L`epigenetica e i programmi delle cellule

Copia di 6e228950c1f1108dca69cfaeccee831a
Pianeta scienza
MARTEDÌ 24 FEBBRAIO 2015 IL PICCOLO
Non era mai stato verificato prima: l’Rna, il lungo filamento
“cugino” del Dna, tende a non
annodarsi, a differenza di altri
biopolimeri. L’osservazione è
stata pubblicata sulla rivista
Pnas ad opera di un gruppo di
ricerca della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e del Cea di Saclay
(Francia).
Nessuno l’aveva verificato
prima, ma l’Rna, l’acido nucleico che partecipa a molte funzioni cellulari fra cui la sintesi
proteica, pare sia l’unico tra i
vari “fili della vita” a non presentare nodi.
Non c’è alcun nodo nelle strutture note di Rna
Nel corso degli anni, i progressi della biologia strutturale
hanno stabilito con certezza
che sia le proteine sia il Dna,
per quanto soggetti a selezione
evolutiva, non sfuggono alla
legge statistica secondo cui un
filamento molecolare sufficientemente lungo e compattato sarà inevitabilmente annodato.
Nessuno finora aveva però indagato il caso dell’Rna.
Utilizzando la descrizione
strutturale contenuta in circa
seimila catene di Rna contenuti nel Protein Data Bank, una
database pubblico che permette agli scienziati di scambiarsi
informazioni sulla struttura di
proteine, Dna e Rna, Cristian
Micheletti, Marco di Stefano e
Henri Orland sono andati a caccia di nodi.
«Ci aspettavamo che questa
lunga e flessibile molecola si
comportasse come le altre,
Dna e proteine, andando a formare nodi con una certa fre-
quenza - spiega Micheletti -. E
invece ci ha sorpreso: su seimila strutture note solo tre casi
mostrano nodi “sospetti”».
Sospetti, perché anche questi tre potrebbero essere artefatti. «Il database contiene in realtà descrizioni multiple della
stessa molecola, fatte da gruppi di ricerca diversi e con tecniche sperimentali a diversa risoluzione. Confrontando le descrizioni alternative ai nostri
candidati annodati non abbia-
mo trovato alcun nodo. A ulteriore conferma c’è da dire che
le descrizioni alternative prive
di nodo sono in tutti tre i casi
quelle fatte con la tecnica più
accurata, vale a dire la cristallografia a raggi x».
L’Rna trovato in natura è
dunque un tipo di molecola
che tende ad adottare conformazioni geometriche particolarmente semplici. «Le predizioni al computer ci dicono che
se riordinassimo casualmente
la sequenza di Rna esistenti in
natura otterremo strutture molto più aggrovigliate e complesse», spiega Micheletti.
Se il sangue è una bomba a orologeria
Studi fra Trieste, Bologna e Pavia aggiungono un tassello alla ricerca sulle piastrinopenie ereditarie
di Cristina Serra
Trieste è uno dei poli medico-scientifici italiani dove, da
oltre 15 anni, si studiano le piastrinopenie ereditarie. Si tratta
di malattie rare e difficili da diagnosticare che colpiscono le
piastrine del sangue, cellule dal
ruolo indispensabile senza le
quali anche una piccola ferita
potrebbe risultare fatale.
I malati di piastrinopenie, infatti, rischiano emorragie da
trauma, da parto o anche per
un semplice intervento dentistico, se i loro valori piastrinici
scendono fra 50 e 100 miliardi
di cellule per litro di sangue.
Possono andare incontro a
emorragie spontanee o disturbi
peggiori (insufficienza renale e
leucemia) se le piastrine sono
inferiori a 50 miliardi/lt.
Anna Savoia, docente di genetica medica all’Università di
Trieste e ricercatrice al Burlo
Garofalo - insieme a Marco Seri
del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e a Patrizia Noris del Policlinico San Matteo di
Pavia - è fra i co-autori di uno
studio che ha meritato la copertina della principale rivista internazionale di ematologia: Blood Journal.
La ricerca effettuata dai tre
gruppi di studiosi – finanziati
da Telethon nell’ambito di un
progetto partito nel 2013 – ha
I malati di piastrinopenie rischiano emorragie da trauma, da parto o anche per un semplice intervento dentistico
studiato 128 individui con piastrinopenia ereditaria e le relative famiglie. Dall’esame del loro
Dna è emerso che undici di essi
avevano otto nuove mutazioni
in un gene, chiamato Actn-1,
già noto per avere un ruolo nella patologia.
