Il territorio e la sua evoluzione

Il territorio e la sua evoluzione
Introduzione
La fisionomia geografica della Bassa presenta aspetti diversi; vi scopriamo innanzitutto i colori e
le sfumature della pianura, intersecata da fiumi e canali, fertile di lavoro e con luoghi ancora
incontaminati che ci fanno pensare ad un passato misterioso, anche nei suoi abitanti. Per capirla
però bisogna ripensare al passato di tutto il Veneto.
Polibio (I II secolo a. C. ), riferendosi alla nostra regione, parla di una pluralità di popoli
presenti: Galli Cenomani, Galli Carni, Veneti, Taurisci, Japudi, Reti e Plinio vi aggiunge gli
Euganei e i coloni romani.
Giacomo Devoto sostiene che il popolo veneto non è mai esistito in quanto unità etnica, ma è
piuttosto, un nome nuovo dato a gruppi di indoeuropei, tribù di Ari.
Comunque siano andati i fatti, una cosa è sicura: nel Veneto, perciò anche nel nostro territorio,
ebbe luogo una civiltà che ci conserva, attraverso le sue caratteristiche, tracce di un mondo
preromano.
L‟unità etnica del Veneto si è formata poi, come afferma Dino Coltro in “Leggende e racconti
popolari del Veneto”, attraverso una unità culturale creata nei secoli da fattori diversi, legate al
territorio e alle modificazioni del paesaggio, alla produzione di manufatti e al formarsi di una
tradizione. È un‟identità che esprime al proprio interno variazioni “locali” caratterizzate anche
da un certo isolamento politico creato per secoli dalla Serenissima, da una influenza
dell‟amministrazione asburgica, dal cattolicesimo e così via. Il dialetto veneto poi, e in particolare
quello della Bassa, ha conservato le parole della gente non colta, ma soprattutto una concezione
della vita e una sapienza elaborata nei secoli sull‟esperienza e sull‟osservazione, sulla memoria
delle generazioni, trasmessa e conservata nella tradizione orale.
La civiltà contadina che ha caratterizzato per secoli il nostro territorio è comunque finita e la sua
scomparsa ha coinciso anche, nel bene e nel male, con la cancellazione di molti confini e, se la
metropoli è dilagata inglobando paesi e città, i suoi abitanti sono sempre più privi di esperienze
condivise, di vincoli forti che li tengano uniti, di valori comuni e sono quindi più soli, esattamente
come gli altri abitanti della modernità.
Assetto del territorio e dei sistemi idrografici fra l’Adige e le propaggini dei Lessini, dei Berici
e degli Euganei dall’età preistorica alla romanizzazione
Come risulta da una carta geologica redatta dal Magistrato alle Acque di Venezia, vecchi studi
compiuti negli anni trenta,“il territorio è considerato costituito indistintamente dalle alluvioni dei
vari corsi seguiti dall‟Adige, senza peraltro specificare in che epoca si verificano”.
In tale carta la nostra zona è divisa in due parti da una linea passante per Arcole, Veronella,
Cologna Veneta, Montagnana e Megliadino San Vitale. I terreni posti a Nord-NordEst di tale linea
apparterrebbero al Pleistocene Superiore (Riss-Wùrn e tardiglaciale) mentre quelli a SudSudOvest si sarebbero formati in epoca olocenica (dall‟8.000 a.C. in poi).
La zona comprende una vasta fascia di terreni di origine alluvionale (fluvioglaciale e fluviale). Da
sondaggi AGIP sappiamo che la maggior parte del “materasso” alluvionale formante la Pianura
Padana è costituito da sedimenti di formazione marina (sabbie, marne ed argille del Quaternario
antico-Calabriano ed Emiliano) i quali a loro volta poggiano su formazioni terziarie. La parte
sommitale è invece costituita da materiali di origine continentale formatisi durante il Pleistocene
superiore. È con il Pleistocene medio che iniziarono infatti a formarsi i più antichi depositi di tipo
continentale nella Pianura Padana, contemporaneamente alla fusione dei ghiacciai delle prime
glaciazioni. Subsidenza, oscillazioni eustatiche ed in minor misura movimenti tettonici
determinarono il progressivo instaurarsi di un ambiente continentale. Lentamente la Pianura
Padana si colmò dei detriti trasportati dalle enormi masse fluvioglaciali e fluviali. Dai rilevamenti
geologici effettuati si può ipotizzare che gran parte del territorio assunse la sua attuale
configurazione alla fine della glaciazione rissiana. Sappiamo che durante l‟ultima glaciazione
(Wurm), i ghiacciai coprivano le parti più elevate dei Monti Lessini, tutto il bacino del Lago di
Garda e la Valle dell‟Adige fino al suo sbocco in pianura. I Colli Berici erano esclusi dalla
copertura glaciale e al di sotto del limite delle nevi perenni vi era una zona a tundra alpina,
mentre più in basso ce n‟era un‟altra a salici e betulle, mentre la pianura era ricoperta da steppe
con pini silvestri e betulle.
Dalle analisi sedimentologiche si è potuto stabilire che l‟Adige fu il fiume che, dalle pendici dei
Colli Berici sino al suo alveo attuale, depositò i sedimenti sabbiosi e limosi che caratterizzano tale
territorio. Si può pertanto pensare che verso la fine della glaciazione rissiana (la penultima
glaciazione), l‟Adige, uscito dai monti, trovò a Sud la strada sbarrata dal bacino glaciale del
Garda e dalle e dalle sue morene. Dovette quindi piegare il suo corso in direzione Sud-Est dando
luogo ad una larga conoide fluvioglaciale che invase la pianura. La parte nord della conoide lambì
le ultime propaggini meridionali dei Monti Lessini e dei Colli Berici. I dossi e le relative bassure
rappresentano quel che oggi rimane della gigantesca conoide. Tali elevazioni presentano un
andamento NordOvest-SudEst.
L‟Adige era pertanto il fiume che andava raccogliendo tutto ciò (acqua e sedimenti) che proveniva
dalla fusione dei ghiacciai che ricoprivano l‟arco alpino e una volta giunto in pianura, si apriva
con un imponente ventaglio alluvionale. Tale basamento rissiano, che nell‟alta pianura intorno a
Verona è costituito prevalentemente da ciottoli, ghiaie e sabbie, avanzando progressivamente nella
media pianura si va facendo di dimensioni granulometriche inferiori, infatti nel nostro territorio
non abbiamo più ciottoli o ghiaie ma sabbie e limi. Durante l‟ultima glaciazione (Wurm) l‟Adige
incise la conoide rissiana scavandovi un nuovo alveo e formando un terrazzo più basso rispetto a
quello precedente, il terrazzo wurmiano si spinge fino Bernardine di Coriano e Anson. A Sud del
terrazzo fluvioglaciale rissiano abbiamo una serie di “palù”, mentre un isolotto rissiano lo
troviamo a Boschi S. Anna – Boschi S. Marco.
Da Sud di Coriano si snoda un elevato dosso che prosegue poi per Pilastro-Minerbe-San ZenoneBevilacqua-Montagnana- Saletto-Este. L‟autore di questa ricerca, Gian Carlo Zaffanella, ritiene
questo dosso la dimostrazione della presenza di un antico corso dell‟Adige attivo fino in epoca
tardo-romana. Ai lati di questo dosso su di un paleosuolo sabbioso rossiccio, sono stati rinvenuti
depositi antropici di epoca pre-protostorica e romana ricoperti e sigillati da un discreto pacco di
sedimenti atesini. Ad ogni modo sui dossi sono stati individuati paleosuoli (sabbie rosse…) che
potrebbero essersi formati durante l‟interglaciale Riss-Wurm (clima sub-atlantico-fresco umido a
querceto-carpineto). Possibile è quindi che esistano testimonianze di industrie umane appartenenti
all‟interglaciale Riss-Wurm e al postglaciale.
Certo è che gli uomini preistorici neolitici trovarono una zona ideale per stabilirsi, specialmente
lungo i dossi sabbiosi e limosi, ottime vie di comunicazione e con un manto forestale costituito da
querce, faggi e frassini, nonché una miriade di laghetti e stagni circondati da dossi, in cui
abbondavano i animali selvatici e vi era un clima che si faceva sempre più caldo e umido (optimum
climatico dal 5000 al 3000 a.C.). Questo ambiente comprendeva anche il Busi-Palù-Luppie
proseguiva nel Pizzon e nel Palù di Minerbe. Va detto che il Palù (con terreno limoso e argilloso)
era allora un bacino semilacustre, presentava alcuni isolotti sabbiosi emergenti al centro ed era
chiuso a Nord dal dosso di via Busi e a Sud da quello delle Luppie ( ambedue abitati sicuramente
dal tardo Neolitico alla prima Età del Bronzo) . Ad ogni modo quasi tutte le aree comprese tra un
dosso e un altro, specie se circondate da altri dossi e prive di sbocchi, costituivano in epoca
preistorica dei bacini palustri luoghi anche di insediamento. Tali aree furono abitate,
anteriormente l‟epoca romana, da popolazioni durante la seconda metà dell‟Età del Bronzo (XV-XI
sec. a.C.), molto probabilmente ad indicare un periodo climatico secco o comunque una
predilezione da parte di queste genti per i bacini lacustri o semilacustri. C‟è da notare che verso la
fine dell‟Età del Bronzo vi fu un improvviso peggioramento climatico che impaludò e rese
inabitabili le aree più basse determinandone l‟abbandono da parte delle popolazioni enee. Invece
durante il Neolitico tardo, l‟Eneolitico, il Bronzo antico e l‟Età del Ferro le aree preferite per
l‟impianto degli insediamenti erano quelle costituite dai dossi, quindi le zone più elevate. … .
mentre durante l‟Età del Bronzo gli abitati, sparsi su tutto il territorio, rappresentavano veri e
propri ecosistemi autonomi e indipendenti, la cui esistenza era strettamente legata all‟ambiente
naturale, agli inizi dell‟Età del Ferro, invece, si estinguono i numerosi e sparsi stanziamenti
dell‟epoca precedente e si costituiscono alcuni insediamenti di dimensioni assai vaste disposti
lungo il corso dell‟Adige. … . Da una comunità omogenea, ancora basata sull‟agricoltura,
allevamento e attività venatorie, formante l‟abitato dell‟Età del Bronzo si giunge ad una
settorializzazione dell‟area abitata rispondente alle nuove attività artigianali e sociali. Più tardi,
con lo svilupparsi della Civiltà Paleoveneta (II e III periodo), si assiste ad un progressivo
frazionamento degli abitati che, pur diventando di dimensioni minori, rimangono sempre disposti
lungo la medesima direttiva (corso dell‟Adige allora attivo). … .
Una direttiva paleoveneta passava per Minerbe correndo ai lati di un paleoalveo attivo dell‟Adige.
Risulta infatti alla luce dei recenti dati geoarcheologici che, la parte inferiore dell‟antico corso
fluviale, da Bevilacqua sino ad Este, era attiva da un momento sinora imprecisato della Preistoria
sino alla tarda romanità. Seguendo però le sabbie recenti d‟Adige, presenti fin in superficie, dalle
Luppie (elevate fasce di terreni sabbiosi) di Montagnana verso Bevilacqua tale fascia sabbiosa
prosegue in direzione NO verso San Zenone e Minerbe. … . Il ventaglio sabbioso-limoso, che si
espande a NE di San Zenone e che va progressivamente spegnendosi verso la Previera di Sotto,
rappresenta probabilmente un‟esondazione dell‟Adige nel tratto Minerbe-Bevilacqua. La rotta
dell‟Adige del 589 d.C. perciò non sarebbe avvenuta a San Donà di Veronella “Rotta della
Cucca”, ma intorno a Bonavigo; lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San Zenone-Bevilacqua
ritroviamo sabbie fresche atesine.
Dalle argomentazioni di Gian Carlo Zaffanella, si ricava perciò che un ramo d‟Adige scorreva
dalla Preistoria sino in epoca tardo romana da Bonavigo verso Santo Stefano di Minerbe-MinerbeSan Zenone-Bevilacqua. Al sopraggiungere del mutamento del corso dell‟Adige dovettero
concorrere vari fattori, tra cui in promo luogo, oltre all‟aumento delle precipitazioni, il fatto che
l‟Adige non era più regolato e probabilmente arginato come in epoca romana, per cui il suo alveo
venne sempre più ad innalzarsi determinando tracimamenti ed allagamenti. Tale innalzamento del
letto, impedendo sempre più il flusso della corrente, provocò infine l‟abbandono del vecchio alveo
non più funzionale.
…
Dalle analisi sedimentologiche si è potuto stabilire che fu l‟Adige il fiume che, dalle pendici dei
Colli Berici sino al suo alveo attuale, depositò i sedimenti sabbiosi e limosi che caratterizzano
anche il nostro territorio. …
si può pertanto pensare che verso la fine della glaciazione rissiana (la penultima glaciazione),
l‟Adige uscito dai monti trovò a S la strada sbarrata dal bacino glaciale del Garda e dalle e dalle
sue morene. Dovette quindi piegare il suo corso in direzione SE dando luogo ad una larga conoide
fluvioglaciale che invase la pianura. La parte nord della conoide lambì le ultime propaggini
meridionali dei Monti lessini e dei Colli Berici. … . I dossi e le relative bassure rappresentano quel
che oggi rimane della gigantesca conoide. Tali elevazioni presentano un andamento NO-SE.
L‟Adige era pertanto il fiume che andava raccogliendo tutto ciò (acqua e sedimenti) che proveniva
dalla fusione dei ghiacciai che ricoprivano l‟arco alpino. E una volta giunto in pianura esso si
apriva con un imponente ventaglio alluvionale. …
. Durante l‟ultima glaciazione (Wurm) l‟Adige incise la conoide rissiana scavandovi un nuovo
alveo e formando un terrazzo più basso rispetto a quello precedente. … il terrazzo wurmiano si
spinge fino Bernardine di Coriano e Anson. A S del terrazzo fluvioglaciale rissiano abbiamo una
serie di “palù” …
Un isolotto rissiano lo troviamo a S. Anna – Boschi S. Marco. … .
Da S di Coriano si snoda un elevato dosso che prosegue poi per Pilastro-Minerbe-San ZenoneBevilacqua-Montagnana- Saletto-Este.
