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LECTIO DON GIOVANNI – 5 DICEMBRE 2011
DON
GIOVANNI
E
LA COMMEDIA
DELL’ARTE
Non c’è uomo adulto al mondo che possieda un
simile talento musicale, un compositore in
grado di scrivere su pentagramma un’aria con
tanto di contrappunti e un’orchestrazione
complessa e sconvolgente come sa fare questo
genio della musica. E notate bene, egli ha solo
quattordici anni. Il suo nome è Wolfang
Amadeus Mozart. E chi ne parla con tanto
entusiasmo è addirittura Giovanni Cataldo
Paisiello,
uno
dei
più
grandi
musicisti
napoletani della seconda metà del Settecento e
che ha iniziato a comporre musica a vent’anni,
quindi uno che di fenomeni se ne intendeva!
Ricordando di Wolfango Amedeo, di cui era
diventato amico fraterno, Giovanni Paisiello
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LECTIO DON GIOVANNI – 5 DICEMBRE 2011
racconta un episodio legato al successo davvero
straordinario del ragazzo austriaco: ci troviamo
a Napoli al Conservatorio della Pietà dei
Turchini,
Amedeo
meravigliosamente,
sta
all’istante
suonando
il
pubblico
rumoreggia. Le sue piccole mani volano sulla
tastiera del cembalo. Soprattutto l’agilità della
sinistra,
dove
porta
un
anello,
sembra
impressionare la gente. Qualcuno esclama:
“Ecco il motivo di tanta abilità: ha un anello
magico al dito!”
Il giovane Mozart, che conosce bene la
superstizione davvero fanatica dei napoletani,
comprende divertito il motivo di tanto baccano,
smette di suonare e tranquillamente si sfila
l’anello dal dito, lo mostra al pubblico, se lo
infila in una tasca e quindi riprende a suonare. Il
pubblico ammutolisce. Evidentemente è solo lui
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la vera magia!
E alla fine del concerto lo applaudono urlando
festosi. “Tu si’ ‘o re. Tu si’ ‘o nostro re!”
Ora parleremo di Wolfango Amedeo cresciuto e
del suo Don Giovanni, composto quando aveva
circa trent’anni.
Quest’opera è senz'altro uno dei maggiori
capolavori del teatro musicale del Settecento.
Già che ne abbiamo l'occasione anticipiamo
subito che nel XVIII Secolo era quasi d'obbligo
per i musici mettere in scena esclusivamente
opere cantate in italiano, poiché la nostra lingua
era considerata da ognuno l'unica perfettamente
consona alla musica cantata.
Il Don Giovanni, detto anche “El Burlador de
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Sevilla”, è un'opera da porsi fra le tragedie in
musica, ma il suo assetto strutturale, quello che
noi del teatro recitato chiamiamo la situazione
scenica, è assolutamente mutuato dall'opera
buffa o meglio ancora dalla commedia dell'arte
o buffoneria!
Ce lo testimonia Delia Gambelli, forse la più
autorevole e documentata studiosa del teatro del
Sei-Settecento in lingua italiana.
Esistevano già al tempo di Wolfango Amedeo
compositori che si erano serviti della commedia
comica all'italiana per musicare un'opera lirica;
ma ognuno si limitava a temi e svolgimenti
assolutamente ridanciani dove
era
regola
assoluta che la situazione comica fosse il
motore principale dell'opera stessa.
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Ma nel Don Giovanni, come è nella sua
edizione originale (quella dello spagnolo Tirso
De Molina), ci troviamo davanti a un testo
assolutamente tragico dove il protagonista ci
appare come un personaggio nient’affatto
amabile, divertente, ma al contrario deprecabile,
infame spietato gabbellatore di uomini e
femmine. E tutti gli allestitori e gli autori del
XVI secolo hanno sempre rispettato quella
situazione dall’inizio alla fine del dramma che
si risolve con una scena davvero infernale. Ma
nel caso del Don Giovanni di Mozart succede
un vero e proprio ribaltone scenico: il giovane
autore austriaco sfascia a piedi giunti tutte le
regole imposte nell’opera drammatica.
