79° Congresso Nazionale SCIVAC: Molto è cambiato in oncologia

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Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con
sistema qualità certificato ISO 9001:2008
ATTI CONGRESSUALI
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79° CONGRESSO NAZIONALE
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA
SOCIETÀ FEDERATA ANMVI
MOLTO È CAMBIATO IN
ONCOLOGIA VETERINARIA…
VEDIAMO DI FARE IL PUNTO
12/14 LUGLIO 2013 - PALERMO
Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con
sistema qualità certificato ISO 9001:2008
ATTI CONGRESSUALI
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COMITATO SCIENTIFICO
CONGRESSUALE
PAOLO BURACCO
Med Vet, Dipl ECVS, Torino
DIRETTORE SCIENTIFICO
FULVIO STANGA
Med Vet, Cremona
COORDINATORE CONGRESSUALE
MONICA VILLA
Tel. +39 0372 403504
E-mail: [email protected]
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SEGRETERIA MARKETING
FRANCESCA MANFREDI
Tel. +39 0372 403538
E-mail: [email protected]
LAURA MARCONATO
Med Vet, Dipl ECVIM CA (Oncology), Bologna
CHAIRMAN
ERNESTO TURLÀ
Med Vet, Ragusa
20-06-2013
SEGRETERIA ISCRIZIONI
PAOLA GAMBAROTTI
Tel. +39 0372 403508
Fax +39 0372 403512
E-mail: [email protected]
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
Soc. Cons. a r.l.
Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2008
EV - Eventi Veterinari
Via Trecchi, 20 - 26100 CREMONA (Italia)
Società Federata ANMVI
Ringrazia lo Sponsor per il sostegno dato all’evento
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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RELATORI
FRANCESCA ABRAMO
Med Vet, Pisa
Si è laureata in Medicina Veterinaria a
pieni voti presso l’Università degli Studi
di Pisa nel 1986. Dal giugno 1988 fino
a Dicembre 1989 è stata “Assistentin
Professor” presso la Facoltà di Medicina Veterinaria
dell’Università di Berna (Svizzera). È attualmente Professore Associato presso il Dipartimento di Patologia
Animale della Facoltà di Medicina di Pisa e docente
di patologia generale comparata. I principali settori
di attività sono la diagnostica dermatopatologica e
oncologica; presso il Dipartimento è responsabile del
Servizio di Diagnostica Dermatopatologica. Ha partecipato ed è stata relatrice a numerosi congressi nazionali ed internazionali su argomenti di patologia (in
particolare dermatopatologia) ed è autrice di oltre
100 articoli scientifici pubblicati su riviste nazionali e
internazionali di accertato impatto scientifico e di un
libro di dermatologia edito dalla UTET. È Presidente
della SIDEV e responsabile del Gruppo di Studio di
Dermatopatologia.
PAOLO BURACCO
Med Vet, Dipl ECVS, Torino
Prof. ordinario, Clinica Chir Vet (Facoltà
Med. Vet. Torino). Visiting Assistant Professor presso Vet Med School (Purdue
University, Indiana, 1987-88, borsa AIRC).
Svolti ulteriori trainings in oncologia (6 mesi) presso
Vet Med School (Fort Collins, Colorado, e Raleigh,
North Carolina). Diplomato nel 1998 al Collegio Europeo dei Chirurghi Vet (ECVS), piccoli animali.
Membro dell’Examination Committee ECVS (2005-8)
e, nel 2007, Chair del Committe. Membro di Vet Cancer Soc (VCS), Soc Ital Chir Vet (SICV) e Europ Soc
Vet Oncol (ESVONC). Nel 2007-10 presidente Soc It
Onc Vet (SIONCOV). Dal 2006 membro onorario
della VSSO (Vet Soc Surgical Oncology). Relatore in
convegni nazionali e internazionali; autore di oltre
220 articoli su riviste italiane ed estere, comprese le
comunicazioni congressuali, e di capitoli di libri, anche in lingua inglese, su chirurgia oncologica e oncologia clinica.
SIMONA CANCEDDA
Med Vet, Bologna
Laureata con lode presso la Facoltà di
Medicina Veterinaria di Sassari nel 2006.
Dopo aver praticato in una clinica privata, svolge nel 2007-2008 un tirocinio teorico-pratico presso la Clinica Veterinaria dell’Orologio,
Sasso Marconi (BO). Nel 2010 consegue il Diploma di
Master di II° livello in Oncologia Veterinaria presso la
Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. Nel Luglio
2010 consegue una borsa di ricerca SPINNER (Regione Emilia-Romagna) in collaborazione con il Centro
Oncologico Veterinario finalizzata allo studio di un protocollo combinato di radioterapia e anticox-2 nel trattamento dei tumori nasali del cane. Ha trascorso periodi
di formazione in radioterapia in Italia presso l’Ospedale S. Orsola (BO) e all’estero presso l’AOI Center
di Huenenberg (CH) e l’Università degli studi di Zurigo.
Dal 2009 ad oggi collabora presso il Centro Oncologico Veterinario di Sasso Marconi (BO) occupandosi
esclusivamente di oncologia e radioterapia (gestione
dei pazienti sottoposti a radioterapia e pianificazione
dei trattamenti radioterapici). Ha partecipato a numerosi congressi nazionali ed internazionali e ad incontri di
società specialistiche, presentando posters e abstracts, e
pubblicato lavori scientifici in riviste nazionali ed internazionali. Attualmente svolge un Dottorato di ricerca
presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna.
LAURA MARCONATO
Med Vet, Dipl ECVIM CA (Oncology),
Bologna
Laureata a Milano. Dopo la laurea lavora a Philadelphia (USA) presso il Veterinary Oncology Service and Research
Center, occupandosi di oncologia medica. Nel 20012003 è fellow visitor a UPenn (Dip. Pat. Vet). Nel 20032009 lavora a Napoli. Nel 2003-2004 è professore a
contratto presso l’Università di Napoli Federico II. Nel
2007-2009 è docente al Master di Oncologia (UNIPI).
Nel 2007-2009 è professore a contratto presso UNIBO. Nel 2008 consegue il diploma del College Europeo di Medicina Interna - Oncologia. Nel 2009-2011
collabora con Animal Oncology and Imaging Center,
Hunenberg, CH. Attualmente lavora al Centro di Oncologia di Sasso Marconi (BO). È stata relatrice a diversi
seminari, congressi e corsi di oncologia. È autrice di
vari testi (Poletto editore) e di numerosi articoli. Fonda
la SIONCOV e dal 2011 ne è Presidente.
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PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 12 LUGLIO 2013
13.45
14.30
14.45
15.30
16.15
16.45
17.30
18.15
18.30
Registrazione dei partecipanti e verifica presenze
Saluto ai partecipanti, presentazione dei relatori ed inizio lavori
Dalla presentazione del caso alla pianificazione del trattamento: il percorso a tappe
della stadiazione clinica - Laura Marconato
… nel percorso di stadiazione scattiamo qualche foto: l’importanza dell’imaging - Simona Cancedda
Pausa caffè
Diamo un nome all’alieno: la biopsia, come prelevarla e cosa chiedere al patologo - Francesca Abramo
… e ora che sappiamo chi è e quanto è esteso … definiamo la prognosi! L’utilità dei c.d. oncomarkers
Francesca Abramo
Discussione
Termine della giornata
SABATO 13 LUGLIO 2013
09.00
10.00
10.45
11.15
12.00
12.45
13.00
14.30
15.15
16.00
16.45
17.30
18.15
18.30
… la chirurgia, se possibile, cura più di ogni altro trattamento.
Vediamo come: i margini di escissione e il trattamento multimodale - Paolo Buracco
Pianifichiamo il trattamento: radioterapia, quando e perchè - Simona Cancedda
Pausa caffè
Pianifichiamo il trattamento: chemioterapia, quando e perché - Laura Marconato
Cosa c’è di nuovo per il linfoma nel cane? - Laura Marconato
Discussione
Pausa pranzo
Cosa fare per il linfoma del gatto? - Laura Marconato
Tumori cutanei: per molti di loro sapere prima di cosa si tratta ti dice come operarli
(compreso mastocitoma) - Paolo Buracco
Pausa caffè
Neoplasie ossee: tumori che mettono ansia - Paolo Buracco
Tumori mammari: anche se sono sempre i più comuni, impariamo a conoscerli meglio
Laura Marconato
Discussione
Termine della giornata
DOMENICA 14 LUGLIO 2013
09.00
10.00
10.45
11.15
12.15
13.00
13.30
La sfida continua: i tumori dell’urinario - Paolo Buracco
… e quando i tumori sono endocavitari? (torace, fegato, milza) - Paolo Buracco
Pausa caffè
… qual’è l’approccio terapeutico più corretto per i tumori intestinali e perianali? - Paolo Buracco
Tumori difficili: quelli di origine istiocitaria. Conoscere il nemico per combatterlo meglio
Francesca Abramo e Laura Marconato
Discussione
Termine del congresso
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ESTRATTI
DELLE RELAZIONI
Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori
che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.
Gli estratti sono elencati in ordine cronologico di presentazione.
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Francesca Abramo
Med Vet, Pisa
Diamo un nome all’alieno:
la biopsia, come prelevarla e
cosa chiedere al patologo
Venerdì, 12 luglio 2013, ore 16.45
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Con il termine biopsia si identifica il prelievo (asportazione) di un campione di tessuto da analizzare attraverso l’esame microscopico ai fini diagnostici e/o prognostici. Il prelievo può essere eseguito su lesioni superficiali, su lesioni poste in cavità viscerali mediante endoscopia, su lesioni profonde mediante agobiopsia (biopsia a cielo coperto ecoguidata) o approccio chirurgico
(biopsia a cielo scoperto). Una biopsia si definisce incisionale quando si preleva un campione più piccolo rispetto alla lesione che si vuole analizzare e si
definisce escissionale quando si preleva in toto la lesione che si vuole esaminare. La prima viene effettuata solitamente tramite punch, la seconda, quasi
sempre, tramite bisturi.
In oncologia la biopsia incisionale viene eseguita fondamentalmente per
ottenere una diagnosi specifica di malattia neoplastica (istotipo tumorale)
quando gli esami precedenti (esame clinico, esami mediante diagnostica per
immagine, esame citologico) non sono stati conclusivi. La biopsia escissionale viene invece eseguita quando, raggiunta una diagnosi clinica, sia necessaria la conferma istopatologica e/o sia necessario aggiungere alcuni parametri
prognostici da poter utilizzare per la terapia e/o sia necessario fare una valutazione dei margini di asportazione. Il referto istopatologico ha un ruolo chiave in entrambi i casi nel definire la diagnosi e la prognosi, e nella decisione
terapeutica o gestione del caso.
Le indicazioni riportate in questa relazione seguono le linee guida pubblicate nel 2011 su Veterinary Pathology da una commissione di patologi ed oncologi veterinari sulla corretta gestione di un campione oncologico per quanto riguarda l’invio, l’allestimento dei campioni istopatologici, la valutazione
dei margini e la refertazione.
INVIO DEL CAMPIONE
La validità del referto oncologico dipende dalle informazioni inviate dal
clinico (riportate in scheda, verbalmente, invio di immagini) e dalla qualità
del campione spedito. La parte finale di allestimento del campione e il suo invio al laboratorio di istopatologia costituiscono fasi importanti per l’ottimizzazione del risultato finale.
Il campione deve essere fissato immediatamente (assolutamente entro i 30
minuti) in formalina tamponata. Gli artefatti possono essere presenti anche
dopo soli 10 minuti. La formalina del commercio è una soluzione al 40% (la
forma pura non esiste allo stato liquido) e per un corretto uso deve essere diluita 1:10 in soluzione fisiologica (la concentrazione finale è quindi in realtà
al 4 e non al 10% anche se comunemente viene indicata come formalina al
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10%). In commercio è disponibile la formalina tamponata al 10% già pronta
all’uso. Il volume totale del fissativo deve essere almeno 10 volte superiore al
volume del campione. Secondo le norme IATA il materiale va spedito dentro
un contenitore a norma, con doppia chiusura ermetica a pressione con tappo
e con secondo tappo a vite, in materiale plastico resistente non fragile, moderatamente elastico, antirottura. Questo contenitore va quindi inserito in una
busta di plastica resistente a chiusura ermetica e in un terzo contenitore di cartone con polistirolo.
Si ottiene così il “triplo imballo”. L’oncologo può anche procedere direttamente in ambulatorio alla fissazione (almeno per 24-48h) ed inviare il pezzo già fissato, privato del liquido, in doppia busta ermetica. Questo metodo è
sconsigliabile per campioni di dimensioni inferiori a 1 cm. In presenza di
biopsie multiple il clinico deve assolutamente contrassegnare le biopsie o inserirle in contenitori diversi.
I campioni devono essere corredati di una scheda anamnestica di accompagnamento compilata accuratamente e riportante: nome del veterinario curante, nome del proprietario, segnalamento, caratteristiche specifiche della lesione (sito anatomico, data di riscontro, tipo di crescita), segni clinici associati, tipologia di lesione (nuova, recidiva), risultati di precedenti indagini (radiografie, RM, TAC, citologia) ed eventuali terapie effettuate. L’oncologo dovrà
anche necessariamente segnalare se si tratta di biopsia incisionale o escissionale e, nel secondo caso, indicare l’eventuale necessità della valutazione dei
margini contrassegnando gli stessi sulla scheda.
VALUTAZIONE DEI MARGINI
L’asportazione chirurgica è uno degli approcci terapeutici alla malattia
neoplastica, è indicata per neoplasie a basso potenziale metastatico ed elevata probabilità di recidiva locale e in alcuni casi può essere considerata risolutiva. Il primo intervento ha maggiore possibilità di essere risolutivo rispetto
ad un eventuale secondo intervento in quanto: a)i tessuti non trattati hanno
avuto meno tempo a disposizione per dare metastasi b) anatomia non alterata
per manipolazioni precedenti c) assenza di reazione cicatriziale d) nel secondo intervento possibile disseminazione a piani tissutali prima non coinvolti.
Per questi motivi l’asportazione chirurgica deve essere completa.
La causa più comune di fallimento di un intervento chirurgico è infatti una
escissione incompleta.
La completezza dell’escissione chirurgica di una neoplasia dipende soprattutto dall’inavsività del tumore; con questo termine si intende l’abilità delle
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cellule di insinuarsi nei tessuti limitrofi con zaffi, propaggini o cordoni. Tale
atteggiamento è molto evidente nei sarcomi con cordoni cellulari che decorrono lungo i setti, i vasi o i nervi; le propaggini originano lesioni satelliti che
ampliandosi confluiscono e danno luogo a masse multilobulate; macroscopicamente si vede la massa ma non la propaggine che, se permane in situ, darà
luogo a recidiva.
Per recidiva si intende la produzione in situ del tumore a partire da cellule ad esso appartenenti che sono rimaste nel tessuto d’origine. Le recidive
hanno spesso carattere più aggressivo della neoplasia primaria; più la neoplasia è infiltrante maggiore è la probabilità di dare recidiva, poiché più difficile è l’escissione completa.
Il metodo di valutazione oggettivo della completezza dell’escissione chirurgica è l’osservazione istologica del margine. La definizione di “margine”
in oncologia è oggetto di grande discussione. L’estensione del margine varia
in base al tipo di tessuto coinvolto: i tessuti poco vascolarizzati, come tendini, legamenti, cartilagine sono resistenti all’invasione neoplastica mentre i
tessuti più vascolarizzati come il tessuto sottocutaneo, il muscolo, i parenchimi in generali sono soggetti più facilmente all’invasione. Ne consegue che i
margini posso avere dimensioni diverse.
Il margine è creato dal chirurgo e osservato dal patologo, è necessario pertanto che le due figure professionali interloquiscano in modo soddisfacente.
Il patologo deve essere al corrente del tipo di resezione effettuata dal chirurgo:
Intralesionale → asportazione di parte della massa attraverso la sua capsula
(si effettua generalmente per il curettage di neoplasie ossee benigne e per
prelievo bioptico);
Marginale → asportazione della massa con la sua capsula (per neoplasie benigne);
Ampia → quando oltre alla massa viene asportato un margine di tessuto normale sia ai lati che in profondità;
Radicale → quando si rimuovono sia la massa che l’intero compartimento organico interessato (amputazione).
Uno dei concetti fondamentali di margine è che il chirurgo lo valuta macroscopicamente e il patologo microscopicamente, il chirurgo non può quindi essere conscio della presenza o meno di massa neoplastica residua nello
spessore del margine mentre il patologo vede anche singole cellule nello spessore del margine: ecco perché, soprattutto nei tumori infiltranti (mastocitoma,
schwannoma, miopericitoma) il margine chirurgico deve essere ampio.
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Il chirurgo ha una migliore percezione spaziale del campione in quanto lo
vede nella sua sede anatomica, il patologo percepisce meno l’esatta localizzazione del tumore in quanto questo è staccato da ogni riferimento anatomico e risulta non palpabile per l’indurimento conseguente alla fissazione; l’osservazione istopatologica di un campione avviene inoltre dopo che questo ha
subito un complesso iter di processazione che include: prelievo del campione che deve essere inserito in cassettine di plastica delle dimensioni di circa
0,5x3x2,5cm (e quindi deve essere ridotto di dimensione), disidratazione,
chiarificazione, inclusione in paraffina, taglio e colorazione.
Altro concetto di rilevanza nella valutazione dei margini è che spesso è il
chirurgo a definire quale dei margini di un tumore escisso debba essere valutato per la presenza di eventuali cellule residue e pertanto deve segnalarlo al
patologo. È quindi compito del chirurgo segnalare in dettaglio i limiti anatomici del pezzo asportato e la definizione dei limiti anatomici dipende dalla sede di asportazione:
tronco → craniale, caudale, laterali dx e sx (se era sulla linea mediale), laterale, mediale, ventrale
arti → prossimale, distale, laterale, mediale, ventrale
cavità orale → orale, aborale, labiale, ventrale
La segnalazione del margine da parte del chirurgo può essere eseguita con
diverse modalità e le più comunemente usate sono:
a) apposizione di fili di sutura singoli o multipli (es: 1 filo di sutura=margine
craniale; 2 fili di sutura=margine caudale; 3 fili di sutura= margine mediale ecc). Considerare che i fili devono essere abbastanza lunghi da essere riconosciuti dal patologo durante le fasi di sezionamento, spesso, soprattutto nei campioni con margini costituiti da pannicolo, i fili vengono inglobati nel grasso (più opaco e indurito in seguito a fissazione) e risultano difficilmente visibili. Talvolta sono usati fili di colore diverso che però dopo
fissazione “sbiadiscono” e pertanto non possono essere considerati indicativi per il riconoscimento dei diversi margini.
b) utilizzo di marcatori colorati, tale metodo è considerato come il più pratico e utile
La colorazione dei margini deve essere eseguita mediante colori che segnano in modo indelebile i tessuti in modo tale che il patologo possa riconoscerli dopo che il pezzo è stato fissato in formalina.
Il colore deve essere applicato facendo attenzione che si colorino solo i
margini che devono essere valutati e non tutta la superficie della massa (si potrebbero creare margini falsamente positivi).
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Sullo stesso campione può essere utilizzato un unico colore o più di un colorante (sistema multicolore), è necessario in questo caso che il chirurgo effettui una adeguata descrizione o disegni una mappa con l’esatto orientamento della massa.
Le qualità del colorante devono essere molteplici: facile reperibilità, economico, non tossico, che si asciuga facilmente, poco diffusibile, visibile anche microscopicamente, non asportabile durante la processazione, essere indelebile. I coloranti utilizzati sono numerosi e comprendono oltre a kit commerciali anche l’inchiostro di china (con vari colori), pigmenti per artisti in
acetone, fluido correttore,
Alcian blu, gelatine colorate e i semplici colori acrilici che resistono bene
alla processazione.
Orientamento del pezzo
Per migliorare l’accuratezza della valutazione di un margine (non marcato o
marcato) sono state nel tempo elaborate metodiche di orientamento del campione. In medicina veterinaria le tecniche di orientamento del pezzo sono ancora
scarsamente utilizzate in quanto complesse e codificate solo di recente.
I margini chirurgici di una neoplasia cutanea possono essere valutati dalla
combinazione dei tre principali tipi di sezionamento: verticale o perpendicolare, orizzontale o parallelo, obliquo.
Le principali combinazioni sono la:
→ cross sectioning: valutazione di sezioni verticali perpendicolari alla superficie cutanea della massa; la neoplasia viene sezionata prima lungo l’asse
minore e poi lungo l’asse maggiore di ogni emisezione. Lo svantaggio del
metodo è che si assume che la crescita sia espansiva e simmetrica e che solo una piccola porzione dei margini viene valutata (<10%).
→ metodo Breadloaf: valutazione di sezioni parallele e verticali alla massa
per tutta la lunghezza del campione. Il metodo prevede l’allestimento di
numerose sezioni ed è costoso.
→ metodo cross-Breadloaf: valutazione di sezioni parallele verticali alla massa e sezioni longitudinali
→ metodo periferico: sezioni periferiche verticali in vicinanza dei margini e
paralleli a questi
→ tecnica Mohs: valutazione di sezioni periferiche oblique con cui si valutano contemporaneamente il margine laterale e profondo
Le diverse tecniche, singole o combinate, vengono usate a seconda dell’estensione della massa da esaminare e della sua conformazione.
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Refertazione dei margini
La refertazione del patologo dovrà comprendere la valutazione dei “margini”. La terminologia del patologo sui margini non è codificata e i termini
più utilizzati sono:
→ positivo o sporco o coinvolto:
- quando le cellule neoplastiche sono in corrispondenza del margine
→ negativo o pulito o libero:
- quando le cellule non sono sul margine
Se le cellule neoplastiche non sono sul margine ma comunque in prossimità di esso la definizione di “margine” diventa molto ambigua. La terminologia si personalizza e ogni patologo esprime un parere che spesso è soggettivo (es. margine libero ma le cellule sono in stretta prossimità, margine libero ma sottile, margine libero ma con aggregati cellulari nelle vicinanze).
A tale proposito esistono solo scarse segnalazioni in letteratura, alcuni autori suggeriscono di considerare un margine ancora positivo o sporco o coinvolto quando le cellule neoplastiche sono a meno di 1 mm di distanza (stima
quantitativa: la metà di un campo a 10x è circa 1 mm), viceversa il margine è
definito negativo, pulito o libero.
Con un margine positivo o sporco o coinvolto è possibile che si verifichi
una recidiva e più accurato è l’esame del margine, più attendibile sarà la prognosi. L’assenza di recidive in caso di margine sporco nel mastocitoma sottocutaneo viene interpretata in base alla teoria della nicchia delle stem cell.
Al contrario, con un margine negativo o pulito o libero, non si può con sicurezza affermare che l’escissione sia stata completa per i seguenti principali motivi:
- non è possibile tecnicamente esaminare per intero i margini di una massa
(per massa di 6x6x6cm ci vorrebbero 54 sezioni)
- in alcune neoplasie l’invasività è determinata da piccole lesioni satelliti
che possono non avere stretta contiguità con la massa primaria
VALUTAZIONE MICROSCOPICA E REFERTAZIONE
La standardizzazione della refertazione è scaturita dalla necessità dell’oncologo clinico di reperire in un referto istopatologico tutti i dati prognostici
necessari al fine della gestione ottimale di un paziente oncologico. Il recepimento delle linee guida per la refertazione pubblicate su Veterinary Pathology nel 2011 renderà sicuramente più facile ed immediata la comunicazione tra
i diversi laboratori di patologia ma soprattutto tra oncologi e patologi. La pri-
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ma componente di un referto riguarda i dati anagrafici del laboratorio, della
clinica referente, del proprietario e il segnalamento dell’animale oltre alla data di ricevimento del campione e ad un breve riassunto dell’anamnesi e della
tipologia di lesione. L’esame microscopico deve essere preceduto da una descrizione macroscopica del campione e di eventuali metodologie applicate
dopo la fissazione (es: demineralizzazione, postfissazione in alcool).
La descrizione standardizzata dall’AFIP prevede la descrizione a piccolo ingrandimento con indicazione precisa della sede anatomica, forma, dimensioni,
capsula, demarcazione, margini, modello di crescita per quanto riguarda l’organizzazione cellulare (tipo embriogenetico della neoplasia) e le caratteristiche dello stroma, e le caratteristiche citologiche (cellule, citoplasma, nucleo). Seguono
l’indicazione del numero di mitosi (per HPF) e il grading. Nel referto verranno
anche indicati evidenze di malignità (necrosi, emorragie, emboli), lesioni addizionali, tipi di colorazione speciale istochimica o immunoistochimica utilizzata
con i rispettivi risultati e infine una diagnosi morfologica o una diagnosi di neoplasia (tipo di tumore, sottotipo, grado). Il referto può essere corredato di un
commento (non obbligatorio ma fortemente consigliato anche per suggerire ulteriori indagini diagnostiche) e riporta la firma del responsabile.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Abide JM, Nahai F, Bennet RG. The meaning of surgical margins. Plastic and Reconstructive
Surgery 1984, 73: 492-197.
