“La crisi, il futuro dell`industria modenese e il ruolo dei dottori

“La crisi,
crisi, ilil futuro
futuro dell’industria
dell’industria
“La
modenese ee ilil ruolo
ruolo dei
dei dottori
dottori
modenese
commercialisti”
commercialisti”
Prof. Tiziano Bursi
Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Modena, 18 aprile 2011
Assemblea Ordine dei Dottori Commercialisti di Modena
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E
REGGIO EMILIA
FACOLTÀ DI ECONOMIA
LA CRISI
ITALIA 2009:
2009:
ITALIA
LA MANIFATTURA
MANIFATTURA ITALIANA
ITALIANA “SOTTO
“SOTTO TIRO”
TIRO”
LA
PHARMA
ALIMENTARE
ENERGIA
APPARECCHI
ELETTRICI
+2,8%
- 1,6%
-8,9%
- 26,8
Pil: 2008-2009: - 6,8%
MECCANICA
-28,7%
METALLI
-29,1%
CERAMICA
- 29,6%
Fonte: Il Sole 24Ore et altre
EXPORT DISTRETTI
DISTRETTI ITALIANI
ITALIANI (2009)
(2009)
EXPORT
….”PROFONDO ROSSO”
ROSSO”
….”PROFONDO
(98 Distretti)
(6 Distretti)
-14,5 Mld
Mld di
di €€
-14,5
DISTRETTI ITALIANI
ITALIANI (2009)
(2009)
DISTRETTI
……..“UNA RITIRATA
RITIRATA SU
SU TUTTI
TUTTI II FRONTI”
FRONTI”
……..“UNA
Fonte: Intesa Sanpaolo 2010
LA CRISI
A
MODENA
INDUSTRIA
MANIFATTURIERA PROVINCIA
PROVINCIA
DIMODENA
MODENA
Indice
destagionalizzato
della produzione
INDUSTRIA
MANIFATTURIERA
DI
industriale
ANDAMENTO PRODUZIONE
PRODUZIONE(base
(base2000=100)
2000=100)
ANDAMENTO
( numeri indici base 2000
= 100)
140
numeri indici destagionalizzati
130
medie mobili su tre termini
120
110
100
90
80
70
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Elaborazioni Ufficio Studi Camera di Commercio
Fonte:
Camera di Commercio Modena
Modena su dati "Giuria della congiuntura"
2010
di
INDUSTRIA MANIFATTURIERA PROVINCIA DI MODENA
d e sANDAMENTO
t a g i o n a l i zFATTURATO
z a t o d e l fa t t u r a to
I n d ic e
(
1 4 0
(base 2000=100)
2 0 0 0
n u m e ri in d ic i b a s e
=
1 0 0 )
n u m e ri in d ic i d e s t a g io n a liz z a t i
m e d ie m o b ili s u
1 3 0
tre
te r m i n i
2 0 06
20 0 7
1 2 0
1 1 0
1 0 0
9 0
8 0
7 0
20 0 1
2 00 2
2 0 03
20 0 4
2 00 5
2 0 08
20 0 9
E la b o r a z io n i U f f ic io S t u d i C a m e r a d i C o m m e r c io
Fonte: Camera di Commercio Modena
M o d e n a s u d a t i " G iu r i a d e l la c o n g iu n t u r a "
d i
2 01 0
INDUSTRIAMANIFATTURIERA
MANIFATTURIERA PROVINCIA
PROVINCIADI
DIMODENA
MODENA
INDUSTRIA
ANDAMENTO
EXPORT
FATTURATO
(base
2000=100)
ANDAMENTO
EXPORT
EEFATTURATO
2000=100)
( numeri
indici
base 2000(base
= 100)
160
150
140
130
120
110
100
90
Esportazioni
Fatturato
80
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Fonte: Camera di Commercio Modena
LA CRISI: UN BILANCIO PESANTE
Tanti danni, caduti e feriti
molti superstiti,
e una difficile ripartenza
LA CRISI:
CRISI: L’EFFETTO
L’EFFETTO SELETTIVO
SELETTIVO
LA
SELEZIONE SUL MERCATO ED EMERSIONE DELLE IMPRESE MIGLIORI
IMPRESECHE
CHEHANNO
HANNO
IMPRESE
“GIOCATOD’ATTACCO”
D’ATTACCO”
“GIOCATO
FATTORE
FATTORE
DISCRIMINANTE
DISCRIMINANTE
•REAZIONE ALLA RECESSIONE
•MANTENIMENTO DI BUONE
PERFORMANCE ECONOMICHE
•INVESTIMENTI IN R&D,
MARKETING, BRANDING, RETI
IMPRESECHE
CHEHANNO
HANNO
IMPRESE
“GIOCATODI