Una scelta assolutamente fuori dal comune. Ma
quella di sortire a bella posta dalla consuetudine
era una costante di Wolfango forse imparata
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proprio a Napoli, frequentando i numerosi
compositori ritenuti in quel tempo i più
importanti d’Europa. Tutto ciò che si esprimeva
dentro
le
leggi
della
forma
stabilita
immancabilmente veniva stravolto e ribaltato
dal compositore di Salisburgo.
Ma nel nostro caso, con il Don Giovanni, come
è possibile introdurre un andamento scherzoso?
Nell’opera si comincia con un atto criminale in
cui il protagonista uccide il padre della donna
che egli ha in animo di sedurre e quindi di
seguito: inganni, tradimenti, menzogne
e
macchinerie orrende... E quale ne è il risultato?
Per capirne il paradosso basta analizzare con
molta attenzione i testi dai quali il giovane
compositore
di
Salisburgo
aveva
tratto
l’andamento dell’opera e la sua struttura
scenica. E’ chiaro che Mozart aveva saltato a
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piè pari l’idea di servirsi dell’impianto originale
del dramma del creatore Tirso de Molina, che
aveva debuttato con grande successo più di un
secolo prima in Spagna. Si trattava di una vera e
propria tragedia nel gusto e nella forma del
teatro spagnolo di quel tempo e Mozart aveva
scelto
di
affidarsi
completamente
all’inserimento del paradosso. Per inciso il Don
Giovanni era stato allestito dai comici dell’arte
a Parigi un secolo prima, già al tempo di
Molière.
A questo proposito va detto che Molière a sua
volta mettendo in scena il Don Giovanni aveva
fatto grande attenzione all’impianto creato dai
comici italiani prima di lui.
La compagnia dei Gelosi, diretta da Tiberio
Fiorilli, aveva
sbilanciato l’organizzazione
interna dei canovacci in favore delle parti
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comiche. Quella soluzione finiva per mettere in
scena lo screditamento e la presa in giro di ogni
potere.
In poche parole i comici dell’arte, tornavano a
realizzare una forma di spettacolo e di scrittura
creata dai greci quattro secoli avanti Cristo,
mettendo in primo piano quel modulo nel quale
si dichiarava: non esiste nessuna forma di teatro
ad autentica dimensione umana se non si
intreccia il comico al tragico e viceversa.
Molière all’immediata, quasi spudoratamente,
plagiò l’invenzione dei comici mettendo in
scena un dramma che rinnovava completamente
il genere tragico originale ma allo stesso tempo
entrava con veemenza nel gioco più scoperto
dello sbeffeggiamento, raddoppiandone quindi
il valore.
Egualmente, allo stesso modo di Moliere,
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Mozart aveva intravisto più acutamente di tutti
la potenzialità eversiva ed espressiva di
quell’invenzione.
Ed ecco che emerge una differenza fatale
rispetto a tutte le versioni precedenti di opere in
musica:
nell’opera
entra
in
scena
un
protagonista imprevisto, lo scandalo.
Il
pubblico
intuisce
che
il
compositore
austriaco, attraverso il Don Giovanni, da lui
presentato come opera giocosa, vuol raccontare
non una risaputa storia di seduzione e
criminalità ma far salire in primo piano quel
comportamento spudorato che si manifesta
chiaramente come il gioco del passatempo di
chi, non avendo problemi né di sopravvivenza
né di denaro, cerca di superare la noia
servendosi di ogni gaudio, anche il più infame.
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Ma ecco che, c’era da aspettarselo, il potere,
denunciato dal teatro e messo alla berlina,
reagisce mettendo in censura ogni ironia e lazzo
morale, nulla di nuovo! Infatti tutti sappiamo
che già dalla versione del Don Giovanni di
Molière,
ha
inizio
una
vera
e
propria
persecuzione degli autori di opere tragiche che
sconfinano nella satira tant’é che si costrinse il
più grande autore capocomico di Francia,
Moliere,
a
cancellare
l’opera
dal
suo
programma, al punto che mai più riuscirà a
riportarla in palcoscenico e il testo rimarrà
sconosciuto nella sua versione originale per la
bellezza di quasi tre secoli.
