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Erika Inderst
“Protokolle”: iniziative culturali Romane - Primavera 2016
Scheda n. 1 - Marzo:
Conferenza 'Antigiudaismo' del 17/03/2016.
In data 17/03/2016 alla Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Palazzo Mattei di Giove si è tenuta la
conferenza per la presentazione del volume “Antigiuaismo – La tradizione Occidentale” di David Nirenbeg.
La dottoressa Rosanna de Longis, coordinatrice della Biblioteca, ha introdotto gli ospiti Igor Mineo e Anna Foa,
entrambi storici, e Giuliana Adamo e Paolo Chierchi, traduttori del suddetto libro. Purtroppo l'autore,
Nierenberg, non è potuto essere presente.
Il Professor I. Mineo ha esordito dicendo che il concetto di “Antigiudaismo” è molto difficile da discutere, da
presentare in modo organico e trasparente, poiché affronta una delle tematiche più difficili della storia, di cui
l'esito più trucido è stato l'Olocausto. Egli continua dichiarando che l'ultimo capitolo è la chiave per
comprendere l'intero libro, in quanto l'autore intavola una discussione con personaggi del calibro di Arendt,
Adorno, Sartre, Auerbach, mettendo insieme le idee di questi grandi pensatori. Per la Arendt bisognava
combattere il rischio di pensare che l'Olocausto presentasse l'antisemitismo come forma eterna e priva di tempo;
inoltre con Adorno condivide il tentativo di portare questo problema alle sue radici moderne: l'Illuminismo. Ma
Nierenberg si dissocia da questa posizione, dichiarando, da storico, che il problema prende il via in epoca
precristiana.
L'autore per descrivere tale continuità nella storia analizza il fattore propriamente linguistico, precisamente le
sequenze discorsive a cui vengono associati modi di agire antigiudaici.
I dispositivi linguistico-discorsivi sono considerati quadri che nel corso del tempo hanno contribuito ad allestire
una galleria, la quale ha come esito finale l'antigiudaismo.
Nierenberg studia qui le forme della giudeofobia, del pericolo ebraico, che fa parte della cultura occidentale e che
ha costituito pregiudizi su tale tematica.
Secondo lo scrittore, all'inizio dell'era Cristiana, la parola di Paolo getta le basi del Cattolicesimo. Nella lettera ai
Galati egli descrive l'universalismo della nuova religione, e in questa lettera, per l'autore, si gettano anche le basi
dell'antisemitismo, precisamente quando viene decretato che la circoncisione non è necessaria, che bisognerebbe
essere liberi di scegliere; in contrapposizione a ciò che diceva Pietro, cioè che la circoncisione è una tradizione, e
come tale va perseguita.
È curioso osservare come questa opposizione sia avvenuta all'interno stesso dell'ebraismo, della società ebraica.
Intervenendo, la storica A. Foa, si dichiara concorde con Mineo sulla difficoltà del libro.
Foa interpreta “Antigiudaismo” come la visione del Nierenberg sul modo in cui la società cristiana percepisce
l'ebreo. Quindi la concezione che si ha dell'ebreo è costitutiva della società occidentale.
La studiosa critica il fatto che nel libro ci siano mancanze storiche, ad esempio non si fa alcun riferimento alla
chiesa o all'Italia, o ancora alla corrente antisemita che nel '600 pervase l'Inghilterra. Quindi fa notare che
“Antigiudaismo” non è un libro completo, con un quadro totale sugli avvenimenti storici.
Anche Foa fa riferimento al discorso su Paolo presente nel volume, ma al contrario del Mineo, lei pensa che
Nierenberg faccia riferimento alle parole Carne e Spirito per indicare la nascita dell'antigiudaismo, anziché alla
circoncisione. La storica conclude la sua analisi dichiarando che il suddetto è un libro che va preso ‘con le molle’.
Anche i due traduttori, P. Chierchi e G. Adamo, hanno partecipato alla discussione sul volume, parlando, però,
della traduzione, delle difficoltà che hanno affrontato. Precisano che questo libro è uno studio decennale del
Nierenberg, che raccoglie sia lezioni universitarie da lui tenute, sia sue vecchie pubblicazioni.
Descrivono la lingua utilizzata dall'autore come ridondante e ricca di metafore.
