Il territorio e la sua evoluzione Introduzione La fisionomia geografica della Bassa presenta aspetti diversi; vi scopriamo innanzitutto i colori e le sfumature della pianura, intersecata da fiumi e canali, fertile di lavoro e con luoghi ancora incontaminati che ci fanno pensare ad un passato misterioso, anche nei suoi abitanti. Per capirla però bisogna ripensare al passato di tutto il Veneto. Polibio (I II secolo a. C. ), riferendosi alla nostra regione, parla di una pluralità di popoli presenti: Galli Cenomani, Galli Carni, Veneti, Taurisci, Japudi, Reti e Plinio vi aggiunge gli Euganei e i coloni romani. Giacomo Devoto sostiene che il popolo veneto non è mai esistito in quanto unità etnica, ma è piuttosto, un nome nuovo dato a gruppi di indoeuropei, tribù di Ari. Comunque siano andati i fatti, una cosa è sicura: nel Veneto, perciò anche nel nostro territorio, ebbe luogo una civiltà che ci conserva, attraverso le sue caratteristiche, tracce di un mondo preromano. L‟unità etnica del Veneto si è formata poi, come afferma Dino Coltro in “Leggende e racconti popolari del Veneto”, attraverso una unità culturale creata nei secoli da fattori diversi, legate al territorio e alle modificazioni del paesaggio, alla produzione di manufatti e al formarsi di una tradizione. È un‟identità che esprime al proprio interno variazioni “locali” caratterizzate anche da un certo isolamento politico creato per secoli dalla Serenissima, da una influenza dell‟amministrazione asburgica, dal cattolicesimo e così via. Il dialetto veneto poi, e in particolare quello della Bassa, ha conservato le parole della gente non colta, ma soprattutto una concezione della vita e una sapienza elaborata nei secoli sull‟esperienza e sull‟osservazione, sulla memoria delle generazioni, trasmessa e conservata nella tradizione orale. La civiltà contadina che ha caratterizzato per secoli il nostro territorio è comunque finita e la sua scomparsa ha coinciso anche, nel bene e nel male, con la cancellazione di molti confini e, se la metropoli è dilagata inglobando paesi e città, i suoi abitanti sono sempre più privi di esperienze condivise, di vincoli forti che li tengano uniti, di valori comuni e sono quindi più soli, esattamente come gli altri abitanti della modernità. Assetto del territorio e dei sistemi idrografici fra l’Adige e le propaggini dei Lessini, dei Berici e degli Euganei dall’età preistorica alla romanizzazione Come risulta da una carta geologica redatta dal Magistrato alle Acque di Venezia, vecchi studi compiuti negli anni trenta,“il territorio è considerato costituito indistintamente dalle alluvioni dei vari corsi seguiti dall‟Adige, senza peraltro specificare in che epoca si verificano”. In tale carta la nostra zona è divisa in due parti da una linea passante per Arcole, Veronella, Cologna Veneta, Montagnana e Megliadino San Vitale. I terreni posti a Nord-NordEst di tale linea apparterrebbero al Pleistocene Superiore (Riss-Wùrn e tardiglaciale) mentre quelli a SudSudOvest si sarebbero formati in epoca olocenica (dall‟8.000 a.C. in poi). La zona comprende una vasta fascia di terreni di origine alluvionale (fluvioglaciale e fluviale). Da sondaggi AGIP sappiamo che la maggior parte del “materasso” alluvionale formante la Pianura Padana è costituito da sedimenti di formazione marina (sabbie, marne ed argille del Quaternario antico-Calabriano ed Emiliano) i quali a loro volta poggiano su formazioni terziarie. La parte sommitale è invece costituita da materiali di origine continentale formatisi durante il Pleistocene superiore. È con il Pleistocene medio che iniziarono infatti a formarsi i più antichi depositi di tipo continentale nella Pianura Padana, contemporaneamente alla fusione dei ghiacciai delle prime glaciazioni. Subsidenza, oscillazioni eustatiche ed in minor misura movimenti tettonici determinarono il progressivo instaurarsi di un ambiente continentale. Lentamente la Pianura Padana si colmò dei detriti trasportati dalle enormi masse fluvioglaciali e fluviali. Dai rilevamenti geologici effettuati si può ipotizzare che gran parte del territorio assunse la sua attuale configurazione alla fine della glaciazione rissiana. Sappiamo che durante l‟ultima glaciazione (Wurm), i ghiacciai coprivano le parti più elevate dei Monti Lessini, tutto il bacino del Lago di Garda e la Valle dell‟Adige fino al suo sbocco in pianura. I Colli Berici erano esclusi dalla copertura glaciale e al di sotto del limite delle nevi perenni vi era una zona a tundra alpina, mentre più in basso ce n‟era un‟altra a salici e betulle, mentre la pianura era ricoperta da steppe con pini silvestri e betulle. Dalle analisi sedimentologiche si è potuto stabilire che l‟Adige fu il fiume che, dalle pendici dei Colli Berici sino al suo alveo attuale, depositò i sedimenti sabbiosi e limosi che caratterizzano tale territorio. Si può pertanto pensare che verso la fine della glaciazione rissiana (la penultima glaciazione), l‟Adige, uscito dai monti, trovò a Sud la strada sbarrata dal bacino glaciale del Garda e dalle e dalle sue morene. Dovette quindi piegare il suo corso in direzione Sud-Est dando luogo ad una larga conoide fluvioglaciale che invase la pianura. La parte nord della conoide lambì le ultime propaggini meridionali dei Monti Lessini e dei Colli Berici. I dossi e le relative bassure rappresentano quel che oggi rimane della gigantesca conoide. Tali elevazioni presentano un andamento NordOvest-SudEst. L‟Adige era pertanto il fiume che andava raccogliendo tutto ciò (acqua e sedimenti) che proveniva dalla fusione dei ghiacciai che ricoprivano l‟arco alpino e una volta giunto in pianura, si apriva con un imponente ventaglio alluvionale. Tale basamento rissiano, che nell‟alta pianura intorno a Verona è costituito prevalentemente da ciottoli, ghiaie e sabbie, avanzando progressivamente nella media pianura si va facendo di dimensioni granulometriche inferiori, infatti nel nostro territorio non abbiamo più ciottoli o ghiaie ma sabbie e limi. Durante l‟ultima glaciazione (Wurm) l‟Adige incise la conoide rissiana scavandovi un nuovo alveo e formando un terrazzo più basso rispetto a quello precedente, il terrazzo wurmiano si spinge fino Bernardine di Coriano e Anson. A Sud del terrazzo fluvioglaciale rissiano abbiamo una serie di “palù”, mentre un isolotto rissiano lo troviamo a Boschi S. Anna – Boschi S. Marco. Da Sud di Coriano si snoda un elevato dosso che prosegue poi per Pilastro-Minerbe-San ZenoneBevilacqua-Montagnana- Saletto-Este. L‟autore di questa ricerca, Gian Carlo Zaffanella, ritiene questo dosso la dimostrazione della presenza di un antico corso dell‟Adige attivo fino in epoca tardo-romana. Ai lati di questo dosso su di un paleosuolo sabbioso rossiccio, sono stati rinvenuti depositi antropici di epoca pre-protostorica e romana ricoperti e sigillati da un discreto pacco di sedimenti atesini. Ad ogni modo sui dossi sono stati individuati paleosuoli (sabbie rosse…) che potrebbero essersi formati durante l‟interglaciale Riss-Wurm (clima sub-atlantico-fresco umido a querceto-carpineto). Possibile è quindi che esistano testimonianze di industrie umane appartenenti all‟interglaciale Riss-Wurm e al postglaciale. Certo è che gli uomini preistorici neolitici trovarono una zona ideale per stabilirsi, specialmente lungo i dossi sabbiosi e limosi, ottime vie di comunicazione e con un manto forestale costituito da querce, faggi e frassini, nonché una miriade di laghetti e stagni circondati da dossi, in cui abbondavano i animali selvatici e vi era un clima che si faceva sempre più caldo e umido (optimum climatico dal 5000 al 3000 a.C.). Questo ambiente comprendeva anche il Busi-Palù-Luppie proseguiva nel Pizzon e nel Palù di Minerbe. Va detto che il Palù (con terreno limoso e argilloso) era allora un bacino semilacustre, presentava alcuni isolotti sabbiosi emergenti al centro ed era chiuso a Nord dal dosso di via Busi e a Sud da quello delle Luppie ( ambedue abitati sicuramente dal tardo Neolitico alla prima Età del Bronzo) . Ad ogni modo quasi tutte le aree comprese tra un dosso e un altro, specie se circondate da altri dossi e prive di sbocchi, costituivano in epoca preistorica dei bacini palustri luoghi anche di insediamento. Tali aree furono abitate, anteriormente l‟epoca romana, da popolazioni durante la seconda metà dell‟Età del Bronzo (XV-XI sec. a.C.), molto probabilmente ad indicare un periodo climatico secco o comunque una predilezione da parte di queste genti per i bacini lacustri o semilacustri. C‟è da notare che verso la fine dell‟Età del Bronzo vi fu un improvviso peggioramento climatico che impaludò e rese inabitabili le aree più basse determinandone l‟abbandono da parte delle popolazioni enee. Invece durante il Neolitico tardo, l‟Eneolitico, il Bronzo antico e l‟Età del Ferro le aree preferite per l‟impianto degli insediamenti erano quelle costituite dai dossi, quindi le zone più elevate. … . mentre durante l‟Età del Bronzo gli abitati, sparsi su tutto il territorio, rappresentavano veri e propri ecosistemi autonomi e indipendenti, la cui esistenza era strettamente legata all‟ambiente naturale, agli inizi dell‟Età del Ferro, invece, si estinguono i numerosi e sparsi stanziamenti dell‟epoca precedente e si costituiscono alcuni insediamenti di dimensioni assai vaste disposti lungo il corso dell‟Adige. … . Da una comunità omogenea, ancora basata sull‟agricoltura, allevamento e attività venatorie, formante l‟abitato dell‟Età del Bronzo si giunge ad una settorializzazione dell‟area abitata rispondente alle nuove attività artigianali e sociali. Più tardi, con lo svilupparsi della Civiltà Paleoveneta (II e III periodo), si assiste ad un progressivo frazionamento degli abitati che, pur diventando di dimensioni minori, rimangono sempre disposti lungo la medesima direttiva (corso dell‟Adige allora attivo). … . Una direttiva paleoveneta passava per Minerbe correndo ai lati di un paleoalveo attivo dell‟Adige. Risulta infatti alla luce dei recenti dati geoarcheologici che, la parte inferiore dell‟antico corso fluviale, da Bevilacqua sino ad Este, era attiva da un momento sinora imprecisato della Preistoria sino alla tarda romanità. Seguendo però le sabbie recenti d‟Adige, presenti fin in superficie, dalle Luppie (elevate fasce di terreni sabbiosi) di Montagnana verso Bevilacqua tale fascia sabbiosa prosegue in direzione NO verso San Zenone e Minerbe. … . Il ventaglio sabbioso-limoso, che si espande a NE di San Zenone e che va progressivamente spegnendosi verso la Previera di Sotto, rappresenta probabilmente un‟esondazione dell‟Adige nel tratto Minerbe-Bevilacqua. La rotta dell‟Adige del 589 d.C. perciò non sarebbe avvenuta a San Donà di Veronella “Rotta della Cucca”, ma intorno a Bonavigo; lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San Zenone-Bevilacqua ritroviamo sabbie fresche atesine. Dalle argomentazioni di Gian Carlo Zaffanella, si ricava perciò che un ramo d‟Adige scorreva dalla Preistoria sino in epoca tardo romana da Bonavigo verso Santo Stefano di Minerbe-MinerbeSan Zenone-Bevilacqua. Al sopraggiungere del mutamento del corso dell‟Adige dovettero concorrere vari fattori, tra cui in promo luogo, oltre all‟aumento delle precipitazioni, il fatto che l‟Adige non era più regolato e probabilmente arginato come in epoca romana, per cui il suo alveo venne sempre più ad innalzarsi determinando tracimamenti ed allagamenti. Tale innalzamento del letto, impedendo sempre più il flusso della corrente, provocò infine l‟abbandono del vecchio alveo non più funzionale. … Dalle analisi sedimentologiche si è potuto stabilire che fu l‟Adige il fiume che, dalle pendici dei Colli Berici sino al suo alveo attuale, depositò i sedimenti sabbiosi e limosi che caratterizzano anche il nostro territorio. … si può pertanto pensare che verso la fine della glaciazione rissiana (la penultima glaciazione), l‟Adige uscito dai monti trovò a S la strada sbarrata dal bacino glaciale del Garda e dalle e dalle sue morene. Dovette quindi piegare il suo corso in direzione SE dando luogo ad una larga conoide fluvioglaciale che invase la pianura. La parte nord della conoide lambì le ultime propaggini meridionali dei Monti lessini e dei Colli Berici. … . I dossi e le relative bassure rappresentano quel che oggi rimane della gigantesca conoide. Tali elevazioni presentano un andamento NO-SE. L‟Adige era pertanto il fiume che andava raccogliendo tutto ciò (acqua e sedimenti) che proveniva dalla fusione dei ghiacciai che ricoprivano l‟arco alpino. E una volta giunto in pianura esso si apriva con un imponente ventaglio alluvionale. … . Durante l‟ultima glaciazione (Wurm) l‟Adige incise la conoide rissiana scavandovi un nuovo alveo e formando un terrazzo più basso rispetto a quello precedente. … il terrazzo wurmiano si spinge fino Bernardine di Coriano e Anson. A S del terrazzo fluvioglaciale rissiano abbiamo una serie di “palù” … Un isolotto rissiano lo troviamo a S. Anna – Boschi S. Marco. … . Da S di Coriano si snoda un elevato dosso che prosegue poi per Pilastro-Minerbe-San