DIDIFESA”
DIFESA”
“GIOCATO
•AZIONI DI TAMPONAMENTO
•TAGLIO DEI COSTI
•BLOCCO INVESTIMENTI
LA RIPRESA
VOLTI DELLA
DELLA RIPRESA
RIPRESA (2011)
(2011)
II VOLTI
•UNA RIPRESA “INCENTIVATA” (ALL’INIZIO)
•UNA RIPRESA IN CERCA DI AUTONOMIA (OGGI)
•UNA RIPRESA ASIMMETRICA (A 2 VELOCITA’)
•UNA RIPRESA INCERTA
•UNA RIPRESA SELETTIVA
ECONOMIE AVANZATE
USA: 3,2%
UE: 1,6%
GERMANIA: 2,2%; ITALIA: 1.1%
ECONOMIE EMERGENTI
CINA: 9,7%
INDIA: 8,5%
IL “VENTO
“VENTO DELL’INFLAZIONE”
DELL’INFLAZIONE”
IL
(Marzo 2011
2011 ee var.%
var.% su
su anno
anno precedente)
precedente)
(Marzo
ITALIA:
ITALIA:
UNESERCITO
ESERCITODI
DI LAVORATORI
LAVORATORIIN
INCASSA
CASSAINTEGRAZIONE
INTEGRAZIONE
UN
Febbraio 2011
Marzo 2011
“LA RIPRESA
NON FA
ANCORA BENE
AL MERCATO
DEL LAVORO”
Fonte: Uil
ITALIA: LA RIPRESA
“TORNARE A CRESCERE” O “INIZIARE A CRESCERE”
•DAL 1999 LA CRESITA DEL PIL ITALIANO E’ STATA IN MEDIA
PARI ALLO 0,5% (VICINO ALLA STASI)
•IL PAESE “HA DIMENTICATO” COME SI FA A CRESCERE
•COME RIMETTERE IN MOTO IL PAESE IN PRESENZA: TANTI
VINCOLI, TANTI FRENI
•TANTI MOTORI CHE HANNO PERSO POTENZA: LA RICERCA,
LA SCUOLA, P. A, …………
ALCUNI FRONTI
DI “ATTACCO”
IMPRESE ITALIANE
ITALIANE EE MODENESI:
MODENESI:
IMPRESE
……..TANTE EE SOPRATTUTTO
SOPRATTUTTO PICCOLE
PICCOLE
……..TANTE
MODENA
MODENA
Presenza PMI:
27%
25,%
68%
45,%
Italia: 65 PMI ogni 1.000 abitanti,
Germania 20; Francia 36; Media UE 40.
Fonte: Eurostat, 2010 e Camera di Commercio di Modena 2011
EXPORT ITALIA
ITALIA EE MODENA
MODENA ::
EXPORT
……… AUTONOMIA
AUTONOMIA DI
DI VIAGGIO
VIAGGIO
………
Modena
2,6%
10,6%
2,0%
54%
4,6%
2,4%
Fonte: Il sole 24Ore, Istat
0,6%
RIPRESA VUOL DIRE …… ENTRARE IN SINTONIA
CON IL NUOVO TREND DELL’ECONOMIA
CON:
•NUOVI MODELLI DI EXPORT
•IMPRESE DOTATE DI MAGGIORI
DIMENSIONI, COMPETENZE,
CAPACITA’ ORGANIZATIVE
•RISORSE DA INVESTIRE NELLA
INTERNAZIONALIZZAZIONE
PRODUTTIVA E COMMERCIALE
•NUOVI CONTENUTI PER IL “MADE
IN ITALY”
PMI ITALIANE:
CAPACITA’ DI FARE “INNOVAZIONE SENZA RICERCA”
DISSOCIAZIONE FRA “INNOVAZIONE E IMPRENDITORIALITA’”
ITTAALIA:
I
LIA:
P
POOSSIIZZIIOONI D
NI DIICCOODA PE
D
C
CAAPPAACCIITTA’ DIA PERR
IINNNNOOVVAAZZIONEA’ DI
IONE EEDDI R&D
I R &D
ITTAALIA:
I
LIA:
P
POOSSIIZZIIOONE D
I
N
MEE N° DEIDI VVEERRTTIICCEE
CCOOM
N° DI PPM
MII E PES
S
U
L
SULLLAA SSTRUTTE PESOO
TRUTT URRA
A
PPRROODDUUTTTTIVU
A
IVA
INVESTIRE IN CREAZIONE DI CONOSCENZA E
FORMAZIONE DI CAPITALE UMANO QUALIFICATO PER
SOSTENERE LA CAPACITA’ DI INNOVAZIONE
IMPRESE DISTRETTUALI:
DISTRETTUALI: UN
UN BILANCIO
BILANCIO
IMPRESE
DIFFICILE DA
DA FARE
FARE QUADRARE”
QUADRARE”
DIFFICILE
•SPECIALIZZAZIONE PRODUTTIVA
(SEGMENTI / NICCHIE)
•RETI DI IMPRESE/FILIERE
•IMPRESE LOCOMOTIVA (POCHE)
•ELEVATA CULTURA DI PRODOTTO
•VOCAZIONE IMPRENDITORIALE (IN
CALO)
•………………………
•SPECIALIZZAZIONE PRODUTTIVA
SOTTO ATTACCO DA COMPETITOR
LOW COST
•PRODUZIONI A BASSO VALORE
AGGIUNTO
•ALTO CONTENUTO DI LAVORO
•LIMITATA DIMENSIONE IMPRESE
•BASSA PRODUTTIVITA’
•INDIVIDUALISMO (DESIRE FOR
CONTROL)
“EFFETTO EROSIONE” DEI DISTRETTI
•DISTANZA DAL MERCATO E DAI
CANALI DI DISTRIBUZIONE
•ASSENZA DI BRANDIND.
