Lente d`ingrandimento sulla Cassa depositi e prestiti

Economia | I protagonisti della politica industriale
F
Lente d’ingrandimento sulla Cassa depositi e prestiti
Ci salverà
la CASSA
Vecchia riedizione dell’Iri? Salvagente finanziario
nelle mani della politica? Niente di tutto questo.
La Cassa depositi e prestiti è oggi una moderna
government agency che tratta alla pari
con fondi sovrani e grandi investitori
pubblici e privati. Ed è uno dei pochi enti
ad avere le disponibilità necessarie
per sostenere l’economia italiana in crisi
di Ugo Bertone
orse è eccessivo definirlo il bazooka a disposizione del governo. Anche se l’immagine evocata può essere di buon augurio
per un esempio calzante, come gli enormi mezzi schierati da Barack Obama e da Ben Bernanke per ridare
ossigeno finanziario all’economia
Usa dopo il crack di Lehman Brothers. Ma di certo la Cassa depositi e
prestiti non ha bisogno di evocare
immagini bellicose, si è ormai conquistata sul campo il ruolo di principale strumento di politica industria-
le del Paese, l’unico in grado di assolvere a un ruolo anticiclico a sostegno
dell’economia italiana in questi anni
terribili. Una bella rivoluzione rispetto alla vecchia Cassa, nata nel
1850 per finanziare con i proventi del
pubblico le ambizioni del regno sabaudo e cresciuta per oltre un secolo
e mezzo con un duplice compito, erogare prestiti agli enti locali e rappresentare un canale di sbocco per i risparmi delle famiglie.
L’orizzonte è cambiato undici anni fa, con la sua trasformazione in so-
Economia | I protagonisti della politica industriale
Nel 2013 le risorse mobilitate e gestite dalla Cdp,
tra finanziamenti, investimenti e garanzie, a vantaggio di enti
pubblici, infrastrutture e imprese hanno raggiunto
i 28 miliardi di euro, con una crescita del 22 per cento.
Gli impieghi verso le imprese hanno toccato gli 8,2 miliardi
contro i 6,7 miliardi dell’anno precedente. Nell’ultimo triennio
sono stati erogati finanziamenti a oltre 83.000 piccole e medie
imprese e circa sei miliardi a sostegno dell’export
cietà per azioni sul modello della francese Caisse des
dépôts e della tedesca Kfw (acronimo di Kreditanstalt
für Wiederaufbau, Banca della ricostruzione), e l’ingresso nel capitale di 65 fondazioni ex bancarie che
controllano oggi il 30 per cento (in titoli privilegiati)
affiancando il ministero dell’Economia. È nato così
uno strumento prezioso, forse l’unica arma a disposizione dello Stato italiano per agire in funzione anticiclica, cercando di contrastare gli effetti peggiori
della recessione sul fronte sia pubblico sia privato
in più modi. Uno strumento che, per la sua relati-
va novità, si presta però spesso a equivoci. Non c’è situazione economica a rischio in cui non si faccia appello al ricorso alla Cassa, nel nome di una malintesa,
vecchia nozione di politica economica intesa come salvataggio. Un compito cui la Cdp è riuscita, almeno per
ora, a sottrarsi progettando in alternativa un futuro
ben più ambizioso di grande player finanziario con una
dimensione e partner internazionali.
La Cassa di oggi, insomma, non solo non assomiglia
a una riedizione dell’Iri, come temevano i critici dell’operazione avviata da Giulio Tremonti, dopo la grande
pace con il sistema delle Fondazioni, ma si presenta come una moderna government agency in grado di trattare alla pari con fondi sovrani e grandi investitori pubblici e privati. Un’istituzione che ha saputo conquistare la fiducia degli investitori del Qatar e del Kuwait,
associati alle iniziative del fondo strategico, o del Russian Direct Investment Fund e che promette di diventare il canale più credibile per l’afflusso di investimenti dal Middle East, dalla Russia e dalla Cina verso il
nostro Paese. Una trasformazione accelerata dalle ne-
Da non credere | Nel forziere della Cassa
due miliardi «dimenticati» dagli enti
ll’inizio di aprile dalla sede romana di via Goito della Cassa
depositi e prestiti è partita una strana lettera indirizzata a 6.317
enti pubblici, tra comuni e province, che hanno ottenuto mutui per
finanziare appalti di lavoro o forniture: in tutto 49.000 opere per un
valore di circa du e miliardi. La stranezza consiste nel fatto che i
soggetti pubblici, dopo avere chiesto e ottenuto i finanziamenti,
hanno smesso di chiedere alla Cdp le somme concordate parcheggiate in media da 18 mesi rispetto a cui, colmo del paradosso, continuano però a scattare interessi a danno degli enti dormienti. Di
qui «una campagna massiva di comunicazione verso gli enti perché
possano riutilizzare queste risorse per finanziare nuovi investimenti o ridurre posizioni debitorie» ai sensi della circolare 1280/13
emanata nell’agosto del 2013.
