DON GIOVANNI E LA COMMEDIA DELL`ARTE Non c`è

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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
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DON GIOVANNI E LA COMMEDIA
DELL’ARTE
Non c’è uomo adulto al mondo che possieda un
simile talento musicale, un compositore in grado
di scrivere su pentagramma un’aria con tanto di
contrappunti e un’orchestrazione complessa e
sconvolgente come sa fare questo genio della
musica. Costui è un ragazzo ma che dico, è un
bimbo… Il suo nome in italiano è Wolfango
Amedeo Mozart, ma in verità si chiama
Wolfgang Amadeus. Ho conosciuto altri di
questi fenomeni ma nessuno con tale talento. Gli
bastava ascoltare un’aria accennata anche con la
sola voce ed egli era in grado con una rapidità
impressionante di metter giù un intero concerto.
Chi vi parla è addirittura Gioacchino Rossini che
scrisse il Barbiere di Siviglia e lo allestì a
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Venezia e poi a Roma all’età di soli vent’anni.
Quindi di fenomeni se ne intende! Qui noi
parleremo del Don Giovanni scritto da Mozart
che da ragazzino venne in Italia con suo padre
che l’aveva allevato nella musica fino a crearne
un prodigio.
A me è successo di recitare qualche anno fa in
uno stupendo teatro che si trova a Mantova, una
lezione-spettacolo proprio sul Don Giovanni di
Mozart. L’architetto a cui si deve il progetto e la
realizzazione di questo teatro è Antonio Galli da
Bibbiena, nato a Parma alla fine del ‘600.
Sapevo che su quel palcoscenico si era esibito
col
clavicembalo
Wolfango
Amedeo
da
ragazzino ottenendo, come gli era solito, un vero
e proprio trionfo. Di quel teatro egli stesso
commentò: difficile che mi possa succedere di
esibirmi ancora in un altro palcoscenico dotato
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di tanta magia come quella che ho vissuto questa
sera. Mi sembrava che tutto il teatro, palchi e
platea compresa fosse un enorme strumento
musicale dentro il quale andavo suonando. Le
note si muovevano in tutto lo spazio, si
ingigantivano e diventavano sottili ma non si
spegnevano mai. Dentro uno strumento simile
potrei suonarci per tutta una notte intera senza
sentirmi mai saziato. Accidenti che testa e che
sensibilità quel Wolfango Amedeo Mozart. Io
stesso, recitando su quel palcoscenico, ho
vissuto la medesima sensazione, quella che tutta
l’architettura del teatro fosse in verità uno
strumento completo.
Il Don Giovanni di Wolfango Amedeo è
senz'altro uno dei maggiori capolavori del teatro
musicale e non solo del '700, ma è anche la più
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famosa fra tutte le opere liriche rappresentate
negli ultimi quattro secoli.
Il Don Giovanni, detto anche “El Burlador de
Sevilla” è un'opera da porsi fra le tragedie in
musica, ma il suo assetto strutturale, quello che
noi del teatro recitato chiamiamo la situazione
scenica, è assolutamente mutuato dall'opera
buffa o meglio ancora dalla commedia dell'arte o
buffoneria!
Ho detto proprio così: buffoneria! So benissimo
di aver pronunciato una bestemmia per molti.
Ma mi spiace soprattutto per i melomani mistici,
la verità è assolutamente questa! Ce lo
testimonia
Delia
Gambelli,
forse
la
più
autorevole e documentata studiosa del teatro del
Sei-Settecento in lingua italiana.
Già che ne abbiamo l'occasione ribadiamo subito
che nel XVIII Secolo era quasi d'obbligo per i
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musici mettere in scena solo opere cantate in
italiano, poiché la nostra lingua era considerata
da ognuno l'unica perfettamente consona alla
musica.
Esistevano già al tempo di Wolfango Amedeo
compositori che si erano serviti della commedia
comica all'italiana per musicare un'opera lirica;
ma ognuno si limitava a temi e svolgimenti
assolutamente
ridanciani
dove
era
regola
assoluta che la situazione comica fosse il motore
principale dell'opera stessa.
Quindi tutto l'andamento teatrale si muoveva sul
gioco degli equivoci, sugli scambi di persona, su
innamoramenti costruiti sul caso, sul gioco della
beffa organizzata che si rovescia con effetti
disastrosi per chi l'ha orchestrata. Ma nel Don
Giovanni, come è nella sua edizione originale,
quella dello spagnolo Tirso De Molina, ci
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troviamo davanti a un testo assolutamente
tragico dove il protagonista ci appare come un
personaggio nient’affatto amabile, divertente,
ma al contrario deprecabile, infame spietato
gabbellatore di uomini e femmine. E tutti i
registi e gli autori del XVI secolo hanno sempre
rispettato quella situazione dall’inizio alla fine
del dramma che si risolve con una scena davvero
infernale. Ma nel caso del Don Giovanni di
Mozart succede un vero e proprio ribaltone
scenico: il giovane autore austriaco sfascia a
piedi giunti tutte le regole imposte nell’opera
drammatica.