Gould E, Robinson PG. The pathologist’s examination of the “lumpectomy” – the pathologists’ view of surgical margin. Seminars in Surgical Oncology 1992, 8:129-135.
Dernell W, Withrow SJ. Preoperative patient planning and margin evaluation. Clinical techniques in Small Animal Practice 1998, 13:17-21.
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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Francesca Abramo
Med Vet, Pisa
… e ora che sappiamo chi è
e quanto è esteso
… definiamo la prognosi!
L’utilità dei c.d. oncomarkers
Venerdì, 12 luglio 2013, ore 17.30
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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Gli oncomarkers vengono sempre più frequentemente utilizzati per la gestione del paziente oncologico. Il termine è stato coniato per indicare alcune
sostanze rilasciate da un tumore o da un tessuto in seguito alla formazione di
una neoplasia e che, se rilevate in un paziente, possono rappresentare un indice precoce di trasformazione neoplastica in corso. Con il passare degli anni il termine ha assunto significati più ampi e viene utilizzato in ambito clinico ma anche in patologia diagnostica. In questa relazione i diversi oncomarkers saranno suddivisi in base alla loro definizione e utilità:
a) oncomarkers come termine pd: spiegato nel paragrafo precedente (utilizzato dai clinici)
b) oncomarkers come fattori prognostici (individuato dai patologi e di utilizzo per la clinica)
c) oncomarkers come fattori predittivi (individuato dai patologi e di utilizzo
per la clinica)
d) oncomarkers come fattori per individuare le linee tumorali (utilizzato dai
patologi per la classificazione dei tumori poco differenziati)
I termini oncomarker prognostico e predittivo sono stati spesso utilizzati
in modo inappropriato, in realtà hanno significati diversi. L’oncomarker prognostico dà informazioni sull’evoluzione della malattia oncologica in un soggetto non trattato. Al contrario l’oncomarker predittivo è un marker che può
essere utilizzato per identificare una sottopopolazione di individui che possono beneficiare di una certa terapia. Quindi in questi pazienti si può instaurare
una terapia che possa essere il più efficace possibile (es:biomarkers predittivi
sono i recettori per estrogeni e progesterone per stabilire una terapia endocrina nel cancro della mammella, recettore cKit per stabilire una terapia con inibitori delle tirosin-chinasi per il mastocitoma e i GIST). Nella seguente relazione saranno trattati solo alcuni dei principali oncomarkers di cui sopra.
a) Non sarà argomento di questa trattazione
b) Oncomarkers come fattori prognostici
Negli ultimi anni sempre più sesso si fa riferimento a determinati oncomarkers per individuare particolari neoplasie o sottogruppi di neoplasie per le
quali con il solo ausilio dell’istopatologia non è possibile stabilirne il comportamento biologico (probabilità di recidiva, di metastasi, tempo di sopravvivenza, tempo libero da malattia).
Ki67
Uno dei markers più utilizzati è il Ki67 (anticorpo MIB-1) in grado di determinare la frazione di crescita in una certa popolazione. Il numero di cellule
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positive al marker (positività nucleare) su 100 cellule consente di esprimere un
indice di Ki67 (erroneamente ma comunemente indicato come indice di proliferazione-IP) che spesso è correlato al decorso clinico della malattia neoplastica. Per alcune neoplasie la letteratura scientifica è ricca di studi atti a determinare quale valore di cut-off possa essere individuato come valore soglia per definire una neoplasia a prognosi buona o infausta per quanto riguarda il comportamento biologico. Le neoplasie più studiate in ambito veterinario sono il
mastocitoma e il melanoma. La letteratura sul mastocitoma è molto articolata
e rispecchia il comportamento eterogeneo di questa neoplasia che assume
aspetti diversi a seconda della specie, della sede di insorgenza (dermica o sottocutanea) e della presentazione clinica. Un breve escursus sulla storia del mastocitoma consente di individuare i primi lavori dedicati all’IP verso la fine del
secolo scorso. Nei mastocitomi canini di II° grado secondo la classificazione
di Patnaik (allora vigente) il valore di 10 viene ritenuto il cut-off per valutazioni di tipo prognostico (Abadie et al, 1999); 7-8 anni dopo altri lavori indipendenti segnalano cut-off variabili per l’IP molto più basso attorno a 1-2 cellule
per HPF (Scase et al, 2006) e 23 (Webster et al, 2007). Nel frattempo la nuova classificazione 2-Tier sconvolge l’approccio classificativo di Patnaik (in
uso da circa 25 anni) ma non fornisce indicazioni sull’uso del Ki67, non è più
possibile quindi stabilire una prognosi basata su IP nei mastocitomi “low-grade” e “high-grade”. Solo nel 2012 un lavoro arriva in aiuto ai patologi e ai clinici segnalando il valore prognostico dell’IP in 53 mastocitomi cutanei. Con
un IP >10,6 il cane con mastocitoma ha 8 volte più probabilità di soccombere
rispetto ad un soggetto con IP< a10,6. Il cut-off per l’IP è stato anche individuato per un sottogruppo di mastocitomi ovvero quelli che insorgono primariamente nel sottocute e che per molto tempo sono stati classificati come MC
di grado II secondo Patnaik. Per tali mastocitomi il cut-off viene considerato
21,8 (i soggetti con valori superiori hanno maggiore probabilità di sviluppare
metastasi). Per il melanoma la situazione è meno complessa, nel 2011 Smedley
et al, propongono un sistema di valutazione del Ki67 ben dettagliato differenziando tra melanomi ad insorgenza orale/mucosa labiale o sulle aree digitali e
cutanee. Il cut-off è di 19,5 per il prim gruppo di neoplasie e 15 per i melanomi nelle aree non mucosali. Resta comunque la difficoltà per il patologo all’approccio delle neoplasie melanocitarie fortemente pigmentate per le quali i processi di decolorazione (che si basano sull’utilizzo di H2O2) possono inficiare
una corretta interpretazione dell’esame immunoistochimico.
Altri marker di proliferazione sono stati segnalati in letteratura: PCNA,
AgNOR (argyrophilic nucleolar organizer region), microcromosomi ma mai
come il Ki67 hanno preso largo uso nella diagnostica oncologica se non da
centri specializzati di ricerca.
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P16
La p16 appartiene alla famiglia delle CDKI, proteine che, inibendo l’azione delle chinasi dipendenti da ciclina (CDK), sono in grado di bloccare il ciclo cellulare ed impedire la mitosi. Per tali funzioni il gene per questa proteina è definito un oncosoppressore ed è infatti ritrovato mutato o down-regolato in alcune neoplasie. Poiché tra i target della proteina compare CDK4, che
è un inibitore della proteina RB (retinoblastoma), la presenza di p16 è fortemente correlata all’azione del RB. In breve, l’accumulo della p16 determina
la fosforilazione del RB con conseguente suo distacco da un fattore di trascrizione nucleare l’E2F ed entrata della cellula nel ciclo di proliferazione. Tale
meccanismo viene attivato da alcuni agenti virali, in particolare il Papillomavirus tanto che in medicina umana l’aumento tissutale dell’espressione della
p16 è indicativo della genesi virale di alcune neoplasie (carcinoma squamoso
dell’orofaringe e della cervice) per le quali è anche documentata una prognosi migliore rispetto alla stessa neoplasia non virus-indotta. In medicina veterinaria la p16 è un marker di oncogenicità e nel gatto la sua espressione era
aumentata nelle placche virali, nel BISC (carcinoma in situ Bowenoide) e nel
carcinoma squamoso invasivo (ISCC) di origine non attinica e solo scarsamente presente nell’ISCC di origine attinica e nel tricoblastoma. Nelle lesioni che esprimono la p16 esami di PCR confermano la presenza dell’infezione
da PV. Recentemente il gruppo di Munday (2013) ha segnalato una marcata
immunopositività alla p16 nel 63% di gatti con CS del planum nasale; in questo studio, su 30 gatti con diagnosi di CS (senza asportazione chirurgica) il
tempo di sopravvivenza era superiore (643giorni) nei soggetti p16+ rispetto
ai soggetti p16- (217 giorni). Questi risultati suggeriscono l’utilizzo della p16
come fattore prognostico per il CS del planum nasale nel gatto.
c) oncomarkers come fattori predittivi
(individuato dai patologi e di utilizzo per la clinica)
Gli onkomarkers cd predittivi e più studiati in medicina veterinaria sono i
recettori per le tirosin-chinasi, i recettori per estrogeno e progesterone e le
COX.
cKIT
I recettori per le tirosin-chinasi vengono identificati dal cKit e rappresentano il primo gruppo di recettori che hanno mostrato una utilità clinica per la
terapia oncologica basata su molecole a bersaglio (inibitori delle tirosin-chinasi). L’espressione del cKit è stata inizialmente studiata per il mastocitoma,
e diversi pattern di espressione sono stati identificati nel cane e nel gatto, nel
mastocitoma dermico vs il mastocitoma sottocutaneo. Per il mastocitoma der-
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mico del cane viene segnalata una correlazione con la prognosi: la distribuzione omogenea citoplasmatica costituisce un fattore prognostico negativo
mentre l’espressione membranaria e in parte anche quella a spot perinucleare, ricordando la distribuzione del recettore nei mastociti non neoplastici, è legata ad una prognosi favorevole. Non assume alcun rilievo prognostico invece la distribuzione del recettore nei mastocitomi sottocutanei, per queste neoplasie pertanto il gold standard resta l’IP. Nel gatto l’espressione del cKit non
correla con il tipo istologico (mastocitoma mastocitico, atipico o poco differenziato e pleomorfo), gli autori pertanto ritengono che possa essere utile solo per l’identificazione della linea cellulare. I recettori delle tirosin-chinasi sono espressi oltre che dai mastociti anche da altre cellule (cellule di Cajal, melanociti, cellule emopoietiche primordiali, cellule germinativa) e l’individuazione immunoistochimica in alcune neoplasie (es: GIST o occasionalmente
altre) diventa di utilità al clinico per un approccio terapeutico mirato con le
nuove molecole inibitrici prodotte in commercio.
COX-2
Le ciclo-ossigenasi (COX) note anche come enzima prostaglandina G/H
sintetasi è un omodimero del quale si conoscono due isoforme. L’isoforma
COX-1 è espressa in molti tessuti e si reputa che medi le risposte fisiologiche
che richiedano una biosintesi rapida e/o costante di prostaglandine. L’isoforma
COX-2 è invece normalmente assente dalle cellule ma può essere indotta in risposta a reazioni infiammatorie, fattori di crescita e promotori tumorali. Le due
isoforme condividono diverse similarità nella struttura proteica ma derivano da
geni diversi. L’espressione della COX-2 è stata dimostrata in diverse neoplasie umane e in ambito veterinario. Diversi studi documentano l’espressione aumentata di COX-2 in diverse tipologie tumorali del cane e del gatto (es:tumori
mammari, carcinoma squamoso, TVT, carcinoma intestinali e altre neoplasie)
e in alcuni casi questa espressione è associata ad una prognosi peggiore. Gli
inibitori delle COX sono pertanto considerati dal clinico oncologo come possibile approccio terapeutico per le neoplasie che esprimono tali enzimi. Una recente esperienza personale ha riportato buoni risultati (clinici e istopatologici)
in 5/6 cani trattati con firocoxib per dermatite/cheratosi attinica.
d) oncomarkers come fattori per individuare le linee
tumorali (utilizzato dai patologi per la classificazione
dei tumori poco differenziati)
In questo gruppo rientrano diverse categorie di oncomarkers tra i quali
molto utilizzati i filamenti intermedi (FI). La diagnostica istopatologica si avvale dell’uso di questi marker per due motivi principali: a) assegnare ad una
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neoplasia con spiccati caratteri di anaplasia un’origine epiteliale (pancitocheratina) piuttosto che mesenchimale (vimentina), determinare nell’ambito di
una categoria epiteliale o mesenchimale una ulteriore linea differenziativa
(es: epidermica vs annessiale, muscolare vs endoteliale).
La vimentina è espresso da tutte le cellule embrionali e la maggior parte
delle cellule di qualsiasi linea riesprimono la vimentina se messe in coltura.
Quest’ultima situazione può essere assimilata alla tendenza di alcune cellule
neoplastiche ad assumere la forma fusata e quindi la vimentina è espresso da
numerose neoplasie: sarcoma, melanoma, CS fusato, angiosarcoma. Deve essere utilizzata consci di questa sua plasticità.
Le citocheratine sono una grande famiglia di filamenti intermedi conosciute come CK individuali (CK7, CK20), come paia di CK acide e basiche
(CK8/18) o come CK a basso o alto PM. L’approccio più utile è quello di considerare le CK a basso PM (7, 8, 17, 18, 19) come quelle dell’epitelio semplice (duttale) e quelle ad alto PM (1, 10) come quelle dell’epitelio stratificato
(cute, urotelio).
La desmina è il filamento intermedio delle cellule muscolari espressa nel
muscolo striato e liscio di neoplasie benigne e maligne di origine muscolare. Le
actine sono invece un gruppo di FI, componenti del citoscheletro e che servono
per la contrazione e motilità cellulare; la più utilizzata è la alfa-smooth muscle
actin (SMA) che identifica le cellule muscolari lisce, cellule miofibroblastiche,
mioepiteliali, periciti e cellule dei glomi. Alcune neoplasie che non originano da
queste cellule ma che manifestano una morfologia fusata possono però esprimere questo marker. La caldesmina è espressa in modo specifico dalle cellule
muscolari lisce e non dal muscolo striato o dalle cellule miofibroblastiche, oltre che dai GIST e dal tumore dei glomi. Infine la miogenina può essere utilizzata per le neoplasie del muscolo striato, la positività è nucleare.
La proteina S100 è espressa dai melanociti, cellule della glia, condrociti,
annessi cutanei, cellule di Langerhans, cellule di Schwann. L’S100 è storicamente utilizzata per la diagnosi dei melanomi (positività soprattutto citoplasmatica) e per i PNST (positività prevalentemente nucleare) ma la % di positività in questi tumori è bassa e non del tutto specifica. La sua presenza rende la diagnosi di melanoma e PNST compatibile mentre la sua assenza non li
esclude. Recentemente altri marker più specifici per il melanoma sono stati
utilizzati, tra questi il MART, il MITF e il RACK1.
Il fattore-VIII è presente solo nei corpi di Weibel-Palade degli endoteliociti e piastrine ed è teoreticamente specifico di una differenziazione endoteliale. In pratica però è secreto nel siero e la presenza di elevato background che
origina in immunoistochimica riduce di molto il suo utilizzo. Altri marker, per
esempio il CD31, vengono indicati come sostituti.
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Per concludere in patologia oncologica veterinaria l’utilizzo di markers
per la diagnosi e per la prognosi è in continua espansione come dimostrato
dalla vasta letteratura scientifica. Nella presente trattazione sono stati citati e
approfonditi solo alcuni dei principali oncomarkers. Poiché nell’ultimo secolo le conoscenze sulla cancerogenesi hanno fatto passi da gigante è auspicabile che anche in medicina veterinaria, così come per la medicina umana, vengano approfondite le nuove strade dell’approccio alla citogenetica e alla biologia molecolare con individuazione di anticorpi specifici per proteine o prodotti di fusione di geni mutati in corso di determinate neoplasie.
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Paolo Buracco
Med Vet, Dipl ECVS, Torino
… la chirurgia, se possibile,
cura più di ogni altro trattamento.
Vediamo come:
i margini di escissione e
il trattamento multimodale
Sabato, 13 luglio 2013, ore 09.00
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La chirurgia rappresenta la principale modalità di trattamento per la maggior parte dei tumori localizzati, con tasso di cura più elevato rispetto ad ogni
altra terapia. È però importante sottolineare che l’approccio multimodale consente spesso di ottenere risultati migliori in termini sia di “periodo libero da
malattia” sia di “sopravvivenza complessiva”.
La chirurgia, in tal caso, non deve essere sempre aggressiva visto che altre modalità terapeutiche (chemioterapia e/o radioterapia) possono risultare
efficaci nel controllo del tumore. Questi trattamenti possono essere erogati
preoperatoriamente (neoadiuvanti), dopo la chirurgia (adiuvanti) o intraoperatoriamente (molto più di rado).
Nel pianificare la rimozione chirurgica di un tumore è opportuno considerare 1) il suo comportamento biologico-clinico standard, 2) che la prima chirurgia è quella con le maggiori probabilità di essere efficace, 3) che l’escissione en bloc implica spesso la rimozione dell’osso sottostante (anche in assenza di infiltrazione evidente), con necessità di pianificare sia la fase demolitiva sia quella ricostruttiva.
È opportuno inoltre considerare: la qualità di vita dell’animale e il deficit
funzionale arrecato all’animale a seguito di tale intervento, le proprie capacità chirurgiche, le diverse tecniche di ricostruzione applicabili, l’opportunità o
meno di trattamenti neo- e/o adiuvanti e l’esito oncologico più probabile
(“tempo libero da malattia”, “sopravvivenza totale” – dati desumibili dalla
letteratura e, in misura minore, dall’esperienza personale). Il controllo della
disseminazione metastatica è operato con chemioterapia, quello della recidiva locale con radioterapia. Per decidere se un secondo intervento chirurgico
(qualora ancora effettuabile) o l’irradiazione locale siano o meno opportuni, è
indispensabile la valutazione istologica dei margini di escissione per verificare la completezza o meno dell’asportazione.
Al momento della chirurgia, sulla base degli esiti della stadiazione tumorale, deve essere chiaro quale fra queste procedure si desidera mettere in atto.
1) Chirurgia diagnostica: quando procedure meno invasive NON hanno
fornito i risultati attesi. L’obiettivo è ottenere campioni tissutali significativi (biopsia incisionale da un’area poi facilmente rimovibile nel successivo intervento chirurgico). Le biopsie “escissionali marginali” devono
limitarsi a quelle lesioni, per lo più superficiali, che precedenti accertamenti hanno identificato come benigne. In tale ambito si pongono anche
le chirurgie esplorative quando altre procedure non hanno consentito di
valutare in pieno posizione, origine e “aggredibilità” chirurgica. Le biopsie escissionali, in assenza di diagnosi, devono comprendere un margine
di tessuto sano e devono essere avviate all’istopatologia richiedendo anche la valutazione dei margini di escissione.
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2) Chirurgia citoriduttiva (c.d. “debulking”): per alcune neoplasie può
non essere possibile la escissione en bloc a causa della loro localizzazione (scheletro assiale, cranio, arti distali, etc). Se l’escissione è incompleta o “a pezzi”, il controllo successivo deve essere operato da
trattamenti adiuvanti (chemio- e/o radio-terapia) la cui efficacia è preferibilmente già comprovata. Può anche essere tentato un trattamento
neoadiuvante (chemioterapia e/o radioterapia) al fine di rendere una
neoplasia operabile al suo completamento ma questo è indicato solo
in casi selezionati.
3) Chirurgia curativa: è quella che prevede l’escissione en bloc della
neoplasia con 1-5 cm di tessuto macroscopicamente sano intorno. Come già accennato, questo può implicare la rimozione dell’osso sottostante (mandibolectomia, maxillectomia, scapulectomia, pelvectomia,
rimozione di coste, limb sparing, etc) fino all’amputazione dell’intera parte (arto).
4) Chirurgia palliativa: raramente applicata in medicina veterinaria. Se
messa in atto, deve esitare in miglioramento della qualità di vita del paziente anche se non necessariamente in un prolungamento di questa.
La classificazione dei margini di escissione riflette la suddivisione sopra accennata:
• intracapsulari: tumore rimosso “a pezzi” con neoplasia residua macroscopicamente. Tale procedura va limitata ai tumori benigni (ad es. lipomi infiltranti) o a quelli a malignità soprattutto locale (tumori endonasali, dell’orecchio medio, del midollo spinale, etc) e sicuramente aggredibili con trattamenti adiuvanti (chemio- e/o radio-terapia) già previsti;
• marginali: il tumore residuo è evidente istologicamente. Ne è un esempio classico la “pseudocapsula” dei sarcomi dei tessuti molli, derivata
dalla compressione dello strato tumorale più periferico; la recidiva è assolutamente inevitabile se lo scollamento è eseguito lungo tale struttura.
Va inoltre tenuto presente che l’estensione extravascolare del tumore può
dare origine a metastasi “satellite” nella zona di reattività peritumorale o,
peggio, a lesioni più distanti (cioè nel tessuto sano, le c.d. “skip” metastasi). Tale chirurgia è idealmente corretta solo per le lesioni benigne; in
caso di malignità locale, se non è possibile operare la rimozione del tumore in altro modo, è indicata l’irradiazione adiuvante;
• ampi: la procedura rispetta idealmente uno dei principi cardine della chirurgia oncologica ma “skip” metastasi possono ancora svilupparsi ed essere omesse durante la chirurgia. TC e RMN trovano ampio utilizzo nel
pianificare correttamente la procedura. È inoltre opportuno considerare la
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natura dei tessuti molli coinvolti (muscolo, fascia, grasso, etc); nella
maggior parte dei casi l’escissione deve includere 1 (mastocitoma) o 2
(sarcomi dei tessuti molli) strati fasciali;
radicali: per neoplasie molto aggressive (melanoma, sarcomi ossei, etc).
L’esempio più classico è l’amputazione di un arto.
Linee guida generali per la chirurgia oncologica
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Criochirurgia: solo per carcinomi squamosi di ridotte dimensioni;
Non operare in anestesia locale; tra l’altro, l’iniezione locale di anestetico può disseminare la neoplasia. Nei pazienti critici può essere opportuno ricorrere ad anestesia loco-regionale;
Pianificare preventivamente la demolizione e la ricostruzione e preparare pertanto il campo chirurgico in accordo a questo;
Rispettare i principi di Halsted;
Rimuovere sempre la sede di biopsia;
Proteggere la ferita chirurgica con teli al fine di limitare l’impianto tumorale iatrogeno;
Utilizzare il più possibile gli strumenti chirurgici e non le mani; queste
ultime possono più facilmente disseminare la neoplasia;
Usare un set chirurgico per la rimozione e uno per la ricostruzione; cambiare i guanti ogni qualvolta è opportuno, sempre comunque quando si
inizia la ricostruzione;
Per la rimozione dei tumori superficiali è preferibile utilizzare il bisturi
(taglio più netto) piuttosto che le forbici (da utilizzare per la dissezione
smussa fra i diversi piani)
Usare l’elettrocoagulazione (o il laser) il meno possibile per non complicare l’identificazione dei margini tumorali (tessuto carbonizzato);
Legare tutti i vasi tributari e, se possibile, prima le vene (che potrebbero
drenare emboli neoplastici)
È preferibile l’impiego di materiale da sutura monofilamento piuttosto
che intrecciato per non favorire l’adesione delle cellule tumorali;
L’impiego dei lavaggi è controverso. Importante è comunque aspirare
tutto il liquido utilizzato, insieme ai detriti tissutali e ai coaguli di sangue;
Valutare sempre se l’asportazione è stata appropriata (in termini di cm
macroscopici di tessuto sano), identificare i margini di escissione e, in
caso di dubbio, ricorrere alla citologia intraoperatoria.
Eseguire sempre l’esame istopatologico (lesione primaria, margini, eventuali linfonodi).
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BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
1. Kudnig ST, Séguin B. Veterinary Surgical Oncology. Wiley-Blackwell, 2012.
2. Withrow SJ, Vail DM, Page RL. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. Elsevier Saunders, 5° edizione, 2013.
Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Buracco, Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria,
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino,
Via Leonardo da Vinci 44 10095 Grugliasco (Torino)
Tel 011-670157/8 - Fax 011-6709165 - [email protected]
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Paolo Buracco
Med Vet, Dipl ECVS, Torino
Tumori cutanei: per molti di loro
sapere prima di cosa si tratta
ti dice come operarli
(compreso mastocitoma)
Sabato, 13 luglio 2013, ore 15.15
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I tumori cutanei rappresentano tra il 20 e il 30% di tutti i tumori canini e
felini. Prevalgono negli anziani e possono essere classificati come epiteliali,
mesenchimali, a cellule rotonde ed ematopoietici (questi ultimi solo occasionalmente trattati chirurgicamente). I tumori della cute sono in genere singoli
ma possono anche essere multipli. Dal punto di vista chirurgico sono importanti soprattutto quelli maligni.