L‟autore ritiene questo indice di un antico corso dell‟Adige attivo fino in epoca tardo-romana.
Si sono rinvenuti , ai lati di questo dosso su di un paleosuolo sabbioso rossiccio, depositi antropici
di epoca pre-protostorica e romana ricoperti e sigillati da un discreto pacco di sedimenti atesini.
Ad ogni modo sui dossi si sono individuati paleosuoli (sabbie rosse…) che potrebbero essersi
formati durante l‟interglaciale Riss-Wurm (clima sub-atlantico-fresco umido a querceto-carpineto).
Possibile è quindi che esistano testimonianze di industrie umane appartenenti all‟interglaciale
Riss-Wurm e al postglaciale. Certo è che gli uomini preistorici neolitici trovarono una zona ideale
per stabilirsi: lungo i dossi sabbiosi e limosi ottime vie di comunicazione, un manto forestale
costituito da querce, faggi e frassini, una miriade di laghetti e stagni circondati da dossi,
abbondanza di animali selvatici ed un clima che si faceva sempre più caldo e umido (optimum
climatico dal 5000 al 3000 a.C.). Questo ambiente comprendeva anche il Palù di Minerbe. Il Palù
(con terreno limoso e argilloso, era allora un bacino semilacustre, alcuni isolotti sabbiosi
emergenti al centro), chiuso da dossi e da Luppie (elevate fasce di terreni sabbiosi) ( ambedue
abitati sicuramente dal tardo Neolitico alla prima Età del Bronzo). … . Ad ogni modo quasi tutte le
aree comprese tra un dosso e un altro, specie se circondate da dossi e prive di sbocchi, costituivano
in epoca preistorica dei bacini palustri. Tali aree furono abitate, anteriormente l‟epoca romana,
esclusivamente da popolazioni durante la seconda metà dell‟Età del Bronzo (XV-XI sec. a.C.),
molto probabilmente ad indicare un periodo climatico secco o comunque una predilezione da parte
di queste genti per i bacini lacustri o semilacustri. C‟è da notare che verso la fine dell‟Età del
Bronzo vi fu un improvviso peggioramento climatico che impaludò e rese inabitabili le aree più
basse determinandone l‟abbandono da parte delle popolazioni enee. Invece durante il Neolitico
tardo, l‟Eneolitico, il Bronzo antico e l‟Età del Ferro le aree preferite per l‟impianto degli
insediamenti erano quelle costituite dai dossi, quindi le zone più elevate. … . mentre durante l‟Età
del Bronzo gli abitati, sparsi su tutto il territorio, rappresentavano veri e propri ecosistemi
autonomi e indipendenti, la cui esistenza era strettamente legata all‟ambiente naturale, agli inizi
dell‟Età del Ferro, invece, si estinguono i numerosi e sparsi stanziamenti dell‟epoca precedente e si
costituiscono alcuni insediamenti di dimensioni assai vaste disposti lungo il corso dell‟Adige. … .
Da una comunità omogenea, ancora basata sull‟agricoltura, allevamento e attività venatorie,
formante l‟abitato dell‟Età del Bronzo si giunge ad una settorializzazione dell‟area abitata
rispondente alle nuove attività artigianali e sociali. Più tardi, con lo svilupparsi della Civiltà
Paleoveneta (II e III periodo), si assiste ad un progressivo frazionamento degli abitati che, pur
diventando di dimensioni minori, rimangono sempre disposti lungo la medesima direttiva (corso
dell‟Adige allora attivo). … .
Una direttiva paleoveneta passava presumibilmente per Minerbe, correndo ai lati di un paleoalveo
attivo dell‟Adige. Risulta infatti alla luce dei recenti dati geoarcheologici che, la parte inferiore
dell‟antico corso fluviale, da Bevilacqua sino ad Este, era attiva da un momento sinora imprecisato
della Preistoria sino alla tarda romanità. Seguendo però le sabbie recenti d‟Adige, presenti fin in
superficie, dalle Luppie di Montagnana verso Bevilacqua tale fascia sabbiosa prosegue in direzione
NO verso San Zenone e Minerbe. … . Il ventaglio sabbioso-limoso, che si espande a NE di San
Zenone e che va progressivamente spegnendosi verso la Previera di Sotto, rappresenta
probabilmente un‟esondazione dell‟Adige nel tratto Minerbe-Bevilacqua. La rotta dell‟Adige del
589 d.C. perciò non sarebbe avvenuta a San Donà di Veronella “Rotta della Cucca”, ma intorno a
Bonavigo; infatti lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San Zenone-Bevilacqua ritroviamo sabbie
fresche atesine.
Dalle argomentazioni di Gian Carlo Zaffanella, si ricava perciò che un ramo d‟Adige scorreva
dalla Preistoria sino in epoca tardo romana da Bonavigo verso Santo Stefano di Minerbe-MinerbeSan Zenone-Bevilacqua. Al sopraggiungere del mutamento del corso dell‟Adige dovettero
concorrere vari fattori, tra cui in primo luogo, oltre all‟aumento delle precipitazioni, il fatto che
l‟Adige non era più regolato e probabilmente arginato come in epoca romana, per cui il suo alveo
venne sempre più ad innalzarsi determinando tracimamenti ed allagamenti. Tale innalzamento del
letto, impedendo sempre più il flusso della corrente, provocò infine l‟abbandono del vecchio alveo
non più funzionale.
In conclusione Gian Carlo Zaffanella ritiene che nel paleoalveo abbiamo un unico potente pacco di
sabbie fresche d‟Adige. Su questa superficie si sono rinvenuti solo reperti medievali e posteriori. Il
Palù e l‟area tra il paleoalveo ed il dosso antico erano bacini esondabili, quindi soggetti ad essere
sommersi da eventuali esondazioni dell‟adiacente fiume. Saltuariamente frequentati durante la
preistoria, rimasero disabitati in epoca romana. Sulla riva destra del vecchio alveo del fiume (su
terreni più antichi a paleosuolo sabbioso rossiccio) si snodava una via sin dalla preistoria,
testimoniata da numerosi stanziamenti pre-protostorici e da costruzioni di epoca romana.
(Da: ―GEOMORFOLOGIA E ARCHEOLOGIA PREISTORICA nel territorio compreso tra
l‘Adige, i Colli Berici e i Colli Euganei‖ di Gian Carlo Zaffanella Comune di Montagnana Museo
Civico 1981)
Epoca preistorica e protostorica
Del periodo preistorico, nel territorio di Minerbe non si hanno importanti riscontri archeologici.
Bisognò attendere la Prima Età del Ferro (900-350 a. C.), quando vi si stabilirono i Paleoveneti
(―civiltà paleoveneta‖ ovvero cultura del Veneto nell‘età del ferro nel I millennio a. C.) , perché in
questi luoghi comparisse un segno tangibile e duraturo della presenza umana, testimoniata dal
ritrovamento di alcune tombe databili tra la seconda metà del secolo VII e la prima metà del VI
secolo a.C., rinvenute presso Fondo Bellinato in località Dosso della Campagnina e di una tomba
ad incinerazione, in località Ca‟ del Bosco. Tracce di piccole necropoli sono state rinvenute sotto
dossi emergenti lungo l‟antico corso dell‟Adige che costituivano punti di incontro e di riferimento
per le popolazioni dei Veneti Antichi che si insediarono nel territorio verso il X secolo a. C. e vi
prosperarono per un po‟ meno di un millennio, come rivela anche la necropoli di dieci tombe a
incinerazione, con urne cinerarie e reperti di anfore e di vasellame di corredo piuttosto povero,
raggruppate in un centinaio di metri quadrati,ritrovate anche a Bevilacqua, vicino alla stazione . i
materiali ora sono conservati al Museo Archeologico Fioroni e a Este.
Le anfore ritrovate, in genere alte una trentina di centimetri e a piede sporgente, dimostrano una
lavorazione piuttosto accurata al tornio e rifinite a stralucido o a fasce orizzontali di colore
rossastro e tendente al nero. Il vasellame è notevolmente diverso per forma, lavorazione e
materiale. Ci sono frammenti di tazza bassa a piede sporgente e vasi a forma di bicchiere o tazza di
dimensioni sempre modeste. Ci sono anche vasi fatti amano e di materiale grossolano, che
potrebbero essere di corredo o anche di uso domestico, disposti nelle tombe con parte del cibo del
rituale banchetto funebre. Sicuramente la vita si svolgeva tra il fiume e i terreni circostanti. Il fiume
permetteva i contatti con altri villaggi o centri più grossi e dalle terre non allagate si poteva trarre
sostentamento con le coltivazioni e l‟allevamento del bestiame. Naturalmente da qualche parte
c‟era poi un luogo di culto, forse un boschetto o un piccolo stagno.
Nella Seconda Età del Ferro, denominato anche periodo Celtico o Cultura di “La Tene”, alcune
tribù celtiche occuparono queste terre senza diventarne i dominatori e integrandosi con gli abitanti
del luogo. Sappiamo che i Celti furono in sostanza una popolazione di nomadi, mitici cultori
dell‟astro solare, che si sedentarizzavano per poco. Questa civiltà sorse nel cuore dell‟Europa
intorno al 600-500 a.C. e s‟irradiò su tutto il continente. Di essa impressiona la ricchezza di un
artigianato artistico; probabilmente le officine lavoravano soprattutto ai confini con le aree
greche, romane, laddove cioè si avvicinavano di più alle popolazioni sedentarie. A Minerbe, presso
Fondo Stoppazzola presumibilmente nel 1874, furono ritrovati una fusaiola e un protome di bronzo
appartenente a un mestolo tipo Pescante risalenti al II e I secolo a.C.
Epoca romana
In epoca romana sorsero nuovi insediamenti abitativi, genti provenienti dall‟Urbe si mescolarono
con quelle del luogo, dando vita ad un periodo di agiatezza che durò secoli. Nel campo “della
Madonna”, proprietà Gaudio, tra il 1935 e il 1936 furono rinvenute 300 grandi anfore, contenenti
quasi tutte corredo funerario. Ancora prima, nel 1921, in località Ospitale, fu sterrato un
monumento funebre di certo P. Lucilio, appartenente alla tribù Romilia. Da ulteriori ritrovamenti
fu definitivamente suffragata la tesi che Minerbe appartenesse alla colonia atestina.
Durante il periodo romano, la nostra campagna era stabilmente abitata non solo da contadini
impegnati a coltivare la terra, ma pure da alcuni ricchi signori che risiedevano in solidi edifici in
muratura, ma quasi tutte le costruzioni di quel periodo erano in legno o in graticcio e
assomigliavano ai “casoni” tipici delle nostre zone fino a non molti decenni fa. Per secoli la vita
delle popolazioni, oltre che nelle immediate vicinanze dei fiumi, si svolse anche a ridosso delle
importanti direttrici romane, come ad esempio la via Emilia Altinate (console Marco Emilio
Lepido175 a.C.) , una strada romana che passava proprio nelle nostre zone. Verona è durante l‟età
romana un importante nodo stradale, passavano infatti: la “Postumia” che collegava Genova ad
Aquileia, la “Claudia Augusta Padana che attraversava il veronese da sud a nord, la “Gallica”
che proveniva da oltralpe e proseguiva ad Este, Aquileia e la regione balcanica.
La religiosità pagana tradizionalmente vissuta dalla popolazione della città e del territorio
veronese offre il contesto in cui la predicazione e l‟accoglienza della fede cristiana presero piede e
si svilupparono. Accanto alle divinità del culto etrusco, veneto, retico, celtico e romano trovano più
tardi accoglienza anche nuovi riti di origine orientale come il culto della Mater Deum o Cibele e di
Mitra. Minerbe trae il nome da MINERVA, Dea dei Romani, probabilmente di origine etrusca; essa
fu da principio soltanto padrona degli artigiani; la sua identificazione con l‟Atena dei Greci tardò
alquanto a essere assoluta. I Tarquini stabilirono la triade: Giove, Giunone e Minerva, dando a
quest‟ultima il carattere che aveva Atena, di custode e padrona della città. Con l‟andar del tempo
la dea, similmente a quella greca, da cui ormai ben poco si differenziava, fu per i Romani padrona
di tutte le più elevate manifestazioni dell‟intellettualità. Di essa esisteva un tempietto a San Zenone,
dove ora sorge la chiesa.
L‟annuncio evangelico potè giungere a Verona forse ad opera di privati, al di fuori delle iniziative
istituzionali. Si trattava probabilmente di qualche soldato venuto a contatto con il cristianesimo in
Oriente oppure a Roma, o di qualche persona di rilievo che aveva avuto incarichi di governo in
regioni già evangelizzate, come anche può darsi che dei mercanti o dei viaggiatori abbiano portato
il primo annuncio evangelico della fede. Tutto ciò forse nel terzo secolo con il primo vescovo di
Verona Euprepio e forse al tempo di papa Fabiano che mandò dei missionari nelle Gallie oppure in
un periodo anteriore alla pace costantiniana inaugurata con il protocollo di Milano del 313; dal
362 sarà vescovo di Verona San Zeno
È da ricordare che negli anni 1874. 1881 nei fondi Weill Weiss e Stoppazzola vennero portati alla
luce centinaia e centinaia di scheletri , appartenenti a uomini adulti, presumibilmente guerrieri.
Sembra che nel 312 d.C. in questo territorio sia avvenuto uno scontro sanguinoso tra l‟esercito di
Massenzio e quello di Costantino. Oltre agli scheletri, vennero alla luce oggetti d‟oro, di bronzo e
di ferro, orecchini, ornamenti vari e fibule in metallo tipici del corredo di un soldato dell‟epoca,
mancavano però armi e armature.
Alto Medioevo
Circa l‟ordinamento ecclesiastico già nel corso del secolo quinto si andò a precisare con
l‟organizzazione di pievi mariane. Alla decadenza del regno ostrogoto, dopo la morte di Teodorico,
Verona fu interessata dal dominio dei Bizantini fino all‟avvento dei Longobardi. Sembra che, se si
sta a quanto afferma Paolo Diacono nella sua storia dei Longobardi, che in quasi ogni città del
regno c‟erano due vescovi, uno cattolico e l‟altro ariano e che vi fossero pure pievi doppie,
cattolica e longobardo-ariana. È da precisare che, caduto l‟Impero Romano, con le invasioni
barbariche si verificò un progressivo degrado anche nel territorio veronese. Guerre, pestilenze,
inondazioni ridussero i suoi abitanti in un preoccupante stato di miseria. Le acque, non più
regolate e arginate si riversarono per le campagne trasformandole in desolate paludi.