Una scelta assolutamente fuori dal comune. Ma
quella di sortire a bella posta dalla consuetudine
era una costante di Wolfango soprannominato
“l'imprevedibile”. Tutto ciò che si esprimeva
dentro
le
leggi
della
forma
stabilita
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immancabilmente veniva stravolto e ribaltato dal
compositore di Salisburgo.
Ma nel nostro caso, con il Don Giovanni, come è
possibile, partendo da una vicenda che inizia con
un delitto (il protagonista Don Giovanni, uccide
il padre della donna che egli ha in animo di
sedurre) riuscire a capovolgere quel clima
trasformando ogni situazione in buffoneria?
E quale ne è il risultato?
Per capirne il paradosso basta analizzare con
molta attenzione i testi dai quali il giovane
compositore
di
Salisburgo
aveva
tratto
l’andamento dell’opera e la sua struttura scenica.
E’ chiaro che Mozart aveva saltato a piè pari
l’idea di servirsi dell’impianto originale del
dramma del creatore Tirso de Molina, che aveva
debuttato con grande successo più di un secolo
prima in Spagna. Si trattava di una vera e
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propria tragedia nel gusto e nella forma del
teatro spagnolo di quel tempo e al contrario,
Mozart aveva scelto di affidarsi completamente
all’idea dei comici dell’arte, che in differenti
edizioni lo avevano allestito già a Parigi al
tempo di Molière.
A questo proposito va detto che Molière a sua
volta mettendo in scena il Don Giovanni aveva
fatto grande attenzione all’impianto creato dai
comici italiani prima di lui.
La compagnia dei Gelosi, diretta da Tiberio
Fiorilli,
aveva
sbilanciato
l’organizzazione
interna dei canovacci in favore delle parti
comiche, inventando un rapporto inedito fra
serio e buffo, tra azione burlesca e azione
tragica. Quel rapporto, invece di esaurirsi nel
gusto barocco dei contrasti, o nella ricerca
sperimentale di nuovi equilibri, finiva per
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mettere in scena più o meno inconsciamente lo
screditamento e la presa in giro di ogni gravità.
In poche parole i comici dell’arte, tornavano a
realizzare una forma di spettacolo e di scrittura
creata dai greci quattro secoli avanti Cristo,
mettendo in primo piano il modulo nel quale si
dichiarava: non esiste nessuna forma di teatro ad
autentica dimensione umana se non si intreccia il
comico al tragico e viceversa.
A sua volta anche Molière, circa un secolo prima
di Mozart, prediligendo questo modulo, si trovò
ad
allestire
un’opera
che
rinnovava
completamente il genere originale ed entrava
con veemenza nel gioco più scoperto della
tragedia con contrappunto sbeffeggiato, e quindi
ne raddoppiava il valore.
Cioè finiva per attentare ai fondamenti di una
gerarchia verticistica dei generi, e così allo
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stesso modo di Molière, Mozart aveva intravisto
più acutamente di tutti la potenzialità eversiva ed
espressiva di quell’invenzione.
Ed ecco che emerge una differenza fatale
rispetto a tutte le versioni precedenti conosciute,
tanto in prosa che in musica: entra in scena un
protagonista imprevisto, lo scandalo.
Il pubblico intuisce che il compositore austriaco,
attraverso il Don Giovanni, da lui presentato
come opera giocosa, vuol raccontare non una
risaputa storia di seduzione e criminalità ma far
salire in primo piano quel comportamento
spudorato che si manifesta chiaramente come il
gioco del passatempo di chi, non avendo
problemi né di sopravvivenza né di denaro,
cerca di superare la noia servendosi di ogni
gaudio, anche il più infame.
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Ecco che il potere, denunciato dal teatro e messo
alla berlina, reagisce mettendo in censura ogni
ironia e lazzo morale, tant’è vero che, a
cominciare dall’opera di Molière, ha inizio il
massacro d’ogni forma di satira e si costringe il
più grande autore capocomico di Francia, a
cancellare l’opera dal suo programma, al punto
che mai più riuscirà a riportarla in palcoscenico
e il testo rimarrà sconosciuto nella sua versione
originale per la bellezza di quasi tre secoli.
L’opera di Wolfango non verrà trattata con
maggiore riguardo. Il committente del dramma
giocoso di Mozart e Da Ponte era nientemeno
che l’Imperatore Giuseppe II, ma ecco che dopo
l’anteprima
con
orchestra,
scenografia
e
costumi, mimi e danzatori al completo, tutte le
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previste repliche vengono annullate.