– Tumori delle cellule basali, compreso carcinoma: frequenti sia nel cane sia
nel gatto. Nell’ultimo possono essere cistici e/o pigmentati. Sono spesso
privi di pelo e talvolta possono ulcerarsi. La malignità è limitata. (margine di escissione 1 cm)
– Carcinoma squamoso: frequente in entrambe le specie, si sviluppa soprattutto in
aree non o solo lievemente pigmentate. Sedi elettive sono: naso, palpebre, ano,
cute inguinale e fianco; nel gatto il CS predilige naso, palpebre, padiglioni auricolari e labbra ed è correlato all’esposizione ai raggi ultravioletti (carcinoma attinico – anche in alcuni cani, ad esempio dalmata, cute addominale). Il tessuto
subungueale (dita) è coinvolto soprattutto in razze canine pigmentate (Schnauzer), con erosione precoce della terza falange. Le lesioni possono essere proliferative o, più spesso, erosive/infiltrative. Le forme facciali o al fianco sono localmente invasive ma la metastatizzazione è tardiva; quelli digitali sono localmente invasivi e la metastatizzazione ai linfonodi regionali è più precoce, specie se
la prima chirurgia è incompleta; la disseminazione successiva è ai polmoni.
(margine di escissione almeno 2 cm, 1 piano fasciale profondo)
– Tumori sebacei: rari nel gatto, più frequenti nel cane; in quest’ultima specie prevalgono le forme benigne che possono svilupparsi ovunque nel corpo. Alcuni possono originare da ghiandole sebacee modificate (Meibonio,
perianali e ceruminose). L’adenocarcinoma è raro; è localmente invasivo
ma le metastasi sono rare. (margine 2 cm, 1 piano fasciale profondo)
– Tumori delle ghiandole sudoripare: infrequenti; la maggior parte deriva
dalle ghiandole apocrine. L’adenocarcinoma, talvolta, è caratterizzato da
elevato potenziale infiltrativo locale e metastatico (linfonodi regionali e
polmoni). Sedi preferenziali sono testa (nel gatto alla base del padiglione),
collo, dorso e fianco. (margine 2 cm, 1 piano fasciale profondo)
– Tumori degli annessi (tricoepilioma, pilomatrixoma): in genere benigni
ma raramente si assiste allo sviluppo di forme maligne. (margine da 1 a 2
cm, 1 piano fasciale profondo)
– Tumori mesenchinali: costituiscono il c.d. gruppo dei sarcomi dei tessuti
molli, quasi tutti caratterizzati da comportamento clinico-biologico simile.
Il gruppo include fibrosarcoma, liposarcoma, leiomiosarcoma, rabdomiosarcoma, mixosarcoma, sarcomi indifferenziati, etc, istologicamente di 1°,
2° e 3° grado. La malignità è soprattutto locale (infiltrativa) mentre il tas-
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so metastatico (possibile il coinvolgimento anche dei linfonodi regionali
oltre che dei polmoni) è più limitato. Nel gatto sono importanti i sarcomi
post-iniettivi, caratterizzati soprattutto da spiccata malignità locale. La
pseudocapsula che circonda i sarcomi dei tessuti molli è estesamente infiltrata di cellule neoplastiche. (margine da 2 a 3-5 cm cm, 2 piani fasciali)
Emangiopericitoma, miopericitoma, schwannoma: appartengono ai sarcomi dei tessuti molli ma la loro malignità è in genere più limitata. Pur potendo svilupparsi ovunque nel corpo, prevalgono a livello degli arti dei cani anziani. (margine 1-2 cm, 1 piano fasciale)
Emangiosarcoma cutaneo e sottocutaneo, istiocitoma fibroso maligno,
sarcoma istiocitico (cane): a parte l’emangiosarcoma cutaneo (di limitata
aggressività), sono neoplasie che annoveriamo nei sarcomi dei tessuti molli pur essendo caratterizzate da malignità sia locale sia sistemica (disseminazione metastatica) decisamente più elevata. (resezione en bloc)
Tumori a cellule rotonde: mastocitoma (margine 2 cm, 1 piano fasciale),
istiocitoma, plasmocitoma, linfoma, tumore venereo trasmissibile.
Tumori melanocitici: nevi, melanoma maligno. I melanomi fino a 1cm di diametro sono in genere benigni, quelli di oltre 2.5 cm sono invece maligni, con metastatizzazione a linfonodi regionali e polmoni. (margine almeno 2 cm).
Prima dell’escissione chirurgica del nodulo cutaneo/sottocutaneo, è importante conoscere fenotipo neoplastico e stadio clinico al fine di stabilire a)
se la chirurgia è indicata o altre procedure sono più idonee, b) se qualche altro trattamento (chemioterapia e/o radioterapia) sono indicate pre- e/o postchirurgia, e c) la dose chirurgica da applicare (marginale o en bloc). Nella pianificazione, chemioterapia e/o radioterapia neoadiuvanti e/o adiuvanti devono essere previsti e discussi con il proprietario prima di procedere in base a
stadio clinico, specifici fattori prognostici (ad es. ki-67, c-kit, etc) e, non ultimo, probabilità o meno di escissione chirurgica completa (questo è influenzato non solo dalla biologia clinica di quel specifico tumore ma anche dalla sua
localizzazione, potenzialmente critica se su muso, parte distale degli arti, regione interscapolare, groppa, etc).
La diagnosi sul nodulo cutaneo deve avvalersi di:
a) biopsia ad ago sottile ed esame citologico: spesso diagnostico, per lo meno nel senso di indirizzare la diagnosi; in caso di dubbio, è preferibile la
biopsia incisionale;
b) biopsia con tru-cut o incisionale ed esame istologico: indicata se la caratterizzazione del fenotipo neoplastico modifica il trattamento (ad esempio
chemioterapia vs. chirurgia) e la dose chirurgica (ad es. grado I vs. III); indicata inoltre per tumori a localizzazione complicata con limitate possibi-
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lità di ricostruzione e in caso di volontà del proprietario a proseguire o meno il trattamento in dipendenza della prognosi prevista;
c) biopsia escissionale en bloc: indicata solo per tumori sicuramente benigni
o a presunta bassa malignità. Il nodulo è rimosso con un adeguato margine di tessuto sano intorno.
La stadiazione clinica del tumore (Owen 1980) è incentrata su:
– T: dimensioni della neoplasia. La biologia clinica può variare in dipendenza anche della localizzazione (ad es. mastocitoma); questo parametro, tra
l’altro, condiziona la dose chirurgica. LA TC pre-operatoria può essere di
aiuto nel pianificare la chirurgia;
– N: linfonodi regionali/satellite: a parte i casi di linfonodi metastatici evidenti
già clinicamente (fissi, indolenti e irregolari) e poi confermati citologicamente, nella maggior parte dei casi il linfonodo ha caratteristiche cliniche dubbie
(ingrandito ma liscio e mobile), con eventuale citologia non definitiva. In tal
caso, dopo esclusione di linfoadenopatie successive e metastasi sistemiche, il
linfonodo è biopsiato o rimosso per una valutazione istologica. L’escissione
del linfonodo, che non è considerabile curativa (Sigurdson 2003), può a) rappresentare l’unico atto chirurgico applicato (in tal caso indicata anche la biopsia incisionale del tumore primario), b) essere in un secondo tempo seguita
dall’escissione del tumore primario, o c) essere contestuale all’escissione del
tumore primario. L’esame istologico di entrambi può guidare i successivi passi diagnostici e terapeutici; ad esempio, se è vero che la negatività del linfonodo satellite in caso di mastocitoma può far si che si decida di non procedere
oltre con la stadiazione (Warland et a. 2012), la sua positività impone di proseguire con l’ago-aspirazione di fegato e milza;
– M: metastasi a distanza: la valutazione è preferibilmente eseguita con TAC
total body, specie in caso di tumori altamente aggressivi. In caso di tumori di bassa o media malignità, può essere sufficiente un esame radiografico del torace (3 proiezioni) ed ecografico dell’addome. In caso di metastasi accertate, solo in casi selezionati la chirurgia è ancora indicata e in genere si opta per la chemioterapia dose-intensa e/o metronomica.
La dose chirurgica (resezione marginale fino a margini di escissione di 15cm periferici e 1-2 piani fasciali profondi) dipende dall’istotipo ma anche
dalla localizzazione tumorale. Dopo ampie escissioni si fa spesso ricorso a ricostruzioni più o meno complesse (incisioni liberatorie, lembi locali, liberi,
assiali, muscolari o miocutanei, etc), con anche, se del caso, usi di reti di prolene. In caso di tumore maligno a livello del muso (tartufo, regione nasale o,
a livello degli arti, distalmente a gomito e ginocchio, la probabililtà di ottene-
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re margini chirurgici puliti è limitata. In caso di margini sporchi, le alternative sono il re-intervento (se ancora possibile in dipendenza della regione anatomica) considerando la cicatrice come tumorale (1-5cm di margine periferico e 1-2 piani fasciali profondi) o l’irradiazione locale (sede del tumore primario +/- sede del linfonodo satellite, se metastatico). Solo tumori a bassa
malignità (ad esempio sarcomi a cellule fusate di basso grado - Stefanello et
al 2008) possono essere rimossi con margini limitati. In caso di neoplasie di
medio-alto grado e di escissione incompleta, la radioterapia adiuvante è indicata per controllare le recidive locali; la chemioterapia è invece impiegata per
limitare la disseminazione a distanza (linfatica regionale e oltre) in caso di
neoplasie ad alto grado e in caso di mastocitomi aggressivi.
BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
1. Owen L.N. TNM classification of tumors in domestic animals. World Health Organization, Geneva, 1980.
2. Gilson SD. Clinical management of the regional lymph node. Vet Clin North Am, Sm
Anim Pract, 25 (1): 149-167, 1995.
3. Sigurdson ER Lymh node dissection: it is diagnostic or therapeutic ? Journal of Clinical
Oncology 21 (6): 965-7, 2003.
4. Stefanello D, Morello E., Roccabianca P, Iussich S, Nassuato C, Martano M, Squassino
C, Avallone G, Romussi S, Buracco P. Surgical marginal excision of canine soft tissue
low grade spindle cell sarcoma of the extremities: 35 dogs (1996-2006). Veterinary Surgery 37:461-465, 2008
5. Martano M., Morello E., Buracco P. Feline injection-site sarcoma: Past, present and future perspectives. The Veterinary Journal 188(2): 136-141, 2011.
6. Kudnig ST, Séguin B. Veterinary Surgical Oncology. Wiley-Blackwell, 2012.
7. Warland J, Amores-Fuster I, Newbury W, Brearley M, Dobson J. The utility of staging in
canine mast cel tumors. Vet Comp Oncol 2012, in press
8. Donnelly L, Mullin C, Balko J, Goldschmidt M, Krick E, Hume C, Brown DC, Sorenmo
K. Evaluation of histological grade and histologically tumour-free margins as predictors
of local recurrence in completely excised canine mast cell tumours. Vet Comp Oncol.
2013, in press
9. Blackwood L, Murphy S, Buracco P, De Vos JP, De Fornel-Thibaud P, Hirschberger J,
Kessler M, Pastor J, Ponce F, Savary-Bataille K, Argyle DJ. European consensus document on mast cell tumours in dogs and cats. Vet Comp Oncol. 2012, 10(3):e1-e29.
10. Withrow SJ, Vail DM, Page RL. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. Elsevier Saunders, 5° edizione, 2013.
Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Buracco, Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria,
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino,
Via Leonardo da Vinci 44 10095 Grugliasco (Torino)
Tel 011-670157/8 - Fax 011-6709165 - [email protected]
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Med Vet, Dipl ECVS, Torino
Neoplasie ossee:
tumori che mettono ansia
Sabato, 13 luglio 2013, ore 16.45
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I tumori dell’osso possono essere primari o secondari. I primari includono
osteosarcoma, condrosarcoma, fibrosarcoma, emangiosarcoma, osteoclastoma, sarcoma multilobulare dell’osso, liposarcoma, mieloma multiplo e linfoma. I secondari possono essere metastatici (da carcinomi mammari, prostatici, melanoma, etc) o derivare da invasione secondaria dell’osso da parte di
sarcomi dei tessuti molli, carcinomi squamosi, etc.
Se è vero che l’osteosarcoma, il tumore osseo primario in assoluto più frequente (fino al 95% dei casi), può essere in genere facilmente sospettato radiograficamente, è altrettanto vero che sia la diagnostica differenziale sia i risultati della biopsia possono talvolta risultare contradditori; infine, i possibili
trattamenti operabili, specie l’amputazione per le forme appendicolari, e la
prognosi prevista possono essere oggetto di valutazioni assolutamente soggettive e non oggettive.
Biopsia ossea: le controversie e le diagnosi differenziali: le lesioni che
possono simulare clinicamente e radiograficamente un tumore osseo primitivo sono molte e solo la biopsia ossea è in grado di consentire la diagnosi definitiva.
Mediante biopsia ad ago sottile è possibile, nel 50-60% dei casi, emettere
diagnosi generica di “sarcoma”; in alcuni casi le caratteristiche cellulari sono
compatibili con la diagnosi più specifica di osteosarcoma. Le motivazioni per
una mancata diagnosi sono principalmente: 1) impossibilità a penetrare il cuore del tumore a causa di una compatta reazione ossea periostale peritumorale, e
2) presenza di aree necrotiche e/o reattività infiammatoria peritumorale, lacune
ematiche. Quando possibile, trattandosi di una procedura relativamente atraumatica, l’ago-aspirazione dovrebbe essere sempre tentata. Preparati per la valutazione citologica possono essere approntati anche dalle “carote” di tessuto ottenute con ago Jamshidi prima della loro immersione in formalina.
Mediante ago di Jamshidi è possibile ottenere campioni per la valutazione sia citologica sia istopatologica. L’utilizzo di strumenti di diametro maggiore (ad es. trapano di Michelle), pur fornendo una maggior quantità di tessuto (con aumento quindi della probabilità di diagnosi), non è del tutto raccomandata per il maggior rischio di frattura patologica. Per la selezione dell’area da biopsiare è consigliabile il ricorso a tecniche di diagnostica per immagini. In tal senso, mentre ecografia, Doppler e fluoroscopia possono fornire risultati variabili, la TC con contrasto garantisce risultati più consistenti in
quanto sono evidenziate più facilmente le aree dove è presente tessuto vitale.
Una volta penetrato l’ago, è preferibile eseguire “carotaggi” in più direzioni.
In casi selezionati si può operare anche la biopsia incisionale che andrebbe
però evitata se è in programma il salvataggio dell’arto visto che la procedura
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non è scevra da complicanze (ematomi, infezioni e, potenzialmente, disseminazione di cellule). A seconda della qualità e della quantità di materiale ottenuto, si allestiscono preparati citologici, istologici, e se opportuno, colture
batteriologiche e micologiche. La sede di biopsia (in caso di tumore) va rimossa nel corso del successivo intervento curativo (anche di salvataggio dell’arto).
Trattamento dell’osteosarcoma (OSA) appendicolare: le metafisi degli
arti anteriori (soprattutto distale di radio e prossimale di omero) sono colpite
con frequenza doppia rispetto a quelle dell’arto posteriore (distale di femore,
prossimale e distale di tibia e, in misura minore, prossimale di femore).
L’OSA si sviluppa soprattutto in soggetti di peso superiore a 25-30 kg, di età
media o avanzata; un secondo picco di età interessa cani di 18-24 mesi. Il tumore prevale nei soggetti maschi ma le femmine di alcune razze (Rottweiler,
S. Bernardo, Alano) ne possono spesso essere colpite. Pur essendo altamente
metastatico, solo nel 10% dei soggetti colpiti vi è evidenza radiografica di
metastatizzazione polmonare in prima presentazione. Per la stadiazione clinica, la TC del torace per la ricerca di metastasi è più efficace rispetto all’esame radiografico (tre proiezioni standard), specie nei cani di grossa taglia.1,2
Il solo controllo della lesione primaria non ha ambizioni curative; infatti,
il 90% dei cani solo amputati muore per metastasi, generalmente polmonari,
entro 6-8 mesi dalla chirurgia. Il risultato principale, in tal caso, è l’eliminazione del dolore tumore-associato. La disseminazione al linfonodo regionale
è rara (<5%) ma, se presente, è un fattore prognostico negativo, così come anche la localizzazione dell’OSA a omero prossimale o scapola. Metastasi a cute, muscolo, etc non sono tipiche in prima presentazione e tendono a prodursi dopo che la chemioterapia è stata completata.
Il trattamento prevede asportazione chirurgica ad ampio margine dell’OSA e chemioterapia adiuvante. L’escissione può essere non conservativa
(amputazione) o conservativa (salvataggio dell’arto - c.d. limb sparing) 3,4;
nell’ultimo caso, dopo resezione tumorale en bloc, segue la ricostruzione della parte. Se l’OSA è stato causa di frattura patologica, le opzioni sono l’eutanasia, l’amputazione o, se disponibile e in chiave squisitamente palliativa, la
fissazione della frattura seguita da radioterapia stereotasica5-7 e chemioterapia. Anche nell’ultima evenienza, il controllo del dolore è efficacemente raggiunto e la sopravvivenza può essere prolungata. L’amputazione a seguito di
frattura patologica è caratterizzata da un minor impatto emotivo perché considerata “inevitabile”.
Il problema si pone invece quando entrambi gli interventi sono potenzialmente possibili, in particolare per OSA del radio distale ancora confinati al-
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l’osso (senza cioè evidente estensione ai tessuti molli) e che non necessitino,
dopo disarticolazione al carpo, di ostectomia del radio (o radio-ulna) per oltre il 50% della lunghezza del radio stesso. L’ultima condizione implica problemi di stabilità dell’impianto ortopedico. Vi sono invece minori problemi di
stabilità se si è prevista la ricostruzione mediante “bone transport osteogenesis” con apparato Ilizarov -. 8
“Attori” della vicenda sono il tumore, il cane ammalato, il veterinario, il
proprietario e le tecniche utilizzabili.
Il tumore: va innanzi tutto considerato che la prognosi post-trattamento per
l’OSA appendicolare canino a tutt’oggi non è particolarmente brillante. Dopo
chirurgia e chemioterapia, dal 36% al 60% dei cani (a seconda dei lavori considerati) è vivo a 1 anno e solo il 20% circa a 2 anni. La mediana di sopravvivenza è di circa 1 anno.
Il cane ammalato di osteosarcoma appendicolare: in genere è di grossa taglia, di peso variabile tra 25 e 75-90 kg, più o meno “collaborativo”, con
eventuali precedenti di malattia ortopedica trattata o meno e, se trattata, con
pieno successo o, invece, ancora causa di deficit deambulatori di gravità variabile; e/o può trattarsi di un paziente neurologico la cui menomazione va,
anche in questo caso, valutata in modo preciso. Comunque, anche se normale dal punto di vista ortopedico e/o neurologico, può non essere facile, emotivamente, “vederlo” amputato, né da parte del proprietario né del veterinario.
Un ulteriore fattore negativo da considerare è l’eventuale eccessiva obesità.
Il veterinario: anche se non sempre, può profondamente influenzare la decisione del proprietario. Pochi sono i tumori capaci di evocare timore, ma tra
questi vi è di certo l’OSA per la sua aggressività clinico-biologica; se poi a
quest’aspetto si associa la taglia del paziente colpito, il timore diviene ancora maggiore. Pertanto, se la convinzione del veterinario, al di là della “scienza” pubblicata, è che l’OSA è una malattia comunque fatale che non merita
sforzi terapeutici, e/o che la taglia del cane è tale da rendere improponibile
l’amputazione, l’eutanasia è spesso la scelta definitiva del proprietario, preceduta spesso da un periodo variabile di palliazione farmacologica del dolore.
Solo i proprietari particolarmente motivati cercano strade alternative (oggi
anche attraverso internet). Se, al contrario, il veterinario crede nei lavori pubblicati e sia testimone di una professionalità pragmatica, allora proporrà tutte
le alternative terapeutiche possibili, anche mostrando foto e video di cani trattati. Al riguardo, “credere” maggiormente nell’amputazione piuttosto che nel
salvataggio dell’arto, è del tutto comprensibile viste le molte complicanze del
“limb sparing”.
Il proprietario: quest’ultimo può essere decisamente contrario all’amputazione (perché non riesce a “vederlo a tre zampe”) e a ogni altro trattamento
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possibile (“perché tutto troppo complicato”, “l’animale potrebbe “soffrirne”
e/o perché le probabilità di successo oncologico sono troppo ridotte), o desiderare fortemente che si proceda al più presto. Il compito del veterinario non
è convincere. Credo che, se da una parte il veterinario non può e non deve decidere per il proprietario, ha dall’altra l’obbligo di illustrare nel dettaglio al
proprietario le diverse possibilità e i risultati ottenibili.
Le tecniche utilizzabili: il limb sparing “sostitutivo” (con allograft, innesto
autografico pasteurizzato, endoprotesi metallica, innesti vascolarizzati) è
spesso associato a complicanze (infezione, instabilità e cedimento dell’impianto, recidiva locale) che impegnano in modo rilevante l’oncologo chirurgo e medico, il veterinario referente, il proprietario e il cane stesso. Quando
compaiono, sono anche causa di dolore per l’animale e di costi aggiuntivi; in
caso d’infezione, si assiste comunque a un prolungamento della sopravvivenza, presumibilmente per stimolazione immunitaria protratta.9 Anche in caso di
“bone transport osteogenesis” l’impegno richiesto è importante.6 Questi
aspetti fanno preferire a molti chirurghi l’amputazione; solo in casi selezionati (assoluta volontà del proprietario a procedere ed effettiva incapacità del cane a tollerare l’amputazione) il salvataggio dell’arto diventa un’opzione. Requisiti essenziali per il limb sparing sono: idonea localizzazione (radio distale) ed estensione del tumore, ricerca metastasi negativa (TAC torace), paziente in buona salute e collaborativo, proprietario informato dei costi e delle problematiche connesse alla procedura.
L’amputazione, al contrario, è la procedura più semplice, in genere senza
particolari complicanze post-chirurgiche, per eradicare un OSA appendicolare. La distribuzione del peso è in genere 30% su ogni arto anteriore (appoggio statico) e 20% su ciascun posteriore (maggior impegno nella propulsione).8 Dopo amputazione anteriore, il 47% del carico è sopportato dal controlaterale e il 53% dai due posteriori; dopo amputazione posteriore, il 73% del
peso è sugli anteriori e il 27% sul posteriore rimanente.10,11 L’amputazione anteriore determina maggiori problemi di equilibrio, quella posteriore di propulsione; l’adattamento (e quindi il recupero funzionale) è influenzato dalla facilità con cui l’animale riesce a gestire lo spostamento dei carichi e del nuovo centro di gravità. In caso di amputazione posteriore gli anteriori continuano ad agire come lavorerebbero in un cane a quattro arti, con modificazioni
compensatorie minime o nulle; al contrario, il tempo di ricupero dopo amputazione anteriore può essere superiore perché le modificazioni sono più complesse. La motivazione principale contro l’amputazione è in genere il peso
dell’animale che sarebbe causa di una maggiore difficoltà dell’animale ad
adattarsi alla locomozione a 3 arti. Uno studio ha concluso che, sulla base di
un questionario compilato dai proprietari, 41 su 44 cani si sono ben adattati
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alla nuova condizione (la maggior parte entro 1 mese e alcuni entro 1 settimana).12 Le principali lamentele sono state che 1 cane non era stato più in grado
di fare passeggiate lunghe; altre, invece, che alcuni soggetti avevano sviluppato cambiamenti comportamentali (maggior aggressività, ansia, paura, perdita della dominanza o di interesse). Diciannove su 22 proprietari, prima contrari all’amputazione, avevano poi cambiato idea dopo aver costatato il recupero del proprio cane. Il recupero funzionale non era stato influenzato dal peso e dall’età dell’animale o dal fatto che fosse stato amputato un anteriore o
un posteriore. Due ulteriori importanti aspetti di questo studio sono stati che
1) la capacità esplicativa del veterinario specialista piuttosto che del veterinario “di famiglia” aveva consentito alla maggior parte dei proprietari di scegliere meglio, con loro maggior soddisfazione sul livello informativo riguardo il “prima, durante e dopo” e 2) che il consenso famigliare generalizzato
aveva favorito il recupero più rapido del cane. In conclusione, la “paura” dell’amputazione è più un fatto emozionale piuttosto che basato sui fatti e la qualità di vita dei cani amputati, come percepita dai proprietari, è buona, anche a
fronte di potenziali modificazioni comportamentali.
BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
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Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Buracco, Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria,
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino,
Via Leonardo da Vinci 44 10095 Grugliasco (Torino)
Tel 011-670157/8 - Fax 011-6709165 - [email protected]
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La sfida continua:
i tumori dell’urinario
Domenica, 14 luglio 2013, ore 09.00
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RENE: i tumori renali sono rari (1%). Nel cane oltre il 90% è maligno. I
principali sono: carcinoma (adenocarcinoma tubulare, carcinoma a cellule
transizionali), sarcomi diversi, e tumori embrionali (tumore di Wilm, nefroblastoma, nefroma embrionale). La bilateralità è possibile in caso di linfoma
e di cistadenocarcinoma (prevalente nel Pastore tedesco – malattia genetica
associata a dermatofibrosi nodulare paraneoplastica; nelle femmine possono
essere presenti anche polipi e leiomioma uterini). Nel gatto il fenotipo tumorale prevalente è il linfoma.