L’opera di Wolfango non verrà trattata con
maggiore riguardo. Il committente del dramma
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giocoso di Mozart e Da Ponte era nientemeno
che l’Imperatore Giuseppe II, ma ecco che dopo
l’anteprima
con
orchestra,
scenografia
e
costumi, mimi e danzatori al completo, tutte le
previste repliche vengono annullate.
L’imperatore decide di sospendere il debutto
dell’opera e l’intera tournée, il cui allestimento
è costato parecchio denaro. State attenti: non si
tratta di rimandare il debutto per cause tecniche
o per un malore che ha colpito una prima donna
insostituibile. No. Si sospende e basta e nessun
cronista ha in cuore di commentare il disastro.
E va detto che in quel momento alla corte
dell’Imperatore ce n’erano una caterva di
cronisti, venuti apposta da ogni luogo per
testimoniare il grande evento, ma nessuno ci dà
notizia o giustificazione del perché di quella
censura. E in questi casi c’è una classica
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espressione
opportunità.
che
viene
Qualcosa
in
primo
non
è
piano:
piaciuto
all’Imperatore. Forse quel Don Giovanni offriva
troppe concomitanze con i fatti privati del
monarca. E così si “levan armi e bagagli” e si
decide che il debutto avverrà altrove, in un altro
luogo, a Praga, nella provincia Ceca.
Lo spettacolo ha un enorme successo: è risaputo
che i cechi hanno un ottimo orecchio! Ma
malgrado ciò ancora Mozart si ritrova a dover
cedere ad un’altra censura, più subdola, in
quanto soltanto qualche giorno prima del
debutto a Vienna gli si impongono tagli allo
spartito a dir poco drastici. Insomma gli si fa
capire che certi passaggi dell’opera non
verrebbero graditi dal pubblico della capitale e
dai grandi suoi amministratori. Niente di più
comune!
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Così si arriva a costringere il musicista a porre
il finale dell’opera subito dopo l’avvenuto
castigo dello scellerato Don Giovanni.
In questo modo si mozza di netto la chiusura,
compresa la morale conclusiva nella quale si
ritrovano tutti i personaggi a commentare la
fine di Don Giovanni e la sua indegnità, con il
concerto finale in re maggiore che contiene la
spietata sentenza dell’opera.
Ma qui, forse per troppo slancio descrittivo, noi
ci stiamo dimenticando di un personaggio
determinante nella creazione di quest’opera.
Stiamo parlando di Lorenzo Da Ponte, il
famoso librettista, italiano naturalmente, che a
quel tempo stava a servizio dell’Imperatore
Giuseppe II e che operò una vera e propria
rivoluzione nella scrittura dei testi musicali del
tempo, soprattutto riguardo al modo nuovo di
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concepire dialoghi e personaggi nel loro
muoversi sulla scena.
E’ lui che propose a Wolfango di mettere in
musica quell’insolito testo. Un testo che Mozart
accettò subito con entusiasmo: l’idea di quel
moto perpetuo lo esaltava. Il sostituirsi continuo
dei personaggi, Don Giovanni che si traveste
ipso facto indossando gli abiti del suo servo
Leporello e costui che è costretto a camuffarsi a
sua volta da Don Giovanni...
I
due
voltagabbana
che
vengono
immancabilmente smascherati dai personaggi
che intendono “truffaldare” e che ogni volta
rischiano il linciaggio, tant’è che la fuga è per
loro l’unico modo di salvarsi la pelle.
Naturalmente tutte queste situazioni portano ad
un divertimento irresistibile da parte del
pubblico
con
gran
vantaggio
non
solo
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dell’agilità dello spettacolo, ma soprattutto
dell’esaltazione della musica e del canto.
A proposito della musica, in conseguenza del
susseguirsi di queste varianti improvvise,
nell’opera incombe un ritmo dissociato con arie
ricolme di allegria come quella della festa quasi
bucolica nel villaggio dei contadini. E dove
esplodono andamenti di danza sfrenata. Non
passano sedici battute del gran crescendo, ed
ecco che all’improvviso si introduce in campo
un andamento largo e possente sostenuto da una
tragica consonanza.