Al di là dei toni burocratici, emerge nella pancia della Cdp l’ennesima anomalia italiana, particolarmente suggestiva perché il nome
della Cdp (e delle sue controllate) ricorre sempre più sovente nelle
cronache finanziarie di casa nostra. Spesso a proposito, non di
rado in maniera impropria perché Cdp, evocata come salvagente
finanziario, non è la riedizione dell’Iri né tantomeno, della vecchia
Gepi. Ma, visto che nella giungla dei misteri italiani la realtà supera
la fantasia, capita pure che la Cdp assuma le vesti di un angelo frustrato, pronto a prestare quattrini respinti al mittente. Il motivo?
Questi finanziamenti, spiegano alla Cassa, possono avere origi ne
dalle somme residue rispetto ai prestiti già concessi, e comprendo-
A
no anche somme pari al 5 per cento dei prestiti ottenuti. Le cifre in
questione, in questo caso, sono modeste: non più di cinquemila
euro per ciascuna pratica, il che però dà origine alla non disprezzabile cifra complessiva di 127 milioni.
La vera anomalia si annida altrove, nei prestiti chiesti e concessi
fino al 31 dicembre 2012 ma non più rivendicati dall’inizio del 2013:
1,8 miliardi, per lo più concentrati nelle città del Sud (il 50 per cento
circa), rispetto al Nord (il 29 per cento) e al Centro (21 per cento).
La spiegazione più convincente si rifà al Patto di stabilità per cui,
se l’ente è già al limite della spesa consentita, ha l’obbligo di registrare il movimento del mutuo Cdp solo in uscita. A rafforzare il
vincolo contribuisce il limite all’indebitamento degli enti locali per
nuovi mutui, fissato dal governo Monti al 4 per cento, oggi allargato
all’8 per cento. Ma che è comunque assai al di sotto del vincolo
previsto fino al febbraio 2011 (il 15 per cento). Al di là di queste
spiegazioni tecnico-giuridiche, però, un ruolo rilevante ha la «sindrome A», conosciuta come la maledizione del sistema degli appalti, ovvero il contenzioso che segue come un’ombra fedele qualsiasi
appalto ed è la causa principale del mancato avvio dell’opera (è
così che l’intero importo finanziato resta in Cdp) sia delle interruzioni a causa di variazioni in corso d’opera. Senza dimenticare il
rischio, purtroppo sempre più diffuso, del blocco del cantiere per il
fallimento dell’impresa che provoca l’interruzione del lavoro (e dei
pa gamenti).
Sopra, da sinistra: Giovanni Gorno Tempini e Franco Bassanini, rispettivamente amministratore delegato
e presidente della Cassa depositi e prestiti (Cdp); Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia
cessità imposte dalla crisi economica e che è ancora in
corso, sostenuta dalla potenza di fuoco dei 95 miliardi
che la Cdp promette di iniettare nell’economia italiana
nei prossimi tre anni con un effetto positivo sul Pil
nell’ordine di un paio di punti percentuali. Insomma,
una grande protagonista dell’economia attiva a 360
gradi che non tutti conoscono. Ma che merita di essere
osservata da vicino. Anche per le cifre in gioco.
