L`idea che un giorno le persone con disabilità motorie

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Chi siamo
neuroingegneria
Penso, dunque
mi muovo
L’idea che un giorno le persone con disabilità motorie possano
controllare i propri arti solo con il pensiero non è più fantascienza
el 2014 miliardi di
spettatori in tutto il
mondo potrebbero ricordare la
partita di apertura dei mondiali di calcio in Brasile per qualcosa di più importante dei
goal segnati dalla nazionale brasiliana e i cartellini rossi degli avversari. Quel giorno
il mio laboratorio della Duke
University, specializzato nello
sviluppo di tecnologie che permettano di controllare arti robotici con impulsi cerebrali, ha
in programma di mettere una
pietra miliare nella lotta alla
paralisi. Se riusciremo a vincere sfide ancora formidabili,
il calcio di inizio della partita
che aprirà i mondiali potrebbe essere dato da un o un’adolescente con paralisi, che passeggerà sul
campo con una tuta robotica, insieme alle due squadre.
La tuta – o esoscheletro, come lo chiamiamo noi – avvolgerà le gambe dell’adolescente. I suoi primi passi sul terreno di
gioco saranno controllati da segnali motori
originati nel cervello e trasmessi senza fili
a un’unità grande come un portatile collocata in uno zainetto sulle spalle. Il computer avrà il compito di tradurre i segnali cerebrali in comandi motori digitali, in modo
54 Le Scienze
che l’esoscheletro, dopo aver stabilizzato il
corpo dell’adolescente, possa indurre nelle
gambe meccaniche i movimenti coordinati di una camminata sul manto erboso. Poi,
avvicinandosi alla palla, l’adolescente immaginerà di calciarla; 300 millisecondi dopo i suoi impulsi cerebrali ordineranno ai
piedi meccanici dell’esoscheletro di dare un
bel calcio in puro stile brasiliano al pallone, proiettandolo in alto.
Questa dimostrazione scientifica di una
nuova tecnologia, sviluppata con collaboratori in Europa e in Brasile, comunicherà a
miliardi di spettatori un’idea rivoluzionaria:
il controllo cerebrale delle macchine è uscito dai laboratori dimostrativi e dalle speculazioni futuristiche, ed è entrato in un’era
in cui strumenti in grado di mobilizzare pazienti incapacitati da lesioni o malattie potrebbero diventare realtà. Siamo sulla buona strada, forse entro i prossimi dieci anni,
per tecnologie che colleghino il cervello a
dispositivi meccanici, elettronici o virtuali.
Questo sviluppo ristabilirà le funzionalità motorie non solo in vittime di incidenti
e di guerra, ma anche in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica, Parkinson e altre
malattie che danneggiano le funzionalità
motorie, impedendo l’uso degli arti o della
parola. Questi dispositivi neuroprostetici, o
interfacce cervello-macchina, permetteranno agli scienziati di fare molto di più che
aiutare i disabili. Permetteranno di esplo-
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Kemp Remillard
di Miguel A. L. Nicolelis
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Le Scienze 55
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Macchine del pensiero
In breve
Con le onde cerebrali è possibile
controllare il funzionamento del cursore di un
computer, di braccia meccaniche e, presto,
di una tuta particolare: un esoscheletro che
permetterà ai paraplegici di camminare e,
probabilmente, muoversi con leggerezza.
La capacità di inviare segnali dalla
superficie della corteccia per far muovere un
esoscheletro rappresenta lo stato dell’arte di
numerose tecnologie bioelettriche messe a
punto negli ultimi anni.
La Coppa del Mondo di calcio del 2014
in Brasile sarà il terreno di prova per un
esoscheletro controllato dal cervello se,
come ci si aspetta, un disabile adolescente
darà il calcio di inizio alla cerimonia di
apertura.
56 Le Scienze
La tuta robotica pensata per il nostro
calciatore è ancora in fase di sviluppo. Attualmente però è in costruzione un prototipo nel laboratorio del mio grande amico
e collaboratore Gordon Cheng, della Technische Universität di Monaco di Baviera,
uno dei fondatori di Walk Again Project,
collaborazione internazionale no profit di
cui fanno parte anche il Center for Neruroengineering della Duke University, il Politecnico di Losanna e l’Instituto Internacional de Neurociências de Natal «Edmond e
Lily Safra», in Brasile. Altri membri, fra cui
importanti centri di ricerca e università, si
uniranno al progetto nei prossimi mesi.