Nell‟autunno (17 ottobre) del 589 d.C. durante il regno dei Longobardi, si verificò la famosa
“Rotta della Cucca” e vi fu un abbandono delle terre veronesi, ma non si interruppe la vita nelle
nostre zone. Parlando della “Rotta della Cucca”, come già accennato, basandosi su alcune fonti
antiche, molti storici scrissero di una famosa deviazione, passata alla storia come "Rotta della
Cuca"(Veronella) del 589 d. C., altri storici però sostengono che tale deviazione del corso
dell‟Adige avvenne a Pilastro di Bonavigo, lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San ZenoneBevilacqua dove si ritrovano sabbie fresche atesine. Nel secolo VII ci fu anche un certo risveglio
religioso: i vescovi veronesi vennero fatti oggetto di culto e si assistette ad un intenso scambio di
reliquie con conseguente attivazione di culto e devozione. Il quadro religioso si andrà a
completarsi con la progressiva conversione dei Longobardi ariani. La data del sinodo di Pavia
(689) per ricomporre lo scisma di Aquileia, può essere assunto come termine della storia
dell‟antichità cristiana e l‟inizio della storia medioevale della chiesa in quanto la chiesa passò
dalla sua forma romana che l‟aveva caratterizzata nei primi sette secoli, alla sua forma romanogermanica. Tra il VI e l‟ VIII secolo ci fu un notevole sviluppo del culto di San Zeno testimoniato
da numerosi e autorevoli documenti.
I Longobardi introdussero innovazioni anche sul piano organizzativo del territorio, come per
esempio la creazione della “Curtis Regia” , la presenza dei duchi, l‟organizzazione di importanti
distretti e relativi ordinamenti amministrativi con personale formato da gastaldi, scabini e gasindi:
Essi divisero i territori in “sculdasie” che erano circoscrizioni amministrative alle quali era
preposto un funzionario detto sculdascio con mansioni giudiziarie, fiscali, di polizia, e che
rappresentava il potere regio. Vi fu poi la conquista del regno longobardo da parte di Carlo
Magno che fu un evento di capitale importanza per Verona e territorio, anche della bassa. Forse in
seguito alla “rotta della Cucca” (Veronella), e dove le acque ristagnarono più a lungo, si sviluppò
pian piano un folto bosco. Durante il dominio dei Longobardi e poi dei Franchi, il bosco, che aveva
una importanza rilevante per la vita delle popolazioni, seguì le alterne vicende della fortezza di
Legnago.
Sappiamo che Carlo Magno, successore di Pipino il Breve, della dinastia dei Carolingi, la quale
successe alla dinastia dei Merovingi, diede vita al “Sacro Romano Impero”, ma alla morte di
Carlo il Grosso , terminò la dinastia dei carolingi e si ebbe lo smembramento dell‟impero nei regni
di: Germania, Francia, Italia, Provenza, e Borgogna.
Al declino definitivo e alla scomparsa dell‟impero carolingio, l‟instabilità politica e la permanente
minaccia degli Ungari (899-933) si verificò l‟incastellamento del territorio, col sorgere di
costruzioni fortificate per esempio a Cerea, Legnago, porto di Legnago, il diffondersi della
feudalizzazione e la parcellazione della proprietà ecclesiastica. È da ricordare che nell‟887 si
configurarono alcune unità politiche non ancora omogenee, tra le quali emersero: Francia,
Germania e Regno Italico (quest‟ultimo però faticò più degli altri a trovare la propria identità).
È da aggiungere che in questo periodo ebbero grande sviluppo il Feudalesimo e la cavalleria, la
quale, sul finire del secolo XI e l‟inizio del XII, accrebbe il suo ruolo; in tale contesto va messa in
luce la partecipazione veronese alle crociate; ad una delle quali partecipò anche un Somaglia di
Stoppazzola, ( poi Conti Somaglia di Stoppazzola, dal titolo nobiliare conferito alla famiglia dai
Visconti di Milano).
La “grande” storia ci ricorda che comincia dopo il Mille lo sgretolamento del Feudalesimo, sulle
rovine del quale sorgono i Comuni; le città fioriscono per opera dei vescovi- conti e si sviluppano
le industrie e i commerci, prosperano sempre più le Repubbliche marinare. Il periodo degli
imperatori di Franconia poi coincide con le conquiste dei Normanni nell‟Italia Meridionale (i quali
sconfissero i Longobardi nel ducato di Benevento, i Bizantini in Puglia e in Calabria e i Saraceni in
Sicilia), con la prima crociata e con l‟espansione delle Repubbliche Marinare. Dopo Enrico V la
Germania è dilaniata da lotte dinastiche tra la casa di Baviera (Guelfi) e quella di Svevia
(Ghibellini), fino all‟elezione di Federico di Svevia “il Barbarossa” nel 1152. Il periodo delle
lotte dinastiche, che intercorse tra gli imperatori di Franconia e gli Svevi, favorì in Italia il sorgere
, accanto alle Repubbliche Marinare, dei liberi comuni, i quali ebbero uno sviluppo politico che
può essere distinto nelle seguenti fasi:la fase consolare in cui predominano le vecchie famiglie
feudali, la fase podestarile in cui predomina la borghesia e la fase popolare in cui, accanto al
podestà, che rimane capo soltanto di nome, viene eletto il Capitano del popolo e la classe
dominante è costituita dagli artigiani riuniti nelle arti minori.
Basso Medioevo
Nel Periodo comunale dell‟istituzione comunale veronese si ha un primo documento risalente al
1136, in tal periodo si registrarono oltre allo sviluppo delle autonomie locali del comune in campo
civile, anche un fervore costruttivo e una spiritualità più attenta agli aspetti umani del ministero
cristiano; nel “Privilegio”: “Piae Postulatio Voluritabis” del 17 maggio 1145 si dà
l‟enumerazione delle Pievi di campagna e di altre chiese esistenti nel territorio tra cui figura anche
San Zeno di Minerbe (il” privilegio” è da vedere come l‟espressione dell‟estensione del potere e
dell‟intervento del papato nel periodo della riforma postgregoriana). Dal 1035 circa apparve la
pieve di San Zenone di Minerbe, la cui costituzione forse è da attribuirsi alla vicinanza a nuove
strade o ad un legame con Porto. E‟ da ricordare che il culto di San Zenone Vescovo si diffuse in
molte diocesi, come protettore dei pericoli delle acque
Durante il fiorire dei liberi comuni, Legnago acquisì una propria autonomia e sicuramente dopo
l‟anno 1100 il bosco passò sotto la giurisdizione del vescovo di Verona.
In questi periodi bui un ruolo fondamentale fu poi svolto dalla pieve rurale di San Pietro in Tillida
(=tigli) situata nei pressi di Bevilacqua, che raggiunse la sua espansione attorno all‟anno mille,
per poi scomparire nel XII secolo; una delle ville “vici” ad essa sottoposte era probabilmente
“Corregias” vicino a Minerbe; alcune località però non le erano sottoposte, tra queste figura
Minerbe e San Zenone. Carlo Avogaro nei suoi “Appunti di Toponomastica Veronese” scrive che
nel testamento del Diacono Dagilberto dell‟anno 932, Minerbe è chiamato Minervae, nell‟anno
1027 Menervae, nel 1035 Menervio, e poi nel 1228 Menerbio, posteriormente Minerbium da cui poi
Minerbe. Si dice che San Zenone, VIII vescovo di Verona, sia venuto in questo territorio, vi abbia
predicato la religione cristiana e distrutto il tempio pagano; poi sulle rovine del tempio di Minerva
e con i materiali dello stesso, fu edificata una chiesa che venne dedicata a San Zenone Vescovo e
Martire.
La chiesa preesisteva al secolo X, poiché è detta Pieve; significa che a quell‟epoca possedeva il
sacro Fonte battesimale, al quale venivano portati anche i bambini delle terre circonvicine per
essere battezzati. Essa pertanto risulta una delle più antiche Pievi della Diocesi di Verona.
La crescita e lo sviluppo dei vari centri situati sulla sinistra dell‟Adige furono senza dubbio
agevolati dalla presenza di consistenti patrimoni di enti ecclesiastici e di famiglie nobili veronesi. A
Minerbe infatti possedeva beni il monastero di San Pietro di Modena, ceduti poi a quello di San
Michele in Campagna, vicino a Verona e negli anni 1209-1211 la potente famiglia cittadina dei
Crescenzi assegnò a una quarantina di famiglie un terreno boschivo nelle vicinanze del paese. Nel
territorio comunale esisteva anche un complesso di proprietà dell‟Episcopio.
. Dal 1183 al 1226 il Comune passò dalla fase della prosperità a quella della decadenza con il
sorgere delle fazioni e il loro violento scontro; Papato e Impero si stavano scontrando per le
investiture e per l‟affermazione della rispettiva supremazia (è da aggiungere poi, che contro i patti
convenuti con Innocenzo III , Federico II di Svevia unì il regno di Sicilia all‟impero, chiudendo tra
due fronti il Papato e i Comuni, fino all‟avvento di Carlo d‟Angiò, fratello di Luigi IX re di
Francia, nel 1266 e il tramonto in Italia dell‟autorità del Sacro Romano Impero, dopo di che ebbe
inizio la decadenza sia dell‟Impero che del Papato).
. I nomi “Guelfi” e “Ghibellini” assunsero il significato di sostenitori del papa (Guelfi) e
dell‟imperatore(Ghibellini). Nei primi decenni del 1200, tutto il territorio veronese fu sottoposto a
furibonde lotte tra fazioni. I ghibellini Montecchi, per esempio, che erano stati cacciati da Verona
dai guelfi Sambonifacio, nel 1232 riuscirono a rientrarvi con l‟aiuto di Ezzelino da Romano,
signore della Marca Trevigiana. L‟ultima fase, dal 1226 al 1259, fu caratterizzata dal passaggio
alla signoria impersonata da Ezzelino III da Romano. Quest‟ultimo, deposti podestà e dignitari
nominati dal popolo, proclamò di governare la città in nome dell‟imperatore. Nel 1234 Padovani,
Bresciani e Mantovani, già alleati dei Sambonifacio, occuparono anche alcuni territori della bassa.
Gli anni tristi delle guerre condotte da Ezzelino da Romano, causarono alle comunità do Porto e
Legnago, morte e distruzione.
Alla morte di Ezzelino, seguì un decennio in cui sembravano risorgere le libertà comunali, in realtà
il potere si andava accentrando nelle mani dello scaligero Mastino I della Scala (1259-1277) per
poi passare al fratello Alberto I della Scala (1277-1301) e quindi alla Signoria Scaligera. I della
Scala si premurarono di rimettere Verona in pace con la Santa Sede (guelfi). ). L‟inizio della
Signoria scaligera trae origine dall‟autoaffermazione dinastica di Alberto I, subentrato al fratello
Mastino I nella carica di Capitano del popolo (1277). Nel 1302 rafforzò il potere della carica
ereditata di capitano del popolo il primogenito Bartolomeo e, due anni dopo, nel 1304 il fratello
secondogenito Alboino, unificò nella sua persona le cariche di Capitano del Popolo e di Podestà
della Casa dei Mercanti. Nel 1308 egli associò al potere il fratello minore Cangrande. Nel 1311 i
Della Scala ebbero il titolo di “vicari Imperiali” e Cangrande, morto Albuino, iniziò
un‟espansione territoriale, forte anche del titolo di capitano generale della lega ghibellina, fino al
1329, allorquando morì all‟improvviso a Treviso. I suoi successori furono poi i nipoti Mastino II e
Alberto II, figli di Albuino, i quali continuarono la politica espansionistica, però non ebbero la
stessa chiara visione politica della situazione. Nel 1331 nella vicina Castelbaldo fu costituita la
lega veronese-ferrarese-mantovana, che rientrava nella strategia scaligera di acquisizione di
prestigio conseguito con la forza militare, senza badare alla necessaria base economica e non
curando molto gli aspetti diplomatici. Gli scaligeri furono in guerra contro o in alleanza con le
città dell‟intera Italia settentrionale. La Signoria raggiunse comunque il momento di massima
gloria nel 1336, poi cominciò il suo declino. Agli inizi del 1351 morì Mastino II e subentrò
Cangrande II ucciso nel 1359 dalla mano sicaria di suo fratello Cansignorio, il quale,
politicamente debole, perseguì una politica di alleanze militari pericolose. Alla sua morte
assunsero il governo della signoria Bartolomeo e Antonio, il primo poi pare fu fatto uccidere dal
secondo. Dopo Antonio il potere passò ai Visconti.
Dal 1136 al-1260 Minerbe era giurisdizione esclusiva dei nobili Bevilacqua, il cui capostipite era
un facoltoso commerciante di legname che trasportava i tronchi su zattere lungo il corso dell‟altoAdige. La famiglia dei Bevilacqua agevolò l‟ascesa degli Scaligeri e caratterizzò le vicende del
nostro territorio: la Bevilacqua. I Bevilacqua esercitarono la loro influenza anche dopo la caduta
degli Scaligeri, infatti influirono sugli eventi del territorio fino alla fine del 1400.
Nel 1354 Cangrande della Scala donò ai Bevilacqua il vicariato di Minerbe, San Zenone, Santo
Stefano e Gazzolo, in segno di riconoscimento alle sue benemerenze e dei suoi favori. Diversi
furono gli episodi funesti per Minerbe, si ricorda per esempio che nel 1312 Cangrande I della
Scala dopo essersi impossessato di Vicenza, pensò di dirigersi anche verso Padova, ma i padovani,
accortosi del pericolo, organizzarono un esercito, uscirono dalla città e allagarono e incendiarono
Pressana e Minerbe, poi Franceschino da Caldonazzo, signore di Valsugana, tentato di
impossessarsi dei territori dell‟alto vicentino protetti dagli Scaligeri e unito ai Carraresi di Padova
che intervennero a difenderlo, nel 1385 occupò Minerbe e lo “rovinò dalle fondamenta”. Anche nel
1436 vi fu uno spaventoso incendio nel nostro paese.