DA DOVE
COMINCIARE
PICCOLO:
PICCOLO:
UNACONDIZIONE
CONDIZIONEDA
DASUPERARE
SUPERAREIN
INUN
UNMONDO
MONDOGLOBALE
GLOBALE
UNA
PRESSIONI
AMBIENTE
COMPETITIVO
PROBLEMA
PROBLEMA
DIMENSIONALE
DIMENSIONALE
DEBOLEZZE
MODELLO PMI
AUMENTARELA
LACRESCITA
CRESCITA
AUMENTARE
LINEE INTERNE
Sviluppo organico
Difficile, troppo
lento,…
•Economiedidiscala
scalaeedidi
•Economie
apprendimento
apprendimento
•Avvioprogetti
progettididiR&D
R&D
•Avvio
•Internazionalizzazione
•Internazionalizzazione
•Poterecontrattuale
contrattuale
•Potere
•Minorcosto
costocapitale
capitale
•Minor
•Reputazione
•Reputazione
•……….
•……….
LINEE ESTERNE
Acquisizioni,
accordi, alleanze
La via principale
“FABBRICARE”PRODOTTI
PRODOTTIO….“PROGETTARE”
O….“PROGETTARE”PRODOTTI
PRODOTTI
“FABBRICARE”
PRODURREIN
INMODO
MODO
PRODURRE
EFFICIENTE
EFFICIENTE
(coni idistretti
distrettieelelereti
reti
(con
impresa)
didiimpresa)
INVENTARE“UNICITA”
“UNICITA”
INVENTARE
(perdifendere
difenderei iprezzi)
prezzi)
(per
PENETRAREMERCATI
MERCATI
PENETRARE
LONTANI
LONTANI
(Dovec’è
c’è laladomanda)
domanda)
(Dove
INVESTIREIN
IN
INVESTIRE
MARCHIEE
MARCHI
DISTRIBUZIONE
DISTRIBUZIONE
(Vicinanzaalalmercato)
mercato)
(Vicinanza
MADE IN
IN ITALY
ITALY::
MADE
…..LA QUALITA’
QUALITA’ (SE
(SE C’E’)
C’E’) NON
NON BASTA
BASTA
…..LA
SPAZI:
• GRANDI PER IL LUSSO, CON
BRAND DI GRANDE NOTORIETA’
E PRESTIGIO;
• RIDOTTI PER LE PMI CON
SCARSE RISORSE DA INVESTIRE
IN INNOVAZZIONE, MARKETING E
PRESIDIO DEL RETAIL
NON BASTA UN GENERICO RICHIAMO AL “Made in Italy”
SENZA AVERE COSTI COMPETITIVI E NETWORK
DISTRIBUTIVI NEI NUOVI MERCATI
C’E’ UN
UN RUOLO
RUOLO ANCHE
ANCHE ……..
…….. PER
PER II
C’E’
COMMERCIALISTI
COMMERCIALISTI
ACCOMPAGNARE LE IMPRESE A:
•DIVENTARE “PIU’ GRANDI”
•MIGLIORARE LA LORO “QUALITA”
•RITROVARE LA “VOGLIA” DI INVESTIRE
Per vincere le sfide
dell’INNOVAZIONE e
dell’ INTERNAZIONALIZZAZIONE
Assemblea annuale Ordine Dottori Commercialisti di Modena
Modena, 18 aprile 2011
“La crisi, il futuro dell’industria modenese ed il ruolo dei dottori commercialisti”
Prof. Tiziano Bursi, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
1- E’ tutta colpa della crisi?