Non c’è il tempo di tirar fiato che senza
preavviso si entra nel clima di romanza
appassionata. E poi di nuovo, l’andamento
precipita in un profondo croma addolorato.
Insomma ci troviamo immersi di continuo
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dentro un affresco dipinto a colori intensi e
privi di mezze tinte e morbidi passaggi. Il fondo
salta da un buio da tempesta al soleggiato di
pieno meriggio e il croma è sottolineato
dall’uso di colori a smalto ed altri di un
mosaico a pietre di intensità vibrante.
Osservando con attenzione l’andamento scenico
del Don Giovanni viene logico chiederci perché
il castigo verso il protagonista venga portato in
scena nel finale dal padre di Donna Anna che,
come abbiamo visto, viene ucciso all’inizio del
primo atto e quindi trasformato in statua di
pietra che trascinerà negli inferi il suo
assassino. Tutto nasce da una tradizione
popolare di svolgimento tragico conosciuta fin
da tempi remoti in gran parte dell’Europa.
Nell’opera non si dà alcuna spiegazione del
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perché
il
protagonista
assassinato
venga
trasformato in statua del castigo.
Ma noi sappiamo che presso i Baschi e nei
Paesi Scandinavi, in particolare in Svezia e
Norvegia, esistono pietre spesso giganti sulle
quali sono incise cronache di vite avventurose
di grandi cacciatori e condottieri; e queste pietre
in alcuni casi prendono sembianze quasi umane.
Ancora, da noi, in Italia, a Roma c’è la
tradizione del Pasquino, una statua dal volto
privo di sembiante, detto anche la statua che
parla,
poiché
il
personaggio
pietrificato
comunica attraverso biglietti che il popolo da
secoli pone al collo della statua per manifestare
le proprie critiche e dissensi in forma satirica al
potere.
Infine, a Milano, c’è l’Om de Pièra – l’Uomo di
Pietra. Di questa statua si racconta che in tempi
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remoti era considerata una specie di oracolo che
nelle notti di tempesta urlava con voce di
uragano sentenze contro gli uomini indegni.
Ma tornando alle straripanti avventure sessuali
di Don Giovanni spalleggiato da Leporello,
vediamo che nel gioco di seduzione dei due
gaglioffi, padrone e servo, entrambi si trovano a
corteggiare e ad amoreggiare con diverse
fanciulle di basso rango durante una festa di
matrimonio e, proprio come in una danza a
scambio, ecco che i due cialtroni passano da
una all’altra femmina intrecciandosi a vicenda e
capita loro che nel semibuio si corteggino l’un
l’altro e che, in qualche edizione dell’opera si
lascino addirittura andare a gesti ed effusioni
piuttosto osé, contraccambiati.
Molto interessante è l’analisi che fa del testo
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musicato da Mozart nel Don Giovanni Eric
Sauzé, un profondo conoscitore francese del
teatro settecentesco, che prende in esame la
chiave satirica di questo dramma giocoso. Egli
ravvisa subito che nel comportamento di Don
Giovanni nel suo carosello d’amore a dir poco
frenetico, il fanatico seduttore non è tanto preso
dal piacere di portarsi nel talamo le femmine
più appetibili, ma piuttosto dalla sete del potere.
Sauzé
parla
eterosessuale.
addirittura
Egli
ci
di
assicura
oligarchia
che
il
protagonista non è come vuol far credere un
libertino democratico e liberale ma piuttosto un
assatanato a livello di bestia che, come dice alla
fine del I atto, si crede indistruttibile. Egli
canta: “Ma il coraggio non mi manca, non sono
né perso né confuso; se anche il mondo
tremasse, nulla mi farebbe paura”. Classico
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modo di esprimersi del tiranno, al di sopra delle
leggi, che senza vergogna le calpesta o modifica
ad personam. Ma chi è costui? Egli è un
assatanato che provoca ognuno creando il caos
e pensando “che m’importa, tanto dopo di me
mal che vada è il diluvio, e io so nuotare. Ho
pinne ai piedi, maschere e boccaglio!”.
Il
Don
Giovanni
è
anche
un
ingordo
consumatore, come denuncia a chiare lettere il
suo servo Leporello nella famosa aria del
catalogo, quella dove il buffo servente elenca
tutte le femmine che a grappoli il suo padrone si
è godute senza sazietà.