Applicando tecniche di bioinformatica e di screening veloce
dell’intero genoma dei soggetti,
i ricercatori hanno individuato i
casi in cui la sostituzione di un
solo aminoacido nella proteina
finale codificata dal gene aveva
effetti deleteri, poiché determinava una riduzione del numero
delle piastrine circolanti che apparivano inoltre più voluminose del normale.
Pur essendo patologie di nicchia (l’incidenza delle piastrinopenie non è alta: in Italia si stima vi siano circa 500 casi, ma è
forse una sottostima) una diagnosi corretta è importante perché evita ai malati di subire, oltre ai fastidi del disturbo in sé,
anche una terapia inappropriata, figlia di diagnosi erronea.
«La scoperta di Acnt-1 permette finalmente di porre una
diagnosi specifica in una percentuale di casi di piastrinopenie ereditarie che, spesso, erano ritenute acquisite - confer-
Le stelle? Sono più giovani del previsto
La scoperta dalle nuove mappe prodotte dal Data Processing Centre triestino
La nuova release di dati - appena pubblicata su Astronomy
and Astrophysics - del consorzio
di Planck, il satellite Esa, svela
una sorpresa: il processo di formazione delle stelle nell’Universo potrebbe essere più recente
rispetto a quanto indicato precedentemente nell’analisi del satellite della Nasa Wmap, predecessore di Planck. L’osservazione è stata possibile grazie alla
nuove mappe dello strumento a
bassa frequenza a bordo di Planck (Lfi), che sono state prodotte
dal Data Processing Centre di
Trieste gestito da Inaf-Oats in
collaborazione con la Scuola In-
ternazionale Superiore di Studi
Avanzati e il Consorzio Lfi.
L’aggiornamento dell’analisi
dei dati raccolti dal satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea inizia con una prima pubblicazione sulla rivista Astronomy
and Astrophysics che riserva già
qualche sorpresa “succosa”. Il
primo
articolo
infatti
“ringiovanisce” le stelle del nostro Universo. Grazie alle nuove
mappe della radiazione di fondo
(in particolare quelle contenenti
le “anisotropie da polarizzazione” della radiazione) gli scienziati hanno osservato che il processo di “reionizzazione” potrebbe
essere più recente di quanto stimato finora.
La reionizzazione è uno dei
processi più importanti in cosmologia perché associato alla
formazione delle stelle, che i cosmologi sanno essere avvenuta
dopo le “età oscure” dell’Universo, quando questo era privo appunto di luce stellare. Il satellite
Nasa Wmap, lanciato nel 2001,
aveva fornito una prima stima
del periodo in cui il processo poteva aver avuto luogo.
La scoperta, che deve ancora
attendere una conferma nelle
misure che Planck è ancora in
grado di fornire e che saranno
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
pubblicate fra circa un anno, è
associata alla pubblicazione delle mappe di radiazione cosmica
di fondo (la prima luce nell'Universo prodotta dal Big Bang)
“polarizzata”. Wmap è stato il
primo satellite a tentare di fornire questa mappa ma oggi grazie
ai nuovi dati di Planck, si ha un'
indicazione che la reionizzazione potrebbe essere avvenuta circa 550 milioni di anni dopo il Big
Bang, vale dire 100 milioni di anni dopo quanto stimato da
Wmap.
«Secondo quanto osservato
da Planck le stelle potrebbero essere più giovani del previsto, in
ma Savoia -. Queste ultime sono, di fatto, malattie autoimmuni, in cui l’organismo reagisce
contro se stesso producendo
auto-anticorpi. E vanno curate
con terapie a base di immunoglobuline, fino ad arrivare, nei
casi estremi, all’asportazione
della milza. Per le piastrinopenie ereditarie questo approccio
non va bene».
L’identificazione del nuovo
gene Actn-1 aggiunge un tassello, piccolo ma importante, al
complesso quadro delle piastrinopenie ereditarie, dato che nel
50% dei casi esse non sono riconducibili a nessuno dei geni
22 noti, né delle mutazioni finora identificate.