Il decennio con il quale si è aperto il nuovo secolo è stato denso di grandi eventi di natura politica,
economica, sociale e tecnologica che hanno prodotto un forte impatto con un effetto onda destinato
a propagarsi anche in futuro. Basti richiamare l’affermazione sulla scena mondiale di nuovi paesi
protagonisti (Cina in primis), la nascita dell’UE e l’introduzione dell’Euro, la crescente
interdipendenza economica tra le diverse macro-aree geografiche ed il conseguente innalzamento
del confronto competitivo sul mercato internazionale, la modernizzazione dei sistemi di
distribuzione, il recupero di spazi del settore dei servizi rispetto alla manifattura, la rivoluzione
introdotta dalle tecnologie Ict con internet in testa e la crescente consapevolezza a livello di
consumatori ed utenti della necessità di coniugare lo sviluppo con valori etici e di sostenibilità e di
rispetto dell’ambiente.
Ad introdurre un ulteriore fattore di modificazione del panorama ha contribuito la recente crisi
economica che ha visto nel 2009 il punto più acuto di manifestazione ed impatto. Una crisi
presentatisi all’inizio sotto sembianze finanziarie, ma che ha finito ben presto per assumere i
connotati tipici di una crisi economica “reale” contagiando l’intero sistema economico globale,
generando una forte caduta dei livelli di sviluppo (produzione e reddito), una brusca frenata del
commercio internazionale ed effetti molto pesanti sul mercato del lavoro, questi ultimi ben lungi
ancora oggi, da essere assorbiti. Su questo fronte, la fase di ripresa in atto (secondo trimestre 2011)
non sembra, infatti, fare ancora pienamente bene al mercato del lavoro.
Questa metamorfosi della crisi da “finanziaria” a “reale” ha prodotto impatti generalizzati a livello
di sistemi paese e sistemi economici incidendo in misura più significativa sull’economia dei paesi a
maggiore vocazione manifatturiera e con una forte proiezione e apertura al mercato internazionale.
L’Italia è tra i paesi che maggiormente ne ha fatto le spese e lo stesso vale - al suo interno - per tutti
i territori ed i sistemi di imprese a forte cultura manifatturiera. Il prezzo pagato in termini di calo di
produzione, di esportazioni e di perdita di livelli occupazionali è stato elevato, ed il conto non è
ancora del tutto saldato.
La crisi si è abbattuta su un paese (l’Italia) che già da tempo, però, manifestava sintomi visibili ma
trascurati, di una serie di malesseri e disagi di natura economica (e non solo) che venivano dal
passato non solo recente e da ricondursi a debolezze e deficit di natura strutturale: la crescita
protratta molto bassa dell’economia del paese, la cedente capacità di innovazione, la progressiva
perdita di competitività delle nostre produzioni sui mercati internazionali, l’appesantimento della
struttura dei costi, la bassa produttività delle imprese e dei fattori produttivi (lavoro in particolare)
ed altri impedimenti vari.
Oggi questi impedimenti, nella fase in cui l’economia del paese sembra uscire non senza fatica dalla
fase di convalescenza, esercitano intatta la loro azione frenante che allontanano il momento della
piena e definitiva guarigione. Allo stesso tempo, questi stessi fattori, non favoriscono una
“ripartenza” dell’intero sistema produttivo su nuove basi alla luce degli assetti e delle regole
competitive che il contesto globale nel frattempo ha assunto e definito.
1
La ripresa in corso si è avviata, come noto, grazie anche ad una serie di interventi a sostegno delle
piccole e medie imprese varati dalle autorità di governo dei diversi paesi (norme anti-burocrazia,
facilitazioni per l’accesso credito, sostegno all’autoimprenditoria, ai giovani, alle attività di ricerca,
procedure fallimentari meno punitive). A distanza di qualche mese questa ripresa, pur in quadro di
non privo di incertezze, cerca di reggersi sulle proprie gambe e assumere un certo grado di
autonomia. Il dato che emerge con sempre maggiore evidenza è la natura asimmetrica della riprea
e cioè una ripresa a due velocità. Le economie emergenti stanno crescendo molto più delle
economie avanzate e sostengono gran parte dell’economia mondiale. Da oltre 10 anni i Paesi
emergenti forniscono circa il 70% dell’incremento del Pil mondiale e nei prossimi due/tre anni
cresceranno in media del 6,5%. Questi paesi (Cina e India in testa) si trovano ad essere i nuovi
protagonisti e il motore dell’economia mondiale. Dall’altra parte del globo, l’Eurozona ha visto
ridursi drasticamente la sua forza espansiva a partire dagli anni’70, ha risentito più degli altri paesi
avanzati della crisi ed ora è più lenta nella ripresa. E’ anche l’area all’interno della quale maggiori
sono i divari di performance. Le stime del FMI prevedono infatti da un lato una crescita per la
Germania del 2,2% del Pil nel 2011 e da un altro lato del 1,1% per l’Italia.