In quel periodo il territorio ormai aveva una vasta distesa di bosco: infatti da una cartografia
risultano: il bosco delle Stoppazzole, il paese di Minerbe, la fossa Borzelè e nel mezzo, una radura
sulla quale sorge la villa della Stoppazzola (= forse a “terreno coperto di stoppie), attorniata da
fabbricati. Le case dei centri sparsi nella campagna sono nella maggior parte di paglia, mentre le
chiese di mattoni.
Fonte di prodotti e di nutrimento, il bosco divenne oggetto di controversie e di liti in epoche nelle
quali le condizioni di vita erano grame, a prescindere dalle ricorrenti calamità (epidemie, malaria,
inondazioni, grandinate, invasioni di cavallette,…) e costringevano gli abitanti durante le carestie
a cercare alimento persino nelle radici e nelle cortecce.
L‟ultimo signore scaligero, Antonio, esule morì, forse avvelenato il sette agosto 1388. ci fu poi un
breve dominio dei Visconti e poi una guerra che si svolse tra i figli del Visconti, i pretendenti
Scaligeri, i Carraresi da Padova e la Repubblica Veneta, in espansione verso la terra ferma. Col
riconoscimento da parte dell‟imperatore, che diede ai Signori delle città il titolo di duchi o
marchesi e con la facoltà loro concessa di trasmettere ai figli il potere, le Signorie si trasformarono
fin dal secolo XIV in Principati
Dal punto di vista dell‟organizzazione religiosa, nella prima metà del secolo XV inizierà il
distacco delle cappelle dalla pieve e la loro erezione in parrocchie autonome.
Con la sottomissione di Verona e Legnago al dominio veneziano nel 1405, anche il bosco
(costituito da: Olmi, Ontani, Querce, Aceri, Acacie, e arbusti) entrò a far parte del territorio
veneziano, il legname era destinato principalmente all‟arsenale navale di Venezia dove giungeva
attraverso l‟Adige su barconi e zattere, ma serviva anche per ricostruire il ponte sull‟Adige , per le
case (di legno e di paglia), per la caccia di frodo e come rifugio a fuggiaschi e banditi; a sua tutela
la Serenissima assunse a pagamento dei guardiani detti “saltari”. Esso, durante le guerre della
Lega di Cambraj (1508-1517) (Spagnoli e Francesi… contro Veneziani) subì devastazioni e
incendi da parte degli eserciti contrapposti.
Età Moderna
Gli inizi del 1500 infatti, furono drammatici per il Basso Veronese. Ferdinando il Cattolico di
Spagna, papa Giulio II, Luigi XII di Francia e l‟imperatore Massimiliano d‟Asburgo si riunirono a
Cambraj nel 1508 in una lega contro Venezia, alla quale aderirono anche il re d‟Ungheria, i duchi
di Mantova e di Ferrara. Gli eserciti di entrambi imperversarono anche nelle nostre terre portando
morte e distruzione e saccheggiando quanto trovavano. L‟imperatore Massimiliano, per finirla una
volta per tutte con “quelle piccole terre Legnago e Porto che ardivano resistergli”, sistemò il
quartiere generale proprio a Minerbe, successivamente decise di venderla con Porto ai Francesi
per 15000 ducati in cambio di Verona. Buona parte dei combattimenti tra Veneziani e aderenti alla
lega avvenne sulla sinistra d‟Adige. Nel 1514 fu l‟armata spagnola, che continuava la guerra
contro Venezia, a produrre episodi di soprusi ed angherie, fino a che il 12 luglio 1515 ci fu la
calata del re di Francia, ormai alleato alla serenissima a costringere gli Spagnoli a spostarsi in
Lombardia. In base agli accordi di pace, nel 1517 Verona e il nostro territorio furono assegnati
alla Francia che poi li cedette alla Serenissima. In seguito, impellenti necessità finanziarie
costrinsero la Repubblica di Venezia a lottizzarlo e a venderlo a dei patrizi che in tempi successivi ,
lo ridussero a terreno coltivabile.
Nel frattempo l‟Italia fu ancora terreno di scontro tra Carlo V e Francesco I prima (1531-1544), e
tra Filippo II ed Enrico II poi, per il predominio, fino alla pace di Cateau- Cambresis (1559). Di
Carlo V si riporta che nei giorni quattro e cinque novembre 1532 soggiornò alla Cucca (Veronella)
durante il suo viaggio per Roma.
Durante l‟occupazione imperiale, ma in modo particolare dal 1530 al 1540, a causa di inondazioni
e di siccità, si ebbe nel Veronese una scarsa produzione di grano, specialmente nel 1538, per cui si
prospettò il terribile flagello della fame e della morte per molti, anche se , alcune testimonianze
rinvenute, ci sottolineano l‟esistenza di un‟attività artigianale di notevole importanza già in questi
secoli XV e XVI legata alla lavorazione della ceramica. Riguardo il contesto politico e religioso, si
può osservare che si ebbe uno scadimento dei costumi e della disciplina, il vescovo di Verona
Giberti tentò di delineare la struttura e l‟organizzazione della diocesi veronese che nella campagna
era articolata intorno a settanta pievi e centotrentun parrocchie. Attraverso la descrizione delle sue
visite, Egli ci dà anche una visione della situazione morale e materiale delle comunità, che tentò di
risollevare, verificò le condizioni strutturali delle chiese ed effettuò l‟inventario dei beni, interrogò
parrocchiani. Da una delle ultime visite risulta che gli abitanti erano 1250 di cui 750 i confessati e
i comunicati.
Il nostro territorio, il cui terreno era costituito da ampie zone sabbiose, dovute alla presenza
dell‟Adige, e da alcune zone argillose e calcaree, con un ambiente circostante formato dal grande
bosco, a partire dal 1400, in particolare poi intorno alla metà del 1700, fin alla prima metà del
„900 fu importante per la coltura del riso (ne sono testimonianza le quattro pile d‟acqua –
Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni-). Tale coltura fu introdotta dal
governatore di Verona Teodoro Trivulzio e raggiunse l‟apice verso la metà del 1700; fu allora che
le famiglie aristocratiche e borghesi della zona , potendo contare sullo scavo di nuovi canali irrigui
e sui numerosi interventi di bonifica commissionati, fra gli altri dall‟ingegnere minerbese Gasparo
Bighignato, si dedicarono ad essa, considerata molto redditizia.
Infatti, tra la fine del „500 e il pieno „600 alcune famiglie nobiliari con ville nel nostro territorio,
come i marchesi Spolverini, i Bevilacqua, i Chiodo, ma anche enti ecclesiastici si rivolsero alle
magistrature della Repubblica di Venezia allo scopo di ottenere l‟investitura d‟acqua per
bonificare e sistemare il sistema di canali “dugali”. La presenza di risare è conseguenza alle
suppliche di Tommaso Spolverini, la prima delle quali è del 1558.
Persico nella sua giuda di Verona e della Provincia del 1821 dice di Minerbe: “Paese grosso con
bei casamenti ed agiati di più signori”. Secondo il Massedaglia “Minerbe è stato uno dei primi
paesi nel 1611 della Bassa a coltivare pure mais o “formenton gialo”.
La risaria si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone, ne sono testimonianza le
quattro pile d‟acqua –Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni abitate allora dal
“piloto” (mugnaio). Fu qui che, nel corso dei secoli, centinaia di mondine hanno lavorato sodo,
con la schiena piegata e i piedi in ammollo, sotto l‟occhio inflessibile del risaro: il temuto
sorvegliante che, oltre a regolare i livelli dell‟acqua e a mantenere pulite le reti da pesca, poste nei
cataletti, non esitava a dare un colpetto di bastone a chi accennava a raddrizzarsi. Assieme alla
coltura del riso poi si svilupparono quelle dei cereali e dell‟allevamento del baco da seta, tanto che
insigne famiglie patrizie scaligere e veneziane avevano scelte la nostra Bassa per dar vita a grandi
possidenze terriere e per costruire ville sontuose con aie, cuore aziendale e pulsante di tanto
lavoro; anche se i contadini continuarono a vivere nella miseria.
Nel 1630 scoppiò la peste che seminò a Minerbe e a San Zenone ben settecentotrentacinque
decessi. La peste ebbe effetti negativi anche nell‟economia veronese e sull‟arte: infatti molte chiese
vennero interamente disinfettate con una generale imbiancatura di calce che ricoprì numerosi
affreschi.
L‟Adige ancora protagonista nella storia del paese nel 1776 con un‟alluvione; a causa dello stato
deplorevole degli argini che erano stati tagliati o distrutti interamente, migliaia di campi del
comune e delle località limitrofe vennero invasi dalle acque, con gravi danni alle coltivazioni e alle
piante. Fu una specie di diluvio circoscritto, gli abitanti trascorsero ore di sgomento e di paura,
cavalli e buoi perirono nei vortici della corrente spaventosa. In quei giorni calamitosi le barche
ebbero gran fortuna, rematori improvvisati accumularono quattrini, il paese sembrava trasformato
in un fiume dal letto vastissimo e dalle acque torbide, come quelle di un torrente dopo un uragano
con gran scempio di faggi ed altri alberi.
Furono però gli anni dal 1796 al 1815 che rappresentano, probabilmente, il periodo storico più
difficile vissuto dalle popolazioni dei nostri territori. Verona e la sua provincia furono al centro di
durissimi episodi bellici tra l‟esercito francese e quello austriaco, che portarono miseria, carestie e
devastazioni. È la campagna d‟Italia concepita dal Direttorio per impedire che truppe austriache
accorressero a difendere Vienna, la capitale dell‟impero, verso cui marcia l‟esercito francese,
guidato dal generale Napoleone Bonaparte. Nel gennaio del 1797 ci fu uno scontro tra Francesi,
sparsi sulla difensiva tra Minerbe, San Zenone e Sant‟Anna e Austriaci, al di là del fiume Fratta a
Bevilacqua. La popolazione, spaventata dai disordini provocati, riparò nelle abitazioni dei nobili e
lasciò in balia dei soldati tutti i suoi poveri averi. La battaglia della Favorita e la resa di Mantova
decretarono il definitivo controllo dei Francesi sulla pianura padana; ci fu qualche episodio di
rifiuto di ospitalità alle truppe francesi, le cronache ci riferiscono per esempio che il conte Gaspare
Stoppazzola tentò di opporsi di dare ospitalità ai cavalieri francesi, violando le disposizioni vigenti,
nell‟aprile del 1797 (Pasque Veronesi). Il 19 luglio circa millecinquecento soldati francesi, di
ritorno dal Friuli dove avevano sbaragliato gli Austriaci, piantarono campo a Minerbe.
Di tale situazione subì forti contraccolpi l‟agricoltura che ebbe come prima conseguenza la
scarsità di derrate alimentari; inoltre il passaggio degli eserciti comportò spesso distruzione di
alberi, specialmente di gelsi e la requisizione di animali, come cavalli e bovini. Una volta insediati,
essi apportarono radicali cambiamenti all‟apparato amministrativo e burocratico del territorio:
Minerbe e San Zenone vennero inclusi nella Circoscrizione di Legnago e il 22 settembre 1797
divenne obbligatorio il calendario repubblicano e le ore diventarono di centoventi minuti. Il Menin
(1762-1836), medico di San Zenone, nel suo “Breve storico compendio della guerra d‟Italia”
dell‟anno 1796-1797 lamenta le miserie portate dai Francesi “le quali se non furono maggiori di
quelle provocate dagli Unni, dai Goti e dai Vandali non furono di certo neppure minori”. Con il
trattato di Campoformio /17-10.-1797) poi tra Francia e Austria, le terre veneziane e il Veneto
furono cedute all‟Austria: i territori sulla sinistra d‟Adige passarono così sotto il dominio
austriaco, incluse Verona e Legnago, situazione che cambiò di poco con il successivo trattato di
Luneville (9-2-1801), seguito alla seconda campagna d‟Italia, in cui la fortezza di Legnago venne
divisa in due: Legnago francese, Porto e sinistra Adige austriache, ma con la vittoria di Napoleone
ad Austerliz.
Età Contemporanea
Nel 1805 tutto il Veneto passò sotto il dominio francese fino al 1810.
In tal periodo nel nostro territorio vennero realizzate opere viarie importanti (la San VitoBevilacqua per esempio), in ogni comune venne nominato un podestà, divenne obbligatorio
seppellire i morti lontano dai centri abitati e vennero compilate liste di leva per cui tutti i cittadini
maschi (cittadini del regno d‟Italia) erano obbligati a prestare servizio militare nelle varie
campagne dell‟esercito francese. Quest‟ultimo provvedimento sottrasse braccia da lavoro alla
campagna e provocò l‟impoverimento della zona. Chi tentò di difendere la propria famiglia, i
poveri averi, pagò con la vita. La gente doveva obbedire alla chiamata alle armi per finire a
combattere in terre lontane. La popolazione del Basso Veronese si ribellò nella primavera del
1809, scoppiarono tumulti in vari paesi, ciò provocò anche la confusione tra insorti, coloro che si
nascondevano per sfuggire alla leva e piccole bande di briganti che cercavano di approfittarne
della confusione; si sviluppò così il fenomeno del banditismo. Proprio riguardante Minerbe un
cronista riporta un episodio accaduto in cui un‟orda numerosa ripartita da Terrazzo, Marega,
Begosso, Nichesola e San Zenone, giunta a Minerbe abbia preteso la consegna di otto bovi, otto
cavalli, pane e vino, minacciando distruzione e morte, sequestrò il Podestà e lo costrinse a far
visita alle famiglie più facoltose per racimolare la somma richiesta; non riuscendo, condussero il
malcapitato in municipio, rovistò dappertutto e infine si fece dare documenti a cui diede fuoco in
piazza, non soddisfatta poi bruciò anche la residenza stessa e il palazzo della nobile famiglia
Stoppazzola.
Quella del 1809 fu una rivolta, che alla fine fece contare un certo numero di morti,quasi tutti per
rappresaglia, dove la popolazione diede prova comunque di grande dignità.