L’imperatore decide di sospendere il debutto
dell’opera e l’intera tournée, il cui allestimento è
costato parecchio denaro. State attenti: non si
tratta di rimandare il debutto per cause tecniche
o per un malore che ha colpito una prima donna
insostituibile. No. Si sospende e basta e nessun
cronista ha in cuore di commentare il disastro. E
in quel momento alla corte dell’Imperatore ce
n’erano una caterva di cronisti, venuti apposta
da ogni luogo per testimoniare il grande evento
ma nessuno ci dà notizia o giustificazione del
perché di quella censura. E in questi casi c’è una
classica espressione che viene in primo piano:
opportunità.
Qualcosa
non
è
piaciuto
all’Imperatore. Forse quel Don Giovanni offriva
troppe concomitanze con i fatti privati del
monarca. E così si “levan armi e bagagli” e si
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decide che il debutto avverrà altrove, in un altro
luogo, a Praga.
Lo spettacolo ha un enorme successo: è risaputo
che i cechi hanno un ottimo orecchio! Ma
malgrado ciò ancora Mozart si ritrova a dover
cedere ad un’altra censura, più subdola, in
quanto gli si impone di porre tagli prima ancora
di debuttare a Vienna, giacché gli si fa capire che
certi passaggi dell’opera non verrebbero graditi
dal pubblico della capitale.
Niente di più
comune!
Così si arriva a costringere il musicista a porre il
finale dell’opera subito dopo l’avvenuto castigo
dello scellerato Don Giovanni.
In questo modo si mozza di netto la chiusura,
compresa la morale conclusiva nella quale si
ritrovano tutti i personaggi a commentare la fine
di Don Giovanni e la sua indegnità, con il
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concerto finale in re maggiore che contiene la
spietata sentenza dell’opera.
Ma qui, forse per troppo slancio descrittivo, ci
stiamo
dimenticando
di
un
personaggio
determinante nella creazione di quest’opera.
Stiamo parlando di Lorenzo Da Ponte, il famoso
librettista, italiano naturalmente, che a quel
tempo stava a servizio dell’Imperatore Giuseppe
II e che operò una vera e propria rivoluzione
nella scrittura dei testi musicali del tempo,
soprattutto riguardo al modo nuovo di concepire
dialoghi e personaggi nel loro muoversi sulla
scena.
E’ lui che propose a Wolfango di mettere in
musica quell’insolito testo e Mozart accettò
subito entusiasta l’idea che la macchina della
sceneggiatura si muovesse dentro un contrasto
continuo
di
colpi
di
teatro
timbrati
da
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svolgimenti musicali e movimenti scenografici,
dove interni di palazzi si squarciano per
ricomporsi in esterni e dove dal fondo avanzano
all’improvviso alberi di boschi giganteschi e nel
finale, ecco che appare addirittura un’enorme
statua parlante che preannuncia lo squarciarsi
della scena e lo spalancarsi di un baratro dentro
il quale sarà risucchiato il protagonista punito.
Ma la gran trovata è quella di realizzare un
incessante scambio di personaggi, cioè il
travestimento continuo che avviene in piena
luce: ecco Don Giovanni che si traveste ipso
facto indossando gli abiti del suo servo
Leporello e costui è costretto a camuffarsi da
Don Giovanni, sia nel modo di agire che nella
gestualità e nella voce. Naturalmente questa
esibizione di trasformismo metamorfico impone
un’abilità da gran commedianti e non sempre
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riesce.
I
due
voltagabbana
sono
immancabilmente smascherati dai personaggi
che intendono “truffaldare” e ogni volta
rischiano il linciaggio o peggio, tant’è che la
fuga è per loro l’unico modo di salvarsi la pelle.
Naturalmente tutte queste situazioni portano ad
un divertimento irresistibile da parte del
pubblico
con
gran
vantaggio
non
solo
dell’agilità dello spettacolo, ma soprattutto del
gran valore della musica e del canto.
A proposito della musica, nell’opera incombe un
ritmo dissociato con arie ricolme di allegria
come quella della festa quasi bucolica nel
villaggio dei contadini. E dove esplodono
andamenti di danza ascoltando i quali le gambe
d’ogni spettatore si trovano a muoversi costrette
da quello scarampazzo danzato. Non passano
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sedici battute del gran crescendo, ed ecco che
all’improvviso si introduce in campo un
andamento largo e possente sostenuto da una
tragica consonanza.
Non c’è il tempo di tirar fiato che senza
preavviso si entra nel clima di romanza
appassionata. E poi di nuovo, l’andamento
precipita in un profondo croma addolorato.
Insomma ci troviamo immersi di continuo
dentro un affresco dipinto a colori intensi e privi
di mezze tinte e morbidi passaggi. Il fondo passa
da un buio da tempesta al soleggiato di pieno
meriggio e il croma è sottolineato dall’uso di
colori a smalto ed altri di un mosaico a pietre di
intensità vibrante; da qui si passa dall’incisione
all’encausto romano.