L’Italia è quindi un paese che rimane indietro nella ripresa per i suoi mali antichi e perché in forte
ritardo nell’entrata in sintonia con i nuovi Paesi emergenti che stanno trainando la crescita. La
contrazione dell’economia italiana nel biennio 2008-2009 è stata violenta (-6,8% di riduzione del
Pil). Il recupero si dimostra incerto e lentissimo. Per tornare livelli pre 2007 il Paese dovrebbe
crescere almeno a tassi di circa il 2%, mentre non sa andare oltre l’l%. L’andamento dell’economia
italiana è deludente perché la malattia della lenta crescita di cui l’Italia soffre da almeno 15 anni
(dal 1997) non è mai stata vinta. E ora la ripresa ritorna ad essere un fattore molto critico.
L’aggancio alla ripresa passa inevitabilmente per la transizione verso nuove configurazioni
produttive e su interventi di innalzamento della produttività in campo industriale e dei servizi e sul
recupero di competitività delle nostre produzioni sul mercato internazionale. Un compito arduo che
non consente di nutrire facili ottimismi nel prossimo futuro visto che il paese regge in larga parte la
sua economia su una manifattura di tipo tradizionale e con una struttura costituita prevalentemente
di piccole e medie imprese i cui prodotti sono quelli nei quali si focalizza la concorrenza dei Paesi
in via di sviluppo.
Non deve, infine, essere ignorato come parte dei ritardi e delle difficoltà dell’Italia e della sua
industria ad agganciare la ripresa economica, oltre che all’effetto somma di mali antichi e di mali
nuovi, vadano ricondotti anche alla palese assenza nel nostro Paese di una lungimirante politica
economica e industriale rivolta alle imprese, adatta ai tempi.
2- L’erosione dell’effetto “distretto”
Venendo all’economia locale, quella modenese, alla sua industria e ai suoi distretti si possono
adottare alcuni degli schemi di ragionamento assunti in precedenza, ovviamente con le dovute
specificazioni. L’economia modenese ha sempre trovato nella sua manifattura il principale motore
di sviluppo e di crescita economico-sociale. I suoi territori a forte specializzazione produttiva
(meccanica a Modena, ceramica a Sassuolo, moda a Carpi, biomedicale a Mirandola, alimentare
nell’area di Castelvetro), hanno favorito il processo di diversificazione produttiva, di articolazione
del portafoglio prodotti, di bilanciamento degli effetti negativi delle fasi congiunturali o delle
trasformazioni strutturali dei diversi componenti della struttura manifatturiera. Le performance
raggiunte e conservate nel tempo hanno contribuito a collocare, ormai stabilmente, questo “pezzo”
di industria manifatturiera nelle prime posizioni a livello nazionale. Tutti gli indicatori economico
sociali (PIL e reddito pro capite, tassi di attività e occupazione, densità tessuto imprenditoriale,
performance esportative,..) confermano la forza e la capacità di tenuta del sistema locale delle
imprese industriali. Tutto questo resta, ma nel frattempo qualcosa è mutato.
2
Anche per le nostre imprese la “campana” della globalizzazione ha suonato; all’inizio flebili
rintocchi udibili solo alle imprese dotate di udito molto fine e di antenne molto ricettive, per
diventare via via un suono sempre più forte e udibile anche da attori affetti di qualche disturbo di
sordità.
Quel suono annunciava il vero volto della globalizzazione e cioè che “ci sono anche gli altri”. La
dilatazione degli spazi di mercato ha fatto via via emergere competitor low cost capaci di fare molte
delle cose che una volta facevano le nostre imprese con un conseguente innalzamento del livello di
tensione concorrenziale. Ne è disceso lo spostamento del baricentro dell’economia e delle rotte
commerciali verso aree distanti sul piano geo-fisico, culturale e poco familiari alle nostre imprese.
Si è quindi instaurata una condizione di crescente interdipendenza economica tra le diverse aree e
la conseguente mobilità di merci, fattori produttivi e risorse. Queste sono alcune delle dimensioni
più visibili e reali del fenomeno della globalizzazione e destinate a condizionare in prospettiva le
dinamiche economiche sulla scena mondiale.