Il progetto si basa su circa vent’anni di
lavoro pioneristico della Duke University
sulle interfacce cervello-macchina, una linea di ricerca inaugurata da studi degli anni sessanta, quando per la prima volta gli
scienziati cercarono di entrare nel cervello di animali per verificare se un impulso
neurale poteva essere trasmesso a un computer che poi avrebbe ordinato l’esecuzione di un movimento a un dispositivo meccanico. Dagli anni novanta fino al primo
decennio di questo secolo, con i miei colleghi della Duke abbiamo ideato e sviluppato un metodo con cui impiantare centinaia di sensori flessibili e sottili come capelli,
noti come microcavi, nel cervello di topi e
scimmie. Negli ultimi vent’anni abbiamo
dimostrato che, una volta impiantati, questi sensori rilevano minimi segnali elettrici, o potenziali d’azione, generati da centinaia di singoli neuroni distribuiti lungo la
corteccia frontale e parietale degli animali,
regioni che definiscono l’esteso circuito cerebrale responsabile della generazione dei
movimenti volontari.
Per dieci anni questa interfaccia ha usato segnali provenienti dal cervello per
muovere braccia, mani e gambe robotiche
in esperimenti su animali. L’anno scorso
abbiamo raggiunto un traguardo importante: due scimmie del nostro laboratorio
hanno imparato a esercitare un controllo
neurale sui movimenti di un braccio virtuale che toccava oggetti in un mondo virtuale e che indirizzava un feedback tattile artificiale direttamente al cervello delle
scimmie. Il programma adottato ci permetteva di addestrare gli animali a sentire che
cosa si prova a toccare un oggetto con dita virtuali controllate direttamente dal loro cervello.
Il consorzio Walk Again – assistito
dal suo gruppo internazionale di neuro­
scienziati, esperti di robotica, informatici,
neurochirurghi e professionisti della riabilitazione – ha cominciato a sfruttare i risultati di queste ricerche sugli animali, mirate
a creare un nuova modalità di riabilitazione
di pazienti gravemente paralizzati, nell’impiego delle interfacce cervello-macchina
con cui restituire piena mobilità al corpo.
Il nostro futuro cerimoniere muoverà i primi passi in un’avanzatissima camera di realtà virtuale, la Cave Automatic Virtual Environment, un ambiente in cui ogni parete,
compresi soffitto e pavimento, è usata come
schermo di proiezione.
Indossando occhiali 3-D e una specie di
cuffia che rileverà in modo non invasivo le
sue onde cerebrali mediante elettroencefalografia e magnetoencefalografia, il nostro
candidato – un adolescente di corporatura necessariamente leggera, in questa prima sperimentazione – si troverà immerso in
un ambiente virtuale. Il giovane imparerà a
controllare con la sola forza del pensiero i
movimenti del corpo di un avatar virtuale.
I gesti indotti nell’avatar aumenteranno via
via di complessità fino a movimenti di motricità fine, come camminare su un terreno
irregolare o svitare il coperchio di un barattolo virtuale di marmellata.
Collegamento con i neuroni
I movimenti meccanici di un esoscheletro non possono essere gestiti agevolmente come accade invece per i movimenti di
un avatar virtuale, quindi tecnologia e addestramento saranno più complicati. Per
manovrare gli arti robotici sarà necessario impiantare gli elettrodi direttamente nel
cervello. Non solo dovremo collocarli nel
cervello sotto la scatola cranica, ma dovremo anche aumentare il numero di neuroni corticali da «leggere» simultaneamente. Molti sensori saranno impiantati sulla
corteccia motoria, regione del lobo frontale associata più strettamente con la generazione del programma motorio normalmente in arrivo dalla spina dorsale, da cui
i neuroni controllano e coordinano diretta-
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Science & Society Picture Library (gamba artificiale); Corbis (Paré e ufficiale statunitense)
Miguel A. L. Nicolelis, pioniere
nel campo della neuroprostetica,
è professore di neuroscienze
alla Duke School of Medicine
e co-direttore del Duke University
Center for Neuroengineering.
rare il mondo in modi rivoluzionari, potenziando le capacità sensoriali e motorie anche delle persone sane.