- Il tasso metastatico dell’adenocarcinoma è fino al 50% (linfonodi, fegato,
polmoni, osso).
- Carcinoma a cellule transizionali: deriva in genere dalla pelvi renale; il
suo tasso metastatico è inferiore all’adenocarcinoma.
- Nefroblastoma: in genere non produce metastasi ma può impiantarsi sul
peritoneo.
- Dopo accurata stadiazione al fine di escludere la disseminazione metastatica (TAC total body), la nefrectomia, in caso di forme unilaterali, è di
scelta. Particolate attenzione va rivolta alla valutazione della funzionalità
del rene controlaterale. L’uretere è legato e resecato il più vicino possibile alla vescica al fine di evitare reflusso. I linfonodi regionali ingranditi
vanno biopsiati o, preferibilmente, rimossi. La nefrectomia parziale, in caso di tumori polari, non è consigliabile a meno che la funzionalità renale
complessiva sia già a un livello critico.
- Al momento non è consigliabile alcun protocollo chemioterapico specifico. In caso di sarcoma, può essere previsto l’uso della doxorubicina adiuvante.
Dermatofibrosi nodulare e cistadenocaercinoma (ecografia)
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Nefroblastoma
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- La chirurgia NON è un’opzione in caso di ciastadenocarcinoma (bilaterale anche se inizialmente unilaterale) ma la sopravvivenza è in genere protratta (mesi-anni).
URETERI: molto rari. Più frequenti sono i tumori renali con estensione all’uretere; in tal caso è di scelta la nefroureterectomia. I tumori primari includono: leiomioma, leiomiosarcoma e carcinoma a cellule transizionali. In casi
selezionati può essere indicata l’ureterectomia parziale, anastomosi terminoterminale e stenting ureterale (con “stent double J tail” al fine di prevenire la
stenosi).
VESCICA: fino al 2% dei tumori canini. Le femmine sono colpite con
maggior frequenza rispetto ai maschi. Anche giovani cani di grossa taglia (<2
anni) ne possono essere colpiti (sarcoma botroide o rabdomiosarcoma embrionale, in genere localizzato a livello del trigono e a volte associato a osteopatia ipertrofica).
- Tumori benigni: fibroma, leiomioma, papilloma.
- Tumori maligni: carcinoma a cellule transizionali, carcinoma squamoso,
adenocarcinoma; più raramente fibrosarcoma, leiomiosarcoma, emangiosarcoma.
- Carcinoma a cellule transizionali:
a) Nel cane è più spesso localizzato a livello del trigono (la cistite poliposa canina è in genere a livello dell’apice e della parte ventrale della vescica). Nel gatto può svilupparsi anche in aree meno critiche.
b) Colpisce soprattutto cani femmina.
c) È invasivo e impiantabile iatrogenicamente (l’ago-aspirazione transcutanea ecoguidata è controindicata – il prelievo è eseguito mediante cistoscopia o cateterizzazione eco-guidata transuretrale)
d) La citologia può sovrastimare la malattia ed è preferibile ottenere un
campione da avviare all’istologia.
e) La disseminazione metastatica linfatica regionale e oltre si verifica in
circa metà dei casi ma solo una piccola percentuale è già metastatica
in presentazione.
f) Talvolta la sua origine è difficile da stabilire (uretra, prostata).
- Ruolo della chirurgia:
a) Cistectomia parziale (fino al 75%): di scelta se il trigono non è coinvolto. Se il trigono è coinvolto, è possibile re-impiantare uno o entrambi gli ureteri ma esiste il rischio concreto di disseminare iatrogenicamente il tumore.
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b)
c)
d)
Cistectomia totale (controversa): deve prevedere il reimpianto degli
ureteri in altra sede (colon ?; moncone uterino o uretra, con inevitabile incontinenza). Le tecniche sostitutive sono sperimentali.
La chirurgia è più spesso palliativa e può essere associata a chemioradioterapia. È essenziale cambiare guanti e strumenti dopo l’escissione al fine di evitare l’impianto iatrogenico in altra sede. Anche in
caso di “margini puliti” all’istologia, la recidiva è ancora possibile. I
margini di escissione dovrebbero essere di almeno 2cm.
La diversione dell’urina (cateterizzazione chiusa con catetere di Foley
o de Pezzer, tubo cistostomico, stent uretrale, etc) è essenziale in caso
di ostruzione a livello del collo; nel frattempo si intraprende il trattamento medico chemioterapico. Se l’ostruzione/occlusione è a livello
degli ureteri, la prognosi è sfavorevole anche se, potenzialmente è possibile applicare degli stent ureterali al fine di ristabilirne la pervietà
- Ruolo della chemioterapia:
a) Da sola o come adiuvante o neoadiuvante.
b) Per controllare la disseminazione metastatica e la crescita del tumore
primario.
c) Aumenta la la sopravvivenza.
d) Piroxicam (metacam nel gatto).
e) Altri + piroxicam: mitoxantrone (sopravvivenza mediana 350 gg, miglioramento nel 75% casi), carboplatino, gemcitabina, etc. In generale, la maggior parte dei proprietari è soddisfatta della palliazione ottenuta.
f) Trattamento intravescicale: purtroppo inefficace per il fatto che il tumore è troppo infiltrato nello spessore della parete.
g) Trattamento multimodale: chirurgia (se fattibile, anche non immediatamente), radio- e chemio-terapia: augurabile per il futuro.
- Fattori prognostici negativi: recidiva e/o metastasi entro 1 anno, localizzazione al trigono, idrouretere e idronefrosi, TNM avanzato, giovane età,
coinvolgimento di uretra/prostata.
URETRA: stessi tumori della VESCICA.
- Carcinoma a cellule transizionali nel terzo prossimale, carcinoma squamoso in genere più distale.
- FEMMINE ANZIANE, dall’uretra al trigono; MASCHIO, dall’uretra prostatica al trigono.
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- Metastasi linfatiche nel 50% dei casi.
- Chirurgia: cistouretrectomia e reimpianto degli ureteri.
- Occasionalmente, escissione marginale di leiomiomi o uretrectomia segmetale e anastomosi termino-terminale (previa apertura del bacino).
- Diversione dell’urina, stenting uretrale (palliativo).
- Chemotherapia: vedi vescica.
- MASCHIO: in caso di carcinoma squamosa uretra peniena → stadiazione
→ amputazione pene, castrazione e uretrostomia scrotale.
BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
1. Nicoli S., Morello E., Martano M., L. Pisoni L., Buracco P. Double-J ureteral stenting in
nine cats for ureteral obstruction (2007-2011). The Vet Journal 194 (1):60-65, 2012.
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3. Withrow SJ, Vail DM, Page RL. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. Elsevier Saunders, 5° edizione, 2013.
Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Buracco, Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria,
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino,
Via Leonardo da Vinci 44 10095 Grugliasco (Torino)
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… e quando i tumori
sono endocavitari?
Domenica, 14 luglio 2013, ore 10.00
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In questa sede ci si occupa dei principali tumori endo-toracici/addominali
aggredibili chirurgicamente. Si forniscono cenni su timoma, tumori polmonari, epatici, splenici e surrenalici.
TIMOMA
Le due principali diagnosi differenziali per una massa mediastinica sono
linfoma e timoma: altre possibili sono chemodectoma, tumori ectopici della tiroide o paratiroide, cisti brachiali, etc. Citologicamente (ago-aspirato ecoguidato transtoracico), il timoma, tumore della parte epiteliale del timo, rivela cellule epiteliali, molti piccoli linfociti e poche mast-cellule; presenti inoltre cellule infiammatorie (neutrofili, eosinofili e monociti). In caso di dubbio la citofluorimetria può essere utile per differenziarlo dal linfoma (≥ 10% piccoli linfociti positivi per CD4 e CD8 in caso di timoma- Lana et al 2006). La diagnostica per immagini prevede l’esame radiografico (che oltre a rivelare la massa
può evidenziare versamento pleurico – potenzialmente chilo - e megaesofago
da compressione o da miastenia gravis paraneoplastica associata a timoma),
ecografico (che rivela la struttura della massa – cistica in caso di timoma) e
TAC (per valutare operabilità). Per tentare di distinguere compressione vs. invasione della vena cava craniale da parte del tumore è più opportuna la venografia giugulare piuttosto che la TC. Le principali sindromi paraneoplastiche
potenzialmente associate a timoma sono miastenia gravis e ipercalcemia e, nel
gatto, dermatite esfoliativa. Dopo escissione del timoma la risoluzione della
miastenia è incerta. L’approccio chirurgico per il timoma è quello sternotomico e solo in caso di lesioni di piccole dimensioni può essere indicato quello laterale toracotomico, in genere sinistro. L’uso combinato di chirurgia, radioterapia e chemioterapia non è stato standardizzato ma è presumibile una risposta
misurabile quando la componente linfocitica del timoma è cospicua. Dopo chirurgia la sopravvivenza è in genere protratta; un fattore prognostico negativo è
rappresentato dall’associazione timoma / miastenia.
TUMORI POLMONARI
Sono rari sia nel cane (1% di tutti i tumori) sia nel gatto. Quasi tutti sono
epiteliali maligni, in particolare adenocarcinomi (bronchiali, alveolari o broncoalveaolari). In genere sono solitari ma è possibile riscontrare anche forme
diffuse. Tra gli epiteliali, si riporta anche il carcinoma squamoso, più raro. I
tumori benigni e la granulomatosi linfomatosa sono rari. La metastatizzazio-
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ne si verifica in > 50% degli adenocarcinomi indifferenziati e il 95% degli
squamosi. Nel gatto, nel 75% dei casi, le metastasi di carcinoma polmonare
si sviluppano a livello delle dita (lung digit syndrome). Aggravamento acuto
è spesso dovuto a versamento pleurico (da rottura o maligno) e pneumotorace. La sindrome paraneoplastica più frequente è l’osteopatia ipertrofica; possibile anche la leucocitosi paraneoplastica. Le procedure diagnostiche prevedono esame radiografico e TC (soprattutto per verificare operabilità e metastasi). Si tenga presente che vi è sempre la possibilità che la lesione sia secondaria e non un TP primitivo; i lobi caudali sono più spesso colpiti da forme
primitive. La citologia di biopsie ad ago sottile trans-toraciche (eco- o TCguidate) può essere controversa (necrosi, infezione) e in caso di lesioni solitarie è preferibile la chirurgia, anche per la diagnosi. Se è presente versamento pleurico, è invece opportuno tentare di stabilire prima se questo è maligno
in quanto, in tal caso, la prognosi è negativa e il ruolo della chirurgia discutibile. TC e toracoscopia sono in tal caso assolutamente determinanti per stabilire l’eziologia del versamento. Un paziente stabile con una massa solitaria
polmonare è potenzialmente un candidato chirurgico. La lobectomia polmonare è possibile anche per via toracoscopia. L’approccio chirurgico migliore
per la lobectomia è quello laterale intercostale (4°-6° spazio), anche per i linfonodi (che sono rimossi o biopsiati). La miglior prognosi (oltre il 50% dei
pazienti vivi a 1 anno) è attribuita agli adenocarcinomi ben differenziati solitari di meno di 5 cm, con linfonodi negativi e assenza di versamento toracico.
L’adenocarcinoma polmonare è caratterizzato da miglior prognosi (sopravvivenza media di 19 mesi) rispetto al carcinoma squamoso (8 mesi di sopravvivenza media), spesso già diffuso alla diagnosi. La localizzazione periferica
vs. ilare del TP è prognostica (sopravvivenza media di 16 mesi vs. 8 mesi).
Allo stesso modo è la sua dimensione: < 5cm vs > 5cm, sopravvivenza media
di 20 mesi vs. 8 mesi. La concomitanza di linfoadenopatia metastatica influisce anch’essa negativamente: 60 gg in caso di coinvolgimento metastatico vs.
sopravvivenza media di 1 anno in caso di linfonodi negativi. Uno studio su 67
cani (McNiel EA et al, 1997) (sopravvivenza mediana 1 anno) ha inoltre evidenziato quanto segue: a) differenze in sopravvivenza a seconda del grado (16
mesi se di basso grado vs. 6 mesi se di alto grado), b) presenza o meno di segni clinici in presentazione (18 mesi se assenti vs. 8 mesi se presenti), c) stadio clinico (26 mesi per tumori T1, 7 mesi per tumori T2 e 3 mesi per T3), d)
stato dei linfonodi (mediana 15 mesi in caso di LNF negativi vs. 11 mesi se
LFN positivi), e) i cani con carcinoma papillare a basso grado sono caratterizzati da sopravvivenza mediana di 17 mesi, gli altri di 1,5 mesi.
I gatti sono colpiti da TP meno frequentemente dei cani e anche in questa
specie i tumori secondari sono più frequenti. Gli istotipi sono simili al cane e
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solo il grado istologico è significativamente correlato con la sopravvivenza
(mediana di 2,5 mesi in caso di tumori indifferenziati vs. 23 mesi se più differenziati).
TUMORI EPATICI
I tumori epatocellulari sono più frequenti nel CANE, gli epatobiliari nel
GATTO.
Altri tumori che possono colpire primariamente il fegato sono: emangiosarcoma (le metastasi da EMS splenico sono più frequenti del primario), linfoma, mastocitoma, sarcoma istiocitico, altri sarcomi, carcinoidi, etc
Ipoglicemia paraneoplastica: occasionalmente in caso di epatoma (carcinoma epatocellulare di basso grado).
I tumori epatocellulari e epatobiliari includono adenoma (cistico nel gatto
– cistadenoma epatobiliare) e carcinoma (colangiocarcinoma se deriva dal sistema biliare). Tipicamente il carcinoma può essere: massivo, nodulare (multifocale) o diffuso (peggior prognosi).
Il colangiocarcinoma è caratterizzato da prognosi peggiore (metastatico
80-87% dei casi) rispetto al carcinoma epatocellulare. La stadiazione si avvale preferibilmente della TAC total body. Preoperatoriamente, è opportuna la
valutazione del profilo coagulativo.
La miglior prognosi è attribuibile al carcinoma epatocellulare massivo,
specie se localizzato nei lobi sinistri dove l’ilo è facilmente riconoscibile (i lobi destro e caudato devono essere separati dalla vena cava caudale). Questo
consente nella maggior parte dei casi un’escissione tumorale completa e una
sopravvivenza protratta (anni). Se la divisione centrale del fegato è eliminata
(lobi quadrato e destro mediale) è necessario procedere anche a colecistectomia. Nel post-operatorio, specie nel cane, è opportuno il trattamento contro i
batteri anaerobi in quanto questi possono essere attivati da un’eventuale
ischemia relativa occorsa durante chirurgie a volte complesse.
TUMORI SPLENICI (EMANGIOSARCOMA)
Le razze retrievier e pastore tedesco sembrano più a rischio per l’emangiosarcoma (EMS). L’incidenza di emoaddome è del 40-60%. Gli episodi acuti
possono talvolta avere risoluzione spontanea, a seguito di rottura parziale dell’organo con successivo riassorbimento dell’emoperitoneo e cicatrizzazione
(aderenze) della parte “rotta”. La morte è solitamente esito di emorragia acu-
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ta, metastasi, CID o aritmia cardiaca. L’EMS splenico del cane è classificato
in 3 stadi: I (confinato alla milza, senza evidenza di metastasi); II (rottura di
milza con emoperitoneo senza macroscopica evidenza di metastasi); III (evidenza di invasione di strutture attigue, presenza di metastasi a livello di linfonodi e altre sedi). L’EMS splenico e cardiaco possono coesistere nello stesso
cane solo in una piccola percentuale di soggetti (8.7%; 2/23) (Boston et al,
2011). Dopo splenectomia sono riportate sopravvivenze mediane di 19-87
giorni, con tasso di sopravvivenza ad 1 anno del 6.25%. L’impiego della doxorubicina adiuvante determina un aumento della sopravvivenza (141 a 273
giorni, a seconda dello stadio clinico).
Sopravvivenze simili sono ottenibili con splenectomia e chemioterapia
metronomica a base di ciclofosfamide, etopiside e piroxicam, somministrata
per via orale (mediana 178 giorni - Lana et al, 2007).
TUMORI SURRENALICI
Possono essere classificati come: adrenocorticali funzionali (eccesso di
cortisolo, Cushing tipico), adrenocorticali funzionali (eccesso di 17-idrossiprogesterone – Cushing atipico), feocromocitoma (da midollare surrenalica,
eccesso di catecolamine) e non funzionale. La diagnosi di tumore surrenalico
può anche essere casuale (“incidentaloma). La diagnosi prevede test endocrini, valutazione periodica della pressione, esame ecografico e TAC/RMN.
L’invasione o la semplice compressione della vena caudale non sono facili da
stabilire prima della chirurgia. Il trattamento del Cushing prima della chirurgia, al fine di diminuire l’incidenza del tromboembolismo perioperatorio, è
consigliato da molti ma non è effettuato di routine; allo stesso modo non è di
routine l’eparinizzazione preoperatoria dei pazienti. L’approccio chirurgico
può essere celiotomico, al fianco o laparoscopico. I trombi nella vena frenico-diaframmatica o già in vena cava caudale devono essere rimossi contestualmente al tumore primario.
Nei pazienti con Cushing, può essere opportuno integrare con glucocorticoidi (solo raramente indicata l’integrazione con mineralcorticoidi – monitorare elettroliti). La mortalità perioperatoria è del 15-20% (emorragia, fibrillazione ventricolare, iper- o ipo-tensione, tromboembolismo, pancreatite, CID,
etc) e sono a maggior rischio i soggetti con adenocarcinoma ≥ 5 cm, più facilmente di altri già con trombi intravenosi; la restante popolazione sopravvive in genere a lungo anche se è fattore prognostico negativo aver subito la surrenalectomia insieme alla rimozione di un altro organo (ad es. rene) o essere
già metastatici (evento raro) (Massari et al 2011).
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… qual è l’approccio terapeutico
più corretto per i tumori
intestinali e perianali?
Domenica, 14 luglio 2013, ore 11.15
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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TUMORI INTESTINALI
I tumori epiteliali maligni sono, nel GATTO, più frequenti a livello del piccolo intestino; nel CANE a livello colorettale (60-70%).
- L’adenocarcinoma del piccolo intestino è spesso in stadio avanzato già in
presentazione, con disseminazione metastatica ai linfonodi meseraici, fegato, etc. Può inoltre coesistere versamento peritoneale, specie nel gatto.
- Il leiomiosarcoma è, nel cane, più probabile a livello del piccolo intestino
ma può colpire anche il grosso intestino. Sempre nel cane può occasionalmente associarsi, in presentazione, a segni neurologici da ipoglicemia paraneoplastica; i GIST (gastro-intestinal stromal tumor) sono più probabili,
oltre che nell’antro pilorico, a livello di valvola ileo-cecale e colon. Le metastasi di GIST sono più precoci e più diffuse di quelle originate dal leiomiosarcoma. La differenziazione tra leiomiosarcoma e GIST (all’immunoistochimica i GIST sono vimentina +, actina-alfa per muscolatura liscia
debolmente + e CD117/c-kit + in molti casi) è importante in quanto i secondi, anche se metastatici, possono essere trattati in forma palliativa con
anti-tirosonchinasici; la sopravvivenza può in tal caso protrarsi anche per
mesi.
- Mastocitoma intestinale: fortunatamente raro, sia nel cane sia nel gatto. La
prognosi è negativa.
- In caso di malignità intestinale solitaria l’enterectomia è di scelta, con
margini di resezione di 4-8cm (tessuto macroscopicamente sano). In caso
di lesione linfomatosa apparentemente solitaria (reperto occasionale) questi margini non sono sufficienti. La valutazione istologica deve essere richiesta sia sulla massa sia sulle estremità di resezione per verificare la
completezza dell’escissione. I linfonodi ingranditi sono biopsiati o, se possibile, rimossi e avviati all’istopatologia. In caso di assenza di disseminazione, dopo escissione chirurgica, la sopravvivenza può essere prolungata.
- I tumori colorettali canini includono: polipi, adenocarcinoma in situ e adenocarcinoma. Le metastasi (a livello dei linfonodi sottolombari e/o colici)
sono rare (adenocarcinoma infiltrativo, in genere a 360°) (Morello et al,
2008). Le procedure chirurgiche attuabili sono:
- Tiflectomia
- Colectomia subtotale/totale
- Pull-out transanale (prolasso mediante suture di trazione) ed escissione
marginale (per polipi, adenocarcinoma in situ e adenocarcinomi polipoidi); in alternativa, l’escissione può essere eseguita per via trans-endoscopica
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- Amputazione rettale pull-through (a partire dalla cute) e transanale (dopo pull-out, con risparmio di 1-2 cm di retto distale) per lesioni del retto distale e medio
- Osteotomia od ostectomia (bilaterale) ischiopubica e resezione colorettale standard / anastomosi termino-terminale. Tale procedura è indicata per adenocarcinomi colorettali più prossimali
- Procedura di Swenson modificata (Morello et al. 2008).
Pull through transanale e anastomosi termino-terminale
Ostectomia ischiopubica e anastomosi termino-terminale dopo resezione colorettale
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- Complicanze: ematochezia (auto-limitante), deiscenza (tensione, devascolarizzazione – più probabile con l’approccio transanale), infezione, stenosi (da tensione +/- scarsa vascolarizzazione più probabile nei cani di piccola taglia)
- Incontinenza fecale: la frequenza di evacuazione può aumentare, le feci
possono risultare più morbide fino a diarrea vera e propria per un certo periodo ma incontinenza vera si osserva solo se il retto distale (1-2cm) non
è conservato (Morello et al, 2008).
TUMORI PERIANALI
Tumori epatoidi del cane: includono adenoma, epitelioma (entrambi ormono-dipendenti) e adenocarcinoma. Le forme ormono-dipendenti sono benigne
e colpiscono soprattutto maschi interi anziani; le femmine colpite sono invece
tipicamente ovariectomizzate (e potenzialmente con Cushing). La metastatizzazione, in caso di adenocarcinoma, è in genere tardiva e si sviluppa nei linfonodi sottolombari nel 10-15% dei casi. Per le forme benigne (anche per sedi
diverse dalla regione perianale) la resezione marginale e la castrazione sono in
genere curative; in caso di adenocarcinoma la resezione en bloc può esitare in
incontinenza se oltre il 50% dello sfintere esterno è rimosso; in caso di linfoadenopatia sottolombare, anche i linfonodi vanno rimossi durante la stessa procedura. Se l’adenocarcinoma è a livello della ghiandola della coda, l’opzione
più ragionevole è l’amputazione. La sopravvivenza è in genere protratta.
Adenocarcinoma dei seni paranali: colpisce femmine anziane, più spesso
sterilizzate, ma anche femmine intere e maschi. Può essere associata a ipercalcemia paraneoplastica (per produzione di una sostanza PTH-like – preferibile
misurare il calcio ionico). Il tumore può colpire anche il gatto. La progressione
metastatica ai linfonodi sottolombari è precoce e frequente e può causare tenesmo defecatorio. Metastasi distanti possono svilupparsi a livello di milza, fegato, polmoni e osso; se le metastasi sono oltre i linfonodi sottolombari, la prognosi diventa decisamente più negativa. L’ipercalcemia rappresenta un’emergenza medica e deve essere trattata in modo appropriato (fluidi, furosemide,
cortisone); se l’ipercalcemia non si risolve, l’unica alternativa è la chirurgia, con
rimozione del tumore prmario e di tutti linfonodi ingranditi. La TAC total body
aiuta nello stabilire il planning chirurgico. Il successo della chirurgia è testimoniato dal rapido normalizzarsi della calcemia. La chemioterapia adiuvante è
proponibile ma il suo ruolo non è del tutto chiaro. La sopravvivenza è in genere di 12-18 mesi od oltre ma se la disseminazione è oltre i linfonodi sottolombari, la sopravvivenza mediana è di soli 3 mesi.
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linfoadenopatia sottolombare
dopo escissione dei linfonosdi
resezione marginale
dell’adenocarcinoma
del seno
BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA
1. Kosovsky JE, Matthiesen DT, Patnaik AK. Small intestinal adenocarcinoma in cats: 32
cases (1978-1985). JAVMA 1988, 192(2):233-5.
2. Kapatkin AS, Mullen HS, Matthiesen DT, Patnaik AK. Leiomyosarcoma in dogs: 44 cases (1983-1988). JAVMA 1992, 201(7):1077-9.