ZenoneBevilacqua-Montagnana- Saletto-Este. L‟autore ritiene questo indice di un antico corso dell‟Adige attivo fino in epoca tardo-romana. Si sono rinvenuti , ai lati di questo dosso su di un paleosuolo sabbioso rossiccio, depositi antropici di epoca pre-protostorica e romana ricoperti e sigillati da un discreto pacco di sedimenti atesini. Ad ogni modo sui dossi si sono individuati paleosuoli (sabbie rosse…) che potrebbero essersi formati durante l‟interglaciale Riss-Wurm (clima sub-atlantico-fresco umido a querceto-carpineto). Possibile è quindi che esistano testimonianze di industrie umane appartenenti all‟interglaciale Riss-Wurm e al postglaciale. Certo è che gli uomini preistorici neolitici trovarono una zona ideale per stabilirsi: lungo i dossi sabbiosi e limosi ottime vie di comunicazione, un manto forestale costituito da querce, faggi e frassini, una miriade di laghetti e stagni circondati da dossi, abbondanza di animali selvatici ed un clima che si faceva sempre più caldo e umido (optimum climatico dal 5000 al 3000 a.C.). Questo ambiente comprendeva anche il Palù di Minerbe. Il Palù (con terreno limoso e argilloso, era allora un bacino semilacustre, alcuni isolotti sabbiosi emergenti al centro), chiuso da dossi e da Luppie (elevate fasce di terreni sabbiosi) ( ambedue abitati sicuramente dal tardo Neolitico alla prima Età del Bronzo). … . Ad ogni modo quasi tutte le aree comprese tra un dosso e un altro, specie se circondate da dossi e prive di sbocchi, costituivano in epoca preistorica dei bacini palustri. Tali aree furono abitate, anteriormente l‟epoca romana, esclusivamente da popolazioni durante la seconda metà dell‟Età del Bronzo (XV-XI sec. a.C.), molto probabilmente ad indicare un periodo climatico secco o comunque una predilezione da parte di queste genti per i bacini lacustri o semilacustri. C‟è da notare che verso la fine dell‟Età del Bronzo vi fu un improvviso peggioramento climatico che impaludò e rese inabitabili le aree più basse determinandone l‟abbandono da parte delle popolazioni enee. Invece durante il Neolitico tardo, l‟Eneolitico, il Bronzo antico e l‟Età del Ferro le aree preferite per l‟impianto degli insediamenti erano quelle costituite dai dossi, quindi le zone più elevate. … . mentre durante l‟Età del Bronzo gli abitati, sparsi su tutto il territorio, rappresentavano veri e propri ecosistemi autonomi e indipendenti, la cui esistenza era strettamente legata all‟ambiente naturale, agli inizi dell‟Età del Ferro, invece, si estinguono i numerosi e sparsi stanziamenti dell‟epoca precedente e si costituiscono alcuni insediamenti di dimensioni assai vaste disposti lungo il corso dell‟Adige. … . Da una comunità omogenea, ancora basata sull‟agricoltura, allevamento e attività venatorie, formante l‟abitato dell‟Età del Bronzo si giunge ad una settorializzazione dell‟area abitata rispondente alle nuove attività artigianali e sociali. Più tardi, con lo svilupparsi della Civiltà Paleoveneta (II e III periodo), si assiste ad un progressivo frazionamento degli abitati che, pur diventando di dimensioni minori, rimangono sempre disposti lungo la medesima direttiva (corso dell‟Adige allora attivo). … . Una direttiva paleoveneta passava presumibilmente per Minerbe, correndo ai lati di un paleoalveo attivo dell‟Adige. Risulta infatti alla luce dei recenti dati geoarcheologici che, la parte inferiore dell‟antico corso fluviale, da Bevilacqua sino ad Este, era attiva da un momento sinora imprecisato della Preistoria sino alla tarda romanità. Seguendo però le sabbie recenti d‟Adige, presenti fin in superficie, dalle Luppie di Montagnana verso Bevilacqua tale fascia sabbiosa prosegue in direzione NO verso San Zenone e Minerbe. … . Il ventaglio sabbioso-limoso, che si espande a NE di San Zenone e che va progressivamente spegnendosi verso la Previera di Sotto, rappresenta probabilmente un‟esondazione dell‟Adige nel tratto Minerbe-Bevilacqua. La rotta dell‟Adige del 589 d.C. perciò non sarebbe avvenuta a San Donà di Veronella “Rotta della Cucca”, ma intorno a Bonavigo; infatti lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San Zenone-Bevilacqua ritroviamo sabbie fresche atesine. Dalle argomentazioni di Gian Carlo Zaffanella, si ricava perciò che un ramo d‟Adige scorreva dalla Preistoria sino in epoca tardo romana da Bonavigo verso Santo Stefano di Minerbe-MinerbeSan Zenone-Bevilacqua. Al sopraggiungere del mutamento del corso dell‟Adige dovettero concorrere vari fattori, tra cui in primo luogo, oltre all‟aumento delle precipitazioni, il fatto che l‟Adige non era più regolato e probabilmente arginato come in epoca romana, per cui il suo alveo venne sempre più ad innalzarsi determinando tracimamenti ed allagamenti. Tale innalzamento del letto, impedendo sempre più il flusso della corrente, provocò infine l‟abbandono del vecchio alveo non più funzionale. In conclusione Gian Carlo Zaffanella ritiene che nel paleoalveo abbiamo un unico potente pacco di sabbie fresche d‟Adige. Su questa superficie si sono rinvenuti solo reperti medievali e posteriori. Il Palù e l‟area tra il paleoalveo ed il dosso antico erano bacini esondabili, quindi soggetti ad essere sommersi da eventuali esondazioni dell‟adiacente fiume. Saltuariamente frequentati durante la preistoria, rimasero disabitati in epoca romana. Sulla riva destra del vecchio alveo del fiume (su terreni più antichi a paleosuolo sabbioso rossiccio) si snodava una via sin dalla preistoria, testimoniata da numerosi stanziamenti pre-protostorici e da costruzioni di epoca romana. (Da: ―GEOMORFOLOGIA E ARCHEOLOGIA PREISTORICA nel territorio compreso tra l‘Adige, i Colli Berici e i Colli Euganei‖ di Gian Carlo Zaffanella Comune di Montagnana Museo Civico 1981) Epoca preistorica e protostorica Del periodo preistorico, nel territorio di Minerbe non si hanno importanti riscontri archeologici. Bisognò attendere la Prima Età del Ferro (900-350 a. C.), quando vi si stabilirono i Paleoveneti (―civiltà paleoveneta‖ ovvero cultura del Veneto nell‘età del ferro nel I millennio a. C.) , perché in questi luoghi comparisse un segno tangibile e duraturo della presenza umana, testimoniata dal ritrovamento di alcune tombe databili tra la seconda metà del secolo VII e la prima metà del VI secolo a.C., rinvenute presso Fondo Bellinato in località Dosso della Campagnina e di una tomba ad incinerazione, in località Ca‟ del Bosco. Tracce di piccole necropoli sono state rinvenute sotto dossi emergenti lungo l‟antico corso dell‟Adige che costituivano punti di incontro e di riferimento per le popolazioni dei Veneti Antichi che si insediarono nel territorio verso il X secolo a. C. e vi prosperarono per un po‟ meno di un millennio, come rivela anche la necropoli di dieci tombe a incinerazione, con urne cinerarie e reperti di anfore e di vasellame di corredo piuttosto povero, raggruppate in un centinaio di metri quadrati,ritrovate anche a Bevilacqua, vicino alla stazione . i materiali ora sono conservati al Museo Archeologico Fioroni e a Este. Le anfore ritrovate, in genere alte una trentina di centimetri e a piede sporgente, dimostrano una lavorazione piuttosto accurata al tornio e rifinite a stralucido o a fasce orizzontali di colore rossastro e tendente al nero. Il vasellame è notevolmente diverso per forma, lavorazione e materiale. Ci sono frammenti di tazza bassa a piede sporgente e vasi a forma di bicchiere o tazza di dimensioni sempre modeste. Ci sono anche vasi fatti amano e di materiale grossolano, che potrebbero essere di corredo o anche di uso domestico, disposti nelle tombe con parte del cibo del rituale banchetto funebre. Sicuramente la vita si svolgeva tra il fiume e i terreni circostanti. Il fiume permetteva i contatti con altri villaggi o centri più grossi e dalle terre non allagate si poteva trarre sostentamento con le coltivazioni e l‟allevamento del bestiame. Naturalmente da qualche parte c‟era poi un luogo di culto, forse un boschetto o un piccolo stagno. Nella Seconda Età del Ferro, denominato anche periodo Celtico o Cultura di “La Tene”, alcune tribù celtiche occuparono queste terre senza diventarne i dominatori e integrandosi con gli abitanti del luogo. Sappiamo che i Celti furono in sostanza una popolazione di nomadi, mitici cultori dell‟astro solare, che si sedentarizzavano per poco. Questa civiltà sorse nel cuore dell‟Europa intorno al 600-500 a.C. e s‟irradiò su tutto il continente. Di essa impressiona la ricchezza di un artigianato artistico; probabilmente le officine lavoravano soprattutto ai confini con le aree greche, romane, laddove cioè si avvicinavano di più alle popolazioni sedentarie. A Minerbe, presso Fondo Stoppazzola presumibilmente nel 1874, furono ritrovati una fusaiola e un protome di bronzo appartenente a un mestolo tipo Pescante risalenti al II e I secolo a.C. Epoca romana In epoca romana sorsero nuovi insediamenti abitativi, genti provenienti dall‟Urbe si mescolarono con quelle del luogo, dando vita ad un periodo di agiatezza che durò secoli. Nel campo “della Madonna”, proprietà Gaudio, tra il 1935 e il 1936 furono rinvenute 300 grandi anfore, contenenti quasi tutte corredo funerario. Ancora prima, nel 1921, in località Ospitale, fu sterrato un monumento funebre di certo P. Lucilio, appartenente alla tribù Romilia. Da ulteriori ritrovamenti fu definitivamente suffragata la tesi che Minerbe appartenesse alla colonia atestina. Durante il periodo romano, la nostra campagna era stabilmente abitata non solo da contadini impegnati a coltivare la terra, ma pure da alcuni ricchi signori che risiedevano in solidi edifici in muratura, ma quasi tutte le costruzioni di quel periodo erano in legno o in graticcio e assomigliavano ai “casoni” tipici delle nostre zone fino a non molti decenni fa. Per secoli la vita delle popolazioni, oltre che nelle immediate vicinanze dei fiumi, si svolse anche a ridosso delle importanti direttrici romane, come ad esempio la via Emilia Altinate (console Marco Emilio Lepido175 a.C.) , una strada romana che passava proprio nelle nostre zone. Verona è durante l‟età romana un importante nodo stradale, passavano infatti: la “Postumia” che collegava Genova ad Aquileia, la “Claudia Augusta Padana che attraversava il veronese da sud a nord, la “Gallica” che proveniva da oltralpe e proseguiva ad Este, Aquileia e la regione balcanica. La religiosità pagana tradizionalmente vissuta dalla popolazione della città e del territorio veronese offre il contesto in cui la predicazione e l‟accoglienza della fede cristiana presero piede e si svilupparono. Accanto alle divinità del culto etrusco, veneto, retico, celtico e romano trovano più tardi accoglienza anche nuovi riti di origine orientale come il culto della Mater Deum o Cibele e di Mitra. Minerbe trae il nome da MINERVA, Dea dei Romani, probabilmente di origine etrusca; essa fu da principio soltanto padrona degli artigiani; la sua identificazione con l‟Atena dei Greci tardò alquanto a essere assoluta. I Tarquini stabilirono la triade: Giove, Giunone e Minerva, dando a quest‟ultima il carattere che aveva Atena, di custode e padrona della città. Con l‟andar del tempo la dea, similmente a quella greca, da cui ormai ben poco si differenziava, fu per i Romani padrona di tutte le più elevate manifestazioni dell‟intellettualità. Di essa esisteva un tempietto a San Zenone, dove ora sorge la chiesa. L‟annuncio evangelico potè giungere a Verona forse ad opera di privati, al di fuori delle iniziative istituzionali. Si trattava probabilmente di qualche soldato venuto a contatto con il cristianesimo in Oriente oppure a Roma, o di qualche persona di rilievo che aveva avuto incarichi di governo in regioni già evangelizzate, come anche può darsi che dei mercanti o dei viaggiatori abbiano portato il primo annuncio evangelico della fede. Tutto ciò forse nel terzo secolo con il primo vescovo di Verona Euprepio e forse al tempo di papa Fabiano che mandò dei missionari nelle Gallie oppure in un periodo anteriore alla pace costantiniana inaugurata con il protocollo di Milano del 313; dal 362 sarà vescovo di Verona San Zeno È da ricordare che negli anni 1874. 