“Me ne sono fatte una dozzina, anche
all’ammucchiata - fa dire al suo padrone - e ce
n’erano altre fuori in fila che aspettavano il loro
turno, ma io a ‘sto punto ho detto basta, è
questione di decenza! Fino a tre, quattro
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amorose per volta è ancora amore. A cinque
comincia a diventare orgia!”
L’assatanato collezionista non si chiede mai
come vengano prodotti i beni e le creature che
egli consuma, ma da gran furbo feudale egli
pratica l’economia della rapina entro la quale le
donne non sono che vittime privilegiate. In
poche parole è ossessionato dal divertimento: il
gran gioco della fascinazione.
Don Giovanni si cimenta in ogni caccia difficile
e proibita, a costo di rischiare una punizione
perfino a norma di legge dalla quale riesce a
sgattaiolare sempre corrompendo giudici e
guardiani, è sempre Sauzé che parla. Chissà a
chi allude?!
Egli infatti davanti all’odor di femmina non
resiste (Atto I, scena 4). Tutta la sua esistenza è
strettamente determinata dai sensi o, se
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preferite, dalla sensualità. E’ importante notare,
continua il fustigatore francese, che la brutale
seduzione che il protagonista esercita non
soltanto sugli altri personaggi ma anche sul
pubblico (che egli chiama “popolo” e perfino a
volte “i miei elettori”) è proprio uno strumento
essenziale del potere assoluto. Se vi vengono in
mente personaggi altolocati della nostra storia
passata per favore teneteveli per voi, e poi
andiamo, son storie di tempi ormai remoti.
Mozart e Da Ponte purtroppo potrebbero ben
lamentarsi
di
aver
perduto
un’occasione
eccezionale nelle loro ricerche, cioè quella di
non avere potuto far tesoro del testo originale di
Molière dal momento che, come già abbiamo
accennato, l’opera di Molière fu letteralmente
fatta sparire, poiché la censura impose alla
compagnia
della
Comedie
Française
di
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eliminare da cartellone il suo Don Giovanni e di
distruggere tutte le copie del testo teatrale
appena stampato. Soltanto una copia di quel
testo riapparve agli inizi dell’Ottocento.
Ora, giacché siamo sotto le feste di Natale,
penso che a questo punto sia mio dovere farvi
un dono che ritengo eccezionale, cioè quello di
farvi ascoltare il dialogo fra i due protagonisti
dell’opera di Molierè, distrutto, recuperato e poi
ricostruito. Siamo sotto finale, in scena ci sono
Don Giovanni, suo padre e il servo Sganarello
(Leporello, nell’opera di Mozart). Nel brano per
primo interviene Don Giovanni, che qui si
rivolge a suo padre, che lo ha appena aggredito
indignato per il suo comportamento.
DON GIOVANNI Padre, qui davanti a voi
avete qualcuno che in questo momento sta
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spogliandosi della sua pelle da camaleonte
indegno. Credetemi, davanti ai vostri occhi io
non sono più quello che voi conoscete, è il
Cielo che all’improvviso ha compiuto in me
uno sconvolgimento che lascerà tutti stupefatti:
grazie Padre, i vostri discorsi spietati mi hanno
toccato
l’anima
e
spalancato
gli
occhi;
osservate, ora sto guardando con orrore il lungo
accecamento nel quale ho finora vissuto, e gli
atti criminali da me compiuti in questa mia
disgustosa esistenza. Mi rendo conto di quante
volte la bontà del nostro Creatore mi abbia
favorito non arrivando mai a punirmi per le mie
infamità. Ora voglio rendere clamoroso agli
occhi del mondo questo mio cambiamento.
Padre, voi dovete aiutarmi in questa perigliosa
metamorfosi, sceglietemi vi prego una persona
che mi serva da guida, e io la seguirò
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obbedendo come un cane pentito e redento.
Il padre non riesce a trattenere le lacrime e se
ne esce di scena singhiozzando.