3. Crawshaw J, Berg J, Sardinas JC, Engler SJ, Rand WM, Ogilvie GK, Spodnick GJ, O'Keefe DA, Vail DM, Henderson RA. Prognosis for dogs with nonlymphomatous, small
intestinal tumors treated by surgical excision. JAAHA 1998, 34(6):451-6.
4. Morello E, Squassino C, Iussich S, Caccamo R, Sammartano F, Martano M, Zabarino S,
Bellino C, Pisani G, Buracco P. Transanal pull-through rectal amputation for the treatment of colorectal carcinoma in 11 dogs. Veterinary Surgery 37:420–426, 2008
5. Buracco P., (2012), Colorectal Tumors (Alimentary tract, by Culp WTN, Cavanaugh RP,
Calfee III EF, Buracco P, Banks TA). In: Veterinary surgical oncology, Kudnig S.T., Seguin B., Wiley-Blackwell, Iowa, USA, pp. 223-245, 2012
6. Buracco P. (2012). Perianal tumors (Alimentary tract, by Culp WTN, Cavanaugh RP, Calfee III EF, Buracco P, Banks TA). In: Veterinary surgical oncology, Kudnig S.T., Seguin
B., Wiley-Blackwell, Iowa, USA, pp. 245-262, 2012
7. Withrow SJ, Vail DM, Page RL. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. Elsevier Saunders, 5° edizione, 2013.
Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Buracco, Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria,
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino,
Via Leonardo da Vinci 44 10095 Grugliasco (Torino)
Tel 011-670157/8 - Fax 011-6709165 - [email protected]
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Simona Cancedda
Med Vet, Bologna
… nel percorso di stadiazione
scattiamo qualche foto:
l’importanza dell’imaging
Venerdì, 12 luglio 2013, ore 15.30
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INTRODUZIONE
Al fine di poter trattare in maniera adeguata una neoplasia è fondamentale stabilire, con la maggiore precisione possibile, la sua estensione, sia nella
sua localizzazione primaria sia negli eventuali siti metastatici. Stadiare un tumore è quindi il modo più semplice e standardizzato per dire quanto è esteso
e diffuso nel momento in cui viene diagnosticato. Avere queste informazioni
è fondamentale nell’approccio al paziente oncologico in quanto fornisce elementi utili a definire la prognosi, consente di pianificare la terapia più idonea,
permette di valutare e confrontare i risultati terapeutici raggiunti con il trattamento effettuato. In generale possiamo dire che l’oncologia fa ricorso all’imaging nelle seguenti situazioni:
- risposta ad uno specifico quesito clinico
- stadiazione delle neoplasie
- controllo dell’efficacia della terapia (chemio o radioterapia)
- monitoraggio in pazienti con lesioni sospette
- screening (principalmente in campo umano)
- pianificazione del trattamento (chirurgia e radioterapia). Il piano terapeutico complessivo deve essere messo a punto conoscendo lo stadio raggiunto dalla malattia e l'eventuale presenza di metastasi impone una modifica,
a volte radicale, della terapia.
L’estensione tumorale è stata standardizzata a livello internazionale mediante l’utilizzo di un sistema di classificazione TNM, il quale descrive l’estensione anatomica del tumore basandosi sulla valutazione di tre componenti: T, identifica l’estensione e l’invasività locale del tumore primitivo, N, identifica lo stato dei linfonodi regionali ed M che identifica la presenza o meno di metastasi a
distanza. La valutazione dell’estensione tumorale viene effettuata mediante
esami clinici e indagini strumentali. Di conseguenza, nel momento in cui, dalla visita clinica e/o dagli esami di laboratorio vi è il sospetto di una lesione
neoplastica, per confermare la presenza, la sede e l’estensione dell’eventuale
è indispensabile ricorrere ad esami diagnostici.
Differenti risultano le metodiche di diagnostica per immagini ad oggi disponibili anche in oncologia veterinaria.
RADIOLOGIA CONVENZIONALE
È una delle procedure ampiamente utilizzate, poco costose e di facile esecuzione, alla quale si ricorre sia per indagare la presenza di una neoplasia primaria sia per lo studio di eventuali lesioni secondarie regionali o a distanza.
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Dimensioni e localizzazione della lesione neoplastica sono di fondamentale
importanza nel momento in cui si decide di utilizzare questa tecnica. La bassa sensibilità della radiologia non consente di poter visualizzare lesioni di piccole dimensioni soprattutto se queste sono circondate da strutture con la stessa radiopacità.
Per quanto riguarda lo studio delle lesioni primarie (T) la radiologia fornisce le seguenti informazioni:
- tumori polmonari: se di sufficienti dimensioni sono spesso visibili come
masse singole, localizzate prevalentemente, ma non solo, nei lobi caudali
del polmone. La radiologia consente di fare una prima valutazione delle
dimensioni e dei rapporti con le altre strutture endotoraciche (parete, mediastino), tuttavia queste informazioni non sono sufficienti per programmare con cura un possibile trattamento, per esempio di tipo chirurgico.
- a livello addominale, a causa della sovrapposizione delle strutture e della
radiopacità simile agli organi addominali, la neoplasia deve raggiungere
dimensioni ragguardevoli. In tal caso è fondamentale studiare la dislocazione degli organi adiacenti. Per queste ragioni, la radiologia non consente una diagnosi precoce della neoplasia ma permette di avere delle informazioni in tempi brevi e a costi contenuti in caso di malattia avanzata.
- Per quanto riguarda le neoplasie dello scheletro, la radiologia trova ancora
valida applicazione e anzi rappresenta il metodo diagnostico di prima scelta.
Mediante la valutazione radiografica delle caratteristiche di osteoaggressività, numero e sede delle lesioni e altri parametri quali esami di laboratorio,
anamnesi e segnalamento è possibile giungere alla formulazione di una diagnosi che in ogni caso andrà confermata mediante indagini istopatologiche.
Ricerca di metastasi polmonari: la radiologia consente di identificare noduli polmonari di circa 4-5 mm. Tuttavia, la visualizzazione di un nodulo polmonare non dipende solo dalle sue dimensioni ma anche dalla sede. Di conseguenza, lesioni di maggiori dimensioni possono non venire identificate se il parenchima polmonare non è sufficientemente aerato e produce un sufficiente contrasto radiografico. Per tale ragione è sempre consigliabile effettuare studi radiografici che prevedano 3 proiezioni del torace (due laterali e una sagittale)1-2.
ECOGRAFIA
L’ecografia è un’altra tecnica non invasiva in grado di fornire importanti
informazioni nella stadiazione del paziente oncologico. Essa è particolarmente indicata per lo studio degli organi addominali in quando permette di identificare e fornire precise informazioni di sede, dimensioni e rapporti che una
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lesione contrae con le strutture circostanti. Inoltre è di fondamentale importanza nella valutazione dei linfonodi e nell’individuazione delle lesioni metastatiche a carico degli organi addominali principalmente fegato, milza e reni.
Per quanto riguarda i linfonodi, esistono dei criteri ecografici che possono
aiutare nella differenziazione tra un linfonodo reattivo ed uno metastatico
quali forma, dimensioni medie, ecogenicità e distribuzione dei vasi3. L’ecografia non consente di indagare in maniera adeguata strutture a contenuto gassoso o completamente mineralizzate quale polmone aerato e apparato scheletrico. Mediante esame ecografico è possibile effettuare con estrema precisione e accuratezza prelievi (agoaspirati e biopsie) da lesioni o parenchimi. Uno
dei limiti dell’ecografia è rappresentato dalla bassa specificità, ossia risulta
piuttosto difficile attribuire le alterazioni dell’ecostruttura e dell’ecogenicità a
specifiche cause fisiopatologiche. Per tale ragione, al fine di poter studiare
meglio la perfusione e la vascolarizzazione delle lesioni addominali, è stato
introdotto anche in medicina veterinaria l’utilizzo di mezzi di contrasto ecografici. Tale metodica prende il nome di CEUS (Contrast Enhanced Ultrasound) e ha come obiettivo quello di poter differenziare, in base alla distribuzione delle microbolle nei vasi e capillari, una lesione benigna da una maligna ed i diversi istotipi tumorali. Questa metodica si è dimostrata utile per effettuare un primo screening di lesioni a carico di linfonodi, fegato, milza, prostata4-5. Va ricordato tuttavia, che vi sono aree di sovrapposizione di pattern di
diverso tipo e pertanto questa metodica non sostituisce il prelievo dalla lesione, che risulta fondamentale per la diagnosi definitiva,
METODICHE TOMOGRAFICHE (TC ED RM)
Anche in medicina veterinaria l’adeguata stadiazione del paziente oncologico non può prescindere dall’utilizzo di tecniche, quali Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica (RM) che rispetto alle tecniche convenzionali, forniscono immagini tomografiche caratterizzate da un’elevata risoluzione spaziale e di contrasto. Rispetto alle tecniche viste in precedenza, TC
e RM richiedono per la loro esecuzione un’anestesia generale. La TC è considerata il gold standard per la stadiazione dei tumori in quanto consente di
esaminare ampi settori in tempi brevi permettendo di valutare la lesione primaria e di effettuare contemporaneamente la ricerca metastasi. In particolare,
la TC rappresenta la metodica di elezione per la ricerca di metastasi polmonari consentendo l’individuazione di lesioni del diametro di circa 1 mm e localizzate in aree polmonari di difficile valutazione radiografica6. L’esame tomografico è particolarmente utile in quanto fornisce un’ottima visualizzazio-
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ne sia dei tessuti molli che dei tessuti duri e consente di identificare con precisione sede e dimensioni di lesioni occupanti spazio e visualizzare i rapporti che tali lesioni contraggono con le strutture vicine, fondamentale ai fini di
un’adeguata pianificazione chirurgica. Mediante la somministrazione del
mezzo di contrasto, è possibile valutare in maniera accurata la componente
vascolare della lesione neoplasica e stabilire i rapporti che questa contrae con
le strutture adiacenti. L’esame TC consente di effettuare prelievi bioptici delle lesioni in maniera mirata e localizzate in qualsiasi distretto, compresi i noduli polmonari. Sempre più spesso anche in medicina veterinaria, la TC viene utilizzata per il controllo dell’efficacia della terapia effettuata e per monitorare il paziente nel tempo (follow up). È possibile ricorrere a tale tecnica
diagnostica anche in presenza di impianti metallici o microchip.
In caso di lesioni localizzate a livello di sistema nervoso (centrale e periferico) l’esame di elezione per la valutazione di tali neoplasie è rappresentato dalla Risonanza Magnetica (RM). Per tale metodica non vengono utilizzate radiazioni ionizzanti ma vengono sfruttate le proprietà magnetiche di alcuni atomi
che costituiscono i vari tessuti, in particolare degli atomi di idrogeno, per ottenere immagini con eccellente risoluzione di contrasto. In generale, tale metodica consente di acquisire informazioni accurate in caso di lesioni localizzate in
distretti non in movimento e originatesi a partire dai tessuti molli (es. cavità pelvica e retro peritoneale, testa e collo, arti). Per tale ragione, a causa della presenza di artefatti dovuti al movimento, si hanno dei limiti nella valutazione di
lesioni localizzate a livello di torace e addome craniale. Rispetto alla TC presenta tempi di acquisizione più lunghi e lo studio risulta penalizzato da artefatti causati dalla presenza di impianti metallici o microchip.
POSITION EMISSION TOMOGRAPHY (PET)
In campo umano, la stadiazione del paziente oncologico non può prescindere dall’utilizzo della PET, metodica che permette di identificare la presenza di un tumore ad elevata attività metabolica dopo somministrazione endovenosa di una sostanza radioattiva come il 18F-fluorodesossiglucosio. Questo
tracciante radioattivo si concentra nelle aree del corpo metabolicamente attive ed emette radiazioni. Tale metodica permette quindi di evidenziare lo stato metabolico e funzionale dei tessuti. Sappiamo che gran parte delle malattie sono innescate da alterazioni metabolico/funzionali e che queste precedono le modificazioni anatomiche. Questo consente alla PET di avere una maggiore accuratezza diagnostica rispetto a TC e RM ma una minore risoluzione
spaziale. Per tale ragione si utilizzano sistemi integrati PET-TC che possono
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offrire informazioni funzionali, permettono di giungere ad una stadiazione più
accurata, evitando, in questo modo, che molti pazienti vengano sottoposti a
terapie o interventi inutili. Inoltre, mediante tale metodica è possibile diagnosticare precocemente recidive in atto. Questi sofisticati sistemi di imaging sono stati introdotti anche in Medicina Veterinaria, anche se la scarsa disponibilità e gli elevati costi limitano attualmente la loro presenza a istituti di ricerca o universitari.
IMAGING E TERAPIA
Altro importantissimo ruolo svolto dalla diagnostica per immagini è quello di consentire un’adeguata pianificazione del trattamento principalmente di
quello chirurgico e radioterapico. In particolare la TC rappresenta un indispensabile strumento di supporto per la pianificazione di procedure chirurgiche. In questi casi, la combinazione di immagini ad elevata risoluzione spaziale e di accurate ricostruzioni tridimensionali vascolari e parenchimali facilita significativamente il compito del chirurgo.
La pianificazione del trattamento radioterapico necessita delle più accurate tecniche di diagnostica per immagini. Accanto alla Tomografia Computerizzata, le tecniche di Risonanza Magnetica e di Tomografia ad Emissione di
Positroni (in campo umano), sono oggi in grado di fornire informazioni sia fisiologiche che funzionali sul tumore e sugli organi adiacenti. Mediante l’utilizzo di queste tecniche, viene individuata la patologia tumorale e le strutture
anatomiche adiacenti al fine di definire i volumi tumorali con grande precisione, individuare al meglio il “bersaglio” tumorale e di elaborare un adeguato piano di cura radioterapico. L’accurata progettazione del piano assicura una
copertura omogenea del tumore, salvaguardando il più possibile i tessuti sani
circostanti. Nella pianificazione del trattamento radioterapico, la TC rappresenta l’esame di scelta in virtù dell’elevata accuratezza spaziale. La tecnica di
image fusion TC-RM, consentendo di integrare elettronicamente le informazioni anatomo-strutturali fornite dalle immagini TC con quelle, sovente complementari fornite dalla RM, può portare un contributo determinante al fine di
ottimizzare la definizione dei contorni del volume bersaglio e dei tessuti sani
circostanti. Tale metodica è, infatti, in grado di combinare la superiorità della RM nella sensibilità diagnostica con quella della TC nella definizione spaziale. Oltre all’acquisizione delle immagini utili ai fini della pianificazione radioterapica, l’esame TC consente di posizionare l’animale all’interno di particolari sistemi di posizionamento (bite block e moulage) che poi vengono utilizzati durante le sedute di radioterapia.
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BIBLIOGRAFIA
1. Forrest LJ. (1992) Radiology corner-advantages of the three view thoracic radiographic
examination in instances other than metastasis. Vet Radiol Ultrasound 33:340-341.
2. Bathez PY, Hornof WJ, Theon AP et al. (1994) Receiver operating characteristic curve
analysis of the performance of various radiographic protocols when screening dogs for
pulmonary metastases. J Am Vet Med Assoc 204(2):237-240.
3. Nyaman HP, Kristensen AT, Skovgaard IM, Martinussen T, McEvoy FJ (2005) Characterization of normal and abnormal canine superficial lymph nodes using gray-scale B-mode, color flow mapping, power, and spectral Doppler ultrasonography: a multivariate study. Vet Radiol Ultrasound 46(5):404-10.
4. Rossi F, Leone VF, Vignoli M, Terragni R. (2008) Use of contrast-enhanced ultrasound
for characterization of focal splenic lesions. Vet Radiol Ultrasound 49:154-164.
5. O’Brian B, Iani M, Matheson J et al. (2004) Contrast Harmonic Ultrasound of spontaneous liver nodules in 32 dogs. Vet Radiol Ultrasound 45:547-553.
6. Nemanic S, London CA, Wisner ER. (2006) Comparison of thoracic radiographs and single breath-hold helical CT for detection of pulmonary nodules in dogs with metastatic
neoplasia. J Vet Intern Med 20(3):508-15.
Indirizzo per la corrispondenza:
Simona Cancedda - Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1/4 - 40037 Sasso Marconi (Bologna)
[email protected]
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Simona Cancedda
Med Vet, Bologna
Pianifichiamo il trattamento:
radioterapia, quando e perché
Sabato, 13 luglio 2013, ore 10.00
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La radioterapia (RT) è un’opzione terapeutica utilizzata sempre più frequentemente anche in medicina veterinaria per il trattamento delle lesioni
neoplastiche e prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti con lo scopo di distruggere le cellule tumorali. Gli stessi raggi X utilizzati a basse energie per
finalità diagnostiche (radiologia o TC), ad alte energie hanno proprietà distruttive nei confronti di diversi tipi di cellule. Il danno cellulare deriva principalmente dall’azione diretta delle radiazioni sul DNA cellulare o indirettamente, in seguito alla formazione di radicali liberi citotossici prodotti a partire dall’interazione delle radiazioni con le molecole di acqua intracellulare e la
matrice intercellulare. Anche i vasi tumorali che portano sostentamento al tumore vengono danneggiati dalle radiazioni ionizzanti mediante azione indiretta. Le cellule dei tessuti normali possiedono meccanismi naturali di riparazione del DNA, mentre le cellule tumorali non hanno questa capacità e sono
pertanto, maggiormente esposte ad un danno da radiazioni.
Vi è uno storico conflitto tra i pro ed i contro di un trattamento radioterapico. Il pro è rappresentato dalla capacità della radioterapia di agire efficacemente sulle cellule tumorali. Ciò richiede alte dosi radianti che riescono ad
inibire la crescita delle cellule neoplastiche e determinano la loro involuzione fino alla morte. Il contro è l’esposizione, intorno o vicino alla massa, di organi e tessuti sani che a loro volta subiscono danni secondari all’irradiazione.
Risulta quindi fondamentale ridurre al massimo gli effetti collaterali sui tessuti circostanti. A tal fine è indispensabile:
- Limitare la dose – nella terapia di masse tumorali situate in zone particolarmente critiche, la dose totale viene ridotta, preferendo attenuare la potenzialità terapeutica e diminuendo nello stesso tempo il rischio consistente di produrre effetti collaterali importanti. Nei casi più complessi si può,
per esempio, optare per un trattamento più breve (cosiddetto palliativo). Si
tratta di casi in cui la prognosi è influenzata negativamente da uno stadio
tumorale avanzato, da una localizzazione sfavorevole o da scarse condizioni cliniche del paziente. In questi casi, la neoplasia non può essere controllata in maniera definitiva e il trattamento radioterapico ha principalmente l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del paziente ed eventualmente di prolungare la sopravvivenza, controllando temporaneamente la
sintomatologia algica e le alterazioni funzionali che frequentemente si associano al tumore.
- Frazionare la dose – In medicina veterinaria, vengono utilizzati differenti
tipi di protocollo. Quando il trattamento ha finalità curativa (in caso di tumori curabili o controllabili per un lungo periodo di tempo) è prevista la
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somministrazione di una piccola dose di radiazioni, di solito quotidiana, ripetuta per diversi giorni (fino ad un massimo di 20 frazioni). Ciò consente di applicare una dose totale adeguata, con conseguente danno alle cellule tumorali e risparmio dei tessuti sani circostanti. Infatti, i tessuti normali hanno la capacità di riparare il danno da radiazioni più velocemente
ed efficacemente rispetto alle cellule neoplastiche, con il risultato finale di
riportare danni più contenuti.
- Concentrare le radiazioni sul bersaglio – grazie all’utilizzo di apparecchiature e di sistemi di posizionamento sempre più precisi, è possibile limitare in modo molto accurato l’azione del fascio radiante su un obiettivo mirato, il tumore, preservando gli organi e i tessuti sani circostanti. Mediante la cosiddetta 3D-CRT (Radioterapia Tridimensionale Conformazionale)
il volume tumorale è ricostruito in tre dimensioni e assieme ad esso gli organi critici circostanti. Un computer dedicato alla pianificazione (TPS,
Treatment Planning System) consente di utilizzare le immagini ottenute
mediante TC per pianificare il trattamento e valutare la distribuzione tridimensionale della dose a livello del tumore e degli organi adiacenti. È possibile così creare e analizzare degli istogrammi dose-volume del tumore e
degli organi a rischio. Il piano ideale è quello che prevede la somministrazione del 100% della dose al 100% del tumore. Sono considerate accettabili variazioni più o meno del 5 - 7.5%.
PRINCIPALI INDICAZIONI
Differenti e numerose sono le patologie per le quali è possibile ricorrere
alla radioterapia. In generale. possiamo dire che tale tipologia di trattamento
risulta utile soprattutto in caso di tumori solidi localizzati, la cui rimozione
completa è impossibile o comporta un difetto estetico inaccettabile. Questa
tecnica trova indicazione principalmente in tutti i casi in cui la neoplasia è stata asportata chirurgicamente ma, a causa della localizzazione e/o estensione
della stessa, non è stato possibile ottenere margini indenni ed occorre di conseguenza sterilizzare il letto chirurgico (radioterapia adiuvante). Altre volte,
la lesione non può essere escissa chirurgicamente e la radioterapia ha in questi casi la funzione di ridurre le dimensioni della lesione e, se possibile, renderla asportabile chirurgicamente in un secondo momento (radioterapia neoadiuvante). In altri casi, l’intento della radioterapia è quello di migliorare la
qualità di vita del paziente, più che ambire ad un prolungamento della sopravvivenza. Tale tipologia di trattamento viene definito palliativo e ha la funzio-
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ne principale di controllare localmente il dolore provocato dalla neoplasia, ridurre le dimensioni della massa e l’eventuale sanguinamento.
Tumori del sistema nervoso
La radioterapia rappresenta un’efficace modalità terapeutica per le neoplasie del sistema nervoso. In particolare, viene utilizzata in maniera ottimale per
il trattamento dei tumori cerebrali quale unica modalità (lesioni non aggredibili chirurgicamente per localizzazione o dimensioni) o in setting adiuvante
nel momento in cui la chirurgia non ha raggiunto la radicalità d’escissione. In
tale distretto anatomico difficilmente si giunge ad avere una diagnosi istologica della lesione trattata. In ogni caso, con tale metodica vengono irradiati
sia meningiomi che tumori primitivi (quali glioblastomi, macroadenomi e
carcinomi ipofisari, papillomi e carcinomi dei plessi corioidei). I protocolli
prevedono la somministrazione di una dose totale di 45-50 Gy suddivisa in
15-20 frazioni. Pazienti con sintomatologia neurologica manifestano un netto
miglioramento già dopo poche frazioni di radioterapia e la sopravvivenza mediana in questi casi è di circa 23 mesi1. La dose tollerabile dipende comunque
dalle dimensioni e dalla localizzazione del tumore. Particolare attenzione deve essere posta nel momento in cui si irradiano lesioni che interessano zone
sensibili del SNC quali tronco encefalico e midollo allungato.
Tumori nasali e del planum
La radioterapia rappresenta il trattamento di scelta delle neoplasie nasali
sia nel cane che nel gatto. Tali neoplasie sono aggressive localmente e caratterizzate da un tasso di recidiva piuttosto elevato, per cui il controllo locale a
lungo termine risulta piuttosto difficile da ottenere. Per tali tipologie di tumori i protocolli utilizzati cambiano a seconda dello stadio tumorale e il numero
di frazioni varia da un minimo di 5 ad un massimo di 16. La sopravvivenza
mediana dei cani affetti da neoplasie nasali trattate con radioterapia oscilla dai
7 ai 21 mesi2. Nel gatto, il linfoma è il tumore nasale più frequentemente trattato, soprattutto per le forme localizzate con staging negativo, e i tempi di sopravvivenza ottenuti con sola radioterapia sono di circa 24 mesi3. Il carcinoma squamocellulare a livello di planum nasale è un tumore piuttosto comune
nel gatto. La terapia di elezione è chirurgica, associata in alcune volte a radioterapia adiuvante. Nei casi in cui il risultato estetico dopo nosectomia può non
risultare soddisfacente, in presenza di lesioni estese e invasive per le quali non
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è possibile effettuare una resezione chirurgica, o profonde (profondità > 5
mm) tali da non permettere l’utilizzo della terapia fotodinamica, è possibile
utilizzare la radioterapia. ottenendo un tasso di remissione completa del 94%
e un intervallo mediano libero da malattia di 414 giorni4. Attualmente, il protocollo accelerato, che prevede 2 frazioni al giorno per 5 giorni consecutivi, è
quello più promettente per il trattamento di queste neoplasie.