Con la caduta definitiva di Napoleone, e il Congresso di Vienna, fatto per dare un nuovo assetto
all‟Europa con la Restaurazione, dal 1815 al 1866 il Veneto ritornò all’amministrazione austriaca
la quale in un primo momento cercò di aiutare l‟agricoltura, e intraprese la bonifica delle grandi
valli veronesi.
Ci fu una stasi dell‟incremento della popolazione, ma un aumento della produzione agricola con il
miglioramento del tenore di vita dei proprietari terrieri, ma le condizioni dei braccianti e dei bovai
rimasero misere. I prodotti tipici erano ancora frumento, riso e granoturco. Nei campi il lavoro era
svolto a mano e quasi sempre eseguito con la zappa da donne e fanciulli e con l‟erpice dagli
uomini.
Con la Restaurazione però quasi tutta l‟Italia venne ad essere soggetta direttamente o
indirettamente all‟impero austriaco deciso a sostenere i governi assoluti imposti dal Congresso di
Vienna, ad impedire ogni riforma democratica e ad intervenire. Questa situazione, dopo la
Rivoluzione Francese con tutte le sue contraddizioni, aveva comunque risvegliato nei popoli una
più viva coscienza di libertà non era più sopportabile, né era possibile lottare apertamente contro.
Di qui il sorgere delle Società Segrete, lo scoppiare in Italia di moti rivoluzionari nel ‟20, ‟21, ‟30,
„31 che chiedevano la Costituzione, i processi del Lombardo-Veneto, l‟ascesa di Mazzini e delle sue
idee, la nascita di correnti politiche che si proponevano di raggiungere l‟unità d‟Italia con mezzi
pacifici, dopo l‟insuccesso dei moti mazziniani.
Gli occupanti austriaci si dimostrarono diffidenti e sospettosi anche nel veronese; la polizia
arrestava facilmente per motivi politici. Le frequenti requisizioni di vino, legna, grano, frumento e
altri beni di prima necessità per mantenere le truppe, accrescevano l‟odio della popolazione nei
loro confronti. Nel 1817 ci fu anche una carestia con impennate di decessi provocate dai freddi
intensi e dalle siccità, inoltre aumentarono i furti e gli atti di vandalismo.
Nel 1848 una crisi europea, di carattere prevalentemente antiaustriaco e patriottico, coinvolse
ancora il Lombardo Veneto e purtroppo anche nelle nostre zone si verificò il triste fenomeno di chi
era costretto a combattere contro i propri parenti e amici, perché arruolati obbligatoriamente alle
file austriache azioni di ricatto subite dalla popolazione, come risulta da una lapide posta sotto il
loggiato in piazza IV Novembre ad opera dell‟esercito austriaco il quattro Agosto 1866. nel 184849 ci fu la Prima Guerra d‟Indipendenza, con l‟eroica resistenza di Venezia, le condanne nel
Lombardo-Veneto (i martiri di Belfiore nel mantovano), nel ‟59 la Seconda Guerra d‟Indipendenza,
le annessioni dell‟Italia centrale, la spedizione dei Mille nel ‟60, la proclamazione del Regno
d’Italia nel ’61 e la Terza Guerra d‟Indipendenza nel ’66 inseguito alla quale il Veneto diventò
italiano e venne sciolta la Confederazione Germanica del 1815 così che l‟Austria perse ogni
influenza in Germania a vantaggio della Prussia . Il 21 Ottobre 1866 venne fissato il plebiscito con
il quale si chiese al popolo di votare per l‟annessione al nuovo regno d‟Italiadei Savoia. Minerbe
faceva parte del collegio elettorale che aveva sede a Legnago e che comprendeva i comuni di
Albaredo, Angiari, Bevilacqua, Bonavigo, Bonaldo, Castagnaro, Cologna Veneta, Cucca
(Veronella), Minerbe, Pressana, Roverchiara, Rovereto di Guà, Terrazzo, Villa Bartolomea,
Zimella. Il venti settembre 1870 il generale Cadorna occupò Roma entrando attraverso la breccia
di Porta Pia, sottraendola al papa Pio IX. Dopo la morte del Cavour, grande artefice del
Risorgimento, alla Camera si distinguono nettamente due correnti: la Destra e la Sinistra. La
Destra, formata da liberali moderati continuatori della politica di prudenza e di equilibrio del
Cavour, tenne il potere fino al 1876 e i suoi sforzi principali furono volti a sanare la situazione
finanziaria (economia fino all‟osso), la Sinistra rimase al potere fino al 1914; essa allargò il diritto
di voto e iniziò la lotta contro l‟analfabetismo.
La miseria però continuò a diventare sempre più pesante sia per le difficoltà interne, sia per gli
avvenimenti internazionali; per questo si diffusero anche in Italia idee socialiste e comuniste e si
affermò il movimento cristiano-sociale.
Ad aggravare la situazione della nostra gente, nel 1856 ci fu un‟epidemia di colera che colpì
Minerbe, causando una vera e propria strage; altre malattie che si manifestarono furono poi la
malaria, la pellagra. La mortalità infantile era alta, ben il 48% da zero a sei anni e il 25% dai
quindici ai quarantacinque anni.
Le guerre di espansione coloniale, la prima guerra d‟Africa nel 1885-‟89 e la seconda guerra
d‟Africa, 1895-1896, nate anche sullo stimolo della spartizione dell‟Africa da parte dei Paesi
europei, non risolsero il problema della miseria e della disoccupazione e molti, pure fra i nostri
concittadini cominciarono ad emigrare soprattutto nelle Americhe. Il paese di Minerbe però si
dimostrò dinamico anche nei momenti di difficoltà: nel 1896 venne fondata la “Cassa Rurale dei
Prestiti di Minerbe”con recapito presso la casa canonica. Già all‟inizio del 1900 il quadro
economico e sociale cominciava a farsi variegato. Esisteva una fiera del bestiame in occasione
della sagra di San Giuseppe; in essa venivano contrattati attrezzi agricoli oggetti per la casa,
animali, merci varie. La coltivazione del riso continuava ad essere praticata e costituiva ancora
una risorsa.
Pur persistendo le grandi proprietà delle famiglie patrizie veronesi, e le grandi boarie quali “Corte
Bove”, Corte Campeggio, Corte Colombaron e Corte Chiavegato ex Weiss, con una massa di
povera gente, cominciava lo spezzettamento della terra in piccole proprietà.
In paese poi c‟era una trentina circa di telai per la lavorazione di lino, canapa, iuta e una decina
per quella del cotone. I gelsi (i morari) alimentavano l‟allevamento del baco da seta, le donne poi,
soprattutto nei periodi invernali, confezionavano trecce di truciolo di legno di salice (il salgaro)
impiegate successivamente per fare cappelli, ceste e altri prodotti. Contemporaneamente al
diffondersi della tessitura a domicilio e della lavorazione del truciolo di salice usato per
confezionare ceste e cappelli, Giacomelli creò una fornace per laterizi la cui attività terminò nel
1930 a causa di un incendio, vi lavoravano circa 250 persone.
Si vendevano i quindicinali: “L‟Asino”, “L‟Amico del popolo”, “Verona del popolo”, “Seme”.
Esisteva dal 1882 la Società di Mutuo Soccorso con lo scopo di aiutare i soci in caso di malattia.
Anche il dibattito politico culturale era discretamente acceso: c‟era una certa disputa tra cattolici,
anticlericali, socialisti.
La disparità tra le classi era notevole, ma la coscienza civica avvertita, indisse in particolare il
Comune ad addossarsi l‟onere dell‟assistenza a domicilio degli ammalati e ad elargire , tramite la
Congregazione di Carità, un somma di denaro per l‟assistenza. Il due luglio 1882 venne costituita
la Società di Mutuo Soccorso Agricola- operaia, che nel 1919 divenne “Società Operaia di Mutuo
Soccorso”., sorsero uno stabilimento bacologico (1872), una fabbrica per la lavorazione del
truciolo (1885), una fornace per laterizi (1902), un centro di raccolta e lavorazione del tabacco
(1920) e un caseificio sociale (1922).
La svolta che offrì nuovi sbocchi occupazionali e permise di contenere l‟emigrazione
transoceanica, si ebbe già nel 1872 ad opera dell‟ingegnere Alfonso Bellinato. Fu lui che,
sfruttando la coltivazione del gelso, molto praticata nelle campagne della zona, fondò uno
stabilimento bacologico nel quale gli operai erano occupati a selezionare i semi (le uova) e ad
allevare i filugelli (bachi da seta) destinati anche all‟esportazione. Risale poi al 1885
l‟inaugurazione dello stabilimento dei fratelli Tonazzi, che si occupava della triturazione e della
torrefazione delle radici della cicoria, convertite in un surrogato economico del caffè. Agli inizi del
„900. Ma il grande precursore dell‟industria moderna fu Angelo Scarmagnan, il quale, partito dal
nulla girando per le contrade a vendere mercanzie con un carretto trainato dal cavallo, ebbe
l‟intuizione di avviare una serie di attività legate principalmente all‟agricoltura che assorbivano
diversa manovalanza. La ditta Scarmagnan incominciò a produrre prodotti chimici atti a
migliorare l‟agricoltura. Questo imprenditore, morto nel 1970, finanziò varie iniziative ricreative e
benefiche: dal cinema teatro Politeama alla colonia per i bambini della parrocchia. Nel 1909 aprì
una prima azienda agricola accanto alla chiesa di San Zenone. Lì smerciava concimi, zolfi, carboni
e macchine agricole. Superata la difficile parentesi della Grande Guerra, riprese il lavoro
specializzandosi nel commercio di prodotti chimici.
Dal punto di vista politico militare, gli inizi del „900 vedono la conquista della Libia del 1911-1912
e la partecipazione dell„Italia alla Prima Guerra Mondiale nel 1915
Nel 1914 si svolsero le elezioni amministrative e vinse una lista moderata con sindaco Emilio
Candiani.
Ma gli anni che vanno dal 1915 al 1918 sono determinati dagli avvenimenti della grande guerra.
Quasi tutti i giovani vanno al fronte e tutto è bloccato dalla paura e dalla disperazione, la piccola
delinquenza dilaga.
Viene bloccato il progetto di bonifica Zerpano, che avrebbe dovuto portare alla pianificazione
idraulico- sociale dalla Zerpa alla Fratta e a scaricare le acque del bacino nel fiume Fratta Gorzone. A dire il vero a tale progetto si erano opposti alcuni proprietari, in particolare i
Bevilacqua e i De Bernini, ma anche alcuni comuni tra cui Minerbe, i quali temevano gli effetti
dannosi che potevano derivare dal cambiamento del regime delle acque del bacino. I lavori poi
ripresero in novembre del 1919,
Nel 1915, il tredici marzo il Sindaco si dimette per contrasti sui contributi che si dovevano erogare
alla linea ferroviaria Ostiglia-Treviso di cui esisteva un progetto fin dal 1910, che doveva passare
per Minerbe e che doveva servire soprattutto per il trasporto di truppe. Il secondo anno di guerra
fu anche per le nostre zone molto difficile e quando nel 1917 gli Altopiani vicentini caddero in
mano agli Austriaci, i nostri paesi si trasformarono in vere e proprie retroguardie, dove trovavano
aiuto e rifugio i profughi della Vallarsa. Per scopi militari nel 1910 era stato progettato un
tracciato ferroviario, per il passaggio della ferrovia da Minerbe e dopo la sconfitta di Caporetto
migliaia di soldati transitarono anche per il Basso Veronese; diversi furono i disagi e le
apprensioni che il paese visse anche se l‟abitato rimase strutturalmente indenne. Per gli uomini in
trincea venne costituito un comitato di signore (Maurina Valentini, Lina Gemma, Ida Allegroni, Ida
contessa Stopazzola, Elisa Burzio, Elisa contessa Nichesola, Giovanna Fraccaro Guardalben,
Idalia Vivaldi, Palmira Maestri, Maria Vivaldi, Maria Nascimben, Dirce Scarmagnan, Giulia
Bertelli, Emma Bertelli, Clara Tonazzi, Teresa Vivaldi, Amabilia Vivaldi e Pietro Durgante),
impegnate a raccogliere fondi per i più bisognosi. Molti soldati venivano fatti prigionieri o uccisi e
le famiglie a casa rischiavano di non sopravvivere. I caduti al fronte furono 82, ma nell‟albo d‟oro
dei Caduti della Prima Guerra Mondiale del 1921 il loro numero sale a 9, essendovi inclusi i nomi
dei giovani nativi di Minerbe, trasferitisi in altri comuni. Il parroco di allora ci dà un chiaro
resoconto della tragicità di quegli anni e dello “stato d‟anime della Parrocchia nel 1920 con brevi
annotazioni che vengono allegate. (All.n°1 e All.n°2 )
Insomma la vita cambiò non solo per l‟effetto dell‟economia di guerra, per l‟uccisione di uomini e
la distruzione di cose, ma anche l‟idea stessa di comunità, per il lacerarsi dei rapporti fra la gente,
per il costituirsi di tante comunità costrette a urtarsi; c‟è la popolazione di donne, vecchi e bambini
costretta portare avanti il lavoro della terra, a convivere con i soldati alloggiati nelle proprie case,
a occuparsi nei lavori militari delle retrovie; c‟è il mercato nero; viene requisito più volte bestiame.
Anche fisicamente il paese cambia aspetto, la piazza per esempio viene occupata da carri e cannoni
e questo ha una grande influenza sul senso di identità della comunità.
