamento è una morale pericolosa. Abbiamo meno tempo di Shakespeare. Siamo a corto di tempo.” E il suo Lear della violenza letterale, con tattiche degne di azioni terroristiche, riporta in superficie quel profondo, disturbante disagio che ogni giorno abbiamo di fronte alla controversa democrazia dei nostri StatiNazione. Nel testo di Bond Lear è un autocrate paranoico che si appresta a costruire un muro per tenere fuori i nemici. Le figlie Bodice e Fontanelle gli si ribellano causando una guerra sanguinosa e una lunga catena di abusi ‘di stato’. Lear, divenuto loro prigioniero e poi accecato, è ossessionato dal fantasma del figlio di un becchino, la cui gentilezza verso il re lo ha portato alla morte. Dopo un arco - tutto teatrale e letterale - di violenza e consapevolezza, si lascerà uccidere provando a smantellare il muro da lui stesso edificato. 1 UN LEAR EUROPEO. Le antiche Chronicle, Shakespeare in sottofondo, un presente edificato su alte mura e il futuro adombrato con inquietante lungimiranza. L’intera struttura e il senso intorno a cui si scrive questo Lear lo strappano immediatamente alla sua connotazione ‘inglese’, e lo lasciano ad affrontare una questione tutta occidentale: quella della violenza, dei confini geografici e culturali e delle ferite su cui si sono edificati gli Stati-Nazione. Non a caso nella vicenda tutto gira intorno a un muro, ad una compressione, a uno stato di pericolo diffuso, che proprio per la sua flagranza non solo parla di Berlino, di quelle cortine di ferro che potrebbero sembrarci ricordo antico, ma ci costringe a rintracciare altre mura che, sempre più sottili, ci chiudono in un centro ridotto a una silenziosa periferia dell’anima. Nella lunga introduzione di Bond si parla di violenza in tutte le sue forme, anche quelle più sapientemente democratiche; si parla di società – tecnologiche e non – che manipolano e ridefiniscono in forme sempre nuove il concetto di violenza, rendendolo via via più minuzioso, accettabile nella sua quasi trasparenza. Era il 1971. Così Leo Lowenthal sul nazismo e tutte le società del controllo “[…] la vita diventa per tutti una catena di shock attesi, subiti, oppure evitati, e questa teoria delle esperienze intermittenti conduce alla frammentazione dell’individuo. In una società […] nella quale tutto è pianificato con la massima cura, il piano consiste per gli individui nel fatto che per loro non c’è, né ci dovrà mai essere alcun piano.” E oggi? Semplicemente oggi quella violenza conforma le nostre società. Come se fosse in atto da tempo una lunga e silenziosa occupazione dell’immaginario. Cui segue quella corruzione dei linguaggi e una sorta di assuefazione opaca che di fatto lascia disponibili solo poche forme da immaginare per edificare un futuro. Procedimento autoimmune che ripete se stesso, con il disturbante sospetto che l’Europa abbia cominciato a perdere la sua battaglia già nella ricostruzione post bellica, per perdersi forse definitivamente dopo la festa per il crollo del muro di Berlino. Violenza che replica violenza, in un oggi che edifica se stesso con lo stesso principio di pericolo, shock economico o allarme contingente che sia. Inevitabilmente, per questo, Lear si scrive dopo la Shoah, Hiroshima, i tanti muri d’Occidente, e uno stato delle cose tutto contemporaneo, il passaggio dalla violenza linguistica di Shakespeare ad una violenza letterale, tutta mostrata, con pretesa di ‘realtà’ oscena, quasi grottesca. Violenza peculiare, inquietante e ben lontana da ogni catarsi che, come un incubo misterioso, si spande sulla vita di ogni azione in scena. Necessario per noi, allora, chiedersi come rappresentarla - oggi - questa violenza. Renderla tangibile ad un presente del tutto assuefatto ad ogni rappresentazione, giocando sui pudori e le paure sociali senza mascherarla, perché tutto il disagio che questa produce conduca a sentirla così profondamente inaccettabile che sia anche solo vagamente desiderabile un cambiamento. Disagio come occasione e pulsione, perché nella compressione senza scampo della storia si produca una crepa nei personaggi prima, e nello spettatore poi. Perché in fondo l’unico gesto possibile per testimoniare la realtà di un mondo è il morirvi, ovvero agire nel suo cuore un passo via l’altro con cognizione della sua natura e dei suoi margini. NOTE SULLA MESSA IN SCENA. Pur immaginato per un teatro all'italiana come il Teatro Argentina, lo spettacolo è pensato per ridisegnare gli spazi, tradizionali e non, di ogni teatro che lo ospiterà. Novanta minuti per sette attori, lo spazio è quello ritirato e tutto teatrale del palcoscenico, in cui un ampio fondale di tessuto spesso e con l’aspetto di una parete ferrosa, come di un impianto industriale in abbandono, avanza inesorabilmente verso l’arco di proscenio lungo il corso della tragedia, a raccontare la graduale compressione del mondo tutto intorno ad un principio di violenza e di abuso. Sette sedie di ferro, mobili, ma quasi sempre frontali, ad ospitare i tantissimi personaggi - come fossero tipi di un’intera società - di cui gli attori prenderanno posture e parole. L’intero testo restituito come in un processo, i sette attori a impersonare ‘a vista’ i ventisette personaggi di Bond, in una prova teatrale che ha la natura di un azzardo, come gesto di parresia. 