Osservando con attenzione l’andamento scenico
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del Don Giovanni vien logico chiederci perché il
castigo verso il protagonista venga portato in
scena nel finale dal padre di Donna Anna che,
come abbiamo visto, viene ucciso all’inizio del
primo atto e quindi trasformato in statua di
pietra che trascinerà negli inferi il suo assassino.
Tutto nasce da una tradizione popolare di
svolgimento tragico conosciuta fin da tempi
remoti in gran parte dell’Europa. Nell’opera non
si
dà
alcuna
spiegazione
del
perché
il
protagonista assassinato venga trasformato in
statua del castigo.
Ma noi sappiamo che nei Paesi Scandinavi, in
particolare in Svezia e Norvegia, esistono pietre
spesso giganti sulle quali sono incise cronache di
vite
avventurose
di
grandi
cacciatori
e
condottieri; e queste pietre in alcuni casi
prendono sembianze quasi umane. Ancora, da
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noi, in Italia, a Roma c’è la tradizione del
Pasquino, una statua dal volto privo di
sembiante, detto anche la statua che parla,
poiché il personaggio pietrificato comunica
attraverso biglietti che il popolo da secoli pone
al collo della statua per manifestare le proprie
critiche e dissensi in forma satirica al potere.
Infine, a Milano, c’è l’Om de Pièra – l’Uomo di
Pietra. Di questa statua si racconta che in tempi
remoti era considerata una specie di oracolo che
nelle notti di tempesta urlava con voce di
uragano vento sentenze contro gli uomini
indegni.
Ma tornando alle straripanti avventure sessuali
di Don Giovanni, noi scopriamo che egli non si
limita a corteggiare e godere di donne nobili e
altolocate e quasi tutte promesse ad altri
innamorati, ma si lancia in veri e propri caroselli
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di seduzione coinvolgendo ragazze di diversi
ceti sociali. In fondo egli è il Principe dei
democratici che elargisce ad ognuna la propria
infinita generosità amatoria. E’ lui che dona.
Egli non ama tanto il prendere ma al contrario
egli gode ad essere richiesto e conquistato anzi
lo annoia il solo sedurre. Lo so, lo so che
qualcuno di voi malignamente sta pensando a un
sosia attuale del famoso El Burlador di Siviglia
che fino a poco tempo fa amava recitare questo
ruolo di sciupafemmine della Brianza ma, vi
assicuro, la concomitanza è del tutto casuale.
Wolfango
Amedeo
Mozart
non
era
assolutamente a conoscenza di questo nostro
adorabile
personaggio!
Ci
troviamo
fortunatamente a parlare del secolo XVIII e il
trattare degli amori dei grandi satrapi in quel
tempo era ritenuto pettegolezzo indegno.
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Altrettanto simile, seppur a lui imposto, è il
ruolo di Leporello, che già dal primo testo
originale è chiamato servo fedele, abbreviato il
Fede, Fede il fedele, che scimmiotta in
paradosso il suo padrone e tutti i relativi suoi
comportamenti e addirittura ogni tanto riesce
perfino ad ottenere maggior successo del suo
Maestro. Il servo, verso le donne, applica le
poche regole che ha imparato dal nobile Don
Giovanni in modo un po’ cialtrone e spesso
sguaiato eppure la fama della nobile maschera
che calza sul viso lo rende sorprendentemente
vincitore.
Dicevamo che nel corteggiamento dei due
gaglioffi, padrone e servo, entrambi si trovano a
corteggiare e ad amoreggiare con diverse
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fanciulle di basso rango durante una festa di
matrimonio e, proprio come in una danza a
scambio, ecco che i due cialtroni passano da una
all’altra femmina intrecciandosi a vicenda e
capita loro che nel semibuio si corteggino l’un
l’altro e che, in qualche edizione dell’opera si
lascino addirittura andare a gesti ed effusioni
piuttosto osé, contraccambiati.
Molto interessante è l’analisi che fa del testo
musicato da Mozart nel Don Giovanni Eric
Sauzé, un profondo conoscitore francese del
teatro settecentesco che prende in esame la
chiave satirica di questo dramma giocoso. Egli
ravvisa subito che nel comportamento di Don
Giovanni nel suo carosello d’amore a dir poco
frenetico, il fanatico seduttore non è tanto preso
dal piacere di portarsi nel talamo le femmine più
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appetibili, ma piuttosto dalla sete del potere.