In questo scenario futuristico, le onde
cerebrali volontarie – l’alfabeto biologico
alla base del pensiero umano – potranno
pilotare piccoli e grandi robot in remoto,
controllare velivoli a distanza e forse addirittura permetteranno di condividere pensieri e sensazioni tra persone in quella che
diventerà una grande rete collettiva su base cerebrale.
mente il lavoro dei muscoli. (Alcuni neuroscienziati ritengono che questa interazione
fra mente e muscoli possa essere raggiunta con un metodo non invasivo di registrazione dell’attività cerebrale come l’elettroencefalogramma, ma è un obiettivo ancora
non realizzato dal punto di vista pratico.)
Gary Lehew, del mio gruppo alla Duke,
ha messo a punto un nuovo tipo di sensore di forma cubica che una volta impiantato raccoglie segnali da un volume tridimensionale della corteccia. Diversamente
dai sensori cerebrali precedenti, realizzati
con schiere piatte di microelettrodi in grado di registrare i segnali elettrici dalle punte, il cubo di Lehew estende i suoi microcavi sensibili in alto, in basso e di lato per
tutta la lunghezza di un asse centrale.
Nella versione attuale, questi cubi contengono fino a 1000 microcavi attivi. Dato che ciascun microcavo può registrare da
quattro a sei neuroni, ogni cubo può catturare l’attività elettrica di 4000-6000 neuroni. Ipotizzando di impiantarne un numero considerevole nella corteccia frontale e
in quella parietale – aree responsabili del
controllo di alto livello del movimento e
della pianificazione – potremo registrare l’attività di decine di migliaia di neuroni
simultaneamente. In questo modo, secondo i calcoli del nostro programma, potremo
controllare la flessibilità di movimento necessaria al funzionamento di un esoscheletro con due gambe e restituire un’autonomia locomotoria ai pazienti.
Per gestire la valanga di dati proveniente da questi sensori stiamo anche procedendo nella costruzione di una nuova generazione di chip neuronali personalizzati.
Impiantati nel cranio con i microelettrodi,
questi chip estrarranno dal cervello i comandi motori grezzi necessari a manovrare
un esoscheletro del corpo intero.
Naturalmente i segnali rilevati dal cervello dovranno poi essere trasmessi agli arti protesici. Di recente Tim Hanson, nostro
Ph.D. alla Duke, ha costruito un sistema di
registrazione senza fili a 128 canali equipaggiato con chip e sensori che può coprire il cranio e trasmettere la registrazione
delle onde cerebrali a un ricevitore remoto.
La prima versione di questi neurochip è attualmente testata con successo sulle scimmie. In effetti, di recente abbiamo osservato la prima scimmia usare con continuità
un’interfaccia cervello-macchina sfruttando una trasmissione senza fili dei segnali
cerebrali. A luglio abbiamo chiesto al governo brasiliano di poter sperimentare la
stessa tecnologia sugli esseri umani.
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cronologia
La lunga strada delle protesi
controllate dal cervello
Gli arti sostitutivi esistono da millenni, e sono la risposta razionale alla necessità di affrontare ferite
di guerra, traumi di vario tipo o difetti congeniti. Oggi le tecnologie sono così sofisticate che un arto
artificiale può essere controllato da segnali elettrici provenienti direttamente dal cervello.
1500-1000 a.C.
Primo riferimento storico
Un testo sacro induista di questo periodo cita
Vishpala, alla quale era stata amputata una gamba
ferita in battaglia. L’arto era stato sostituito con una
gamba di ferro che le permetteva nuovamente di
camminare e tornare dalle sue truppe.
IV secolo a.C.
Antico artefatto
Uno dei più antichi arti artificiali scoperti, di cui
mostriamo una copia, è stato trovato nel 1858 in
Italia meridionale. Fatto di rame e legno, è stato
fabbricato nel 300 a.C. per l’amputazione, sembra,
della parte sotto il ginocchio di una gamba.