Nel 2013 le risorse mobilitate e gestite (tra finanziamenti, investimenti e garanzie) dal gruppo a vantaggio di enti pubblici, infrastrutture e imprese hanno
raggiunto la cifra di 28 miliardi, con un progresso del
22 per cento. Un’accelerazione che ha consentito di superare di slancio gli obiettivi già fissati dal piano triennale 2011-13: 56 miliardi di euro, contro i 43 miliardi
previsti. In particolare, gli impieghi verso le imprese
hanno raggiunto gli 8,2 miliardi di euro contro i 6,7 miliardi di euro dell’anno precedente. Al risultato hanno
contribuito in via prevalente l’operatività dei prodotti
a supporto dell’economia come il Plafond Pmi, e il maggiore impegno a sostegno dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese italiane. Negli ultimi tre
anni sono stati erogati finanziamenti a oltre 83.000 piccole e medie imprese e circa sei miliardi di capitale a
sostegno dell’export. Per quanto riguarda l’attività di
supporto agli enti locali, la Cdp ha aumentato gli sforzi
per tamponare le crisi dei Comuni: gli impieghi sono
saliti a 5,9 miliardi di euro contro i 3,3 miliardi di euro
del 2012. Al risultato hanno contribuito anche l’avvio
dell’operatività del fondo per le anticipazioni del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, gestito per conto del ministero dell’Economia (Mef), e l’operatività del Fondo italiano per investimenti (Fiv), il
fondo dedicato alla valorizzazione degli immobili pubblici. Al Fiv sono stati destinati 750 milioni, serviti in
parte a fine dicembre per acquistare un pacchetto di
edifici demaniali e qualche struttura di pregio da alcuni comuni tra cui Firenze e Torino, che sono così riusciti a intascare un po’ di denaro contante per far quadrare i conti in un momento assai delicato per le casse dei
comuni. Impressiona invece la frenata negli investimenti per le infrastrutture, scese da 2,8 a 2,2 miliardi.
Ma la colpa in questo caso non è della Cassa, bensì del
minor numero di progetti finanziabili.
Fin qui il passato. Per il futuro il target è ancora più
ambizioso. L’obiettivo, infatti, è di immettere nell’economia italiana, tra il 2014 e il 2016, almeno 95 miliardi, sia valorizzando il portafoglio esistente (dagli immobili alle partecipate) sia scongelando i prestiti fermi
nel sistema a favore del tessuto industriale. È previsto
tra l’altro l’avvio di un piano per la garanzia dei minibond a vantaggio delle piccole e medie imprese. Sarà
in particolare compito del Fiv creare un «fondo dei
fondi» e iniziative di venture capital a favore dell’espansione del mercato dei minibond, in stretto collegamento con la struttura interministeriale appena vara-
A chi accusa
la Cdp di essere
il soggetto attivo
delle false
privatizzazioni
dello Stato
risponde
l’ad Giovanni
Gorno Tempini.
«È legittimo
chiedersi
se sia giusto
che lo Stato
intervenga
direttamente
sul mercato.
Ma se non ci fosse
stato un intervento
diretto pubblico
a sostegno
dell’economia,
come è avvenuto
in tutti i Paesi
del mondo,
la situazione
economica
e sociale italiana
sarebbe
ben peggiore»
LUGLIO/AGOSTO 2014 - OUTLOOK 27
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Economia | I protagonisti della politica industriale
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T E R R I T O R I O !
La Cassa depositi e prestiti può contare su un patrimonio
netto che supera i 18 miliardi di euro su 147 miliardi
di liquidità, più 103 miliardi di crediti verso la clientela
e le banche. Il polmone principale, la raccolta postale,
ha raggiunto i 242 miliardi di euro e le «partecipazioni
e titoli azionari» valgono oltre 33 miliardi di euro
Antonio Guglielmi,
responsabile
di Mediobanca
Securities,
analista
del settore
bancario
ta sotto la regìa di Pier Carlo Padoan. Nascerà al proposito una divisione specializzata, con una dotazione
di alcune centinaia di milioni, per dare impulso al mercato. Nel business plan, inoltre, sono previsti quattro
miliardi da destinare al finanziamento delle pmi con
un plafond rinnovato dopo le erogazioni (32.000 imprese coinvolte nel triennio precedente). A tutto questo
si può aggiungere l’impegno nell’housing e nella valorizzazione del patrimonio immobiliare. Di non minore
importanza anche il ruolo che la Cassa è pronta a svolgere come pivot per favorire lo smobilizzo dei crediti
delle imprese verso la pubblica amministrazione. Un
obiettivo che ha fatto insospettire gli analisti di Fitch
che temono un abbassamento del rating della Cassa.
Ma agli impegni dei prossimi tre anni, che comporteranno un assorbimento di patrimonio nell’ordine dei
4,5 miliardi, non corrisponderà un aumento dei debiti.
Al contrario, si farà fronte alle richieste con l’impiego delle riserve da utili non redistribuiti, con
la cessione del 49 per cento di Cdp Reti (in cui
confluiranno le quote in Snam e Terna) per un
importo tra i 3 e i 3,5 miliardi, più i proventi per la privatizzazione parziali di Ansaldo Energia e di Fincantieri.