1881 nei fondi Weill Weiss e Stoppazzola vennero portati alla luce centinaia e centinaia di scheletri , appartenenti a uomini adulti, presumibilmente guerrieri. Sembra che nel 312 d.C. in questo territorio sia avvenuto uno scontro sanguinoso tra l‟esercito di Massenzio e quello di Costantino. Oltre agli scheletri, vennero alla luce oggetti d‟oro, di bronzo e di ferro, orecchini, ornamenti vari e fibule in metallo tipici del corredo di un soldato dell‟epoca, mancavano però armi e armature. Alto Medioevo Circa l‟ordinamento ecclesiastico già nel corso del secolo quinto si andò a precisare con l‟organizzazione di pievi mariane. Alla decadenza del regno ostrogoto, dopo la morte di Teodorico, Verona fu interessata dal dominio dei Bizantini fino all‟avvento dei Longobardi. Sembra che, se si sta a quanto afferma Paolo Diacono nella sua storia dei Longobardi, che in quasi ogni città del regno c‟erano due vescovi, uno cattolico e l‟altro ariano e che vi fossero pure pievi doppie, cattolica e longobardo-ariana. È da precisare che, caduto l‟Impero Romano, con le invasioni barbariche si verificò un progressivo degrado anche nel territorio veronese. Guerre, pestilenze, inondazioni ridussero i suoi abitanti in un preoccupante stato di miseria. Le acque, non più regolate e arginate si riversarono per le campagne trasformandole in desolate paludi. Nell‟autunno (17 ottobre) del 589 d.C. durante il regno dei Longobardi, si verificò la famosa “Rotta della Cucca” e vi fu un abbandono delle terre veronesi, ma non si interruppe la vita nelle nostre zone. Parlando della “Rotta della Cucca”, come già accennato, basandosi su alcune fonti antiche, molti storici scrissero di una famosa deviazione, passata alla storia come "Rotta della Cuca"(Veronella) del 589 d. C., altri storici però sostengono che tale deviazione del corso dell‟Adige avvenne a Pilastro di Bonavigo, lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San ZenoneBevilacqua dove si ritrovano sabbie fresche atesine. Nel secolo VII ci fu anche un certo risveglio religioso: i vescovi veronesi vennero fatti oggetto di culto e si assistette ad un intenso scambio di reliquie con conseguente attivazione di culto e devozione. Il quadro religioso si andrà a completarsi con la progressiva conversione dei Longobardi ariani. La data del sinodo di Pavia (689) per ricomporre lo scisma di Aquileia, può essere assunto come termine della storia dell‟antichità cristiana e l‟inizio della storia medioevale della chiesa in quanto la chiesa passò dalla sua forma romana che l‟aveva caratterizzata nei primi sette secoli, alla sua forma romanogermanica. Tra il VI e l‟ VIII secolo ci fu un notevole sviluppo del culto di San Zeno testimoniato da numerosi e autorevoli documenti. I Longobardi introdussero innovazioni anche sul piano organizzativo del territorio, come per esempio la creazione della “Curtis Regia” , la presenza dei duchi, l‟organizzazione di importanti distretti e relativi ordinamenti amministrativi con personale formato da gastaldi, scabini e gasindi: Essi divisero i territori in “sculdasie” che erano circoscrizioni amministrative alle quali era preposto un funzionario detto sculdascio con mansioni giudiziarie, fiscali, di polizia, e che rappresentava il potere regio. Vi fu poi la conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno che fu un evento di capitale importanza per Verona e territorio, anche della bassa. Forse in seguito alla “rotta della Cucca” (Veronella), e dove le acque ristagnarono più a lungo, si sviluppò pian piano un folto bosco. Durante il dominio dei Longobardi e poi dei Franchi, il bosco, che aveva una importanza rilevante per la vita delle popolazioni, seguì le alterne vicende della fortezza di Legnago. Sappiamo che Carlo Magno, successore di Pipino il Breve, della dinastia dei Carolingi, la quale successe alla dinastia dei Merovingi, diede vita al “Sacro Romano Impero”, ma alla morte di Carlo il Grosso , terminò la dinastia dei carolingi e si ebbe lo smembramento dell‟impero nei regni di: Germania, Francia, Italia, Provenza, e Borgogna. Al declino definitivo e alla scomparsa dell‟impero carolingio, l‟instabilità politica e la permanente minaccia degli Ungari (899-933) si verificò l‟incastellamento del territorio, col sorgere di costruzioni fortificate per esempio a Cerea, Legnago, porto di Legnago, il diffondersi della feudalizzazione e la parcellazione della proprietà ecclesiastica. È da ricordare che nell‟887 si configurarono alcune unità politiche non ancora omogenee, tra le quali emersero: Francia, Germania e Regno Italico (quest‟ultimo però faticò più degli altri a trovare la propria identità). È da aggiungere che in questo periodo ebbero grande sviluppo il Feudalesimo e la cavalleria, la quale, sul finire del secolo XI e l‟inizio del XII, accrebbe il suo ruolo; in tale contesto va messa in luce la partecipazione veronese alle crociate; ad una delle quali partecipò anche un Somaglia di Stoppazzola, ( poi Conti Somaglia di Stoppazzola, dal titolo nobiliare conferito alla famiglia dai Visconti di Milano). La “grande” storia ci ricorda che comincia dopo il Mille lo sgretolamento del Feudalesimo, sulle rovine del quale sorgono i Comuni; le città fioriscono per opera dei vescovi- conti e si sviluppano le industrie e i commerci, prosperano sempre più le Repubbliche marinare. Il periodo degli imperatori di Franconia poi coincide con le conquiste dei Normanni nell‟Italia Meridionale (i quali sconfissero i Longobardi nel ducato di Benevento, i Bizantini in Puglia e in Calabria e i Saraceni in Sicilia), con la prima crociata e con l‟espansione delle Repubbliche Marinare. Dopo Enrico V la Germania è dilaniata da lotte dinastiche tra la casa di Baviera (Guelfi) e quella di Svevia (Ghibellini), fino all‟elezione di Federico di Svevia “il Barbarossa” nel 1152. Il periodo delle lotte dinastiche, che intercorse tra gli imperatori di Franconia e gli Svevi, favorì in Italia il sorgere , accanto alle Repubbliche Marinare, dei liberi comuni, i quali ebbero uno sviluppo politico che può essere distinto nelle seguenti fasi:la fase consolare in cui predominano le vecchie famiglie feudali, la fase podestarile in cui predomina la borghesia e la fase popolare in cui, accanto al podestà, che rimane capo soltanto di nome, viene eletto il Capitano del popolo e la classe dominante è costituita dagli artigiani riuniti nelle arti minori. Basso Medioevo Nel Periodo comunale dell‟istituzione comunale veronese si ha un primo documento risalente al 1136, in tal periodo si registrarono oltre allo sviluppo delle autonomie locali del comune in campo civile, anche un fervore costruttivo e una spiritualità più attenta agli aspetti umani del ministero cristiano; nel “Privilegio”: “Piae Postulatio Voluritabis” del 17 maggio 1145 si dà l‟enumerazione delle Pievi di campagna e di altre chiese esistenti nel territorio tra cui figura anche San Zeno di Minerbe (il” privilegio” è da vedere come l‟espressione dell‟estensione del potere e dell‟intervento del papato nel periodo della riforma postgregoriana). Dal 1035 circa apparve la pieve di San Zenone di Minerbe, la cui costituzione forse è da attribuirsi alla vicinanza a nuove strade o ad un legame con Porto. E‟ da ricordare che il culto di San Zenone Vescovo si diffuse in molte diocesi, come protettore dei pericoli delle acque Durante il fiorire dei liberi comuni, Legnago acquisì una propria autonomia e sicuramente dopo l‟anno 1100 il bosco passò sotto la giurisdizione del vescovo di Verona. In questi periodi bui un ruolo fondamentale fu poi svolto dalla pieve rurale di San Pietro in Tillida (=tigli) situata nei pressi di Bevilacqua, che raggiunse la sua espansione attorno all‟anno mille, per poi scomparire nel XII secolo; una delle ville “vici” ad essa sottoposte era probabilmente “Corregias” vicino a Minerbe; alcune località però non le erano sottoposte, tra queste figura Minerbe e San Zenone. Carlo Avogaro nei suoi “Appunti di Toponomastica Veronese” scrive che nel testamento del Diacono Dagilberto dell‟anno 932, Minerbe è chiamato Minervae, nell‟anno 1027 Menervae, nel 1035 Menervio, e poi nel 1228 Menerbio, posteriormente Minerbium da cui poi Minerbe. Si dice che San Zenone, VIII vescovo di Verona, sia venuto in questo territorio, vi abbia predicato la religione cristiana e distrutto il tempio pagano; poi sulle rovine del tempio di Minerva e con i materiali dello stesso, fu edificata una chiesa che venne dedicata a San Zenone Vescovo e Martire. La chiesa preesisteva al secolo X, poiché è detta Pieve; significa che a quell‟epoca possedeva il sacro Fonte battesimale, al quale venivano portati anche i bambini delle terre circonvicine per essere battezzati. Essa pertanto risulta una delle più antiche Pievi della Diocesi di Verona. La crescita e lo sviluppo dei vari centri situati sulla sinistra dell‟Adige furono senza dubbio agevolati dalla presenza di consistenti patrimoni di enti ecclesiastici e di famiglie nobili veronesi. A Minerbe infatti possedeva beni il monastero di San Pietro di Modena, ceduti poi a quello di San Michele in Campagna, vicino a Verona e negli anni 1209-1211 la potente famiglia cittadina dei Crescenzi assegnò a una quarantina di famiglie un terreno boschivo nelle vicinanze del paese. Nel territorio comunale esisteva anche un complesso di proprietà dell‟Episcopio. . Dal 1183 al 1226 il Comune passò dalla fase della prosperità a quella della decadenza con il sorgere delle fazioni e il loro violento scontro; Papato e Impero si stavano scontrando per le investiture e per l‟affermazione della rispettiva supremazia (è da aggiungere poi, che contro i patti convenuti con Innocenzo III , Federico II di Svevia unì il regno di Sicilia all‟impero, chiudendo tra due fronti il Papato e i Comuni, fino all‟avvento di Carlo d‟Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia, nel 1266 e il tramonto in Italia dell‟autorità del Sacro Romano Impero, dopo di che ebbe inizio la decadenza sia dell‟Impero che del Papato). . I nomi “Guelfi” e “Ghibellini” assunsero il significato di sostenitori del papa (Guelfi) e dell‟imperatore(Ghibellini). Nei primi decenni del 1200, tutto il territorio veronese fu sottoposto a furibonde lotte tra fazioni. I ghibellini Montecchi, per esempio, che erano stati cacciati da Verona dai guelfi Sambonifacio, nel 1232 riuscirono a rientrarvi con l‟aiuto di Ezzelino da Romano, signore della Marca Trevigiana. L‟ultima fase, dal 1226 al 1259, fu caratterizzata dal passaggio alla signoria impersonata da Ezzelino III da Romano. Quest‟ultimo, deposti podestà e dignitari nominati dal popolo, proclamò di governare la città in nome dell‟imperatore. Nel 1234 Padovani, Bresciani e Mantovani, già alleati dei Sambonifacio, occuparono anche alcuni territori della bassa. Gli anni tristi delle guerre condotte da Ezzelino da Romano, causarono alle comunità do Porto e Legnago, morte e distruzione. Alla morte di Ezzelino, seguì un decennio in cui sembravano risorgere le libertà comunali, in realtà il potere si andava accentrando nelle mani dello scaligero Mastino I della Scala (1259-1277) per poi passare al fratello Alberto I della Scala (1277-1301) e quindi alla Signoria Scaligera. I della Scala si premurarono di rimettere Verona in pace con la Santa Sede (guelfi). ). L‟inizio della Signoria scaligera trae origine dall‟autoaffermazione dinastica di Alberto I, subentrato al fratello Mastino I nella carica di Capitano del popolo (1277). Nel 1302 rafforzò il potere della carica ereditata di capitano del popolo il primogenito Bartolomeo e, due anni dopo, nel 1304 il fratello secondogenito Alboino, unificò nella sua persona le cariche di Capitano del Popolo e di Podestà della Casa dei Mercanti. Nel 1308 egli associò al potere il fratello minore Cangrande. Nel 1311 i Della Scala ebbero il titolo di “vicari Imperiali” e Cangrande, morto Albuino, iniziò un‟espansione territoriale, forte anche del titolo di capitano generale della lega ghibellina, fino al 1329, allorquando morì all‟improvviso a Treviso. I suoi successori furono poi i nipoti Mastino II e Alberto II, figli di Albuino, i quali continuarono la politica espansionistica, però non ebbero la stessa chiara visione politica della situazione. Nel 1331 nella vicina Castelbaldo fu costituita la lega veronese-ferrarese-mantovana, che rientrava nella strategia scaligera di acquisizione di prestigio conseguito con la forza militare, senza badare alla necessaria base economica e non curando molto gli aspetti diplomatici. Gli scaligeri furono in guerra contro o in alleanza con le città dell‟intera Italia settentrionale. La Signoria raggiunse comunque il momento di massima gloria nel 1336, poi cominciò il suo declino. Agli inizi del 1351 morì Mastino II e subentrò Cangrande II ucciso nel 1359 dalla mano sicaria di suo fratello Cansignorio, il quale, politicamente debole, perseguì una politica di alleanze militari pericolose. Alla sua morte assunsero il governo della signoria Bartolomeo e Antonio, il primo poi pare fu fatto uccidere dal secondo. Dopo Antonio il potere passò ai Visconti. Dal 1136 al-1260 Minerbe era giurisdizione esclusiva dei nobili Bevilacqua, il cui capostipite era un facoltoso commerciante di legname che trasportava i tronchi su zattere lungo il corso dell‟altoAdige. La famiglia dei Bevilacqua agevolò l‟ascesa degli Scaligeri e caratterizzò le vicende del nostro territorio: la Bevilacqua. I Bevilacqua esercitarono la loro influenza anche dopo la caduta degli Scaligeri, infatti influirono sugli eventi del territorio fino alla fine del 1400. Nel 1354 Cangrande della Scala donò ai Bevilacqua il vicariato di Minerbe, San Zenone, Santo Stefano e Gazzolo, in segno di riconoscimento alle sue benemerenze e dei suoi favori. Diversi furono gli episodi funesti per Minerbe, si ricorda per esempio che nel 1312 Cangrande I della Scala dopo essersi impossessato di Vicenza, pensò di dirigersi anche verso Padova, ma i padovani, accortosi del pericolo, organizzarono