Sganarello ha ascoltato e commosso esplode:
SGANARELLO:
Oh
Signore
vorrei
abbracciarvi a mia volta commosso alle
lacrime. Davvero questo è uno splendido dono
del cielo. Che gioia vedervi convertito, non
l’avrei mai sperato, lasciate che vi baci le mani!
DON GIOVANNI: Ma vattene a quel paese
babbeo!
SGANARELLO: Babbeo? Perché mi insultate a
‘sto modo?
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DON GIOVANNI: Perché sei così imbecille da
prendere per oro colato anche ‘ste buffonate da
sghignazzo! Ma credi davvero che le parole che
mi uscivano dalla bocca arrivassero dal cuore?
Dov’è questo mio cuore sanguinante? Dove s’è
cacciato? Per la miseria! Non è qui, non è
quaggiù, Eppure ce l’avevo qua… non è nella
mia pancia, né fra le mie natiche… oddio! Ho
perduto il cuore! Un cuore così accorato, non
l’ho più… e ne avevo uno solo! OHOHOHOH
singhiozza buffonesco
SGANARELLO:
Cosa? Quindi
mi
avete
gabbato? Vi siete preso gioco di me! Non siete
pentito! Ma che uomo siete?!
DON GIOVANNI: Non lo so, non me lo sono
mai chiesto… dimmelo tu così saggio che sei!
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Aiutatemi! Qualcuno mi venga in soccorso! Qui
c’è un pover’uomo che non riesce ad essere
umano! Pietà! Dov’è l’uomo in me? Datemi un
uomo!
SGANARELLO:
Ma
come
fate
state
schernendo ogni cosa, Signore? Non riuscite
nemmeno ad arrendervi alla voce di quella
Statua che si muove e che parla?
DON GIOVANNI: No, pretendi che io mi lasci
convincere da una grossa pietra scolpita solo
perché parla! E’ vero, ho detto di voler
correggere il mio comportamento indegno e
ritirarmi a vita esemplare, ma questa è solo una
mossa puramente politica, uno stratagemma per
gabbare i beoti.
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SGANARELLO:
Cosa?
Così
avete
solo
mentito?!
DON GIOVANNI: Sì, ce ne sono tanti altri
come me che truccano il viso e le parole e che
si servono della stessa maschera per ingannare
tutto il mondo!
SGANARELLO urlando: Che uomo! Che
uomo! Un ipocrita!
DON
GIOVANNI:
Perché
indignarsi?
Andiamo, dove vivi?! L’ipocrisia non è più cosa
indegna, ma piuttosto una virtù oggi. Il
personaggio dell’uomo onesto e virtuoso è il
più vantaggioso, il migliore che si possa
recitare, e chi per professione usa dell’ipocrisia
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LECTIO DON GIOVANNI – 5 DICEMBRE 2011
ottiene straordinari vantaggi.
SGANARELLO:
Sono
sconvolto
per
il
disgusto! Ma dov’è l’umanità in voi, dov’è la
coscienza? Ma possibile che non riusciate mai a
guardare un attimo dentro voi stesso, nel ventre
della vostra oscena crudeltà?
DON GIOVANNI: Ma tu guarda! Che ventre
interessante devo avere! Bisogna che lo visiti
qualche giorno!
SGANARELLO: Ecco non sapete che buttare
in burla ogni cosa, anche la più seria. Vomitate
insolenza contro ognuno, saccheggiate la
fiducia come un razziatore da strada senza
battere ciglio, senza sentirne vergogna, né
pentimento.
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Don Giovanni porta all’istante le mani al viso e
piange lacrime vere
DON GIOVANNI Dio! Dio! Non infierire così
contro questa mia coscienza da bestia!
SGANARELLO: Che vi prende ora?
DON GIOVANNI: Sto crollando Sganarello,
cerco di trattenere il mio pentimento buttando
tutto in burletta ma le parole di mio padre e le
tue mi stanno davvero travolgendo.
Hai ragione, Sganarello mio, ho sbagliato
veramente tutto ed è inutile che cerchi di
frenare la mia disperazione con lo sghignazzo.
Sono uno scellerato da quattro soldi e in me è
tutto: violenza, sghignazzo e mi manca sempre
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il minimo del pudore e della vergogna, la pietà,
il cordoglio, il coraggio di battersi il petto e
chiedere perdono. Ma ora non ce la faccio più.