Alla prima guerra seguirono per l‟Italia momenti difficili: c‟era da risanare il bilancio esausto per
le spese di guerra, da frenare la discesa della lira, da trovare lavoro per migliaia di excombattenti. A gravare la situazione intervenne la propaganda dei partiti estremisti che
provocavano continui scioperi ed agitazioni. Di questi disordini approfittò Benito Mussolini che nel
1921 fondò il Partito Nazionale Fascista e il 28 ottobre 1922 ordinò la Marcia su Roma. Gli
avvenimenti di questi anni furono vissuti con particolare intensità anche da Minerbe dove si
diffusero le idee del movimento operaio e contadino e dove serpeggiava anche un certo
anticlericalismo. Tra il 1919 e il 1920 sorsero in paese due cooperative, una bianca e una rossa,
che si adoperavano per negoziare il salario minimo dei braccianti. Sorsero anche la Società di
Mutuo Soccorso, le Casse Rurali. La situazione sociale in quegli anni però fu carica di tensione e le
contese ideologiche forti. Dopo le elezioni del 1921, accanto a popolari e socialisti, crebbero gli
aderenti al fascismo e iniziarono scontri tra socialisti, popolari e fascisti con le famose spedizioni
punitive di questi ultimi. In questo contesto accadde l‟episodio dell‟incendio della sede comunale di
Minerbe. Il 19 aprile 1925 venne inaugurata la stazione di Minerbe. Nel 1922 in via Roma sorgeva
la società essiccazione prodotti industriali (Sepi)(fino agli anni ‟60 si occupò dell‟imbottamento del
tabacco) fondata da Giacomo Giacomelli, Francesco Gemma, Dante e Carlo Vivaldi, Angelo
Scarmagnan, quest‟ultimo negli anni venti della Sam (Scarmagnan Angelo Minerbe) una vera e
propria industria dedita inizialmente alla selezione del grano da semina, nonché alla macinazione
e alla ventilazione dello zolfo, a cui nel 1937 si aggiunse la produzione del polisolfuro di calcio.
Sopraggiunse poi la guerra. Nel ‟39 Mussolini infatti firmò un trattato d‟alleanza con Hitler e nel
‟40 entrò in guerra a suo fianco. Si ricorda che la seconda guerra mondiale è costata 55 milioni di
morti. Le date da ricordare in particolare di quel triste evento, perché diversi furono anche i nostri
morti, sono:1942-‟43 la Campagna di Russia, la campagna d‟africa ad El Alamin, la battaglia di
Cefalonia (Corfù), la resistenza. Dopo l‟annuncio dell‟armistizio da parte del generale Badoglio,
quando la guerra sembrava finita, le prime avanguardie tedesche si posizionarono anche a
Minerbe; villa Nichesola (il Palazzon) divenne il loro quartiere generale e altre abitazioni vennero
requisite, compresa la canonica. I rapporti furono freddi; durante la Repubblica Sociale di Salò si
assistette a qualche episodio triste di Minerbesi che accusarono i propri compaesani di simpatie
partigiane, talvolta soltanto per sollevarsi dalle pressioni delle brigate nere. Il 25 agosto del ‟44
quattro caccia anglo-americani mitragliarono la stazione colpendo ventotto vagoni di petrolio e
facendo scoppiare un pauroso incendio. Nel ‟45 accaddero altri episodi dolorosi: fu bombardato
da un cacciabombardiere americano un rifugio in cui si trovavano quattro persone che morirono
bruciate e successivamente i Tedeschi, per vendicare quattro commilitoni uccisi dai partigiani
uccisero quattro Minerbesi.
Della resistenza nel nostro territorio operava la Brigata Adige la cui zona d‟operazione
comprendeva: Albaredo, Coriano, Michellorie, Presina, Cologna Veneta, Gambellara, Minerbe,
Pressana, Legnago, Ronco all‟Adige, San Bonifacio, Terrazzo. L‟estrazione sociale dei suoi
componenti era la più varia: c‟erano operai, alcuni specializzati, studenti, renitenti alla leva. Le
donne svolgevano la funzione di staffetta, ruolo non secondario nel tenere i collegamenti e nel
trasmettere le informazioni. Partecipava anche qualche ragazzo (14-16 anni) in qualità di
portaordini. Con le loro azioni i partigiani si prefiggevano di danneggiare il nemico, rappresentato
da nazisti e fascisti, attraverso il sabotaggio contro le caserme e i mezzi di trasporto (ferrovie,
camion…). Ciascuna brigata operava nella massima segretezza, ciò nonostante i rapporti con la
popolazione furono buoni. La gente dava ospitalità e cibo più di quanto si potesse immaginare in
un periodo di grande difficoltà per tutti. . A tal riguardo alleghiamo alcune note di cronaca del
parroco don Carlo Pacega - 1925-1948-(Allegato n° 3)
Dall‟ inizio del „900 sino alla fine degli anni ‟50 gli avvenimenti che caratterizzarono la vita del
paese furono diversi, fra i principali si ricorda: nel 1901 venne istituita la banda cittadina, nel
1906 l‟asilo infantile, nel ‟10 iniziano i lavori della nuova facciata della chiesa parrocchiale, nel
‟12 nasce la casa di riposo, nel‟18 apre l‟asilo a San Zanone, nel ‟21 le scuole elementari in piazza
IV novembre, nel ‟23 viene inaugurato il monumento ai caduti e viene costruito il cinema –teatro
di Angelo Scarmagnan, nel ‟32 viene istituita l‟associazione sportiva calcistica “A.S. Minerbe”, nel
‟34 viene aperta la colonia antimalarica a San Zenone e nel ‟39 una elioterapica. La vita politica,
dopo le elezioni amministrative del ‟46 vinte dai social-comunisti, vede la Democrazia Cristiana
arbitra delle sorti del paese. La vita contadina e i suoi riti si svolgono in quel quadro di fondo fatto
di nebbie, freddo, umidità, ma anche di soli cocenti, e di fatiche immani eseguite quasi tutte con le
pure braccia; il lavoratore dei campi era spesso ridotto allo stesso livello delle sue bestie da soma.
Gli animali domestici c‟erano, ma grandi o piccoli che fossero, dovevano essere utili o come bestie
di fatica, o come datori di carne di cui sfamarsi, o come animali da guardia o da difesa contro
nemici o parassiti vari. L‟uomo e gli animali nella casa colonica vivevano fianco a fianco una vita
di stenti in cui le bestie mangiavano i resti dell‟alimentazione del colono, dormivano in ambienti
disagiati ed avevano mansioni ben precise all‟interno della proprietà. Le bestie di grande
pezzatura erano oggetto di cure quasi umane, perché dagli esiti dei loro parti, del loro ingrasso e
della loro salute dipendeva il futuro degli abitanti della corte, che dalla loro utilizzazione o vendita
ricavavano cibo per sostenersi, collaborazione nel mandare avanti i lavori dei campi ed entrate in
denaro per mandare i figli a scuola e provvederli di vestiti adeguati alle esigenze ed alla stagione.
Gli animali da cortile erano accuditi da donne e ragazzi. Le oche che crescendo diventavano
aggressive, erano accudite dai figli più grandi, che spesso con la primavera andavano a studiare
all‟aperto provvisti di bastone per difendere i fratelli più piccoli e per pascolarle.
Era praticata la caccia di lepri, passeri, fagiani, beccacce e beccaccini
Poi il mondo cambiò in fretta.
Dopo la guerra ci furono: la divisione del mondo in aree d‟influenza, la decolonizzazione e li
neocolonialismo dei paesi africani, la cortina di ferro, il muro di Berlino, la guerra fredda,
l‟equilibrio del terrore,il la guerra del Vietnam, il Sessantotto, le Brigate Rosse e Nere,il
panarabismo, la crisi dei paesi comunisti, il risorgere dei nazionalismi, fino ad arrivare alle nostre
“guerre preventive” e al terrorismo arabo che hanno fatto cadere tutti noi nella paura quotidiana.
Minerbe, comunque dal punto di vista geo-storico-economico presenta un ricco passato e porta
gloriose testimonianze anche della sua evoluzione storico- sociale, inoltre si presenta ancora
dinamico.
Non dimentichiamo per esempio l‟importanza che ha avuto il nostro territorio per la coltura del
riso assieme a quella del lino e del baco da seta, a partire dal 1500 sotto il dominio della
Serenissima, fin alla prima metà del „900. Fu introdotta dal governatore di Verona Teodoro
Trivulzio e raggiunse l‟apice verso la metà del 1700; fu allora che le famiglie aristocratiche e
borghesi della zona , potendo contare sullo scavo di nuovi canali irrigui e sui numerosi interventi
di bonifica commissionati, fra gli altri, dall‟ingegnere minerbese Gasparo Bighignato, si
dedicarono ad una cultura molto redditizia. Assieme alla coltura del riso poi si svilupparono
quelle dei cereali (frumento, granoturco, erba medica,…)e dell‟allevamento del baco da seta, tanto
che insigne famiglie patrizie scaligere e veneziane scelsero la nostra Bassa per dar vita a grandi
possidenze terriere e per costruire ville sontuose con aie, cuore aziendale e pulsante di tanto
lavoro. La risaria si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone, ne sono
testimonianza le quattro pile d‟acqua –Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni
abitate allora dal “piloto” (mugnaio); ma i contadini morivano comunque con gran facilità, a
causa dell‟ambiente insalubre e della miseria in cui erano costretti a vivere. A renderlo noto è
Gerolamo Alghisi, un medico-fisico dell‟epoca che in un trattato pubblicato agli inizi dell‟800 e
custodito negli atti dell‟Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, traccia un quadro
sulle preoccupanti condizioni dei lavoratori delle risaie, costantemente alle prese con febbri
palustri, aria putrescente, distese di fango ed abitazioni piccole ed umide, tanto che, con un
decreto, il 13 ottobre 1900 la Regia prefettura di Verona ordinò la soppressione graduale delle
risaie . il secolo scorso ha segnato, quindi, la progressiva disaffezione nei confronti della
risicoltura a favore del frumento, del tabacco, della barbabietola e dei frutteti.
Nel 1959 Egidio Ferrari con Leonello Bertoldi e Don Micheletto si adoperò perché sorgesse il
Consorzio ortofrutticolo che oggi vanta 200 soci.
Il superamento della civiltà contadina poi andò a braccetto con un‟esplosione di imprese e sevizi
che hanno cambiato il volto al paese. Anche i filari di uva Negrette e Corbina, i campi di
granoturco e le piantagioni di tabacco. Alla fine degli anni ‟80 fu il fagiolino punto di forza della
nostra agricoltura, la quale però via via è stata sostituita dall‟artigianato e dall‟industria.
Nell‟arco di 40 anni i campi hanno ceduto il posto ad un‟area artigianale- industriale estesa su
oltre un milione di metri quadrati, dove si contano oggi circa 150 imprese. La sfida che si pone di
fronte agli operatori del settore e alla istituzioni oggi è quella di far rivivere il nostro territorio in
tutte le sue attuali potenzialità, coglierne e sottolinearne la sua identità che, in fondo, è quella che
scaturisce dal nostro patrimonio storico- culturale,ed è comunque agro-ambientale.
Agli inizi del Duemila Minerbe presentava la più grande coltivazione europea di bacche di rosa, e
ambiva a diventare polo di sviluppo e di produzione di prodotti come il peperone, tanto che esso
era stato indicato prodotto tipico locale. I coltivatori agricoli minerbesi hanno saputo cogliere
questa valenza e hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa dell‟amministrazione comunale,
sostenuta inizialmente da alcuni cittadini, sia per il suo significato di aggregazione, ma soprattutto
perché essa sembrava costituire un‟opportunità di sviluppo, anche economico.
La quantità e la qualità della produzione del peperone non erano però da considerarsi
semplicemente dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale, in quanto poteva
caratterizzare il nostro paese, valorizzarlo insieme alle altre produzioni e, forse, diventare il
motore di un nuovo approccio alla conoscenza del territorio, in particolare al turismo culturalegastronomico.
La crisi negli anni successivi ha cambiato tutte le prospettive
Appendice
Sono appena trascorsi i 150 anni dell‘Unità d‘Italia, ripensare alla nostra civiltà contadina vuole
dire tentare di ricostruire i significati della casa, del lavoro della religiosità del nostro paese,
conoscere la nostra storia, il nostro lessico, il quale rifiuta parole anche solo evocative di violenza e
ci offre spazio di relazionalità solidale, fondata su conoscenza e comprensione generative di
cooperazione autentica.
Nella cultura contadina, accanto alle fole o fiabe hanno grande rilevanza, per il loro diretto legame
con la realtà quotidiana, gli aneddoti e i proverbi i quali spesso sono fatti di cronaca tolti dalla vita
di ogni giorno, faticosa e insignificante, e riproposti come espressioni simboliche di un modo di
pensare e di agire. Si tratta di espressione della capacità della povera gente di vivere il mondo alla
rovescia, e di rendere relativo e vivibile ogni aspetto della vita, anche quello più duro.
Non si tratta però di fuga dalla realtà, bensì di proposta culturale, trasmissione generazionale di
propri valori . Esso è anche espressione della libertà intellettuale e autonomia spirituale che la
nostra gente nel tempo ha saputo esprimere, secondo un percorso intessuto di saggezza espressa
soprattutto con i proverbi, che diventa così elevazione culturale rispettosa dei ritmi arcaici di Madre
Terra
RICORDANDO LA GRANDE STORIA
Nel 1848 una crisi europea, di carattere prevalentemente antiaustriaco e patriottico, coinvolse
ancora il Lombardo Veneto, di cui il nostro territorio faceva parte, e purtroppo anche nelle nostre
zone si verificò il triste fenomeno di chi era costretto a combattere contro i propri parenti e amici,
perché arruolati obbligatoriamente alle file austriache. Ci furono nel 1848-49 la Prima Guerra
d‘Indipendenza, con l‘eroica resistenza di Venezia, le condanne nel Lombardo-Veneto (i martiri di
Belfiore nel mantovano), nel ‘59 la Seconda Guerra d‘Indipendenza, con le battaglie di San Martino
e Solferino, Per l‘Unità erano avvenute le annessioni degli staterelli dell‘Italia Centrale, poi si era
fatta la Spedizione del Mille, alla quale partecipò anche un certo Silvio da Prato, secondo alcune
fonti(1) un Minerbese, il quale, ferito durante l‘assedio di Messina, morì il 28 Febbraio 1861, poco
prima della proclamazione dell‘Unità d‘Italia, avvenuta il 17 marzo 1861. Il tentativo austriaco di
estendere al Veneto una timida svolta costituzionale nel 1860-1861 fallì. Quando si tennero, nel
1861, le elezioni che dovevano inviare venti deputati della regione alla dieta imperiale di Vienna,
<<le classi più colte>>, con i liberal-aristocratici in prima fila, impedirono che la complessa
procedura prevista desse un qualche frutto. Il sabotaggio investi anche, in una certa misura,
congregazioni e consigli comunali. Alcune decine di migliaia di veneti, in maggioranza per motivi
d'ordine economico o per evitare la coscrizione, emigrarono in Italia. La politica austriaca, la quale
trovava un qualche appoggio unicamente nel clero temporalista e in una ristretta area di
<<benpensanti>>, si ridusse ad un controllo poliziesco: tra il 1859 e il 1865 furono celebrati a
Venezia duemiladuecentoventicinque processi a carico dei patrioti. Come era nelle speranze dei
moderati, fu una guerra ―dall'esterno‖, quella del 1866, che costrinse l‘Austria ad abbandonare il
Veneto, la Terza Guerra d‘Indipendenza nel ‘66, inseguito alla quale il Veneto diventò italiano e
venne sciolta la Confederazione Germanica del 1815, così che l‘Austria perse ogni influenza in
Germania a vantaggio della Prussia . Il quattro Agosto 1866 furono compiute azioni di ricatto sulla
popolazione, come risulta da una lapide posta sotto il loggiato in piazza IV Novembre ad opera
dell‘esercito austriaco.