un esercito, uscirono dalla città e allagarono e incendiarono Pressana e Minerbe, poi Franceschino da Caldonazzo, signore di Valsugana, tentato di impossessarsi dei territori dell‟alto vicentino protetti dagli Scaligeri e unito ai Carraresi di Padova che intervennero a difenderlo, nel 1385 occupò Minerbe e lo “rovinò dalle fondamenta”. Anche nel 1436 vi fu uno spaventoso incendio nel nostro paese. In quel periodo il territorio ormai aveva una vasta distesa di bosco: infatti da una cartografia risultano: il bosco delle Stoppazzole, il paese di Minerbe, la fossa Borzelè e nel mezzo, una radura sulla quale sorge la villa della Stoppazzola (= forse a “terreno coperto di stoppie), attorniata da fabbricati. Le case dei centri sparsi nella campagna sono nella maggior parte di paglia, mentre le chiese di mattoni. Fonte di prodotti e di nutrimento, il bosco divenne oggetto di controversie e di liti in epoche nelle quali le condizioni di vita erano grame, a prescindere dalle ricorrenti calamità (epidemie, malaria, inondazioni, grandinate, invasioni di cavallette,…) e costringevano gli abitanti durante le carestie a cercare alimento persino nelle radici e nelle cortecce. L‟ultimo signore scaligero, Antonio, esule morì, forse avvelenato il sette agosto 1388. ci fu poi un breve dominio dei Visconti e poi una guerra che si svolse tra i figli del Visconti, i pretendenti Scaligeri, i Carraresi da Padova e la Repubblica Veneta, in espansione verso la terra ferma. Col riconoscimento da parte dell‟imperatore, che diede ai Signori delle città il titolo di duchi o marchesi e con la facoltà loro concessa di trasmettere ai figli il potere, le Signorie si trasformarono fin dal secolo XIV in Principati Dal punto di vista dell‟organizzazione religiosa, nella prima metà del secolo XV inizierà il distacco delle cappelle dalla pieve e la loro erezione in parrocchie autonome. Con la sottomissione di Verona e Legnago al dominio veneziano nel 1405, anche il bosco (costituito da: Olmi, Ontani, Querce, Aceri, Acacie, e arbusti) entrò a far parte del territorio veneziano, il legname era destinato principalmente all‟arsenale navale di Venezia dove giungeva attraverso l‟Adige su barconi e zattere, ma serviva anche per ricostruire il ponte sull‟Adige , per le case (di legno e di paglia), per la caccia di frodo e come rifugio a fuggiaschi e banditi; a sua tutela la Serenissima assunse a pagamento dei guardiani detti “saltari”. Esso, durante le guerre della Lega di Cambraj (1508-1517) (Spagnoli e Francesi… contro Veneziani) subì devastazioni e incendi da parte degli eserciti contrapposti. Età Moderna Gli inizi del 1500 infatti, furono drammatici per il Basso Veronese. Ferdinando il Cattolico di Spagna, papa Giulio II, Luigi XII di Francia e l‟imperatore Massimiliano d‟Asburgo si riunirono a Cambraj nel 1508 in una lega contro Venezia, alla quale aderirono anche il re d‟Ungheria, i duchi di Mantova e di Ferrara. Gli eserciti di entrambi imperversarono anche nelle nostre terre portando morte e distruzione e saccheggiando quanto trovavano. L‟imperatore Massimiliano, per finirla una volta per tutte con “quelle piccole terre Legnago e Porto che ardivano resistergli”, sistemò il quartiere generale proprio a Minerbe, successivamente decise di venderla con Porto ai Francesi per 15000 ducati in cambio di Verona. Buona parte dei combattimenti tra Veneziani e aderenti alla lega avvenne sulla sinistra d‟Adige. Nel 1514 fu l‟armata spagnola, che continuava la guerra contro Venezia, a produrre episodi di soprusi ed angherie, fino a che il 12 luglio 1515 ci fu la calata del re di Francia, ormai alleato alla serenissima a costringere gli Spagnoli a spostarsi in Lombardia. In base agli accordi di pace, nel 1517 Verona e il nostro territorio furono assegnati alla Francia che poi li cedette alla Serenissima. In seguito, impellenti necessità finanziarie costrinsero la Repubblica di Venezia a lottizzarlo e a venderlo a dei patrizi che in tempi successivi , lo ridussero a terreno coltivabile. Nel frattempo l‟Italia fu ancora terreno di scontro tra Carlo V e Francesco I prima (1531-1544), e tra Filippo II ed Enrico II poi, per il predominio, fino alla pace di Cateau- Cambresis (1559). Di Carlo V si riporta che nei giorni quattro e cinque novembre 1532 soggiornò alla Cucca (Veronella) durante il suo viaggio per Roma. Durante l‟occupazione imperiale, ma in modo particolare dal 1530 al 1540, a causa di inondazioni e di siccità, si ebbe nel Veronese una scarsa produzione di grano, specialmente nel 1538, per cui si prospettò il terribile flagello della fame e della morte per molti, anche se , alcune testimonianze rinvenute, ci sottolineano l‟esistenza di un‟attività artigianale di notevole importanza già in questi secoli XV e XVI legata alla lavorazione della ceramica. Riguardo il contesto politico e religioso, si può osservare che si ebbe uno scadimento dei costumi e della disciplina, il vescovo di Verona Giberti tentò di delineare la struttura e l‟organizzazione della diocesi veronese che nella campagna era articolata intorno a settanta pievi e centotrentun parrocchie. Attraverso la descrizione delle sue visite, Egli ci dà anche una visione della situazione morale e materiale delle comunità, che tentò di risollevare, verificò le condizioni strutturali delle chiese ed effettuò l‟inventario dei beni, interrogò parrocchiani. Da una delle ultime visite risulta che gli abitanti erano 1250 di cui 750 i confessati e i comunicati. Il nostro territorio, il cui terreno era costituito da ampie zone sabbiose, dovute alla presenza dell‟Adige, e da alcune zone argillose e calcaree, con un ambiente circostante formato dal grande bosco, a partire dal 1400, in particolare poi intorno alla metà del 1700, fin alla prima metà del „900 fu importante per la coltura del riso (ne sono testimonianza le quattro pile d‟acqua – Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni-). Tale coltura fu introdotta dal governatore di Verona Teodoro Trivulzio e raggiunse l‟apice verso la metà del 1700; fu allora che le famiglie aristocratiche e borghesi della zona , potendo contare sullo scavo di nuovi canali irrigui e sui numerosi interventi di bonifica commissionati, fra gli altri dall‟ingegnere minerbese Gasparo Bighignato, si dedicarono ad essa, considerata molto redditizia. Infatti, tra la fine del „500 e il pieno „600 alcune famiglie nobiliari con ville nel nostro territorio, come i marchesi Spolverini, i Bevilacqua, i Chiodo, ma anche enti ecclesiastici si rivolsero alle magistrature della Repubblica di Venezia allo scopo di ottenere l‟investitura d‟acqua per bonificare e sistemare il sistema di canali “dugali”. La presenza di risare è conseguenza alle suppliche di Tommaso Spolverini, la prima delle quali è del 1558. Persico nella sua giuda di Verona e della Provincia del 1821 dice di Minerbe: “Paese grosso con bei casamenti ed agiati di più signori”. Secondo il Massedaglia “Minerbe è stato uno dei primi paesi nel 1611 della Bassa a coltivare pure mais o “formenton gialo”. La risaria si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone, ne sono testimonianza le quattro pile d‟acqua –Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni abitate allora dal “piloto” (mugnaio). Fu qui che, nel corso dei secoli, centinaia di mondine hanno lavorato sodo, con la schiena piegata e i piedi in ammollo, sotto l‟occhio inflessibile del risaro: il temuto sorvegliante che, oltre a regolare i livelli dell‟acqua e a mantenere pulite le reti da pesca, poste nei cataletti, non esitava a dare un colpetto di bastone a chi accennava a raddrizzarsi. Assieme alla coltura del riso poi si svilupparono quelle dei cereali e dell‟allevamento del baco da seta, tanto che insigne famiglie patrizie scaligere e veneziane avevano scelte la nostra Bassa per dar vita a grandi possidenze terriere e per costruire ville sontuose con aie, cuore aziendale e pulsante di tanto lavoro; anche se i contadini continuarono a vivere nella miseria. Nel 1630 scoppiò la peste che seminò a Minerbe e a San Zenone ben settecentotrentacinque decessi. La peste ebbe effetti negativi anche nell‟economia veronese e sull‟arte: infatti molte chiese vennero interamente disinfettate con una generale imbiancatura di calce che ricoprì numerosi affreschi. L‟Adige ancora protagonista nella storia del paese nel 1776 con un‟alluvione; a causa dello stato deplorevole degli argini che erano stati tagliati o distrutti interamente, migliaia di campi del comune e delle località limitrofe vennero invasi dalle acque, con gravi danni alle coltivazioni e alle piante. Fu una specie di diluvio circoscritto, gli abitanti trascorsero ore di sgomento e di paura, cavalli e buoi perirono nei vortici della corrente spaventosa. In quei giorni calamitosi le barche ebbero gran fortuna, rematori improvvisati accumularono quattrini, il paese sembrava trasformato in un fiume dal letto vastissimo e dalle acque torbide, come quelle di un torrente dopo un uragano con gran scempio di faggi ed altri alberi. Furono però gli anni dal 1796 al 1815 che rappresentano, probabilmente, il periodo storico più difficile vissuto dalle popolazioni dei nostri territori. Verona e la sua provincia furono al centro di durissimi episodi bellici tra l‟esercito francese e quello austriaco, che portarono miseria, carestie e devastazioni. È la campagna d‟Italia concepita dal Direttorio per impedire che truppe austriache accorressero a difendere Vienna, la capitale dell‟impero, verso cui marcia l‟esercito francese, guidato dal generale Napoleone Bonaparte. Nel gennaio del 1797 ci fu uno scontro tra Francesi, sparsi sulla difensiva tra Minerbe, San Zenone e Sant‟Anna e Austriaci, al di là del fiume Fratta a Bevilacqua. La popolazione, spaventata dai disordini provocati, riparò nelle abitazioni dei nobili e lasciò in balia dei soldati tutti i suoi poveri averi. La battaglia della Favorita e la resa di Mantova decretarono il definitivo controllo dei Francesi sulla pianura padana; ci fu qualche episodio di rifiuto di ospitalità alle truppe francesi, le cronache ci riferiscono per esempio che il conte Gaspare Stoppazzola tentò di opporsi di dare ospitalità ai cavalieri francesi, violando le disposizioni vigenti, nell‟aprile del 1797 (Pasque Veronesi). Il 19 luglio circa millecinquecento soldati francesi, di ritorno dal Friuli dove avevano sbaragliato gli Austriaci, piantarono campo a Minerbe. Di tale situazione subì forti contraccolpi l‟agricoltura che ebbe come prima conseguenza la scarsità di derrate alimentari; inoltre il passaggio degli eserciti comportò spesso distruzione di alberi, specialmente di gelsi e la requisizione di animali, come cavalli e bovini. Una volta insediati, essi apportarono radicali cambiamenti all‟apparato amministrativo e burocratico del territorio: Minerbe e San Zenone vennero inclusi nella Circoscrizione di Legnago e il 22 settembre 1797 divenne obbligatorio il calendario repubblicano e le ore diventarono di centoventi minuti. Il Menin (1762-1836), medico di San Zenone, nel suo “Breve storico compendio della guerra d‟Italia” dell‟anno 1796-1797 lamenta le miserie portate dai Francesi “le quali se non furono maggiori di quelle provocate dagli Unni, dai Goti e dai Vandali non furono di certo neppure minori”. Con il trattato di Campoformio /17-10.