L’accelerazione con la quale questa successione concomitante di cambiamenti si è manifestata ha
colto di sorpresa non poche imprese industriali locali che si sono trovate in ritardo nell’approntare i
necessari correttivi alla loro rotta sia in termini di indirizzi strategici che di condotte sul piano
produttivo, dei modelli organizzativi e gestionali e della dotazione di risorse materiali ed ancor più
immateriali richieste per rinnovare le basi del vantaggio competitivo sul mercato. In altri casi
(numericamente difficile da stimare, ma certamente minoritari), è stata la crisi mondiale ad
interrompere il processo virtuoso intrapreso nei primi anni del decennio di innalzamento del valore
intrinseco del prodotto, dell’investimento in tecnologia e ricerca e della costruzione di presenze
stabili all’estero. Di recente nelle aree territoriali a più forte specializzazione produttiva, inoltre,
complice son solo la crisi, si è assistito alla progressiva erosione dell’effetto “distretto” segnalato in
misura sempre più nitida dalla dispersione dei risultati di mercato ed economico finanziari
conseguiti dalle imprese: la polarizzazione al loro interno si è fatta sempre più netta:
 da un lato un numero molto ristretto di imprese eccellenti con performance brillanti;
 dall’altro lato un numero sempre più nutrito di imprese con risultai deludenti ed in posizione
sempre più marginale.
Osservando da vicino le dinamiche di diversi distretti industriali modenesi è facile scorgere:
 imprese che hanno “giocato d’attacco” contro le conseguenze della crisi, reagito alla
recessione, conseguito buone performance economiche, investendo nell’innovazione e
cercando sbocchi nei nuovi mercati emergenti quelli con maggiore potenziale di crescita;
 imprese che hanno fatto “azioni di difesa” che hanno adottato provvedimenti solo di
tamponamento della situazione, agendo soprattutto con tagli dei costi, blocco di ogni tipo di
investimento, per cui oggi si trovano in difficoltà ad affrontare il nuovo contesto
competitivo.
Complessivamente ci trova di fronte ad un sistema industriale locale che non è fermo o immobile e
che diffusi sono gli sforzi che ha messo in campo per “traghettare” la crisi aspettando la ripresa.
Alle imprese però ora si richiede altro: recuperare interesse, voglia, e spinta al cambiamento. Tutti
stimoli che devono provenire dal loro interno. Tocca alle imprese ma più in generale tocca al Paese
nel suo insieme.
Ai fini della nostra analisi, appare quindi opportuno interrogarsi sui fattori che, oggi e ancor più in
prospettiva, condizionano e condizioneranno la capacità delle nostre imprese di reagire alla crisi e
di affrontare la fase di ripartenza e risalita. Senza volersi dilungare in una lista lunga e per molti
aspetti nota, ci si limita solo a richiamarne alcuni che sembrano svolgere una azione maggiormente
frenante al cammino delle nostre imprese nel nuovo panorama che ci consegna la recente crisi
mondiale. Si tratta di aspetti che possono essere attribuiti alla struttura manifatturiera nazionale e al
contempo locale.
3
Il primo di questi aspetti è costituito dalla struttura dimensionale del nostro sistema produttivo
(nazionale e locale), largamente composto da imprese di piccola dimensione. Una situazione che ci
allontana in misura netta da quella dei sistemi industriali dei paesi simili sotto il profilo economico
e diretti concorrenti sul mercato internazionale. In questa classifica l’Italia è schiacciata nella parte
terminale e dopo di lei, solo Grecia e Portogallo. La situazione relativa alla struttura del tessuto
economico-produttivo modenese si discosta di poco dalla realtà nazionale. L’industria
manifatturiera modenese al 2009 contava 6.789 imprese con la seguente ripartizione dimensionale:
o 4.636 micro imprese (1-9 addetti) pari al 67,85%;
o 1.829 piccole imprese (10-49 addetti) pari a 27,0%;
o 321 medio-grandi imprese (>50 addetti) pari al 4,7%..
Pur riconoscendo alla imprese minori tante virtù e caratteri di flessibilità, dinamismo e vivacità
imprenditoriale, non devono tuttavia essere taciuti anche altri deficit strettamente connessi alla loro
limitata taglia dimensionale e tra questi:
 La scarsa dotazione di mezzi propri,
 la forte esposizione a fonti finanziarie di debito,
 la modesta dotazione di competenze dedicate alla gestione dei processi a valle del momento
produttivo (marketing, distribuzione, branding,..).
Ne esce un profilo di impresa molto fragile sul piano della tenuta e vulnerabile in presenza di
situazioni avverse di mercato. Il sottodimensionamento delle nostre imprese provoca, in sintesi,
gravi inefficienze, limita il contenuto strategico e operativo dell’azione sul mercato e comprime, in
particolare, i livelli di produttività in termini di valore aggiunto per addetto. Queste debolezze solo
in parte posso essere “occultate” e “mimetizzate” nel caso di imprese inserite in reti o filiere e
trainate da potenti locomotive.