Insomma, come ha sottolineato l’ad Giovanni Gorno Tempini, «la crisi ha accelerato la trasformazione
della Cdp da cassa semi-pubblica, custode del risparmio postale ed erogatrice dei mutui per gli enti locali, a
vero e proprio strumento di politica industriale». Una
government agency, guidata dal presidente Franco
Bassanini e da Gorno Tempini, che senza far parte del
bilancio pubblico (e quindi libera dai vincoli degli accordi europei) può svolgere un ampio ventaglio di missioni al servizio del pubblico interesse. Come fanno del
resto i cugini di Kfw e Cdc, i cui prestiti al sistema sono
considerati al di fuori del perimetro dell’area pubblica
perciò non contribuiscono al debito pubblico. Un artificio? Non è che in sede Ue, a qualcuno (vedi Germania)
verrà voglia di sollevare un caso? Difficile, fa notare
Antonio Guglielmi, responsabile di Mediobanca Securities, analista autorevole del settore bancario, «è interesse di tutti conservare le regole della Eas195 che prevedono che le banche di sviluppo siano considerate al
di fuori dell’area statale». «Del resto», aggiunge, «se la
Cdp venisse inglobata nell’area pubblica, il rapporto
tra debito e Pil salirebbe dal 135 al 138 per cento. Ma
se la Kfw entrasse nel bilancio federale tedesco, il debito di Berlino schizzerebbe dall’80 al 100 per cento abbondante». È lo stesso Guglielmi a promuovere la gestione: «Il return on equity della Cdp è il migliore del
panorama finanziario italiano dal punto di vista dei
profitti». E ancora: «L’efficienza operativa della Cdp
durante la crisi finanziaria è emersa come uno dei best
asset class su cui investire».
Un asset dai numeri impressionanti sul piano finanziario: 147 miliardi di liquidità (+6 per cento) cui i
vanno aggiunti 103 miliardi di crediti verso la clientela
e le banche. Intanto il polmone principale, cioè la raccolta postale, ha raggiunto i 242 miliardi di euro, in
crescita del 4 per cento grazie al flusso positivo di raccolta netta registrato sui libretti (7,3 miliardi di euro).
Alla voce «partecipazioni e titoli azionari» figurano valori per 33 miliardi di euro, segnando un aumento del 7
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Economia | I protagonisti della politica industriale
Nata nel 1850 per finanziare prima le ambizioni
del regno sabaudo poi gli enti locali, la Cassa
depositi e prestiti ha cambiato pelle 11 anni fa,
con la trasformazione in società per azioni.
Oggi si è conquistata sul campo il ruolo di principale
strumento di politica industriale del Paese
Maurizio Tamagnini,
amministratore
delegato
di Fondo strategico
italiano (Fsi)
per cento rispetto al 2012, prevalentemente dovuto al
completamento dell’aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro in Fondo strategico italiano (Fsi), in occasione dell’ingresso di Banca d’Italia nel capitale. Il patrimonio netto, infine, supera i 18 miliardi di euro (+8 per
cento). Insomma, una volta tanto il Belpaese sembra
aver giocato con giudizio uno dei suoi non molti punti
di forza: la propensione al risparmio delle famiglie, che
l’anno scorso hanno affidato alla raccolta postale quasi
250 miliardi di euro. Del resto, a fine 2013, l’utile di esercizio si è attestato a 2,3 miliardi di euro: si è ridotto
il margine di interesse (-28 per cento) ma è aumentato
il contributo positivo dei dividendi da partecipazioni.
Per la gioia del Tesoro e delle fondazioni che non vivono anni facili.
Ma questa potenza di fuoco, si può obiettare, è impiegata nel modo migliore? Le critiche non mancano:
sia dal fronte liberista, che arriccia il naso davanti
all’espansione di un’agenzia di Stato nell’economia, sia, ancor di più, dal fronte statalista, che lamenta troppa timidezza sui dossier strategici, i
più sensibili sul piano dell’occupazione. Infine, si può
accusare la Cdp di essere il soggetto attivo delle false
privatizzazioni, visto che lo Stato ha fatto ampio ricorso alla Cassa per monetizzare pacchetti strategici
senza perderne il controllo. «È legittimo chiedersi», ha
replicato Gorno Tempini, «se sia giusto che lo Stato intervenga direttamente sul mercato. Ma la risposta, e
lo dico da ex investment banker, è che se non ci fosse
stato un intervento diretto pubblico a sostegno dell’economia, come è avvenuto in tutti i Paesi del mondo, la
situazione economica e sociale italiana sarebbe stata
ben peggiore». Inoltre, gli interventi della Cassa non
hanno riposto alla logica della statalizzazione pura.