-1797) poi tra Francia e Austria, le terre veneziane e il Veneto furono cedute all‟Austria: i territori sulla sinistra d‟Adige passarono così sotto il dominio austriaco, incluse Verona e Legnago, situazione che cambiò di poco con il successivo trattato di Luneville (9-2-1801), seguito alla seconda campagna d‟Italia, in cui la fortezza di Legnago venne divisa in due: Legnago francese, Porto e sinistra Adige austriache, ma con la vittoria di Napoleone ad Austerliz. Età Contemporanea Nel 1805 tutto il Veneto passò sotto il dominio francese fino al 1810. In tal periodo nel nostro territorio vennero realizzate opere viarie importanti (la San VitoBevilacqua per esempio), in ogni comune venne nominato un podestà, divenne obbligatorio seppellire i morti lontano dai centri abitati e vennero compilate liste di leva per cui tutti i cittadini maschi (cittadini del regno d‟Italia) erano obbligati a prestare servizio militare nelle varie campagne dell‟esercito francese. Quest‟ultimo provvedimento sottrasse braccia da lavoro alla campagna e provocò l‟impoverimento della zona. Chi tentò di difendere la propria famiglia, i poveri averi, pagò con la vita. La gente doveva obbedire alla chiamata alle armi per finire a combattere in terre lontane. La popolazione del Basso Veronese si ribellò nella primavera del 1809, scoppiarono tumulti in vari paesi, ciò provocò anche la confusione tra insorti, coloro che si nascondevano per sfuggire alla leva e piccole bande di briganti che cercavano di approfittarne della confusione; si sviluppò così il fenomeno del banditismo. Proprio riguardante Minerbe un cronista riporta un episodio accaduto in cui un‟orda numerosa ripartita da Terrazzo, Marega, Begosso, Nichesola e San Zenone, giunta a Minerbe abbia preteso la consegna di otto bovi, otto cavalli, pane e vino, minacciando distruzione e morte, sequestrò il Podestà e lo costrinse a far visita alle famiglie più facoltose per racimolare la somma richiesta; non riuscendo, condussero il malcapitato in municipio, rovistò dappertutto e infine si fece dare documenti a cui diede fuoco in piazza, non soddisfatta poi bruciò anche la residenza stessa e il palazzo della nobile famiglia Stoppazzola. Quella del 1809 fu una rivolta, che alla fine fece contare un certo numero di morti,quasi tutti per rappresaglia, dove la popolazione diede prova comunque di grande dignità. Con la caduta definitiva di Napoleone, e il Congresso di Vienna, fatto per dare un nuovo assetto all‟Europa con la Restaurazione, dal 1815 al 1866 il Veneto ritornò all’amministrazione austriaca la quale in un primo momento cercò di aiutare l‟agricoltura, e intraprese la bonifica delle grandi valli veronesi. Ci fu una stasi dell‟incremento della popolazione, ma un aumento della produzione agricola con il miglioramento del tenore di vita dei proprietari terrieri, ma le condizioni dei braccianti e dei bovai rimasero misere. I prodotti tipici erano ancora frumento, riso e granoturco. Nei campi il lavoro era svolto a mano e quasi sempre eseguito con la zappa da donne e fanciulli e con l‟erpice dagli uomini. Con la Restaurazione però quasi tutta l‟Italia venne ad essere soggetta direttamente o indirettamente all‟impero austriaco deciso a sostenere i governi assoluti imposti dal Congresso di Vienna, ad impedire ogni riforma democratica e ad intervenire. Questa situazione, dopo la Rivoluzione Francese con tutte le sue contraddizioni, aveva comunque risvegliato nei popoli una più viva coscienza di libertà non era più sopportabile, né era possibile lottare apertamente contro. Di qui il sorgere delle Società Segrete, lo scoppiare in Italia di moti rivoluzionari nel ‟20, ‟21, ‟30, „31 che chiedevano la Costituzione, i processi del Lombardo-Veneto, l‟ascesa di Mazzini e delle sue idee, la nascita di correnti politiche che si proponevano di raggiungere l‟unità d‟Italia con mezzi pacifici, dopo l‟insuccesso dei moti mazziniani. Gli occupanti austriaci si dimostrarono diffidenti e sospettosi anche nel veronese; la polizia arrestava facilmente per motivi politici. Le frequenti requisizioni di vino, legna, grano, frumento e altri beni di prima necessità per mantenere le truppe, accrescevano l‟odio della popolazione nei loro confronti. Nel 1817 ci fu anche una carestia con impennate di decessi provocate dai freddi intensi e dalle siccità, inoltre aumentarono i furti e gli atti di vandalismo. Nel 1848 una crisi europea, di carattere prevalentemente antiaustriaco e patriottico, coinvolse ancora il Lombardo Veneto e purtroppo anche nelle nostre zone si verificò il triste fenomeno di chi era costretto a combattere contro i propri parenti e amici, perché arruolati obbligatoriamente alle file austriache azioni di ricatto subite dalla popolazione, come risulta da una lapide posta sotto il loggiato in piazza IV Novembre ad opera dell‟esercito austriaco il quattro Agosto 1866. nel 184849 ci fu la Prima Guerra d‟Indipendenza, con l‟eroica resistenza di Venezia, le condanne nel Lombardo-Veneto (i martiri di Belfiore nel mantovano), nel ‟59 la Seconda Guerra d‟Indipendenza, le annessioni dell‟Italia centrale, la spedizione dei Mille nel ‟60, la proclamazione del Regno d’Italia nel ’61 e la Terza Guerra d‟Indipendenza nel ’66 inseguito alla quale il Veneto diventò italiano e venne sciolta la Confederazione Germanica del 1815 così che l‟Austria perse ogni influenza in Germania a vantaggio della Prussia . Il 21 Ottobre 1866 venne fissato il plebiscito con il quale si chiese al popolo di votare per l‟annessione al nuovo regno d‟Italiadei Savoia. Minerbe faceva parte del collegio elettorale che aveva sede a Legnago e che comprendeva i comuni di Albaredo, Angiari, Bevilacqua, Bonavigo, Bonaldo, Castagnaro, Cologna Veneta, Cucca (Veronella), Minerbe, Pressana, Roverchiara, Rovereto di Guà, Terrazzo, Villa Bartolomea, Zimella. Il venti settembre 1870 il generale Cadorna occupò Roma entrando attraverso la breccia di Porta Pia, sottraendola al papa Pio IX. Dopo la morte del Cavour, grande artefice del Risorgimento, alla Camera si distinguono nettamente due correnti: la Destra e la Sinistra. La Destra, formata da liberali moderati continuatori della politica di prudenza e di equilibrio del Cavour, tenne il potere fino al 1876 e i suoi sforzi principali furono volti a sanare la situazione finanziaria (economia fino all‟osso), la Sinistra rimase al potere fino al 1914; essa allargò il diritto di voto e iniziò la lotta contro l‟analfabetismo. La miseria però continuò a diventare sempre più pesante sia per le difficoltà interne, sia per gli avvenimenti internazionali; per questo si diffusero anche in Italia idee socialiste e comuniste e si affermò il movimento cristiano-sociale. Ad aggravare la situazione della nostra gente, nel 1856 ci fu un‟epidemia di colera che colpì Minerbe, causando una vera e propria strage; altre malattie che si manifestarono furono poi la malaria, la pellagra. La mortalità infantile era alta, ben il 48% da zero a sei anni e il 25% dai quindici ai quarantacinque anni. Le guerre di espansione coloniale, la prima guerra d‟Africa nel 1885-‟89 e la seconda guerra d‟Africa, 1895-1896, nate anche sullo stimolo della spartizione dell‟Africa da parte dei Paesi europei, non risolsero il problema della miseria e della disoccupazione e molti, pure fra i nostri concittadini cominciarono ad emigrare soprattutto nelle Americhe. Il paese di Minerbe però si dimostrò dinamico anche nei momenti di difficoltà: nel 1896 venne fondata la “Cassa Rurale dei Prestiti di Minerbe”con recapito presso la casa canonica. Già all‟inizio del 1900 il quadro economico e sociale cominciava a farsi variegato. Esisteva una fiera del bestiame in occasione della sagra di San Giuseppe; in essa venivano contrattati attrezzi agricoli oggetti per la casa, animali, merci varie. La coltivazione del riso continuava ad essere praticata e costituiva ancora una risorsa. Pur persistendo le grandi proprietà delle famiglie patrizie veronesi, e le grandi boarie quali “Corte Bove”, Corte Campeggio, Corte Colombaron e Corte Chiavegato ex Weiss, con una massa di povera gente, cominciava lo spezzettamento della terra in piccole proprietà. In paese poi c‟era una trentina circa di telai per la lavorazione di lino, canapa, iuta e una decina per quella del cotone. I gelsi (i morari) alimentavano l‟allevamento del baco da seta, le donne poi, soprattutto nei periodi invernali, confezionavano trecce di truciolo di legno di salice (il salgaro) impiegate successivamente per fare cappelli, ceste e altri prodotti. Contemporaneamente al diffondersi della tessitura a domicilio e della lavorazione del truciolo di salice usato per confezionare ceste e cappelli, Giacomelli creò una fornace per laterizi la cui attività terminò nel 1930 a causa di un incendio, vi lavoravano circa 250 persone. Si vendevano i quindicinali: “L‟Asino”, “L‟Amico del popolo”, “Verona del popolo”, “Seme”. Esisteva dal 1882 la Società di Mutuo Soccorso con lo scopo di aiutare i soci in caso di malattia. Anche il dibattito politico culturale era discretamente acceso: c‟era una certa disputa tra cattolici, anticlericali, socialisti. La disparità tra le classi era notevole, ma la coscienza civica avvertita, indisse in particolare il Comune ad addossarsi l‟onere dell‟assistenza a domicilio degli ammalati e ad elargire , tramite la Congregazione di Carità, un somma di denaro per l‟assistenza. Il due luglio 1882 venne costituita la Società di Mutuo Soccorso Agricola- operaia, che nel 1919 divenne “Società Operaia di Mutuo Soccorso”., sorsero uno stabilimento bacologico (1872), una fabbrica per la lavorazione del truciolo (1885), una fornace per laterizi (1902), un centro di raccolta e lavorazione del tabacco (1920) e un caseificio sociale (1922). La svolta che offrì nuovi sbocchi occupazionali e permise di contenere l‟emigrazione transoceanica, si ebbe già nel 1872 ad opera dell‟ingegnere Alfonso Bellinato. Fu lui che, sfruttando la coltivazione del gelso, molto praticata nelle campagne della zona, fondò uno stabilimento bacologico nel quale gli operai erano occupati a selezionare i semi (le uova) e ad allevare i filugelli (bachi da seta) destinati anche all‟esportazione. Risale poi al 1885 l‟inaugurazione dello stabilimento dei fratelli Tonazzi, che si occupava della triturazione e della torrefazione delle radici della cicoria, convertite in un surrogato economico del caffè. Agli inizi del „900. Ma il grande precursore dell‟industria moderna fu Angelo Scarmagnan, il quale, partito dal nulla girando per le contrade a vendere mercanzie con un carretto trainato dal cavallo, ebbe l‟intuizione di avviare una serie di attività legate principalmente all‟agricoltura che assorbivano diversa manovalanza. La ditta Scarmagnan incominciò a produrre prodotti chimici atti a migliorare l‟agricoltura. Questo imprenditore, morto nel 1970, finanziò varie iniziative ricreative e benefiche: dal cinema teatro Politeama alla colonia per i bambini della parrocchia. Nel 1909 aprì una prima azienda agricola accanto alla chiesa di San Zenone. Lì smerciava concimi, zolfi, carboni e macchine agricole. Superata la difficile parentesi della Grande Guerra, riprese il lavoro specializzandosi nel commercio di prodotti chimici. Dal punto di vista politico militare, gli inizi del „900 vedono la conquista della Libia del 1911-1912 e la partecipazione dell„Italia alla Prima Guerra Mondiale nel 1915 Nel 1914 si svolsero le elezioni amministrative e vinse una lista moderata con sindaco Emilio Candiani. Ma gli anni che vanno dal 1915 al 1918 sono determinati dagli avvenimenti della grande guerra. Quasi tutti i giovani vanno al fronte e tutto è bloccato dalla paura e dalla disperazione, la piccola delinquenza dilaga. Viene bloccato il progetto di bonifica Zerpano, che avrebbe dovuto portare alla pianificazione idraulico- sociale dalla Zerpa alla Fratta e a scaricare le acque del bacino nel fiume Fratta Gorzone. A dire il vero a tale progetto si erano opposti alcuni proprietari, in particolare i Bevilacqua e i De Bernini, ma anche alcuni comuni tra cui Minerbe, i quali temevano gli effetti dannosi che potevano derivare dal cambiamento del regime delle acque del bacino. I lavori poi ripresero in novembre del 1919, Nel 1915, il tredici marzo il Sindaco si dimette per contrasti sui contributi che si dovevano erogare alla linea ferroviaria Ostiglia-Treviso di cui esisteva un progetto fin dal 1910, che doveva passare per Minerbe e che doveva servire soprattutto per il trasporto di truppe. Il secondo anno di guerra fu anche per le nostre zone molto difficile e quando nel 1917 gli Altopiani vicentini caddero in mano agli Austriaci, i nostri paesi si trasformarono in vere e proprie retroguardie, dove trovavano aiuto e rifugio i profughi della Vallarsa. Per scopi militari nel 1910 era stato progettato un tracciato ferroviario, per il passaggio della ferrovia da Minerbe e dopo la sconfitta di Caporetto migliaia di soldati transitarono anche per il Basso Veronese; diversi furono i disagi e le apprensioni che il paese visse anche se l‟abitato rimase strutturalmente indenne. Per gli uomini in trincea venne costituito un comitato di signore (Maurina Valentini, Lina Gemma, Ida Allegroni, Ida contessa Stopazzola, Elisa Burzio, Elisa contessa Nichesola, Giovanna Fraccaro Guardalben, Idalia Vivaldi, Palmira Maestri, Maria Vivaldi, Maria Nascimben, Dirce Scarmagnan, Giulia Bertelli, Emma Bertelli, Clara Tonazzi, Teresa Vivaldi, Amabilia Vivaldi e Pietro Durgante), impegnate a raccogliere fondi per i più bisognosi. Molti soldati venivano fatti prigionieri o uccisi e le famiglie a casa rischiavano di non sopravvivere. I caduti al fronte furono 82, ma nell‟albo d‟oro dei Caduti della Prima Guerra Mondiale del 1921 il loro numero sale a 9, essendovi inclusi i nomi dei giovani nativi di Minerbe, trasferitisi in altri comuni. Il parroco di allora ci dà un chiaro resoconto della tragicità di quegli anni e dello “stato d‟anime della Parrocchia nel 1920 con brevi annotazioni che vengono allegate. (All.n°1 e All.n°2 ) Insomma la vita cambiò non solo per l‟effetto dell‟economia di guerra, per l‟uccisione di uomini e la distruzione di cose, ma anche l‟idea stessa di comunità, per il lacerarsi dei rapporti fra la gente, per il costituirsi di tante comunità costrette a urtarsi; c‟è la popolazione di donne, vecchi e bambini costretta portare avanti il lavoro della terra, a convivere con i soldati alloggiati nelle proprie case, a occuparsi nei lavori militari delle retrovie; c‟è il mercato nero; viene requisito più volte bestiame. Anche fisicamente il paese cambia aspetto, la piazza per esempio viene occupata da carri e cannoni e questo ha una grande influenza sul senso di identità della comunità. Alla prima guerra seguirono per l‟Italia momenti