Sauzé
parla
addirittura
di
oligarchia
eterosessuale. Egli ci assicura che il protagonista
non è come vuol far credere un libertino
democratico
e
liberale
ma
piuttosto
un
assatanato a livello di bestia che, come dice alla
fine del I atto, si crede indistruttibile. Egli canta:
“Ma il coraggio non mi manca, non sono né
perso né confuso; se anche il mondo tremasse,
nulla mi farebbe paura”. Classico modo di
esprimersi del tiranno, al di sopra delle leggi,
che senza vergogna le calpesta o modifica ad
personam (ma chi è costui?). Egli è un
assatanato che provoca ognuno creando il caos e
pensando “che m’importa, tanto dopo di me mal
che vada è il diluvio, e io so nuotare!”.
Il
Don
Giovanni
è
anche
un
ingordo
consumatore, come denuncia a chiare lettere il
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suo servo Leporello nella famosa aria del
catalogo: è quella dove il buffo servente elenca
tutte le femmine che a grappoli il suo padrone si
è godute senza sazietà.
“Me ne sono fatte una dozzina, una dietro
all’altra… - fa dire al suo padrone - e ce n’erano
altre fuori in fila che aspettavano il loro turno,
ma io a ‘sto punto ho detto basta, non posso
esagerare!”
L’assatanato collezionista non si chiede mai
come vengano prodotti i beni e le creature che
egli consuma, ma da gran furbo feudale egli
pratica l’economia della rapina entro la quale le
donne non sono che vittime privilegiate. In
poche parole è ossessionato dal divertimento: il
gran gioco della fascinazione.
Egli nel carosello non risparmia nessuno, né
mariti, né padri virtuosi, né servi fedeli.
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Infatti il servente masochista Leporello si lascia
coinvolgere in ogni gioco sadico e al limite della
piaggeria.
Don Giovanni si cimenta in ogni caccia difficile
e proibita, a costo di rischiare una punizione
perfino a norma di legge dalla quale riesce a
sgattaiolare corrompendo giudici e guardiani, è
sempre Sauzé che parla.
Egli infatti davanti all’odor di femmina non
resiste (Atto I, scena 4). Tutta la sua esistenza è
strettamente determinata dai sensi o, se preferite,
dalla sensualità. E’ importante notare, continua il
fustigatore francese, che la brutale seduzione che
il protagonista esercita non soltanto sugli altri
personaggi ma anche sul pubblico (che egli
chiama “popolo” e perfino “miei elettori”) è
proprio uno strumento essenziale del potere
assoluto. Se vi vengono in mente personaggi
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altolocati della nostra storia recente per favore
teneteveli per voi, qui siamo davanti a un’opera
d’arte non a un telegiornale di gossip! In
quest’opera, come abbiamo già indicato poco
prima, la seduzione è molto più che il semplice
inganno poiché implica il travestimento.
E’ ovvio che qui Mozart tira di mezzo un
famosissimo
personaggio
del
suo
tempo:
Giacomo Casanova, agente della Serenissima, in
tutte le sue declinazioni; l’uso della maschera,
che guardacaso Don Giovanni calza fin dalla
prima scena nel suo ingresso; l’adulazione e la
calunnia, con cui, dopo aver goduto delle loro
grazie, Don Giovanni usa rivestire ogni volta le
sue amanti trattandole da fuor di senno e da
vogliose assatanate.
Mozart e Da Ponte possono ben lamentarsi di
aver perduto un’occasione eccezionale nelle loro
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ricerche, cioè quella di poter far tesoro del testo
di Molière dal momento che, come già abbiamo
accennato, al tempo in cui entrambi gli autori
dell’opera visionavano i numerosi testi dedicati
al Burlador di Siviglia, fra quei copioni non
potevano trovare di certo il manoscritto originale
del grande autore francese. Molière, è risaputo,
aveva subìto a proposito di quel testo una
censura pesantissima, cioè a dire d’acchito gli
era stato imposto di eliminare dal cartellone il
suo Don Giovanni che evidentemente aveva
irritato fortemente con le sue satire tutti i nobili e
gli uomini di potere di Francia che normalmente
frequentavano il suo teatro. Non solo, come
carico da undici a quella censura gli si impose
anche di distruggere tutte le copie del testo
teatrale appena stampato. Qualche copia del
manoscritto tuttavia riuscì a salvarsi e gli attori
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
della
compagnia
quando
Molière
morì
consegnarono al fratello di Jean Racine una
copia, la sola rimasta. Costui, il fratello, pensò
bene di tradurla in versi alessandrini e ne uscì
uno scritto davvero obbrobrioso dove ogni
forma di satira e denuncia civile venivano
cancellati. Non solo, ma il personaggio di
Scapino, che nel testo di Molière ha lo stesso
peso e valore di quello di Don Giovanni, veniva
ridotto a una sola misera entrata nel primo atto,
poi spariva.