Tumori orali
Mediante radioterapia è possibile trattare tutte le varie tipologie tumorali
che si localizzano a livello orale. Nella quasi totalità dei casi, il trattamento
radioterapico viene utilizzato come unica modalità terapeutica o dopo chirurgia per sterilizzare il focolaio neoplastico residuo. Raramente si ricorre a radioterapia neoadiuvante, in quanto si associa ad elevata percentuale di deiscenza della ferita dopo intervento chirurgico. Le epulidi acantomatose risultano estremamente radioresponsive, con controllo locale della neoplasia a
lungo termine (3 anni) nel 90% dei pazienti5. Il carcinoma squamocellulare
(SCC) nel cane risulta controllato nell’80% dei pazienti trattati con sola radioterapia con un intervallo libero da progressione neoplastica di 36 mesi6.
Per i sarcomi orali, al fine di ottenere un controllo locale a lungo termine, è
necessario impostare un trattamento multimodale che prevede la combinazione di chirurgia e radioterapia più o meno chemioterapia. Con il solo trattamento radioterapico, i tempi di sopravvivenza riportati sono inferiori all’anno sia con protocollo curativo che palliativo7. Questo risultato non è stato
confermato da un recente studio che, prendendo in considerazione solo i fibrosarcomi orali, riporta tempi di sopravvivenza notevolmente più lunghi per
i pazienti trattati con protocollo curativo (825 giorni vs 204 giorni del trattamento palliativo)8. La combinazione di chirurgia e radioterapia consente di
prolungare i tempi di controllo locale8. Altra neoplasia orale frequente nel cane è il melanoma per il quale è risaputo che il protocollo radiante deve essere ipofrazionato, con una dose per singola frazione > 4 Gy. In questo caso i
tempi di sopravvivenza oscillano tra i 211 e 363 giorni9-10.
Nel gatto il carcinoma squamocellulare risulta piuttosto difficile da controllare a causa del suo comportamento aggressivo ed invasivo localmente. Il
trattamento multimodale è quello che al momento ha dato i risultati più promettenti. Un studio recentemente pubblicato prevedeva trattamento medico
(talidomide, piroxicam e bleomicina) associato ad un protocollo radioterapico accelerato (2 frazioni al giorno, per 5 giorni consecutivi) ed eventuale
escissione chirurgia11.
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Sarcomi dei tessuti molli
I sarcomi dei tessuti molli sono tumori invasivi, di conseguenza il trattamento prevede prima di tutto, terapie in grado di controllare localmente la
neoplasia. È fondamentale quindi, in presentazione, considerare la chirurgia
come prima opzione terapeutica. Nel momento in cui questa non riesce a raggiungere l’obiettivo di una radicalità di escissione o non è possibile ricorrervi per localizzazione o dimensioni del tumore, la radioterapia è di fondamentale importanza nel controllo locale della neoplasia. Nel primo caso, il protocollo radioterapico adiuvante è di solito curativo e prevede la somministrazione di una dose totale di circa 45-48 Gy, suddivise in 16-18 frazioni, ottenendo una sopravvivenza a 5 anni nel 75% dei pazienti12. La maggior parte dei
sarcomi è radio resistente per cui, data l’impossibilità di ottenere un adeguato controllo locale, il trattamento radioterapico è limitato a poche frazioni e
prevede la somministrazione di una dose totale che non supera i 30 Gy. In tal
caso, l’obiettivo è quello di alleviare l’eventuale dolore provocato dalla neoplasia, ristabilire la funzionalità della parte lesa e ottenere remissione parziale o malattia stabile.
Per i sarcomi iniettivi il trattamento consigliato è quello multimodale. Anche in caso di escissione chirurgica completa (margini liberi), la radioterapia
di tipo curativo, deve essere sempre presa in considerazione e permette di ottenere tempi di sopravvivenza mediani piuttosto lunghi (47 mesi)13. In caso di
lesioni non asportabili, la radioterapia è indicata in setting neoadiuvante o
adiuvante, associata a chemioterapia.
Mastocitoma
La tipologia di trattamento radioterapico da effettuarsi in presenza di mastocitomi (MCT) viene scelta considerando grado istologico, stadio clinico,
dimensioni, localizzazione della lesione e condizioni generali dell’animale. In
caso di escissione incompleta, la radioterapia ha la funzione di sterilizzare il
letto chirurgico e portare ad un controllo locale a 3 anni in > 90% dei casi14.
Il trattamento palliativo prevede la somministrazione di alte dosi a intervalli
di tempo più distanziati. In casi considerati ad alto rischio, ad esempio per
grado o localizzazione, è fondamentale ricorrere a trattamenti aggressivi multimodali.
Altre neoplasie che possiamo controllare ricorrendo alla radioterapia sono
rappresentate da:
- adenocarcinoma dei sacchi anali
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-
adenocarcinoma delle ghiadole perianali
carcinoma tiroideo
timoma
linfoma localizzato o multicentrico
La radioterapia trova inoltre applicazione per il trattamento di lesioni benigne quali artrosi, granulomi da leccamento, sialocele e nel gatto stomatiti/gengiviti. In questi casi, vista la natura delle lesioni, la dose somministrata
risulta notevolmente più bassa.
BIBLIOGRAFIA
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13. Eckstein C, Guscetti F, Roos M et al. (2009) A retrospective analysis of radiation therapy for the treatment of feline vaccine-associated sarcoma. Vet Comp Oncol 7:54-8.
14. Frimberger AE, Moore AS, LaRue SM et al. (1997) Radiotherapy of incompletely resected, moderately differentiated mast cell tumors in the dog: 37 cases (1989–1993). J Am
Anim Hosp Assoc 33:320–324.
Indirizzo per la corrispondenza:
Simona Cancedda - Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1/4 - 40037 Sasso Marconi (Bologna)
[email protected]
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Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna
Dalla presentazione del caso
alla pianificazione del trattamento:
il percorso a tappe
della stadiazione clinica
Venerdì, 12 luglio 2013, ore 14.45
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L’approccio al paziente oncologico inizia con l’anamnesi accurata e la visita clinica. È quindi necessario inquadrare il tumore da un punto di vista patologico mediante citologia e/o istologia, per poi procedere con la stadiazione.
La stadiazione rappresenta la valutazione di estensione anatomica di una
neoplasia, e permette di definire in modo standardizzato quanto è voluminoso e diffuso il tumore al momento della diagnosi.
La stadiazione è una tappa fondamentale, poiché fornisce le informazioni
con cui viene scelta la terapia, definita la prognosi, valutati i risultati di trattamento, scambiate informazioni tra diversi centri oncologici e facilitata la ricerca. Pertanto, i medici veterinari che gestiscono pazienti oncologici devono abituarsi a ricercare e registrare i dati di stadiazione, dal momento che questi rappresentano il corredo minimo di informazioni per affrontare ogni singolo caso.
Il tumore deve essere obbligatoriamente stadiato alla diagnosi, perché il
clinico possa fornire dati essenziali per la prognosi e per la scelta del trattamento. Lo staging non può prescindere dalla conoscenza dell’istotipo, dal
momento che tumori diversi hanno diverso comportamento biologico, diverse modalità metastatiche (diffusione per via linfatica, ematogena, per continuità, per contiguità), e diversi organi bersaglio di metastatizzazione.
Da quanto detto emerge quindi che la stadiazione clinica del paziente oncologico è di cruciale importanza per diversi motivi: consente di formulare
una prognosi, di mettere a punto un piano terapeutico complessivo basato sullo stadio raggiunto dalla malattia neoplastica, e di modificare radicalmente tipo di terapia ed intento in caso di metastasi a distanza.
SISTEMA TNM
L’estensione della malattia neoplastica è stata internazionalmente standardizzata mediante il sistema di classificazione TNM.1-5 La classificazione
TNM costituisce un punto di riferimento comune e scientificamente valido;
inoltre, essendo riproducibile, consente di confrontare le casistiche sia all’interno della stessa istituzione, sia tra istituzioni diverse. La stretta correlazione che esiste tra stadio clinico della neoplasia, opzioni terapeutiche e prognosi è di estrema importanza per il paziente oncologico, per il suo proprietario
e per il veterinario curante. La classificazione TNM è costituita dalle voci T
(dimensione ed invasività locale del tumore primitivo), N (stato dei linfonodi
regionali), e M (presenza o meno di metastasi a distanza). Il sistema TNM è
applicato per la valutazione di tumori solidi (come ad esempio mammari, polmonari, genito-urinari). La principale limitazione riguarda l’impossibilità di
stadiare le neoplasie sistemiche e diffuse come linfomi e leucemie.
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Il sistema di stadiazione TNM propone una stadiazione clinica (cTNM),
una chirurgica (sTNM) ed una patologica (pTNM). La stadiazione cTNM si
basa sui risultati ottenuti prima dell’inizio della terapia, e si avvale di esami
clinici (esame obiettivo generale e particolare) e strumentali (diagnostica per
immagini, endoscopia, biopsia). Grazie allo sviluppo delle moderne tecniche
di diagnostica per immagini, è infatti spesso possibile ottenere campioni diagnostici citologici o istologici mediante prelievo endoscopico o CT-guidato,
senza dover ricorrere alla chirurgia.
La chirurgia assume ruolo diagnostico quando le tecniche non-invasive si
rivelano inapplicabili per la sede della lesione, oppure inefficaci a garantire
campioni necessari per la prevalenza di materiale necrotico o per le ridotte dimensioni della lesione polmonare. sTNM è particolarmente importante laddove l’esito patologico possa modificare l’estensione dell’intervento chirurgico
o il tipo di approccio terapeutico.
La stadiazione pTNM rappresenta un perfezionamento delle altre ed ha
importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche; essa si basa sulla valutazione del campione istologico asportato chirurgicamente. pTNM consente di
valutare: radicalità di escissione del tumore (in caso di chirurgia radicale) valutando i margini di resezione, presenza di eventuale coinvolgimento intra-parenchimale e linfonodale, istotipo.
La stadiazione clinica è quindi essenziale per la scelta della terapia,
mentre la stadiazione patologica fornisce valide informazioni per formulare una prognosi e utili indicazioni sull’opportunità di eseguire o meno terapie adiuvanti. È importante sottolineare che, una volta stabilita, la stadiazione clinica non può più essere modificata, neanche se i dati forniti dall’intervento chirurgico (ad esempio linfadenectomia profilattica) indicano
uno stadio più avanzato. Tale norma generale è fondamentale ai fini di un
confronto scientificamente valido tra i risultati di chirurgia, chemioterapia,
e/o radioterapia.
In merito a T, T0 indica assenza di tumore evidente (occulto o precedentemente rimosso), Tis un carcinoma in situ (cute e cornea), T1,2,3,4 gradi crescenti di estensione del tumore primitivo. Si indica Tx quando non è possibile evidenziare il tumore primitivo (dati insufficienti).
Per alcuni tumori la dimensione di T si correla alla prognosi (come ad
esempio per neoplasie mammarie), per altri invece T si riferisce all’invasività locale (è il caso di neoplasie ossee, vescicale, testicolari e prostatiche). Per
altri tumori ancora T è del tutto irrilevante, dal momento che ai fini prognostici è più importante la via di diffusione; è il caso ad esempio dei tumori ovarici e polmonari.
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Il linfonodo sentinella (N) rappresenta il primo linfonodo che accoglie vasi linfatici provenienti dalla regione anatomica in cui si è sviluppato il tumore (e che quindi lo drenano).6 La valutazione istopatologica del linfonodo sentinella riflette l’estensione neoplastica regionale, con ovvie implicazioni prognostiche e terapeutiche. La biopsia del linfonodo satellite è eseguita sempre
più spesso in oncologia umana, per la corretta stadiazione e l’identificazione
di eventuali micrometastasi, non altrimenti riconoscibili. Le micrometastasi
sono infatti impossibili da identificare mediante normali test di screening, e
sono ritenute responsabili della disseminazione neoplastica sistemica tardiva.
Metodi utilizzati in medicina veterinaria per valutare il linfonodo sentinella sono: escissione chirurgica (linfadenectomia), valutazione citologica (che
tuttavia può dare falsi negativi), scintigrafia, iniezione peritumorale di colorante blu associato a tracciante radioattivo.
Per definire N, è importante stabilire se i linfonodi regionali sono fissi o
mobili, le loro dimensioni, la loro consistenza, il coinvolgimento singolo o
multiplo, ipsilaterale o controlaterale, e l’eventuale distribuzione bilaterale.
N0 indica che non vi è evidenza clinica di metastasi ai linfonodi regionali.
N1,2,3,4 indicano gradi crescenti di interessamento dei linfonodi regionali. Nx
indica che non è possibile valutare i linfonodi regionali (dati insufficienti). Le
metastasi ai linfonodi non regionali sono considerate metastasi a distanza.
Lo stato N ha importantissime implicazioni prognostiche per molti tumori solidi, come ad esempio per le neoplasie di testa e collo, vescicali ed intestinali, dal momento che riflette l’impossibilità di intervenire efficacemente
sul tumore primitivo. I linfonodi fissi (N3) sono tipicamente chirurgicamente
non rimovibili e pertanto si accompagnano ad una prognosi per lo più sfavorevole. Infine, il coinvolgimento linfonodale spesso riflette l’elevata probabilità di diffusione ematogena (neoplasie mammarie).
In merito a M, M0 indica che non ci è alcuna evidenza clinica di metastasi a distanza, mentre M1 indica che vi sono metastasi (diverse dai linfonodi regionali), ed in questo caso è necessario specificarne la sede. Mx indica che è
impossibile verificare la presenza di metastasi.
La presenza di metastasi a distanza definisce in modo chiaro i pazienti in
operabili e si accompagna nella maggior parte dei casi a prognosi infausta. M
può essere definito clinicamente, ma il più delle volte richiede indagini strumentali.
Le indagini diagnostiche collaterali, quali radiografia, ecografia, endoscopia, CT, e risonanza magnetica hanno notevolmente migliorato l’accuratezza
della classificazione clinica TNM. Nel complesso, un tumore viene conside-
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rato tanto più avanzato quanto più è voluminoso ed esteso oltre l’organo sede
primitiva d’insorgenza (ai linfonodi o all’intero organismo): la combinazione
delle variabili descritte determina quindi l’assegnazione del tumore a uno stadio generalmente compreso fra il primo e il quarto. All’interno di ciascuno
stadio l’esperienza scientifica ha messo e va progressivamente mettendo a
punto il miglior protocollo di trattamento possibile, tenendo conto della oggettiva speranza di successo e dei possibili effetti collaterali della terapia su
quel tumore in quello stadio.
SISTEMA WHO
Le neoplasia emopoietiche (linfomi e leucemie) ed i mastocitomi vengono
stadiati secondo il sistema WHO.
• Linfoma nel cane7
Il sistema WHO suddivide il linfoma in base alla forma anatomica e raggruppa i cani secondo distribuzione di coinvolgimento linfonodale (stadio IIII), epatico e/o splenico (stadio IV) e midollare, ematico e/o di altri organi
(stadio V).
Ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle lettere a o b, che
indicano, rispettivamente, assenza o presenza di sintomi sistemici. La presenza di ipercalcemia fa rientrare il paziente in sottostadio b.
• Linfoma nel gatto8
La stadiazione clinica proposta è riportata in Tabella 1.
Anche nel gatto ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle
lettere a o b, che indicano rispettivamente assenza o presenza di sintomi sistemici.
• Mastocitoma cutaneo nel cane9
Secondo la classificazione WHO, esistono 5 stadi clinici in cui inserire i
cani con MCT. La stadiazione è stabilita valutando tumore primitivo e presenza di metastasi regionali (stadio II) e a distanza (stadio IV). Il principale
limite della stadiazione proposta riguarda la definizione di III stadio, in assoluto il più controverso. Lo stadio III viene attribuito a pazienti che mostrano
tumori dermici multipli oppure un unico tumore infiltrante e voluminoso con
o senza metastasi al linfonodo satellite, senza tuttavia definire “infiltrante” e
“voluminoso” (Tab. 2).
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TABELLA 1
Stadio I
- neoplasia singola (extranodale).
- interessamento di una sola area anatomica (nodale), compresa una neoplasia primitiva toracica.
Stadio II
- singola neoplasia extranodale con coinvolgimento di linfonodo regionale.
- interessamento di due o più aree nodali sullo stesso lato
del diaframma.
- due neoplasie singole (extranodali) con o senza interessamento di linfonodi regionali sullo stesso lato del
diaframma.
- neoplasia primitiva gastroenterica (generalmente in area
ileocecale), ben asportabile, con o senza interessamento
di linfonodi meseraici.
Stadio III
- due neoplasie singole extranodali in regioni opposte rispetto al diaframma.
- interessamento di due o più aree nodali cranialmente e
caudalmente al diaframma.
- lesioni primitive intraddominali estese e non asportabili.
- neoplasie paraspinali o epidurali, indipendentemente da
altri siti neoplastici.
Stadio IV
- stadio I-III con coinvolgimento di fegato e/o milza.
Stadio V
- stadio I-IV con iniziale coinvolgimento di sistema nervoso centrale e/o midollo osseo.
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TABELLA 2
Stadio 0
lesione solitaria dermica, escissa senza radicalità, senza coinvolgimento linfonodale
Stadio I
lesione solitaria dermica senza coinvolgimento linfonodale o metastasi a distanza
Stadio II
lesione solitaria dermica, con coinvolgimento linfonodale
Stadio III
lesioni multiple dermiche o presenza di tumore voluminoso infiltrante, con o senza coinvolgimento linfonodale. Nessuna evidenza di metastasi a distanza
Stadio IV
qualunque lesione con metastasi a distanza (incluso coinvolgimento ematico o midollare)
A: asintomatico; B: sintomatico
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Indirizzo per la corrispondenza:
Centro Oncologico Veterinario - Via San Lorenzo 1-4 - 40037 Sasso Marconi (BO)
[email protected]
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79° CONGRESSO NAZIONALE SCIVAC
Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna
Pianifichiamo il trattamento:
chemioterapia, quando e perché
Sabato, 13 luglio 2013, ore 11.15
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Chirurgia e radioterapia rappresentano modalità terapeutiche locali o locoregionali; tuttavia, rimuovere o trattare localmente ciò che è visibile, non esita sempre in cura del paziente. La chemioterapia quale terapia adiuvante è indicata nel caso di tumori con elevato potenziale metastatico e comportamento biologico aggressivo. Per tumori che interessano l’intero organismo (ad
esempio, linfoma o leucemie), la chemioterapia rimane l’opzione terapeutica
d’elezione.
Nel caso di tumori disseminati (metastatici), lo scopo di chemioterapia è
palliativo. La terapia palliativa ha lo scopo di mantenere buona qualità di vita alleviando i sintomi, possibilmente prolungando anche sopravvivenza (che
però non è la finalità principale). È di estrema importanza che la chemioterapia offra in questi casi un bilancio favorevole tra beneficio e tossicità derivante dal trattamento.
Per ottenere la massima attività antitumorale è necessario utilizzare più
farmaci in strategie combinate o sequenziali. I tumori avanzati non possono
essere curati con agenti chemioterapici singoli. Anche se inizialmente chemiosensibili, l’eterogeneità molecolare dei tumori garantisce la proliferazione secondaria di cellule chemioresistenti. La combinazione di chemioterapici
è pertanto più efficace.
Per chemioterapia combinata s’intende la somministrazione di più chemioterapici contemporaneamente, mentre il regime sequenziale prevede la
somministrazione alternata di diversi agenti (uno dopo l’altro).1
I principi guida formulati per combinare tra loro diversi chemioterapici sono i seguenti:1
1. Includere chemioterapici di provata efficacia sul tumore (tasso di risposta
≥ 30%). Sono da prediligere chemioterapici che in monoterapia (trias clinici di fase 2) hanno dato almeno qualche caso di remissione completa.
2. Includere chemioterapici che agiscano con diversi meccanismi, per ottenere effetto additivo o sinergico e prevenire reattività crociata.
3. Includere chemioterapici che abbiano differente tossicità dose-limitante,
per poter utilizzare per ogni farmaco la piena dose terapeutica senza produrre danno cumulativo a carico di un singolo organo (garantendo così
l’intensità di dose). Dal momento che la maggior parte dei chemioterapici
ha tossicità midollare dose-limitante, la mielosoppressione che deriva dalle strategie combinate comporta spesso una riduzione di dose.
Il razionale della strategia chemioterapica combinata si basa sulle osservazioni di Goldie-Coldman, che suggeriscono di utilizzare quanti più chemioterapici possibili (dal diverso meccanismo d’azione ma dalla provata efficacia) il
più precocemente possibile. In molti casi, tuttavia, i chemioterapici non possono essere somministrati contemporaneamente, per interferenza competitiva o
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sovrapposizione di tossicità. In questo caso, si opta per strategie alternate o sequenziali, volte a somministrare il chemioterapico a pieno dosaggio (intensità
di dose). Il regime alternato, oltre a ridurre la tossicità, riduce anche i costi di
eventuali ospedalizzazioni o terapia di supporto con stimolatori midollari.2,3
Goldie e Coldman hanno quindi introdotto altri principi guida nella scelta
di regimi combinati:
4. Includere chemioterapici con differenti meccanismi di resistenza.
5. Somministrare chemioterapici a dosaggi più elevati per diminuire la probabilità di chemioresistenza.
L’approccio terapeutico moderno al cancro (essenzialmente tumori solidi caratterizzati da un comportamento biologico aggressivo) prevede spesso trattamenti multimodali, in altre parole chirurgia e radioterapia per il controllo locale, e chemioterapia per il trattamento di malattia metastatica (sia foci micrometastatici sia macrometastatici). I cosiddetti protocolli di associazione combinano diverse strategie terapeutiche nel tentativo di ottenere sinergie ed effetti di
potenziamento, per migliorare in ultimo la prognosi dei pazienti oncologici.1
Ogni volta che si mette in atto una strategia multimodale, si cercando di
soddisfare i seguenti obiettivi:
1.) ridurre lo stadio clinico di malattia (down-staging);
2.) eliminare le micrometastasi sistemiche;
3.) trattare la malattia minima residua dopo asportazione chirurgica;
4.) prolungare la sopravvivenza, mantenendo una buona qualità di vita.
Nel tempo sono state proposte molteplici associazioni, sia per quanto riguarda la strategia terapeutica (combinazioni tra chirurgia, radioterapia, chemioterapia), sia per quanto concerne la cronologia di applicazione (trattamento neoadiuvante o adiuvante).
La scelta della terapia antitumorale e delle sue associazioni si basa sui seguenti fattori:
1.) valutazione completa ed accurata dell’estensione neoplastica (stadiazione
clinica);
2.) conoscenza approfondita delle caratteristiche del tumore, incluse le vie di
metastatizzazione, la radiosensibilità, la chemiosensibilità;
3.) valutazione di: sede anatomica, tipo istologico, e strutture normali nella regione da trattare;
4.) definizione degli scopi terapeutici (curativi o palliativi);
5.) selezione delle modalità di trattamento appropriate, inclusa “dose” (chirurgica, radiante, chemioterapica) e volume neoplastico da trattare (modalità
adiuvante o neoadiuvante);
6.) valutazione delle condizioni generali del paziente e di eventuali comorbidità,
che potrebbero compromettere l’efficacia del trattamento antitumorale.
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CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE
Per chemioterapia neoadiuvante s’intende la somministrazione di chemioterapici, prima che si sia intervenuti localmente con chirurgia e/o radioterapia.
Il razionale della chemioterapia neoadiuvante si basa sull’ipotesi di Goldie-Coldman. Se è vero che il volume delle cellule neoplastiche chemio-resistenti aumenta con l’aumentare delle dimensioni del tumore, allora la chemioterapia ha la massima efficacia e potenziale di cura nelle fasi iniziali della malattia.
Inoltre, somministrando la chemioterapia prima di intervenire chirurgicamente, non si avrebbero fenomeni cicatriziali, che alterano il letto vascolare
compromettendo l’efficace distribuzione di chemioterapico.
Gli scopi principali della chemioterapia neoadiuvante sono:
- ridurre le dimensioni del tumore primitivo, per renderlo aggredibile con
chirurgia,
- bersagliare foci micrometastatici sistemici clinicamente occulti, tipicamente molto sensibili all’azione farmacologica,
- individuare pazienti che rispondono al trattamento e che possono essere
sottoposti a chemioterapia adiuvante in seguito ad asportazione chirurgica
del tumore o radioterapia, utilizzando il tumore come marker biologico di
risposta al farmaco somministrato. Una scarsa risposta alla chemioterapia
neoadiuvante identifica invece quei pazienti per i quali è necessario valutare seriamente approcci terapeutici alternativi.
La chemioterapia neoadiuvante trova poche applicazioni dirette nella pratica clinica, e questo è da ricondurre agli accertati svantaggi, tra cui il ritardato trattamento definitivo loco-regionale (in caso di mancata risposta alla chemioterapia), il peggioramento delle condizioni generali del paziente (in caso
di tossicità), la possibilità di metastatizzazione a distanza (in caso di perdita
dell’immuno-sorveglianza indotta dalla chemioterapia).