difficili: c‟era da risanare il bilancio esausto per le spese di guerra, da frenare la discesa della lira, da trovare lavoro per migliaia di excombattenti. A gravare la situazione intervenne la propaganda dei partiti estremisti che provocavano continui scioperi ed agitazioni. Di questi disordini approfittò Benito Mussolini che nel 1921 fondò il Partito Nazionale Fascista e il 28 ottobre 1922 ordinò la Marcia su Roma. Gli avvenimenti di questi anni furono vissuti con particolare intensità anche da Minerbe dove si diffusero le idee del movimento operaio e contadino e dove serpeggiava anche un certo anticlericalismo. Tra il 1919 e il 1920 sorsero in paese due cooperative, una bianca e una rossa, che si adoperavano per negoziare il salario minimo dei braccianti. Sorsero anche la Società di Mutuo Soccorso, le Casse Rurali. La situazione sociale in quegli anni però fu carica di tensione e le contese ideologiche forti. Dopo le elezioni del 1921, accanto a popolari e socialisti, crebbero gli aderenti al fascismo e iniziarono scontri tra socialisti, popolari e fascisti con le famose spedizioni punitive di questi ultimi. In questo contesto accadde l‟episodio dell‟incendio della sede comunale di Minerbe. Il 19 aprile 1925 venne inaugurata la stazione di Minerbe. Nel 1922 in via Roma sorgeva la società essiccazione prodotti industriali (Sepi)(fino agli anni ‟60 si occupò dell‟imbottamento del tabacco) fondata da Giacomo Giacomelli, Francesco Gemma, Dante e Carlo Vivaldi, Angelo Scarmagnan, quest‟ultimo negli anni venti della Sam (Scarmagnan Angelo Minerbe) una vera e propria industria dedita inizialmente alla selezione del grano da semina, nonché alla macinazione e alla ventilazione dello zolfo, a cui nel 1937 si aggiunse la produzione del polisolfuro di calcio. Sopraggiunse poi la guerra. Nel ‟39 Mussolini infatti firmò un trattato d‟alleanza con Hitler e nel ‟40 entrò in guerra a suo fianco. Si ricorda che la seconda guerra mondiale è costata 55 milioni di morti. Le date da ricordare in particolare di quel triste evento, perché diversi furono anche i nostri morti, sono:1942-‟43 la Campagna di Russia, la campagna d‟africa ad El Alamin, la battaglia di Cefalonia (Corfù), la resistenza. Dopo l‟annuncio dell‟armistizio da parte del generale Badoglio, quando la guerra sembrava finita, le prime avanguardie tedesche si posizionarono anche a Minerbe; villa Nichesola (il Palazzon) divenne il loro quartiere generale e altre abitazioni vennero requisite, compresa la canonica. I rapporti furono freddi; durante la Repubblica Sociale di Salò si assistette a qualche episodio triste di Minerbesi che accusarono i propri compaesani di simpatie partigiane, talvolta soltanto per sollevarsi dalle pressioni delle brigate nere. Il 25 agosto del ‟44 quattro caccia anglo-americani mitragliarono la stazione colpendo ventotto vagoni di petrolio e facendo scoppiare un pauroso incendio. Nel ‟45 accaddero altri episodi dolorosi: fu bombardato da un cacciabombardiere americano un rifugio in cui si trovavano quattro persone che morirono bruciate e successivamente i Tedeschi, per vendicare quattro commilitoni uccisi dai partigiani uccisero quattro Minerbesi. Della resistenza nel nostro territorio operava la Brigata Adige la cui zona d‟operazione comprendeva: Albaredo, Coriano, Michellorie, Presina, Cologna Veneta, Gambellara, Minerbe, Pressana, Legnago, Ronco all‟Adige, San Bonifacio, Terrazzo. L‟estrazione sociale dei suoi componenti era la più varia: c‟erano operai, alcuni specializzati, studenti, renitenti alla leva. Le donne svolgevano la funzione di staffetta, ruolo non secondario nel tenere i collegamenti e nel trasmettere le informazioni. Partecipava anche qualche ragazzo (14-16 anni) in qualità di portaordini. Con le loro azioni i partigiani si prefiggevano di danneggiare il nemico, rappresentato da nazisti e fascisti, attraverso il sabotaggio contro le caserme e i mezzi di trasporto (ferrovie, camion…). Ciascuna brigata operava nella massima segretezza, ciò nonostante i rapporti con la popolazione furono buoni. La gente dava ospitalità e cibo più di quanto si potesse immaginare in un periodo di grande difficoltà per tutti. . A tal riguardo alleghiamo alcune note di cronaca del parroco don Carlo Pacega - 1925-1948-(Allegato n° 3) Dall‟ inizio del „900 sino alla fine degli anni ‟50 gli avvenimenti che caratterizzarono la vita del paese furono diversi, fra i principali si ricorda: nel 1901 venne istituita la banda cittadina, nel 1906 l‟asilo infantile, nel ‟10 iniziano i lavori della nuova facciata della chiesa parrocchiale, nel ‟12 nasce la casa di riposo, nel‟18 apre l‟asilo a San Zanone, nel ‟21 le scuole elementari in piazza IV novembre, nel ‟23 viene inaugurato il monumento ai caduti e viene costruito il cinema –teatro di Angelo Scarmagnan, nel ‟32 viene istituita l‟associazione sportiva calcistica “A.S. Minerbe”, nel ‟34 viene aperta la colonia antimalarica a San Zenone e nel ‟39 una elioterapica. La vita politica, dopo le elezioni amministrative del ‟46 vinte dai social-comunisti, vede la Democrazia Cristiana arbitra delle sorti del paese. La vita contadina e i suoi riti si svolgono in quel quadro di fondo fatto di nebbie, freddo, umidità, ma anche di soli cocenti, e di fatiche immani eseguite quasi tutte con le pure braccia; il lavoratore dei campi era spesso ridotto allo stesso livello delle sue bestie da soma. Gli animali domestici c‟erano, ma grandi o piccoli che fossero, dovevano essere utili o come bestie di fatica, o come datori di carne di cui sfamarsi, o come animali da guardia o da difesa contro nemici o parassiti vari. L‟uomo e gli animali nella casa colonica vivevano fianco a fianco una vita di stenti in cui le bestie mangiavano i resti dell‟alimentazione del colono, dormivano in ambienti disagiati ed avevano mansioni ben precise all‟interno della proprietà. Le bestie di grande pezzatura erano oggetto di cure quasi umane, perché dagli esiti dei loro parti, del loro ingrasso e della loro salute dipendeva il futuro degli abitanti della corte, che dalla loro utilizzazione o vendita ricavavano cibo per sostenersi, collaborazione nel mandare avanti i lavori dei campi ed entrate in denaro per mandare i figli a scuola e provvederli di vestiti adeguati alle esigenze ed alla stagione. Gli animali da cortile erano accuditi da donne e ragazzi. Le oche che crescendo diventavano aggressive, erano accudite dai figli più grandi, che spesso con la primavera andavano a studiare all‟aperto provvisti di bastone per difendere i fratelli più piccoli e per pascolarle. Era praticata la caccia di lepri, passeri, fagiani, beccacce e beccaccini Poi il mondo cambiò in fretta. Dopo la guerra ci furono: la divisione del mondo in aree d‟influenza, la decolonizzazione e li neocolonialismo dei paesi africani, la cortina di ferro, il muro di Berlino, la guerra fredda, l‟equilibrio del terrore,il la guerra del Vietnam, il Sessantotto, le Brigate Rosse e Nere,il panarabismo, la crisi dei paesi comunisti, il risorgere dei nazionalismi, fino ad arrivare alle nostre “guerre preventive” e al terrorismo arabo che hanno fatto cadere tutti noi nella paura quotidiana. Minerbe, comunque dal punto di vista geo-storico-economico presenta un ricco passato e porta gloriose testimonianze anche della sua evoluzione storico- sociale, inoltre si presenta ancora dinamico. Non dimentichiamo per esempio l‟importanza che ha avuto il nostro territorio per la coltura del riso assieme a quella del lino e del baco da seta, a partire dal 1500 sotto il dominio della Serenissima, fin alla prima metà del „900. Fu introdotta dal governatore di Verona Teodoro Trivulzio e raggiunse l‟apice verso la metà del 1700; fu allora che le famiglie aristocratiche e borghesi della zona , potendo contare sullo scavo di nuovi canali irrigui e sui numerosi interventi di bonifica commissionati, fra gli altri, dall‟ingegnere minerbese Gasparo Bighignato, si dedicarono ad una cultura molto redditizia. Assieme alla coltura del riso poi si svilupparono quelle dei cereali (frumento, granoturco, erba medica,…)e dell‟allevamento del baco da seta, tanto che insigne famiglie patrizie scaligere e veneziane scelsero la nostra Bassa per dar vita a grandi possidenze terriere e per costruire ville sontuose con aie, cuore aziendale e pulsante di tanto lavoro. La risaria si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone, ne sono testimonianza le quattro pile d‟acqua –Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni abitate allora dal “piloto” (mugnaio); ma i contadini morivano comunque con gran facilità, a causa dell‟ambiente insalubre e della miseria in cui erano costretti a vivere. A renderlo noto è Gerolamo Alghisi, un medico-fisico dell‟epoca che in un trattato pubblicato agli inizi dell‟800 e custodito negli atti dell‟Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, traccia un quadro sulle preoccupanti condizioni dei lavoratori delle risaie, costantemente alle prese con febbri palustri, aria putrescente, distese di fango ed abitazioni piccole ed umide, tanto che, con un decreto, il 13 ottobre 1900 la Regia prefettura di Verona ordinò la soppressione graduale delle risaie . il secolo scorso ha segnato, quindi, la progressiva disaffezione nei confronti della risicoltura a favore del frumento, del tabacco, della barbabietola e dei frutteti. Nel 1959 Egidio Ferrari con Leonello Bertoldi e Don Micheletto si adoperò perché sorgesse il Consorzio ortofrutticolo che oggi vanta 200 soci. Il superamento della civiltà contadina poi andò a braccetto con un‟esplosione di imprese e sevizi che hanno cambiato il volto al paese. Anche i filari di uva Negrette e Corbina, i campi di granoturco e le piantagioni di tabacco. Alla fine degli anni ‟80 fu il fagiolino punto di forza della nostra agricoltura, la quale però via via è stata sostituita dall‟artigianato e dall‟industria. Nell‟arco di 40 anni i campi hanno ceduto il posto ad un‟area artigianale- industriale estesa su oltre un milione di metri quadrati, dove si contano oggi circa 150 imprese. La sfida che si pone di fronte agli operatori del settore e alla istituzioni oggi è quella di far rivivere il nostro territorio in tutte le sue attuali potenzialità, coglierne e sottolinearne la sua identità che, in fondo, è quella che scaturisce dal nostro patrimonio storico- culturale,ed è comunque agro-ambientale. Agli inizi del Duemila Minerbe presentava la più grande coltivazione europea di bacche di rosa, e ambiva a diventare polo di sviluppo e di produzione di prodotti come il peperone, tanto che esso era stato indicato prodotto tipico locale. I coltivatori agricoli minerbesi hanno saputo cogliere questa valenza e hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa dell‟amministrazione comunale, sostenuta inizialmente da alcuni cittadini, sia per il suo significato di aggregazione, ma soprattutto perché essa sembrava costituire un‟opportunità di sviluppo, anche economico. La quantità e la qualità della produzione del peperone non erano però da considerarsi semplicemente dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale, in quanto poteva caratterizzare il nostro paese, valorizzarlo insieme alle altre produzioni e, forse, diventare il motore di un nuovo approccio alla conoscenza del territorio, in particolare al turismo culturalegastronomico. La crisi negli anni successivi ha cambiato tutte le prospettive Appendice Sono appena trascorsi i 150 anni dell‘Unità d‘Italia, ripensare alla nostra civiltà contadina vuole dire tentare di ricostruire i significati della casa, del lavoro della religiosità del nostro paese, conoscere la nostra storia, il nostro lessico, il quale rifiuta parole anche solo evocative di violenza e ci offre spazio di relazionalità solidale, fondata su conoscenza e comprensione generative di cooperazione autentica. Nella cultura contadina, accanto alle fole o fiabe hanno grande rilevanza, per il loro diretto legame con la realtà quotidiana, gli aneddoti e i proverbi i quali spesso sono fatti di cronaca tolti dalla vita di ogni giorno, faticosa e insignificante, e riproposti come espressioni simboliche di un modo di pensare e di agire. Si tratta di espressione della capacità della povera gente di vivere il mondo alla rovescia, e di rendere relativo e vivibile ogni aspetto della vita, anche quello più duro. Non si tratta però di fuga dalla realtà, bensì di proposta culturale, trasmissione generazionale di propri valori . Esso è anche espressione della libertà intellettuale e autonomia spirituale che la nostra gente nel tempo ha saputo esprimere, secondo un percorso intessuto di saggezza espressa soprattutto con i proverbi, che diventa così elevazione culturale rispettosa dei ritmi arcaici di Madre Terra RICORDANDO LA GRANDE STORIA Nel 1848 una crisi europea, di carattere prevalentemente antiaustriaco e patriottico, coinvolse ancora il Lombardo Veneto, di cui il nostro territorio faceva parte, e purtroppo anche nelle nostre zone si verificò il triste fenomeno di chi era costretto a combattere contro