Sicuramente, se almeno la scena sottofinale del
testo originale fosse giunta nelle mani di Mozart
e Da Ponte, i due autori non si sarebbero lasciati
sfuggire l’occasione di mettere in musica uno
dei più straordinari pezzi di teatro degli ultimi
tre secoli. Si tratta del dialogo fra Sganarello
(Leporello nel libretto di Da Ponte) e il suo
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padrone.
Ora, giacché siamo sotto le feste di Natale,
penso che a questo punto sia mio dovere farvi un
dono che ritengo eccezionale, cioè quello di
farvi ascoltare il dialogo fra i due protagonisti
dell’opera distrutto, recuperato e poi ricostruito.
Nel brano per primo interviene Don Giovanni,
che qui si rivolge a suo padre, che lo ha appena
aggredito indignato per il suo comportamento.
DON GIOVANNI Padre, qui davanti a voi avete
qualcuno
che
in
questo
momento
sta
spogliandosi della sua pelle da camaleonte
indegno. Credetemi, davanti ai vostri occhi io
non sono più quello che voi conoscete, è il Cielo
che all’improvviso ha compiuto in me uno
sconvolgimento che lascerà tutti stupefatti:
grazie Padre, i vostri discorsi spietati mi hanno
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
toccato l’anima e spalancato gli occhi; osservate,
ora
sto
guardando
con
orrore
il
lungo
accecamento nel quale ho finora vissuto, e gli
atti criminali da me compiuti in questa mia
disgustosa esistenza. Mi rendo conto di quante
volte la bontà del nostro Creatore mi abbia
favorito non arrivando mai a punirmi per le mie
infamità. Ora voglio rendere clamoroso agli
occhi del mondo questo mio cambiamento.
Padre, voi dovete aiutarmi in questa perigliosa
metamorfosi, sceglietemi vi prego una persona
che mi serva da guida, e io la seguirò obbedendo
come un cane pentito e redento.
Il padre non riesce a trattenere le lacrime e se
ne esce di scena singhiozzando.
Sganarello ha ascoltato e commosso esplode:
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SGANARELLO: Oh Signore vorrei abbracciarvi
a mia volta commosso alle lacrime. Davvero
questo è uno splendido dono del cielo. Che gioia
vedervi convertito, non l’avrei mai sperato,
lasciate che vi baci le mani!
DON GIOVANNI: Ma vattene a quel paese
babbeo!
SGANARELLO: Babbeo? Perché mi insultate a
‘sto modo?
DON GIOVANNI: Perché sei così imbecille da
prendere per oro colato anche ‘ste buffonate da
sghignazzo! Ma credi davvero che le parole che
mi uscivano dalla bocca arrivassero dal cuore?
Dov’è questo mio cuore sanguinante? Dove s’è
cacciato? Per la miseria! Non è qui, non è
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quaggiù, Eppure ce l’avevo qua… non è nella
mia pancia, né fra le mie natiche… oddio! Ho
perduto il cuore! Un cuore così accorato, non
l’ho più… e ne avevo uno solo! OHOHOHOH
singhiozza buffonesco
SGANARELLO:
Cosa?
Quindi
mi
avete
gabbato? Vi siete preso gioco di me! Non siete
pentito! Ma che uomo siete?!
DON GIOVANNI: Non lo so, non me lo sono
mai chiesto… dimmelo tu così saggio che sei!
Aiutatemi! Qualcuno mi venga in soccorso! Qui
c’è un pover uomo che non riesce ad essere
umano! Pietà! Dov’è l’uomo in me? Datemi un
uomo!
SGANARELLO: Ma come fate state schernendo
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
ogni cosa, Signore? Non riuscite nemmeno ad
arrendervi alla voce di quella Statua che si
muove e che parla?
DON GIOVANNI: No, pretendi che io mi lasci
convincere da una grossa pietra scolpita solo
perché parla! E’ vero, ho detto di voler
correggere il mio comportamento indegno e
ritirarmi a vita esemplare, ma questa è solo una
mossa puramente politica, uno stratagemma per
gabbare i beoti.
SGANARELLO:
Cosa?
Così
avete
solo
mentito?!
DON GIOVANNI: Sì, ce ne sono tanti altri
come me che truccano il viso e le parole e che si
servono della stessa maschera per ingannare
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tutto il mondo!
SGANARELLO urlando: Che uomo! Che
uomo! Un ipocrita!
DON GIOVANNI: Perché indignarsi? Andiamo,
dove vivi?! L’ipocrisia non è più cosa indegna,
ma piuttosto una virtù oggi. Il personaggio
dell’uomo onesto e virtuoso è il più vantaggioso,
il migliore che si possa recitare, e chi per
professione usa dell’ipocrisia ottiene straordinari
vantaggi.
SGANARELLO: Sono sconvolto per il
disgusto! Ma dov’è l’umanità in voi,
dov’è la coscienza? Ma possibile che
non riusciate mai a guardare un attimo
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
dentro voi stesso, nel ventre della vostra
oscena crudeltà?