Gli esempi meglio documentati in letteratura comprendono: sarcoma iniettivo felino e mastocitoma del cane.
•
CHEMIOTERAPIA ADIUVANTE
Dopo asportazione chirurgica di un tumore, il volume che resta (malattia
minima residua, sia locale sia sistemica) può essere bersagliato con chemioterapia, se naturalmente esiste l’indicazione (ad esempio, tumori biologicamente aggressivi, ad elevato potenziale metastatico, con linfonodo regionale
positivo, e/o con elevato rischio di recidiva locale). Le cellule residue presentano, infatti, un’elevata frazione di accrescimento e sono pertanto sensibili al
trattamento chemioterapico, che sarebbe così in grado di eliminare micrometastasi clinicamente occulte. Non devono inoltre essere affrontati i problemi
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tipici di tumor burden elevato, tra cui ridotto apporto vascolare, ipossia, eterogeneità neoplastica, emergenza di cloni chemioresistenti.
I principi che regolano la somministrazione della chemioterapia adiuvante sono i seguenti:
1.) somministrare soltanto chemioterapici efficaci per quel tipo di tumore;
2.) il tumore deve essere stato asportato chirurgicamente;
3.) la chemioterapia deve essere iniziata il prima possibile dopo chirurgia;
4.) somministrare chemioterapici alla massima dose tollerata;
5.) somministrare chemioterapia per un periodo di tempo limitato.
Alcuni esempi comprendono: sarcomi dei tessuti molli ad alto grado istologico, carcinomi con invasione linfatica o vascolare, osteosarcoma, emangiosarcoma, mastocitoma di stadio clinico II o IV.
•
CHEMIOTERAPIA METRONOMICA
La chemioterapia metronomica, che bersaglia le cellule endoteliali, si avvale dell’utilizzo di chemioterapici somministrati continuamente a piccole
dosi senza prolungati intervalli inter-somministrazione. Tale strategia rivoluziona completamente l’approccio tradizionale della chemioterapia, che prevede la somministrazione di farmaci alla loro massima dose tollerata. Il concetto di intensità di dose si basa infatti sull’evidenza che, aumentando la dose del
farmaco, aumenta in maniera esponenziale anche il numero di cellule neoplastiche uccise. Il maggiore limite dei regimi dose-intensi è la tossicità a carico
degli organi costituiti da cellule in rapida proliferazione, come midollo osseo
e tratto gastroenterico. Pertanto, dopo un regime dose-intenso, è necessario un
lungo intervallo privo di terapia per consentire ai tessuti sani di ripopolarsi.
Seppur utile in neoplasie rapidamente proliferanti (come linfomi e leucemie,
almeno in fasi iniziali), tale strategia è poco utile nei tumori solidi eterogenei,
in cui sono presenti cloni chemio-resistenti.
La chemioterapia metronomica si avvicina di più ad una strategia dose-intensa, differenziandosi da questa per la dose totale somministrata. Infatti, lo
scopo dei regimi dose-densi è somministrare elevati quantitativi di farmaci ad
intervalli brevi; la chemioterapia metronomica invece si prefigge solo di abbreviare gli intervalli tra un trattamento e l’altro, senza necessariamente aumentare la dose dei farmaci somministrati. Così facendo, si ha un migliore
profilo tossicologico e una ridotta necessità di terapia di supporto.
È stato dimostrato che le cellule endoteliali sono molto più sensibili all’esposizione continua a basse dosi di chemioterapici anziché a dosaggi bolo;
inoltre esse sono meno soggette ad andare incontro a mutazioni genetiche rispetto alle cellule tumorali, e quindi a sviluppare meno frequentemente chemioresistenza.
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La chemioterapia metronomica inibisce inoltre la mobilizzazione dei progenitori delle cellule endoteliali, che dal midollo osseo raggiungono focolai
periferici di neoangiogenesi, rappresentando la fonte principale di nuovi vasi
che si sviluppano nel contesto neoplastico.
Infine, la chemioterapia metronomica stimola la produzione di sostanze
antiangiogenetiche endogene, tra cui trombospondina, e diminuisce i livelli di
cellule T regolatrici, fondamentali nel fenomeno di tolleranza neoplastica.
Sono stati pubblicati in medicina veterinaria alcuni trials molto promettenti.4-7
BIBLIOGRAFIA
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(MI).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1-4
40037 Sasso Marconi (BO)
[email protected]
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Cosa c’è di nuovo
per il linfoma del cane?
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Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nella comprensione
della biologia del linfoma del cane, che hanno portato a rivedere la classificazione, a migliorare la stadiazione e a formulare nuove opzioni terapeutiche,
volte sempre di più a stratificare il trattamento in base alle caratteristiche del
paziente e del linfoma.
STADIAZIONE
La stadiazione del linfoma canino si articola nelle seguenti indagini:
- anamnesi
- palpazione di linfonodi periferici, esame delle mucose, palpazione di addome per valutare eventuale organomegalia, ispessimento di pareti intestinali o linfoadenomegalia meseraica, auscultazione del torace ed esame del
fondo dell’occhio che evidenzia eventuale infiltrazione oculare
- esame emocromocitometrico, ematochimica ed esame delle urine
- radiologia del torace
- ecografia dell’addome
- valutazione citologica di milza e fegato, anche se ecograficamente non alterati1
- TC, endoscopia con biopsie multiple e scintigrafia ossea in alcuni casi selezionati
- ago-infissione dei linfonodi periferici rappresenta un esame irrinunciabile,
perché diagnostico nella maggioranza dei casi, facile e veloce da eseguire,
scevro da effetti collaterali ed economico. In merito a quali linfonodi esaminare citologicamente, si consiglia di evitare i mandibolari, dal momento che sono esposti a numerosi antigeni e possono falsare il quadro, inducendo spesso una falsa diagnosi di iperplasia.
- determinazione dell’immunofenotipo sta per distinguere i linfomi B dai T,
diversi dal punto di vista prognostico e terapeutico.2 L’immunofenotipizzazione può essere fatta mediante citometria a flusso (tecnica che consente di evidenziare diverse sottopopolazioni linfocitiche, eseguibile anche su
aspirati linfonodali), immunoistochimica su sezioni istologiche e immunocitochimica su preparati citologici. Trattamenti precedenti con glicocorticoidi mascherano l’assetto antigenico di superficie, rendendo difficoltoso
il riconoscimento di immunofenotipo. Per definire l’origine come B, le
cellule devono immunoesprimere CD21 e CD79a, mentre per essere di
origine T devono immunoesprimere CD3, CD4, CD5 o CD8.
- PCR: amplificando le sequenze di DNA codificanti per TCR o BCR nella
popolazione linfocitica, permette di valutare lo stato di riarrangiamento di
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questi recettori (PARR: “PCR for antigen receptor rearrangement”).3 Se la
popolazione linfocitica è policlonale (ad esempio, iperplasia linfoide), l’amplificazione mediante PCR produrrà ampliconi di varie dimensioni. Al contrario, in caso di linfoma, l’amplificazione produce ampliconi della medesima dimensione, ad indicare la presenza di una popolazione clonale.
esame del midollo osseo: tappa fondamentale nella stadiazione dei cani
con linfoma, non solo ai fini prognostici ma anche terapeutici.4,5 Il prelievo per aspirazione di solito è sufficiente per emettere diagnosi.
citometria a flusso su sangue midollare e periferico per determinare l’infiltrazione di cellule linfomatose anche in percentuali molto ridotte
(<1%).6
studio PET/CT per monitorare risposta a chemioterapia e diagnosticare
una recidiva precoce, consentendo quindi di intervenire con protocolli
chemioterapici di salvataggio prima che il linfoma sia di nuovo clinicamente apparente. Si tratta di studi ancora preliminari.7,8
istologia ed immunoistochimica per dare “nome e cognome” al linfoma.
“Linfoma” è infatti una diagnosi generica: esistono circa 30 istotipi nel cane, cui si associa una prognosi diversa. Come nell’uomo, anche nel cane
si sta cercando di diversificare la terapia in base (anche) alle caratteristiche istologiche.9,10
OPZIONI TERAPEUTICHE
Il linfoma del cane rappresenta una sfida terapeutica, sia in prima presentazione (scelta del miglior approccio possibile in base ai dati clinici raccolti),
sia alla recidiva.
1.) TRATTAMENTO DEL LINFOMA AD ALTO GRADO IN PRIMA PRESENTAZIONE
La chemioterapia rappresenta la terapia d’elezione, anche se la finalità è
quasi sempre palliativa. Infatti, la maggior parte dei cani sviluppa una recidiva e meno del 10% ottiene invece una guarigione.11 Lo scopo della chemioterapia è dunque quello di migliorare la qualità di vita dei cani con linfoma, palliando i sintomi da esso provocato, e possibilmente di prolungare la sopravvivenza. Senza alcuna terapia oppure somministrando soltanto corticosteroidi, la sopravvivenza non supera generalmente le 4 settimane. Con la chemioterapia sistemica la sopravvivenza mediana oscilla tra gli 8 ed i 16 mesi, in
base alle caratteristiche del paziente e del linfoma. Il gold standard attuale
prevede la somministrazione di protocolli di polichemioterapia, che incorporano farmaci tra cui vincristina, ciclofosfamide, doxorubicina, con o senza L-
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asparaginasi. Nel corso degli anni si è accumulata l’evidenza scientifica che i
linfomi B non richiedono fasi di mantenimento, dal momento che questi non
prolungano né la durata della remissione, né la sopravvivenza.12 Gli studi attuali sono volti a individuare nuovi protocolli brevi che riducono la tossicità,
migliorando la qualità di vita dei pazienti.
Se per i linfomi B sono stati fatti notevoli progressi in campo terapeutico, la
strada è ancora lunga per i linfomi ad immunofenotipo T, mancando ancora linee guida precise e convincenti.12 L’immunofenotipo T rappresenta un fattore
prognostico negativo clinicamente rilevante e indipendente. I protocolli CHOP
(C=ciclofosfamide, H=doxorubicina, O=vincristina, P=prednisone) e simili sono frequentemente utilizzati per trattare i linfomi B; gli stessi hanno tuttavia dato risposte sub-ottimali in caso di immunofenotipo T, attribuibili alla precoce
chemioresistenza che caratterizza tali linfomi.13 In linea con quanto viene fatto
nei pazienti umani con linfoma non-Hodgkin, l’incorporazione di agenti chemioterapici che by-passano i meccanismi di resistenza mediati dalla glicoproteine pg-170, oppure l’utilizzo di protocolli che prevedono lunghe fasi di mantenimento, potrebbero essere efficaci anche nel cane con linfoma T.
Un ulteriore obiettivo della ricerca in oncologia veterinaria è di stratificare il trattamento in base allo stadio clinico. Tendenzialmente i cani in stadio
clinico I e II sono trattati come quelli in stadio clinico più avanzato, con l’eccezione dei cani in stadio V (coinvolgimento di midollo osseo), per i quali
l’incorporazione nel protocollo di citosina arabinoside ha mostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza e tasso di remissioni complete, indipendentemente dall’immunofenotipo.5 È necessario valutare se i cani in stadio III e IV
richiedono trattamenti diversificati per migliorare l’outcome.
2.) TRATTAMENTO DELLA RECIDIVA
La recidiva e il linfoma chemioresistente rappresentano una vera sfida terapeutica.
In seguito a recidiva si utilizzano generalmente protocolli di salvataggio (o
chemioterapici di seconda linea), che incorporano farmaci non utilizzati in
prima linea e possibilmente non substrato della glicoproteina gp-170, tra cui
mecloretamina e procarbazina (protocollo MOPP), D-actinomicina, citosina
arabinoside e melphalan (protocollo DMAC), lomustina e dacarbazina o Lasparaginasi, dacarbazina o temozolomide in monochemioterapia, lomustina
in monochemioterapia.
Con i protocolli di salvataggio il tasso di remissione completa si aggira intorno al 20-50% e ha durata mediana di 2-3 mesi circa. Nonostante i progressi degli ultimi anni, la recidiva in corso di linfoma resta problematica, e sono
richiesti nuovi approcci terapeutici.
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3.) TRATTAMENTO DEL LINFOMA A BASSO GRADO
Il linfoma a basso grado ha tendenzialmente comportamento biologico indolente, richiedendo per lo più strategie metronomiche anziché dose-intense.
In medicina veterinaria mancano studi approfonditi e su larga scala che dirigano le scelte terapeutiche.10,15
4.) TERAPIE EMERGENTI
Attualmente esistono nuovi approcci terapeutici per trattare il linfoma del
cane.
- trapianto di midollo osseo.14 Al momento il trapianto di cellule staminali è
proposto dal Veterinary Teaching Hospital della North Carolina State University negli Stati Uniti con risultati promettenti.
- radioterapia per le forme localizzate di linfoma (nasale, spinale, cutaneo),
oppure radioterapia half-body o total-body abbinando il trattamento chemioterapico.15,16 I risultati migliori si ottengono nel contesto di malattia
minima residua, come consolidamento, utilizzando radioterapia a basso
dosaggio.16,17
- immunoterapia attiva (vaccino anti-tumorale), che consiste nel presentare
antigeni tumorali in forma più immunogena, correggendo in questo modo i
deficit nella sorveglianza tumorale (“tolleranza”). Il vaccino rappresenta
una forma specifica ed attiva di immunoterapia in grado di evocare una risposta immunitaria contro le cellule tumorali. Molto spesso le cellule tumorali stesse sono utilizzate come fonte di antigeni. È attualmente disponibile
in Italia un vaccino autologo per i linfoma ad immunofenotipo B del cane.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1-4
40037 Sasso Marconi (BO)
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna
Cosa fare per il linfoma
del gatto?
Sabato, 13 luglio 2013, ore 14.30
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Molto è cambiato in oncologia veterinaria… vediamo di fare il punto
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Il linfoma è molto comune nel gatto, rappresentando circa il 90% dei tumori emopoietici ed il 30% di tutti i tumori felini. L’incidenza stimata è di 200
nuovi casi l’anno su 100000 gatti a rischio. Tuttavia, la maggior parte dei dati disponibili in letteratura si riferisce all’era pre-vaccinazione FeLV, e non riflette in maniera precisa la situazione attuale. Fattori di rischio sono: infezione con il virus della leucemia felina (soprattutto forma multicentrica, mediastinica, extranodale e leucemica), esposizione a fumo passivo, condizioni di
infiammazioni croniche (tra cui anche malattia infiammatoria intestinale cronica [IBD]), fattori genetici. Si riconoscono le seguenti forme anatomiche:
•
Mediastinica: caratterizzata da linfoadenomegalia mediastinica eventualmente associata a versamento pleurico (chiloso o emorragico). I polmoni
risultano compressi dalla voluminosa massa neoplastica, ma raramente sono
infiltrati. I gatti interessati sono tipicamente giovani (2-3 anni di età) e FeLV
positivi (90% dei casi); sintomi comuni includono tosse, dispnea, intolleranza all’esercizio, rigurgito, disfagia, anoressia e, occasionalmente, sindrome di
Horner monolaterale o bilaterale. Può essere presente linfoadenomegalia periferica. La diagnosi differenziale deve essere posta con timoma, chilotorace,
mesotelioma, ernia diaframmatica e cardiomiopatia.
•
Alimentare:1,2 per linfoma alimentare s’intendono le sedi gastrica e/o
intestinale. In caso di coinvolgimento concomitante splenico e/o epatico, si riferisce a forma multicentrica o intra-addominale.
Per ottenere diagnosi, è necessario valutare nell’insieme criteri clinici,
istologici ed immunofenotipici.
Il linfoma associato a MALT è di origine T ed è tipicamente a piccole cellule (low-grade); per un periodo piuttosto lungo può restare confinato nel contesto mucosale, ma inesorabilmente progredisce raggiungendo prima i linfonodi meseraici, poi gli altri visceri addominali (estensione transmurale).
L’estensione transmurale può comportare perforazione e peritonite. La diagnosi differenziale deve essere posta, nelle forma iniziali, con IBD, che potrebbe rappresentare fattore predisponente. La valutazione di clonalità eseguita mediante tecniche di PCR su tessuti fissati in formalina consente di differenziare IBD (espansione policlonale) da linfoma (espansione monoclonale).
Più soggettiva è la valutazione istopatologica. Tendenzialmente il linfoma linfocitico mostra epiteliotropismo ed è caratterizzato dalla presenza di piccoli
linfociti in corrispondenza di villi con distribuzione non equa tra villo e villo.
In corrispondenza di piccolo intestino nella sua parte distale, cieco e colon, è più comune il linfoma con immunofenotipo B, che prende origine dai
follicoli linfoidi mucosali (placche di Peyer). Le cellule sono di grandi dimensioni. Le lesioni sono tipicamente transmurali e spesso si ha coinvolgimento
concomitante di milza, linfonodi periferici, e midollo osseo.
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Il linfoma dei grossi linfociti granulari (“large granular cell lymphoma”,
LGL) rappresenta circa il 10% dei linfomi alimentari e deriva dalla proliferazione incontrollata di linfociti T citotossici o Natural Killer (NK). Si tratta di
una forma transmurale a grandi cellule, che interessa inizialmente ileo, digiuno e linfonodi meseraici, ma che metastatizza in fretta a stomaco, grosso intestino, fegato, milza, midollo osseo e reni. I gatti sono tendenzialmente FeLV-.
Gli esami laboratoristici riscontrano leucocitosi neutrofilica con spostamento
a sinistra, anemia, ipoalbuminemia, ipocalcemia, aumento di transaminasi
epatiche e bilirubina. Il riscontro di grossi linfociti granulari circolanti in percentuale superiore al 13% deve essere considerato patologico. La diagnosi
differenziale deve essere posta con tumori che originano dalle cellule enterocromaffini e con mastocitomi.
•
Multicentrica: caratterizzata da linfoadenomegalia solitaria (50% dei
casi) o generalizzata, con o senza coinvolgimento splenico, epatico, midollare ed extranodale.
La diagnosi differenziale deve essere posta con linfoadenopatia idiopatica
reattiva (iperplastica) che interessa i gatti giovani ed è riconoscibile all’esame
istologico.
•
Extranodale: La forma nervosa è caratterizzata da coinvolgimento
centrale (encefalico o spinale) o periferico e può essere primitiva oppure
far parte di linfoma multicentrico. I gatti con linfoma renale hanno nel 4050% dei casi anche concomitante interessamento cerebrale. La forma renale è frequente ed interessa gatti adulti. Essa può essere primitiva o far
parte di forma addominale o multicentrica. I sintomi sono vaghi e aspecifici e secondari ad insufficienza renale. Spesso il linfoma renale si accompagna a coinvolgimento cerebrale, pertanto possono essere presenti sintomi quali irritabilità, cambio di personalità, debolezza, mancata coordinazione e deficit propriocettivi. La forma oculare è piuttosto comune e può
essere primitiva oppure far parte di forma multicentrica. Sintomi comuni
sono: fotofobia, blefarospasmo, epifora, ifema, ipopion, presenza di masse oculari o retro-orbitali, uveite o distacco retinico. La forma nasale è frequente ed i sintomi sono simili alle infezioni del primo tratto respiratorio.
La forma cutanea è rara nella specie felina e generalmente interessa gatti
anziani.
La stadiazione clinica dei gatti con linfoma prevede l’esecuzione di diversi esami:3,4
- esami del sangue: emocromocitometrico, ematochimica, FIV/FeLV, profilo tiroideo, dosaggio di cobalamina e fPLI
- esame delle urine
- valutazione citologica o istopatologica di midollo osseo
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- valutazione istopatologica di linfonodi o organi interessati. La citologia
per infissione linfonodale nel gatto è spesso inadeguata nell’ottenere diagnosi conclusiva, soprattutto per quanto riguarda la diagnostica differenziale con alcune sindromi benigne iperplastiche tipiche della specie felina,
tra cui linfoadenopatia periferica idiopatica, iperplasia linfonodale periferica dei gatti giovani. La valutazione istopatologica consente anche di ottenere grado istologico.
In merito a linfoma intestinale, le biopsie ottenute per via laparotomica o
laparoscopica sono migliori rispetto a quelle ottenute per via endoscopica,
perché permettono di ottenere campioni a tutto spessore.5 Tra laparotomia e
laparoscopia, la seconda si associa a minore morbidità. Se i campioni vengono prelevati per via endoscopica, è necessario raccogliere almeno 4 campioni da ogni sito anomalo, mentre è sufficiente un solo campione se si preleva
per via laparotomica o laparoscopica. Gatti particolarmente debilitati tollerano meglio il prelievo per via endoscopica.6
La citologia è spesso insufficiente nell’emettere diagnosi in caso di linfoma low-grade, mentre utilità molto maggiore si ha in caso di linfoma highgrade, a grosse cellule, che tuttavia, rappresenta nella specie felina percentuale più ridotta di casi rispetto all’analogo canino. In alcune specifiche entità, quali linfomi LGL, la citologia è invece di estremo aiuto in quanto le
granulazioni azurofile caratteristiche tendono a colorarsi molto facilmente
con normali tecniche di colorazione e il quadro risulta praticamente patognomonico, mentre le stesse granulazioni sono poco o nulla evidenti in preparati istologici.
- immunofenotipizzazione. Con tecniche immunoistochimiche è possibile
stabilire l’immunofenotipo, anche se nel gatto ancora non riveste l’importanza prognostica che ha invece nel cane.
- valutazione di clonalità per mezzo di PCR è utile nel caso di patologia intestinale per differenziare tra forma neoplastica (monomorfa) e IBD (popolazione pleomorfa). In ogni caso, è importante che valutazione istologica, immunoistochimica e PCR siano eseguite con questa sequenza, interpretando i risultati nel contesto individuale. Recentemente è stato pubblicato un algoritmo diagnostico di grande interesse clinico. Se dopo una diagnosi morfologica di IBD e istituzione di terapia adeguata il gatto non migliora, è necessario rivedere le biopsie (o campionare di nuovo l’intestino)
e ricorrere ad immunofenotipizzazione.7 La valutazione immunoistochimica deve invece essere eseguita su ogni caso, certo o presunto, di linfoma, dal momento che consente di identificare una popolazione monomorfa di linfociti B o T. Solo dopo queste due indagini, e in caso di persistente dubbio diagnostico, si può ricorrere alle tecniche di PCR per evidenzia-
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re clonalità. Se la popolazione è policlonale, è verosimilmente di natura infiammatorio. Una popolazione monoclonale è invece suggestiva di neoplasia.
- ecografia addominale
- radiografia del torace.
Al completamento di stadiazione, si può definire stadio clinico secondo
OMS:
Stadio I
- neoplasia singola (extranodale).
- interessamento di una sola area anatomica (nodale), compresa
una neoplasia primitiva toracica.
Stadio II
- singola neoplasia extranodale con coinvolgimento di linfonodo
regionale.
- interessamento di due o più aree nodali sullo stesso lato del diaframma.
- due neoplasie singole (extranodali) con o senza interessamento
di linfonodi regionali sullo stesso lato del diaframma.
- neoplasia primitiva gastroenterica (generalmente in area ileocecale), ben asportabile, con o senza interessamento di linfonodi meseraici.
Stadio III
- due neoplasie singole extranodali in regioni opposte rispetto al
diaframma.
- interessamento di due o più aree nodali cranialmente e caudalmente al diaframma.
- lesioni primitive intraddominali estese e non asportabili.
- neoplasie paraspinali o epidurali, indipendentemente da altri siti neoplastici.
Stadio IV
- stadio I-III con coinvolgimento di fegato e/o milza
Stadio V
- stadio I-IV con iniziale coinvolgimento di sistema nervoso centrale e/o midollo osseo.
Trattandosi di una malattia sistemica, la terapia d’elezione per il linfoma
felino è la chemioterapia, con cui si ottengono tassi di remissione completa
nel 50-70% dei casi, e tempi di sopravvivenza di 4-6 mesi. Soltanto il 30%
circa dei gatti sopravvive oltre l’anno. Se non trattati, il 40-75% dei gatti muore nell’arco di 2-8 settimane.
Sono stati pubblicati diversi protocolli chemioterapici, cui si rimanda.8-11
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In caso di linfoma alimentare, se di basso grado, è possibile utilizzare clorambucile e prednisone.10 In alternativa, è possibile somministrare lomustina
in monochemioterapia.
Quelli di alto grado richiedono invece trattamenti più aggressivi e combinati. È stato dimostrato che protocolli di polichemioterapia che incorporano
doxorubicina e L-Asparaginasi si associano a prognosi migliore.3
Sfortunatamente, il linfoma LGL è minimamente responsivo a chemioterapia e si accompagna a breve sopravvivenza.11 Per il trattamento della forma
nervosa, è indispensabile aggiungere al protocollo chemioterapici liposolubili che superano la barriera ematoencefalica. L’utilizzo solamente dei corticosteroidi si accompagna a brevi periodi di remissione.