Io andrò a pormi in ginocchio davanti a tutti
quelli che ho tradito, aggredito, truffato, donne
e uomini, e chiederò che mi denuncino alla
giustizia. Mi mostrerò sinceramente pentito,
come nessun delinquente al mondo. Sono certo
riuscirò a commuoverli, a far sì che piangano
con me, abbracciandomi. La catarsi sarà così
alta che ognuno non potrà fare a meno di
offrirmi il suo perdono e così, felice, io potrò
tornare a vivere come ho sempre sognato cioè
tornare a burlarmi di loro e a colpirli più
spietatamente
e
fortemente
di
prima.
AHAHAHAHAH risata
Sganarello, spalancando gli occhi, cade sulle
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ginocchia, battendo il capo a terra, sconsolato.
SGANARELLO: Signore questo mi fa perdere
ogni ritegno. Vi dirò qualcosa che ho tenuto
sempre nascosto come un ramarro inferocito nel
mio stomaco. Fate di me tutto quel che vi pare,
picchiatemi, massacratemi di botte, uccidetemi
se volete, ma devo pur sfogarmi e parlare con
voi faccia a faccia, e da servitore fedele devo
pur dirvi quello che è giusto io dica.
Anch’io mi sono comportato da sgammazzato
ipocrita pur di farvi piacere e stare al vostro
gioco. Ho recitato scene indegne provandone
addirittura piacere ma oggi la mia coscienza mi
obbliga al ripugno, all’indignazione verso me
stesso.
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DON GIOVANNI: ti concedo di parlare, dimmi
tutto quello che pensi di me, avanti dimmi!
SGANARELLO: Posso davvero?...
DON GIOVANNI: Sì
SGANARELLO: …esprimere tutto quel che
penso?
DON GIOVANNI: Sì, coraggio!
SGANARELLO: E allora, nel quel caso signore
io vi dirò in tutta franchezza che non approvo il
vostro modo di vivere e che mi sembra da
sfacciati andare in giro a fare l’amore
dappertutto come fate voi! Sposarvi con una
donna diversa ogni settimana!
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DON GIOVANNI: Cosa?! Ma tu pretendi che
uno resti legato al primo oggetto di cui si sente
affascinato? Che per quello rinunci al mondo?
Che non abbia più occhi per nessuno? Eh bella
roba farsi un vanto di questo falso onore che è
la fedeltà! E’ un falso onore, Sganarello,
seppellirsi per sempre dentro un’unica passione,
essere morto fino dalla giovinezza per tutte le
bellezze che possono colpire il nostro sguardo,
ma no, ma no Sganarello, la costanza... la
costanza va bene per la gente mediocre! Tutte le
belle hanno il diritto di ammaliarci. Il vantaggio
di essere stata incontrata per prima non deve
sottrarre a tutte le altre le giuste pretese o i
diritti loro sul nostro cuore. Quanto a me, la
bellezza mi rapisce ovunque la incontri, la
bellezza... Io cedo volentieri alla sua dolce
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violenza che mi attira. Sia come sia, dinnanzi
alla bellezza, la bellezza... per lei non posso
rifiutare il mio cuore, se io avessi diecimila
cuori tutti li darei alla bellezza, è per questo che
li spampano per ogni dove, e rimango sempre
senza un cuore (Singhiozzando) i nuovi
innamoramenti oltretutto hanno un incanto, un
fascino
indescrivibile.
Tutto
il
piacere
dell’amore sta nel cambiamento, si prova una
dolcezza infinita nel soggiogare con cento
omaggi il cuore di una giovane bellezza, di una
fanciulla, nell’osservare
i piccoli progressi
compiuti ogni giorno, nel combattere con
slanci, sospiri, l’innocente pudore di un’anima
che lotta per non arrendersi, e condurla piano,
piano, piano là... dove tu vuoi farla venire. Però
una volta posseduta, che resta? Nulla resta! Non
resta più niente da dire e da desiderare, finché
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non interviene un nuovo oggetto a risvegliare il
nostro desiderio. Insomma, non c’è niente di
più dolce del trionfo sulla resistenza di una
bella creatura, e in questo campo la stessa
ambizione è quella dei grandi conquistatori, i
condottieri del passato, che cercano una vittoria
dietro l’altra, senza sosta... una dietro l’altra,
come Alessandro Magno… io sono come
Alessandro Magno, che ha invaso regni dal
Mediterraneo al Mar Morto e giù giù… fino al
Catai! Vorrei che il mondo fosse infinito, vorrei
mondi, mondi uno dietro l’altro, per poterli
conquistare. Vorrei mondi, mondi amorosi per
le mie conquiste d’amore!