DON GIOVANNI: Ma tu guarda! Che
ventre interessante devo avere! Bisogna
che lo visiti qualche giorno!
SGANARELLO: Ecco non sapete che a
buttare in burla ogni cosa, anche la più
seria.
Vomitate
insolenza
contro
ognuno, saccheggiate la fiducia come
un razziatore da strada senza battere
ciglio, senza sentirne vergogna, né
pentimento.
Don Giovanni porta all’istante le mani
al viso e piange lacrime vere
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
DON GIOVANNI Dio! Dio! Non
infierire
così
contro
questa
mia
coscienza da bestia!
SGANARELLO: Che vi prende ora?
DON
GIOVANNI:
Sto
crollando
Sganarello, cerco di trattenere il mio
pentimento buttando tutto in burletta ma
le parole di mio padre e le tue mi stanno
davvero travolgendo.
Hai
ragione,
Sganarello
mio,
ho
sbagliato veramente tutto ed è inutile
che cerchi di frenare la mia disperazione
con lo sghignazzo. Sono uno scellerato
da quattro soldi e in me è tutto:
violenza, sghignazzo e mi
manca
sempre il minimo del pudore e della
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LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
vergogna, la pietà, il cordoglio, il
coraggio di battersi il petto e chiedere
perdono. Ma ora non ce la faccio più. Io
andrò a pormi in ginocchio davanti a
tutti quelli che ho tradito, aggredito,
truffato, donne e uomini, e chiederò che
mi
denuncino
alla
giustizia.
Mi
mostrerò sinceramente pentito, come
nessun delinquente al mondo. Sono
certo riuscirò a commuoverli, a far sì
che piangano con me, abbracciandomi.
La catarsi sarà così alta che ognuno non
potrà fare a meno di offrirmi il suo
perdono e così, felice, io potrò tornare a
vivere come ho sempre sognato cioè
tornare a burlarmi di loro e a colpirli più
spietatamente e fortemente di prima.
AHAHAHAHAH risata
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Sganarello, spalancando gli occhi, cade
sulle ginocchia, battendo il capo a
terra, sconsolato.
SGANARELLO: Signore questo mi fa
perdere ogni ritegno. Vi dirò qualcosa
che ho tenuto sempre nascosto come un
ramarro inferocito nel mio stomaco.
Fate di me tutto quel che vi pare,
picchiatemi, massacratemi di botte,
uccidetemi se volete, ma devo pur
sfogarmi e parlare con voi faccia a
faccia, e da servitore fedele devo pur
dirvi quello che è giusto io dica.
Anch’io mi sono comportato da sgammazzato
ipocrita pur di farvi piacere e stare al vostro
gioco. Ho recitato scene indegne provandone
LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
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addirittura piacere ma oggi la mia coscienza mi
obbliga al ripugno, all’indignazione verso me
stesso.
DON GIOVANNI: ti concedo di parlare, dimmi
tutto quello che pensi di me, avanti dimmi!
SGANARELLO: Posso davvero?...
DON GIOVANNI: Sì
SGANARELLO: …esprimere tutto quel che
penso?
DON GIOVANNI: Sì, coraggio!
SGANARELLO: E allora, nel quel caso signore
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io vi dirò in tutta franchezza che non approvo il
vostro modo di vivere e che mi sembra da
sfacciati andare in giro a fare l’amore
dappertutto come fate voi! Sposarvi con una
donna diversa ogni settimana!
DON GIOVANNI: Cosa?! Ma tu pretendi che
uno resti legato al primo oggetto di cui si sente
affascinato? Che per quello rinunci al mondo?
Che non abbia più occhi per nessuno? Eh bella
roba farsi un vanto di questo falso onore che è la
fedeltà! E’ un falso onore, Sganarello, seppellirsi
per sempre dentro un’unica passione, essere
morto fino dalla giovinezza per tutte le bellezze
che possono colpire il nostro sguardo, ma no, ma
no Sganarello, la costanza... la costanza va bene
per la gente mediocre! Tutte le belle hanno il
diritto di ammaliarci. Il vantaggio di essere stata
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incontrata per prima non deve sottrarre a tutte le
altre le giuste pretese o i diritti loro sul nostro
cuore. Quanto a me, la bellezza mi rapisce
ovunque la incontri, la bellezza... Io cedo
volentieri alla sua dolce violenza che mi attira.