Mentre infatti si aspettava che la guerra fosse realmente finita, nel Comune dì Minerbe, come del
resto anche ad Albaredo e a \/olpino (frazione del Comune di Arcole) gli Austriaci sfogarono il loro
livore anti italiano minacciando di incendiare il paese ed estorcendo somme notevoli di danaro,
accusando la popolazione di inesistenti trame; si diceva che alcuni abitanti di Minerbe avevano
promosso rumorose manifestazioni contro il presidio austriaco, agitando per la strada alcune
bandiere tricolori. I suddetti Comuni restavano oltre la linea di demarcazione, in altre parole erano
ancora in mano dell‘Austria. Il confine correva sul fiume Fratta che ancor oggi fa da confine, per
lungo tratto, tra le Province di Padova e Verona. Di quest‘ignobile comportamento è memoria in
una lapide murata nel vecchio palazzo municipale, ora ―La Loggia‖ del paese in Piazza IV
Novembre.
Ecco il testo della scritta:
I SOLDATI DELL‟AUSTRIA
CON MlNACCE DI FUOCO E DI MORTE
NEL IV AGOSTO MDCCCLXVI (1866)
VOLLERO ED EBBERO IN SOLE DUE ORE
DA QUESTO INERME COMUNE
LA SOMMA DI DUE MILLE FIORINI
A PUNIRLO
DEI NON CELATI PATRIOTTICI ASPIRI
DURI LA MEMORIA DEL FATTO COLL‟ODIO
A OGNI DOMINAZIONE STRANIERA
IV AGOSTO MDCCCLXVII.(1867)
―A pace sottoscritta non risulta sia stato richiesto all‘autore di questa sopruso di render conto del
suo gesto. Duce mila fiorini corrispondevano allora a 4938 lire italiane. La paga di un giornaliero
di campagna, all‘epoca cui si riferiscono i fatti, era di quaranta centesimi di lire italiane al giorno.
Per mettere insieme questa somma doveva lavorare quasi trentaquattro anni senza riposarsi mai un
giorno‖. (Prof. Giuseppe Battaglia).
Nel collegio elettorale di Legnago, il 21 Ottobre 1866 si tenne un plebisito al quale parteciparono
anche i Minerbesi aventi diritto al voto; essi votarono per l‘annessione al regno d‘Italia e
furono poi sempre riconoscenti verso il re e gli eroi dell‘Unità d‘Italia. Ciò è attestato anche dalle
due lapidi poste in Sala Civica nel palazzo ―La Loggia‖, in Piazza IV Novembre.
La prima è intitolata a Giuseppe Garibaldi e così dice: ―A PERENNE INCITAMENTO
DELLE FORTI VIRTU‟ CHE FANNO GRANDE LA PATRIA
E AFFRATELLANO
L‟UMANITA‟
IL NOME DI
GIUSEPPE GARIBALDI
COMPENDIO DI OGNI
ECCELSO IDEALE
QUI SCRISSERO I CITTADINI MINERBESI “
A. 1883
La seconda dice:
A.1888 PER LE PUBBLICHE LIBERTA‟
LEALMENTE MANTENUTE PER IL DOMINIO
DEGLI AVI E PER LA VITA CIMENTATI CONTRO LO STRANIERO A SALUTE DELLA
PATRIA VITTORIO EMANUELE II
MERITO‟ DI CINGERE LA CORONA D‟ITALIA
RIVENDICATA A NAZIONE SALUTANDOLO IL POPOLO RE LIBERATORE
IL
COMUNE DI MINERBE
IN MEMORIA ED ESEMPIO GLORIOSO
QUESTO RICORDO
CONSACRO‟
Ci fu quindi l‘Unità anche per noi, e l'agognata unione di questo regno fu la realizzazione del sogno
di molti. La situazione della nostra gente era però precaria e ad aggravarla c‘erano fame e malattie;
già nel 1856 c‘era stata un‘epidemia di colera che aveva colpito Minerbe, causando una vera e
propria strage. La mortalità infantile era alta, ben il 48% da zero a sei anni e il 25% dai quindici ai
quarantacinque anni. Le guerre di espansione coloniale, la prima guerra d‘Africa nel 1885-‘89 e la
seconda guerra d‘Africa1895-1896, nate anche sullo stimolo della spartizione dell‘Africa da parte
dei Paesi europei, non risolsero il problema della miseria, del banditismo ( di cui, già dal 1809
abbiamo precise notizie tanto che alcuni minerbesi figurano nell‘‖elenco d‘individui che furono
capi od ebbero parte nel brigantaggio provenienti dalla commissione militare di Legnago per
relativo arresto‖ - G. Battaglia, ―E li chiamavano briganti‖ pag, 43-) e della disoccupazione e molti,
anche dei nostri concittadini, cominciarono ad emigrare soprattutto nelle Americhe.
―A quanto detto si aggiunga il flagello di alcune malattie endemiche fra cui la malaria e la pellagra
o mal della rosa. Quest‘ultima si manifestava con piaghe e pustole e colpiva specialmente i bambini
e gli adolescenti, alterando il loro sistema nervoso fino allo squilibrio mentale, che diventava poi
vera e propria pazzia, difatti fra il 1850 e il 1865 nei manicomi delle zone più pellagrose (il
Polesine, il Mantovano, il Ferrarese, il Basso Veronese) un terzo dei ricoverati era affetto da
pellagra; di tale malattia la maggior intensità si ebbe in due epoche: la prima dal 1885 al 1895 circa
e la seconda dal 1895 al 1914. Delle penose condizioni di vita di quel mondo contadino troviamo
traccia in molti scritti e racconti. I nostri vecchi ci raccontano che l‘unico luogo per ripararsi dal
freddo nelle lunghe sere invernali era la stalla, col suo vapore caldo, fetido, denso, pesante. Le case
erano spesso costruite solo con fango e canna, avevano piccole finestre mal chiuse, solai infestati di
topi, muri umidi. Il mais divenne l‘ingrediente base della povera gente. Nelle antiche, dolorose
piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche ormai dimenticate, troviamo perciò
anche l‘emigrazione. Molti per non morire di fame o per far campare la loro famiglia dovettero
migrare fin dagli ultimi decenni di fine ‘800., ma anche nella prima metà del ‗900. In questo
contesto di fine e inizio secolo, però, le famiglie della borghesia, che erano uscite dalla mediocrità
grazie al lavoro, all‘intelligenza, all‘impegno, erano salite nella scala sociale in ricchezza e in
potenza, legandosi con altre pari e scavalcando talvolta le vecchie famiglie aristocratiche, poco
inclini all‘impegno diretto nella conduzione delle terre e piuttosto orientate a vivere di rendita. Esse
cominciavano anche a capire che potevano essere in grado di assumere in prima persona la
conduzione politica del paese. Della nostra storia e delle condizioni della nostra Bassa ci parla bene
Dino Coltro il quale riporta storie , proverbi, leggende che si stanno perdendo. Egli ci conserva quel
parlar per proverbi, il parlar Adesante, il parlar dei bacani, e il latinorum, rielaborato in vernacolo
dal popolino così da non perderne il significato. Nunc et in hora mortis: nar in catinora!. Morire,
per l'appunto. Amen. Tutto morto, tutto scomparso: el versor assieme ai bò che zupiava nel campo, i
traghetti sull‘Adige, il cuco, le kalendre e la Luna. Tutto affogato nel naufragio di una cultura
Adesso però che il parlar per proverbi è stato sostituito dal parlar per acronimi (MIBTEL, BOT,
CCT, NASDAQ, ...), di cui, ora come una volta, non se ne capisce il significato, impariamo da
Dino che co' canta el cuco che da far dapartuto, che ogni erba che varda in su g‘à la so virtù,
conosciamo che cos‘era la batisessola (lucciola), che l‘omo par la parola e el musso par la caessa,
che sasso che rugola no fa mus—cio. Osservando le kalendre che va in su e quele che va in zò, il
contadino poteva trarre previsioni sulla prossima annata agraria. Previsioni che poi sarebbero state
confermate dalla seola del 25 Gennaio, giorno di San Paolo dei Segni. Il pulsare della vita contadina
era scandito dalle Quarantie, periodi di quaranta giorni, contraddistinti dalle varie attività (la
semina, la mietitura ...), dai setoni (sette giorni) e dalle sincuine, a cui sovrintendeva dall‘alto la
Luna, e non il Sole. Cultura di vita, quindi, non di guerra preventiva. Luna a cui i contadini non
avevano bisogno di chiedere che cosa mai facesse "in ciel". Cosi a Sant'Ana el rondon se slontana,
"...e la rugiada di San Giovanni guariva dalla scabbia e dai malanni della pelle; le donne che si
bagnavano le loro parti intime acquistavano bellezza e fertilità ..." (pag. 289 di "Santi e Contadini").
Allegato n° 1
DA ―Cronache‖ Archivio parrocchiale. Don Sante Gaiardoni, parroco a Minerbe dal 1907 al 1925
!915
Don Sante Gaiardoni (parroco di Minerbe dal 1907 al 1925) nel 1916 così annota nelle sue
cronache:―Non rimasero a casa per la coltivazione dei campi che donne, pochi vecchi e fanciulli.
La produzione andò di anno in anno diminuendo in guisa che fu ridotta ad una metà - molti campi
rimasero anche incolti – fu seminata la polenta, le bietole e poi ……………… I prezzi di ogni
genere crebbero in una maniera spaventosa : eccone alcuni come saggio:
Prezzi 1920
Prezzi 1921
Il latte L. 0,75 il litro
L.
0.80
L. 1.00
Un uovo L. 0,80
―
0.35
―
0.40-0.80
La polenta in farina 55 lire il quintale
―
65.― 130.Lo zucchero non raffinato L. 4.50 il Kg.
―
5.60
―
6.50
Il caffè 10 Lire il Kg.
― 22.― 24.
Il lardo 9 lire al Kg.
― 14.―
10 L‘olio L. 5.50 il Kg.
― 14 .―
10.- 6
La legna L. 15 il ….
― 20.―
15 – 25
La carne L. 8 il Kg.
― 10.―
12 - 8-10
Un paio di scarpe L. 60 ― 80.―
70.- 80
Un paio di buoi anche Lire 12.000
― .- ― 6000.Le candele L. 12 il Kg.
― 10.―
10.- 13 =
Immagini …………….quanta economia e quanta ristrettezza di vivere: tanto più che d‘ogni cosa
sempre si trova difetto, dovendo tutto acquistare con la tessera dal consorzio per mezzo dello
sgravio comunale –
Questo caro-viveri è sentito specialmente da quelle classi che non hanno avuto nessun aumento di
rendita, né compenso di sorta: tali sono specialmente i ……..-Poiché tanto gli impiegati governativi
come i comunali hanno avuto l‘aumento per il caro viveri Così i contadini e gli operai hanno
accresciuto di molto la loro mercede = Lire 6 – 8- 10- 12 al giorno ………..
della stagione dei lavori - Per il clero tutto stazionario, ma questo è il meno – basterebbe che ora
finalmente cessasse l ‗orribile flagello della guerra ! – (…)
Provviste per la Chiesa parr.le
Dopo la riforma dell‘ufficio e della liturgia delle messe, per la quale nella più parte delle
domeniche si deve usare l‘ufficiatura propria della domenica fu necessario provvedere paramenti di
color verde e violaceo - Quindi negli anni 1914 - 1915 – 16 furono acquistati :
Un paramento verde completo a ramaggi gialli : ( di questo fu consegnata la stoffa e poi eseguito
dalle RR Suore locali ( di Ronco) – e costò Lire circa 300. =
Un paramento bianco, a tinte antiche bellino, ma leggero e costò Lire 300 –
Un piviale verde a fiori di diverse tinte L. 80 –
Un piviale …………… d‘oro per Lire 90 –
Due pianete con ramaggi intessuti nella stoffa, una verde e l‘altra violacea per Lire 40 l‘una –
L‘altar maggiore aveva dei candelieri troppo piccoli, pensai per la minore spesa di farne 6 di nuovi
grandi con quattro porta......... e si rinfrescasse gli altri e passarli nei gradini inferiori.
E‘ questo il solo apparato che ora ha l‘altar maggiore : la spesa totale fu di L. 275 =
Feci innovare pure il paramento festivo per l‘altar dell‘ Addolorata che costò L. novanta –
Nel 1915 comperai anche 4 palme di porcellana per l‘altar maggiore –
I coniugi Melchiori Eugenio e Lonardi Adele donarono nel 1909 alla Chiesa l‘ostensorio grande
d‘argento del valore di L. 900 –
Minerbe 15/10 1916
Anno 1917
Il giorno 26 maggio di quest‘anno alle ore 22 cadde una grandine così fitta che in pochi minuti
distrusse i raccolti tanto promettenti - L‘uva specialmente ed il frumento andarono totalmente
rovinati, le
assicurazioni pagarono i colpiti fino a cento su cento.
Però la plaga devastata fu ristretta = da campeggio al ponte delle Colombare e al ponte dei Pomi, o
Cà Rossa.
1918
Anche nel 1918 fummo bersagliati dalla grandine : essa cadde così violenta la sera de 12 luglio che
devastò e distrusse il granoturco e l‘uva interamente, il frumento era già in crosette - Dii uva non
restò neppure traccia e del granoturco non se ne fece in certi campi che un quintale e mezzo.