XIV secolo
Fucili e amputazioni
L’arrivo della polvere da sparo sui fronti di guerra
europei amplifica enormemente il numero di ferite in
battaglia. In risposta alla drammatica situazione, nel
XVI secolo Ambroise Paré, chirurgo di numerosi
re di Francia, sviluppa particolari tecniche per
attaccare arti superiori e inferiori ai pazienti e
reintroduce l’uso delle legatura delle arterie.
1861-1865
Guerra civile americana
Fra i soldati della guerra di secessione si hanno
parecchie amputazioni. Una vittima è il Generale
di brigata Stephen Joseph McGroarty, che
perde un braccio. In questo periodo, grazie alla
disponibilità di fondi governativi e di anestetici che
permettono di allungare il tempo delle operazioni, la
tecnologia delle protesi compie importanti progressi.
1963 Una primitiva
interfaccia cerebrale
José Manuel Rodriguez Delgado impianta un
elettrodo radiocomandato nel nucleo caudato del
cervello di un toro e ferma la corsa dell’animale
premendo un pulsante di un trasmettitore remoto;
il dispositivo è un predecessore delle attuali
interfacce cervello-macchina.
1969 I primi esperimenti
Eberhard Fetz dell’Università di Washington effettua
uno studio in cui scimmie sono addestrate ad
attivare un segnale elettrico nel loro cervello per
controllare l’attività di un singolo neurone,
debitamente registrata da un microelettrodo
metallico.
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Anni ottanta
Ascolto delle onde cerebrali
Apostolos Georgopoulos, della Johns Hopkins University,
scopre uno schema di attivazione elettrica nei neuroni
motori dei macachi rhesus che emerge quando gli animali
ruotano le braccia in una particolare direzione.
Primi anni novanta
Attacco per neuroni
John Chapin, ora alla SUNY Downstate University, e
Miguel Nicolelis introducono una tecnica che permette
la registrazione simultanea dell’attività di decine di
neuroni ampiamente distribuiti con elettrodi impiantati
in modo permanente, preparando il terreno per le
successive ricerche sulle interfacce cervello-macchina.
1997
Nuovi progressi
Arriva C-Leg, protesi per il ginocchio controllata
da microprocessori, che nella versione attuale permette di
attivare impostazioni personalizzate per eseguire attività
come andare in bicicletta.
1999-2000 Buon feedback
Chapin e Nicolelis pubblicano la prima descrizione di
un’interfaccia cervello-macchina, azionata dall’attività
cerebrale di ratti, con cui gli animali percepiscono il
movimento attraverso un segnale visivo di feedback.
L’anno successivo il laboratorio di Nicolelis pubblica i
risultati del primo esperimento effettuato con una
scimmia in grado di controllare i movimenti di un
braccio robotizzato usando solo l’attività del cervello.
2008-2011
Blade Runner
Dopo aver cercato senza successo di qualificarsi
per le Olimpiadi del 2008 in Cina, Oscar Pistorius
trionfa alle Paralimpiadi, sempre del 2008, e in seguito,
nel 2011, si qualifica per le semifinali dei 400 metri ai
Campionati del mondo di atletica leggera a Daegu, in
Corea del Sud.
2011
La scimmia pensa, l’avatar agisce
Il gruppo di Nicolelis, del Duke University Center for
Neuroengineering, dimostra che una scimmia può usare il
pensiero per controllare i movimenti di un avatar.
2012 Dal mio cervello
al mio braccio robot
John Donoghue della Brown University mostra con il
suo sistema di interfaccia neurale
Braingate che un soggetto con impianto cerebrale
può manovrare un braccio robotico per prendersi da
bere.
2014 Un fantascientifico
calcio di inizio
L’obiettivo del laboratorio di Nicolelis è costruire un
esoscheletro per un adolescente disabile, in modo che il
giovane possa dare il calcio di inizio alla cerimonia
inaugurale del Campionato del mondo di calcio che si terrà
in Brasile.