Il secondo aspetto si connette a quello precedente. La dimensione di impresa si correla
positivamente oltre che alla produttività anche alla capacità di apertura internazionale delle
imprese nelle forme mercantili (export) ed ancor più nelle modalità che prevedono l’installazione di
presidi stabili (commerciali e produttivi) sui mercati esteri (si veda Gian Maria Gros-Pietro, Il sole
24 Ore, 25 marzo 2011).
La carta di identità di Modena internazionale al 2010 riporta questi dati:
 esportazioni totali 9.308 milioni di euro (+14,2% sul 2009);
 forte concentrazione dell’export verso l’area UE a 27 paesi nella misura di oltre il 54% del
totale delle esportazioni nazionali;
 le imprese modenesi stabili esportatrici assommano a circa 1.400. Di questa popolazione di
imprese, quelle con oltre 50 addetti (pari al 20% circa del totale imprese esportatrici)
realizzano oltre l’80% del flusso esportativo totale e oltre il 62 % del fatturato industriale
provinciale e ocupano il 53% degli addetti;
 le imprese industriali modenesi con stabili presidi commerciali e produttivi all’estero sono
meno di un centinaio.
Con questo profilo identitario Modena internazionale, può sfruttare solo in minima parte lo
spostamento del baricentro della crescita mondiale verso l’Asia. Per farlo - al fine di entrare in
sintonia con questo nuovo trend dell’economia mondiale - servono imprese dotate di maggiori
dimensioni e capacità organizzative, nonché di risorse da investire nell’internazionalizzazione
commerciale e produttiva. La realizzazione all’estero di unità stabili di presidio, di reti logistiche e
distributive e di catene di punti vendita si pone come un passaggio obbligato per entrare ed operare
nei nuovi paesi-mercati. Anche in questo caso l’inserimento in reti di imprese trainate da “navigli”
robusti può consentire di arrivare lontano, ma spesso avviene sotto altra identità ed in una posizione
di forte dipendenza.
4
Sembra, quindi che i due tratti (produttività e capacità di stare sui mercati esteri) convivano e si
rafforzino vicendevolmente e siano strettamente connessi (seppur non in via esclusiva) alla
dimensione aziendale.
Anche il terzo aspetto si ricollega a quelli precedenti (ma in particolare al sottodimensionamento
delle imprese) ed è costituito dal limitato respiro della capacità di investimento in ricerca e
sviluppo per alimentare il driver dell’innovazione, un driver decisivo per la conquista di nuovi
mercati. La sfida per la maggior parte delle nostre imprese è quella immettere nelle loro produzioni
elementi tangibili ed intangibili di “unicità” e di differenziazione essendo preclusa ogni altra via.
Una differenziazione che esalti tutto il sistema di offerta aziendale. Ciò può essere fatto solo
mettendo in campo una rinnovata tensione innovativa come forza motrice che deve risiedere
nell’impresa ma che deve trovare al contempo energia anche all’esterno in altre imprese e in altri
soggetti.
Esiste un responsabile di questa situazione che vede le nostre imprese – rispetto a quelle dei paesi
vicini e simili sotto il profilo economico – più piccole sul piano dimensionale, meno performanti sul
piano della produttività e della capacità di presidio delle posizioni sul mercato internazionale e
propense ad “innovare senza fare ricerca”? Il responsabile, in verità è più di uno e vi è una ampia
condivisione nell’individuarlo nel modello di specializzazione della nostra industria. E cioè,
produzioni dal contenuto tecnologico mediamente poco elevato, ad alta intensità di lavoro, con
limitate possibilità di beneficiare di economia di scala e con processi produttivi ad alta divisibilità.
Specializzazioni con simili caratteristiche, rendono naturale e appropriata una distribuzione
dimensionale delle imprese compressa verso il basso. Allo stesso tempo all’interno di questa vasta
popolazione di imprese con soglie dimensionali minime, l’avanzata della nuova concorrenza
globale innesca meccanismi e dinamiche di forte pressione selettiva tra le imprese. In presenza di
mercati che non crescono o che crescono, ma fuori dalla portata delle piccole imprese, le
conseguenze nel tempo di una pressione di selezione troppo intensa rischiano di produrre una forte
riduzione del numero di superstiti se non una progressiva desertificazione di intere aree industriali a
base distrettuale.