Il vento impetuoso abbatté il camino della Fabbrica Laterizi dei Sig.ri Giacomelli, circa un venti
metri sfondò il coperto e schiacciò due poveri soldati che dormivano ai piè del camino.
Minerbe, 30 ottobre 1918
A questo punto noterò qualche cosa dell‘orribile guerra che da quattro anni infuria in tutta l‘Europa
e si estese anche nell‘Asia, nell‘America e nell‘Africa e semina strage, rovina e morte in una
impresa così Lagrimevole che di simile non fu mai veduta, né si vedrà giammai sulla faccia della
terra, e ― tu fin che il sole risplenderà‖ sulle sciagure umane ! –
Cominciando dal 1914 furono chiamate sotto le armi tutte le classi a poco a poco, fin che nel 1915
si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 42 anni nel 17 furono chiamati anche quelli di 43 e
44 . ( 26 classi eccettuati i ciechi gli zoppi i gobbi in tutti 5.250.000 uomini.
Minerbe, 5 novembre 1918
Ieri mattina arrivò la notizia che i nostri soldati sono entrati in Trento e Trieste ed hanno esposto
la bandiera italiana nella torre del castello di ambedue le città liberate.
Appena avuta la notizia feci esporre la bandiera sul campanile e suonare le campane.
Ieri lo stesso, 4 Nov., verso le sette arrivò l‘altra notizia che alle 13 fu messo in esecuzione
l‘armistizio con l‘Austria, cessando da quest‘ora ogni ostilità per terra, per mare ed in aria.
Se la notizia mi fosse stata comunicata avrei tosto dato avviso di suonare le campane, invece io
andai a letto senza saperlo. Alla mezzanotte alcuni patrioti! di Minerbe in parte imboscati, in parte
scarti!, presi non da patriottismo ma da alcolismo, ruppero la serratura del campanile e continuarono
a suonare le campane da pazzi fino alle 2.30 dopo mezzanotte, con grande disturbo di tutto il paese
e facendo piangere specialmente le 48 madri e spose che hanno perduto il figlio od il marito.
Ed avrebbero continuato fino alla mattina se alle 2.30 non fossi disceso io a mandarli a casa.
…………. poi i medesimi patrioti (Il ……………………., …, ed altri giovinastri, aprirono la
porta del campanile coi grimaldelli e cominciarono a suonare. Al mio apparire se la svignarono a
casa, poi con urla e ………… e bestemmie ed insulti al parroco insistevano e mandai a chiamare il
sindaco !, il quale mi pregò di concedere un paio di suonate. Entrarono col detto permesso nel
campanile, ma poi invece di vere suonate, continuarono fino a mezzanotte ! …. Tutto per il buon
ordine e per patrioti alcolizzati !, Vedremo stasera che cosa avverrà, dopo che ne avrò dato avviso al
brigadiere- io ho fatto suonare quanto era conveniente e durante il giorno: essi volevano di notte
recando immenso dolore alle povere vedove e madri dei caduti.
10 Novembre 1918
Questa mattina dietro invito dell‘arciprete intervennero alla Messa ultima e al canto del Te Deum
tutte le autorità civili, militari e società con le loro bandiere. Fu raccolta un‘offerta per i fratelli
delle terre liberate che fruttò L. 152.50, spedita al Comitato di Verona.
Feci suonare in concerto le campane, la sera, la mattina alle 10 ½ e al Te Deum.
11 Nov. 1918
Anche questa mattina ricorrendo il Natalizio del Re intervennero alle ore 20 al Te Deum le
Autorità comunali , i RR Cavalieri, l‘asilo infantile ecc.
12 Nov.
Alle ore 6 fu firmato l‘Armistizio anche con la Germania e alle 11 cessarono le ostilità su tutte le
fronti ! e .. Deo Gratias!‖
In queste note sopra riportate e nel puntualizzare nel registro dei morti l‘elenco dei caduti anno per
anno, Don Sante Gaiardoni ,l‘allora parroco di Minerbe, fa trasparire i suoi stati d‘animo che hanno
coinvolto pure gli abitanti del paese.
Complessivamente in provincia di Verona, dal 1915 al 1920 i morti furono 6970, mentre in quelle
di Padova, Verona e Rovigo, furono 19430. nel veronese nel 1915 caddero al fronte 870 soldati; nel
1916, 1670; nel 1917, 1883; nel 1919, 2303. Nel 1919, a guerra finita vi furono altri 179 decessi in
conseguenza di ferite o malattie contratte in guerra.. Don Sante Gaiardoni nel 1921 fece porre nella
piccola arcata sinistra di fianco all‘altare di Sant‘Antonio le due lapidi a ricordo dei caduti . inoltre
sulla porta laterale all‘ingresso principale della chiesa di Santo Stefano vi è stata posta un‘altra
lapide a ricordo di Bonazzo Angele, Galantin Lionello, Nalin Marino.
Don Sante Gaiardoni annotò che, a cominciare dal 1914, a poco a poco furono chiamate alle armi
tutte le classi, finchè, nel 1917, si trovarono arruolati tutti gli uomini dai 18 ai 43 anni. L‘elenco dei
soldati morti del Comune di Minerbe è lungo, ben 58 sono gli eroi riportati nella lapide del
monumento in piazza. Anche nella frazione di San Zenone sono elencati altri caduti in una lapide
posta al lato della Scuola Materna, confermati poi dal monumento ai Caduti presente in piazza Aldo
Moro
Allegato n° 2
Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Sante Gaiardoni
Allegato n° 3
Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Carlo Pacega, parroco dal 1925 al 1948
Minerbe –Archivio Parrocchiale - Dal Diario: “Memorie” di Don Carlo Pacega, parroco dal 1925 al 1948
25 Luglio 1943- Alle ore 10 e ¾ della sera (ora legale) il Giornale Radio annuncia le Dimissioni del Cav.
Benito Mussolini da Capo del Governo, accettate da S. Maestà il Re, e la sostituzione con il Maresciallo
d’Italia Badoglio.
Dopo vent’anni è rotta la cappa di piombo del fascismo che toglieva il respiro e che à coinvolto alla guerra,
alla rovina d’Italia.
Speriamo in una pronta e definitiva pace e restaurazione della povera nostra nazione.
26 Luglio 1943- Grande entusiasmo in tutte le città e in tutti i paesi. Però i partiti estremi incominciano
approfittare per la loro propaganda. Crescono le colluttazioni … una guerra civile. Il Capo del Governo
Badoglio à decretato lo stato d’assedio in tutta l’Italia e il coprifuoco.
27 luglio 1943- Grandinata = Dopo l’Ave Maria della sera un grande temporale si è scatenato con un vento
impetuoso a mo’ di uragano. La tempesta e il vento ànno scoperchiato case, rovinato vigneti. Qui in
Canonica i danni non sono lievi. L’uva pestata, un camino rovesciato e quello che è peggio la vecchia mura,
con porta d’uscita sulla via principale, per dieci metri e più precipitata al suolo.
Luglio 1944
Il movimento partigiano antifascista e antitedesco si accentua dappertutto e serpeggia anche nel nostro
paese. Il nostro Curato don Giuseppe Sandri partecipa a delle riunioni segrete con altre persone.
Nella notte dall’ 8 al 9 luglio il sacrista Giuseppe Zuccari viene a bussare alla porta della Canonica: il Curato
è in pericolo, deve fuggire subito; le brigate nere stanno per venire ad arrestarlo. Sono le tre di notte: il
Curato fugge passando dalle Vallette ed attraversando i campi di Bertoldi e Chiavegato.
Spadroneggiano qui alle Basse le brigate nere al comando di Valerio Valeri (che venne fucilato dopo la
liberazione) con sede a Legnago prima, ad Angiari poi e dove avvennero delle sevizie e mostruosità a carico
di giovani sbandati (compreso anche il Curato di Carpi don Maestrello) – Qui a Minerbe spadroneggia
Vedovello.
Agosto 1944
Verso la metà del mese i fascisti fanno un rastrellamento e deportano in Germania alcuni giovani di
Villaraspa ed Anson.
24 agosto sera: arriva il nuovo Curato don Bruno Tuzza di Tregnago, uno dei sacerdoti novelli
ordinati quest‘anno.
25 agosto pomeriggio: ore 16 : 4 caccia alleati mitragliano nella stazione 28 vagoni di petrolio; se
ne salvano 7 od otto soltanto: un incendio indescrivibile, un nube nera enorme.
S. Natale 1944
Mentre stiamo preparandoci per i Vespri, ore 15, improvvisamente alcuni aerei alleati sganciano
alcune bombe presso la stazione ed in vari posti vicini. Grande spavento. Nessuna vittima.
La canonica da parecchi mesi è occupata: una stanza da due sergenti tedeschi; tutte le sale del
catechismo adibite a magazzino; la stalla per ricovero del bestiame razziato – per un po‘ di tempo
anche la sala a pianterreno (quella da pranzo a sud) – Qualche soldato tedesco (ingenerale cattolico
e anziano) è gentile; gli altri non smentiscono la propria fama.
1945
Marzo : una sera il Parroco accompagnato dal sig. Curato deve recarsi al comando locale tedesco:
molta deferenza – domandano la collaborazione (ora che l‘acqua è alla gola ! ) – però non si
smentiscono: stanno preparando la controffensiva !!!
28 marzo: il sig. Curato corre ad assistere un soldato tedesco uccisosi per caso (o suicidato?)
maneggiando il fucile : era un austriaco cattolico.
I mitragliamenti e bombardamenti sono più frequenti, giorno e notte; non si è più tranquilli.
22 aprile: un disastro nella contrada Ronchi, all‘ultima casa prima di arrivare sull‘asfalto: un
cacciabombardiere americano sgancia alcune bombe incendiarie che colpiscono un pagliaio sotto il
quale c‘era un rifugio anti-schegge: il fuoco invade il rifugio: le tre persone che erano dentro
fuggono tra le fiamme: sono torce viventi. Il sig. Curato corre ad assisterle: due muoiono poco dopo
(una vecchia e una ragazza di 35 anni: Maistrello) – uno, Marchesini Arduino di 24 anni muore
nella notte all‘Ospedale di Cologna Veneta per le ustioni riportate.
Notte tormentata.
23 aprile: caccia-bombardieri sganciano sulla ferrovia colpendo il binario al passaggio a livello di S.
Croce.
Notte orribile: bombe,bengala, razzi, mitragliamento, apparecchi a bassa quota.
24 aprile : è certa ormai la disfatta tedesca : passano a frotte : tedeschi in fuga, laceri, affamati;
rubano le biciclette (anche a don Adriano Faccioli cappellano di Anson) –
L‘amministrazione comunale ha chiuso i battenti. Carabinieri non ce ne sono – il paese sembra un
cimitero – porte tutte chiuse – soltanto il Curato gira per vedere un po‘ ch cosa succede.
Notte infernale.
25 aprile : circolano voci che gli Americani sono presso Legnago – si sente il cannone – gli aerei
non hanno un momento di tregua.
26 aprile : giornata d‘inferno – siamo certi della disfatta dei tedeschi – Passano a frotte o isolati
spingendo qualche carretto a mano sul quale sono caricati gli zaini e accompagnati (lo notiamo per
la storia da tante disgraziate donne e ragazze italiane che ora pagano il fio della loro disonestà. Le
granate passano fischiando sopra il paese e cadono a S. Zenone e Bevilacqua. Corre voce che gli
inglesi siano a qualche chilometro.
Durante la notte dall‘alto del campanile il sig. Curato vigila tutte le mosse. Le granate cadono anche
nel paese. Una contrada è colpita in pieno : Pastoroni. In un rifrugio scavato nel terreno vengono
uccise due persone : un vecchio di 72 anni (Rizzi) e la figlia nubile. Vengono distrutte anche
parecchie case.
27 aprile : dies albo signanda lapillo (Albo signanda lapillo dies è una locuzione latina. Alla lettera
significa "giorno da contrassegnare con un sassolino bianco", rappresenta quindi un giorno da
ricordare a causa di un lieto, memorabile evento).– 1945 arrivano gli Americani: una colonna
interminabile – è la V^ Armata americana. Il paese è in festa – le campane suonano a distesa. Deo
gratias.
Anche nel pomeriggio continua il passaggio dell‘esercito americano: potenti carri armati fan
tremare la terra..
Si forma il comitato di liberazione per la tutela del paese – e cominciano a comparire … i partiti !
Giunge la dolorosa notizia che 4 giovani (di cui uno sposato) nella giornata sono stati uccisi dai
tedeschi in ritirata.
7 maggio 1945 : ore 16.30 giunge la notizia:
la Germania ha capitolato !
In Europa la guerra è finita
Deo Gratias !
24 ottobre 1945 . Visita di S. Ecc. Rev.mo Mons. Girolamo Cardinale nostro Vescovo per la
Cresima in parrocchia.
novembre 1945 : saggio di pittura nell‘abside della Chiesa – due quadri a fianco di S.Lorenzo – a
sinistra: l‘angelo dell‘annunciazione, a destra la Madonna. E‘ un lavoro mal riuscito; tanto che più
tardi dovette essere cancellato d‘ordine della commissione delle belle arti di Verona.
11 novembre . viene ampliata la sala del teatro parrocchiale (quella dell‘Asilo) e inaugurata con una
recita della nostra filodrammatica : ―Nel Vortice‖1946
10 – 20 Gennaio – Ss. Missioni predicate da due Padri Redentoristi –
24 marzo 1946 : Elezioni dell‘Amministrazione Comunale –Nonostante la propaganda nostra, la
baruffa del sig. Curato in teatro Scarmagnan con un oratore del partito d‘Azione, ecc. – abbiamo
perduto. Vince la maggioranza social-comunista.
7 aprile – I nostri giovani di Azione Cattolica partecipano al convegno diocesano .
2 giugno 1946 Elezioni politiche .
Questa volta la spuntiamo pur di stretta misura. La nostra disgrazia è sempre (come nelle
precedenti) la contrada di Anson (dove qualche sera fa il sig. Curato è stato sassato con alcuni
ragazzi, mentre era in giro di propaganda) – Però con l‘aiuto di S. Zenone vinciamo con uno scarto
di 23 voti.