2 Singolare testimonianza teatrale, che ha il sapore di un discorso pubblico e allo stesso tempo di una grande, cupissima, cena di gala, a ricordarci che le istituzioni d’ordine e moralità sono inevitabilmente più distruttive del crimine. Intorno sempre il suono: di chiavistelli, lucchetti e porte chiuse attorno al pubblico, di personaggi presenti solo in voce come per un’allucinazione, della costruzione del muro e di tutte le sanguinose torture che le figure di questo racconto sembrano richiedere. Questo Lear, restringendo il suo spazio, anche sonoro, racconta di un mondo dominato dal mito originario dello Stato, del suo scontro con il reale e del risolversi temporaneo di quel conflitto testimoniandone la piena realtà, morendovi. “Non abbiamo bisogno di un piano per il futuro, ma di un metodo per cambiare”. Parte integrante del progetto sul Lear di Edward Bond – testo mai pubblicato in Italia – sarà un nuovo lavoro di traduzione e un’adeguata pubblicazione che, insieme al Lear, comprenderà una serie di testi inediti e le conversazioni, anche esse inedite, avvenute fra la regista Lisa Ferlazzo Natoli ed Edward Bond nel settembre 2013. Il progetto è a cura de lacasadargilla in collaborazione con Teatro di Roma e sarà pubblicato dalla casa editrice minimum fax di Roma. CURRICULA LISA FERLAZZO NATOLI Attrice e regista, esordisce alla regia nel 2004 con Tre sorelle di Cechov; è regista e interprete di vari recital-concerto fra cui Il canto d’amore e di morte dell’Alfiere da Rilke (Roccella Jonica Jazz Festival, 2005) e Gente dal Ponte, recital-concerto dedicato a Wislava Szymborska con Gianluca Ruggeri (Roma Poesia 2006). Nel 2006 scrive e firma la regia de La casa d’argilla (Festival di ParmaTeatro Due, finalista al Premio Scenario), e di Favole della Dittatura da Sciascia (Centro Internazionale La Cometa). Nel 2007 scrive e dirige Il Libro delle Domande (Festival Garofano Verde) e l’opera lirica La Bella Dormente nel Bosco di Ottorino Respighi (Teatro Rendano, Cosenza). Nel 2008 dirige Ascesa e rovina della città di Mahagonny da Brecht (Teatro Vascello; Festival Internazionale de Il Cairo) e per ZTL 2009/RomaEuropa presenta il nuovo lavoro Foto di Gruppo in un interno. Nel 2009 cura Storie tra letteratura e cinema per la giornata mondiale del libro (Teatro- Biblioteca Quarticciolo), sempre nel 2009 progetta (con Silvana Natoli e G. Ruggeri) e dirige il Festival di Fantascienza Urania al Teatro India di Roma. Nel 2010 presenta una riscrittura di Attentati alla vita di lei da Martin Crimp (Centro Internazionale La Cometa) e, per Il Napoli Teatro Festival Italia, una riscrittura di Ascesa e rovina della città di Mahagonny. Lo stesso anno fonda – con Alice Palazzi e Maddalena Parise – l’associazione culturale lacasadargilla. Dal 2010 collabora con Radio 3 con letture e regie di radiodrammi e dal 2011 con il Centro Ebraico Pitigliani ideando cicli di letture musicali con G. Coen. Nel 2011 dirige Katzelmacher da Fassbinder, selezionato nel 2012 allo Stanislavskj Festival di Mosca e Jakob von Gunten, presentato al Festival Inequilibrio/Armunia di Castiglioncello e, nella sua forma definitiva, al Teatro India di Roma (2012). Per l’Horcinus Festival, ha ideato con G. Coen il melologo Lo scialle di Cynthia Ozick. Nel 2012 coordina e dirige l’allestimento per il Teatro di Roma di Wake up! Bagliori della primavera araba, sei ‘corti’ teatrali curati giovani autori dedicati alla Primavera araba. Insieme con la sua compagnia lacasadargilla e alle associazioni Santasangre e Muta Imago, progetta l’opera collettiva Art you lost? 1000 persone per un’opera d’arte che debutta come progetto speciale del Teatro di Roma (2012-2013 Roma, Teatro India, 2013). Nel 2013 con la sua compagnia lacasadargilla e Muta Imago realizza e coordina l’allestimento di Ciò che resta del fuoco, un progetto di Teatro di Roma per ricordare il rogo dei libri del 1933 a Berlino. Sempre nel 2013 cura la mise en espace de Il gatto verde, nell’ambito del progetto Fabula Mundi (Short Theatre-2013). Insegna stabilmente al Centro 3 Internazionale La Cometa, collabora con scuole private, istituzioni universitarie e Accademie di Belle Arti. ASSOCIAZIONE CULTURALE LACASADARGILLA Attiva dal 