58 Le Scienze
Nel nostro futuro giocatore di calcio i
dati raccolti dai dispositivi di registrazione saranno inoltrati senza fili a un computer portatile collocato in uno zainetto sulle spalle. Numerosi processori eseguiranno
algoritmi che tradurranno segnali motori
in comandi digitali in grado di controllare parti mobili, o attuatori, distribuiti sulle articolazioni della tuta robotica, elementi
hardware che calibreranno la posizione degli arti artificiali dell’esoscheletro.
di controllo in Brasile, Europa e Stati Uniti. Pur con tutte le incertezze che implica, e
il breve tempo che manca alla prima dimostrazione pubblica, la semplice idea di raggiungere questa pietra miliare ha galvanizzato l’interesse della società brasiliana nei
confronti della scienza in un modo raramente visto prima.
Controllo remoto
Potere della forza cerebrale
Grazie a questi comandi, la persona
che indossa l’esoscheletro sarà in grado di
muovere prima un passo, poi un altro, rallentare o accelerare, chinarsi in avanti o
salire una scala. Alcune regolazioni di livello inferiore che riguardano la posizione dell’hardware prostetico saranno gestite
direttamente dai circuiti elettromeccanici dell’esoscheletro, senza input neuronale.
Questo «abito» robotico, simile a una tuta
spaziale, rimarrà flessibile pur fornendo un
supporto strutturale alla persona che lo indossa: sarà il surrogato della colonna vertebrale. La nostra speranza è che il giorno
fatidico l’interfaccia cervello-macchina saprà «condurre» letteralmente il nostro giocatore sul campo, sfruttando al massimo
l’interazione fra i segnali di controllo prodotti dal cervello e i riflessi elettronici forniti dagli attuatori.
Il giovane non solo si muoverà, ma
percepirà anche il terreno sotto i piedi. L’esoscheletro riprodurrà una specie di
sensazione tattile e di equilibrio tramite microscopici sensori che rileveranno la quantità di forza di un particolare movimento e
ritrasmetteranno l’informazione dalla tuta
al cervello. Il calciatore dovrebbe essere in
grado di percepire che la punta del piede è
entrata in contatto con la palla.
La nostra decennale esperienza con le
interfacce cervello-macchina suggerisce
che non appena il calciatore interagirà con
l’esoscheletro il cervello comincerà a considerare l’organismo robotico come una reale estensione della sua immagine corporea.
Con qualche allenamento, l’esperienza accumulata dalla continua sensazione di contatto con il terreno e con la posizione delle gambe robotiche dovrebbe permettere un
movimento con fluidità di passi sul campo
o su un qualsiasi marciapiede. Ogni fase di
questo progetto richiede una continua e rigorosa sperimentazione sugli animali prima
di iniziare con gli esseri umani. Ogni procedura inoltre esige un’approvazione dal punto di vista etico e scientifico fornita da enti
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Cortesia Otto Bock Healthcare (gamba artificiale); Andrew Medichini/AP Photo (Pistorius);
cortesia Miguel A. L. Nicolelis (avatar scimmia); cortesia braingate2.org (BrainGate)
cronologia
Il calcio d’inizio della cerimonia ufficiale ai mondiali del Brasile – o, se per qualche ragione dovessimo mancare questo appuntamento, un evento simile ai giochi
olimpici e paralimpici del 2016 a Rio de Janeiro – sarà molto di più che la trovata di
un solo giorno. Un’indicazione di che cosa potrebbe essere realizzabile con questa
tecnologia arriva da un esperimento in due
fasi già effettuato sulle scimmie.
Facciamo un passo indietro. Nel 2007 il
nostro gruppo alla Duke ha addestrato alcuni macachi rhesus a camminare in posizione eretta su un tapis roulant mentre
un apparecchio registrava l’attività elettrica simultanea di oltre 200 neuroni corticali.
Nel frattempo Gordon Cheng, all’epoca agli
ATR Intelligent Robotics and Communication Laboratories di Kyoto, aveva elaborato
un protocollo Internet particolarmente veloce che ci aveva permesso di inviare questo flusso di dati neuronali direttamente a
Kyoto, dove alimentava i regolatori elettronici di un robot umanoide chiamato CB1.