i propri parenti e amici, perché arruolati obbligatoriamente alle file austriache. Ci furono nel 1848-49 la Prima Guerra d‘Indipendenza, con l‘eroica resistenza di Venezia, le condanne nel Lombardo-Veneto (i martiri di Belfiore nel mantovano), nel ‘59 la Seconda Guerra d‘Indipendenza, con le battaglie di San Martino e Solferino, Per l‘Unità erano avvenute le annessioni degli staterelli dell‘Italia Centrale, poi si era fatta la Spedizione del Mille, alla quale partecipò anche un certo Silvio da Prato, secondo alcune fonti(1) un Minerbese, il quale, ferito durante l‘assedio di Messina, morì il 28 Febbraio 1861, poco prima della proclamazione dell‘Unità d‘Italia, avvenuta il 17 marzo 1861. Il tentativo austriaco di estendere al Veneto una timida svolta costituzionale nel 1860-1861 fallì. Quando si tennero, nel 1861, le elezioni che dovevano inviare venti deputati della regione alla dieta imperiale di Vienna, <<le classi più colte>>, con i liberal-aristocratici in prima fila, impedirono che la complessa procedura prevista desse un qualche frutto. Il sabotaggio investi anche, in una certa misura, congregazioni e consigli comunali. Alcune decine di migliaia di veneti, in maggioranza per motivi d'ordine economico o per evitare la coscrizione, emigrarono in Italia. La politica austriaca, la quale trovava un qualche appoggio unicamente nel clero temporalista e in una ristretta area di <<benpensanti>>, si ridusse ad un controllo poliziesco: tra il 1859 e il 1865 furono celebrati a Venezia duemiladuecentoventicinque processi a carico dei patrioti. Come era nelle speranze dei moderati, fu una guerra ―dall'esterno‖, quella del 1866, che costrinse l‘Austria ad abbandonare il Veneto, la Terza Guerra d‘Indipendenza nel ‘66, inseguito alla quale il Veneto diventò italiano e venne sciolta la Confederazione Germanica del 1815, così che l‘Austria perse ogni influenza in Germania a vantaggio della Prussia . Il quattro Agosto 1866 furono compiute azioni di ricatto sulla popolazione, come risulta da una lapide posta sotto il loggiato in piazza IV Novembre ad opera dell‘esercito austriaco. Mentre infatti si aspettava che la guerra fosse realmente finita, nel Comune dì Minerbe, come del resto anche ad Albaredo e a \/olpino (frazione del Comune di Arcole) gli Austriaci sfogarono il loro livore anti italiano minacciando di incendiare il paese ed estorcendo somme notevoli di danaro, accusando la popolazione di inesistenti trame; si diceva che alcuni abitanti di Minerbe avevano promosso rumorose manifestazioni contro il presidio austriaco, agitando per la strada alcune bandiere tricolori. I suddetti Comuni restavano oltre la linea di demarcazione, in altre parole erano ancora in mano dell‘Austria. Il confine correva sul fiume Fratta che ancor oggi fa da confine, per lungo tratto, tra le Province di Padova e Verona. Di quest‘ignobile comportamento è memoria in una lapide murata nel vecchio palazzo municipale, ora ―La Loggia‖ del paese in Piazza IV Novembre. Ecco il testo della scritta: I SOLDATI DELL‟AUSTRIA CON MlNACCE DI FUOCO E DI MORTE NEL IV AGOSTO MDCCCLXVI (1866) VOLLERO ED EBBERO IN SOLE DUE ORE DA QUESTO INERME COMUNE LA SOMMA DI DUE MILLE FIORINI A PUNIRLO DEI NON CELATI PATRIOTTICI ASPIRI DURI LA MEMORIA DEL FATTO COLL‟ODIO A OGNI DOMINAZIONE STRANIERA IV AGOSTO MDCCCLXVII.(1867) ―A pace sottoscritta non risulta sia stato richiesto all‘autore di questa sopruso di render conto del suo gesto. Duce mila fiorini corrispondevano allora a 4938 lire italiane. La paga di un giornaliero di campagna, all‘epoca cui si riferiscono i fatti, era di quaranta centesimi di lire italiane al giorno. Per mettere insieme questa somma doveva lavorare quasi trentaquattro anni senza riposarsi mai un giorno‖. (Prof. Giuseppe Battaglia). Nel collegio elettorale di Legnago, il 21 Ottobre 1866 si tenne un plebisito al quale parteciparono anche i Minerbesi aventi diritto al voto; essi votarono per l‘annessione al regno d‘Italia e furono poi sempre riconoscenti verso il re e gli eroi dell‘Unità d‘Italia. Ciò è attestato anche dalle due lapidi poste in Sala Civica nel palazzo ―La Loggia‖, in Piazza IV Novembre. La prima è intitolata a Giuseppe Garibaldi e così dice: ―A PERENNE INCITAMENTO DELLE FORTI VIRTU‟ CHE FANNO GRANDE LA PATRIA E AFFRATELLANO L‟UMANITA‟ IL NOME DI GIUSEPPE GARIBALDI COMPENDIO DI OGNI ECCELSO IDEALE QUI SCRISSERO I CITTADINI MINERBESI “ A. 1883 La seconda dice: A.1888 PER LE PUBBLICHE LIBERTA‟ LEALMENTE MANTENUTE PER IL DOMINIO DEGLI AVI E PER LA VITA CIMENTATI CONTRO LO STRANIERO A SALUTE DELLA PATRIA VITTORIO EMANUELE II MERITO‟ DI CINGERE LA CORONA D‟ITALIA RIVENDICATA A NAZIONE SALUTANDOLO IL POPOLO RE LIBERATORE IL COMUNE DI MINERBE IN MEMORIA ED ESEMPIO GLORIOSO QUESTO RICORDO CONSACRO‟ Ci fu quindi l‘Unità anche per noi, e l'agognata unione di questo regno fu la realizzazione del sogno di molti. La situazione della nostra gente era però precaria e ad aggravarla c‘erano fame e malattie; già nel 1856 c‘era stata un‘epidemia di colera che aveva colpito Minerbe, causando una vera e propria strage. La mortalità infantile era alta, ben il 48% da zero a sei anni e il 25% dai quindici ai quarantacinque anni. Le guerre di espansione coloniale, la prima guerra d‘Africa nel 1885-‘89 e la seconda guerra d‘Africa1895-1896, nate anche sullo stimolo della spartizione dell‘Africa da parte dei Paesi europei, non risolsero il problema della miseria, del banditismo ( di cui, già dal 1809 abbiamo precise notizie tanto che alcuni minerbesi figurano nell‘‖elenco d‘individui che furono capi od ebbero parte nel brigantaggio provenienti dalla commissione militare di Legnago per relativo arresto‖ - G. Battaglia, ―E li chiamavano briganti‖ pag, 43-) e della disoccupazione e molti, anche dei nostri concittadini, cominciarono ad emigrare soprattutto nelle Americhe. ―A quanto detto si aggiunga il flagello di alcune malattie endemiche fra cui la malaria e la pellagra o mal della rosa. Quest‘ultima si manifestava con piaghe e pustole e colpiva specialmente i bambini e gli adolescenti, alterando il loro sistema nervoso fino allo squilibrio mentale, che diventava poi vera e propria pazzia, difatti fra il 1850 e il 1865 nei manicomi delle zone più pellagrose (il Polesine, il Mantovano, il Ferrarese, il Basso Veronese) un terzo dei ricoverati era affetto da pellagra; di tale malattia la maggior intensità si ebbe in due epoche: la prima dal 1885 al 1895 circa e la seconda dal 1895 al 1914. Delle penose condizioni di vita di quel mondo contadino troviamo traccia in molti scritti e racconti. I nostri vecchi ci raccontano che l‘unico luogo per ripararsi dal freddo nelle lunghe sere invernali era la stalla, col suo vapore caldo, fetido, denso, pesante. Le case erano spesso costruite solo con fango e canna, avevano piccole finestre mal chiuse, solai infestati di topi, muri umidi. Il mais divenne l‘ingrediente base della povera gente. Nelle antiche, dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche ormai dimenticate, troviamo perciò anche l‘emigrazione. Molti per non morire di fame o per far campare la loro famiglia dovettero migrare fin dagli ultimi decenni di fine ‘800., ma anche nella prima metà del ‗900. In questo contesto di fine e inizio secolo, però, le famiglie della borghesia, che erano uscite dalla mediocrità grazie al lavoro, all‘intelligenza, all‘impegno, erano salite nella scala sociale in ricchezza e in potenza, legandosi con altre pari e scavalcando talvolta le vecchie famiglie aristocratiche, poco inclini all‘impegno diretto nella conduzione delle terre e piuttosto orientate a vivere di rendita. Esse cominciavano anche a capire che potevano essere in grado di assumere in prima persona la conduzione politica del paese. Della nostra storia e delle condizioni della nostra Bassa ci parla bene Dino Coltro il quale riporta storie , proverbi, leggende che si stanno perdendo. Egli ci conserva quel parlar per proverbi, il parlar Adesante, il parlar dei bacani, e il latinorum, rielaborato in vernacolo dal popolino così da non perderne il significato. Nunc et in hora mortis: nar in catinora!. Morire, per l'appunto. Amen. Tutto morto, tutto scomparso: el versor assieme ai bò che zupiava nel campo, i traghetti sull‘Adige, il cuco, le kalendre e la Luna. Tutto affogato nel naufragio di una cultura Adesso però che il parlar per proverbi è stato sostituito dal parlar per acronimi (MIBTEL, BOT, CCT, NASDAQ, ...), di cui, ora come una volta, non se ne capisce il significato, impariamo da Dino che co' canta el cuco che da far dapartuto, che ogni erba che varda in su g‘à la so virtù, conosciamo che cos‘era la batisessola (lucciola), che l‘omo par la parola e el musso par la caessa, che sasso che rugola no fa mus—cio. Osservando le kalendre che va in su e quele che va in zò, il contadino poteva trarre previsioni sulla prossima annata agraria. Previsioni che poi sarebbero state confermate dalla seola del 25 Gennaio, giorno di San Paolo dei Segni. Il pulsare della vita contadina era scandito dalle Quarantie, periodi di quaranta giorni, contraddistinti dalle varie attività (la semina, la mietitura ...), dai setoni (sette giorni) e dalle sincuine, a cui sovrintendeva dall‘alto la Luna, e non il Sole. Cultura di vita, quindi, non di guerra preventiva. Luna a cui i contadini non avevano bisogno di chiedere che cosa mai facesse "in ciel". Cosi a Sant'Ana el rondon se slontana, "...e la rugiada di San Giovanni guariva dalla scabbia e dai malanni della pelle; le donne che si bagnavano le loro parti intime acquistavano bellezza e fertilità ..." (pag. 289 di "Santi e Contadini"). Allegato n° 1 DA ―Cronache‖ Archivio parrocchiale. Don Sante Gaiardoni, parroco a Minerbe dal 1907 al 1925 !915 Don Sante Gaiardoni (parroco di Minerbe dal 1907 al 1925) nel 1916 così annota nelle sue cronache:―Non rimasero a casa per la coltivazione dei campi che donne, pochi vecchi e fanciulli. La produzione andò di anno in anno diminuendo in guisa che fu ridotta ad una metà - molti campi rimasero anche incolti – fu seminata la polenta, le bietole e poi ……………… I prezzi di ogni genere crebbero in una maniera spaventosa : eccone alcuni come saggio: Prezzi 1920 Prezzi 1921 Il latte L. 0,75 il litro L. 0.80 L. 1.00 Un uovo L. 0,80 ― 0.35 ― 0.40-0.80 La polenta in farina 55 lire il quintale ― 65.― 130.Lo zucchero non raffinato L. 4.50 il Kg. ― 5.60 ― 6.50 Il caffè 10 Lire il Kg. ― 22.― 24. Il lardo 9 lire al Kg. ― 14.― 10 L‘olio L. 5.50 il Kg. ― 14 .― 10.- 6 La legna L. 15 il …. ― 20.― 15 – 25 La carne L. 8 il Kg. ― 10.― 12 - 8-10 Un paio di scarpe L. 60 ― 80.― 70.- 80 Un paio di buoi anche Lire 12.000 ― .- ― 6000.Le candele L. 12 il Kg. ― 10.― 10.- 13 = Immagini …………….quanta economia e quanta ristrettezza di vivere: tanto più che d‘ogni cosa sempre si trova difetto, dovendo tutto acquistare con la tessera dal consorzio per mezzo dello sgravio comunale – Questo caro-viveri è sentito specialmente da quelle classi che non hanno avuto nessun aumento di rendita, né compenso di sorta: tali sono specialmente i ……..-Poiché tanto gli impiegati governativi come i comunali hanno avuto l‘aumento per il caro viveri Così i contadini e gli operai hanno accresciuto di molto la loro mercede = Lire 6 – 8- 10- 12 al giorno ……….. della stagione dei lavori - Per il clero tutto stazionario, ma questo è il meno – basterebbe che ora finalmente cessasse l ‗orribile flagello della guerra ! – (…) Provviste per la Chiesa parr.le Dopo la riforma dell‘ufficio e della liturgia delle messe, per la quale nella più parte delle domeniche si deve usare l‘ufficiatura propria della domenica fu necessario provvedere paramenti di color verde e violaceo - Quindi negli anni 1914 - 1915 – 16 furono acquistati : Un paramento verde completo a ramaggi gialli : ( di questo fu consegnata la stoffa e poi eseguito dalle RR Suore locali ( di Ronco) – e costò Lire circa 300. = Un paramento bianco, a tinte antiche bellino, ma leggero e costò Lire 300 – Un piviale verde a fiori di diverse tinte L. 80 – Un piviale …………… d‘oro per Lire 90 – Due pianete con ramaggi intessuti nella stoffa, una verde e l‘altra violacea per Lire 40 l‘una – L‘altar maggiore aveva dei candelieri troppo piccoli, pensai per la minore spesa di farne 6 di nuovi grandi con quattro porta......... e si rinfrescasse gli altri e passarli nei gradini inferiori. E‘ questo il solo apparato che ora ha l‘altar maggiore : la spesa totale fu di L. 275 = Feci innovare pure il paramento festivo per l‘altar dell‘ Addolorata che costò L. novanta – Nel 1915 comperai anche 4 palme di porcellana per l‘altar maggiore – I coniugi Melchiori Eugenio e Lonardi Adele donarono nel 1909 alla Chiesa l‘ostensorio grande d‘argento del valore di L. 900 – Minerbe 15/10 1916 Anno 1917 Il giorno 26 maggio di quest‘anno alle ore 22 cadde una grandine così fitta che in pochi minuti distrusse i raccolti tanto promettenti - L‘uva specialmente ed il frumento andarono totalmente rovinati, le assicurazioni pagarono i colpiti fino a cento su cento. Però la plaga devastata fu ristretta = da campeggio al ponte delle Colombare e al ponte dei Pomi, o Cà Rossa. 