3- La crescita delle imprese: “il problema dei problemi”
La crescita delle imprese (di una parte preponderante) dell’industria manifatturiera modenese
nell’attuale contesto ambientale, si presenta come il “problema dei problemi”. Per la maggior parte
di loro costituisce il presupposto per innovare una piattaforma competitiva ereditata dal passato che
appare sempre meno adatta ad affrontare i cambiamenti strutturali in corso. L’industria modenese
per potere continuare ad avere un ruolo da protagonista deve vedere crescere il numero di imprese
“motrici” e cioè imprese finali in diretto rapporto col mercato alle quali stanno agganciati i
“vagoni” delle imprese che forniscono lavorazioni intermedie, apportano professionalità e
macchinari specializzati. Servono più imprese locomotive come vettori di cambiamento e in grado
di dare motricità all’intero sistema (e/o a sistemi di filiera) e muovere lungo sentieri innovativi
rispetto a quelli del passato.
Crescere in quantità però non basta, bisogna anche “crescere in qualità”. Ciò significa che ogni
impresa persegua lo sforzo di dotarsi di professionalità e competenze distintive per spostare il
baricentro dalle attività puramente produttive (in ogni caso importanti) a quelle a maggior valore
aggiunto. Si tratta di un cambio di registro decisamente impegnativo che si traduce nella
costruzione di posti di lavoro capaci di coniugare salari e condizioni di lavoro di tipo europeo,
significa innestare maggiore intensità tecnologica e capitale umano di valore, scremare le funzioni
da non delocalizzare, massimizzare le economie esterne (le reti di fornitura interimpresa) e
perseguire il massimo sfruttamento della dotazione di capitale fisso.
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La crescita a sua volta non avrebbe da sola grandi effetti, se non fosse accompagnata da una attività
mirata a differenziare l’impresa sul mercato globale in base a elementi che rendano riconoscibile e
preferibile la propria offerta in termini di innovazione di prodotto/servizio, di riconoscibilità della
propria innovazione, di costruzione di canali di interazione con la clientela disposta a fare valere la
propria differenza. Non è necessario che la stessa impresa compia da sola tutti questi passaggi. E’
invece indispensabile agire sull’intera catena del valore aggiunto coinvolgendo altre imprese,
costruendo alleanze e complementarietà e sfruttare la possibilità della divisione del lavoro.
Questa ulteriore tappa sollecita investimenti copiosi e stabili per i prossimi anni a venire in risorse
umane rompendo con la continuità del passato nel corso del quale le imprese si sono avvalse di
saperi e competenze formatesi in prevalenza on the job e hanno attinto ad un capitale sociale
(conoscenze e relazioni) disponibile gratuitamente sul territorio. Oggi le cose sono cambiate. Le
conoscenze/competenze necessarie per mantenere la rotta e tenere il passo con la concorrenza
sempre più agguerrita, non sono più disponibili in natura e quindi vanno costruite. Occorre allora
investire “più di prima” e sopratutto in “altro modo” privilegiando gli investimenti per produrre
conoscenze originali e intelligenza e – al tempo stesso – farli rendere. Tocca alle imprese (e agli
imprenditori) adottare business model più evoluti, dove gli investimenti in asset intangibili
(conoscenze, brevetti, marchi, pubblicità, competenze) servono ad alimentare l’innovazione e
l’internazionalizzazione e quindi a sostenere lo sviluppo e la competitività. Ciò detto, anche le
piccole imprese possono dare un contributo alla auspicata evoluzione del sistema industriale
nazionale e locale. Possono farlo in base alla loro idoneità ad entrare ed operare con successo nelle
reti con grandi e medie imprese a condizione che sappiano esprimere una propria capacità di
evoluzione verso strutture organizzative più complesse, esibire una dotazione di competenze
distintive e dimensioni maggiori e diverse di quelle della generalità delle piccole imprese.
Per l’industria modenese si è aperta una nuova stagione che segna il passaggio dalla crescita
“estensiva” a quella “intensiva” o di “qualità”. Per le imprese significa mettersi nella condizione di
affrontare nuovi mercati, introdurre nuove tecnologie e investire in capitale umano. In questo
percorso le imprese possono trovare un utile supporto anche da una serie di condizioni di contorno
altrettanto importanti quali un sistema di infrastrutture e di servizi territoriali di qualità, un bacino
di professionalità più ricco (che va creato), un sistema finanziario che non si limiti ad erogare
credito ma che sappia accompagnare le imprese nei loro itinerari di crescita e in alcuni passaggi
critici della loro vita. Molto può venire dal sistema pubblico-istituzionale. In estrema sintesi, per le
nostre imprese determinate a salire sul treno della ripresa economica mondiale, sono utili anche i
compagni di viaggio. I dottori commercialisti, per il ruolo che svolgono, per il rapporto di “intimità”
maturato verso le imprese possono esserlo.
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