I due traduttori hanno incontrato la maggiore difficoltà nel decidere quando tradurre con 'ebreo' e quando con
'giudeo', arrivando alla decisione definitiva di utilizzare 'ebreo' come termine etnico e 'giudeo' come termine
religioso e offensivo.
Scheda n. 2 - Aprile:
“De Martino antropologo del mondo contemporaneo”
Il convegno ha avuto luogo a Roma il 26/05/2016 presso l’Istituto della Enciclopedia italiana – Palazzo Mattei di
Paganica per il cinquantesimo anniversario dalla morte dell’antropologo Ernesto de Martino.
Saluti e presentazioni del convegno sono stati tenuti dai professori Massimo Bray, Andrea Carlino e Giovanni
Pizza. M. Bray ha cominciato ringraziando e ricordando che E. de Martino è il maggiore antropologo del XX
secolo. I suoi libri oggi sono dei classici e vengono studiati non solo dagli antropologi.
Importante contributo dell’antropologo è stato fare delle tradizioni popolari argomento di studio conferendo ad
esse valore scientifico, interrompendo così la visione etnocentrica di Benedetto Croce.
Grazie anche al suo impegno politico, de Martino, ha coniugato il suo oggetto di studio alla questione
meridionale, luogo da lui ritenuto magico, infatti uno dei suoi libri si intitola proprio “Sud e Magia”, inoltre
proprio a lui si deve lo studio sul tarantismo, al seguito del quale pubblicò una monografia intitolata “La terra del
rimorso”.
A. Carlino ha continuato parlando della monografia “La terra del rimorso” essendo uno studioso di tarantismo.
G. Pizza ha ricordato la collaborazione di diverse città e istituti che hanno contribuito alla preparazione del
progetto per ricordare de Martino. Per il modo di porsi e di studiare dell’antropologo napoletano possiamo
individuare la sua costante presenza non solo in ambito antropologico.
La parola ‘mondo’ è pregnante nel lessico di de Martino, abbiamo costruzioni come ‘mondo antico’, ‘mondo
popolare’, ‘mondo popolare subalterno’, e così via; come anche la parola ‘contemporaneo’, come evidenzia il
titolo del convegno. G. Agamben ci insegna che contemporaneo aderisce al tempo attraverso un abbaglio,
attraverso una dimensione critica.
Dopo sono intervenuti il professore emerito di Cambridge Peter Burke, Alessandro Arcangeli, Girolamo
Imbruglia e Ulrich Van Loyen. P. Burke ha parlato delle differenze tra l’antropologia britannica e quella italiana.
Una delle differenze sostanziale tra i due metodi etno-antropologici è la ricerca sul campo; l’antropologia inglese
tende a spostarsi all’estero, mentre quella italiana a lavorare nel proprio paese.
Un’altra differenza è l’oggetto di studio, cioè per gli italiani le tradizioni popolari, per gli inglesi invece consiste
nello studio culturale e sociologico. Egli ha analizzato vari antropologi italiani, tra cui Ernesto de Martino.
Ha discusso inoltre sul concetto di sacro, dicendo che la religione è l’aspetto più importante dello studio sul
sacro.
A. Arcangeli si è occupato dell’aspetto storico prendendo notizie da riviste e giornali. Ha accennato a personaggi
che hanno parlato e scritto di de Martino, ma anche di chi si è interessato ai medesimi argomenti
dell’antropologo, come Thomas che scrisse della storia delle credenze. Importante per Thomas è l’intreccio tra
magia, religione e credenze.
G. Imbruglia ha dichiarato che negli ultimi decenni è possibile parlare di un ritorno alle religioni. Ne parlava già
de Martino nel 1957. Sottolinea le somiglianze evidenziate da alcuni pensatori tra cristianesimo e altre religioni
per quanto riguarda il sacrificio, la vittima sacrificale e quindi il congiungimento di sacro e profano.
Per De Martino la distinzione tra magia e religione è quasi inesistente. L’elemento centrale che egli trova nel
cristianesimo non si situa nello schema rituale, ma nello schema mitico, cioè la novità del cristianesimo consiste
nella scoperta della storia sacra.
U. Van Loyen ha parlato di de Martino come lettore di Heidegger illustrando valutazioni personali.
Inoltre ha parlato degli antropologi tedeschi e italiani, definendoli gli unici a vedere l’ideale come reale.
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