«In casi come questo – aggiunge Savoia – c’è per forza un
grande lavoro di squadra, a
monte. Una parte sostanziale
del lavoro è stata fatta proprio a
Trieste, al Burlo Garofolo, da
Roberta Bottega e Michela Faleschini che operano nel mio
gruppo. L’ottimo lavoro al microscopio, che ci ha valso la copertina della rivista, è invece
merito di Gabriele Baj del Centro di microscopia del dipartimento di scienze della vita».
La ricerca del gruppo prosegue: è già stato identificato un
nuovo gene corresponsabile
delle piastrinopenie, e al momento si lavora per individuare
nuove possibili mutazioni.
accordo con altri indipendenti
indicatori astrofisici, e le conseguenze di questa evidenza potrebbero essere importanti nel
tentativo di comprendere le
componenti oscure dell'Universo», spiega Carlo Baccigalupi,
cosmologo che coordina il gruppo della Sissa coinvolto nell'
esperimento Planck. «Il contributo del team triestino impegnato nella produzione di mappe
per lo strumento Lfi a bordo di
Planck, con il coordinamento di
Andrea Zacchei, è stato quello di
produrre le nuove mappe di luce polarizzata viste da Lfi che coprono l’intera volta celeste. Ora
aspettiamo i dati dello strumento ad alta frequenza, Hfi (le cui
mappe sono leaborate dal team
francese) che dovrebbero offrirci una conferma e un quadro più
preciso dell'evidenza che è stata
rilevata».
QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON
33
AL MICROSCOPIO
L’epigenetica
e i programmi
delle cellule
di MAURO GIACCA
I
mmaginate di acquistare
due computer identici. Stesso hard disk capiente, stessa
Ram, stesso sistema operativo.
E stesso set di applicazioni già
installate sull'hard disk. Arrivate
a casa, sistemate i computer, li
accendete. Quando il sistema
operativo ha finito l'avvio, su
uno fate partire un foglio di calcolo, inserite dei dati e usate
questi per costruire un grafico.
Sull'altro avviate un programma di scrittura e iniziate a scrivere un testo. Dopo un po', decidete di cambiare applicazioni: avete voglia di guardare la vostra
posta elettronica e di navigare in
internet. Sui due computer, cercate i comandi per uscire dalle
applicazioni attive. Con vostro
sgomento, però, scoprite che
questi comandi non esistono: i
computer sono accesi, funzionanti, pieni di programmi in memoria, ma per tutto il resto del
tempo sarete obbligati a usarli
soltanto per cambiare quell'unico grafico l'uno e per scrivere testi l'altro.
Quella dei due computer è un'
allegoria efficace per comprendere l'epigenetica, il meccanismo attraverso il quale l'informazione dei geni viene utilizzata. Tutte le cellule del nostro organismo (i computer) hanno
esattamente lo stesso contenuto di informazione sotto forma
di Dna (l'hard disk) e le stesse
potenzialità (le applicazioni).
Ma una volta che innescano uno
specifico di questi programmi
(il foglio di calcolo o il programma di scrittura) continueranno
soltanto a svolgere quel programma e nessun altro. La scorsa settimana, Nature e altre riviste dello stesso gruppo editoriale hanno pubblicato in simultanea una dozzina di pubblicazioni derivate da un progetto finanziato dal National Institutes of
Health degli Stati Uniti e finalizzato a comprendere quali sono
le caratteristiche dei programmi
epigenetici in condizioni normali e nei pazienti con tumori, malattie neurodegenerative e autoimmunitarie. Sappiamo oggi
che l'informazione epigenetica
si basa su alcune modificazioni
chimiche a carico del Dna e delle proteine che si associano a
questo a livello di ciascun gene;
sono queste modificazioni che
determinano se un gene debba
essere acceso o spento.
Come per la genetica, caratteristica fondamentale dell'epigenetica è l'ereditarietà: se un gene è attivo in un determinato tipo di cellula, lo sarà anche nelle
cellule figlie, e così per il contrario. E grazie all'epigenetica, modificazioni nell'espressione dei
geni sono anche trasmesse dai
genitori ai figli e dall'infanzia all'
età adulta. Una memoria, questa, di cui Lamarck, detrattore
della teoria dell'evoluzione e
propugnatore dell'adattamento
all'ambiente nel corso della vita,
sarebbe stato sicuramente felice.
©RIPRODUZIONE RISERVATA