Nella prima fase di questo esperimento
transcontinentale, con Cheng e il mio gruppo alla Duke abbiamo dimostrato che gli
stessi algoritmi sviluppati in precedenza
per tradurre i pensieri in comandi con cui
pilotare braccia robotiche potevano anche
convertire le sequenze di attività neuronale
coinvolte nella locomozione bipede e far
camminare due gambe meccaniche.
La seconda parte dell’esperimento è stata ancora più sorprendente. Mentre una
delle nostre scimmiette, Idoya, camminava
su un tapis roulant a Durham, in North Carolina, la nostra interfaccia cervello-macchina trasmetteva un flusso costante della
sua attività elettrica cerebrale a Kyoto attraverso la connessione Internet di Cheng.
Lì il robot CB1 riceveva questi comandi motori e iniziava a camminare. All’inizio CB1 ha avuto bisogno di aiuto, ma negli esperimenti successivi il robot aveva
iniziato a muoversi autonomamente in risposta ai comandi cerebrali generati dalla
scimmia dall’altra parte del globo.
Ma c’è di più. Quando alla Duke il tapis roulant si fermava e Idoya smetteva di
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camminare, la scimmia manteneva il controllo sui movimenti delle gambe di CB1 a
Kyoto semplicemente osservandolo in diretta su un monitor e immaginando di
compiere ogni singolo passo. Idoya continuava a produrre l’attività cerebrale richieste per far camminare CB1 anche quando il
suo corpo non era più impegnato nel compito motorio. Questo esperimento trans­
continentale di un’interfaccia cervellomacchina dimostrava che era possibile, per
una scimmia o un essere umano, andare
oltre spazio, forza e tempo liberando i comandi cerebrali dai limiti fisici imposti dal
corpo biologico che ospita il cervello e trasmettendoli a dispositivi lontani dal pensiero originario che ha generato l’azione.
Questi esperimenti implicano che le interfacce cervello-macchina consentono di
manovrare robot in ambienti in cui gli esseri umani non potranno mai entrare: con
la sola forza del pensiero diventerebbe possibile pilotare uno strumento microchirurgico nel nostro organismo, per esempio, o
dirigere le azioni di un androide per riparare i danni in un impianto nucleare.
L’interfaccia inoltre potrebbe controllare strumenti capaci di esercitare forze molto più intense o molto più deboli rispetto
a quelle che può esercitare il nostro corpo. Collegando il cervello di una scimmia
a un robot umanoide sono già stati infranti i vincoli del tempo: un viaggio mentale
di Idoya intorno al mondo dura 20 millisecondi, assai meno di quanto è richiesto per
muovere un arto.
Oltre a ispirare visioni futuristiche, il lavoro effettuato con le scimmie ci rende fiduciosi sul fatto che il nostro obiettivo potrebbe essere a portata di mano. Mentre
scrivo questo articolo stiamo ancora aspettando di sapere se la FIFA, incaricata di
organizzare la cerimonia, sosterrà la nostra proposta di far partecipare un giovane adulto paraplegico all’evento inaugurale della Coppa del mondo 2014. Il governo
brasiliano, che è ancora in attesa dell’adesione della FIFA, ha provvisoriamente sostenuto la nostra richiesta.
Le difficoltà burocratiche e le incertezze
scientifiche che ancora ostacolano la nostra impresa non sono poche. Ma non posso smettere di immaginare che cosa proveranno 3 miliardi di spettatori nel vedere
un giovane brasiliano paralizzato alzarsi in
piedi, camminare di nuovo con la sola forza di volontà e, infine, colpire il pallone segnando un indimenticabile gol nel nome
della scienza, proprio nel paese maestro di
questo bellissimo gioco.
n
p e r a pp r o f o n d i r e
Controllare i robot con il pensiero. Nicolelis M.A.L.
e Chapin J.K., in «Le Scienze» n. 411, novembre 2002.
Cortical Control of a Prosthetic Arm for Self
Feeding. Velliste M. e altri, in «Nature», Vol. 453,
pp. 1098-1101, 19 giugno 2008.
Beyond Boundaries: The New Neuroscience of
Connecting Brains with Machines–and How It Will
Change Our Lives. Nicolelis M., St. Martin’s Griffin,
2012.
Le Scienze 59