Sia come sia, dinnanzi alla bellezza, la bellezza,
per lei non posso rifiutare il mio cuore, se io
avessi diecimila cuori tutti li darei alla bellezza,
è per questo che li spampano per ogni dove, e
rimango sempre senza un cuore (singhiozzando)
i nuovi innamoramenti oltretutto hanno un
incanto, un fascino indescrivibile. Tutto il
piacere dell’amore sta nel cambiamento, si prova
una dolcezza infinita nel soggiogare con cento
omaggi il cuore di una giovane bellezza, di una
fanciulla, nell’osservare i piccoli progressi
compiuti ogni giorno, nel combattere con slanci,
sospiri, l’innocente pudore di un’anima che lotta
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per non arrendersi, e condurla piano, piano,
piano là... dove tu vuoi farla venire. Però una
volta posseduta, che resta? Nulla resta! Non
resta più niente da dire e da desiderare, finché
non interviene un nuovo oggetto a risvegliare il
nostro desiderio. Insomma, non c’è niente di più
dolce del trionfo sulla resistenza di una bella
creatura, e in questo campo la stessa ambizione è
quella dei grandi conquistatori, i condottieri del
passato, che cercano una vittoria dietro l’altra,
senza sosta... una dietro l’altra, come Alessandro
Magno… io sono come Alessandro Magno, che
ha invaso regni dal Mediterraneo al Mar Morto e
giù giù… fino al Catai! Vorrei che il mondo
fosse infinito, vorrei mondi, mondi uno dietro
l’altro, per poterli conquistare. Vorrei mondi,
mondi amorosi per le mie conquiste d’amore!
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SGANARELLO: Mamma mia che parlantina
oh! Sembra che abbiate imparato la parte a
memoria, parlate come un libro stampato!
DON GIOVANNI: Perché, hai qualcosa da
ridire?
SGANARELLO: Caspiterina, certo che sì! Ma
io ho da dire... non so che dire! Perché voi girate
le cose in modo che sembra che voi abbiate
ragione! E invece è vero che non l’avete!
Accidenti, io avevo sulla punta della lingua i più
bei pensieri del mondo, e tutto quel vostro
strapolocchio di parole me li ha ingarbugliati
come una matassa di lana! Ma non
preoccupatevi, la prossima volta io metterò per
iscritto gli argomenti prima ancora di discuterli
con voi!
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DON GIOVANNI: Bene, questa è un’idea!
SGANARELLO: Già che ci sono signore,
scusate rientra nel permesso che mi avete
accordato anche il diritto di parlarvi
francamente? E dichiararvi che sono disgustato
dalla vita che menate?
DON GIOVANNI: Ma come sarebbe a dire?
Perché? Non è una bella vita quella che
conduco?
SGANARELLO: Ma certo, è eccellente! Ma
tanto per dire insomma... il fatto di prendere
moglie una volta alla settimana come fate voi di
solito insomma...
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DON GIOVANNI: Perché? C’è qualcosa di più
piacevole di questo? Di prender e lasciar donne,
sposarle e poi fuggire?
SGANARELLO: Ma signore prendere beffe così
di un sacro mistero che è il matrimonio,
andiamo!
DON GIOVANNI: No Sganarello, lascia stare il
Cielo, fra me e il Cielo c’è una faccenda privata
che risolverò io con il Cielo... ce la risolveremo
fra di noi! Ma tu attent’a te come parli da ‘sto
momento in avanti!
SGANARELLO: Ma infatti io non parlo mica di
voi, Dio me ne guardi, se voi non credete in
niente avrete le vostre buone ragioni, ma in giro
si vedono piccoli impertinenti, qualcuno anche
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vostro tirapiedi, che fanno i libertini senza
sapere a loro volta il perché. Che si atteggiano a
liberi pensatori perché sono convinti di farci la
bella figura. Se io avessi un padrone così,
guardandolo fisso negli occhi gli direi chiaro e
tondo… a lui…: “Ma davvero voi pensate di
prendervi gioco del Cielo, e sbeffeggiare le cose
più sacrosante da farle tremare. Ma chi? Sto
parlando con lui… chi vi dà il diritto... piccolo
vermicciattolo, piccolo virmidone, mirmidone,
sto sempre parlando con lui… ma chi vi dà il
diritto di farvi beffa, di tutto quello che gli
uomini venerano e rispettano?! Ma forse credete
che basti il fatto di essere nobile, di avere una
parrucca bionda, …sempre a lui… riccioluta e
le piume sul cappello e l’abito in tessuto d’oro e
i nastrini rosso fiamma… no non dico a voi mio
signore, anche l’altro ha il rosso fiamma!
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Voi pensate di essere più bravo, pensate che
nessuno abbia il diritto di dirvi la verità in
faccia!
Vi faccio presente, io, il vostro servo, che il
Cielo prima o poi punisce gli atei perché una
vita cattiva, porta a una cattiva morte!
DON GIOVANNI: bravo Sganarello! Questa è
una chiusa davvero straordinaria! Ancora un po’
e vomitavo! Bravo! (batte le mani e simula il
gesto di vomitare)
MUSICA FINALE DELL’OPERA DI MOZART
<<<<<FINE>>>>>
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