2005, lacasadargilla riunisce intorno a Lisa Ferlazzo Natoli – autrice e regista –, ad Alice Palazzi – attrice e coordinatrice dei progetti – e a Maddalena Parise – ricercatrice e artista visiva –, un gruppo mobile di attori musicisti drammaturghi cineasti artisti visivi tecnici e organizzatori. Ensemble allargato che lavora assieme su spettacoli, istallazioni, concerti, rassegne e attività di formazione, lacasadargilla non è un collettivo, probabilmente neanche esattamente una compagnia, ma un ensemble che, come una costruzione mai finita, è malleabile e in movimento. lacasadargilla – sia nel caso di spettacoli teatrali che di istallazioni – comincia con una naturale propensione alle scritture, siano esse originali o meno, assecondando un principio musicale, tematico e associativo, intorno a una lingua, la nostra, ad un linguaggio – spaziale narrativo o visivo – che permettano al percorso dello spettatore l’elaborazione poi di un testo come movimento immaginifico e riflessivo. Per quanto riguarda gli spettacoli, la natura di partitura – spesso corale – della scrittura ha subito implicato un approccio fondamentalmente spaziale e ritmico fortemente legato al corpo. Il suo essere quasi sempre scrittura collettiva che stratifica i materiali più diversi sparpagliandoli nel testo, ha avvicinato la ricerca a quel grande bacino della memoria che sono le immagini fotografiche. La drammaturgia si è costruita non a caso intorno a certi temi: l’elaborazione della morte, l’assassinio e la rottura di un divieto, il nucleo familiare, il legame tra scienza e rappresentazione, tra educazione e potere. E a certi luoghi, che potremmo chiamare ‘senza scampo’: casa, stanza, città, ospedale o istituto educativo. Anche i lavori più ‘istallativi’ hanno una matrice narrativa; le immagini prendono in qualche modo ‘posizione’ sia che si tratti del loro innesto in uno spettacolo, sia che si declinino in mostre-percorso fatte di più elementi espressivi: fotografie in serie, suoni, testi, oggetti. Qualche esempio: La casa d’argilla – scrittura originale – cinque donne intorno a un tavolo per un lutto che si trasforma in veglia magica. Il Libro delle Domande – da P. O. Enquist – la follia e il corpo esposto sulla gogna del teatrino ospedaliero della Salpetrière. Ascesa e rovina della città di Mahagonny – da Brecht – lo spettacolo e le regole feroci nella costruzione della polis; Foto di gruppo in un Interno - scrittura originale - una famiglia di Trieste negli anni ‘30, ebraismo, connivenza con il fascismo e oscuri giochi di famiglia all’ora del tè. Urania. La città delle storie disabitate, la messa in scena musicale di classici della fantascienza e un racconto per immagini proiettato sulla scenografia naturale del Teatro India di Roma. Jakob von Gunten – da Robert Walser – il diario di un giovane di buona famiglia in un misterioso istituto per servi. Katzelmacher – da Fassbinder – racconto sui fascismi di provincia e sui sistemi coercitivi del branco, I capitolo di Una Trascurabile Trilogia Europea immaginata per giovanissimi attori. Slides. Ritagli del tempo – istallazione multipla di diapositive –, intorno ad alcuni nodi tematici dello spettacolo La casa d’argilla. Art you lost? 1000 persone per un’opera d’arte – un’inedita istallazione-performance realizzata con Muta Imago, Santasangre, Matteo Angius intorno al tema della perdita. Opera collettiva che mette lo spettatore al centro del lavoro artistico trasformando gli spazi del teatro India in “città vivente” o “stazione orbitale” con le tracce del nostro passaggio improvviso, ora fermato in forma d’arte. Cio’ che resta del fuoco – una lunga notte dei libri, una chiamata collettiva alla cittadinanza per restituire voce e immagini a quella straordinaria letteratura che i nazisti hanno provato a cancellare con i roghi iniziati a Berlino negli anni ‘30. Lavoro realizzato in collaborazione con Muta Imago. lacasadargilla ha collaborato tra gli altri con: Roma |Teatro Vascello, Teatro di Roma, Teatro Biblioteca del Quarticciolo, Angelo Mai Altrove Occupato, KollatinoUnderground, Teatro Palladium e ZTL/pro, Centro Internazionale La Cometa, Università di Roma Tre, Centro Ebraico Pitigliani, RomaPoesia, Short Theatre 8. Parma | Teatro Due. Torino |Teatro Stabile. Cosenza | Teatro dell’Acquario e Gran Teatro Rendano. 4 Messina |Sala Laudamo e Università di Messina. Pescara | Teatro Florian. Napoli | Napoli Teatro Festival Italia. Castiglioncello |Festival Inequilibrio/Armunia. Santarcangelo di Romagna | Santarcangelo �13. Festival Internazionale del Teatro in Piazza. Il Cairo | International Festival of Experimental Theatre. Mosca | Stanislavskj Festival, Moscow Art Theatre. Nel 2014 lacasadargilla sarà con Lear di Edward Bond al Teatro Argentina di Roma. 5