PENSAR NON NUOCE Dove non arriva la macchina ed elogio della meraviglia Osserva Giacomo Dacquino, psichiatra, docente di antropologia sessuale, che ha dedicato un interessante studio alla Psicologia dell'automobilista: «Nella vita bisogna, andare oltre, là dove certamente non nisce il cammino. E dove nemmeno si arriva guidando la macchina». Il guaio è che molti considerano la macchina come l'appendice, la protesi inseparabile della propria persona. Privi della macchina, si sentirebbero mutilati di una parte essenziale di se stessi. Stabiliscono un maggior rapporto diretto con l'automobile che con i propri simili e con le cose. di Alessandro Pronzato1 Si passa alla guida un "pezzo di vita" sempre più consistente (secondo calcoli attendibili: undicidodici anni dell'esistenza di un individuo). Si stabilisce un rapporto uomo-macchina che diventa inscindibile. Per cui, quando non è possibile, anche soltanto per poche ore, disporre dell'auto, ci si sente quasi menomati nella personalità, impediti nella libertà di movimento. Soltanto nel caso in cui rimaniamo intrappolati in un ingorgo paralizzante, ci sorprendiamo ad augurarci che... gli altri vadano a piedi. Sovente, poi, la velocità è fine a se stessa, non è motivata da alcuna giustificazione seria. Indubbiamente il mondo si è messo a correre, e vanno tutti a velocità pazza, tutti percorsi da una fretta maledetta. Personalmente sono costretto, come tanti miei simili, a macinare in macchina decine di migliaia di chilometri l'anno, e ne ricavo una sensazione di sgomento. Sorpassi criminali, prepotenze assortite, rischi incredibili. Si vuol passare a ogni costo, arrivare prima, precedere, guadagnare cento metri di asfalto, "bruciare" i semafori, anticipare gli altri a colpi di paraurti. E viene spontaneo domandarsi: perché? Sarebbe interessante pedinare certi maniaci della velocità e accertare che razza di appuntamenti devono rispettare, quali cose importantissime 4 il dialogo V/06 devono fare. E verificare se quella frenesia è davvero giustificata. San Pier Damiani, scrivendo a un vescovo costretto a viaggiare di frequente, gli forniva alcuni consigli: «Quando andate in fretta qua e là, oppure camminate a piedi, le vostre labbra dovranno ruminare sempre alcune parole delle Scritture. Esse tritureranno incessantemente i Salmi come in un mortaio, al fine di esalare continuamente un profumo simile a quello delle piante aromatiche». Ignoro se il vescovo dell'undicesimo secolo seguisse o meno le raccomandazioni del santo eremita. Posso assicurare, invece, che la maggior parte degli automobilisti moderni non si preoccupa granché di "ruminare" le parole della Bibbia. E le invettive che escono dalle loro bocca - anche se possono avere qualche riscontro in certe espressioni dei Salmi imprecatori - non sono state imparate alla scuola di David. Certo, non mandano il profumo delle piante aromatiche... Con la velocità, scompare la meraviglia La mania della velocità provoca, tra gli incidenti più gravi, anche la perdita del senso della meraviglia. Infatti, lo stupore implica la capacità di rallentare, fermarsi, vedere, ammirare, accorgersi di qualcosa. Tipica, al riguardo, è la corsa in autostrada. Si "passa attraverso" o "accanto", ma non si vede niente, non si entra in rapporto, in comunione profonda con nulla. C'è solo una rapida successione di paesaggi, che non fissa alcuna immagine nella mente. Si rimane totalmente estranei a ciò che ci circonda. La meraviglia comporta la necessità di sostare, scoprire segni misteriosi, tracce invisibili, cogliere lo straordinario nelle cose più ordinarie. Diceva P. P. Pasolini: «Vedo le cose come miracolose». Senza quello sguardo estatico non si è poeta, e neppure creatura di preghiera. Senza stupore, non è possibile la lode. Senza capacità di rallentare la corsa, "camminare con gli alberi", secondo l'espressione di J. Sulivan, diventa impossibile contemplare, meditare. La velocità ha accorciato certe distanze, ma sta scavando una distanza sempre più grande da noi stessi, dalla natura, dal mondo invisibile. La fretta, la frenesia di arrivare (dove? per che cosa?) ci porta spesso a perdere il meglio, a mancare gli appuntamenti decisivi. Invece di avvicinarci, ci allontana sempre più. 1 Brano tratto da: Alessandro Pronzato, Alla ricerca delle vitù perdute, Gribaudi editore.