Nel caso di Snam, Terna e, magari, un domani anche
sul fronte delle tlc (senza però entrare in Telecom Italia), è stato aperto il cantiere delle reti con l’obiettivo
di coinvolgere privati italiani e stranieri nello sviluppo
di infrastrutture che richiedono una regìa pubblica.
Sul fronte di Ansaldo Energia, l’intervento dell’Fsi,
guidato da Maurizio Tamagnini, ha la funzione di accompagnare l’azienda ex Finmeccanica verso un’alleanza internazionale che garantisca un futuro a un asset italiano, come è già successo nel caso di Avio. L’intervento in Generali, temporaneo, ha consentito alla
Banca d’Italia di monetizzare un asset rilevante (come
era richiesto dal nuovo ruolo di supervisore del comparto assicurativo affidato a via Nazionale) senza destabilizzare uno dei più importanti player italiani. In
sintesi, non è facile trovare traccia di clientelismo o di
sostegno assistenziale nel portafoglio pur cospicuo della Cassa o negli interventi di Fsi.
Oggi la Cassa è il principale azionista di Eni, Terna
e Snam. Possiede il 100 per cento di Sace, il 76 per cento di Simest e il 100 per cento di Fintecna. Attraverso
il Fondo strategico italiano ha investito in società farmaceutiche (come Kedrion), in Metroweb, primo tassello di un possibile impegno nella rete tlc di nuova
generazione (anche se i rapporti con Telecom Italia,
complice la turbolenza azionaria dei vertici dell’ex incumbent, non hanno portato finora a risultati concreti), in Sia, società per l’automazione bancaria, e nell’80
per cento di Ansaldo Energia, in attesa di coinvolgere
un partner asiatico. Ma molto si è parlato dell’Fsi an-
che per l’offerta su Versace, in competizione con il private equity Kkr, o per Deoleo, il
leader spagnolo dell’olio di oliva da cui dipendono diversi marchi italiani. Perché queste incursioni in campi di caccia dove è attiva la concorrenza privata? Che senso ha disperdere le forze dove non è necessario? Fsi,
è la risposta, nasce con l’obiettivo esplicito
di rafforzare le medie imprese di casa nostra per consentire loro di reggere l’impatto in settori in cui operano player più robusti. All’origine c’è l’emozione per la cessione
di Parmalat a Lactalis senza che fosse stato possibile la risposta di un competitor italiano. Di qui l’interesse di Tamagnini per
una mission che si sta rivelando assai difficile: mettere assieme marchi e imprese del
made in Italy per creare aziende in grado
di competere nel fashion, nell’alimentare
o, ancor più urgente, nel turismo (il settore
dalle maggiori possibilità dove l’Italia non
conta realtà imprenditoriali di livello internazionale). La potenza di fuoco è assai
ragguardevole, visto che nell’impresa si sono associati i fondi di Qatar e Kuwait, ma
gli ostacoli non mancano. Insomma, la Cassa fa (quasi) tutto, con l’importante eccezione del settore bancario, precluso dalla
presenza di Banca d’Italia nel capitale dell’Fsi, vincolo che ha protetto la Cdp dalle richieste di intervento in Monte Paschi.
In questi anni, del resto, per merito di
Franco Bassanini (la cui nomina per competenza dipende dal socio privato, le fondazioni bancarie) e di Giovanni Gorno Tempini (espressione dell’azionista pubblico) la
Cassa ha saputo evitare il pericolo di essere coinvolta in una grande operazione di sistema, tipo Alitalia, grazie alla protezione
offerta dalla clausola che impone di investire solo in società profittevoli. Anche per
questo procede con sicurezza la «lunga
marcia» di Cdp i cui timonieri, ancor prima
delle restrizioni di legge di questi anni,
hanno adeguato al ribasso i propri emolumenti: Gorno Tempini si è ridotto lo stipendio a 607.025 euro annui lordi (da oltre un
milione) mentre il compenso di Bassanini,
è stato fissato a 236.305 euro. Insomma, è
l’ora dei boiardi low cost. Ed è una buona
notizia.
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30 OUTLOOK - LUGLIO/AGOSTO 2014
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