SGANARELLO: Mamma mia che parlantina
oh! Sembra che abbiate imparato la parte a
memoria, parlate come un libro stampato!
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DON GIOVANNI: Perché, hai qualcosa da
ridire?
SGANARELLO: Caspiterina, certo che sì! Ma
io ho da dire... non so che dire! Perché voi
girate le cose in modo che sembra che voi
abbiate ragione! E invece è vero che non
l’avete! Accidenti, io avevo sulla punta della
lingua i più bei pensieri del mondo, e tutto quel
vostro strapolocchio di parole me li ha
ingarbugliati come una matassa di lana! Ma non
preoccupatevi, la prossima volta io metterò per
iscritto gli argomenti prima ancora di discuterli
con voi!
DON GIOVANNI: Bene, questa è un’idea!
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SGANARELLO: Già che ci sono signore,
scusate rientra nel permesso che mi avete
accordato
anche
il
diritto
di
parlarvi
francamente? E dichiararvi che sono disgustato
dalla vita che menate?
DON GIOVANNI: Ma come sarebbe a dire?
Perché? Non è una bella vita quella che
conduco?
SGANARELLO: Ma certo, è eccellente! Ma
tanto per dire insomma... il fatto di prendere
moglie una volta alla settimana come fate voi di
solito insomma...
DON GIOVANNI: Perché? C’è qualcosa di più
piacevole di questo? Di prender e lasciar donne,
sposarle e poi fuggire?
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SGANARELLO: Ma signore prendere beffe
così di un sacro mistero che è il matrimonio,
andiamo!
DON GIOVANNI: No Sganarello, lascia stare il
Cielo, fra me e il Cielo c’è una faccenda privata
che risolverò io con il Cielo... ce la risolveremo
fra di noi! Ma tu attent’a te come parli da ‘sto
momento in avanti!
SGANARELLO: Ma infatti io non parlo mica
di voi, Dio me ne guardi, se voi non credete in
niente avrete le vostre buone ragioni, ma in giro
si vedono piccoli impertinenti, qualcuno anche
vostro tirapiedi, che fanno i libertini senza
sapere a loro volta il perché. Che si atteggiano a
liberi pensatori perché sono convinti di farci la
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bella figura. Se io avessi un padrone così,
guardandolo fisso negli occhi gli direi chiaro e
tondo… a lui…: “Ma davvero voi pensate di
prendervi gioco del Cielo, e sbeffeggiare le cose
più sacrosante da farle tremare. Ma chi? Sto
parlando con lui… chi vi dà il diritto... piccolo
vermicciattolo, piccolo virmidone, mirmidone,
sto sempre parlando con lui… ma chi vi dà il
diritto di farvi beffa, di tutto quello che gli
uomini venerano e rispettano?! Ma forse
credete che basti il fatto di essere nobile, di
avere una parrucca bionda, …sempre a lui…
riccioluta e le piume sul cappello e l’abito in
tessuto d’oro e i nastrini rosso fiamma… no
non dico a voi mio signore, anche l’altro ha il
rosso fiamma!
Voi pensate di essere più bravo, pensate che
nessuno abbia il diritto di dirvi la verità in
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faccia!
Vi faccio presente, io, il vostro servo, che il
Cielo prima o poi punisce gli atei perché una
vita cattiva, porta a una cattiva morte!
DON GIOVANNI: Bravo Sganarello! Questa è
una chiusa davvero straordinaria! Ancora un po’
e vomitavo! Bravo! (Batte le mani e simula il
gesto di vomitare).
MUSICA FINALE DELL’OPERA DI MOZART
<<<<<FINE>>>>>