1918 Anche nel 1918 fummo bersagliati dalla grandine : essa cadde così violenta la sera de 12 luglio che devastò e distrusse il granoturco e l‘uva interamente, il frumento era già in crosette - Dii uva non restò neppure traccia e del granoturco non se ne fece in certi campi che un quintale e mezzo. Il vento impetuoso abbatté il camino della Fabbrica Laterizi dei Sig.ri Giacomelli, circa un venti metri sfondò il coperto e schiacciò due poveri soldati che dormivano ai piè del camino. Minerbe, 30 ottobre 1918 A questo punto noterò qualche cosa dell‘orribile guerra che da quattro anni infuria in tutta l‘Europa e si estese anche nell‘Asia, nell‘America e nell‘Africa e semina strage, rovina e morte in una impresa così Lagrimevole che di simile non fu mai veduta, né si vedrà giammai sulla faccia della terra, e ― tu fin che il sole risplenderà‖ sulle sciagure umane ! – Cominciando dal 1914 furono chiamate sotto le armi tutte le classi a poco a poco, fin che nel 1915 si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 42 anni nel 17 furono chiamati anche quelli di 43 e 44 . ( 26 classi eccettuati i ciechi gli zoppi i gobbi in tutti 5.250.000 uomini. Minerbe, 5 novembre 1918 Ieri mattina arrivò la notizia che i nostri soldati sono entrati in Trento e Trieste ed hanno esposto la bandiera italiana nella torre del castello di ambedue le città liberate. Appena avuta la notizia feci esporre la bandiera sul campanile e suonare le campane. Ieri lo stesso, 4 Nov., verso le sette arrivò l‘altra notizia che alle 13 fu messo in esecuzione l‘armistizio con l‘Austria, cessando da quest‘ora ogni ostilità per terra, per mare ed in aria. Se la notizia mi fosse stata comunicata avrei tosto dato avviso di suonare le campane, invece io andai a letto senza saperlo. Alla mezzanotte alcuni patrioti! di Minerbe in parte imboscati, in parte scarti!, presi non da patriottismo ma da alcolismo, ruppero la serratura del campanile e continuarono a suonare le campane da pazzi fino alle 2.30 dopo mezzanotte, con grande disturbo di tutto il paese e facendo piangere specialmente le 48 madri e spose che hanno perduto il figlio od il marito. Ed avrebbero continuato fino alla mattina se alle 2.30 non fossi disceso io a mandarli a casa. …………. poi i medesimi patrioti (Il ……………………., …, ed altri giovinastri, aprirono la porta del campanile coi grimaldelli e cominciarono a suonare. Al mio apparire se la svignarono a casa, poi con urla e ………… e bestemmie ed insulti al parroco insistevano e mandai a chiamare il sindaco !, il quale mi pregò di concedere un paio di suonate. Entrarono col detto permesso nel campanile, ma poi invece di vere suonate, continuarono fino a mezzanotte ! …. Tutto per il buon ordine e per patrioti alcolizzati !, Vedremo stasera che cosa avverrà, dopo che ne avrò dato avviso al brigadiere- io ho fatto suonare quanto era conveniente e durante il giorno: essi volevano di notte recando immenso dolore alle povere vedove e madri dei caduti. 10 Novembre 1918 Questa mattina dietro invito dell‘arciprete intervennero alla Messa ultima e al canto del Te Deum tutte le autorità civili, militari e società con le loro bandiere. Fu raccolta un‘offerta per i fratelli delle terre liberate che fruttò L. 152.50, spedita al Comitato di Verona. Feci suonare in concerto le campane, la sera, la mattina alle 10 ½ e al Te Deum. 11 Nov. 1918 Anche questa mattina ricorrendo il Natalizio del Re intervennero alle ore 20 al Te Deum le Autorità comunali , i RR Cavalieri, l‘asilo infantile ecc. 12 Nov. Alle ore 6 fu firmato l‘Armistizio anche con la Germania e alle 11 cessarono le ostilità su tutte le fronti ! e .. Deo Gratias!‖ In queste note sopra riportate e nel puntualizzare nel registro dei morti l‘elenco dei caduti anno per anno, Don Sante Gaiardoni ,l‘allora parroco di Minerbe, fa trasparire i suoi stati d‘animo che hanno coinvolto pure gli abitanti del paese. Complessivamente in provincia di Verona, dal 1915 al 1920 i morti furono 6970, mentre in quelle di Padova, Verona e Rovigo, furono 19430. nel veronese nel 1915 caddero al fronte 870 soldati; nel 1916, 1670; nel 1917, 1883; nel 1919, 2303. Nel 1919, a guerra finita vi furono altri 179 decessi in conseguenza di ferite o malattie contratte in guerra.. Don Sante Gaiardoni nel 1921 fece porre nella piccola arcata sinistra di fianco all‘altare di Sant‘Antonio le due lapidi a ricordo dei caduti . inoltre sulla porta laterale all‘ingresso principale della chiesa di Santo Stefano vi è stata posta un‘altra lapide a ricordo di Bonazzo Angele, Galantin Lionello, Nalin Marino. Don Sante Gaiardoni annotò che, a cominciare dal 1914, a poco a poco furono chiamate alle armi tutte le classi, finchè, nel 1917, si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 43 anni. L‘elenco dei soldati morti del Comune di Minerbe è lungo, ben 58 sono gli eroi riportati nella lapide del monumento in piazza. Anche nella frazione di San Zenone sono elencati altri caduti in una lapide posta al lato della Scuola Materna, confermati poi dal monumento ai Caduti presente in piazza Aldo Moro Allegato n° 2 Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Sante Gaiardoni Allegato n° 3 Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Carlo Pacega, parroco dal 1925 al 1948 Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Carlo Pacega, parroco dal 1925 al 1948 25 Luglio 1943- Alle ore 10 e ¾ della sera (ora legale) il Giornale Radio annuncia le Dimissioni del Cav. Benito Mussolini da Capo del Governo, accettate da S. Maestà il Re, e la sostituzione con il Maresciallo d’Italia Badoglio. Dopo vent’anni è rotta la cappa di piombo del fascismo che toglieva il respiro e che à coinvolto alla guerra, alla rovina d’Italia. Speriamo in una pronta e definitiva pace e restaurazione della povera nostra nazione. 26 Luglio 1943- Grande entusiasmo in tutte le città e in tutti i paesi. Però i partiti estremi incominciano approfittare per la loro propaganda. Crescono le colluttazioni … una guerra civile. Il Capo del Governo Badoglio à decretato lo stato d’assedio in tutta l’Italia e il coprifuoco. 27 luglio 1943- Grandinata = Dopo l’Ave Maria della sera un grande temporale si è scatenato con un vento impetuoso a mo’ di uragano. La tempesta e il vento ànno scoperchiato case, rovinato vigneti. Qui in Canonica i danni non sono lievi. L’uva pestata, un camino rovesciato e quello che è peggio la vecchia mura, con porta d’uscita sulla via principale, per dieci metri e più precipitata al suolo. Luglio 1944 Il movimento partigiano antifascista e antitedesco si accentua dappertutto e serpeggia anche nel nostro paese. Il nostro Curato don Giuseppe Sandri partecipa a delle riunioni segrete con altre persone. Nella notte dall’ 8 al 9 luglio il sacrista Giuseppe Zuccari viene a bussare alla porta della Canonica: il Curato è in pericolo, deve fuggire subito; le brigate nere stanno per venire ad arrestarlo. Sono le tre di notte: il Curato fugge passando dalle Vallette ed attraversando i campi di Bertoldi e Chiavegato. Spadroneggiano qui alle Basse le brigate nere al comando di Valerio Valeri (che venne fucilato dopo la liberazione) con sede a Legnago prima, ad Angiari poi e dove avvennero delle sevizie e mostruosità a carico di giovani sbandati (compreso anche il Curato di Carpi don Maestrello) – Qui a Minerbe spadroneggia Vedovello. Agosto 1944 Verso la metà del mese i fascisti fanno un rastrellamento e deportano in Germania alcuni giovani di Villaraspa ed Anson. 24 agosto sera: arriva il nuovo Curato don Bruno Tuzza di Tregnago, uno dei sacerdoti novelli ordinati quest‘anno. 25 agosto pomeriggio: ore 16 : 4 caccia alleati mitragliano nella stazione 28 vagoni di petrolio; se ne salvano 7 od otto soltanto: un incendio indescrivibile, un nube nera enorme. S. Natale 1944 Mentre stiamo preparandoci per i Vespri, ore 15, improvvisamente alcuni aerei alleati sganciano alcune bombe presso la stazione ed in vari posti vicini. Grande spavento. Nessuna vittima. La canonica da parecchi mesi è occupata: una stanza da due sergenti tedeschi; tutte le sale del catechismo adibite a magazzino; la stalla per ricovero del bestiame razziato – per un po‘ di tempo anche la sala a pianterreno (quella da pranzo a sud) – Qualche soldato tedesco (ingenerale cattolico e anziano) è gentile; gli altri non smentiscono la propria fama. 1945 Marzo : una sera il Parroco accompagnato dal sig. Curato deve recarsi al comando locale tedesco: molta deferenza – domandano la collaborazione (ora che l‘acqua è alla gola ! ) – però non si smentiscono: stanno preparando la controffensiva !!! 28 marzo: il sig. Curato corre ad assistere un soldato tedesco uccisosi per caso (o suicidato?) maneggiando il fucile : era un austriaco cattolico. I mitragliamenti e bombardamenti sono più frequenti, giorno e notte; non si è più tranquilli. 22 aprile: un disastro nella contrada Ronchi, all‘ultima casa prima di arrivare sull‘asfalto: un cacciabombardiere americano sgancia alcune bombe incendiarie che colpiscono un pagliaio sotto il quale c‘era un rifugio anti-schegge: il fuoco invade il rifugio: le tre persone che erano dentro fuggono tra le fiamme: sono torce viventi. Il sig. Curato corre ad assisterle: due muoiono poco dopo (una vecchia e una ragazza di 35 anni: Maistrello) – uno, Marchesini Arduino di 24 anni muore nella notte all‘Ospedale di Cologna Veneta per le ustioni riportate. Notte tormentata. 23 aprile: caccia-bombardieri sganciano sulla ferrovia colpendo il binario al passaggio a livello di S. Croce. Notte orribile: bombe,bengala, razzi, mitragliamento, apparecchi a bassa quota. 24 aprile : è certa ormai la disfatta tedesca : passano a frotte : tedeschi in fuga, laceri, affamati; rubano le biciclette (anche a don Adriano Faccioli cappellano di Anson) – L‘amministrazione comunale ha chiuso i battenti. Carabinieri non ce ne sono – il paese sembra un cimitero – porte tutte chiuse – soltanto il Curato gira per vedere un po‘ ch cosa succede. Notte infernale. 25 aprile : circolano voci che gli Americani sono presso Legnago – si sente il cannone – gli aerei non hanno un momento di tregua. 26 aprile : giornata d‘inferno – siamo certi della disfatta dei tedeschi – Passano a frotte o isolati spingendo qualche carretto a mano sul quale sono caricati gli zaini e accompagnati (lo notiamo per la storia da tante disgraziate donne e ragazze italiane che ora pagano il fio della loro disonestà. Le granate passano fischiando sopra il paese e cadono a S. Zenone e Bevilacqua. Corre voce che gli inglesi siano a qualche chilometro. Durante la notte dall‘alto del campanile il sig. Curato vigila tutte le mosse. Le granate cadono anche nel paese. Una contrada è colpita in pieno : Pastoroni. In un rifrugio scavato nel terreno vengono uccise due persone : un vecchio di 72 anni (Rizzi) e la figlia nubile. Vengono distrutte anche parecchie case. 27 aprile : dies albo signanda lapillo (Albo signanda lapillo dies è una locuzione latina. Alla lettera significa "giorno da contrassegnare con un sassolino bianco", rappresenta quindi un giorno da ricordare a causa di un lieto, memorabile evento).– 1945 arrivano gli Americani: una colonna interminabile – è la V^ Armata americana. Il paese è in festa – le campane suonano a distesa. Deo gratias. Anche nel pomeriggio continua il passaggio dell‘esercito americano: potenti carri armati fan tremare la terra.. Si forma il comitato di liberazione per la tutela del paese – e cominciano a comparire … i partiti ! Giunge la dolorosa notizia che 4 giovani (di cui uno sposato) nella giornata sono stati uccisi dai tedeschi in ritirata. 7 maggio 1945 : ore 16.30 giunge la notizia: la Germania ha capitolato ! In Europa la guerra è finita Deo Gratias ! 24 ottobre 1945 . Visita di S. Ecc. Rev.mo Mons. Girolamo Cardinale nostro Vescovo per la Cresima in parrocchia. novembre 1945 : saggio di pittura nell‘abside della Chiesa – due quadri a fianco di S.Lorenzo – a sinistra: l‘angelo dell‘annunciazione, a destra la Madonna. E‘ un lavoro mal riuscito; tanto che più tardi dovette essere cancellato d‘ordine della commissione delle belle arti di Verona. 11 novembre . viene ampliata la sala del teatro parrocchiale (quella dell‘Asilo) e inaugurata con una recita della nostra filodrammatica : ―Nel Vortice‖1946 10 – 20 Gennaio – Ss. Missioni predicate da due Padri Redentoristi – 24 marzo 1946 : Elezioni dell‘Amministrazione Comunale –Nonostante la propaganda nostra, la baruffa del sig. Curato in teatro Scarmagnan con un oratore del partito d‘Azione, ecc. – abbiamo perduto. Vince la maggioranza social-comunista. 7 aprile – I nostri giovani di Azione Cattolica partecipano al convegno diocesano . 2 giugno 1946 Elezioni politiche . Questa volta la spuntiamo pur di stretta misura. La nostra disgrazia è sempre (come nelle precedenti) la contrada di Anson (dove qualche sera fa il sig. Curato è stato sassato con alcuni ragazzi, mentre era in giro di propaganda) – Però con l‘aiuto di S. Zenone vinciamo con uno scarto di 23 voti.