BIBLIOGRAFIA
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Indirizzo per la corrispondenza: Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1-4 - 40037 Sasso Marconi (BO) - [email protected]
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Tumori mammari: anche se sono
sempre i più comuni,
impariamo a conoscerli meglio
Sabato, 13 luglio 2013, ore 17.30
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TUMORI MAMMARI NEL CANE
I tumori mammari sono le neoplasie più frequenti nella cagna, che rappresenta in assoluto il mammifero con la più alta incidenza. La presentazione clinica più comune è il nodulo solitario o multiplo e, in quest’ultimo caso, non è
raro il riscontro concomitante di istotipi diversi, cui corrisponde un comportamento biologico altrettanto differente. Generalmente crescita rapida, ulcerazione cutanea, linfoadenomegalia regionale e presenza di sintomi sistemici depongono a favore di una neoplasia maligna, mentre crescita lenta e demarcazione
netta suggeriscono la presenza di displasia o neoplasia benigna. Tutte le razze
possono sviluppare tumori mammari, tuttavia è stato riscontrato un rischio maggiore per bassotti, barboncini, setter, pointer, fox terrier, cocker e pastori tedeschi. La stimolazione ormonale rappresenta uno dei fattori eziologici più importanti. Infatti, è ormai accertato che l’ovarioisterectomia precoce (eseguita prima
del primo calore e tra il primo e il secondo calore) riduce il rischio di tumori
mammari dell’80% e del 40%, rispettivamente. Grande enfasi viene data all’identificazione di geni ritenuti responsabili della cancerogenesi, in particolare
dei geni che appartengono alla famiglia delle protein-chinasi: la loro amplificazione e sovra-espressione è frequente nei tumori maligni della mammella. Alcuni esempi sono c-erbB-2 (her-2 o neu), c-yes, c-RAS e c-kit.
Una volta identificato un nodulo mammario, è necessario stadiare il tumore per valutarne l’estensione e stabilire quale sia l’approccio terapeutico migliore. La stadiazione clinica prevede: misurazione di tutti i noduli mammari,
esame citologico di questi e dei linfonodi regionali (se palpabili), esame emocromocitometrico, ematochimica, profilo coagulativo, radiografie del torace
(tre proiezioni) ed ecografia addominale.
La classificazione TNM sottolinea la rilevanza prognostica di: dimensione ed invasività locale del tumore primitivo (T), stato dei linfonodi regionali
(N) e presenza di metastasi distanti (M) (Vedi alla pagina seguente).
La definizione prognostica nei tumori mammari è complessa e multifattoriale. Fattori prognostici riconosciuti nella cagna includono: razza (sembra
che il Pastore Tedesco abbia prognosi peggiore), età d’insorgenza (neoplasie
maligne insorte in animali giovani avrebbero prognosi peggiore), sesso (nei
maschi il carcinoma mammario difficilmente metastatizza), tempo di comparsa (tumori maligni presenti da più di 6 mesi hanno prognosi peggiore rispetto a quelli presenti da meno di 6 mesi), dimensione del tumore primitivo (se
il diametro è superiore a 5 cm, la prognosi è peggiore), istotipo (la prognosi è
peggiore per carcinoma semplice, carcinosarcoma, carcinoma anaplastico),
presenza di invasione linfatica/ vascolare (prognosi peggiore), presenza di
metastasi linfonodali e/o a distanza (prognosi peggiore).
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T1
T2
T3
diametro massimo del tumore < 3 cm
diametro massimo 3-5 cm
diametro > 5 cm
N0
N1
LNF regionali non interessati
LNF regionali interessati
M0
M1
nessuna evidenza di metastasi a distanza
metastasi presenti
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
T1N0M0
T2N0M0
T3N0M0
qualsiasi T, N1M0
Caposaldo di terapia di tumori mammari è che per nessun motivo un nodulo mammario deve essere lasciato in situ ed osservato anzi, deve sempre essere asportato e valutato istologicamente.
La chirurgia rappresenta la terapia d’elezione. Nel caso di carcinomi mammari aggressivi o metastatici, la chirurgia come unica opzione terapeutica è
deludente, dal momento che la maggior parte dei pazienti muore o viene sottoposta ad eutanasia a causa delle metastasi a distanza. La chemioterapia
adiuvante potrebbe pertanto migliorare la prognosi di questi pazienti, eradicando le micrometastasi (linfonodali e polmonari) o rallentando la progressione di metastasi già clinicamente evidenti.
Indicazioni per chemioterapia sono: evidenza istologica di invasione linfatica, presenza di metastasi (linfonodali, polmonari, ossee o viscerali), e alcuni tipi istologici selezionati (carcinoma semplice con le sue varianti, carcinosarcoma, sarcoma) di grado 2 e 3.
In medicina veterinaria sono stati pubblicati pochi lavori in merito ad efficacia di chemioterapia adiuvante o neoadiuvante per il trattamento di carcinomi mammari.
Molecole efficaci sono: doxorubicina (in monochemioterapia o associata a
ciclofosfamide o 5-fluorouracile), gemcitabina, carboplatino.1-3
Recentemente è stata valutata l’efficacia di paclitaxel nel trattamento di tumori mammari canini. La somministrazione endovenosa di paclitaxel alla do-
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se di 165 mg/m2 nell’arco di 3-6 ore ogni 21 giorni dava tassi di risposta di
20%, ma la tossicità era inaccettabile nella maggior parte dei pazienti trattati.4 Un lavoro successivo che valutava l’efficacia postoperatoria di doxorubicina o docetaxel non rilevava alcun miglioramento di sopravvivenza.5
La terapia ormonale non trova ancora grande spazio nel trattamento della
patologia neoplastica mammaria, sia per l’utilizzo non ancora routinario della valutazione recettoriale, sia per i risultati ottenuti, spesso inconcludenti o
addirittura controversi.
Dai dati disponibili in letteratura emerge che i tumori mammari del cane
che meglio rispondono al tamoxifene sono quelli meno anaplastici, spesso
trattabili con la sola chirurgia.
Dopo terapia, è necessario monitorare la cagna mediante attento follow-up
clinico e radiologico, sia per valutare la presenza di eventuali recidive, sia per
accertasi della comparsa di lesioni replicative ad altri organi.. Dopo i primi 3
mesi e per il primo anno il monitoraggio va fatto ogni 3 mesi, poi ogni 6 mesi e, dopo il secondo anno, il controllo è annuale.
CARCINOMA INFIAMMATORIO
Il carcinoma infiammatorio è una neoplasia a carattere rapidamente progressivo e fatale, che interessa le specie umana, canina e raramente felina. Il
comportamento biologico è molto aggressivo e contraddistinto da un decorso
clinico fulminante e da una breve sopravvivenza (generalmente < 60 giorni
dalla diagnosi).
La presentazione clinica mima una dermatite o grave mastite. Caratteristica che contraddistingue il carcinoma infiammatorio è la concomitante
invasione linfatica dermica da parte di emboli tumorali (dermatotropismo)
che, ostruendo i vasi, causano edema diffuso agli arti. Il potenziale metastatico è elevato, con frequente coinvolgimento secondario dell’apparato
urinario.6
I cani non sottoposti ad eutanasia alla diagnosi, ricevono generalmente terapia palliativa (antibiotici, steroidi, FANS), con sopravvivenza mediana di
30 giorni. Alcuni casi selezionati possono beneficiare di un trattamento multimodale, che prevede l’impiego di chirurgia, radioterapia locale, chemioterapia sistemica.
La prognosi deve comunque essere considerata tendenzialmente infausta.
Un recente studio retrospettivo ha evidenziato i seguenti fattori prognostici
positivi: assenza di coagulopatia e somministrazione di terapia medica (piroxicam e/o chemioterapia sistemica).7
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TUMORI MAMMARI NEL GATTO
Nella gatta i tumori mammari sono terzi in ordine di frequenza dopo i tumori cutanei e il linfoma. Così come nella donna, anche nel gatto i tumori
mammari sono molto aggressivi, ad elevato potenziale metastatico (90% alla
diagnosi), spesso a decorso fatale e pertanto potrebbero servire, per certi
aspetti, come modello patogenetico e terapeutico per la controparte umana.
Siti metastatici frequenti includono linfonodi regionali (ascellari ed inguinali), polmoni e pleura, fegato. Considerato il comportamento molto aggressivo, sono fondamentali diagnosi precoce, terapia chirurgica aggressiva ed
immediata, nonché attento follow-up per evidenziare una eventuale recidiva
locale o metastatizzazione regionale e/o a distanza.
La stadiazione clinica prevede: esame clinico, analisi di laboratorio, citologia, imaging. Scopi della stadiazione clinica sono: valutare l’estensione
neoplastica e stabilire quale sia l’approccio terapeutico migliore. La classificazione TNM sottolinea la rilevanza prognostica di: dimensione ed invasività locale del tumore primitivo (T), stato dei linfonodi regionali (N) e presenza di metastasi distanti (M).
T: tumore primitivo
T1: diametro massimo del tumore < 2 cm
T2: diametro massimo 2-3 cm
T3: diametro > 3 cm
N: linfonodi regionali (ascellari, sternali, inguinali, iliaci, sacrali)
N0: LNF regionali istologicamente non interessati
N1: LNF istologicamente interessati
M: metastasi distanti
M0: nessuna evidenza di metastasi a distanza
M1: metastasi presenti (specificare sede)
Stadio I: T1N0M0
Stadio II: T2N0M0
Stadio III: T1/2N1M0, T3N0/1M0
Stadio IV: qualsiasi T, qualsiasi N, M1
La valutazione clinica di noduli mammari è importante sia ai fini di eventuale chirurgia (poiché si valutano fissità ed invasività di cute e muscoli), sia
di prognosi, dal momento che tumori di diametro >3 cm si accompagnano a
prognosi peggiore.
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La citologia del nodulo mammario può aiutare nella differenziazione tra
lesione infiammatoria e neoplastica. I linfonodi regionali devono essere palpati e, se aumentati di volume, valutati citologicamente per il riscontro eventuale di cellule metastatiche.
Le radiografie del torace nei tre decubiti (laterale destro, laterale sinistro e
ventrodorsale) permettono di identificare eventuali metastasi polmonari,
pleuriche e linfonodali toraciche o sternali. Le metastasi polmonari si manifestano radiologicamente come noduli interstiziali ben definiti, come noduli
indefiniti oppure con pattern diffuso interstiziale cosiddetto “a nevischio”,
con o senza carcinomatosi pleurica e versamento pleurico. L’ecografia addominale completa la stadiazione, e consente di escludere metastasi addominali e/o eventuali patologie extra-mammarie concomitanti.
A seguito del comportamento biologico particolarmente aggressivo, anche
il trattamento deve esserlo. Importante ai fini della programmazione terapeutica è la valutazione dei fattori prognostici (dimensione di tumore primitivo,
stadio clinico, perdita di ER, sovra-espressione di VEGF-HER2-AgNorPCNA-Ki-67-COX-2).
Gatti con tumori <2 cm hanno prognosi non necessariamente sfavorevole,
e la chirurgia aggressiva può risultare sufficiente. Al contrario, se il tumore ha
diametro >2 cm, il comportamento biologico è più aggressivo con elevato potenziale metastatico e tempi di sopravvivenza inferiori all’anno. La chemioterapia è in questo caso indicata. Protocolli utilizzati nella specie felina prevedono l’utilizzo di doxorubicina in monochemioterapia o combinata a ciclofosfamide, con risultati tuttavia spesso contrastanti.8,9
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6. Clemente M, Pérez-Alenza MD, Peña L, (2010), Metastasis of canine inflammatory versus non-inflammatory mammary tumours. J Comp Pathol, 143: 157-163.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Centro Oncologico Veterinario
Via San Lorenzo 1-4
40037 Sasso Marconi (BO)
[email protected]
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Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna
Francesca Abramo
Med Vet, Pisa
Tumori difficili: quelli di origine
istiocitaria. conoscere il nemico
per combatterlo meglio
Domenica, 14 luglio 2013, ore 12.15
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I disordini istiocitari rappresentano uno spettro di patologie dal comportamento biologico molto variabile, che prendono origine da macrofagi o da cellule dendritiche, distinguibili tra loro non morfologicamente, bensì attraverso
l’espressione di cluster di differenziazione (CD).
MARKER
TESSUTO
SPECIE
CD45
Fissato in formalina;
congelato fresco
Cane
CD18*
Fissato in formalina;
congelato fresco
Cane, gatto
CD1
Congelato fresco
Cane, gatto
CD11b
Congelato fresco
Cane
CD11c
Congelato fresco
Cane
CD11d
Fissato in formalina;
congelato fresco
Cane
CD68
Congelato fresco
Cane
MHC classe II
Congelato fresco
Cane
CD4
Congelato fresco
Cane, gatto
CD90 (Thy-1)
Congelato fresco
Cane
E-caderina
Fissato in formalina;
congelato fresco
Cane, gatto
CD204
Fissato in formalina
Cane
CD163
Fissato in formalina
Cane
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Le proliferazioni di cellule di Langerhans danno luogo a: istiocitoma cutaneo, istiocitoma cutaneo solitario con interessamento linfonodale, istiocitomi cutanei multipli e/o persistenti con o senza interessamento linfonodale,
istiocitomi multipli con disseminazione viscerale, e istiocitosi di Langerhans.
La proliferazione di cellule dendritiche interstiziali dà luogo a istiocitosi
progressiva felina, istiocitosi reattiva e sarcoma istiocitico (localizzato e disseminato) non emofagocitico, mentre la proliferazione di macrofagi dà luogo
a sarcoma istiocitico emofagocitico.
L’istiocitoma cutaneo rappresenta una proliferazione focale delle cellule
di Langerhans epidermotropiche ed è considerato una neoplasia benigna, auto-limitante, tipica del cane giovane, che va spesso incontro a regressione
spontanea nell’arco di tre mesi per intervento dei linfociti T citotossici CD8+.
Clinicamente si osserva un nodulo solitario alopecico, ben delimitato,
spesso ulcerato, che appare improvvisamente e cresce in fretta, che si localizza prevalentemente su testa, orecchie, collo ed estremità.
L’asportazione chirurgica della lesione è curativa e può essere presa in
considerazione se la diagnosi non è più che certa, se il tumore è ulcerato o
provoca disturbi funzionali o prurito all’animale, oppure in caso di nodulo
singolo in cani di età > 3 anni. La chirurgia è inoltre indicata nel caso in cui
l’istiocitoma non regredisca spontaneamente. L’utilizzo di corticosteroidi è
sconsigliato.
L’istiocitoma si presenta istologicamente come nodulo dermico cupoliforme in assetto “top-heavy”, delimitato ma non capsulato, composto da cellule
istiocitarie da rotonde a poligonali, con citoplasma chiaro e nucleo ovale spesso indentato. Non sono rare le figure mitotiche occasionalmente atipiche. La
regressione, se presente, si evidenzia con aree multifocali di necrosi e un vallo peritumorale di piccoli linfociti T CD8+ che, nelle fasi avanzate, compenetrano la massa. In caso di persistenza, oltre ai linfociti T, possono essere presenti aggregati di plasmacellule. In citologia le cellule neoplastiche sono tonde e di dimensioni poco variabili fra loro e posseggono citoplasma variamente abbondante, di colore azzurro chiaro (a vetro smerigliato), con presenza occasionale di vacuoli otticamente vuoti. I nuclei sono da rotondi ad ovali, spesso periferici, di dimensioni simili fra loro con cromatina omogeneamente diffusa e nucleolo poco evidente. Le cellule neoplastiche sono CD1+, CD11c+
MHCII+, CD4-, Thy-1- e spesso sono E-caderina positive.
L’istiocitosi di Langerhans è raro disordine immunologico sistemico del
cane, in cui le lesioni cutanee sono multiple, convergenti e persistenti; si ha
inoltre coinvolgimento di linfonodi regionali e spiccato tropismo per giunzio-
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ni mucocutanee; la metastatizzazione viscerale diffusa è rapida e frequente. In
alcuni casi l’istiocitosi di Langerhans rappresenta l’evoluzione di istiocitomi
multipli.
All’esame istopatologico le lesioni sono simili a quelle degli istiocitomi
multipli con maggior estensione in profondità e maggior pleomorfismo dei
singoli elementi proliferanti. L’indice mitotico è elevato, anisocariosi e anisocitosi sono prominenti, non sono presenti linfociti T ma eventualmente plasmacellule. L’immunofenotipo è uguale a quello dell’istiocitoma.
L’istiocitosi felina progressiva, ancora scarsamente documentata, è caratterizzata da una proliferazione di cellule dendritiche (il cui esatto sottotipo
non è ancora stato determinato) a livello cutaneo.1 Siti maggiormente interessati sono testa, collo ed estremità distali degli arti. Inizialmente si osserva nodulo solitario rivestito da cute integra, che può alternare periodi di remissione parziale; progressivamente i noduli diventano multipli, ulcerati e a localizzazione multicentrica con tendenza a confluire in placche. La linfoadenomegalia regionale compare tardivamente, mentre in fasi terminali si ha metastatizzazione viscerale. In questa fase clinicamente non è più possibile differenziare tra istiocitosi progressiva felina e sarcoma istiocitico diffuso.
Si può pertanto affermare che istiocitosi felina progressiva si comporta inizialmente come un sarcoma istiocitico a basso grado, poi a seguito di mutazioni evolve in sarcoma ad alto grado. L’intervallo tra una forma e l’altra può
essere lungo (fino a 3 anni).
La generalizzazione della neoplasia rende la prognosi per lo più sfavorevole. Non esistono linee guida terapeutiche.
All’istologia si identificano noduli circoscritti, non capsulati composti da
cellule istiocitarie in assetto diffuso che si estendono al derma profondo ed al
sottocute. Gli istiociti hanno nuclei ovali e reniformi con citoplasma vacuolizzato, anisocariosi e anisocitosi, frequentemente multinucleati e con mitosi
anche atipiche. In alcuni casi si osserva epiteliotropismo. Le lesioni interne
sono istologicamente simili. I campioni citologici sono molto cellulari e costituiti da una popolazione di cellule neoplastiche rotonde di dimensioni estremamente variabili (anisocitosi), con nuclei eccentrici da rotondi ad ovali e reniformi, con marcata dismetria. Il citoplasma è abbondante, variamente basofilo talvolta vacuolizzato. Le cellule esprimono CD18, CD1, MHCII, fenotipo tipico delle cellule dendritiche.
L’istiocitosi reattiva, sia nella forma cutanea sia sistemica, rappresenta invece la manifestazione clinica di una proliferazione reattiva delle cellule dendritiche dermiche.
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L’istiocitosi cutanea interessa la cute ed il sottocute, mentre la forma sistemica può interessare anche altri organi (occhi, polmoni, milza, fegato e midollo osseo). Il comportamento biologico tra le due forme è simile. L’interessamento cutaneo si caratterizza per lo sviluppo di placche e noduli multipli
anche ulcerati su testa, perineo, scroto ed estremità, a volte lungo il decorso
dei vasi a dimostrazione di un loro coinvolgimento. Hanno tendenza a regredire e recidivare con lenta progressione, e in alcuni casi si segnala regressione spontanea. Nella forma sistemica si ha tipicamente il coinvolgimento delle giunzioni muco-cutanee (mucosa nasale, sclera, palpebre), dei linfonodi e,
più raramente, di polmoni, milza, fegato e midollo osseo.
Dal momento che la forma cutanea può evolvere a forma sistemica, il paziente deve essere completamente stadiato. Per la terapia è indicato l’uso di
farmaci immuno-regolatori.
L’istologia è definitiva per la diagnosi, in quanto l’esame citologico esita
in processo infiammatorio aspecifico non consentendo di individuare il modello di crescita. Questo si caratterizza, soprattutto nelle lesioni non ulcerate,
per la presenza di noduli perivascolari, multifocali, anche con aspetti di emorragia e necrosi (angiocentrismo), a livello di derma profondo. I noduli sono
composti da una popolazione mista di istiociti, piccoli linfociti e neutrofili in
proporzioni variabili con predominanza di istiociti.
Le stesse lesioni sono osservabili negli organi interni nella forma sistemica. Gli istiociti reattivi sono cellule dendritiche interstiziali dermiche attivate
positive ai marker per le cellule dendritiche in generale CD1a, CD1b, CD1c,
MHCII e CD11c, al marker Thy-1 tipico delle CD dermiche e al CD4 (marker di attivazione).
Il sarcoma istiocitico localizzato rappresenta la forma localizzata del complesso del sarcoma istiocitico, ed è caratterizzato dal coinvolgimento di una
sola area corporea, di solito il sottocute o i muscoli scheletrici delle estremità (soprattutto arto anteriore) o regioni periarticolari, con o senza coinvolgimento di linfonodi regionali.2 Razze canine a rischio sono bovari del bernese,
rottweiler, golden retriever e labrador retriever.
La chirurgia deve essere radicale e, se il tumore è localizzato su estremità
degli arti, la terapia d’elezione è l’amputazione. Dal momento che il sarcoma
istiocitico è radiosensibile, è indicata radioterapia del tumore primitivo e del
linfonodo satellite. I risultati ottenuti sono incoraggianti. Considerate aggressività del tumore e possibilità di coinvolgimento sistemico, è indicata la chemioterapia adiuvante. La prognosi è peggiore per le forme viscerali.
Istologicamente si tratta di una proliferazione densa di cellule neoplastiche poligonali, spesso con aspetti di gigantismo e multinucleazione e con se-
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veri aspetti di atipia cariologica e mitosi. Possono essere presenti linfociti reattivi in quantità variabile. In citologia si osservano gli stessi aspetti morfologici con maggior dettaglio. Si ritiene che le cellule neoplastiche derivino
da un precursore mieloide pluripotente. La diagnosi definitiva si ottiene con
l’immunofenotipo: le cellule neoplastiche esprimono i marker delle cellule
dendritiche CD1, CD11c, MHC II e i marker CD204 e CD163 della linea
macrofagica.
Il sarcoma istiocitico localizzato emofagocitico è stato riconosciuto come
distinta entità patologica soltanto recentemente.3 Per caratteristiche cliniche
ed epidemiologiche richiama il sarcoma istiocitico localizzato non emofagocitico, ma la sopravvivenza è breve (mediamente 7 settimane dalla diagnosi)
e la prognosi decisamente sfavorevole. Razze canine predisposte includono
bovari del bernese, golden retriever, labrador retriever e rottweiler. Nella specie felina, la maggior parte di segnalazioni di sarcoma istiocitico si riferiscono a sottotipo emofagocitico.
Da un punto di vista ematologico, si evidenziano marcata anemia rigenerativa e trombocitopenia, iperbilirubinemia, ipoalbuminemia e ipocolesterolemia. La splenomegalia massiva è reperto molto comune e suggerisce un’origine macrofagica. Il midollo osseo è spesso interessato sin dall’inizio. Con il
progredire della malattia, si ha insidiosa invasione intravascolare con conseguente metastatizzazione a livello epatico e polmonare, senza formazione di
masse.
La terapia è solo palliativa e prevede splenectomia associata a chemioterapia adiuvante con lomustina: in genere i cani hanno miglioramento clinico,
ma non prolungamento di sopravvivenza.4
Istologicamente la polpa rossa splenica viene sostituita da innumerevoli
istiociti molti dei quali in eritrofagocitosi o contenenti emosiderina. Gli istiociti hanno aspetto molto variabile, da normali ad atipici con anisocariosi e anisocitosi, multinucleazione, cariomegalia, mitosi atipiche e citoplasma eosinofilo abbondante e con vacuoli. Negli altri organi gli istiociti hanno una morfologia simile. Le cellule neoplastiche esprimono CD11d, MHCII, CD204 e
CD163 in quanto appartengono alla linea macrofagica.5
Il sarcoma istiocitico disseminato (un tempo chiamato “istiocitosi maligna”, termine ormai abbandonato) è una rara malattia fatale per il paziente,
caratterizzata dalla rapida ed incontrollata proliferazione di istiociti atipici
maligni in diversi siti contemporaneamente.2
Razze canine a rischio sono bovari del bernese, ed in particolare maschi
adulti, ma anche golden retriever, labrador retriever, rottweiler e dobermann.
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La prognosi è infausta e gli animali malati muoiono in genere nell’arco di
1-6 mesi. Trattandosi di tumore sistemico, la chirurgia va considerata se la rimozione del tumore può dare sollievo all’animale. La chemioterapia spesso
può solo alleviare temporaneamente i sintomi, ma la risposta non è duratura,
soprattutto in presenza di lesioni avanzate o coinvolgimento midollare.
L’esame istologico e citologico è simile a quanto si osserva morfologicamente nel sarcoma istiocitico localizzato.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Laura Marconato
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Francesca Abramo
Dipartimento di Scienze Veterinarie
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